VOX MILITIAE n. 3

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VOX MILITIÆ CAVENDO TUTUS ANNO VII - N° 3

Ottobre 2008

Impiego delle forze

CONVEGNO 2008

GIORNATE DI STORIA DELLE FORZE ARMATE ITALIANE IV EDIZIONE Il convegno si svolgerà a L’Aquila nel periodo 18 – 19 nov. 2008 presso la sala delle assemblee della Cassa di Risparmio di L’Aquila. Il programma prevede due sessioni di lavoro: - la prima, che si svolgerà il 18 novembre 2008, dal tema “la guerra di Liberazione in Italia: il ruolo dei militari e la memoria nell’esercito” affronta la problematica dal punto di vista storiografico; - la seconda, che si svolgerà il giorno 19 novembre 2008, dal tema “Mediterraneo: possibili convergenze. Il ruolo della Tunisia e dell’Italia” analizzerà gli aspetti storici ed attuali del Mediterraneo. Chiuderà la giornata, la cerimonia di consegna dei premi “Ettore Troilo” assegnato alla casa editrice Mursia per il suo ultimo libro “La penna del Najone” (l’editore, ci permettiamo di aggiungere, che più ha contribuito alla storia delle Forze Armate con numerose pubblicazioni tra le quali “Centomila gavette di ghiaccio”) e “Martiri di Cefalonia” assegnato al 9° reggimento alpini, “L’Aquila” di ritorno dall’Afghanistan, per la sua continua attività nei vari Teatri Operativi che hanno visto impegnate le Forze Armate italiane.

In questo numero VOX MILITIAE inaugura una nuova fase del giornale rinnovando la veste editoriale tenendo conto delle indicazioni ed i suggerimenti di tanti amici per avere un giornale, più pratico da sfogliare e da conservare. Nella speranza che il cambiamento sia accolto favorevolmente da tutti, ci auguriamo sempre più partecipazione e suggerimenti, non solo nella forma, ma soprattutto con articoli, per un processo in continua evoluzione. Nella considerazione che la commissione scientifica ha conferito il premio “Martiri di Cefalonia”, che sarà consegnato nell’annuale convegno delle “Giornate di Studio delle Forze Armate Italiane”, al 9° reggimento alpini “L’Aquila” abbiamo dato ampio spazio all’attività dello stesso impiegato nella missione ISAF in Afghanistan. Per ricordare il 90° anniversario della Vittoria nella 1^ G. M siamo rimasti in tema di alpini con un articolo sulla “Battaglia dell’Ortigara” che li vide protagonisti in prima linea. Lo scontro dell’Ortigara, concluso il 30 di giugno 1917 con un pesante bilancio di perdite; una pagina di eroismo, un tragico mattatoio dove i soldati, e in particolare gli alpini, hanno offerto all’Italia il loro sangue e la loro giovinezza. Nel voler poi riassumere l’epopea della Grande Guerra lo abbiamo fatto in un modo inconsueto: affidandoci “alla canzone popolare” per il suo ruolo di analisi storiografica. La 1^ G. M. è stato lo spunto per la nascita di decine di canzoni, sia coeve al conflitto, che postume. Alle pagine 8 e 9 il Col. Mario Pietrangeli ci presenta il 1° Reggimento Genio Ferrovieri, la specialità dell’Esercito che tutti ci invidiano, a molti sconosciuta. L’attuale configurazione prevede un’articolazione su due battaglioni. Il primo dedito principalmente alla costruzione, manutenzione e risanamento delle linee ferroviarie. Il secondo destinato a muovere i treni, in tempo di guerra, in quelle aree “calde” dove non è possibile affidare tale compito ai ferrovieri civili. In tempo di pace, il Battaglione dà il suo personale in concorso alle Ferrovie dello Stato sulla rete italiana (negli incarichi di capi stazione, macchinisti e manovratori-deviatori) per completarne l’addestramento o alleviare situazioni di congestione, durante i grandi spostamenti per le ferie estive e le festività natalizie e pasquali, oppure nei momenti di crisi dovute a scioperi o a temporanee carenze organiche. Il Genio Ferrovieri è un reparto operativo di pronto intervento e scuola di alto livello, che offre un’ alta preparazione professionale e possibilità di impiego nelle Ferrovie dello Stato. Segue un articolo sulla rivolta contadina del 1929 di Sulmona, della quale abbiamo avuto occasione di parlare anche in un altro numero. Il 22 ottobre 1968 gli allievi del 150° Corso dell’Accademia Militare di Modena fecero il loro ingresso nel prestigioso Istituto. A quarant’anni di distanza, il generale Massimo Coltrinari riflette sugli anni trascorsi ed sulle tante cose belle fatte e, con ottimismo, guarda al futuro: “del nostro domani deve essere, e lo vogliamo ribadire, una approccio sereno e solare”.

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FOB STERZING, AVAMPOSTO DEGLI ALPINI ITALIANI A SUD DI KABUL Fonte: www.paginedidifesa.it a firma di Giuseppe Genovesi

Da due anni in Afghanistan, i reparti alpini che si avvicendano periodicamente nell’area di Kabul, presidiano una base operativa avanzata denominata Fob Sterzing. Fob è un acronimo che nella terminologia Nato sta per forward operative base, mentre Sterzing è il nome della cittadina di Vipiteno, sede del 5° reggimento alpini che la ha costituita a fine 2006. L’avamposto si trova nella valle di Musahy, 30 chilometri a sud della capitale afgana, e costituisce un punto strategico per il controllo del territorio e per i movimenti terrestri provenienti da quella direzione. L’esigenza di predisporre la Fob è nata dalla necessità pratica di ridurre i tempi di trasferimento delle pattuglie che partivano dal centro di Kabul per raggiungere le aree rurali del sud e dell’ovest dell’area di

responsabilità italiana. Gli alpini che agiscono nella valle di Musahy sono, in questo momento, quelli del 9° reggimento dell’Aquila. Gli alpini operano per la sicurezza, il controllo del territorio e la ricostruzione. Per fare questo, hanno portato il Sistema Italia nella valle. Questo vuol dire che la riuscita della missione dipende da un insieme di fattori tra loro imprescindibili che devono, per necessità di cose, essere concatenati. Non c’è ricostruzione senza sicurezza; non c’è sicurezza senza controllo del territorio. Sistema Italia è il frutto delle esperienze maturate dagli italiani in anni di missioni all’estero. Queste esperienze sono alla base dell’azione svolta dagli alpini nella cooperazione civile-militare (Cimic, civilmilitary co-operation). Fare qualcosa per il popolo afgano in un certo modo o con un Sistema è per gli italiani conseguenza di colloqui e incontri con gli anziani del posto, con i capi dei villaggi, con i capi della shura (il Consiglio dei capi villaggio). Le attività Cimic sono concepite alla stregua di quelle operative. Le attività Cimic sono pianificate con lo stesso processo decisionale di quelle combat, affinché nulla venga lasciato al caso e per creare le condizioni di consenso nella popolazione civile per la riuscita della missione. S’interviene dove mancano le tecnologie, non solo dove scarseggiano le risorse finanziarie. Non cattedrali nel deserto, ma opere che si integrino nel tessuto sociale, a seguito di richieste che provengano dagli stessi abitanti dei villaggi. All’inizio può esserci freddezza, diffidenza da parte dei locali. Per fugare questo scetticismo,

