Anno 2008 n 2

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Spedizione in A.P. – 45% art. 2 comma 20/b L.662/96 DCO/DC Abruzzo Pescara – ROC 9312

V O X M I L I T IA E Anno VII – N° 2

-C A V E N D O

T U T U S

Luglio 2008

1861 – 2011: CELEBRAZIONI DEL CENTOCINQUANTESIMO DELL’UNITÀ NAZIONALE Da alcuni anni l’ Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea e l’Associazione Vox Militiae si sono coordinati con lo scopo di arrivare alle celebrazioni del centocinquantesimo dell’unità nazionale attraverso un progetto che non sia solamente celebrativo ma costituisca l’occasione per un bilancio dell’intero processo unitario nonché un’apertura verso il futuro. In questa prospettiva ci sembra fondamentale l’idea storiografica dei “due Risorgimenti”, cioè la continuità tra il processo di costituzione nazionale e la ricostruzione resistenziale, secondo una prospettiva più volte riproposta dagli ultimi presidenti della Repubblica. Ecco, pertanto, la scelta di cominciare il percorso dalla relazione del generale Massimo Coltrinari, vicedirettore dell’Istituto Superiore di Studi Militari del Centro Alti Studi di Difesa e direttore della rivista SECONDO RISORGIMENTO. Nell’occasione è nostra intenzione coinvolgere intellettuali, associazioni ed enti interessati all’insieme del progetto. “Dal primo al secondo risorgimento, gli italiani hanno pietra dopo pietra, costruito la loro nazione e plasmato lo Stato, secondo l’idea di nazione che essi avevano, spesso trovandosi a discutere, spesso lottando per progetti diversi. Ciò che, oggi, stupisce è la dimenticanza, o meglio, il disinteresse degli eredi, al tema delle questioni unitarie; molto probabilmente perché gli italiani ancora non si sono pacificati con il loro passato più recente” (*). A pagina 3 abstract della relazione del generale Coltrinari. (*) Dalla Rivista: “il secondo Risorgimento” in cronache a cura di Fabiana Galassi.

1861 – 2011: 150 anni dell’ Unità d’Italia.

EDITORIALE

I LUOGHI DELLA MEMORIA

CEFALONIA Raffaele SUFFOLETTA Apriamo il giornale con la presentazione di un progetto elaborato in coordinamento con l’Istituto Abruzzese di Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea per arrivare a celebrare i 150 anni dell’Unità d’ Italia, non con un solo evento, ma attraverso un percorso aperto a tutte le Istituzioni e realtà sociali che con noi vogliono condividere l’idea di festeggiare una ricorrenza mettendo ognuno un tassello nel complesso mosaico che rappresenta la nostra Patria. L’articolo a pagina 3 del generale Massimo Coltrinari focalizza le tappe fondamentali del processo unitario nazionale. Non poteva mancare il consueto spazio dedicato alle Missioni all’estero che vedono impegnate le nostre le Forze Armate. L’approfondimento, in questo numero, è dedicato alla Missione ISAF in Afghanistan in coincidenza con l’impiego in quel Paese del 9° reggimento alpini “Aquila” di stanza nella nostra città. Nella sezione storica proseguiamo con le testimonianze dei reduci quale attestazione del loro sacrificio. In questo numero presentiamo il libro delle memorie di Vittorio ZINGARELLI, decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare, con un titolo significativo “Storia di una generazione tradita e sconfitta” e la lettera del Sottotenente Giovanni DE FILIPPO, scritta il 25 dicembre 1943, dal campo di prigionia in Egitto. La recensione di una pubblicazione uscita di recente per l’editore Carocci, “Criminali di guerra in libertà” di Filippo Focardi ci aiuta a capire le motivazioni per cui gli eccidi perpetrati dai tedeschi, con fredda determinazione, dopo l’armistizio sono rimasti impuniti. L’autore concentra l’attenzione sugli accordi segreti tra l’Italia e la Repubblica Federale Tedesca. Sull’argomento una preziosa testimonianza del Prof. Ilio DI IORIO, insegnante e preside del liceo classico di Sulmona, ci racconta la sua avventura quando prigioniero di guerra in Albania, assiste all’uccisione, a freddo, di un commilitone che per fame aveva barattato una coperta di lana. Il tenente che dette l’ordine, “biondo e di gentile aspetto”,era KURT WALDHEIM; morto il 14 giugno 2007, a 88 anni, onorato come “ un grande combattente per la beltà e la pace nel mondo “da W. Schuessel. Fu Presidente della Repubblica austriaca dal 1986 al 1992, ma prima era stato Segretario generale dell’ ONU dal 1972 al 1981. Per la cronaca, nel riferire sui raduni degli alpini a Bassano del Grappa (81°) e dei bersaglieri (56°) a Pordenone, non possiamo non rilevare la grande partecipazione della popolazione, sindaci in testa, a tali manifestazioni, evidenziata anche nelle celebrazioni per la ricorrenza degli anniversari della nascita delle Forze Armate e Corpi dello Stato a testimonianza della crescente attenzione della popolazione ai problemi delle Forze Armate e del nuovo ruolo che esercitano nella politica estera italiana. Tra le notizie dell’ ultima pagina ricordiamo la figura di un generale – frate, padre Gianfranco Maria CHITI, che, congedato per raggiunti limiti di età, ha abbracciato la vita monastica: un percorso di vita missionaria che non si interrompeva ma che continuava, la missione del militare prima, la missione del francescano poi.

“SE VOLETE ANDARE NEI LUOGHI DOVE È NATA LA NOSTRA REPUBBLICA, VENITE DOVE CADDERO I NOSTRI GIOVANI, OVUNQUE È UN MORTO ITALIANO PER RISCATTARE LA DIGNITÀ E LA LIBERTÀ, ANDATE LÌ PERCHÉ LÌ È NATA LA NOSTRA REPUBBLICA”. PIERO CALAMANDREI Umberto DANTE, Raffaele SUFFOLETTA Dal 1 al 5 maggio 2008 si è svolto il “viaggio della memoria” a Cefalonia organizzato dall’Istituto Abruzzese di Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea, dall’Associazione Nazionale Ufficiali Provenienti dal Servizio Attivo (ANUPSA) – Gruppo di L’Aquila e dall’ Associazione Culturale Vox Militiae, per ricordare i combattenti italiani ivi caduti. Dal loro sacrificio, unitamente a quello di tanti altri caduti per opporsi agli attacchi tedeschi, in Italia ed all’Estero, nacque l’Italia di oggi Libera e indipendente. Per tutti i partecipanti il nome di Cefalonia è sempre stato un richiamo al Dovere ed ai Valori della Militarità. Tanto che da quattro anni, i sodalizi che hanno aderito all’organizzazione, hanno istituito un premio annuale denominato “Premio Cefalonia” che viene attribuito al “militare” o al “reparto” distintosi nell’assolvimento del proprio compito. Anche se la vicenda era ben nota a tutti i partecipanti e poteva rappresentare una normale commemorazione così non è stato. Infatti, già con l’avvicinarsi all’isola, la prima vista delle coste di Cefalonia ha suscitato apprensione ed emozione in tutti, sensazioni che sono andati crescendo fino a rompere in viva commozione davanti al monumento ai caduti.

