SFOGLIA IL NUOVO NF 5/15

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BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO

Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013

Anno 2015 Numero 5 SETTEMBRE OTTOBRE

IVA S U L ESC

INFRASTRUTTURE VENTI MILIARDI TANTI CONTROLLI ...E L’ITALIA CHE VA (Mancini a pag. 4)

Foto di Giorgia Boitano

IL PUNTO Una ripresa “sensazionale”

ATTUALITÀ Le cene piccanti di D’Annunzio



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Il Punto Ripresa “sensazionale”

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L’Intervista Il viceministro Nencini

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Crisi cinese/1 L’estate calda

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Crisi cinese/2 Misteri & misfatti

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Crisi cinese/3 Laboratorio Italia

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Panorama casa Problemi & opportunità

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Tormentone Sud No a due Italie

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Ricette anticrisi/1 La Green Economy

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Ricette anticrisi/2 Etica ed estetica

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Aziende leader Nuova Castelli Group

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Fincantieri La strategia militare

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Bcc di Roma La qualità fa la differenza

IL CALVARIO DELLA CASA a pag 12

Nuova Finanza Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale

Francesco Carrassi Direttore Responsabile

Pietro Romano Direzione Marketing e Redazione

Katrin Bove Germana Loizzi

COSTUME & SOCIETA’

41 44 47 49 52 54 57 58 59 60

D’ANNUNZIO A TAVOLA GRASSO E’ BELLO? L’ANIMA DELL’IMPRESA MUSEO NOVECENTO AL TEMPO DEL JOBS ACT MITA CANTA FRANCO COSTUMI MUTANTI IL DRAMMA PROFUGHI QUOTIDIAN-ARTE TRA VALIGIE E MATITE

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IL PUNTO del direttore

UNA RIPRESA “SENSAZIONALE” di Pietro Romano

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uando si arriva al fondo o si riprende a salire o si prende una pala e si comincia a spalare. Non è farina del mio sacco. Ma del collega e amico Franco Jappelli, inchiestista di fama, elzevirista, autore di testi teatrali e cabarettistici. Sembra proprio, però, che dopo aver toccato il fondo in questo momento non abbiamo bisogno della pala. Perché, come sostiene Sergio Silvestrini, segretario generale della Cna, la maggiore organizzazione italiana di Pmi, “tanti piccoli segnali danno l’idea che la traversata del deserto sia finita”. A meno che non stiamo scambiando un’oasi per la terra promessa. Il che non pare. La situazione italiana si sta evolvendo non tanto, e non solo, in termini economici quanto sotto l’aspetto psicologico. E’ come se fosse stato rimosso un blocco profondo, la somma di tante paure accumulate negli anni di una crisi così lunga da rendere incredibile persino il pensiero che finisse, il ritorno alla normalità. Poi, un bel giorno, la sensazione che, avvitandosi nel declinismo, non si va da nessuna parte. E si comincia a fare qualche passettino. Da qui scaturisce il forte incremento, a esempio, degli italiani tornati sulle spiagge quest’anno. La psicologia spesso ha il suo limite nei numeri. Ma, in verità, i numeri in questo caso non vanno in controtendenza, ma a braccetto con la psicologia. Una crescita per due trimestri consecutivi in Italia non si vedeva dal 2011. E, dall’occupazione ai consumi, cominciano ad apparire finalmente i segni più anche nella vita quotidiana. Il pro-

blema è che, in genere, si tratta di “più zero virgola qualcosa”. Dei segni più, quindi, senz’altro sproporzionati rispetto all’entità dei segni meno degli anni passati. Ma sempre meglio di niente. Sono una sorta di testa di ponte nel territorio della ripresa, delle piattaforme da cui organizzare la ri-partenza. Non bisogna dimenticare, ovviamente, che la mano più corposa a questa gracile ripresa sia stata offerta da fattori esterni: il calo di valore dell’euro (che tanto somiglia alle svalutazioni competitive della liretta che fu), il crollo del prezzo del petrolio e delle altre materie prime (che in un Paese trasformatore come l’Italia può fare la differenza), l’iniezione di liquidità decisa da Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, con il quale chi scrive non è mai stato tenero ma che, in questa occasione, sembra aver fatto del suo meglio. Non mancano le mosse azzeccate dall’attuale governo, che spesso gioca con parole e numeri, ma nel concreto è stato capace di adottare e/o riadattare provvedimenti toccasana.

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Uno per tutti? Il pacchetto dei bonus per le ristrutturazioni edilizie, gli interventi di riqualificazione energetica, l’acquisto di arredamento. In maniere diverse confezionato da governi opposti (da Romano Prodi a Silvio Berlusconi, da Mario Monti a Enrico Letta e a Matteo Renzi), quindi sotto la spinta e l’egida della continuità burocratica (che non è solo il materiale melmatico materia prima degli articoli e dei libri di Stella & Rizzo) nel complesso avrebbe portato all’erario 11 miliardi di euro. Creato posti di lavoro. Migliorato un patrimonio edilizio carente di qualità.


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Fatto emergere occupazione e imprenditoria in nero. Ebbene, un pacchetto del genere non andrebbe nemmeno messo in discussione, ma riproposto – approfittando, per esempio, della prossima Legge di Stabilità – per un numero di anni cospicuo, magari introdotto sic et simpliciter nella normativa. E non se ne parla più. Se la psicologia, infatti, ha un ruolo di primo piano nell’economia (come dimostrano i millanta studi dedicati a questo rapporto da un capo all’altro del mondo e soprattutto nell’area anglosassone), una decisione del

genere porterebbe cospicui frutti psicologi oltre che economici. Dimostrerebbe – testimonierebbe – che la sensazione dell’uomo comune di essere fuori dall’area più buia del tunnel non è appunto una sensazione, ma un dato di fatto. Dimostrerebbe – testimonierebbe – che l’emergenza è finita con quel suo codazzo di provvedimenti tampone, di stop and go, di incertezza che è la cifra della precarietà. Una precarietà che è il simbolo dell’arretratezza e della debolezza italiana, secondo una recentissima ricerca del World Economic Forum, il centro studi che annualmente organizza il vertice di Davos. Una precarietà frutto principalmente della politica e che porta l’Italia, in questa ricerca dedicata ai metodi usati per combattere la crisi evitando la crescita delle disuguaglianze e delle disparità, al 29esimo posto nel mondo avanzato. Davanti alla sola Grecia. Una credenziale del genere, purtroppo, non aiuta nel mondo. E l’Italia ha bisogno come non mai della sponda internazionale. Sul fronte dell’econo-

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mia, perché le esportazioni rimangono trainanti per la macchina produttiva, non potendo essere stimolati i consumi interni altrimenti che indirettamente (i partner-concorrenti europei premunt su eventuali aiutini). E, soprattutto, sul fronte della politica. A breve il governo presenterà la Legge di Stabilità, quella che una volta era chiamata Legge Finanziaria e che rimane la manovra economica più importante dell’anno legislativo. Un documento che cerca accrediti a Bruxelles forse più che a Roma. La partita di Bruxelles è come una finale del campionato di calcio. Vale una decina di miliardi, secondo le ultime valutazioni, e acquisisce un ruolo cardine all’interno delle coperture di una manovra che, è stato detto, ne vale circa 27. L’eurocommissario Moscovici pare abbia parzialmente aperto alle esigenze italiane. Ma è essenziale il via libera al rispetto delle regole sul debito, che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha comunque assicurato. Solo una manovra espansiva può condurre a realizzare l’incremento del prodotto interno lordo previsto dall’Italia nei prossimi anni. E, per una manovra espansiva, è indispensabile la flessibilità europea che tenga conto, tra l’altro, degli oltre tre miliardi di euro in più del previsto (per ora) destinati dal nostro Paese all’assistenza agli immigrati extra-comunitari. Ora sta al premier Renzi farsi valere a Bruxelles. Lì si parrà la sua nobilitate. Forte del tifo di tutta Italia, valutazioni di merito sulle sue azioni e opinioni politiche a parte.


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ESCLU

SIVA

I TRE FATTORI NUOVI DEL VICEMINISTRO

SIGNORI, IN CARROZZA MARCELLO MANCINI*

S

ignori, in carrozza. Si gridava così, una volta, nelle stazioni ferroviarie italiane. Eravamo un Paese in bianco e nero, che cresceva per diventare una delle potenze mondiali dopo la catastrofe della guerra. Bella e nostalgica Italia. Oggi la guerra da cui l'Italia sta uscendo con fatica è fatta soprattutto di Pil, tasse, soldi, di poco lavoro e tante rinunce. Ma sì, eppur si muove questa nuova Italia. E torna a usare il treno. Sissignori, ci siamo fatti questa idea ascoltando i piani che ha raccontato Riccardo Nencini, viceministro dei Trasporti e delle Infrastrutture: originario del Mugello, cinquantasei anni, una lunga esperienza di amministratore, molta della quale maturata nel governo regionale toscano. Ci svela che le sfide più vicine sono quelle ferroviarie, attraverso le quali si esaltano gli altri sistemi della mobilità. Parole e cifre confortanti, soprattutto per l'occupazione. Accompagnati da impegni coraggiosi per garantire, almeno da qui in avanti, la trasparenza e la correttezza negli appalti, che stanno a cuore a tutti gli italiani, stanchi di assistere alle scempio dell'onestà ogni volta che viene messa mano a una grande opera. Proviamo a fare il punto della situazione. "Ci sono tre fattori nuovi: il primo punta all'approvazione della riforma portuale; il secondo è la riorganizzazione degli aeroporti; il terzo è l'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza, il Def. Tre punti centrali, a cui aggiungerei il lavoro che stiamo facendo sulla legge di stabilità. Complessivamente ci sono in batteria venti miliardi di euro, che riguardano soprattutto le opere infrastrutturali". La legge si stabilità è un passaggio decisivo e anche atteso dai cittadini. "Sulla legge di stabilità ci saranno misure che riguardano la casa. Quindi la ripresa passa attraverso le infrastrutture e ci sono ottimi programmi sui quali concentrare investimenti concreti". Dal suo osservatorio quali sono le sfide più vicine, da qui alle fine dell'anno? " "Gli interventi ferroviari: la Napoli-Bari, grande opera di alta

velocità del sud; tutto il ferro in Sicilia, in particolare la Palermo-Messina-Catania; al nord, sia il terzo valico sopra Genova sia, nel quadrante orientale, il Brennero e la conclusione dei lavori ferroviari che riguardano la Milano-Venezia. Poi il cosiddetto ultimo miglio: il collegamento ferroviario veloce con le grandi strutture tipo porti e aeroporti intercontinentali italiani. Qui sono già previsti potenziamenti delle ferrovie verso Malpensa, Fiumicino e Venezia, che sono i tre grandi scali aeroportuali intercontinentali italiani. Lo stesso collegamento è previsto con i grandi porti. Nel caso del "terzo valico" si tratta del raccordo, dentro un corridoio europeo, con il porto di Genova". Infrastrutture, terreno difficile e insidioso: come si garantisce la trasparenza degli atti? "Ci aiuterà il nuovo codice degli appalti, già approvato dal Senato e ora in commissione alla Camera. Sarà in aula entro settembre. Si tratta dell'unico grande provvedimento approvato di fatto all'unanimità, con l'astensione di Sel e del Movimento 5 stelle." Quali sono le novità operative contenute nel codice? "È in grado di dare certezze sulla realizzazione dell'opera e irrobustire la forma dei controlli e della vigilanza, in una relazione stretta fra il ministero e l'Anac di Cantone." Secondo lei puo' bastare? "Certo se non ci saranno il senso di responsabilità e il rispetto verso l'etica pubblica, tutte le leggi del mondo non potranno mai bastare". Siamo abituati ai tempi dei canRiccardo Nencini, Vicem tieri, spesso in-

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finiti, che intralciano la vita dei cittadini: ci sono nuove regole che consentano di rispettare le previsioni e limitare i disagi? "C'è il superamento della legge obiettivo del 2001, che era nata per salvaguardare la certezza dei finanziamenti e quella dell'esecuzione dei lavori. Siccome si è rivelata inefficace, pensiamo ora di favorirne la certezza, grazie al codice appalti, sia con la riforma del titolo V della Costituzione, togliendo, sulle grandi opere, la competenza ripartita fra Regioni e Stato. Nel senso che lo Stato torna ad essere il responsabile unico, cosi saranno più contenuti i ricorsi che venivano presentati alla Corte e allungavano i tempi". Lei ha citato un tema caldo: la tassazione sulla casa. Si metta dalla parte dei cittadini: che cosa devono aspettarsi? "Nella legge di

Viceministro Trasporti e Infrastrutture

stabilità sulla casa ci saranno quattro tipologie di intervento: i bonus mobili, allargato alle giovani coppie; gli ecobonus, cioè l'incentivazione fiscale per interventi sulla casa che la rendano ecologicamente compatibile; l'housing sociale, che ci consentirà di mettere sul mercato ad affitto calmierato e a un prezzo di vendita più basso, i circa ventimila alloggi incagliati. Infine - è il quarto punto - ci sono le misure che riguardano gli sfratti per morosità incolpevole, che verranno messi a regime". La Toscana, dopo decenni di risse politiche e di campanile, sembra aver trovato l'equilibrio per sfruttare gli aeroporti di Pisa e Firenze: le incomprensioni sono alle spalle? "La scelta strategica è compiuta ed è ottima, perchè consente agli scali toscani di giocare una partita internazionale: Pisa e Firenze sono fra i dodici scali strategici del Paese. C'è da vigilare e accelerare la parte che riguarda la realizzazione delle stutture necessarie a far giocare questo ruolo. Ci sono già gli investitori e c'è già la società: il più è fatto e io sono ottimista". I ritardi potrebbero restituire a Bologna quella concorrenzialità che non è mai stata sopita ma che punirebbe la litigiosità toscana. "Ho letto anche io di un tentativo in questo senso, attraverso l'intervento di un ministro emiliano: non credo e non penso che

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succeda, anche perche è prevista in Italia una crescita di passeggeri aeroportuali tale, che c'è spazio sia per Bologna che per gli scali toscani nell'Italia centrale". Secondo lei le opere previste per il Giubileo avranno la forza di sollevare Roma o la seppelliranno ancora di più? "Spero che il Giubileo sia in grado di risollevare Roma, il governo ha messo direttamente nuovi fondi e poi c'è una serie di interventi collaterali da parte dei singoli ministeri. Per quanto è di mia competenza, stiamo lavorando sulla via Francigena, creando tutti i collegamenti logistici di mobilità. " Questa volta non si verificheranno gli "intoppi" giudiziari vissuti da Expo.... "Nel caso del Giubileo dovremmo aver giocato d'anticipo. Ci sono tre grandi eventi italiani fra il 2015 e il 2019: Expo, che sta andando verso la conclusione e passerà il testimone al Giubileo, quando finirà, nel 2016, prepariamo Matera capitale europea della cultura per il 2019. Ecco Matera sarà la prima grande operazione che faremo con il nuovo codice degli appalti." Aggiungerei il vertice del G7 a Firenze nel 2017: a meno che Renzi non cambi idea e lo dirotti a Milano o alla Maddalena, come si sente dire. Lei che informazioni ha? "Sono appena uscito da una riunione per la realizzazione della tramvia a Firenze e posso assicurarle che stiamo lavorando anche in previsione di questo vertice fiorentino".