Nella settimana di ferragosto i militari italiani del 9° reggimento alpini di L’Aquila impiegati in Afghanistan, oltre alle ordinarie attività di controllo del territorio hanno contribuito alla finalizzazione di importanti progetti umanitari a favore della popolazione di Kabul per conto della Croce Rossa di Milano. Sono state consegnate oltre 2.000 paia di scarpe al fisiatra italiano Dott. Alberto Cairo che gestisce un centro per la realizzazione di protesi pediatriche, da donare agli afghani hanno difficoltà di deambulazione. Sono stati affidati all’ANAD (Afghan National Association Deaf, associazione afghana di sordomuti), medicinali e farmaci di vario genere destinati ai bambini bisognosi di cure e contemporaneamente sono state distribuite derrate alimentari per conto dell’Afghan Women Council. Gli alpini hanno realizzato importati opere di miglioria ad una delle più importanti sedi governative di Kabul ed alle aree rurali della città con fondi stanziati dal Ministero della Difesa, per un costo complessivo di 20.000 euro. Importate iniziativa volta al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione è l’attività di prevenzione delle malattie e di controllo della salute del bestiame locale svolta dai veterinari del contingente militare.

gli italiani adottano la via dell’approccio diretto verso le necessità e i bisogni degli afgani. La precarietà delle condizioni di salute dei bambini e degli anziani hanno indotto il personale sanitario militare a rivolgere l’assistenza italiana nel campo medico e veterinario. Con cadenza bisettimanale gli abitanti dei villaggi della valle di Musahy sono accolti nella Fob e vengono trattati pazienti affetti da varie patologie: le più ricorrenti sono la leishmaniosi, che provoca nei bambini ulcerazioni della cute, e le malattie dell’apparato digerente. Cure che sono prestate alla gente del posto anche più volte in uno stesso giorno, lungo l’itinerario delle pattuglie che partono dalla Fob Sterzing per attività di vigilanza e sorveglianza del territorio: vi è sempre la presenza di personale sanitario a bordo dei veicoli militari. L’attività veterinaria, in aggiunta all’assistenza medica, è quella che richiede tempi maggiori nell’esecuzione. Nel corso dei mesi e dopo i primi trattamenti, la gente di Musahy ne ha compreso l’importanza. Allevare animali in buone condizioni di salute, significa produrre più latte e un maggior quantitativo di carni. Si è riuscito a decuplicare il numero della produzione e i veterinari militari ricevono richieste costanti d’intervento. Mediamente si riescono a trattare 50 bovini e 300 tra caprini e ovini per ogni giornata. A questo si aggiungono le distribuzioni periodiche di vestiario, di alimenti secchi non deperibili e di giocattoli per i bambini. Inoltre, a Musahy, la cooperazione civile-militare si è fatta promotrice e finanziatrice della costruzione di cliniche, scuole ed edifici governativi.

ISAF Il Ministro della Difesa Ignazio La Russa, al termine del Consiglio dei Ministri dello scorso 23 settembre, ha annunciato il via libera all’invio di quattro Tornado in Afghanistan con compiti di ricognizione “non offensiva” nell’ambito della missione NATO - ISAF (International Security Assistance Force).


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Afghanistan Operazione “ISAF XI” ITALFOR XVIII - kabul

KABUL: IL CONTINGENTE ITALIANO BONIFICA OLTRE 400 ORDIGNI (Comunicato stampa del 9 settembre 2008) I militari del Contingente italiano a Kabul hanno terminato in questi giorni la bonifica di oltre 400 ordigni esplosivi rinvenuti nella propria area di responsabilità. L’importante risultato è stato conseguito grazie alla presenza capillare sul territorio dei militari del Contingente Italfor che opera su base del 9° reggimento Alpini, e grazie ai rapporti di fiducia con le autorità e la popolazione locale che le pattuglie, operanti con le forze di sicurezza afgane, hanno saputo stringere e sviluppare in questi mesi di attività sul terreno. Gli ordigni rinvenuti, appartengono a

vario tipo di munizionamento: bombe da mortaio da 82 e 120 millimetri; spolette; razzi da 107 e da 122 millimetri; granate d’artiglieria; submunizioni; mine anticarro e antiuomo; proietti VOG 17 FRAG e proietti VOG 25 FRAG; bossolame di diverso calibro. Il Contingente italiano a Kabul è inoltre impegnato nel processo di ricostruzione e, in tale ambito, sono stati realizzati in questi primi tre mesi di mandato opere di miglioria ad una delle più importanti sedi governative della Polizia di Kabul con fondi stanziati dal Ministero della Difesa e da vari donors italiani; pozzi artesiani; canali di irrigazione; un

ponte nella valle di Musahy e sono stati sistemati i manti di varie strade nelle zona di Char Asiab. Sono attualmente in fase di realizzazione due cliniche, opere di consolidamento e rifacimento di alvei di fiumi e torrenti, opere accessorie di completamento di una clinica gia completata e due campi sportivi polifunzionali. Ai progetti infrastrutturali si aggiungono, poi, quelli a impatto immediato: distribuzione di viveri, abiti, attrezzature didattiche, supporto medico e veterinario nelle zone rurali della periferia della capitale.


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ARRAMPICARE A KABUL

Gli istruttori del Centro Addestramento Alpino in Afghanistan Gli alpini che operano in Afghanistan, non si occupano solo di sicurezza e ricostruzione. E’ vero, riuscire a realizzare le condizioni affinché sia garantita la ripresa della vita socio-economica del Paese va di pari passo con i progetti voluti per dare nuovo impulso ad una nascente democrazia. Questo tra mille problemi e difficoltà legate alla presa di coscienza dell’importanza di dare agli afgani l’opportunità di camminare con le proprie gambe e provvedere in proprio alle loro necessità. Per far ciò, da tempo, sono stati avviati a Kabul corsi di formazione avanzata e di addestramento rivolti all’esercito locale, alla polizia di Kabul, a gruppi cinofili, a infermieri di ospedali, nonché l’informatizzazione di settori della pubblica amministrazione per una più efficace gestione della burocrazia. L’Afghanistan è un paese prevalentemente montuoso, con cime che arrivano sino ai 7.400 metri. Gli afgani hanno una conoscenza del proprio territorio assai profonda. Tuttavia, sono limitati nei movimenti dai cambiamenti climatici da una stagione all’altra. Per questo, gli alpini sono stati chiamati da tre anni a questa parte, a fare da istruttori su un terreno a loro congegnale: la montagna. A seconda degli avvicendamenti dati da turnazioni semestrali, gli istruttori di alpinismo provengo da vari reparti alpini italiani. In questi giorni d’inizio autunno, si sta svolgendo la prima fase di un corso sulle tecniche di ambientamento, movimento e combattimento in montagna, destinato a trenta militari dell’Afghan National Army, l’esercito afgano. La seconda, verrà effettuata in Italia, presso il 6° Reggimento Alpini di Brunico (BZ). L’obiettivo è quello di insegnare le basi necessarie per il movimento in montagna, le tecniche di arrampicata su una “palestra di roccia” artificiale, la discesa in corda doppia, i nodi, l’uso delle funi, la messa in sicurezza di un tratto pericoloso di itinerario

e il soccorso e trasporto di un ferito. Il sergente Emanuele Giannelli, nato ad Aosta trenta anni fa, è uno di questi istruttori d’alpinismo. Dopo un passato agonistico nella squadra nazionale di slittino su pista naturale del reparto attività sportive dell’esercito a Courmayeur e grazie alla solida esperienza maturata al Centro di Addestramento Alpino di Aosta, si trova adesso a Kabul ad istruire trenta colleghi dell’esercito afgano sulle tecniche di movimento in montagna.

del loro territorio li aiuta moltissimo, ma per i militari questo non è sufficiente. Per questo motivo, stiamo cercando di far loro apprendere le nozioni dell’alpinismo moderno. La base di partenza di questi ragazzi è una straordinaria motivazione e un coraggio da leoni nell’arrampicare. Come è iniziato l’addestramento? Dopo l’inquadramento iniziale sulle tematiche di sviluppo del corso, ci siamo concentrati sui nodi e i sistemi di legatura, sulla tecnica di arrampicata in mono-tiro e la discesa in corda doppia. Prima di passare alla fase pratica su parete naturale, stiamo sviluppando le prime lezioni su una palestra artificiale di roccia.