Sarebbe incompleto il resoconto del nostro viaggio senza una riflessione in merito al contrasto tra il nostro coinvolgimento e la situazione trovata in loco. A Cefalonia sono numerosi e strazianti i luoghi degli eccidi, ma dovunque mancano segni di memoria e di ricordo. Oppure, a volte, si tratta di segnali di desolante povertà: mucchi di pietre o piccole croci di compensato. La celebre “casetta rossa”, testimone delle ultime ore di vita di tanti ufficiali e del generale Gandin, non è altro che una casa privata ricostruita in luogo dell’originale, demolita da un terremoto. Quanto al museo, si tratta di una piccola stanza in cui può entrare al massimo una dozzina di visitatori. La visita di tanti presidenti non ha lasciato segno. Il museo è organizzato e pagato da un associazionismo privato del tutto privo di aiuti pubblici. Un grande contrasto, quindi: da una parte la giusta e insistita esaltazione di Cefalonia come inizio della Resistenza italiana e della stessa Repubblica. Dall’altra un’assenza avvilente delle nostre istituzioni. Non del popolo italiano, non della memoria collettiva: insieme alla nostra delegazione erano presenti centocinquanta studenti piemontesi, venuti a verificare un ennesimo segno di insensibilità e di superficialità delle nostre istituzioni rispetto alla memoria e ai valori identitari più condivisi.

IL 9° REGGIMENTO ALPINI IN AFGHANISTAN Il 9° reggimento alpini di L’Aquila, dal 12 giugno 2008, opera nell’ambito della missione International Security Assistance Force in Afghanistan (ISAF) quale Unità di Manovra dell’ Italian Task Force a KABUL che ha assunto la denominazione di ITALFOR XVIII. ITALFOR XVIII, al cui comando è posto il Colonnello Andrea MULCIRI (foto in riquadro) comandante del 9° reggimento alpini, si articola in: - Unità di manovra, su base 9° reggimento alpini; - Reparto logistico e di supporto tecnico, logistico amministrativo; - Reparto trasmissioni; - Reparto NBC per il rilevamento e la bonifica di eventuali agenti chimici, biologici e radiologici; - Personale di collegamento o di staff inserito nella catena di comando e controllo dell’operazione. Nell’ambito del Contingente ITALFOR è inserito il Gruppo di Supporto di Aderenza (GSA), che assicura il supporto nazionale per i rifornimenti, il mantenimento ed i trasporti. Il contingente di ITALFOR ha il compito di mantenere la sicurezza di una vasta area di Kabul alle dipendenze del Regional Command Capital (RCC).

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VM MISSIONE ISAF

(International Security Assistence Force) “condurre operazioni militari in Afghanistan secondo il mandato ricevuto, in cooperazione e coordinazione con le Forze di Sicurezza afgane ed in coordinazione con le Forze della Coalizione, al fine di assistere il Governo afgano nel mantenimento della sicurezza, favorire lo sviluppo delle strutture di governo, estendere il controllo del governo su tutto il Paese ed assistere gli sforzi umanitari e di ricostruzione dello stesso nell’ambito dell’implementazione degli accordi di Bonn e di altri rilevanti accordi internazionali”.

A seguito degli sviluppi della situazione politico-militare in Afghanistan, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato in data 20 dicembre 2001 la Risoluzione n. 1386 con la quale ha autorizzato il dispiegamento nella città di Kabul ed aree limitrofe, sotto il Cap. VII della Carta delle Nazioni Unite, di una Forza multinazionale denominata International Security Assistance Force (ISAF). L’11 agosto 2003 la NATO è subentrata nella guida della Missione ISAF, affidandone il comando (COMISAF), a rotazione, ad ufficiali dei paesi aderenti alla NATO. Per l’Italia, a partire dal 4 agosto 2005 e fino al 4 maggio 2006, ha assunto la leadership dell’ISAF VIII il Generale di Corpo d’Armata Mauro Del Vecchio. Per garantire l’assolvimento della missione il COMISAF si avvale di cinque Comandi Regionali (Regional Command North, West, South, East, Capital) oltre ad assetti aerei e ad ala rotante, forze di riserva, forze speciali ed unità di supporto. Nell’ambito di ciascun Comando Regionale sono operanti più Provincial Reconstruction Team, supportati da una Forward Support Base che garantisce la disponibilità di forze di riserva e provvede al necessario supporto logistico dei PRT. L’ISAF opera sulla base di un Military Technical Agreement (MTA) siglato il 4 gennaio 2002 dalle Autorità provvisorie afgane, comprende militari di 39 Nazioni. La guida politica di ISAF è esercitata dal NAC (North Atlantic Council), in stretto coordinamento con i Paesi non NATO che contribuiscono all’operazione. Per garantire il

necessario coordinamento a livello politico-militare è stato costituito un Foro di consultazione, con sede a Londra, composto dai Rappresentanti diplomatici e dagli Addetti Militari che opera secondo le procedure in uso presso il North Atlantic Council (NAC) della NATO. Le Forze italiane in Afghanistan operano nell’ambito della missione ISAF ((International Security Assistance Force) nelle aree ad ovest e a Kabul o anche a nord; mentre per gli impieghi al di fuori di esse è necessaria l’autorizzazione dei Vertici politici militari. Per quanto riguarda, tali impieghi, l’Italia si è impegnata a decidere l’intervento entro 72 ore dalla richiesta; è in corso una revisione dell’impegno italiano tendente ad abbassare i tempi dell’intervento a 6 ore. Il contributo nazionale ammonta a circa 2350 militari italiani. Nel quadro degli accordi trilaterali (Italia – Francia – Turchia), l’Italia dal 6 dicembre 2007, e fino ad agosto 2008, ha assunto il Comando del Regional Command Capital (RC-C). Il generale di divisione Alberto PRIMICERI è il Senior National Rappresentative (SNR). Il gen. Brigata Federico Bonato è il comandante dell’ RC-C e comandante nazionale delle forze italiane la cui componente principale è su base brigata alpina “Taurinense”. Il generale di brigata Francesco Arena, Comandante della Brigata aeromobile “Friuli”, è il comandante del Comando Regionale Ovest (RC-W), da cui dipendono la FSB di Herat ed i PRT della regione ovest dell’Afghanistan.