(*Editorialista de “La Nazione”)


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CINA TRA BOOM E SBOOM

UNA LUNGA ESTATE CALDA Ornella Cilona

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l crollo dei mercati azionari, gli allarmi sulla stabilità economica e finanziaria, lo sdegno dell’opinione pubblica dopo le due esplosioni a Dongying e a Tianjin: in Cina l’estate 2015 è stata davvero incandescente in Cina. Il tonfo delle Borse orientali ad agosto ha fatto stare col fiato sospeso le piazze azionarie di tutto il mondo. Il 12 giugno di quest’anno la Borsa di Shanghai aveva festeggiato il suo massimo storico, dopo essere cresciuta del 150% in soli dodici mesi e l’euforia dei mercati era alle stelle. Gli appelli di quanti mettevano in guardia dalla bolla azionaria cadevano nel vuoto. Società quotate come Ji Lin Cheng Cheng, Hubei Landing e Shanghai Prosolar Resources capitalizzavano quasi 300 volte i propri ricavi. Nel giro di una quindicina di giorni, però, la piazza della Parigi d’Oriente ha perso il 30% della capitalizzazione e ad agosto, la caduta si è trasformata una corsa frenetica verso l’abisso. Il 24 agosto, il “lunedì nero”, la Borsa di Shangai è tornata ai livelli di gennaio e 2.200 titoli hanno perso il 10% del proprio valore. Il crollo sarebbe stato ancora più pesante senza la regola che prevede un limite massimo del 10% di variazione dei titoli, oltre il quale scatta il blocco delle contrattazioni. A essere travolti sono stati i 90 milioni di risparmiatori (in gran parte studenti e operai) che avevano creduto nella possibilità, incentivata anche dal governo, di potersi arricchire in breve tempo investendo in titoli e azioni. Il problema vero, tuttavia, non è l’instabilità delle piazze finanziarie cinesi, ma l’andamento del sistema produttivo

nel suo complesso. I dati economici diffusi negli ultimi mesi indicano, infatti, un brusco rallentamento della locomotiva asiatica. Nel mese di agosto, le esportazioni sono calate del 6,1% e le importazioni del 14,3% rispetto a un anno fa. In particolare, nei primi otto mesi del 2015 le esportazioni di auto sono diminuite del 14,8% rispetto allo stesso periodo del 2014. “Con questi dati il rallentamento globale dell’economia è divenuto realtà” ha commentato l’economista cinese Ma Guangyuan, intervistato dal quotidiano britannico Financial Times. La recente svalutazione dello yuan, avvenuta proprio ad agosto, appare dunque come una misura necessaria più a favorire la competitività delle merci nazionali che a liberalizzare la valuta. Un’astuzia, questa, utilizzata più volte dall’Italia ai tempi della lira. Anche il Pil è in frenata. A settembre, l’ufficio statistico di Pechino ha comunicato che la crescita del prodotto interno lordo, l’anno scorso pari al 7,3%, nel 2015 scenderà al 7%, il dato più basso dal 1990. L’indice Pmi, le previsioni dei direttori acquisti delle imprese relative al settore manifatturiero, è, inoltre, calato a 49,7 punti, il più basso degli ultimi tre anni. Questo dato, quando è sopra 50, indica espansione della produzione e al di sotto contrazione. Unica notizia positiva è stata nel mese di agosto l’aumento dell’inflazione al 2%, che ha per il momento allontanato lo spettro della deflazione, da sempre portatrice di recessione. Tutte queste cifre non sono di per sé allarmanti, ma sono in molti a sospet-

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tare, data la loro scarsa attendibilità, che i numeri siano ben peggiori. E’ ben noto, a esempio, che i dirigenti locali del partito comunista gonfiano le cifre sul Pil delle province per fare carriera a livello nazionale. Secondo il centro di consulenza britannico Lombard Street Research, quest’anno la crescita reale del prodotto interno lordo cinese non supererà il 3,7%. Nonostante i segnali negativi, il premier Li Keqiang vede un futuro lumi-


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noso per l’antico Impero di Mezzo. Il potenziale di crescita è enorme, ha sottolineato durante l’incontro organizzato a Dalian agli inizi di settembre dal Forum di Davos, e le riforme strutturali proseguiranno, prima fra tutte quella del mercato finanziario. Li Keqiang punta anche a un profondo cambiamento delle imprese di proprietà pubblica, giudicate troppo poco competitive, tanto da aver fatto approvare a fine agosto un ambizioso piano di ri-

forma delle società statali. Numerosi esperti internazionali sono molto meno ottimisti sul futuro. “Il miracolo economico cinese è finito”, è il parere dell’analista di Hong Kong Wo Lap Lam, secondo il quale alla fase di crescita tumultuosa segue ora una di assestamento. “Occorrono interventi correttivi sull’economia da parte delle autorità”, suggerisce l’economista David Daokui Li dalle colonne del Financial Times. Il quotidiano statunitense New York Times mette in guardia dai rischi dell’eccessivo indebitamento di Pechino: secondo la società di consulenza Mc Kinsey il debito cinese è ormai al 282% del prodotto interno lordo e ha raggiunto la cifra record di 28mila miliardi di dollari, poco meno di 25mila miliardi di euro. A preoccupare è anche la fuga di capitali verso l’estero. L’allarme su una prossima crisi finanziaria in Cina è stato lanciato a settembre dalla Banca dei regolamenti internazionali (Bri), l’organizzazione che promuove la cooperazione fra gli istituti di credito centrali. Il

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Rapporto della Bri ha messo in evidenza come sia notevolmente aumentata negli ultimi mesi l’esportazione illegale di capitali verso altri Paesi ritenuti più sicuri. Ben 109 miliardi di dollari (più di 96 milioni di euro) hanno lasciato le banche cinesi nel primo trimestre di quest’anno. Sono due sostanzialmente i motivi di questa emigrazione in massa di denaro e di titoli azionari: le preoccupazioni sulla stabilità politica ed economica del Paese e la svalutazione dello yuan, che ha falcidiato i risparmi della nuova classe media insieme con il crollo degli indici di Borsa. Le esplosioni di prodotti chimici avvenute ad agosto a Tianjin e Dongying, che hanno causato complessivamente la morte di 164 persone, hanno, infine, messo a nudo la fragilità di un sistema industriale ancora troppo basato sul risparmio dei costi a scapito della sicurezza. Lo sdegno dell’opinione pubblica si è fatto sentire in Rete, tanto che circa cinquanta siti sono stati oscurati. La rabbia per i morti si è mischiata sui social network alle proteste di quanti hanno perso i propri soldi in titoli e azioni e non si sentono più difesi dalle autorità. Il partito comunista, per evitare che questi mugugni si trasformino in opposizione politica organizzata, ha deciso un giro di vite sulle Ong che non riesce a controllare. Il disegno di legge in discussione in questi giorni vieta, infatti, alle organizzazioni non governative cinesi di ricevere fondi dall’estero e ingabbia ulteriormente l’attività di quelle straniere operanti nel Paese.


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FINANZA, MISTERI E MISFATTI Antonio Talia*

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omunque vada, ci ricorderemo a lungo del “BlackMonday” dei mercati cinesi. Tra le cause più immediate del crollo media e analisti hanno indicato la frenata che l’economia del Dragone ha subito negli ultimi mesi (troppo affidamento sulle esportazioni; scarsi consumi interni in rapporto alla popolazione) e un mercato azionario immaturo e poco regolato, nel quale tra il giugno 2014 e il maggio 2015 sono entrati 40 milioni di nuovi investitori, in massima parte completamente impreparati. Ma potrebbero esserci ragioni più lontane nel tempo e più profonde, che meritano di essere esplorate. 9 novembre 2008: a meno di due mesi dallo scoppio della crisi finanziaria globale innescata dai mutui subprime di Wall Street e dal collasso di Lehman Brothers, il premier Wen Jiabao punta esplicitamente il dito contro gli Usa, il cui debito pubblico è finanziato dalla Cina. Il governo di Pechino annuncia un imponente pacchetto di stimoli all’economia del valore di 4mila miliardi di yuan (586 miliardi di dollari); questa imponente massa di liquidità sarà distribuita nel corso di due anni e investita in edilizia, opere pubbliche, industria, trasporti e, in misura minore, sanità e istruzione. Nonostante la crisi globale, nel 2010 la Cina riesce a conseguire uno strepitoso tasso di crescita del 10,3%, tanto che, mentre Stati Uniti ed Europa annaspano, Pechino è costretta ad aumentare diverse volte i tassi d’interesse per contrastare un’inflazione che cresce a ritmi sempre più preoccupanti. Attenzione però, perché il diavolo si nasconde sempre nei dettagli, e questo è abbastanza grosso: dei 4mila miliardi di yuan del pacchetto straordinario il governo centrale fornisce solo mille miliardi e qualche altro spicciolo, mentre il resto sarà riallocato dai budget dei governi locali. La Cina – tra province, città municipali, regioni “autonome” – conta 34

gigantesche amministrazioni locali, che si trovano improvvisamente con pesantissimi tagli di budget e deficit già maturati. E dato che la carriera di un funzionario locale si basa sulle performance che riesce a conseguire, queste 34 amministrazioni devono inventarsi qualcosa, anche perché la legge vieta loro di emettere bond locali. La risposta è in un acronimo anglosassone: Lic, Local Investment Companies. Si tratta di agenzie finanziari locali semiprivate nei cui consigli di amministrazione siedono uomini legati a doppio filo alle amministrazioni locali, quando non gli stessi uomini del Partito che la mattina vestono la casacca di funzionario pubblico e il pomeriggio la giacca e cravatta del broker privato. Queste agenzie controllano un asset fondamentale, la terra, che in Cina è sempre di proprietà dello Stato e viene utilizzata come garanzia per ottenere prestiti dalle banche e finanziare così infrastrutture, grandi opere e spesso speculazioni edilizie di amicidegli-amici. Nel periodo 2009-2011 in Cina si costruisce di tutto, ovunque. La crescita prosegue, l’inflazione cresce, i prezzi delle case raggiungono livelli stellari e si genera quella che secondo Bo Xilai, molti analisti è una gigantesca bolla l'ex leader comunista immobiliare: al comune cittadino cicondannato all'ergastolo nese è vietato investire su molti fronti (in quegli anni le Borse sono iper-regolamentate), e il mattone diventa il principale canale di investimento. Contemporaneamente le Lic accumulano debiti perché, magari, la superstrada che collega due città di terza categoria non genera grandi introiti o, forse, perché molto denaro è rimasto “appiccicato” alle mani di funzionari corrotti. Conseguenza? le quattro grandi banche cinesi accumulano una massa di crediti inesigibili. L’entità dei prestiti ottenuti dalle Lic è un rebus avvolto in un mistero racchiuso in un enigma, ma se una stima ufficiale del 2011 li fissa a quota 7660 miliardi di yuan (di cui il 26%

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le banche non rivedranno mai più e un 50% dall’esito incerto), i calcoli di economisti indipendenti arrivano addirittura a quota 11mila miliardi di yuan, vale a dire alcune migliaia di miliardi di dollari. Accanto a questa situazione creditizia già molto confusa corre un canale ancora più limaccioso, quello delle cosiddette “banche ombra”. Si tratta di un canale finanziario “parallelo” e informale affidato a società simili alle trust companies e anche a privati, che presta denaro agli imprenditori piccoli e medi con cui le grandi banche non si impegnano, a tassi d’interesse che possono arrivare a 14 volte quelli applicati normalmente. Di solito si tratta di liquidità pronta, utile a pagare il fornitore di turno, ma nel 2011 nella città di Wenzhou (nove milioni di abitanti, di cui il 90% coinvolto tanto come debitore che come creditore) questo sistema si inceppa per qualche settimana, provocando una serie di fallimenti a catena a cui

solo il governo centrale può porre rimedio con un intervento diretto. “La crisi di Wenzhou” viene ripianata, ma il sistema delle “banche ombra” genera diversi allarmi. Nel 2012 la politica cinese produce lo scandalo più clamoroso degli ultimi vent’anni: dietro il caso Bo Xilai, un intrigo a base di omicidi misteriosi, fughe nei consolati Usa e insabbiamenti, si nasconde un gigantesco scontro per arrivare ai vertici del Partito comunista cinese nel congresso che si sarebbe svolto nel novembre seguente. Semplificando all’osso: la fazione di Bo Xilai e soci, favorevole alla spesa pubblica e al mantenimento dello status quo, viene decimata da quella del presidente Xi Jinping e del premier Li Keqiang, fautori di alcune riforme come una maggiore liberalizzazione dei mercati finanziari. E arriviamo così agli sviluppi recenti. Dopo aver arginato la bolla immobiliare con misure draconiane, lo scorso anno il governo cinese rende accessibili le

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Borse a un’enorme fetta di popolazione, che può finalmente abbandonare il mattone e lanciarsi sulle azioni di una miriade di società. Per investire in Borsa i cittadini cinesi sono disposti a indebitarsi, anche con le “banche ombra”. E gli stessi organi di controllo che dovrebbero vigilare sulle società quotate sembrano disposti a chiudere un occhio sui veri requisiti, come mettono in luce un rapporto del Credit Suisse e il caso Hanergy, il primo produttore cinese di pannelli solari che, nel maggio scorso, si è rivelato poco più di una scatola vuota dai conti truccati. Dopo il rovinoso crollo del 24 agosto, su Pechino incombono due domande: le quattro principali banche cinesi hanno liquidità sufficiente? E quanto è compromesso il sistema bancario del Dragone nella sua interezza? Anche questo sembra un rebus, avvolto in un mistero, racchiuso in un enigma. *Autore di “I giorni del dragone. Un anno di intrighi politici a Pechino” (casa editrice Informant)


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IL LABORATORIO ITALIANO Francesco Galietti*

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e comunità di analisti di rischio politico di tutto il mondo stanno scenarizzando i possibili esiti dello sboom finanziario cinese. Uno degli scenari finora passati più in sordina nell’info-sfera occidentale descrive una potenza, Pechino, che si scopre improvvisamente fragile. Priva tanto delle forze propulsive interne quanto di quelle esterne, agli occhi dei mercati di capitali la Cina rivela più che mai le forti asimmetrie precedentemente condonate in cambio di una crescita gagliarda e del generoso sostegno offerto ai debiti sovrani del Vecchio Continente e di Washington. Nell’eventualità di un

ricalibramento fiduciario, molti investimenti migreranno verso gli States e l’Europa. Anche l’Italia, nonostante la ben nota combinazione tra squilibrio demografico, volatilità politica, crescita anemica e debito ipertrofico, si rivela un porto comparativamente sicuro per il nomadismo globale dei risparmi. Per Roma, si dirà, sarà una piacevole brezza geoeconomica. Un po’ come il prezzo del barile basso e il quantitative easing di Draghi, e al contrario delle sanzioni alimentari della Russia che hanno danneggiato uno dei settori più vivaci dell’export tricolore sul fronte orientale. La prospettiva di un beneficio a breve

La sede della Cassa Depositi e Prestiti

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termine rappresentato da capitali in fuga da Pechino che sostano in Occidente rischia tuttavia di far sottovalutare il nervosismo dei vertici cinesi di fronte al rischio di una perdita di fiducia da parte della grande finanza globale e a quello di macromasse tumultuanti di aspiranti classi medie cinesi. Queste ultime si vedono passare allo “stadio Buddenbrook” senza aver prima gustato il sapore pieno della borghesia. Si tratterebbe di un “salto” che ricorda da vicino quello previdenziale, esito di politiche di programmazione demografiche che hanno accomunato Pechino all’Occidente nelle sue piaghe più problematiche, senza tuttavia ga-