E le montagne in Afghanistan, come le descriverebbe? Il primo pensiero che mi è venuto in mente già dall’aereo che mi ha portato in volo a Kabul, è la maestosità. Guardandole dalle pendici, sembrano non finire mai. Mi ha colpito, poi, la diversità del loro aspetto da una stagione Sergente Giannelli, da quali basi parte il all’altra: aride d’estate, di un bianco fulgente d’inverno. gruppo d’allievi afgani? Questi militari dell’esercito afgano che stiamo Mi dica, oltre a questi corsi di formazione, istruendo in questi giorni, non hanno basi come possiamo sintetizzare il ruolo degli scientifiche sul movimento in montagna. Alpini nelle attività in favore della popolazione Hanno una cognizione empirica sull’andare afgana? in montagna, non certo sul cosiddetto Gli Alpini impegnati in ISAF (International movimento tattico. La minuziosa conoscenza Security Assistance Force) supportano il governo afgano nell’opera di ricostruzione e stabilizzazione del paese, a seguito di un lungo periodo di guerre e devastazioni. Sostanzialmente siamo impegnati in attività di sicurezza a favore delle istituzioni e della popolazione locale, con interventi nell’istruzione, nella sanità e, in generale, verso la popolazione di Kabul. Giuseppe GENOVESI


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GLI ALPINI NELLA GRANDE GUERRA

LA TRAGEDIA DELL’ORTIGARA Gilberto MARIMPIETRI Quest’anno cade il novantesimo anniversario della battaglia di Vittorio Veneto e dell’armistizio di Villa Giusti, atto conclusivo della Grande Guerra, almeno sul fronte italiano. Su Vittorio Veneto, ma in generale sul primo conflitto mondiale, hanno scritto pagine di grande rigore scientifico storici come Rochat, Pieri, Melograni. Riassumere queste tendenze storiografiche nello spazio di un articolo sarebbe del tutto irrealistico. Ci limiteremo, pertanto, a svolgere qualche considerazione, possibilmente non banale, sul ruolo svolto dagli alpini nel difficile fronte italiano, tra il Monte Nero, l’Ortigara e l’Adamello. Nella Grande guerra gli alpini, in virtù dell’impegno profuso in prima linea e per il fattore rischio rappresentato dall’alta quota, scrissero pagine importanti della loro storia, creando con le popolazioni civili una rete particolarmente tenace di solidarietà umana e patriottica: la tavola più popolare disegnata da Beltrame per la “Domenica del corriere”(dicembre 1916) rappresentava un alpino che, sotto la tormenta, a dorso di mulo, portava ai combattenti di prima linea i doni della patria per il Capodanno. I fatti d’arme sono tanti, ripercorrerli, anche sommariamente, richiederebbe uno spazio ben maggiore: ci sembra degna d’attenzione, almeno in questa cornice, la “Battaglia dell’ORTIGARA” (10 – 30 giugno 1917) nella quale valutazioni prettamente strategiche si andavano a sovrapporre a motivi di ordine psicologico e personale. Da una parte, si avvertiva, in maniera abbastanza palese, la pressione dei francesi che spingevano all’azione per compensare il crollo dell’alleato russo, dato ormai per imminente; dall’altra, il Comando Supremo italiano intendeva annullare, con un’offensiva a tutto campo, i vantaggi acquisiti dai nemici con la Strafexpedition. L’Ortigara rappresentava per gli alpini un osso

duro da conquistare. La linea nemica e le sue retrovie erano state rafforzate con poderosi trinceramenti e postazioni in caverna, erano stati predisposti «nidi» per le mitragliatrici, teleferiche per il trasporto di materiali, soprattutto l’intero settore era stato guarnito di abbondante artiglieria. Questi aspetti, già messi in luce da una relazione di Pecori Giraldi, non ebbero il giusto peso nella predisposizione del piano d’attacco che vide l’impiego di ben diciotto battaglioni alpini. La prima «spallata» ebbe inizio il 10 giugno con una preparazione d’artiglieria abbastanza prolungata, ma tutto sommato inefficace, complice soprattutto la presenza di una fitta nebbia frammista a piovaschi. L’assalto alle postazioni austriache, condotto con ardimento e con determinazione, si risolse in un mezzo disastro. Le parole del Faldella, che rievoca con drammaticità le diverse fasi della battaglia, riassumono la situazione di caos nella quale si trovarono ad operare le truppe alpine: «Prima di notte la dura realtà di una difesa invalicabile già aveva stroncato il meraviglioso slancio e, caduta la notte, il vallone dell’Agnelizza fu ben paragonabile ad un girone infernale […] Morti e feriti ancora non potuti soccorrere giacevano un po’ dappertutto, in mezzo al fango, sui pendii rocciosi, fra i radi cespugli di mughi». Sulla battaglia dell’Ortigara gli storici militari, a partire da Piero Pieri, hanno sottolineato gli errori commessi dai comandi, in particolare,

l’ostinazione di proseguire il giorno 11 l’attacco a quota 2105, lo stesso obiettivo contro il quale si erano slanciati i reparti il giorno precedente: la ripetizione dell’attacco, nelle stesse condizioni meteorologiche sfavorevoli, con i difensori vigili e ben organizzati, con truppe stanche e provate psicologicamente, non poteva che risolversi in una nuova, terribile ecatombe. Lo scontro dell’Ortigara, che si concluse soltanto il 30 di giugno con un pesante bilancio di perdite, è visto come una pagina di eroismo, un tragico mattatoio dove i soldati, e in particolare gli alpini, hanno offerto all’Italia il loro sangue e la loro giovinezza. Celebrare soltanto l’eroismo dei soldati caduti rischia, tuttavia, di fare ombra alla verità, nascondendo le colpe, le omissioni e l’imperizia dei comandi militari. Alcune riflessioni di Angelo Gatti, ufficiale di SM addetto al Comando Supremo, ci sembrano degne di nota e alquanto pertinenti, e adombrano già i motivi che porteranno alla disfatta di Caporetto: “Nessuno si preoccupa di ricercare le cause di quanto è accaduto. Chi l’attribuisce ad un uomo (il generale Mambretti, considerato uno iettatore!), chi alla poca preparazione dell’artiglieria. Io, più ci penso, più credo di vedere cose ben più profonde: la mancanza di una dottrina tattica nel nostro esercito, per quanto è la conduttura delle azioni, e lo sfasciamento del morale del soldato […]. Due anni di guerra sono trascorsi, ma non si è fatto nulla per formare una dottrina militare, che camminasse con i tempi e mano a mano mutasse, in modo da dare gli insegnamenti a volta a volta: né si è fatto nulla per far riposare l’animo dei soldati, per ritemprarli di mano in mano, per fare che non siano abbattuti, schiacciati dal tempo che passa. Manca nei capi – conclude amaramente il Gatti - la linea di condotta, strategica e tattica”.