ISAF: COMANDI REGIONALI E STRUTTURA (dal sito http://www.nato.int/isaf/structure/regional_command/index.html)

I Comandi Regionali coordinano tutte le attività Civili – Militari condotte dai militari dei Provincial Reconstructions Teams (PRT) * nella loro area di responsabilità, sotto il Comando operativo di ISAF. Ciascun Comando Regionale fa capo ad una nazione (lead nation) ed è composto da: -

Una struttura di Comando e Controllo (C2);

-

Una struttura logistica avanzata (Forward Support Base – FSB**) che assicura il sostegno logistico, sanitario e di trasporto al fine di garantire ai PRT l’assolvimento del loro compito di estendere l’autorità del governo centrale afgano su tutto il territorio nazionale.

I Comandi Regionali sono 5: 1.

COMANDO REGIONALE NORD – RC(N). Nazione guida: Germania. Si articola su 5 PRT. Comando e FSB (Tedesca) dislocati a MAZAR-E- SHARIF;

2.

COMANDO REGIONALE OVEST - RC(W). Nazione guida: Italia. Si articola su 4 PRT. Comando e FSB (Spagnola) dislocati a Herat;

3.

COMANDO REGIONALE DELLA CAPITALE – RC(C). Nazione guida Italia. Non ci sono PRT. Comando e FSB dislocati a Kabul;

4.

COMANDO REGIONALE SUD – RC(S). Nazione guida Canadà. Si articola su 4 PRT. Comando e FSB dislocati a Kandahar;

5.

COMANDO REGIONALE EST – RC(E). Nazione guida USA. Si articola su 12 PRT. Comando e FSB dislocati a Bagram.

NOTE: * I PRT, come le associate FSB, rientrano nella strategia NATO di espansione di ISAF per meglio assistere il Governo afgano nell’opera di consolidamento della propria autorità. I PRT sono strutture miste composte da personale militare e civile, con il compito, in accordo con le Autorità locali e in sostegno alle stesse, di avviare attività di ricostruzione e di assicurare il supporto a quelle condotte dalle organizzazioni nazionali ed internazionali operanti nella regione. ** Le FSB sono installazioni militari aeroportuali avanzate incaricate di: a. assicurare il sostegno logistico regionale dei PRT; b. ospitare una infrastruttura medico-sanitaria dotata di assetti con capacità CASEVAC/MEDEVAC ed idonea a soddisfare le esigenze sanitarie dei PRT; c. ospitare una compagnia di Quick Reaction Force (QRF) d'area con i propri elicotteri di supporto; d. assicurare il supporto logistico al Coordinatore regionale.

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“STORIA DI UNA GENERAZIONE TRADITA E SCONFITTA” Con questo significativo titolo il Dottor Vittorio ZINGARELLI, decorato con medaglia d’argento al Valor Militare, ci presenta il libro delle sue memorie di un decennio di vita dedicato alla Patria. Nel 1937 appena diciottenne, dopo un anno d’università alla facoltà di giurisprudenza di Roma, Vittorio ZINGARELLI decide di arruolarsi volontario e viene nominato sottotenente dei bersaglieri ed assegnato alla caserma di San Francesco a Ripa di Roma. Posto in congedo il 31 dicembre del 1938 viene richiamato in servizio il 27 marzo del 1939 e presenta domanda di trasferimento volontario in Africa Orientale; attratto dai suoi ricordi di ragazzo verso quelle terre dove il padre era stato preside nelle scuole di Eritrea e Somalia. Assegnato, per sua stessa volontà, nella zona dove infuriava la guerriglia con i ribelli abissini nel Goggiam a DEBRA TABOR (79° battaglione coloniale) dove iniziano le sue memorie di guerra. I vari episodi sono raccontati senza retorica e danno una rappresentazione della quotidianità e il suo legame con gli Ascari eritrei: leali e sempre disponibili. Non senza dimenticare il valore degli “indomiti combattenti etiopici” che si opponevano alle truppe coloniali italiane. Con l’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) il sottotenente ZINGARELLI chiede ed ottiene di essere trasferito sul fronte del Sudan a fronteggiare le truppe inglesi. Viene così assegnato al 43° battaglione coloniale a CASSALA. Compito del battaglione era di presidiare la “terra di nessuno” tra lo schieramento italiano e quello inglese. Dai racconti dei vari episodi emerge l’impossibilità della vittoria finale per mancanza di rinforzi e mezzi adeguati al confronto con i mezzi corazzati e motorizzati inglesi. Sempre con grande schiettezza e semplicità vengono descritti episodi di combattimento, di sacrifici e di generosità dei singoli militari italiani. Il sottotenente ZINGARELLI fu fatto prigioniero a MASSAUA l’8 aprile del 1941. La seconda parte del libro descrive la cattura, il trasferimento (rinchiusi come bestie in carri merci) nei campi di concentramento provvisori in Sudan e a BAIRAGAR nello stato di BHOPAL in India per giungere nei campi di YOL, nella vallata del KANGRA, alla base dell’IMALAIA dove restituiti alla dignità di uomini liberi solo nel 1946. Il diario ci permette di capire la drammatica realtà della situazione dei nostri soldati nei campi di prigionia inglesi. Descrive la quotidianità della vita, gli effetti psicologici (a volte devastanti) dell’internamento, il diverso modo di reagire dei singoli, il lavoro per sfuggire alla noia, il comportamento non sempre lineare degli inglesi. Tornati in Italia dopo circa quattro anni di prigionia, nessuno dei governanti italiani del tempo, pur conoscendo i porti di sbarco, sentì il dovere di recarsi a salutarli (citato nella prefazione del diario da Ezio VILLANTE, colonnello d’artiglieria al ruolo d’onore). Storia di una generazione tradita e sconfitta.