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rantirle un periodo di prosperità altrettanto esteso. gli azionisti di minoranza di banche e assicurazioni tricoQuali saranno, dunque, le reazioni della Cina? A doverselo lore, come il disporre di ottima stampa. chiedere sono soprattutto le democrazie occidentali, negli Il salto di qualità negli investimenti cinesi in Italia – da fiultimi anni destinazione privilegiata di un massiccio flusso nanziari a strategici e di influenza - si nota anche nella di investimenti cinesi. E se un recente report di Dagong tendenza a investire in “asset culturali” o di intrattenimento Europe, l’agenzia di rating cinese il cui quartier generale è variamente inteso. La narrativa popolare è in particolare a Milano, certifica che l’Italia è balzata al secondo posto che il calcio sia lo sport preferito da Xi Jinping, ma le dein Europa dopo l’Inghilterra, qualche interrogativo dovrà cisioni del governo cinese partono da considerazione ben sorgere anche dalle nostre parti. più ragionate. Nel marzo scorso il L’Italia, ciclicamente terra di conConsiglio di Stato cinese ha lanquista per stranieri, ha ultimaciato, con grande risonanza memente fatto da apripista negli indiatica, le linee guida per lo svivestimenti cinesi in settori luppo del calcio, partendo dalle considerati universalmente strascuole e arrivando a livelli profestegici schiudendo ai cinesi di sionistici. A questa dimensione di China State Grid le reti elettriche consenso domestico va aggiunta (Terna) e del gas (Snam). Ha poi la costruzione di una articolata ammesso il fondo sovrano cinese strategia esterna di soft power, meal gran ballo del capitalismo mudiante il coinvolgimento di openicipale accogliendolo in F2I, il ratori privati caratterizzati da forte fondo specializzato in infrastrutprossimità alla politica. È il caso ture locali partecipato dalla Cassa dell’acquisto da parte del gruppo Depositi e Prestiti. Senza parlare Wanda di Infront, il gigante elvedella lunga lista di investimenti tico che gestisce diritti televisivi in società quotate, spesso per del calcio, e che ha un terzo del quote che fanno scattare gli obproprio fatturato proveniente blighi di pubblicità e dunque dalla Serie A italiana. Mr. Wang, sono notate dal pubblico. È lecito il dominus di Wanda, è un tycoon sostenere che, oltre alle tradizioprivato legato a filo doppio al ponali strategie di investimento in litburo cinese. Particolarità che Wang Jianlin, dominus dei diritti del calcio italiano in tv asset liquidi, Pechino grazie a fece dire a Joe Nye, in una mequesti investimenti particolarmorabile litigata con Wang al mente “visibili” abbia anche conWorld Economic Forum Davos di seguito un miglioramento nel gradimento da parte degli qualche anno fa, che Wang è “l’incarnazione del soft italiani. Tanto è vero che Pew, il centro di sondaggi amerpower cinese”. icano, ha riscontrato un gradimento in crescita dal 27% Di qui la domanda: quanto è consapevole Roma di essere del 2007 al 40% del 2015, anno del boom di investimenti uno dei maggiori laboratori strategici cinesi in Occidente? nel Belpaese. Un discorso a sé meritano poi gli investimenti Quanto è attrezzata a sostenere increspature nei rapporti nelle banche italiane. Lo shopping nelle banche italiane di forza globali? Come potrà far fronte ad azioni di condiinfatti consente più di altri di contemperare strategie fizionamento strategico? nanziarie con altri benefici di cui tradizionalmente godono *Analista indipendente di rischio politico-regolatorio

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IMMOBILI? PIÙ FLESSIBILITÀ

INCHIE

STA

IL CALVARIO DELLA CASA Pietro Romano

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ia la Tasi sulla prima casa a partire dal 2016. L’ha promesso il premier Matteo Renzi. Al suo annuncio hanno esultato i circa venti milioni di proprietari e le loro associazioni. Eppure, mediamente, risparmieranno tra i 183 euro annui in provincia e i 230 nei capoluoghi, eccezion fatta per i limitati possessori di ville, palazzi e castelli. La casa è da sempre un argomento sensibile nel nostro Paese. Oltre al record di proprietari è soprattutto significativa la concentrazione di investimenti in immobili (quasi l’80 per cento del totale) nelle ricchezze delle famiglie italiane. Intervenire sulla imposizione, quindi, può spostare con facilità (e relativa scarsa spesa) simpatie politiche in abbondanza. Se si volesse cominciare a intervenire sulle storture fiscali nazionale, però, sarebbe meglio guardare altrove. L’Ocse ha rilevato che la tassazione sulla casa pone l’Italia al nono posto tra i Paesi avanzati con un prelievo medio sul patrimonio pari al 2,6 per cento del prodotto interno lordo, in una posizione intermedia tra i fortunati proprietari dell’Estonia (0,3 per cento del Pil) e i meno fortunati proprietari britannici: nel Regno Unito il prelievo complessivo è il più alto dell’Ocse e si situa al 4,2 per cento del Pil. Eppure, a leggere le cronache del “Financial Times”, non si scoprono mai proteste rumorose e richieste pressanti di riduzione della tassazione immobiliare. La resa dell’investimento oltre Manica evidentemente compensa il prelievo. Sono altri i settori dove il prelievo grida vendetta: prima di tutto sul lavoro e sui redditi da impresa, dove arriva al 63 per cento e giustifica ogni scappatoia per nascondere gli utili. Ma, come si è detto, intervenire su un bene così diffuso in Italia è politicamente più vantaggioso che su altri punti deboli. Tanto, è il discorso, la diffusione della proprietà immobiliare è tale che il risparmio coinvolge la grande maggioranza dei cittadini (e degli elettori) italiani. Intanto i comuni hanno già fatto sapere che i cinque miliardi garantiti dall’imposizione immobiliare dovranno arrivare

da un’altra parte ed esiste il rischio concreto, quindi, che la fiscalità generale debba accollarsi anche quest’altro onere, considerato che né al centro né in periferia si annusa aria di taglia alla spesa. Un onere che peserebbe, però, sulla competitività e i consumi, ammazzando nella culla la gracilissima ripresa. La politica non sembra essersi accorta che gli anni della crisi hanno cominciato a cambiare anche il rapporto tra la casa di proprietà dove vivere e la società italiana. Dal 2007 al 2014 la quota di residenti che vive nella casa di proprietà è calata, infatti, di dieci punti percentuali. Mentre, tra il 2004 e il 2014, secondo una ricerca di Confcommercio, le spese fisse per la casa sono raddoppiate e oramai succhiano quasi un quarto delle spese complessive di una famiglia italiana media. La necessità di rincorrere il lavoro dovunque si trovi e l’obbligo di formarsi ai livelli più elevati stanno spingendo, quindi, a diventare più “nomadi”, mentre le generazioni del posto (e dell’assegno pensionistico) assicurato stanno, per ragioni di età, assottigliandosi. La politica deve interpretare il presente più che con gli occhiali del passato, con le lenti del futuro. Negli anni della crisi il settore delle costruzioni nel nostro Paese è stato flagellato ed è quello che ha perso di più in fatturato e occupazione. Mentre il patrimonio immobiliare, realizzato perlopiù fino agli anni settanta, è andato deperendosi sempre di più. In particolare le costruzioni del dopoguerra sono pessime. Serve un ampio piano di risanamento, il cui valore moltiplicatore (lo ha calcolato con dovizia di particolari Cna Costruzioni) sarebbe in grado non solo di assorbire una parte significativa dell’investimento pubblico iniziale ma anche di dare una mano cospicua alla ripartenza del sistema Paese. Serve, inoltre, una legislazione che riesca veramente a far fruttare le proprietà immobiliari, facilitando l’incontro tra domanda e offerta non solo nell’affitto, ma anche nelle opportunità dell’economia del terzo millennio all’immobiliare, dai bed & breakfast all’Airbnb.

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LA STRATEGIA DI BENI STABILI

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L’IMMOBILE TIRA SE È “SOSTENIBILE”

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a ripresa cammina sulle gambe anni in cui la crisi ha picchiato più del mattone. Lo dimostra la duro, quando ai vertici di Beni Stabili pioggia di investimenti caduta si è compreso che, una volta – si sul settore immobiliare che, tanto spera – usciti dal tunnel, nulla sarebbe per fare un esempio, nei primi tre stato più come prima e si è coerentemesi del 2015 ha raccolto capitali mente intervenuti sulla scorta di queper 1,9 miliardi, l’equivalente dei sta giusta riflessione. Non è un caso primi sei mesi del 2015. Investimenti che perfino dalla misurata Banca che hanno suscitato interesse per le d’Italia sia arrivato l’avvertimento più importanti società del comparto, che i valori immobiliari medi che si a cominciare da Beni Stabili, storica spuntavano in Italia nel 2007 sarebquotata sulla quale si sono appuntati bero stati raggiunti nuovamente solo anche i riflettori degli analisti. Perfino nell’arco di alcuni Goldman Sachs ha inserito il titolo lustri. nella propria “convinction buy list”. Nel 2015 A spingere a questo passo la banca Beni Stabili d’affari americana i recenti inveha già constimenti, le riforme avviate dal dotto in Governo e, soprattutto, le proporto due spettive per il mercato dei progetti operaziodi valorizzazione del patrimonio ni molto immobiliare pubblico. rilevanti L’aria che tira si è percepita già dai con Teleconti della semestrale di Beni Stabili. com Italia e La prima metà del 2015 ha fatto con la Cassa emergere un netto miglioramento depositi nell’andamento della società guidata dall’amministratore delegato Aldo Mazzocco. Nel dettaglio, nei primi sei mesi del 2015 Beni Stabili ha archiviato un utile netto per 27,4 milioni contro una perdita di 66,7 milioni accumulata nello stesso periodo del 2014. E’ il risultato della trasformazione del Aldo Mazzocco, AD Beni Stabili portafoglio negli

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e prestiti immobiliare. A maggio Beni Stabili ha firmato un importante accordo quadro per il rafforzamento della collaborazione con Telecom Italia, in essere ormai da quindici anni. Questa intesa prevede, tra i punti principali: 1) un significativo miglioramento della visibilità dei flussi di cassa locativi grazie all’estensione della durata media dei contratti di locazione dagli attuali sei o sette anni a oltre quindici anni; 2) il riacquisto da parte di Telecom Italia di due immobili entro la fine del corrente anno a prezzi di mercato; 3) un co-investimento mirato su alcuni immobili, finalizzato all’ammodernamento del portafoglio; 4) la piena valorizzazione nel medio termine di alcune superfici di grande valore a Milano, Roma e Napoli. Beni Stabili, insieme ad alcuni partner, si è poi aggiudicata un portafoglio costituito da cinque immobili, oltre a un’area edificabile, tutti nel comune di Milano, messi in vendita da Cdp immobiliare. I due immobili acquisiti da Beni Stabili, nel pieno centro di Milano, si inseriscono nella strategia di rotazione del portafoglio di Beni Stabili Siiq, mirata all’incremento della componente “uffici sostenibili in classe A” nel cuore del capoluogo lombardo, l’area da dove stanno arrivando i segnali più significativi di ripresa del mercato immobiliare italiano, dove già la società possiede più della metà del suo portafoglio complessivo, che vale circa quattro miliardi di euro. (a cura dell’Ufficio Marketing)


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TAVERNA, PRESIDENTE DELLA FIMAA

“ORA SI COMPRA BENE” “Negli ultimi sei, sette anni la crisi economica e la scure fiscale hanno portato a un crollo del valore complessivo del patrimonio immobiliare italiano per circa 1.600 miliardi. Questo significa che la crisi ha influito pesantemente sul mattone mandando in fumo una cifra vicina al Prodotto interno lordo dell’Italia. Nell’ultimo periodo il mercato, come confermato dal sentiment degli operatori Fimaa, sembra dare timidi segnali di ripresa nel numero delle compravendite anche se i prezzi potrebbero subire ancora assestamenti. Ma per una ripartenza vera e propria del settore è indispensabile che cambi in positivo lo scenario economico dell’intero Paese. Occorre infatti che il Pil ritorni a crescere e che la disoccupazione, soprattutto verso i giovani, diminuisca. Se a questo si aggiungerà la discesa dell’imposizione fiscale, la riduzione del credit crunch e un riordino delle imposte, allora si potrà parlare di ripresa concreta per il comparto immobiliare attraverso l’effettiva possibilità di mutui finalizzati all’acquisto di un’abitazione. Santino Taverna, Presidente Fimaa Non si tornerà ai fasti di dieci anni fa quando si effettuavano circa 850mila compravendite all’anno per il solo comparto residenziale, ma si realizzeranno, è il nostro auspicio, le condizioni ideali per avviare la vera ripresa di un settore che contribuisce al 20% del Pil nazionale”. Parola di Santino Taverna, varesino, agente immobiliare da oltre 35 anni, da luglio presidente nazionale della Fimaa (Federazione italiana mediatori agenti d’affari) che riunisce oltre 11mila imprese associate alle federazioni territoriali. Ritiene che una eventuale riduzione della tassazione sulla

prima casa potrà far ripartire il mercato? E come dovrebbe essere impostata, a suo parere, la tassazione della filiera immobiliare? Siamo convinti che l’elevata pressione fiscale su imprese e famiglie costituisca una zavorra pesantissima per la ripresa economica. Una riforma finalizzata alla riduzione della pressione fiscale è la premessa fondamentale per far ripartire l’economia del Paese. Ridurre le tasse sul mattone riordinandole in un’unica tassa sulla casa, la local tax, come ha annunciato a più riprese il premier Renzi, è un percorso indispensabile per mettere ordine nella confusione generata negli ultimi anni, tra abolizioni e rientri rincarati di imposte sugli immobili. La cautela sull’abolizione di Tasi e Imu rimane d’obbligo fintanto che non sarà realizzata. E se il taglio di Tasi e Imu, annunciato dal premier Renzi e da più parti nel governo, avverrà senza aggredire la spesa pubblica centrale allora ci riserviamo delle perplessità. Non vorremmo che il minor gettito ai comuni li costringesse ad innalzare sotto altre vesti le tasse locali. Il rischio potrebbe essere la creazione di nuovi squilibri economici con un Paese che entro il 31 dicembre, dovrà onorare una clausola di salvaguardia da 16 miliardi di euro, pena l’aumento di Iva e accise per quell’ammontare. Pertanto l’annuncio del taglio delle imposte sulla casa dovrà sottostare alle relative coperture indispensabili per la possibile attuazione. In passato abbiamo assistito a spot di propaganda politica che gradiremmo non si ripetessero, senza la possibilità per i cittadini di capire di chi siano le responsabilità derivanti da tassazioni più elevate e riduzione di servizi pubblici.

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Che cosa propone per rilanciare il settore immobiliare? Per il rilancio effettivo del settore non ci sono ricette predefinite. Tutto dipende dall’andamento dell’economia italiana nei prossimi mesi per capire se effettivamente si potrà parlare di crisi alle spalle. A livello macroeconomico è il Pil a incidere in maniera profonda sul mercato immobiliare. In America abbiamo visto che il mercato è ripartito dopo che il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti si è consolidato con un segno positivo importante. Il settore immobiliare solitamente riparte un anno dopo la fine della crisi a ripresa della fiducia e consolidamento economico già avviati. Nel caso dell’Italia, dato che gli indicatori economici evidenziano segnali positivi, possiamo affermare che dopo anni di sofferenza dovremmo essere finalmente sulla strada giusta, anche se per la ripresa dei valori immobiliari servirà ancora pazienza. Nuove abitazioni o risanamento del patrimonio esistente: alternative credibili oppure solo false opzioni? Anche in questo caso non ci sono ricette prestabilite. Bisognerebbe entrare nel merito di molteplici particolari di singole situazioni, oltre all’ubicazione degli stessi immobili da prendere in esame. In medio stat virtus, si tratta di analizzare e di trovare il giusto equilibrio, tutelando lo sviluppo armonico dei territori coinvolti. Un esempio potrebbe arrivare da Milano, dai progetti di riqualificazione di City Life nell’ex quartiere storico della Fiera o dalle nuove residenze di Porta Nuova che anche grazie alla spinta dell’Expo 2015

rappresentano un contributo significativo alle eccellenze italiane attraverso un nuovo modello residenziale e terziario contemporaneo e innovativo. La crisi ha diminuito il numero di famiglie italiane che vivono nell’abitazione di proprietà. Non tanto perché non si sono più potute permettere il “lusso” di una casa in proprietà quanto perché l’emorragia occupazionale ha costretto a cercare il lavoro in altri lidi. Un cambiamento culturale oppure una scelta transitoria? Non definirei una casa di proprietà un “lusso” ma un diritto per tanti cittadini che soprattutto nel nostro Paese hanno radicato questa cultura. Dall’inizio della crisi, le famiglie italiane hanno dovuto abbandonare il “sogno” di una propria casa costretti da più esigue risorse economiche disponibili da veicolare al mantenimento della famiglia ed al pagamento del canone di locazione. Questa tendenza, dettata dalla crisi globale degli ultimi anni e dalla relativa carenza occupazionale, ha portato a una stagnazione del mercato immobiliare oltre che alla perdita di valore degli immobili considerati come bene