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La Prima Guerra Mondiale nelle canzoni Davide ADACHER La canzone popolare ormai ha assunto un ruolo importante nell’analisi storiografica: essa è infatti una fonte che si integra perfettamente con i vari strumenti di comunicazione di massa. La canzone non è solo, banalmente, lo specchio di un’epoca. essa aiuta a comprendere come si sia formato il comune sentire legato ai vari avvenimenti, grazie al fatto che risulta mezzo di espressione di tendenze, visioni, gusti. Si è ormai superata la divisione categorica fra cultura “alta” e cultura “bassa”, cultura “popolare” e cultura “di massa”. La canzone, insomma, “comunica storia” allo stesso modo di una fotografia, di un filmato, di un ritaglio di giornale. La prima guerra mondiale è stato lo spunto per la nascita di decine di canzoni, sia coeve al conflitto, che postume. In esse troviamo retorica e trionfalismo e in antitesi protesta e dolore; linguaggio “alto” contrapposto a testi dialettali; autori anonimi e scrittori famosi… Tanti i temi sviluppati, che rievocano le battaglie, il riposo, la morte, la fatica, il patriottismo, la protesta, la nostalgia di casa. Varie sono le funzioni che le canzoni legate alla guerra svolgono: servono a creare coesione tra i commilitoni e tra i connazionali; producono ostilità nei confronti del nemico (a volte anche interno, come il “disfattista”); ribadiscono il rispetto nei confronti delle istituzioni; indicano la linea da seguire, quello che si deve o non si deve fare; fungono da megafono dei sentimenti, individuali o collettivi; riconfermano la simbologia legata ai ruoli maschili e femminili; riflettono i gruppi sociali; segnano le fasce d’età; sono la voce delle tendenze politiche; manifestano obbedienza; creano un’immagine di sé e degli altri; fissano la memoria della generazione. E da dire che vi è anche una canzone “anti” in cui alcune di queste tematiche sono in prospettiva rovesciate. In linea di massima, questa canzone riveste tre diversi compiti: di evasione, di solidarietà, di riaffermazione della propria identità. Nel primo caso essa aiuta il soldato a dimenticare dove si trova: lo distrae con una musica tranquilla, serena, e con testi adeguati. E’ il caso ad esempio di una parte della canzone “Il 29 luglio” in cui per fa l’amor di sera / ci vuol le ragazzette, / per far l’amor di sera / ci vuol le ragazzette. / Le ragazzette belle / l’amor non lo san fare / trum-lallà / larallalà, / e noi da bravi Alpini / glielo faremo fare, /

glielo farem sentire, / trum-lallà / larallalà, / stasera dopo cena prima d’andà a dormire. Tematica simile è sviluppata in ”Di qua, di là del Piave” dove ci sta un’osterìa, / là c’è da bere e da mangiare / ed un buon letto da riposar. (Per non parlare poi di “classici” quali “Quel mazzolin di fiori”, “Vinassa, vinassa”, “Mi son alpin”, e tante altre). Nella seconda tipologia rientrano quei motivi che servono per non sentirsi soli, per avere un conforto fraterno, anche legato allo spirito di corpo: in “Valore alpino”, ad esempio, i bravi alpini mostran la forza ed il coraggio / della lor salda gioventù. / Sono dell’Alpe i bei cadetti, / nella robusta giovinezza: / dai loro baldi e forti petti / spira un’indomita fierezza. Nel terzo caso si fanno rientrare quei testi che non trattano della guerra, ma che anzi rimandano alle tradizioni personali, al paese, alla storia privata, alla realtà quotidiana della normalità: con queste canzoni idealmente il soldato “torna a casa”. Filone fondamentale è però anche quello legato al “fatto”, alla battaglia, alla guerra nella sua complessità. Il conflitto viene visto come un “nuovo” risorgimento, per cui all’inizio ricorrono temi retoricamente, quanto anche entusiasticamente, votati alla riconquista delle terre irredente (ne sono esempi ritornelli come Gioia bella vo lontano / Dammi la mano, dimmi l’addio / Se ti nasce un figlio mio / Trento e Trieste portalo a baciar; oppure Sulle balze, sulle balze del Trentino / Hanno messo, hanno messo una bandiera: / L’hanno messa, l’hanno messa gialla e nera / Noi vogliamo, noi vogliamo il Tricolor / Andiamo in gondola, / a cospirar! / Sotto il ponte, sotto il ponte di Rialto / è passata, è passata una barchetta... / O Trieste, o Trieste benedetta, / Ti verremo, ti verremo a liberar! o ancora Per le spiaggie, per le rive di Trieste / suona e chiama di San Giusto la Campana, / l’ora suona, l’ora suona non lontana / che è più schiava non sarà. / Le ragazze di Trieste / cantan tutte con ardore: / O Italia, o Italia del mio cuore, / tu ci vieni a liberar!). Sin da questa fase iniziale si contrappongono testi (come ad esempio la celeberrima “Canzone del Piave”) in cui traspare l’entusiasmo interventista, ad altri di tutt’altro tenore, in cui la guerra è vista come “l’inutile strage” (Addio padre e madre addio, / che per la guerra mi tocca di partir, / ma che fu triste il mio destino, / che per l’Italia mi tocca di morir), oppure come un conflitto tragicamente ironico in cui nun senti / li sospiri e li lamenti / de la gente che

se scanna / per un matto che comanna, / che comanna e che s’ammazza / a vantaggio de la razza / (…) Fa la ninna, cocco bello, / finchè dura ‘sto macello, / fa la ninna, che domani / rivedremo li sovrani /che se scambieno la stima, / boni amichi come prima (“Ninna nanna della guerra” scritta da Trilussa). Man mano che il conflitto avanza, le località, le cime, i monti, divengono scenari di battaglie sempre più dure e ricche di sofferenza: anche qui le canzoni testimoniano lo stato d’animo dei protagonisti, sia in modo più retorico (Monte Grappa, tu sei la mia patria, / sovra te il nostro sole risplende, / a te mira che spera ed attende, / i fratelli che a guardia vi stan. / Contro a te già s’infranse il nemico, / che all’Italia tendeva lo sguardo: / non si passa un cotal baluardo, / affidato agli italici cuor.), che elegicamente malinconico, in cui si è consci del destino, ma non ci si ferma (Sulla strada del Monte Pasubio / Bom borombom./ Lenta sale una lunga colonna / Bom borombom. / L’è la marcia di chi non torna / di chi si ferma a morir lassù. / Ma gli Alpini non hanno paura / Bom borombom.), come ancora descrivendo in tono asciutto e compartecipe quanto accaduto (Spunta l’alba del 16 giugno, / comincia il fuoco l’artiglieria, / il Terzo Alpini è sulla via / Monte Nero a conquistar. / Monte Rosso e Monte Nero, / traditor della vita mia, / ho lasciato la casa mia /per venirti a conquistar. / Per venirti a conquistare / abbiam perduti tanti compagni / tutti giovani sui vent’anni / La sua vita non torna più. / Il colonnello che piangeva / a veder tanto macello: / - Fatti coraggio, Alpino bello, /che l’onor sarà per te! - ). La morte è incombente e può cogliere chiunque in qualunque momento: il ricordo dei commilitoni caduti ha generato forse le canzoni più intense (ad esempio “Il testamento del capitano”, “Ta pum”, “E’ morto un alpino”, “Soldato ignoto”, “Signore delle cime”). In modo più crudo la canzone popolare di protesta mostra “l’altro lato” della morte, seppur eroica: quello di chi resta senza un marito o un padre (E anche al mi’ marito tocca andare / a fa’ barriera contro l’invasore, / ma se va a fa’ la guerra e po’ ci more / rimango sola con quattro .Cara moglie, che tu non mi senti, / raccomando ai compagni vicini / di tenermi da conto i bambini, / ché io muoio col suo nome nel cuor). Le alterne fasi della guerra prendono di mira i capi, i generali, come Cadorna, il