25 DICEMBRE 1943 - EGITTO LETTERA DEL S. TEN GIOVANNI DI FILIPPO ALLA FAMIGLIA

LA GUERRA DI LIBERAZIONE IN ITALIA: IL RUOLO DEI MILITARI E LA MEMORIA NELL’ESERCITO Massimo COLTRINARI Nel 2011 sarà il 150° anniversario della proclamazione del Regno d’Italia. Un processo unitario che fu iniziato nel 1861 e che fu continuato nel decennio successivo con la III guerra di indipendenza (1866) e la presa di Roma (1870) e che si concluse il 4 novembre 1918 con la fine della I Guerra Mondiale sulla nostra fronte. L’Italia sembrava fatta ed il processo unitario, consolidato e concluso: in realtà scoppiarono, nel triennio 1919-1922, profonde divisioni sociali e contraddizioni che misero tutto di nuovo in discussione, e, attraverso crisi e difficoltà di ogni ordine, si dovette constatare che il processo unitario era ancora in divenire. Anziché affrontare i reali problemi, il vertice politico e i detentori del potere scelsero la soluzione forte, dittatoriale: fu il fascismo, con le sue contraddizioni ed il suo agire più sulle forme che sulla sostanza.. La chiamata da parte del Re di Mussolini e del movimento fascista al potere cancellò per 22 anni ogni problema di integrazione e risoluzione delle contraddizioni. Una parentesi di 22 anni che, con il fallimento del fascismo stesso come regime il 25 luglio 1943, fu chiamato da alcuni come “Morte della Patria”. Concetto questo avanzato al momento della crisi armistiziale del settembre 1943, quando un peggior modo non si poteva trovare dal nostro vertice politico- militare per uscire da una guerra mondiale. Una guerra, questa, dichiarata senza un vero obbiettivo strategico chiaro e definito, condotta in modo discontinuo e senza una strategia operativa unitaria che generò una sconfitta dietro l’altra fino alla invasione del territorio nazionale il 9 luglio 1943. La crisi armistiziale del 1943 annulla il patto tra il popolo italiano e Casa Savoia: la fuga a Pescara e poi a Brindisi rimette tutto in discussione. Trasformato in campo di battaglia il territorio della Nazione, vi si sviluppa la campagna d’Italia per gli Alleati e la difesa dei confini meridionali del reich per i tedeschi, ove scompare ogni sovranità italiana ed ove si affievoliscono con valori vicino allo zero gli interessi sia vitali che non italiani . Con la Guerra di Liberazione si riprende a costruire il nostro essere italiani, senza imposizioni, ove ognuno ha la possibilità di portare il proprio contributo, ove nessuna parte impone le sue scelte a tutti. La guerra di Liberazione è questa, una guerra che non inizia con una “dichiarazione formale” e che finisce senza un “trattato di pace”, come tutte le guerre classiche, a cui si partecipa non su chiamata della cartolina precetto, ma volontariamente. Per gli Italiani, sciolto il patto sociale con casa Savoia, di fronte a tutto questo, è venuto il momento delle scelte. Se si vuole un futuro come Nazione, se si vuole che il processo Unitario, iniziato nel 1861, continui, occorre prendere da parte di ogni Italiano, se si sente tale, delle decisioni e partecipare alla lotta. Da queste scelte nascono i fronti della Guerra di Liberazione, che cosi sono individuati: - quello dell'Italia libera, ove gli Alleati tengono il fronte e permettono al Governo del Re d'Italia di esercitare le sue prerogative, seppure con limitazioni anche naturali per esigenze belliche. Il Governo del Re è il Governo legittimo d'Italia che gli Alleati, compresa l'URSS., riconoscono;

- Quello dell'Italia occupata dai tedeschi. Qui il fronte è clandestino e la lotta politica è condotta dal C.L.N., composti questi dai risorti partiti antifascisti. E' il grande movimento partigiano dei nord Italia; - Quello della resistenza dei militari italiani all'estero. E' un fronte questo non conosciuto, dimenticato, caduto presto nell'oblio. E' la lotta dei nostri soldati che si sono inseriti nelle formazioni partigiane locali per condurre la lotta ai tedeschi (Jugoslavia, Grecia, Albania). - Quello della Resistenza degli Internati Militari Italiani, che opposero un deciso rifiuto di aderire alla R.S.I., di fatto delegittimandola; - Quello della della Prigionia Militare Italiana della seconda guerra mondiale. Tutti fronti che hanno un comune nemico: la coalizione hitleriana, guidata dalla Germania, che occupa l’Europa, di cui la Repubblica Sociale Italiana, ove confluiscono gli italiani che voglio un nuovo fascismo, repubblicano ed intransigente, che voglio un “Orine Nuovo” secondo i dettami del “fuhrer-prinzip”. Se vediamo il singolo militare, il singolo cittadino atto alle armi vediamo che alla guerra parteciparono per varie vie, spesso seguendo scelte le più disparate: chi come rifiuto di consegnarsi ai tedeschi; chi, catturato, finì nei campi di concentramento in Germania e in Polonia; chi entrò nelle file partigiane e prese le armi; chi rientrò in Italia del Sud e nella stragrande maggioranza entrò nelle file dell'Esercito dei Re; chi visse, senza cedere, sui monti in Italia e all'Estero per non consegnarsi ai tedeschi e non collaborare, chi nei campi di Prigionia degli ex-Nemici, ora alleati, accettò di collaborare in nome del contributo che l'Italia doveva dare per un domani migliore. E’ il Secondo Risorgimento d’Italia, nell'approccio che abbiamo adottato (1) per dare una chiave di lettura alla Guerra di Liberazione in Italia che riprende la costruzione del processo unitario della Nazione. Esiste, quindi, una relazione diretta tra il primo Risorgimento (1849-1918) ed il Secondo Risorgimento (1943-1945) ove con il primo si raggiungono i confini naturali; raggiunti i quali, con l’imposizione del congelamento di ogni questione fra le due guerre mondiali, si arriva al secondo attraverso lutti, tragedie, e danni materiali e morali di ogni genere, grado e natura, attraverso una guerra mondiale ( l’Italia dal 1940 al 1945 ha dichiarato guerra a quasi tutte le nazioni del mondo) voluta e perduta dal fascismo come regime, per riprendere il processo unitario nazionale, che divine la culla e la genesi della repubblica, che da oltre 60 anni accompagna la crescita e l’affermarsi della nostra identità nazionale. Questi sono i temi e le linee di traccia del convegno che il prossimo novembre si organizzerà a l’Aquila promosso da Vox Militia a cui fin da adesso avanziamo l’invito a partecipare e, soprattutto, a dibattere e discutere. Massimo Coltrinari (coltrinari@tiscali.it)

(1). Coltrinari M., La Guerra di Liberazione, una guerra su cinque fronti 1943-1945, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008.