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rifugio per la tutela del proprio risparmio. Le famiglie hanno spesso dovuto far fronte alle spese necessarie per lo studio e i trasferimenti dei propri figli, senza peraltro la certezza di un posto di lavoro se non in altri Paesi. Ciò non significa che il mercato immobiliare italiano non sia destinato alla ripresa, ma che la globalizzazione e la crisi economica hanno mutato profondamente il sistema socio-economico a cui eravamo abituati. Nel periodo di crisi sono stati spesso gli investitori stranieri ad alimentare il mercato immobiliare italiano del lusso attirati dal ribasso del prezzi. Siamo un Paese morfologicamente invidiabile con città d’arte ineguagliabili che continuano a suscitare un forte appeal. Per gli operatori immobiliari si tratta anche di trasformare la parola “crisi” in “cambiamento” adeguandosi alle mutate esigenze del mercato che pretende sempre maggior qualità di prodotto e servizi. La prima vera ricchezza di qualsiasi imprenditore rimane sempre il consumatore. È verso di lui che servirà una maggior attenzione e se la ripresa si consoliderà come ci auspichiamo si dovrà essere pronti a cogliere qualsiasi opportunità. Se il Pil italiano ricomincerà a crescere, anche l’intera filiera immobiliare potrà coglierne i vantaggi. I prezzi degli immobili sono diminuiti e oggi più che mai c’è la possibilità di comprare bene e consolidare il proprio risparmio. Sono sicuro che con le incertezze dei mercati e la crisi quasi alle spalle, puntare sul mattone è sempre la scelta corretta che offre le migliori garanzie di investimento. (Re.NF)


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MARCO SPERETTA (GABETTI)

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PUNTARE SULLA RIQUALIFICAZIONE

Marco Speretta

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l suggerimento di Marco Speretta Chief Operating Officer & Chief Financial Officer - Gabetti Property Solutions (Gabetti) Puntare sulla riqualificazione Il mercato immobiliare sembra iniziare a dare qualche segnale di ripresa. Le condizioni, ovviamente, non sono le stesse in tutta Italia,

come le sembra la situazione lombarda e, in particolare, quella di Milano? La ripresa è partita dalle grandi città e, in generale, dai capoluoghi. La Lombardia, che rappresenta circa il 20% delle transazioni residenziali nazionali, ha chiuso il 2014 con un +3%. In particolare, Milano, nel 2013, aveva anticipato i trend nazionali, chiudendo in positivo (+3,4%), confermando il trend nel 2014 (+5%) e nel primo trimestre 2015 (+2%). In ambito corporate, abbiamo riscontrato segni positivi per il capoluogo lombardo anche nel mercato Office e in quello Investment. Gabetti come sta vivendo questo momento? A nostro giudizio, il futuro è rappresentato dalla riqualificazione dell’esistente; in questa direzione si inserisce Gabetti Condominio, che gestisce e amministra direttamente sia patrimoni immobiliari complessi di clienti istituzionali sia condomini di clienti

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privati, anche grazie agli amministratori Gabetti Condominio in franchising presenti sul territorio. E’ inoltre in corso un progetto pilota per coinvolgere il Gruppo Gabetti in The Green Hub, un servizio, lanciato da Finint, per la gestione chiavi in mano dell'iter completo di ristrutturazione e di riqualificazione energetica di un edificio. Tornando al mercato immobiliare in generale, quali pensa che potranno essere gli sviluppi a breve e medio termine? Per quanto riguarda il residenziale pensiamo ci possa essere una crescita contenuta delle transazioni, accompagnata da una lieve diminuzione delle quotazioni. In ambito corporate, si conferma una domanda orientata ad immobili prime nei mercati di Milano e Roma, con una sempre maggiore attenzione al grado degli immobili, in termini di efficienza e risparmio sui costi di gestione. (M.B.)


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ILARIO TOSCANO

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IL MERCATO RIALZA LA TESTA

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l mercato immobiliare italiano ha finalmente rialzato la testa e questo è avvenuto perché in tutti questi anni si è verificato un forte ribasso dei prezzi e questo aspetto, unito all’apertura da parte degli istituti di credito nella concessioni di mutui, ha contribuito ad una crescita del numero di compravendite. Gli acquirenti, grazie al forte ribasso dei prezzi, sono diventati sempre più concreti nel procedere all’acquisto nella convinzione che per i prossimi anni ci sarà un’ottima rivalutazione del mattone”. A spiegarlo è Ilario Toscano, presidente e amministratore delegato dell’omonimo gruppo immobiliare. I tassi d'interesse bassi, il clima di fiducia, l'iniezione di liquidità da parte della Banca centrale europea potrebbero insomma garantire un 2015 ulteriormente positivo almeno in questo settore anche perché i prezzi di vendita delle abitazioni dovrebbero rimanere bassi e appetibili. “A trainare il mercato sono sempre le grandi città e le città d’arte”, spiega Toscano. “La crisi in questi anni ha colpito in modo generalizzato il territorio italiano, ma in particolare i piccoli centri e le periferie; le zone in cui si è avvertita meno invece sono soprattutto i centri storici delle grandi città e in questa fase di ripresa confermiamo che sono le medesime aree in cui assistiamo ad una richiesta maggiore. Qui infatti le quotazioni imIlario Toscano mobiliari hanno preservato maggiormente il valore degli immobili, in modo particolare nelle città di Roma e Milano”. Nel dettaglio la Capitale ha chiuso il primo semestre con circa 14mila compravendite, segnando una crescita del 3 per cento rispetto allo scorso anno, mentre Milano con circa 8300 compravendite è salita del 3,5 per cento circa. A Roma il valore della compravendita media è diminuito del 17,3 per cento rispetto allo scorso anno, attestandosi sui 330mila euro: un

fattore quest’ultimo dovuto sia a una diminuzione delle quotazioni, sia delle metrature vendute nella prima metà dell’anno. Al momento, infatti, le più appetibili sono rappresentate da tagli fino a 85mq che rappresentano circa il 50 per cento del venduto; il 25 per cento è composto da metrature dai 90 ai 120 mq e il rimanente 25 per cento da metrature oltre il 120mq. “Assistiamo ad una ripresa dei tagli medio piccoli, con una particolare concentrazione della metratura compresa tra i 70 e i 90 mq”, spiega Toscano, “ e questo è avvenuto anche perché tutti gli acquirenti che prima avevano un budget con il quale potevano ambire al massimo ad un piccolo taglio (fino a 65 mq), oggi possono avvicinarsi con maggiore capacità di acquisto - grazie al forte calo dei prezzi - ad un taglio medio. Complice l’imminente Giubileo, a Roma è da segnalare anche la ripresa delle compravendite a uso investimento: come in altre città italiane si sta infatti diffondendo una nuova tipologia di investimento immobiliare, legata all’affitto dell’immobile. Da contratti di lungo periodo a contratti a breve, che potrebbero generare maggiori introiti per il proprietario. Oggi per citare un esempio pratico, un piccolo trilocale a Roma, situato in una zona a ridosso del Centro Storico, quale San Giovanni, viene affittato mediamente a mille euro al mese per il lungo periodo, mentre con l’affitto breve la richiesta è di 450/500 euro a settimana. Il mercato insomma si sta lentamente stabilizzando, ma che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? “Prevediamo almeno altri due anni con quotazioni immobiliari più o meno invariate, durante i quali si consoliderà la crescita del numero di scambi immobiliari”, spiega Toscano. “Successivamente i prezzi torneranno a crescere, ma sarà una ripresa lenta, via via consolidata dall’aumento delle compravendite, che rappresenterà l’apertura di una nuova fase del mercato immobiliare italiano”. (G. R.)

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LA RICETTA DELL’IMPRENDITORE

DUE ITALIE? NO, GRAZIE Katrin Bove

“T

ra il 2007 e il 2013 il valore aggiunto dell’industria avere una parte del Paese sottosviluppata e in perenne stato di meridionale si è ridotto di quasi 30 punti percenbisogno, da utilizzare come serbatoio di voti. Purtroppo, al sud, tuali, il doppio del Nord, ma le agevolazioni alle assistiamo a un silenzio imbarazzante, che io definirei mortale, imprese sono calate del 76 sul totale nazionale. E’ senz’altro podi fronte a politiche di sviluppo sempre promesse e mai messe sitivo, quindi, che sui giornali si torni a leggere di Mezzogiorno in campo. I fondi destinati a investimenti per il Mezzogiorno e più è elevata la discussione, più aumenta il livello di consapesono sempre più dirottati verso il nord, nulla si è fatto per le volezza di un Paese ormai, di fatto, diviso in due”. Ne è convinto grandi infrastrutture, l’alta velocità è prerogativa del centro-nord. Franco Solimando, lucano,ingegnere e imprenditore nei settori La stessa regione Basilicata deve intervenire con estrema urgenza più innovativi, titolare di Vis Elete far sì che vengano messe in trica, azienda che opera in tutta Itacampo tutte le risorse finanziarie lia nelle fibre ottiche. della programmazione comuniEppure, nonostante discrepanze taria 2014-2020, mentre ci si afdel genere, c’è chi parla, anche ai fanna a spendere ancora i soldi massimi livelli istituzionali, di della vecchia programmazione. Sud piagnone… C’è bisogno di sinergie fra tutti i Lo stereotipo del Sud piagnone e comparti dell’economia. La piclegato a logiche assistenziali non fa cola e media industria locale è più presa, se si eccettuano alcuni pronta a fare la sua parte, ma ha ambienti dominati da sottoculture. bisogno dell’intervento propulIl rapporto Svimez pubblicato a sivo e di quelle condizioni che fine luglio disegna un Paese diviso creano un contesto positivo che e diseguale, dove il sud scivola semsolo la politica, attraverso la propre più nell’arretramento. Per il setgrammazione di medio-lungo timo anno consecutivo la crescita periodo, può realizzare. Dott. Franco Solimando del pil del Mezzogiorno rimane neL’utilizzo dei Fondi europei gativa. Il divario di pil pro capite è tornato ai livelli di quindici nelle regioni meridionali non è stato esemplare. Ma si può anni fa. La fotografia che emerge dell’economia del Mezzogiorno delegare solo ai Fondi europei le politiche per il Mezzoè allarmante. Se ne deduce che senza politiche di coesione non giorno? si va da nessuna parte: il Paese o cresce tutto insieme o non Il fenomeno del reflusso dei Fondi europei è una delle carattericresce affatto. La coesione sociale è forse il problema principale stiche negative delle regioni meridionali, Basilicata compresa. dell’Italia, con un centro-nord che va verso l’Europa e un sud Ma anche laddove si fanno registrare buone performances di che si dirige verso la Grecia. spesa, non è detto che questa spesa sia in grado di generare un’efIl Mezzogiorno assorbe il 26,5 per cento della produzione fettiva ricaduta sull’economia e sul tessuto socio-economico dei centro-settentrionale. Cento euro di investimenti al Sud atterritori. Quello che conta è la qualità della spesa e non la quantivano produzione per 40 euro nel Centro-Nord. Le due aree, tità. Ma le politiche per il Mezzogiorno debbano avere una insomma, sono fortemente connesse. Ma nella classe dirigente visione più ampia rispetto ai Fondi europei, perché l’attenzione italiana, politica, economica, culturale, a suo parere esiste delle istituzioni preposte e il buon funzionamento della Pubblica questa consapevolezza? amministrazione hanno una rilevanza fondamentale, che spesso Questi dati dimostrano che il Paese o cresce tutto insieme o non travalica la disponibilità e l’utilizzo delle risorse finanziarie. cresce affatto. Non so se la classe dirigente italiana ne sia consaChe cosa potrebbe fare il Sud per se stesso? pevole. Di sicuro, a una fetta della classe politica fa comodo Non è corretto gettare la croce addosso solo alla classe politica,

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Matera, capitale europea della cultura

perché è tutta la società, cioè siamo tutti noi, a dover compiere un salto culturale effettivo. La spettacolarizzazione di certi funerali al Sud è sintomatica di quanto ci sia ancora da fare. La mia provincia vive una fase particolare dopo la nomina di Matera a capitale europea della cultura per il 2019. Tuttavia, il contributo che i settori creativi e culturali possono apportare allo sviluppo sociale ed economico non è ancora pienamente riconosciuto. La globalizzazione e il passaggio al digitale comportano grandi sfide per questi settori, che vanno incoraggiati ad adattarsi alle nuove opportunità per realizzare appieno il loro potenziale e per valorizzare la tradizionale eccellenza dei territori, renderla un vantaggio comparativo sulla scena mondiale. La stessa Unione europea propone una strategia per trarre il massimo contributo dai settori creativi e culturali per la crescita e l’occupazione. In questo contesto in evo-

luzione, l’accesso ai finanziamenti resta una delle principali difficoltà. Il settore bancario non possiede, infatti, le competenze necessarie ad analizzare e valutare i modelli di business di questi settori. La crisi economica e finanziaria rende la situazione ancora più difficile proprio nel momento in cui sarebbe necessario un adeguamento degli investimenti. Anche gli imprenditori di questi settori devono essere aiutati a capire meglio i meccanismi della pianificazione aziendale, delle richieste e dell’utilizzo dei finanziamenti destinati alle attività e alla crescita delle loro aziende, della competizione globale. Ricordiamo che competenza deriva da cum-petere, cioè chiedere insieme. Ma anche la politica nazionale potrebbe fare molto… In inglese abbiamo due parole per definire il vocabolo italiano “politica”: policy, che significa cercare di risolvere i problemi, e politics, che significa cercare il

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consenso popolare. In Italia si fanno troppe politics e poca policy. Il ruolo del pubblico è importante, ma non fondamentale. Com’è accaduto per la candidatura di Matera 2019, penso che la carta vincente sia la partecipazione delle comunità a percorsi condivisi di policy. Ritengo fondamentale, comunque, una proficua collaborazione tra pubblico e privato. Credo che la strada giusta per rilanciare le aree interne, come la provincia di Matera, sia quella di costruire percorsi di condivisione tra comuni cittadini e istituzioni locali. La collaborazione tra pubblico e privato è diventata ormai una carta vincente quasi ovunque, a patto però che sia reale e non di facciata. La collaborazione tra imprese ed enti di ricerca per progetti di trasferimento tecnologico e innovazione può portare benefici in maniera trasversale a tutti i settori dell’economia. Dal punto di vista imprenditoriale, le cosiddette partnership pubblico privato (Ppp), promosse dall’Ue, si basano sulla fiducia reciproca e su obiettivi comuni da raggiungere. Bisogna, però, che la Pubblica amministrazione si limiti a creare le condizioni per la collaborazione e lasci alle imprese il compito di realizzare gli obiettivi e di trarne i benefici economici. Riguardo ai comuni cittadini, in Italia esistono diversi esempi di open government o di amministrazione condivisa, come a Bologna, città pilota di un progetto a livello nazionale per la cura dei beni comuni urbani. Ma francamente non so se noi al sud siamo pronti per esperienze del genere. E’ arrivato il momento di porselo perlomeno come obiettivo…


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DOSSI

COMBATTERE CRISI E AMBIENTE

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VERSO LA GREEN ECONOMY Gian Piero Joime Il problema della vulnerabilità della specie umana non è certamente nuovo ma in questi tempi è diventato sempre più tangibile e trasversale, sia dal punto di vista geografico che da quello sociale. I cicli di squilibrio economico si susseguono improvvisi, con frequenza e rapidità, e trascinano famiglie e intere generazioni in imprevisti baratri di incertezze e paure; così come la crisi ambientale, con il fenomeno del cambiamento climatico e con le problematiche legate al dissesto del suolo, accresce un diffuso senso di precarietà. E se proprio il senso di vulnerabilità ha nel passato stimolato l’invenzione – la realizzazione di dighe o la ricerca di nuovi mondi – oggi sembra aver innescato, specie in alcune aree per molto tempo adagiate nella stabilità inoperosa, un diffuso senso di depressione I diversi fattori scatenanti lo squilibrio, ben descritti nel recente importante lavoro “Reducing vulnerabilities e building resilience” dell’UNPD dell’ONU, sono: il rischio economico, l’ineguaglianza, i rischi della salute, i disastri ambientali, la scarsità di cibo, l’insicurezza fisica. E il “Rapporto sulla sicurezza e l’insicurezza sociale in Italia e in Europa” della fondazione Unipolis, del 2014, analizza le percezioni di vulnerabiltà in Italia e in Europa: “ …I temi economici rimangono, ciò nondimeno, nelle prime posizioni

della graduatoria... Fra tutti, è la perdita del lavoro ad occupare la posizione più elevata (49%), seguita dalla paura di perdere la pensione (44%), di non avere abbastanza soldi per vivere, degli scossoni derivanti dalle turbolenze della finanza internazionale (43%). Complessivamente, l’insicurezza economica riguarda il 73% degli intervistati. Per il 60% degli italiani la distruzione dell’ambiente sembra essere un tema di grande preoccupazione” La crisi economica Secondo l’Istat, nel 2012, il 29,9% delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale : dunque quasi un italiano su tre è povero o a rischio povertà. Come si è arrivati a questo stato di grave vulnerabiltà e di instabilità sociale ? L’Italia è al 49 posto nel mondo per il “Global Competitiveness index” del World Economic Forum, dietro la Lituania, il Portogallo, la Slovenia; è al 73 nel “Doing Business Index” , all’ 84 nello “Starting Business Index” . Un terribile declino industriale, lento ed inesorabile: eppure solo alla fine degli anni 80 si contavano nel centro nord ben 60 distretti industriali principali, dell’ingegneria o dell’elettronica, dell’abbigliamento e delle calzature, delle piastrelle e delle macchine utensili; questi davano vita ad un modello denominato del terzo capitalismo, erano elogiati come punto più alto dell’esperienza industriale italiana e portati ad esempio da Clinton nel