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quale all’inizio manda a dire / che si trova là sui confini, / che ha bisogno degli alpini / per potersi avanzar. / Novantotto su coraggio / che le porte son bombardate / tra fucili e cannonate / il nemico cederà; in seguito però Maledetto sia Cadorna, / prepotente come d’un cane, / vuol tenere la terra degli altri / che i tedeschi sono i padron; quindi E a te, Cadorna, ‘un mancan l’accidenti / ché a Caporetto n’hai ammazzati tanti, / noi si patisce tutti questi pianti / e te, nato d’un cane, non li senti, / E ‘un me ne importa della tu’ vittoria (i testo prosegue con improperi verso i Savoia). La guerra infine è vinta: si festeggia e finalmente si torna a casa (Cara mamma vienmi incontro / vienmi incontro alla stazione / quando scendo dal vagone / voglio scendere in braccio a te). Le canzoni dei tempi della guerra vengono continuamente riproposte, tanto che alcune di esse rappresentano dei classici non solo per i cori, ma anche un po’ per tutti, facendo parte di una memoria collettiva (forse meno per le ultime generazioni). Esse sono ormai parte di un repertorio “tradizionale”.

Signore delle cime Dio del cielo Signore delle cime un nostro amico hai chiesto alla montagna Ma ti preghiamo su nel paradiso lascialo andare per le Tue montagne Santa Maria signora della neve copri col bianco soffice mantello il nostro amico il nostro fratello Su nel paradiso lascialo andare per le Tue montagne

Tra la fine degli anni ’50 e i ’60 la canzone “popolare” è stata riscoperta grazie all’impegno di persone come Italo Calvino come di altre, impegnate a far conoscere quei testi in cui era presente l’antimilitarismo, il pacifismo, la diserzione vista come segno di protesta. Questo impegno militante è stato presente in alcuni cantautori, per i quali la canzone è stato un mezzo per rivisitare polemicamente e demistificare la Grande Guerra (questo, è bene ricordarlo, anche sulla scia della storiografia e del cinema). Ad esempio, nel 1975 Claudio Lolli incide “Al milite ignoto” Morto in guerra nessuno sa come, / dopo averci lasciato la pelle / C’hai rimesso per sempre anche il nome.Tra i non molti a dedicarsi alla rivisitazione del primo conflitto, negli stessi anni troviamo Francesco De Gregori il quale in “Spad VII”, dedicata al pilota Francesco Baracca, ha saputo cogliere sia l’aspetto dell’ardore giovanile, che quello futurista (“La guerra come sola igiene del mondo”), che aveva spinto tanti ad offrirsi volontari: Non avremmo potuto invecchiare mai / Non dovevamo invecchiare mai /

Perché non eravamo nati per invecchiare mai. / (…) Una bestia di fuoco e velocità, cinque quintali di pura bellezza / un angelo giallo come una faina / (…) Ecco una bestia di fuoco e areodinamicità / Ecco cinque quintali di bellezza. Più recentemente, nel 2005, il cantautore Massimo Bubola ha reinterpretato in un concept album intitolato “Quel lungo treno” alcuni “classici” (tra cui “Era una notte che pioveva”, “Il disertore”, “Monte Canino”) dedicandoli idealmente a due prozii morti nella prima guerra. In conclusione non si può che riaffermare l’importanza della canzone di trasmettere memoria, di produrre senso storico comune, di raccontare la Storia; per noi essa è utile per (ri)considerare i limiti segnati dalla tradizione e dal contesto storico in cui un testo è stato prodotto, riflettendo sui significati che per suo tramite sono stati trasmessi, sul conformismo, sul conflitto stesso e sui mutamenti che questo ha prodotto nelle coscienze e nel vivere quotidiano. Davide ADACHER

Vorrei Vorrei andarmene in una giornata di sole, di cielo azzurro e con l’aria mite di primavera; Vorrei che le persone presenti al mio ultimo saluto non fossero tristi ma gaie e serene, con l’animo in pace con se stessi e con gli altri, mondo, almeno per il momento, di ogni odio e rancore, invidia e gelosia; Vorrei che tutto avesse luogo secondo i riti di Santa Romana Chiesa e, in parallelo, secondo la liturgia militare; Vorrei sentire lo squillo di tromba dell’ “attenti” e che fosse letta, da un giovane militare, la “preghiera del soldato”; Vorrei ascoltare ancora una volta le note del “silenzio” che mi hanno accompagnato per buona parte della mia vita, e le mie musiche preferite; Vorrei scusarmi con tutti coloro ai quali, anche involontariamente, ho procurato infelicità e con quelli ai quali non ho saputo ho potuto dare di più; Vorrei che, finalmente, qualcuno che ha il potere e il dovere di farlo, si renda conto della necessità di avere un Esercito efficiente; Vorrei che il Paese della mia fanciullezza e della mia adolescenza, continui nel processo, già avviato del suo sviluppo culturale, sociale ed economico, nell’ordine e nella legalità, investendo soprattutto sui giovani, per tornare ad essere l’isola felice di un tempo; Vorrei essere ricordato come un uomo che ha sempre cercato di mantenere intatta la sua dignità; Vorrei che tutti vivessero a lungo esenti da ogni sofferenza fisica e spirituale; So, purtroppo, che il “vorrei” è un condizionale. GENERALE GOFFREDO CANINO (già Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, morto a Parigi il 3 aprile 2008) Fonte: Rivista Militare - Marzo Aprile 2008


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Ferrovieri con le stellette Colonnello g(fv) sSM Mario Pietrangeli - Ministero Affari Esteri UAMA

Viaggiare in treno, per lavoro o per svago, significa viaggiare più sicuri e rilassati in ogni stagione dell’anno e con qualsiasi tempo, leggendo un libro, riposando o semplicemente godendosi il panorama. Così prima o poi, guardando dal finestrino, a qualcuno sarà forse capitato di notare, tra i tanti ferrovieri indaffarati, anche ragazzi in uniforme militare alla guida di un treno, oppure sul marciapiede a dirigere la partenza o a controllare l’impianto frenante. Lungo le linee, accade anche di osservare militari che stanno montando un ponte ferroviario o che lavorano per ripristinare un tratto di binario. Sono giovani che, al momento di fare domanda per volontario dell’esercito , hanno scelto la specialità Genio Ferrovieri.. La specialità del Genio Ferrovieri è nata nel Risorgimento, ancor prima dell’unità d’Italia, durante la guerra di Crimea del 1855, sotto la direzione dell’allora Maggiore Cadorna, truppe del genio dell’Esercito Sardo costruirono una linea ferroviaria lunga 12 km, dallo scalo marittimo di Balakdowa (tetro della famosa “carica dei 600”) alla zona di Kamara, allo scopo di consentire l’afflusso dei rifornimenti per l’alimentazione delle ope-

razioni. Dopo centoventi anni di gloriose imprese e di trasformazioni – nel 1975 – il Reggimento Genio Ferrovieri assunse l’attuale configurazione che comprende un Comando di Reggimento e il 1° Battaglione, di stanza a Castel Maggiore di Bologna, ed il 2° Battaglione che ha sede a Ozzano dell’Emilia (Bologna) a 9 km dalla sede centrale. Il 1° Battaglione svolge la propria attività nel campo delle costruzioni di ponti metallici scomponibili e dell’armamento. E’ cioè un reparto di “pronto soccorso ferroviario”, che interviene per il tempestivo ripristino delle linee, dei ponti o dei cavalcavia interrotti, per evitare soluzioni di continuità sulla rete nazionale dovute ad incidenti, a disastri naturali o anche soltanto ad esigenze di manutenzione. Uno dei tanti lavori pontieristici naziona-