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STRAGI NAZISTE E CRIMINALI DI GUERRA: UNA STORIA CONTROVERSA. Gilberto MARIMPIETRI L’occupazione tedesca dell’Italia, subito dopo l’annuncio dell’Armistizio, è stata segna-

ricostruisce un incontro riservato tra l’emissario del cancelliere tedesco Adenauer, Hein-

ta da gravi eccidi ai danni della popolazione civile, perpetrati con determinazione e fero-

rich HÖfler, e il conte Vittorio Zoppi, segretario generale del Ministero degli Esteri ita-

cia dalle truppe germaniche, appoggiate talvolta da milizie della Repubblica di Salò.

liano. Il colloquio, massimo riserbo, avvenne a Roma nel novembre del 1950: Höfler, in

Nomi come Marzabotto, Boves, Fosse Ardeatine, Pietransieri, Guardistallo, Sant’Anna

virtù del suo mandato e con l’appoggio di qualche esponente della gerarchia vaticana,

di Stazzema, per citarne soltanto alcuni, rappresentano una geografia dell’orrore sulla

ottenne la liberazione dei criminali di guerra tedeschi già condannati in Italia con senten-

quale già tanto è stato scritto. In questo breve articolo ci limiteremo soltanto a qualche

za definitiva. Tra questi, l’autore del saggio annovera un gruppo di militari germanici

cenno su una pubblicazione uscita di recente per l’editore Carocci, Criminali di guerra

che, tra il 1944 e il 1945, nell’isola di Rodi, passarono per le armi parecchi prigionieri di

in libertà di Filippo Focardi. Questo lavoro fresco di stampa, giovandosi di una densa

guerra italiani, senza contare un buon numero di civili greci considerati di cittadinanza

prefazione di Lutz Klinkhammer, affronta un aspetto del problema alquanto controver-

italiana.

so: la mancata punizione dei criminali nazisti, uomini delle SS e della Wermacht che,

Nella scelta del nostro governo giocò un ruolo importante la priorità di riannodare buone

senza alcuna forma di pietas, non esitarono a scatenare violenze e rappresaglie, talvolta

relazioni politiche e diplomatiche con la Repubblica Federale Tedesca, impegnata con

particolarmente efferate, nei confronti di civili italiani inermi.

ogni mezzo a ritagliarsi una collocazione adeguata nel quadro politico – militare della

In questo libro Focardi parte da un episodio molto discusso, che ha gettato una luce sini-

Guerra fredda, mentre all’orizzonte si agitava il progetto, poi fallito, della CED, il cosid-

stra sul sistema politico e giudiziario del nostro Paese, e cioè il rinvenimento a Roma, a

detto “esercito europeo”.

metà degli anni Novanta, del cosiddetto “armadio della vergogna”, con centinaia di fa-

In conclusione, la missione Hofler e la concessione della grazia ai criminali di guerra te-

scicoli d’inchiesta sulle stragi tedesche occultati illegalmente.

deschi (con due eccezioni di un certo peso: Kappler e Reder) «dimostra – ha scritto acu-

Tuttavia, lo studioso non dà eccessivo spazio alla tesi, in sé abbastanza comoda, di una

tamente Focardi – come l’attenzione del governo italiano per le relazioni con la Germa-

grave forma di «negligenza» dei vertici della Magistratura militare, preferendo concen-

nia di Adenauer, combinata con altri fattori tra cui il mutamento dell’atteggiamento in-

trare l’attenzione sugli accordi segreti intercorsi tra l’Italia e la Repubblica Federale Te-

glese e americano e la preoccupazione di Roma per i propri criminali di guerra, avesse

desca. Potendo contare su un’interessante documentazione d’archivio, lo storico

un’influenza decisiva nel determinare non solo l’ingolfamento dell’azione giudiziaria italiana contro i responsabili tedeschi di stragi e violenze, ma anche la liberazione di quei pochi criminali di guerra che erano stati processati e condannati».

CHI ERA QUEL TENENTE TEDESCO BIONDO E DI GENTILE ASPETTO? RICORDI DI GUERRA NELL’ ARMATA ITALIANA NEI BALCANI DOPO L’ 8 SETTEMBRE 1943 IL RACCONTO DI UN PROTAGONISTA ILIO DI IORIO - insegnante e preside del liceo classico di Sulmona Facevo parte del 548° Battaglione costiero, il cui Comandante, un Maggiore richiamato (Direttore didattico) risiedeva ad Ulçin (Dulcigno), al confine fra Albania e Montenegro. Il Colonnello comandante del Presidio militare di Ulçin dipendeva dal Generale Dalmazzo, Comandante dell’Armata, che risiedeva a Tirana. Sapemmo con ritardo dell’armistizio dell’ 8 settembre, mentre nella cittadina gli abitanti, o i maggiorenti di essi, lo avevano saputo prima da radio Londra. Il plotone alle mie dipendenze (ero Sergente maggiore ) si trovava a circa 3 km dalla città: eravamo attendati e si dormiva sulla paglia; eravamo armati di fucili ‘91, di una mitragliatrice Breda e di bombe a mano. Appresa la notizia dell’armistizio con ritardo, rimanemmo tutti disorientati; con i miei soldati fui richiamato ad Ulçin. Così sapemmo che il Comandante dell’Armata il 7 settembre era stato convocato a Roma; invece il Maggiore del nostro Battaglione il 7 settembre era partito con il vapore postale per Pescara: eravamo soli ed abbandonati ed a malapena si riusciva ancora a mangiare. Infatti, con la scusa dell’armistizio, alcuni militari avevano sottratto derrate per venderle ad acquirenti del posto. Mentre con il mio plotone stavo nella moschea, giunse una squadra tedesca armata di tutto punto, entrò nel Comando presidio e ottenne, ovviamente con minacce di morte, che i soldati rimanessero consegnati in caserma subito e versassero le armi al comando stesso, senza più disporne. Subito dopo, tre di quei tedeschi che si erano impadroniti del Comando presidio, vennero da noi alla moschea: stavamo mangiando un povero rancio con le nostre gavette, che non erano tutte di alluminio, e ci imposero con le armi spianate di arrenderci; erano un Capitano austriaco con la pistola e altri con il mitra. Cosa incredibile, quel Capitano scattò sull’ attenti battendo i tacchi e volto a me, il più elevato in grado, gridò: KRIEGSGEFANGENEN! (prigionieri di guerra). Quindi ci scortarono fin dentro il Comando, dove erano tutti gli altri italiani, ormai disarmati e confinati, con guardie tedesche all’ingresso. Mentre eravamo chiusi come prigionieri, oltre ai soldati tedeschi di guardia, si vedeva spesso nella ex sede del Comando presidio un Tenente dell’esercito tedesco aggirarsi e controllare tutto: aveva la mia statura, che era media, e la mia età, sui 23 anni o poco più, biondo, longilineo, con la decorazione della campagna di Russia sul risvolto della giubba; aveva ogni autorità e lui solo trattava con il Colonnello del Presidio, che non vedevamo e non vedemmo più. Un giorno i tedeschi ci fecero sapere per mezzo di un interprete che saremmo andati in treno fino a Trieste, dove avremmo potuto scegliere se tornarcene alle nostre case oppure se volevamo continuare la guerra contro gli americani seguendo il governo di Mussolini.