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vertice del G7 di Detroit. Dal 2009 al 2012 si è registrato un calo dell’attività manifatturiera del 24,5% ed una riduzione del grado di utilizzo degli impianti di circa 8 punti (dal 76,1%al 68,0%) . Le piccole e le medie imprese, centro vitale del sistema economico italiano, proprio per la loro struttura dimensionale non hanno beneficiato della rivoluzione dell’automazione industriale e della net economy, ed hanno subito una sfrenata concorrenza internazionale; con un sistema istituzionale assente, che anziché proteggere l’impresa dall’assalto dei competitors esteri ed assisterla nel processo di internazionalizzazione e modernizzazione, l’ha vessata di imposte e burocrazia ed ha depresso la domanda interna. Inoltre dal 2008 i prestiti alle imprese sono diminuiti di 100 miliardi di euro, ed in particolare sembra sia stata penalizzata soprattutto l’impresa artigiana, alla quale arrivano solo 50 miliardi dei 900 erogati al sistema produttivo . Dunque in questi recenti anni il nostro sistema politico-burocratico non ha in alcun modo protetto il nostro tessuto produttivo dagli attacchi della competizione internazionale né lo ha assistito con finanza, ricerca e innovazione a seguire il passo della digitalizzazione e della globalizzazione. Con la conseguente chiusura o svendita di imprese, l’impoverimento di ampie fasce della popolazione, la diffusa depressione sociale, e l’avvilimento dello spirito imprenditoriale. La crisi ambientale: il rischio idrogeologico

L’Italia è uno dei paesi a maggior rischio idrogeologico, caratterizzato da una specifica conformazione geomorfologica che facilita l’innesco dei fenomeni propri di questo rischio: le alluvioni e le frane. Alla predisposizione naturale si associa il contributo antropico, ovvero l’azione dell’uomo sul territorio ed i cambiamenti climatici che hanno prodotto un’alternanza di effetti, periodi di forti ed ingenti temporali e periodi di grandi siccità. Le cosiddette bombe d’acqua si ripetono nel nostro Paese ormai da diversi anni, con effetti gravi e drammatici. Solo tra le più recenti a memoria si ricordano: la recente alluvione di Carrara e di Chiavari, con due vittime sepolte dal fango; l’alluvione a Genova e in Maremma dell’ottobre 2014, che ha p r ov o c a t o tre morti; l’alluvione di Modena del gennaio

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2014, con un volontario disperso e 600 persone evacuate; l’alluvione in Sardegna il 18 novembre 2013, con 16 vittime e quasi 3.000 sfollati; l’alluvione della Maremma grossetana, il 12 novembre 2012, con cinque vittime ed una sesta persona morta dopo un mese di rianimazione; l’alluvione in provincia di Messina del novembre 2011, con tre morti travolti dal fango; l’alluvione di Genova sempre nel novembre 2011 - 500mm di pioggia in cinque ore - con sei vittime e cento


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sfollati; l’alluvione della Lunigiana del 25 ottobre 2011, con dieci morti. Secondo uno studio condotto dalla Protezione civile e da Legambiente, Ecosistema rischio 2013, sono ben 6.631 (sugli 8.071 totali) i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale. Potenzialmente esposti al rischio sono 5,8 milioni di persone, 2,4 milioni di famiglie e 1,3 milioni di edifici. I danni dovuti al dissesto idrogeologico dal 1944 al 2012 sono stimati in oltre

61 miliardi di euro. Dal 2012 ad oggi, secondo quanto è emerso da un’audizione tenutasi nel marzo 2014 presso la Commissione Ambiente al Senato, sono stati stimati danni da alluvioni e esondazioni di ammontare pari a 3,5 miliardi di euro; ma lo Stato ha stanziato soltanto 450 milioni e dichiarato 19 stati di emergenza. Un recente studio dell’ISPRA “Rapporto di sintesi sul dissesto idrogeologico in Italia 2014” ha calcolato che dal 1999 ad oggi sono stati finanziati dal M AT T M 4.800 interventi di difesa del suolo per un totale di 4,47 miliardi di euro.. Nel “Piano nazionale 2015-2020 per la prevenzione strutturale contro il dissesto idrogeologico e per la manutenzione ordinaria del territorio” , presentato dal ministro Galletti nell’agosto 2015, si prevede per l’intero territorio nazionale

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e per l’intero periodo un investimento di 9 miliardi di euro. Un investimento ingente, se rapportato al passato, ma ancora lontano dalla stima di 44 miliardi di euro di fondi necessari per la messa in sicurezza, fatta dalla stessa Ispra. Il problema del dissesto idrogeologico certamente dipende da fattori originari - il cambiamento climatico e la speculazione edilizia - ma viene fortemente ampliato da fattori secondari – tra tutti una lenta e complicata struttura burocratica – che non solo non hanno risolto le cause originarie ma hanno contribuito ad accrescerne il potere distruttivo sul territorio ed a deprimere colpevolmente la popolazione, accrescendo in forma esponenziale il senso di vulnerabilità e insicurezza. Verso la green economy per uscire dalle zone depresse Crisi economica e crisi ambientali sono le principali e drammatiche conseguenze dell’assenza di politiche industriali e territoriali . Proprio partendo dal senso di vulnerabilità, occorre trasformare il disagio e l’incertezza in nuovi prodotti e in nuovi orizzonti da scoprire, definire politiche dell’innovazione, riattivare lo spirito di avventura e il desiderio di intrapresa. Ricostruendo il nostro territorio, investendo senza esitare per la difesa del suolo, bonificando gli argini dei fiumi e eseguendo piani di riassetto territoriale. Mentre la grande crisi travolge settori storici e tradizionali dell’economia italiana, in forma apparentemente irre-


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versibile, e sembra determinare un costante declino della nostra vocazione industriale, ponendo le condizioni per una perdita generale di welfare e per un processo di depressione sociale, la cosiddetta green economy continua a crescere, e in totale controtendenza lancia segnali di speranza e ottimismo: negli ultimi dieci anni ad esempio le certificazioni ambientali ISO 14001 sono cresciute di 4,5 volte, quelle Emas di 8 volte; i prodotti con Ecolabel sono cresciuti di 25 volte; la produzione e il consumo di energia da fonti rinnovabili ha segnato un’enorme ascesa, da 58 TWh del 2008 a 132 TWh del 2013 (più 73%). Le fonti rinnovabili in questi cinque anni hanno generato 12,6 miliardi di investimenti, creando

137 mila nuovi posti per la costruzione di nuovi impianti e 53 mila per la loro gestione; inoltre hanno contribuito ad una maggiore autonomia energetica, con una riduzione della dipendenza dalle forniture estere di fonti fossili, e ad una significativa riduzione della produzione di gas climalteranti. Il numero di eco-innovazioni e la crescente domanda di tecnologie, sistemi e servizi ambientali sono forti segnali di un grande cambiamento e dell’ opportunità della green economy, che sta delineando nuovi orizzonti di mercato e di welfare. Eppure, incomprensibilmente, la spesa dello Stato per la protezione dell’ambiente e l’uso e la gestione delle risorse naturali è passata da 2,4 miliardi del 2008 ai

Gian Piero Joime è docente di economia dell’ambiente e del territorio presso la facoltà di Scienze Economiche dell’Università Guglielmo Marconi di Roma, e collabora con il Pomos dell’ Università La Sapienza di Roma, centro di ricerca sulla mobilità sostenibile, in progetti di ricerca sull’evoluzione dei sistemi e dei mercati della mobilità elettrica. Ha svolto attività di docenza in discipline economiche per diverse business school italiane ed internazionali. E’ consigliere direttivo e membro di giunta di ISES

1,6 miliardi del 2014: un drastico taglio del 33%. Dalla grande depressione sociale, chiusa tra il confine della crisi economica e quello della crisi ambientale, si può uscire col coraggio dell’innovazione, trasformando la scarsità di risorse in abbondanza di invenzioni. Di fronte al cambiamento climatico ed all’emergenza economica, di fronte alle conseguenze terribili delle decadenze industriali e dei dissesti idrogeologici, anziché rinchiudersi nelle litanie catastrofiste e negli spettri delle paure paure che tutto negano, anche le centrali eoliche e la macchina elettrica si può liberare il genio del fare, ripartire verso un nuovo confine da superare, verso terre da esplorare.

ITALIA, la principale associazione tecnico-scientifica noprofit per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Dal 1986 è stato - sempre nei settori dell’ambiente, dell’energia, delle bonifiche e riconversioni ambientali - amministratore, consigliere d’amministrazione e consulente per imprese italiane ed estere, ed ha ricoperto e ricopre incarichi presso istituzioni pubbliche e fondazioni. E’ autore di diversi volumi, saggi e ricerche di economia e di politica ambientale, tra i quali : “Bonifiche e riconversioni industriali in Europa”, in corso di pubblicazione; “Green Economy e sviluppo locale” , per Aracne,; “Una politica ambientale per lo sviluppo sostenibile e la green economy” in Quaderni di ricerca del Dipartimento Energia e Ambiente, Università Guglielmo Marconi; “Elementi di economia ambientale per uno sviluppo sostenibile”, per Aracne Editrice; “La politica ambientale degli enti locali – Roma Sostenibile” per Edizioni Mediacom; “Riqualificazione sostenibile degli edifici “ in Protecta.

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ECONOMIA ETICA ED ESTETICA

IL “BELLO”, RIMEDIO ANTICRISI Francesco Sisinni

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’ vero, principe, che una volta diceste che il mondo sarà salvato dalla bellezza? Quale bellezza salverà il mondo?” La domanda del nichilista Ippolit al principe Myskin irrompe dalle pagine dell’Idiota di Dostoevskij nel bel mezzo della riflessione sulla crisi economica del nostro tempo; crisi,che non concerne solo situazioni e istituzioni economiche, dal sistema produttivo a quello finanziario, ma, si inserisce e confonde in una crisi totalizzante, esistenziale, di cui sono segni evidenti la confusione delle idee, l’eclisse degli ideali e dei valori, il deserto dei sensi e degli affetti. Ma per meglio riflettere sulla crisi che ci attanaglia, ci par utile, come sempre, far ricorso alla storia per muovere da un esame comparativo delle economie e delle crisi pregresse con quelle proprie dei nostri giorni. Come noto, l’età preindustriale conosce l’economia di mercato, fondata prevalentemente sul rapporto di domanda e

offerta dei prodotti del lavoro, strettamente connessi, questi, alle capacità artigianali e agricole condizionate e promosse dal processo sociale e culturale. Nell’economia pre-industriale le crisi sono causate da eventi straordinari, quasi sempre ineluttabili: dalle calamità naturali agli avvenimenti comunque distruttivi, quali le guerre. L’economia industriale si identifica essenzialmente nel capitalismo. Il capitale produce ricchezza, riducendo la sua dipendenza dal lavoro, nella misura in cui avanza, nel processo produttivo, la tecnologia, la quale, sovente, se da un canto sottrae il lavoratore dal peso della fatica, dall’altro lo emargina nel ruolo di mero ganglio del meccanismo operativo. La crisi dell’economia industriale è, a unanime giudizio degli esperti, insita nelle contraddizioni stesse del capitalismo, il quale introduce una lacerazione profonda tra il capitale e il lavoro, tra la proprietà privata e il lavoratore. E, come rileva Marx, la concentrazione del capitale nelle mani di pochi presuppone e comporta l’immiserimento progressivo del proletariato, fino al livellamento nella generale miseria di tutti i ceti produttivi. L’economia post-industriale si identifica nella pluralità delle fonti produttive, tra cui assume un ruolo sempre più invasivo e determinante quella finanziaria. Ma l’economia finanziaria prescinde quasi integralmente dal lavoro e, attraverso sistemi sempre più sofisticati e audaci, fa sì che il denaro produca denaro autonomamente. Non è un caso che la crisi dell’economia post-industriale sia nata con il disastro finanziario, ovvero

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con la crisi del sistema bancario, in cui non erano stati previsti, né forse potevano esserlo, gli effetti negativi del cosiddetto “azzardo morale”, della ingorda “speculazione”, della “finanza strutturata” e dei suoi “prodotti tossici” e, non ultima, della “cartolarizzazione”, incapace di calcolare la gravità delle conseguenze del rischio morale e sistematico. Ed è così che il dinamismo proprio di siffatta economia ha subito un’interruzione tanto brusca e perniciosa che da più parti si paventa che la stessa ripresa possa subire un ulteriore colpo nel cosiddetto “Ciclo a W” in quanto non sono agevolmente computabuli gli effetti della globalizzazione in atto, sia sulla crisi, sia sulla strategia per superarla. Le riflessioni che precedono ci inducono ormai a concentrare l’attenzione ai fini appunto della ”exit strategy” e di una sia pur provvisoria definizione di un condivisibile nuovo “modello di sviluppo”, in due poli essenziali, quanto ineludibili della stessa economia: l’uomo e il lavoro.


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Tornare all’uomo significa riaffermare l’identità complessa e misteriosa della persona, dei suoi diritti e dei suoi doveri, in un contesto di riferimenti e di valori, necessari e insurrogabili, civili, sociali, etici, estetici e religiosi, tanto da riconoscere nell’uomo stesso il primo e più prezioso capitale da tutelare. E significa anche, finalmente, comprendere che il più proficuo investimento è proprio quello operato nel capitale umano, come ebbero felicemente a intuire i primi economisti, da Marshall a Smith, da Malthus e Stuart. Se d’altra parte è fondato rinvenire la patologia più grave dell’economia finanziaria nella riduzione, fino all’eliminazione, del lavoro nel processo produttivo della ricchezza, ne discende che, per ridare equilibrio e possibilità di futuro all’economia in generale, urge reinserire concretamente, ma anche pedagogicamente, il lavoro nel sistema suddetto, recuperandone i valori di creatività e anche di comunione e di solidarietà. Per uscire dalla crisi dobbiamo, anzitutto, ricreare in noi e tra di noi quello spirito solidale costruttivo e ricostruttivo, di cui siamo stati capaci nei momenti tragici della storia. E ciò semmai ricorrendo allo spirito e alla lettera della Carta universale dei diritti dell’uomo, ma anche – e non solo per la nostra civiltà cristiana – alla Dottrina sociale della Chiesa, che dall’enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII alla “Populorum Progressio” di Paolo VI e da questa alla “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, nel costante avvertimento delle negatività del capitalismo consumistico e del

comunismo materialistico, segna, con lucidità di ragione e fondatezza di speranza, la via giusta per l’avvento di una Economia Etica. Ma proprio sulla base dell’economia etica è necessario avanzare verso una conquista ulteriore, ovvero, l’Economia Estetica, che potremmo senz’altro chiamare “Economia della Bellezza”. Vale a dire: anche l’economia, che costituisce una delle più rilevanti espressioni umane, deve recuperare bellezza e farsi Armonia, scaturigine e frutto di Amore. E l’economia sarà bella se la sua “architettura” avrà gli stessi caratteri di quella cui si riferiva Vitruvio: “soliditas”, “utilitas” e, appunto, “venustas”, bellezza. Ma come può l’economia diventare estetica? Ci par ovvio che, parlando di estetica, non possiamo prescindere dal filosofo che proprio all’estetica ha consacrato per un’intera vita il suo pensiero: Benedetto Croce. Per Croce la vita dello spirito si svolge in due forme: la pratica, e la teoretica. La pratica, costituita dall’economia e dall’etica e la teoretica costituita, dall’arte (creatività) e dalla filosofia. Se il passaggio, nell’ambito della pratica, dalla economia all’etica è affidato alla “volizione”, il passaggio, nella teoretica, dall’arte alla filosofia è opera della ”intuizione”. In entrambi i casi lo scatto si identifica nell’evoluzione dal particolare all’universale. Dunque, l’economia accede all’etica quando si emancipa dalla volizione individuale e, perciò, egoistica, verso la volizione universale, così come la creatività propria dell’uomo, se dall’intuizione personale assurge a quella universale, si fa conoscenza logica, ovvero filosofia della creatività, intesa alla maniera di Bergson, e perciò estetica. Concretamente è tale l’economia che intende ridare all’uomo il ruolo centrale che dalla creazione gli compete e alla natura quel rispetto che solo la saggia conoscenza ecologica può garantire. E se è così, la politica non può che privilegiare, da un canto, l’investimento in cultura a favore del capitale umano, mediante la formazione, la promozione e la ricerca e, dall’altro, l’investimento nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio storico, artistico, paesaggistico. Ma a un programma così concepito urge, con la saggezza della politica, la profezia del poeta. Già, proprio di un poeta, come Keats, che alla domanda dell’ateo Ippolit al principe cristiano, Myskin, avrebbe saputo semplicemente rispondere: “Bellezza è Verità … Verità è Bellezza”: … “questo (a noi), sopra la terra di sapere è dato: /questo non altro (a noi) sopra la terra,/ è bastante sapere”.