li del 1° Battaglione, il gittamento di un ponte S.K.B. ad unica campata di 120 mt sul fiume Toce a Verbania – nel 1978 – viene ancora oggi ricordato come un vero record internazionale. Da questa “storica” impresa, condotta in aperta campagna, lontana dalla caserma, nacque anche l’idea di un’attrezzatura unica nel suo genere: il Convoglio di Pronto Intervento del Genio Ferrovieri. Si tratta di una vera e propria “caserma viaggiante” sui binari, progettata e realizzata tra il 1981 e il 1988 con solo personale militare, ristrutturando 14 vecchie carrozze delle Ferrovie dello Stato ormai pronte per la demolizione. Questo treno davvero speciale è in grado di trasportare e alloggiare 98 uomini e consente ad una intera compagnia di genieri di intervenire – entro solo 6 ore – per ripristinare la viabilità ferroviaria in qualsiasi momento e in qualsiasi punto dell’intera rete ferroviaria. Il Convoglio di Pronto Intervento è inoltre un attrezzatissimo Posto Comando, che può svolgere molteplici funzioni anche per il soccorso in caso di pubbliche calamità: è infatti dotato di moderne apparecchiature per il supporto dell’attività decisionale (apparati, multimedia,


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computers, ecc.) e si avvale di un efficientissimo “Centro Trasmissioni”, che gli consente di collegarsi, nelle più diverse situazioni, con i comandi militari di ogni livello e con i vari organi preposti alla protezione civile, impiegando il proprio centralino telefonico, le telescriventi, i ponti radio e le varie ricetrasmittenti. Inoltre sono da evidenziare le missioni svolte dal Reggimento in Bosnia dal 1996 al 1999, in Kossovo (dove è stato impiegato anche personale del Battaglione Esercizio soprattutto nela conduzione di treni interetnici) dal 1999 al 2003, in Albania nel 2004 e in Eritrea (in questa missione ha, nel 2004, solo progettato il ripristino della rete nazionale che si spera avverrà in futuro). Alcuni anni fa, il 1° Battaglione ha an-

che costituito una nuova unità di lavoro, specializzata nella costruzione/manutenzione/risanamento di linee ferroviarie, dotata delle più avanzate tecnologie nel settore e permanentemente utilizzata nel Compartimento ferroviario di Bologna. Mentre il 1° Battaglione si occupa delle linee, cioè della parte “fissa” delle ferrovie, il 2° Battaglione è quello destinato a muovere i treni, in tempo di guerra, in quelle aree “calde” dove non è possibile affidare tale compito ai ferrovieri civili. In tempo di pace, il Battaglione dà il suo personale in concorso alle FS sulla rete italiana (negli incarichi di capi stazione, macchinisti e manovratori-deviatori) per completarne l’addestramento o alleviare situazioni di congestione, durante i grandi spostamenti per le ferie estive e le festività

REGGIMENTO GENIO FERROVIERI fonte: www.difesa.it

Il Reggimento Genio Ferrovieri, mantiene uno stretto rapporto di collaborazione con le Ferrovie, anche per fronteggiare danni alla rete ferroviaria italiana a seguito di eventi calamitosi. Il Reggimento addestra il suo personale ed è incaricato di eseguire la manutenzione ordinaria e straordinaria dei raccordi ferroviari militari; provvede al montaggio di piani caricatori militari scomponibili per incrementare le capacità di carico e scarico delle stazioni ferroviarie; costruisce ponti metallici stradali e ferroviari; invia in rinforzo alle Ferrovie Volontari capistazione, macchinisti, deviatori-manovratori ed operai all’armamento. Il Reggimento, che dipende per l’impiego ferroviario nazionale dall’Ispettorato Logistico dell’Esercito e dal COMFOTER Genio per quello “Fuori Area” (attività internazionale), è alimentato da personale volontario e risulta strutturato su un Battaglione Armamento e Ponti ed un Battaglione Esercizio.

natalizie e pasquali, oppure nei momenti di crisi dovute a scioperi o a temporanee carenze organiche. Tale concorso di personale all’Ente Ferrovie dello Stato ha superato, nel 2007, le 10.000 giornate/uomo ed ha garantito la continuità dei trasporti essenziali, nazionali ed internazionali. I giovani ferrovieri in divisa, al termine del servizio vengono assunti – su domanda – dalla Soc FS, salvo che non abbiano preferito rimanere nell’Esercito. Il Genio Ferrovieri è contemporaneamente un reparto operativo di pronto intervento e scuola di alto livello, che svolge una funzione di grande valore sociale, inserendo annualmente nel mondo del lavoro circa 100 giovani di qualificatissima preparazione professionale.

LE MISSIONI fonte: www.difesa.it In questi ultimi anni il Reggimento è stato impiegato in attività operative, sia in Patria che all’estero. Le capacità professionali del reparto, unica fra gli eserciti occidentali, ha fatto si che nelle recenti misioni balcaniche, il Reggimento divenisse una preziosissima pedina specialistica sempre disponibile per i contingenti NATO dislocati sia i Bosnia che in Kosovo. Una ulteriore missione tecnica ha visto personale del reggimento impegnato nell’esecuzione di una ricognizione tecnico-militare alla linea ferroviaria a scartamento ridotto MASSAUA-ASMARA-AGORDAT in ERITREA, allo scopo di valutare i materiali necessari al ripristino dell’efficienza e riaprire il traffico ferroviario. Le attività svolte in Patria sono molteplici e fra queste vogliamo ricordare, nel recente passato l’impiego di macchinisti e capitreno nell’operazione “VESPRI SICILIANI” per il trasporto da Palermo a Notarbartolo dei militari impegnati in concorso con le forze di polizia, l’ esecuzione della prima fase di montaggio di un ponte ferroviario tipo “SE” di 60 mt. e di 5 pile metalliche sulla linea ATTIGLIANO-VITERBO, l’impiego di Volontari in concorso alle FS per un totale di diverse decine di migliaia di giornate/uomo, costruzione di un ponte ferroviario di 230 m. al km. 7+300 della linea ferroviaria PIACENZA - CREMONA, esecuzione della seconda fase di montaggio di un ponte ferroviario tipo “SE” di 60 mt. e di 5 pile metalliche sulla linea ATTIGLIANO-VITERBO.


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Le Cannizze

rivolta contadina del 1929 La politica fiscale di un Governo e di un’Amministrazione locale spesso suscita malumore tra i cittadini soggetti all’imposizione. La Storia ricorda numerosi casi di ribellione a nuove imposte o all’aggravio di vecchi balzelli. La Rivoluzione americana trovò il suo “casus belli” nei dazi sulle merci dirette verso la madre patria. Più modestamente, ma per analoghi motivi, scoppiò la rivolta popolare nell’autunno del 1929 a Sulmona. In quel periodo e per lungo tempo le finanze comunali erano sostenute da due imposte. Il dazio (imposta indiretta) ed il focatico (imposta sul nucleo famigliare- imposta diretta). Il dazio si pagava sul valore di una qualsiasi merce che entrasse nel Comune attraverso la cinta daziaria. Alla fine dell’estate del 1929 l’economia italiana, ed ancor più quella di Sulmona, non era delle più rosee. I contadini, che dalla terra ricavavano a stento il necessario per il sostentamento della famiglia, dovevano pagare onerosi balzelli per quei pochi prodotti che riuscivano a portare al mercato. La configurazione architettonica della città, che consentiva di raggiungere la piazza del Mercato solo attraverso le porte medioevali, non permetteva di poter evadere al pagamento del dazio. Nel 1929, poi, il Comune diede alla ditta Buonaccorsi di Roma la concessione all’accertamento ed alla riscossione del dazio. A rappresentare la ditta concessionaria, in qualità di direttore, era stato inviato un tal signor Ottorino Zucchelli. Questi, per ordini ricevuti o per essere più realista del re, ordinò di applicare le disposizioni senza alcuna indulgenza. Per i contadini della Valle Peligna la situazione era insostenibile e per questo si riunirono in un comitato che chiese udienza al commissario prefettizio, dal quale fu ricevuto. L’incontro si svolse in modo soddisfacente e il commissario si mostrò disponibile ad un alleggerimento delle tasse. Alle parole, però, non seguirono i fatti, infatti la sera stessa le donne, che dai paesi