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Intanto dovevamo andare a piedi da Ulçin fino a Pristina per prendere il treno; poi ci fu una minaccia: se un soldato italiano rubava qualcosa dalla nostra caserma e la portava fuori, sarebbe stato ucciso subito. L’interprete era un soldato italiano altoatesino, che ormai stava con i tedeschi, vestiva la loro divisa e mangiava come loro, e non come noi, che cominciavamo a soffrire la fame. Nel nostro presidio c’era anche un piccolo reparto di artiglieria da montagna con i muli; pertanto i tedeschi permettevano agli artiglieri di portare uno alla volta i muli alla beverata fuori dalla caserma. Il comandate di quel reparto era il Tenente Amedeo Corradini, mio coetaneo di Sulmona. Un artigliere uscì con un mulo sul cui dorso aveva messo una coperta da campo. Quando tornò, quella coperta non c’ era più ed il soldato tedesco cominciò ad urlare che rivoleva la coperta, che il povero, malcauto alpino aveva barattato fuori. Ci fu come un tafferuglio, anche perchè nessuno capiva il tedesco. Quel Tenente biondo e di gentile aspetto accorse alle grida, si fece spiegare tutto dalla guardia e poi, secco ed asciutto, ordinò di ucciderlo illico et immediate: quel soldato gli sparò a bruciapelo sulla testa e lo stese a terra per sempre. Il colpo riecheggiò cupamente nella caserma e incusse paura a noi inermi: colpiscine uno per educarne mille! e noi italiani sul posto eravamo proprio circa mille. A piedi, da Ulçin a Pristina, circa 200 km, impiegammo una decina di giorni; ivi salimmo su un treno di carri - bestiame scoperto, con paglia per dormire: eravamo oltre 50 per carro. Per i bisogni corporali ci trovavamo in una condizione tragicomica, perchè non potevamo scendere dai vagoni. Spesso facevamo anche lunghe soste in quelle linee dissestate della Balcania; non ci fu dato dai tedeschi mai niente da mangiare o da bere; dovevamo selvaggiamente e pericolosamente cercare di bere e di riempire la gavetta nelle soste. Solo alla stazione ferroviaria di Budapest, gendarmi ungheresi ci offrirono tè caldo, senza zucchero. La mia meraviglia di osservatore perspicace (ma anche quella dei miei compagni di sventure) fu il vedere a Belgrado quel Tenente tedesco sovrintenderci e sorvegliarci dalla banchina: era appunto colui che aveva fatto uccidere l’alpino per una coperta da campo, per di più lisa. Ma a Belgrado fu chiaro che noi italiani eravamo stati ingannati e che i tedeschi ci stavano deportando in Germania. Qui, quando gli alleati stavano a pochi chilometri , con la forza ci portarono a scavare trincee (Schazen ) in prima linea, ma in cinque riuscimmo a fuggire, nascondendoci in una Glass Fabrik (fabbrica di vetro), mangiando mangime di cavallo che rubavamo nella fabbrica stessa. Fummo liberati dalla Divisione americana di paracadutisti 202 Airdivision, alle ore 11.00 dell’ 11 aprile 1945. Seppi dopo che il feroce tenente biondo, che somigliava un pò a me, era Kurt Waldheim. Egli è morto il 14 giugno 2007, a 88 anni, onorato come “ un grande combattente per la beltà e la pace nel mondo “da W. Schuessel. Fu Presidente della Repubblica austriaca dal 1986 al 1992, ma prima era stato Segretario generale dell’ ONU dal 1972 al 1981. Egli fu denunciato da uno studioso Ebreo perchè aveva celato i suoi trascorsi nell’organizzare deportazioni in Germania di Ebrei e di militari italiani dell’Armata balcanica. Come si legge nell’articolo del Corriere della sera del 15 giugno 2007 invece il Waldheim dichiarò che prima era stato a combattere in Russia, guadagnandosi la decorazione che portava sul risvolto della giubba militare e poi, perchè ferito, era tornato ai suoi studi giuridici. Resto però sempre convinto di averlo riconosciuto dalle foto pubblicate sui giornali italiani nel 1972.