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LE NOSTRE AZIENDE LEADER

NUOVA CASTELLI GROUP Leonardo Bartoletti

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ltre 400 milioni di euro, più di mille dipendenti e 20 stabilimenti in Italia per la produzione, il confezionamento e la stagionatura di formaggio. Sono questi i numeri di Nuova Castelli che, dopo l’acquisizione dello scorso febbraio del 100% del capitale di Alival Spa, ha dato vita ad una nuova realtà leader nella produzione e nella distribuzione di formaggi DOP e STG. La storia di Nuova Castelli risale a più di un secolo fa: fondata nel 1892, ha iniziato il proprio percorso nella produzione di gorgonzola e taleggio. L’azienda si è progressivamente espansa nel corso degli anni, ampliandosi ed acquisendo la proprietà di caseifici per la produzione di Parmigiano Reggiano e Grana Padano. Oggi Nuova Castelli, che ha il quartier generale a Reggio Emilia, esporta circa il 90% della sua produzione, operando nei principali mercati europei (Francia, Gran Bretagna, Germania, Scandinavia e Russia) ed oltre. Alival, che vende principalmente mozzarella vaccina, di bufala campana e pecorino toscano, è invece presente in modo uniforme su tutto il mercato italiano. “Si tratta - dice Luigi Fici, amministratore delegato di Nuova Castelli - di un'operazione con caratteristiche industriali ben definite, che vede protagoniste due società che si integrano perfettamente, sia in termini di mercato che di prodotto. Con questo progetto Alival potrà incrementare la propria gamma nel mercato nazionale con le referenze di Nuova Castelli e, viceversa, Nuova Castelli potrà sviluppare ulteriormente la penetrazione

nei mercati esteri con prodotti Alival. di sviluppo”. Il gruppo che nasce dalAbbiamo deciso di accelerare l’acquil’incontro tra Nuova Castelli ed Alival sizione - aggiunge l’Ad Fici - per è dotato di tutte le più importanti cogliere rapidamente le opportunità certificazioni di qualità per essere un del mercato e sfruttare al meglio le partner delle principali catene di dienormi sinergie tra le due società, al stribuzioni italiane ed estere, propofine di competere nel mondo globale nendosi come punto di riferimento dei formaggi di qualità”. “Inoltre in materia di standard produttivi. Con annuncia Fici – abbiamo coml’acquisizione di Alival, Nuova pletato l’acquisizione di Castelli punta inoltre a North Coast, società di creare un polo toscano distribuzione quodi alta qualità nel tata alla Borsa di settore del latte e Varsavia che, dei suoi derivati, con i suoi masviluppando rapgazzini di diporti di collabostribuzione è razione con gli in grado di allevatori. Quecoprire l’intesto al fine di rearo territorio lizzare filiere che della Polonia, gasoddisfino le rantendo rapida aspettative dei penetrazione in un produttori di mercato di grandi potenzialità. Grazie al contributo del nuovo socio Charterhouse Capital Partners, Nuova Castelli si propone di consolidare la presenza nel settore dei formaggi Dop e sviluppare la vendita in nuove aree geografiche, come Cina ed America. Il nostro piano industriale - prosegue l’Ad - prevede un ambizioso programma di crescita, attraverso acquisizioni che consentiranno di ampliare la gamma di prodotti ed entrare con decisione Luigi Fici, Amministratore Delegato Nuova Castelli in mercati dagli alti tassi

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latte e consentano alla società di competere sui mercati globali. Ma Nuova Castelli, oltre al futuro e alle interessanti prospettive, guarda anche al presente. Ed è per questo che è risultata inevitabile la sua partecipazione ad Expo 2015. Un appuntamento al quale Nuova Castelli non poteva mancare, per rappresentare e dare testimonianza diretta delle grandi capacità italiane nella produzione di formaggi di qualità. Nuova Castelli avrà un proprio stand nel sito espositivo di Rho Fiera,

uno spazio all’interno del quale presentare i grandi prodotti appartenenti alla tradizione alimentare italiana, tutti caratterizzati dal marchio Dop (Denominazione di Origine Protetta). Tra le specialità protagoniste di Expo 2015 sotto il marchio Nuova Castelli ci saranno: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Mozzarella di bufala, Pecorino e Gorgonzola, prodotti in Italia nelle aziende che fanno parte del gruppo di Reggio Emilia. “Per Nuova Castelli quello di Expo 2015 rappresenta un appuntamento fonda-

mentale, al quale l’azienda non poteva mancare – commenta Fici -. La nostra vocazione internazionale richiedeva una presenza ad un tale evento nel quale l’alimentazione è il focus della rassegna”. Un’opportunità unica, nella quale - attraverso Nuova Castelli - la più alta qualità dei formaggi italiani potrà mostrarsi al mondo intero. Infine Nuova Castelli è anche da poco online con il nuovo sito completamente rivisitato e adattato alla realtà aziendale (www.castelligroup.com).

VENTI STABILIMENTI E MILLE DIPENDENTI

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ltre 400 milioni di euro, più di mille dipendenti e 20 stabilimenti in Italia per la produzione, il confezionamento e la stagionatura di formaggio. Sono questi i numeri di Nuova Castelli che, dopo l’acquisizione dello scorso febbraio del 100% del capitale di Alival Spa, ha dato vita ad una nuova realtà leader nella produzione e nella distribuzione di formaggi DOP e STG. La storia di Nuova Castelli risale a più di un secolo fa: fondata nel 1892, ha iniziato il proprio percorso nella produzione di gorgonzola e taleggio. L’azienda si è progressivamente espansa nel corso degli anni, ampliandosi ed acquisendo la proprietà di caseifici per la produzione di Parmigiano Reggiano e Grana Padano. Oggi Nuova Castelli, che ha il quartier generale a Reggio Emilia, esporta circa il 90% della sua produzione, operando nei principali mercati europei (Francia, Gran Bretagna, Germania, Scandinavia e Russia) ed oltre. Alival, che vende principalmente mozzarella vaccina, di bufala campana e pecorino toscano, è invece presente in modo uniforme su tutto il mercato italiano.

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I SUCCESSI MILITARI DEL GRUPPO

FINCANTIERI METTE I GRADI

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ella sua lunga storia Fincantieri ha costruito oltre 2mila navi militari per conto della Marina italiana e di numerose Marine estere. Ma non c’è dubbio che la cosiddetta” Legge Navale” possa rappresentare un salto di qualità. Approvata al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità nel settore marittimo a tutela degli interessi di difesa nazionale e nel quadro di una politica militare comune europea, la Legge Navale prevede un investimento complessivo di 5,4 miliardi. Fincantieri se ne è assicurata direttamente una fetta di 3,1 miliardi per realizzare (in raggruppamento temporaneo di imprese con Finmeccanica) sei pattugliatori polivalenti d’altura (con altri quattro opzionati), un’unità di supporto logistico e un’unità anfibia multiruolo (Lhd). Si tratta di imbarcazioni altamente innovative, utilizzabili per operazioni sia militari sia di protezione civile e soccorso in mare. Hanno un basso impatto ambientale, adoperando avanzati sistemi di propulsione a bassa emissione inquinante (motori elettrici) e di controllo ecologico. Le imbarcazioni potranno anche avvalersi del sistema denominato Cockpit che consentirà di gestire in modo integrato le operazioni relative tanto alla conduzione della nave quanto al sistema di combattimento con un numero ridotto di operatori. Nel dettaglio, i pattugliatori polivalenti di altura sono navi altamente flessibili con capacità di assolvere a molteplici

compiti, dal pattugliamento al combattimento e al soccorso in mare. L’unità di supporto logistico alla flotta è un’imbarcazione dotata di capacità ospedaliera e sanitaria nonché in grado di realizzare attività di soccorso e di recupero, di trasporto e di trasferimento di carichi liquidi e solidi, di riparazione e manutenzione. Fincantieri ha potuto raccogliere l’occasione della Legge Navale perché da lunghi anni il gruppo guidato da Giuseppe Bono aveva investito nel settore militare. Oggi è in grado di progettare e costruire un’ampia gamma di navi di superficie, portaerei, fregate, corvette, pattugliatori, navi ausiliarie, sommergibili. Con in più la capacità di assistere le navi nel corso dell’intera vita. Come lo stesso amministratore delegato Bono ha avuto modo di dire, “la compresenza delle produzioni militari accanto a

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quelle mercantili ha contribuito notevolmente al successo di Fincantieri, consentendo di trasferire da un settore all’altro le best practices e attivando in tal modo un circolo virtuoso fra tecnologie, qualità dei prodotti e costi”. Punti di forza che, solo nei mesi più vicini a noi di quest’anno, hanno permesso che il portafoglio di Fincantieri si arricchisse di numerose commesse da un capo all’altro del globo. Significativa è la presenza di Fincantieri negli Usa, una storia cominciata nel 2008, quando il gruppo italiano, in controtendenza rispetto alla crisi e al clima di sfiducia imperanti, decise di entrare in quello che rimane ampiamente il mercato di riferimento delle difesa mondiale. Oggi Fincantieri opera negli States attraverso la controllata Fincantieri Marine Group, che conta circa 2.300 dipendenti, di cui più della metà entrati nel gruppo dopo l’acquisizione, e serve importanti clienti governativi, quali la Marina Militare e la Guardia Costiera. In particolare, Fincantieri ha dato un contributo tecnologico e produttivo al programma di serie delle Littoral Combat Ship, che si stima raggiungerà complessivamente i 16 miliardi di dollari e si appresta a diventare il secondo programma nella storia della Marina a stelle e strisce. Oltre Atlantico il gruppo italiano conta su tre cantieri (Marinette Marine, Bay Shipbuilding, Ace Marine) tutti situati nella regione dei Grandi Laghi. Ha anche stretto un’alleanza strategica con il progettista storico delle navi militari americane, la Gibbs&Cox. (PI.RO.)


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BCC DI ROMA

DIFFERENTI PER QUALITÀ

A

seguito della grande crisi dapmo luogo fra gli azionisti e i creditori prima finanziaria e poi anche dell’intermediario, in modo da conteeconomica avviatasi nel 2008, nere i costi per i contribuenti. L’obiettivo sono stati attuati nuovi interventi norè di accrescere la disciplina di mercato mativi volti a dare stabilità al sistema ed evitare forme di sussidio, anche inbancario, in particolare in Europa. diretto, da parte degli Stati. In estrema Particolare attenzione è stata rivolta sintesi, se le banche andranno male, alla tutela dei depositi e degli investinon le salverà lo Stato, ma ne risponmenti della clientela per evitare il peso deranno in primo luogo gli azionisti e, di eventuali crisi sullo Stato: da qui il subordinatamente, rischiano anche i rafforzamento della solidità patrimoniale depositanti per importi superiori a 100 delle banche, secondo i requisiti comila euro. munitari di Basilea III, e la nascita Questa la situazione attuale, nella quale dell’Unione Bancaria Europea, con i clienti devono tenere ben chiaro che l’introduzione di criteri uniformi in le banche non sono tutte uguali: devono materia di vigilanza, risoluzione delle essere solide ed in grado di dimostrarlo crisi e finanziamento delle banche secondo precisi indicatori validi per dell'Eurozona. tutte, comprensibili e resi pubblici. Lo scorso 4 novembre ha iniziato ad Per quanto riguarda il tema della operare il Meccanismo di vigilanza solidità, l’indicatore principale unico sulle banche dell’area è il capitale prieuro, il prossimo anno mario di classe entrerà in funzione il 1 (Common Meccanismo unico di Equity Tier risoluzione delle crisi 1 - CET1) bancarie. La nuoche rappreva normativa senta l’inintroduce un sieme delle approccio del compotutto nuovo alla nenti parisoluzione trimoniadelle crisi banli di quacarie, il cosidlità più detto bail-in pregiata, (salvataggio come, il dall’interno), capitale in base al quasociale e le le risorse per le riserve far fronte alle provecrisi vanno nienti da trovate in pri- Sede Presidenza e Direzione Generale in Via Sardegna a Roma utili, al

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netto delle rettifiche e detrazioni previste. È quindi molto importante che la Banca di Credito Cooperativo di Roma abbia registrato con il Bilancio 2014 un Capitale Primario di Classe 1, rapportato alle attività ponderate per il rischio (CET 1 ratio) pari al 16,86% contro un valore medio delle prime 5 banche italiane pari all’11,10%. Una solidità significativa della quale possono beneficiare tutti i clienti. Ma non solo. Per valutare la solidità di una banca si può considerare anche un altro fattore: la qualità degli impieghi, ovvero il rapporto fra crediti deteriorati e gli impieghi stessi. Ebbene in BCC Roma l’incidenza dei crediti deteriorati lordi sugli impieghi a fine 2014 è pari al 9,4%, in lievissima crescita rispetto all’anno precedente ma, soprattutto, nettamente inferiore al 16,8% registrato mediamente nel sistema bancario. Qual è il presupposto della solidità patrimoniale e della qualità dei crediti raggiunte? Una gestione corretta, l’equilibrata composizione di raccolta e di impieghi, questi ultimi valutati con attenzione, indirizzati a famiglie ed imprese nei territori di riferimento e sviluppati uniformemente, anche in una congiuntura sfavorevole; ciò peraltro è avvenuto unitamente a un incremento dei risultati economici e dell’offerta di servizi di qualità. Queste sono le caratteristiche e le linee guida di BCC Roma: essere una banca in cui i clienti possono continuare a riporre la loro fiducia creando un circolo economico virtuoso in favore del territorio di riferimento.