limitrofi portavano le Canizze al mercato, appresero dell’esistenza di un nuovo balzello sulle “cannizze”. Le Cannizze erano piccoli fasci di legna usati per far fuoco in casa ed erano state, fino ad allora, esente da dazi. Tale esenzione era dovuta a due motivi: - la quantità era talmente limitata da essere trasportata dalle donne sulla testa o, come nel dipinto di Teofilo Patini in “Bestie da soma”, sulle spalle; - la legna era raccolta nel sottobosco, le donne facevano opera di pulizia del bosco e in tal modo impedivano gli incendi. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il 2 ottobre, di mattina presto, un gruppo di contadini armati di zappe, forconi e bastoni si avviarono, decisi a risolvere la situazione,

verso porta Pacentrana. Qui si trovava una delle garitte di legno che ospitavano i daziari. La folla inferocita, decisa a farsi giustizia da sola, rimosse la garitta scaraventandola lungo la discesa, sulle sponde del fiume Vella. La protesta non si spense, in rapida sequenza, la folla distrusse le garitte di porta Iapasseri e quella di S.Panfilo. Da questa garitta i gabellieri controllavano le

di Felice Gentile

merci che venivano in città dalla stazione, ma soprattutto quelle che arrivavano dai Comuni di Pratola e di Popoli. Da questi Comuni della Conca peligna erano partite le sommosse operaie che seguirono la fine della guerra. A queste sommosse Mussolini faceva riferimento nel discorso del 22 agosto del 1923 dal balcone di palazzo Sardi quando parlava di pacificazione e fascistizazione delle genti peligne. Torniamo alla sommossa del 1929, dopo aver distrutto le garitte, l’obbiettivo divenne il commissario prefettizio. Questi, nonostante godesse della protezione di un nucleo di agenti delle forze dell’ordine, fu trascinato alla stazione ferroviaria e fatto salire a forza sul treno per L’Aquila. Il commissario uscì indenne dai tafferugli, il direttore del dazio sig. Ottorino Zucchelli, invece, fu ridotto in mutande. La rivolta duro lo spazio di un mattino, infatti alle undici il corteo si sciolse, ma furono arrestate ben 400 persone. E’ evidente che le autorità approfittarono della situazione per arrestare anche un numero elevato di uomini e donne ostili al regime fascista. Di questi 400 arrestati solo 20 furono condannati per incitamento alla rivolta. Il regime ignorò i moti contadini, ma censurò qualsiasi notizia riguardanti questa “ sommossa inesistente. Per le forze dell’ordine, che la dovettero necessariamente registrare, essa fu ridotta ad una scazzottata tra contadini e gabellieri. Un gabelliere avrebbe importunato una prosperosa contadina ed i parenti della giovine avrebbero prima minacciato gli agenti daziari e poi erono passati alle maniere forti. I moti di Sulmona ignorati in Patria ebbero un’eco in Francia, il giornale dei comunisti L’Humanitè ne diede un ampio resoconto. La manifestazione ebbe due conseguenze. La prima positiva, infatti le garitte e le cinte daziarie furono soppresse. L’altra conseguenza fu assai spiacevole, il regime prese di mira Sulmona e ritirò l’appoggio all’istituzione della Provincia del “Centro Abruzzo”


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QUARANTENNALE ALL’ACCADEMIA MILITARE: 1968 – 2008 150° CORSO “MONTELLO”

Ricordare gli eventi passati significa avere una grande fiducia nel futuro. Nella data anniversaria dell’ingresso in Accademia, il 22 ottobre 1968, di quello che andò a chiamarsi 150° Corso Allievi Ufficiali, il celebrarne il quarantennale, il 22 ottobre 2008, sottolinea la volontà di ripercorre le tappe di una esistenza che per tutti noi, si può dire che è stata spesa bene e che ci da una ulteriore spinta ad affrontare quel segmento, la terza età, da tutti temuto da molti vissuto male da tanti non accettato. Una spinta che ci da energie per vivere questo segmento con un senso di orgoglio di seminato bene, di vedere molti frutti di questa semina, di aver commesso senza colpa qualche errore, di poter vivere serenamente giorni in cui il rimpianto, il rancore, la mestizia, il grigiore sono assenti e lontani. Celebrare il quarantennale non significa solo vedere con gli occhi del giovane ventenne che si affacciava alla vita intraprendendo una carriera irta di pericoli, di incognite, scomodo, spesso non compresa, certamente poco appetibile in relazione a quello che chiede, il compagno di camerata, di plotone, di compagnia di corso; significa rivivere momenti indimenticabili, ricreare una atmosfera che si pensava ormai caduta definitivamente nell’oblio, gioire di episodi che il ricordo tramanda come insignificanti ma che ormai assumono valori inestimabili; significa constatare che nonostante tutte le traversie che la vita ci ha imposto, le sofferenze ed i dolori, siamo rimasti nell’animo quei ventenni un pò guasconi, spensierati, sempre un pochino fuori le righe agli occhi dei custodi delle varie ortodossie con le quali siamo venuti a contatto, ma sempre convinti che quello che andavamo facendo doveva essere fatto, con semplicità e coerenza, senza fronzoli ed orpelli. Erano gli anni della grande contestazione giovanile, la generazione che aveva fatto la seconda guerra mondiale, stava lasciando il posto ai cosiddetti “giovani” che tutto volevano cambiare e innovare, era la “contestazione”. Andare in Accademia, ad intraprendere la carriera militare era fuori da ogni scelta, in molti la vedevano assurda, significava imbarcarsi in avventure da “anciens regime”, partecipare a scelte involutive, repressive, autoritarie. Ed infatti il numero dei posti disponibili non fu coperto, e noi ne ricevemmo indirettamente un grande vantaggio. Tutto il quadro permanente era per noi, nonostante la faccia severa e gli atteggiamenti precisi e formali, subito capimmo che ci volevano bene e che il loro mondo ruotava intorno a noi. Il nostro comandante di Battaglione subito impostò la sua azione al tratto, alla serenità, al fare più che all’apparire e ci forgiò senza traumi, senza scossoni, in una evoluzione così efficace che divenimmo militari ed ufficiali senza

Massimo Coltrinari

accorgersi e che fu la base su cui costruimmo le nostre vicende professionali Ci permisero molto. Non è il caso di andare ad elencare tutte queste piccole concessioni, che facevano sgranare gli occhi ai vecchi sottufficiali istruttori, tutto con sei file di nastrini conquistati sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale. Una per tutte: il distintivo di corso, che proprio con il 150° fu introdotto a significare l’appartenenza ad un gruppo, segno indelebile di valori propri condivisi. La cosa non fu facile e l’iter abbastanza ponderato, tanto che lo portammo, tra gli altri, nel risvolto della giacca. Noi scegliemmo la Nike, un segno classico che tutto sommato ci fu di buon auspicio e che ancora oggi portiamo sulla divisa. La Nike, la Vittoria, in quel 1968 si celebrava il 50° anniversario della vittoria della Prima Guerra Mondiale.