LUGLIO 2008

VM 56° RADUNO NAZIONALE BERSAGLIERI 81^ ADUNATA NAZIONALE DEGLI ALPINI

Il sindaco di PORDENONE apre la sfilata al “PASSO” dei bersaglieri Un fiume in piena. Nei giorni di sabato 10 e domenica 11 maggio 2008, nella ridente cittadina di BASSANO DEL GRAPPA (VI), ha avuto luogo l’81^ Adunata Nazionale degli Alpini. E’ un appuntamento che si ripete ogni anno, un una città diversa, e che costituisce sempre un avvenimento eccezionalmente affascinante. Gli alpini (in congedo: ma guai a chiamarli ex!) arrivano da ogni zona d’Italia e del mondo con al seguito parenti ed amici invadendo (pacificamente ed educatamente, s’intende) la città del raduno. I dati statistici ufficiali parlano di 400 mila persone. Anzitutto la giornata del sabato. Una vera festa popolare l’incontro tra “veci” che hanno fatto la naia insieme, magari 30-40 anni orsono. Canti, baldoria, anche qualche “ombra” di troppo, ma senza mai trascendere i limiti della civile convivenza, con la popolazione bassanese integralmente coinvolta nella festa; la città di BASSANO ha fatto sentire tutto il calore proprio della gente di montagna. Poi la domenica; tutt’altra musica, l’adunata assume un aspetto totalmente diverso! Ordinati e disciplinati, sono gli stessi alpini che fino a poche ore prima avevano fatto baldoria. Allineati e coperti: la sfilata inizia alle ore 09.00, snodandosi lungo un percorso di circa 4 chilometri, a passo cadenzato reso possibile dall’accompagnamento delle fanfare, prevalentemente con lo storico “trentatrè”. Apre la sfilata un reparto di formazione degli alpini in armi, formalmente impeccabile. Quindi è la volta delle sezioni estere (sono circa 40!) costituite dagli alpini emigrati. A seguire le sezioni nazionali a partire dalle più lontane dal luogo della sfilata. Un corteo che si snoda tra due ali di folla, un fiume verde dai colori smaglianti riconoscibile dalle classiche camicie di montagna a quadri. Circa 100 mila le persone che hanno sfilato a Bassano. Sono le 20.00 passate quando sfilano fieri ed impettiti, orgogliosi e consapevoli di aver organizzato una grande Adunata i padroni di casa che chiudono la sfilata. A supporto degli organizzatori tutte le autorità locali della Regione Veneto, delle Province e dei Comuni. Innumerevoli le fasce tricolore al seguito.

Giuseppe MUTO Il 56° Raduno nazionale della specialità dei bersaglieri si è svolto finalmente a Pordenone, città che nel dopo guerra ha ospitato per tanti anni prima l’ Ottavo Reggimento e successivamente la Brigata “Garibaldi”. L’amministrazione comunale ha accettato con slancio la proposta di ospitare il raduno e ha dato la massima collaborazione e disponibilità per la realizzazione. Al raduno è stata data una connotazione diversa da quella storica in cui tutto è concentrato in un fine settima lungo. Il 56° raduno era cominciato già nel 2007 in occasione del centenario della Sezione di Pordenone, che ha visto un susseguirsi nell’arco dell’anno di conferenze e mostre. L’ultima e forse la più originale è stata la presentazione di un libro “MANUALE DELLA MUSICA MILITARE”. I Capi fanfara della specialità sono stati sempre molto gelosi dei loro spartiti e li conservavano in brogliacci a proprio uso e consumo tramandando solo al proprio successore. Ma veniamo al fatidico fine settimana. Il primo avvenimento di rilievo, il giovedì pomeriggio, è stato l’ inaugurazione nell’atrio della stazione ferroviaria di Pordenone di una statua al bersagliere. Madrina della cerimonia, la sorella del mitico Colonnello PONTIERI. C’ è stato l’arrivo del medagliere nazionale, che è stato portato in comune, dove è consegnato al Sindaco per la durata della manifestazione. Il venerdì pomeriggio è arrivata Gina Lollobrigida a Pordenone. Alle diciassette si era su RAI UNO con l’ “Italia in diretta” e la sera, in un bagno di popolo davanti al Teatro Verdi, dove la “bersagliera” era attesa in un teatro stracolmo di gente. Il concerto di fanfare è stato una degna cornice ad una attrice così famosa. Il sabato, dopo la messa in cattedrale, ci si è ritrovati nelle vie del Capoluogo e dei Comuni della provincia, fino alla sera con mega spettacolo in piazza con la partecipazione di sei fanfare, fontana luminosa e collegamento con i bersaglieri in Libano. E arriviamo così alla domenica mattina. Il giorno della sfilata era stato pensato come una festa di popolo e tale è stata. Oltre trentamila bersaglieri hanno sfilato in mezzo a due ali di folla che si è riversata lungo i quattro chilometri che separano la fiera di Pordenone da piazza xx settembre. La sfilata, durata più di due ore e mezzo (grazie al passo bersaglieresco) è stata aperta da fumate tricolori in cielo, c’è stato un passaggio delle cosiddette “carriole”, e si è conclusa con il lancio di coriandoli bianchi, verdi e rossi sparati da cannoni posti in piazza xx settembre. Tra i primi a sfilare i bersaglieri in armi, rientrati il giorno prima dal Libano con in testa la propria bandiera. Seguiti dagli Ufficiali e sottufficiale in servizio. Erano presenti oltre ai gonfaloni della Provincia e del Comune di Pordenone, tutti quelli dei paesi limitrofi che hanno ospitato i radunisti. Questa è stata sicuramente l’idea vincente. In tutti i comuni più grandi della provincia i radunisti con le proprie fanfare hanno saputo creare la stessa atmosfera che si viveva a Pordenone, con grande partecipazione della popolazione locale. Per molti è stato un ritorno alla giovinezza perché hanno trascorso la loro vita miltare a Pordenone o in provincia: Aviano, Spilibergo, Orcenigo, Maniaco. Le caserme aperte hanno poi permesso di ricordare ancor di più con i familiari ed amici le esperienze trascorse.

33° REGGIMENTO ARTIGLIERIA TERRESTRE SEMOVENTI “ACQUI”

Lo schieramento

Col. a. SSM Mario VENTRONE

L'Aquila, 20/06/2008 - E' stato celebrato, presso la caserma G. Pasquali, sede del 33° Reggimento artiglieria terrestre semoventi "ACQUI", il 90° Anniversario della "Battaglia del Solstizio" - Festa dell'Arma di Artiglieria. Inaugurate, inoltre, le nuove Sale Ricordi del reggimento, che ripercorrono i 120 anni di storia del Reggimento artiglieria dell'Aquila. Presente il Comandante del 2° FOD (Forze Operative di Difesa) Gen. CA Carlo Gibellino e il Comandante della Brigata Granatieri di Sardegna Gen. Brigata Giovanni Armentani.