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I “PIZZINI” PICCANTI DEL VATE DURANTE LE CENE (a pag. 42)

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ANCHE A TAVOLA UN D’AN

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er quasi vent’anni Gabriele d’Annunzio comunicò con dettagliate disposizioni culinarie, con modi ora scherzosi e poela sua cuoca per mezzo di una miriade di piccoli biglietti, tici ora più perentori, indirizzate alla fidata “Suor Intingola”, inviati a ogni ora del giorno e della notte. Messaggi masempre pronta a preparare sul momento elaborati menù in cui liziosi, coloriti e affettuosi, indirizzati da d’Annunzio (o meglio eros e cibo si combinavano in un sodalizio perfetto: ricette sordal “Padre Priore”, come spesso il poeta, nell’insolita corrisponprendenti, accostamenti sontuosi e ricercati, inventivi abbinadenza, amava firmarsi) alla fedelissima Albina Lucarelli Becementi anche cromatici. vello, alias “Suor Intingola”: l’unica donna con cui d’Annunzio E’ il caso del celebre riso alle rose con cui, si dice, conquistò la visse in assoluta sintonia – e castità – dagli anni veneziani divina Eleonora Duse ( anche se questo non fu cucinato al buen retiro finale nello splendido Vittoriale di dalla fedelissima cuoca ancora non entrata nella Gardone Riviera. Di questo straordinario rapvita di Gabriele). Un piatto servito su una porto e altre curiosità sui gusti gastronomici tavola raffinatissima. D’Annunzio infatti del ‘Comandante’ racconta, con dovizia amava circondarsi di cose belle e predi documenti, “La cuoca di d’Annunziose sempre. Tovaglie di fiandra, zio” (Utet) scritto da Maddalena posate d’argento, bicchieri e caSanteroni e Donatella Miliani . raffe di cristallo ma anche cera160 pagine tutte da ‘gustare’ (con miche e porcellane di ogni tipo una ‘golosa’ prefazione di Giorsulla sua tavola, anche per gudano Bruno Guerri, presidente stare un semplice uovo sodo! del Vittoriale) su cibi, menù, A casa d’Annunzio perfino desideri e inappetenze al Vitil cibo infatti «diventava toriale. Sono decine e decine fonte di piacere, di coinvoli biglietti per Albina a cui il gimento emotivo, di seduVate ha affidato, in ogni mozione, di bellezza», come mento della giornata, le sue scrive Giordano Bruno imprevedibili richieste culinaGuerri, presidente del Vitrie: costolette di vitello e frittoriale degli Italiani, nelle tata, cannelloni e patatine prime pagine di questo libro fritte, pernice fredda, biscotti e “saporito”, ricco e composito cioccolata, ma soprattutto uova quanto una tavola imbandita, sode, sicuramente l’alimento preche, con vero spirito dannunferito da d’Annunzio, che ne anziano, può essere letto anche dava così ghiotto da paragonarne gli come un originalissimo manuale effetti a quelli di una “estasi divina”. di seduzione culinaria. Salutista attentissimo alla forma fisica, olMa che cosa aveva di speciale Albina? Albina, cuoca di D'Annunzio tre che gourmet – molto interessato alla ge"Rappresentava _ dicono le autrici _ un nuinità e alla freschezza delle materie prime, ma po' una figura materna, nonostante fosse di anche a valorizzare, con intuizione estremamente mocirca vent'anni più giovane del Vate, e un po' una derna, i prodotti locali –, d’Annunzio alternava infatti giorni complice, fedele confidente. Ma soprattutto, proprio per il di digiuno quasi completo a scorpacciate disordinate e comcontroverso rapporto che d'Annunzio aveva con il cibo, Albina pulsive, spesso provocate dall’arrivo di qualche amante. Erano era la cuoca ideale, aveva infatti la pazienza di cucinare esattaquelli i momenti in cui il poeta si sbizzarriva maggiormente in mente come lui desiderava: senza orari, senza particolari inno-

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ANNUNZIO SENZA REGOLE di Donatella Miliani vazioni nella preparazione dei piatti, senza mai discutere i suoi desiderata. Proprio come avrebbe fatto una madre". Con la cuoca D'Annunzio fu molto generoso. La coprì letteralmente d'oro. "Gabriele era un generoso per natura. Ma è vero _ sottolineano Miliani e Santeroni _ che con Albina lo fu in modo particolare. Tra l'altro affezionandosi anche al fratello mutilato di lei per il quale si adoperò affinché ricevesse la pensione di guerra. Le lentezze burocratiche non resero la cosa possibile e così il Vate si fece carico del benessere anche di questo fratello che aveva ben 13 figli". Ma Albina cucinava per tutti al Vittoriale o era solo a disposizione del Comandante? "In realtà cucinava per la 'casa'. Oltre a

Luisa Baccara, c'erano molti domestici e spesso erano presenti l'architetto Maroni e il segretario Tom Antongini. Ma naturalmente il suo principale pensiero in cucina, giorno e notte, era per il Priore...". Che rapporto aveva con il cibo d'Annunzio? "Gabriele, fin da piccolo, aveva sempre avuto il terrore di ingrassare. Tant'è che una cameriera lo trovò a bere aceto per questo motivo a soli 5 anni! Predicava la frugalità a tavola e beveva solo acqua. In realtà però essendo personaggio pieno di contraddizioni, alternava a periodi di lunghi digiuni scorpacciate pantagrueliche, evidenziando tutta la sua passionalità anche con il cibo. Amava la carne, come avrebbe potuto essere altrimenti, ma soprattutto le uova. Nel

periodo francese imparò a bere champagne e vino rosso. Ma soprattutto dava al cibo e alla socialità ad esso legata l'importanza che aveva ed ha... Quando poi entrava in gioco la seduzione, il cibo diventava uno strumento altamente afrodisiaco". Se aveste avuto la possibilità di avere ospite a cena D'Annunzio che cosa avreste cucinato? "Beh _ concludono le due autrici _ per prenderlo per la gola, magari dopo uno dei suoi lunghi digiuni il menù ideale sarebbe stato questo: uova sode con le acciughe, frittata con verdurine e formaggi, bistecca alla fiorentina, una fetta di parrozzo e croccanti, un bicchiere di vino rosso e caffè forte....!. "La cuoca di d'Annunzio" (Utet) 160 pag. 14 euro.

LE AUTRICI Maddalena Santeroni vive e lavora a Roma. Si occupa di comunicazione ed eventi, ed è presidente dell’associazione Amici dell’Arte moderna a Valle Giulia. Nel 2010 ha collaborato alla realizzazione della nuova ala museale del Vittoriale, “D’Annunzio segreto”. Organizza da anni alla Gnam di Roma il premio “Arte: Sostantivo Femminile”.

Donatella Miliani Curiosa, attenta osservatrice dell’animo umano con una naturale predisposizione a catturare i dettagli, Donatella Miliani, giornalista, scrive sul quotidiano La Nazione, dove è responsabile delle pagine culturali. Professionista dal 1992 è laureata in Lingue e Letterature Straniere. Per anni è stata corrispondente dall’Umbria del Corriere della Sera. Ha avuto esperienze radiofoniche (il mezzo comunicativo che preferisce) e televisive in Rai e nelle emittenti private. Da anni è impegnata nel sociale, al fianco della onlus “Comitato per la Vita Daniele Chianelli” che opera per i bimbi oncoematologici e della onlus “PDCH19” che sostiene la ricerca di una rara mutazione genetica che colpisce le bambine.

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MA GRASSEZZA FA BELLEZZA? di Valeria Caldelli

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hicago - Ma grassezza fa bellezza? Avere un po' di ciccia addosso era sinonimo di benessere per nonni e bisnonni che hanno tramandato alle generazioni più giovani il 'leit motiv' positivo sulla floridità della carne. Come a dire: più il tuo corpo è pesante, più il tuo portafoglio è gonfio. D'altronde la fame è terribile e loro avevano attraversato due guerre, tempi brutti per riempire di cibo le bocche (e gli stomaci) di una famiglia. Tanto che l'essere un po' sovrappeso era subito visto come simbolo dell'ascesa sociale. Per la verità più tardi arrivò l'epoca delle varie Twiggy, modelle pelle e ossa, più simili a un manico di scopa che a una donna, poco cibo e tanta posa, a definire un periodo come gli anni Sessanta, in cui mangiare non era più un problema, se non della mente. Misteri dell'alimentazione che 'inquinano' la vita moderna con eccessi che corrono lungo linee parallele senza mai incontrarsi. Malattie opposte su cui fior di medici discutono e iniziative si susseguono senza riuscire ad ottenere grandi successi. Da una parte l'anoressia, che mina la vita di bambine adoloscenti, soprattutto nei Paesi più ricchi; dall'altra l'obesità, vera e propria epidemia diffusa un po' in tutto il mondo, che non dà segni di cedimento, alimentando in maniera esponenziale malattie cardiovascolari e diabete. Nemmeno la crisi è riuscita a debellarla. Meno soldi non significano infatti meno cibo, ma soltanto cibo peggiore, mantenuto nei frigoriferi

dei supermercati con conservanti e additivi vari, oltre che consumato velocemente, alla 'mordi e fuggi', un po' perché manca il tempo di sedersi, un po' perchè un panino stracolmo di maionese e affettati non costa certo come una bistecca. E allora eccoci nel Paese del 'junk food', il 'cibo spazzatura', dove i dati delle ricerche mediche parlano chiaro: il 75 per cento degli americani è in sovrappeso e tra questi il 40 per cento è obeso. E' una calda giornata di giugno in Illinois. Uscendo dalla Union Train Station, nel pieno centro di Chicago, i grattacieli mi vengono incontro, lunghi e smilzi, quasi fossero viali di cipressi. La vita scorre rumorosa sulla Adams Street e se le auto si spostano con regolarità, quasi con flemma, i pedoni si muovono veloci sui marciapiedi affollati. Ormai è mezzogiorno e i molti 'Fast Food' servono veloce-

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mente sfilatini interi strapieni di tutto: hamburger, formaggio, uova, insalata, cipolla e salse varie. Un 'pranzo' condensato e condito da immancabili patatine fritte, oltre che innaffiato con bevande che non assomigliano né all'acqua né al vino, ma, veri infusi di grasso, zucchero e


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soda, hanno strani colori e ancora più strani nomi. Sono i 'monster drinks' che accompagnano i 'monster sandwiches', croce e delizia (si fa per dire) degli yankee people. E basta guardarsi intorno, soffermarsi ai semafori e 'occhiare' chi ci sta davanti per vedere le conseguenze di quelle

porzioni generose, di quegli ingredienti sofisticati, dei grassi aggiunti e di quelle panne morbide sul 'top' di ogni abbondante fetta di torta. I risultati sono lì, negli spopositati didietro che ondeggiano mollemente al ritmo del passo, nelle cosce e nelle spalle possenti dalle taglie improbabili, in netto contrasto con la selva longilinea di grattacieli. E se grassezza non fa più bellezza, certamente non fa nemmeno salute. Gli epidemiologi statunitensi hanno più volte lanciato l'allarme sostenendo che se non si interverrà in maniera drastica presto negli Usa l'obesità sarà la prima causa di morte. Ma essere tanto floridi dà almeno felicità? Mangiare a quattro palmenti tutto ciò che la pubblicità suggerisce e ingurgi-

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tare montagne di calorie rende più rosa la vita di tutti i giorni? Proviamo ad entrare in un 'Candy shop' sul 'Magnificent Mile', la via più elegante della città. Lecca-lecca giganti ci sovrastano dal soffitto, centinaia di migliaia di pasticchine colorate occhieggiano dai contenitori allineati ai lati e nel centro del negozio. L'assaggio è gratuito, i commessi sembrano usciti da una fiaba, ma tra gli avventori ci sono molti adulti non accompagnati da bambini. Una signora parecchio oversized dalla maglia lilla guarda, gusta, confronta, incurante della propria taglia. Che sia quella la felicità? Intanto, però, qualcosa sta cominciando a cambiare. E mentre in alcuni luoghi pubblici si è stati costretti ad aumentare la dimensione della seduta di sedie o poltroncine, le scuole di alcuni Stati hanno iniziato a proibire le macchinette che distribuiscono merendine confezionate ai bambini e altro cibo e bevande poco salutari. La stessa Michelle Obama, moglie del Presidente, ha lanciato proposte che hanno lo scopo di mettere fine all'obesità infantile nell'arco di una generazione. Cibo migliore e opportunità di attività fisiche sono alla base di 'Let's Move', una campagna che ha coinvolto anche l'industria alimentare nel tentativo di diminuire la quantità di calorie e conservanti nella varietà dei cibi prodotti. E se non mancano in tutti gli Usa azioni preventive con suggerimenti, pubblicità e iniziative per una corretta alimentazione (suggerimenti,


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per la verità, non molto ascoltati) ha anche preso il via qualche manovra 'punitiva'. Secondo la vecchia politica del bastone e della carota, da una parte si cerca di convincere con le buone mentre dall'altra si passa direttamente alle maniere forti. Così l'esercito americano non solo ha stabilito, sia per gli uomini che per le donne, il peso massimo oltre il quale è impossibile essere reclutati, ma sta anche 'licenziando' i soldati in sovrappeso. Tanto che molti degli 80.000 soldati destinati a essere mandati a casa entro il 2017 nell'operazione di riduzione dell'esercito

da 570.000 a 490.000 unità, saranno proprio quelli che hanno troppa ciccia addosso. <Troppo grassi per combattere> e le truppe militari più forti del mondo non si possono permettere 'defaillances', soprattutto quando queste sono diventate quasi una regola. Non basta. Anche viaggiare sta diventando un problema per gli extra-large. Le compagnie aeree, dopo aver ridotto il peso dei bagagli per tutti, si sono infatti accorte che molti passeggeri superano i chili e le dimensioni standard per le quali sono stati disegnati i sedili. E, peggio ancora, quei chili in più vanno a in-

cidere pesantemente, nel bilancio annuale, sui costi del carburante. Molte compagnie hanno dunque cambiato alcune regole obbligando i viaggiatori obesi ad acquistare due posti (qualche volta il secondo è scontato) a meno che non vogliano attendere in aeroporto un volo poco affollato in cui è possibile 'sistemare' il passeggero 'doppio' senza, per giunta, recare fastidi agli altri. Metodi drastici? Può darsi. Certamente non risolutivi....ma almeno efficaci a far riflettere e nel frattempo fermare la mandibola. Qualche volta. Forse.

LA PASTA ALL'AMERICANA....MA ATTENZIONE ALLE CALORIE ! Anche negli Stati Uniti da tempo hanno scoperto la pasta. Che rivisitano a modo loro ma che di sicuro non ha gli effetti devastanti del 'junk food'. Ecco una ricetta pubblicata sul numero di luglio-agosto della rivista 'Food Network Magazine'. Si può sempre provare. Lasagnette ricce con pesto di prezzemolo, lattuga e patate Scaldare il forno e far tostare 2 cucchiai di gherigli di noce spezzettati. Nello stesso tempo mettere sul fuoco e portare a bollore un largo recipiente di acqua salata. Mettere nel frullatore mezza tazza di olio d'oliva extra vergine, 2 tazze di prezzemolo fresco, 1 spicchio d'aglio, mezzo cucchiano da tè di buccia di limone già grattata e due cucchiani di succo di limone appena spremuto. Tritare il tutto fino a farlo amalgamare e diventare una crema omogenea. Aggiungere mezza tazza di groviera grattugiato, un quarto di tazza di olive verdi ripiene e i

gherigli tostati. Triare poco per sminuzzarli grossolanamente e trasferire il pesto così ottenuto in una larga zuppiera. Nell'acqua che sta bollendo aggiungere 2 etti circa di patate di piccole dimensioni tagliate a fette sottili (in America la buccia non viene tolta) e far cuocere per otto minuti. Togliere dall'acqua le fettine di patate con una schiumarola e trasferirle nella zuppiera con il pesto. Buttare ora la pasta. La ricetta suggerisce di usare le lasagnette ricce spezzate in due, nella dose di 340 grammi per 4 persone. Far cuocere al dente, ma un minuto prima di ultimare la cottura aggiungere all'acqua 4 tazze di insalata lattuga o scarola tagliata grossolanamente. Mettere da parte mezza tazzadi acqua di cottura. Infine scolare la pasta e la lattuga e trasferirle nella zuppiera con il pesto. Se questo risultasse troppo denso aggiungere un po' dell'acqua di cottura della pasta per allungarlo.