Siamo molto legati a questa data. I nostri Padri compirono le gesta che suggellarono, tra sacrifici e lutti, il compimento del Risorgimento Nazionale, dell’Unità della Nazione e della saldezza dei valori patri. Ci sentimmo subito depositari ed eredi di questo assunto. Il Corso avviava i suoi primi passi quando si celebravano i cinquant’anni della Vittoria, e noi seguimmo, con interesse ed orgoglio le manifestazioni e le cerimonie molti degli oratori, ancora il ricordo è presente, ci indicavano come coloro che dovevano raccogliere la eredità di questi avvenimenti, viverne i significati e custodirla. Ora che il tempo ha disposto che siamo noi a dover indirizzarci ai giovani, con serenità d’animo siamo consci che alla generazioni offriamo quanto avuto dai Padri. In Italia, ancorché nelle debolezze del quotidiano, si celebrerà i 90 anni della Vittoria del 1918. Molti tralasceranno l’approfondimento della battaglia di Vittorio Veneto, che rimane ed è una delle battaglie più significative professionalmente per concezione tattica, esecuzione ed attuazione di tutta la Storia recente dell’Esercito Italiano. La sella di Fadalto, li dove riuscirono i nostri Padri a dividere le forze austriache di Pianura da quelle di Montagna, rappresenta un momento professionale e di riferimento costante, il punto culminate da cui poi discende il successo la vittoria, il buon lavoro fatto. Questi sono i nostri riferimenti. Noi del 150° Corso abbiamo l’ala protettrice delle grandi realizzazioni, delle grandi battaglie vinte, che hanno inciso profondamente non solo nella storia d’Italia, ma anche il quella Europea. Oggi che il nostro impegno è sempre più pressante in operazioni di peacekeeping che cambiano nei loro approcci, nei loro assetti, nelle loro esecuzioni con una velocità impressionante, noi abbiamo questi riverberi di vittoria, che ci aiutano a pensare di saper di poter conseguire il successo. Questo ottimismo che discende dalle grandi cose fatte, non è vanagloria. Oggi ci permette di festeggiare i nostri 40 anni dall’ingresso in Accademia con gioia e partecipazione, nel nostro domani deve essere, e lo vogliamo ribadire, una approccio sereno e solare al nostro futuro. Molti di noi hanno già iniziato questa avventura in borghese che chiamano pensione; qualcuno ancora indossa la divisa, ma i margini si stanno restringendo. Insieme dobbiamo far passare un messaggio di positività a coloro che incontreremo in Accademia e che stanno iniziando il percorso da noi già fatto, ma non solo a loro ma a tutti coloro che entrano nella nostra sfera di conoscenza, di affetti, di professionalità, di amicizia. Siamo nati in anni turbolenti ma significativi: abbiamo navigato da soli, molti dei quali sott’acqua invisibile ma più pericolosi.


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PENSIONI PRIVILEGIATE SENZA DECADENZA Per malattie insorte dopo il ritiro

Il giorno 5 ottobre 2008

PAOLO SOLINI

(Fonte: IL SOLE 24 ORE a firma di Enrico Marro) Il termine di decadenza per la domanda di pensione privilegiata deve decorrere dal momento in cui si manifesta la malattia, non da quello della cessazione dal servizio. E’ quanto tabilisce la Corte Costituzionale con la sentenza 323/08. La pronuncia dichiara l’illegittimità dell’articolo 169 del Dpr 29 dicembre 1973, n. 1092, nella parte in cui non prevede che la decadenza quinquennale della domanda non decorra dalla manifestazione della malattia, quando questa insorge cinque anni dopo la cessazione dal servizio. Il caso riguarda un capitano di corvetta della Marina Militare, cessato dal servizio il 10 giugno 1992. Nel maggio 1998 all’uomo è stato diagnosticato un mesotelioma pleurico dovuto alla prolungata esposizione ad amianto subita nel corso del servizio in Marina, dal 1951 al 1992. L’ex militare è poi deceduto il 28 aprile 1999. Ma la domanda di pensione privilegiata di reversibilità è stata respinta dal Ministero della Difesa, proprio in virtù dell’articolo 169 del Dpr 1092/73: sono infatti trascorsi più di cinque anni tra la presentazione dell’istanza e la cessazione dal servizio in Marina. La questione di legittimità, sollevata dalla Corte dei Conti (sezione della Liguria), è stata dichiarata fondata. L’articolo 169 del Dpr 1092/73, si legge nella sentenza della Consulta, “comprime del tutto ingiustificatamente il diritto alla pensione privilegiata dei lavoratori per i quali l’insorgenza della manifestazione morbosa, della quale sia accertata la dipendenza dal servizio, sia successiva” alla cessazione del servizio. Le attuali conoscenze mediche, spiega la Corte Costituzionale, hanno infatti messo in luce l’esistenza di malattie in cui, fra la causa della patologia e la manifestazione, intercorre un lungo periodo di latenza senza sintomi: è il caso dell’esposizione all’amianto.

ci ha lasciato A nome di tutti i soci di Vox Militiæ partecipiamo al dolore della famiglia per la perdita del caro Paolo. Paolo era un grande collaboratore della nostra Associazione e fautore convinto del rinnovamento della veste tipografica del giornale Vox Militiæ; ascoltando i suoi suggerimenti abbiamo iniziato il nuovo cammino. Era solito dire: «VOX MILITIÆ non deve mai perdere in qualità». Grazie Paolo, terremo presenti i tuoi consigli, e ci mancherà la tua rubrica sullʼantico Egitto, ma soprattutto la tua compagnia.

Partecipiamo al dolore del socio Giuseppe Iorio e dei suoi familiari per la perdita della cara mamma

Iolanda Quattrociocchi

VOX MILITIAE

L’Associazione Culturale VOX MILITIAE si propone di:

Catalizzare le persone che condividono i Valori della Società Militare;

Diffondere la cultura e il ruolo dei militari nella Nazione che cambia;

Condividere momenti di vita (Solidaristico-Ricreativo) con persone che hanno identiche motivazioni;

Fornire ai soci assistenza e consulenza giuridica e amministrativa.

La partecipazione è aperta a tutti coloro che vogliono far sentire la loro voce. Gli articoli investono la diretta responsabilità degli autori e ne rispecchiano le idee personali, inoltre devono essere esenti da vincoli editoriali. Di quanto scritto da altri o di quanto riportato da organi di informazione occorre citare la fonte. La redazione si riserva di sintetizzare gli scritti in relazione agli spazi disponibili; i testi non pubblicati non verranno restituiti. Contattateci tramite telefono: 320.1108036 e-mail: acvm@libero.it.

DIRETTORE GENERALE Raffaele Suffoletta

ASSOCIAZIONE CULTURALE

VOX MILITIAE QUOTA ASSOCIATIVA ANNO 2008 € 25,00 CI SI ASSOCIA INVIANDO DOMANDA, CORREDATA DEI DATI ANAGRAFICI, A: ASSOCIAZIONE CULTURALE VOX MILITIAE Via Puglia, 18 – 67100 L’AQUILA Il versamento della quota associativa per i nuovi soci ed il rinnovo della tessera per gli associati può essere effettuato sul C/C Bancario n. 104934 intestato a:

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Stampato il 20 ottobre 2008 Spedito il 27 ottobre 2008


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