Gen. CA Carlo GIBELLINO

Inaugurazione Sale Storiche

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LUGLIO 2008

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TARGA COMMEMORATIVA DEDICATA AGLI EROI D’ABRUZZO L’Aquila - 8 maggio 2008. Una sala della caserma “De Amicis”, sede del Comando Militare Esercito “Abruzzo”, è stata intitolata ai decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare d’Abruzzo.

L’INNER WHEEL di L’Aquila in visita al Comando Militare Esercito "Abruzzo" in occasione del 147° anniversario della costituzione dell’Esercito Italiano.

Padre Gianfranco Maria Chiti

ALLARME DEL COCER: CON I TAGLI A RISCHIO I SOLDATI NELLE CITTA'

Percorso di vita di un “Generale - Frate”

(Sole 24 ore, 18 giugno 2008) Floriano MADDALENA Una bella figura, quella di Padre Gianfranco Maria CHITI, già Generale di Brigata entrò a far parte dell’ Ordine dei Francescani Minori. Nacque il 6 maggio 1921 a Cinese (Novara). Nel 1936 si iscrisse al Collegio Militare di Roma, dove frequentò il Liceo Classico (iscrivendosi poi alla Facoltà di Matematica). Nel 1939 si arruolò nell’ 81° Corso Allievi Ufficiali della Regia Accademia di Fanteria e Cavalleria a Modena e nel 1941 ebbe al nomina a S.Tenente ed assegnato al 3° Reggimento Granatieri di Sardegna in Viterbo. Partecipò alla 2^ Guerra Mondiale sui fronti della Croazia, Grecia e Russia. Subì una ferita al tallone del piede sinistro e il congelamento ad entrambe le gambe. Meritò la medaglia di bronzo al valor militare. La sua fede religiosa fu sempre avvertita intensamente, fin da giovane, e nei campi di battaglia portò conforto ai feriti e ai moribondi, improvvisandosi, quando necessario, anche “cappellano. ”. Dal 1945 al 1948, in attesa del reimpiego, insegnò

Matematica nel Liceo di Campi Salentina. Il 31 marzo 1948 fu assegnato al 1° Reggimento Granatieri di Sardegna a Roma, conseguendo il grado di Capitano. Dal 1949 al 1954 fu inviato al Comando Forze Armate della Somalia. Dopo diversi incarichi di comando in Reparti dei Granatieri di Sardegna, concluse il suo mandato come Comandante della Scuola Sottufficiali dell’Esercito a Viterbo. Il 6 maggio 1978, promosso Generale di Brigata, venne posto in Ausiliaria per raggiunti limiti di età. Il 30 maggio 1978 entrò nei Cappuccini nel Convento di San Mauro in Rieti. Venne ordinato sacerdote nella cattedrale di Rieti il 12 settembre 1982 dal Vescovo Mons. Francesco AMADIO, (già Vescovo di Sulmona e già Cappellano Militare, partecipando in tale veste al 2° Conflitto Mondiale). La cerimonia fu gremita di alti ufficiali delle Forze Armate. Iniziò così un ministero intensamente vissuto con l’umiltà e i valori della missione francescana. Era un percorso di vita missionaria che non si interrompeva ma che continuava, la missione del militare prima, la missione del francescano poi. Nel 1990 fu inviato ad Orvieto, quale custode del Convento di San Crispino. Era un’infrastruttura ridotta ad un vero e proprio rudere. Pensò bene l’Ordine dei Francescani di inviare un “Generale-Frate”. Padre Gianfranco, infatti, grazie ai numerosi amici di ogni luogo, ai suoi Granatieri d’Italia e alla sua capacità organizzativa, riportò il convento completamente a nuovo. La struttura ospita da allora raduni spirituali a livello nazionale. Nel settembre del 2004, coinvolto in un serio incidente stradale, nel quale riportava gravi le ferite, fu ricoverato presso l’Ospedale di Orvieto. Trasferito poi nell’Ospedale Militare “Celio” di Roma e lì morì il 19 novembre. La camera ardente fu allestita nel Museo dei Granatieri di Sardegna in Santa Croce in Gerusalemme in Roma, dove gli furono resi gli onori militari. I funerali si svolsero il 22 novembre nel Duomo di Orvieto.

Sono a rischio le missioni all'estero ma anche "il sistema difesa-sicurezza, compreso il progetto di pattugliare le città anche con le Forze Armate". Domenico Rossi, Generale di C.A. e presidente del Cocer Esercito, lancia l'allarme "sui tagli paventati alla difesa: si parla di 300 milioni di euro in meno per il personale e 400 per l'esercizio". L'effetto, secondo Rossi, e' di "impedire l' entrata in servizio permanente effettivo di circa 5.000 volontari. Tra questi, ci sono ragazzi oggi al lavoro tra i rifiuti in Campania, che rischiano un'autentica beffa".I volontari dovrebbero essere ammessi nelle FF.AA. e di Polizia. "I tagli ai fondi sono in piena contraddizione con gli impegni annunciati per rispondere all'emergenza-sicurezza". La riduzione delle risorse dell'esercizio, aggiunge il capo del Cocer, "fara' precipitare la qualità delle nostre infrastrutture riportandole a livelli peggiori di quando c'era il servizio di leva.

*COCER (Comitato Centrale di Rappresentanza dei Militari): formula pareri, proposte e richieste su tutte le materie che formano oggetto di norme legislative e regolamentari circa la condizione, il trattamento, la tutela – di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale – dei militari.

Padre Chiti, il primo da sinistra.

VOX MILITIAE L’Associazione Culturale VOX MILITIAE si propone  Catalizzare le persone che condividono i Valori della Società Militare;  Diffondere la cultura e il ruolo dei militari nella Nazione che cambia;  Condividere momenti di vita (Solidaristico-Ricreativo) con persone che hanno identicche motivazioni;  Fornire ai soci assistenza e consulenza giuridica e amministrativa.

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La partecipazione è aperta a tutti coloro che vogliono far sentire la loro voce. Gli articoli investono la diretta responsabilità degli autori e ne rispecchiano le idee personali, inoltre devono essere esenti da vincoli editoriali. Di quanto scritto da altri o di quanto riportato da organi di informazione occorre citare la fonte. La redazione si riserva di sintetizzare gli scritti in relazione agli spazi disponibili; i testi non pubblicati non verranno restituiti. Contattateci tramite telefono: 320.1108036; E-Mail: acvm@libero.it.

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