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ANCHE L’IMPRESA HA UN’ANIMA di Angelo Bucarelli

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mprenditrice, figlia di imprenditori, romana doc, Sabrina Florio di sé dice di essere innamorata della sua Città, di adorare il cinema, di essere appassionata di musica e moda, e di trovare nel golf l’energia necessaria per affrontare tutti gli impegni di lavoro (che sono tanti!). Dopo la laurea in Economia e commercio è entrata, a fianco dei fratelli, nell’azienda di famiglia Sosepharm (industria farmaceutica attiva nella produzione e commercializzazione di farmaci generici branded e unbranded e medical devices) fondata dal padre Orazio Armando nel 1978 di cui lei è diventata presidente. Sabrina Florio si occupa della gestione finanziaria, dei processi di sviluppo nei mercati internazionali, dei rapporti con la Pubblica amministrazione. E’ membro di Giunta nell’attuale Comitato Piccola Industria di Unindustria con delega alla Responsabilità sociale d’impresa. Nel 2001 ha fondato Anima, associazione non profit nata all’interno dell’allora Unione degli industriali di Roma (oggi Unindustria), che oggi presiede. Anima riunisce un gruppo di manager e di aziende che si occupa di promuovere la cultura della Responsabilità sociale e della SosteSabrina Florio nibilità all’interno delle imprese del territorio e ogni anno in ottobre assegna con una giuria di prestigio il Premio Anima. Da due anni è nel consiglio di amministrazione della Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, promotrice del celebre premio Strega. Sempre nell’ambito della cultura è componente del gruppo tematico Cultura di Confindustria e segretario generale di Priorità Cultura, associazione che intende promuovere lo sviluppo della cultura, tutelare il

paesaggio e il patrimonio storico e artistico dell’Italia. Recentemente è stata cooptata nel cda di AltaRoma, società nata per promuovere l’Alta Moda nella città di Roma. Quale è tra queste diverse posizioni quella che la appassiona di più, la impegna di più e perché? Metto sempre molto entusiasmo in tutto quello che faccio, sia nella professione che nella vita personale, ma direi che oltre al lavoro in azienda, dedico molta passione ed energia ad Anima di cui sono presidente da oltre cinque anni. L’entrata in Anima ha segnato la mia carriera professionale. Mi ha fatto rendere ancora di più conto di quanto nelle piccole e medie imprese italiane si ritrovano le radici di un agire responsabile e di attenzione al territorio, quello che noi identifichiamo come responsabilità sociale implicita e che credo sia necessario valorizzare. Le imprese più piccole infatti, che rappresentano il 90 per cento del nostro tessuto produttivo, spesso non riescono a rendicontare e comunicare all’esterno questi comportamenti, perché gli strumenti esistenti validi per le grandi imprese non sono immediatamente applicabili alla loro realtà. La responsabilità sociale come può aiutare l’azienda? E la cultura? Sia la responsabilità sociale che la cultura sono asset strategici per l’economia e lo sviluppo del nostro territorio. Per questo credo sia fondamentale che gli imprenditori collaborino concretamente alla loro promozione e diffusione. Le imprese devono essere consapevoli dell’importanza della tutela e della salvaguardia del contesto ambientale e sociale. Così come è fondamentale tutelare anche gli interessi in-

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terni dei dipendenti che ne rappresentano il patrimonio più importante e ne costituiscono il fattore cruciale di competitività. Va pertanto valorizzata la promozione delle persone e la loro crescita professionale, grazie ad un sistema educativo e formativo efficiente. Una gestione d’impresa che fa propri i principi della sostenibilità e un comportamento etico dell’azienda implica vantaggi competitivi e ottimi risultati nel business di grandi così come di piccole imprese. Per quanto riguardo la cultura, possiamo sicuramente affermare che è un valore aggiunto, in termini di patrimonio, di fatturato turistico, di attività produttive e occupazione, di branding, di formazione diffusa, di vivibilità e coesione sociale. Oggi la sfida che stiamo costruendo è quella che Squinzi chiama “ Industria 4.C: Colta, Connessa, Competitiva e Creativa”. L’Italia è stata ed è un campione in questa sfida. Siamo la seconda potenza industriale in Europa e l’ottava al mondo, proprio perché abbiamo una nostra storia industriale e una nostra cultura, inimitabili. Lo stretto legame tra responsabilità sociale, cultura e impresa è rappresentato dal Premio Anima, nato per valorizzare il contributo apportato da personalità del mondo dell’arte e della cultura alla crescita di una coscienza etica, sensibilizzando imprese e opinione pubblica sui temi legati alla responsabilità sociale e alla sostenibilità. In questi anni Anima ha contribuito a creare valore nella città, sollecitando imprenditori e imprese ad investire nella “Cultura del Sociale” come reale pratica di responsabilità. Ma la cultura stessa è un azienda. Può essere profittevole? Le imprese italiane più illuminate hanno individuato le potenzialità insite nella cultura, nella creatività e nella green economy. Nel rapporto “Io sono cultura 2015” rea-

lizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere si racconta di un’Italia che punta sulla cultura e la creatività per rafforzare le manifatture. Un’Italia che punta sul suo soft-power e che dimostra, attraverso una lettura dei bilanci, che “con la cultura si mangia” e si costruisce il futuro. Dal rapporto si evince infatti che alle imprese del sistema produttivo culturale italiano si devono oggi 78,6 miliardi di euro. Che arrivano a quasi 84 se includiamo istituzioni pubbliche e non profit. Ma il valore trainante della cultura non si ‘limita’ a questo. Contamina, invece, il resto dell’economia, con un effetto moltiplicatore pari a 1,7: per ogni euro prodotto dalla cultura, cioè, se ne attivano 1,7 in altri settori. Gli 84 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 143, per arrivare a 226,9 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano. La cultura e la creatività, come si legge nel rapporto “mettono il turbo alle nostre imprese”: infatti chi ha investito in creatività ha visto il proprio fatturato salire del 3,2 per cento tra il 2013 e il 2014; mentre tra chi non lo ha fatto il fatturato è sceso dello 0,9 per cento. Lei è anche nel consiglio di AltaRoma, un istituzione comunale impegnata nella valorizzazione della Moda Romana. Come vede queste iniziative istituzionali a favore di settori produttivi? La moda è un settore strategico per l’economia della Capitale e di tutta la Regione. Il nostro artigianato sartoriale è un bene unico al mondo e credo sia fondamentale che le istituzioni siano impegnate per salvaguardare questo patrimonio e farlo conoscere e rilanciarlo in tutto il mondo. Tra i progetti di Altaroma dedicati ai giovani mi piace citare “Who is on next”, un progetto di fashion-scouting e formazione, un’importante opportunità per i nostri giovani creativi.

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MAI VISTO UN NOVECENTO COSÌ di Gianpaolo Ansalone

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on l’apertura del Museo Novecento lo scorso anno, Firenze ha aggiunto un altro prezioso tassello alla sua vasta offerta artistica e culturale, offrendo al pubblico la vibrante rappresentazione di quell’irripetibile stagione artistica che per tutto il secolo vide la città al centro della scena culturale nazionale ed internazionale. Sono oltre 80mila i visitatori registrati dal 24 giugno del 2014 – giorno in cui è stato inaugurato -, tra visite al percorso museale e partecipazioni alle conferenze: ogni settimana infatti si svolgono al Museo incontri con esperti per approfondire il Novecento in tutti i suoi ambiti e forme espressive. A questi, è stata aggiunta una speciale programmazione dedicata ad Antony Gormley in occasione della mostra HUMAN al Forte di Belvedere: il di conferenze e proiezioni proseguirà fino alla fine di settembre, proponendo ogni martedì pomeriggio una selezione di documentari che approfondiscono la vita e l’arte dell’artista inglese. Continuano inoltre le attività organizzate per bambini e famiglie, tra cui la possibilità di poter festeggiare il proprio compleanno al Museo, che sono state tra le proposte più seguite dai fruitori, grazie anche alla parteci-

pazione attiva a manifestazioni come Notte Bianca, festival dei Bambini, Domenica al Museo ed Estate Fiorentina che hanno interessato tutta la città di Firenze. Sede del Museo è l’antico Spedale

delle Leopoldine in Piazza Santa Maria Novella: il complesso monumentale è stato recuperato grazie a un lungo e delicato lavoro di restauro,

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curato dal Servizio Belle arti del Comune di Firenze grazie al determinante contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Suddiviso in 15 ambienti espositivi, ospita una collezione di circa 300 opere, organizzate ‘a ritroso’, in un percorso che dal 1990 risale fino ai primi anni del cosiddetto ‘secolo breve’. Da De Chirico a Morandi, da Emilio Vedova a Renato Guttuso, fino alla sezione fiorentina alla Biennale di Venezia, il Museo unisce in sé due nature: di museo civico, attraverso un racconto che lega le collezioni civiche del Novecento alla storia della città, e di museo ‘immersivo’, andando ad integrare il patrimonio cittadino con testimonianze delle vicende artistiche nazionali e internazionali, che hanno segnato il territorio dalla seconda metà degli anni Sessanta. Realizzato dopo quasi mezzo secolo di proposte e progetti, espone una parte delle collezioni del Comune, unita ad opere e documenti relativi agli ultimi decenni, concessi in comodato da artisti, collezionisti ed enti, che hanno generosamente sostenuto la nascita di questa nuova istituzione. Le sale dedicate alle collezioni comunali mostrano a rotazione


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le numerose donazioni di artisti e collezionisti pervenute grazie all’appello fatto dal critico Carlo Ludovico Ragghianti a seguito dell’alluvione del 1966, tra cui la prestigiosa collezione Alberto Della Ragione. Opere d'arte, installazioni, dispositivi sonori, apparati multimediali costruiscono il racconto del Novecento e il taglio interdisciplinare che lo contraddistingue consente al visitatore di apprezzare le opere d'arte in relazione al contesto in cui sono state prodotte, con affiancamenti di composizioni musicali, poesia, riviste letterarie, bozzetti di teatro, sale cinema, nonché oltre mille documenti, video, interviste televisive, foto d'epoca, registra-

zioni radiofoniche relative alle opere in mostra. Grazie al software installato nei tablet presenti al, i visitatori hanno a disposizione una vera e propria esposizione virtuale di contenuti multimediali: 20.000 oggetti fra testi, foto, audio e video, con traduzioni in sei lingue. In linea con lo specifico approccio interdisciplinare sulla base del quale è stato costruito il progetto museologico del Museo Novecento, anche l’applicazione presente nei supporti multimediali punta ad ampliare, grazie ad un approccio ipertestuale, i confini del museo, che si offre sempre più come dispositivo di conoscenza ed esperienza. L’applicazione è stata

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strutturata su una doppia possibilità di navigazione: sotto il titolo “Dentro le opere” sono raccolte specifiche schede di approfondimento sulle opere più significative presenti in ogni sezione del museo, a queste si affiancano i numerosi contenuti aggiuntivi presenti in “Dentro il Novecento” dove vengono presentati documenti, fotografie d’epoca, interviste televisive, riviste e brani letterari, ma anche video documentari appositamente prodotti per il museo, che cercano di contestualizzare le opere esposte ampliando lo sguardo del visitatore sul contesto storico artistico in cui le opere visive sono state realizzate.


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GENERAZIONE 30/40 AI

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a generazione definita ‘bruciata’ in partenza, a cavallo tra digitale e analogico, viaggia tra passione, lavori creativi, ed inventa nuovi percorsi di comunicazione. Incontriamo due professionisti di grande talento e versatilità: Renato Novara, (classe’77), attore, doppiatore, giornalista, cantante e padre di due figli; Pachy Scognamiglio, (classe ’86), insegnante di canto, creatore di tecniche inedite per l’Italia, paroliere, cantante, single. Vivono le loro vite e le loro carriere separatamente, ma insieme sono il duo canoro ‘Dominio Libero’. Vediamo come sogni e passato hanno influito sulla loro vita e su ciò che anima la loro creatività imprenditoriale*. Che tipo di bambino sei stato? Renato Novara: Un bambino sereno. Erano gli altri a non esserlo sempre troppo con me. Piccolo genio diviso tra tv e fumetti. Amavo già cantare ed ero molto allegro e intelligente. E modesto. Diciamo che qualche volta il mio essere tra i primi della classe e il mio carattere non andavano a genio ad altri bambini. Purtoppo. Pachy Scognamiglio: Diviso tra le balbuzie dovute dalla sua estrema sensibilità ma che nonostante tutto riusciva ad

essere il leader della compagnia, trascinatore di folle, ribelle ma sensibile da far schifo. Insomma un tumulto continuo che persiste tutt’ora. Avevi le idee chiare su cosa avresti fatto da grande? R: Volevo fare il cantante e il conduttore. In parte ho realizzato i miei progetti di vita, in parte ci sto ancora lavorando… P: Il cantante: ho sempre voluto far quello e nient’altro. Renato, per essere doppiatori bisogna essere attori, per essere attori non serve essere doppiatori. Ripiego o specializzazione? Un tempo forse il doppiatore era un attore che “ripiegava” sul doppiaggio. Le

Renato Novara, attore e doppiatore

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ultime generazioni, invece, hanno scelto di fare i doppiatori come specializzazione. Pachy, si dice che non esistono persone stonate, ma orecchie non educate. Pur educando l’orecchio, come nasce una voce unica vs una voce come tante? Per me l’artista è come un antenna e più musica ascolta e canta più ne assorbe, il segreto è la ‘contaminazione’. Bisogna poi essere sinceri con se stessi. Per poter emozionare devi sapere chi sei, devi amarti con tutte le tue fragilità e tutti i tuoi difetti. Renato, tu sei giornalista, attore e conduttore, fai parte di un duo canoro... Sei anche un impegnatissimo papà. Dove sta il trucco?


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TEMPI DEL JOBS ACT di Nicola Bartolini Carrassi E’ un barbatrucco, per citare uno dei personaggi che ho doppiato. Non lo so sinceramente…forse vado avanti per inerzia! (ride)a Pachy, tu sei un insegnante, paroliere e conduttore... Sino ad oggi hai lavorato per vivere o hai vissuto per lavorare? Quello che faccio è trasformare i miei disagi, le mie gioie, le mie contestazioni in musica e parole. Credo che per lavorare bene ci sia bisogno di riempire la tua vita di altro. E tu Renato? R: Nessuna delle due. Ho vissuto e lavorato. Impegni attuali e futuri? R: Io continuo il doppiaggio della soap ‘Una vita’, lavoro a cartoni e documen-

tari. P: Io sto aprendo la mia scuola di canto e perfezionando diverse tecniche da me ideate; una delle quali applicate on line* R&P: Speriamo poi di partire al più presto con il nostro impegno contro il cyberbullismo insieme con l’associacione #wearenoeeurope. E’ dura per quelli della vostra generazione trovare lavoro, farsi una casa, mantenere la famiglia. Quanto contano versatilità ed elasticità nella vita e nel lavoro? R: E’ durissima. Non li invidio. Ma forse non invidio nemmeno me. Conta molto, moltissimo, così come conta la capacità di adattarsi. Oggi bisogna saper fare più cose. Va bene specializzarsi, ma strizzando sempre l’occhio a delle alter-

Pachy Scognamiglio, cantautore

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native. P: Dura è a dir poco, se si continua così finiremo tutti a vivere una comune per sopravvivere e fare figli sarà un lusso per pochi. L’unica nota positiva è che sono talmente in crisi tutti i settori: quindi, meglio azzardare e impegnarsi nel fare quello che almeno ti fa stare bene. Cosa pensi del Jobs act e di ciò che sta accadendo nel mondo del lavoro: evoluzione o involuzione? R: Sicuramente il tentativo è un’evoluzione, ma il problema, nel nostro paese, è che spesso si finisce per involvere, poiché non ci sono mezzi e strumenti corretti. P: Mi spaventa pesantemente... ho l’impressione che sia l’ennesimo modo per tenere in pugno i dipendenti e distruggere i diritti che hanno conquistato i nostri nonni. Quanto ti sei messo in gioco sino ad oggi nella vita e nel lavoro? R: Molto, ma non è mai abbastanza. Se pensi che vengo da una famiglia composta da un dipendente fiat in pensione una casalinga (che adoro!), direi che che ho fatto molto. Con Pachy farò ancora di più P: Se me lo avessi chiesto sei mesi fa ti avrei detto ‘non abbastanza’. In questi ultimi mesi la mia vita sta cambiando, sto iniziando a mettermi in gioco affrontando tutti i fantasmi che mi hanno limitato per anni. *Su www.nuovafinanza.com le due interviste complete, con ancora più domande a Pachy e Renato, approfondimenti, notizie esclusive, file multimediali e molto altro.


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MITA MEDICI CANTA CALIFANO

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l debutto al Todi Festival è stato un successo con tanto di standing ovation finale. Ora lo spettacolo "Mita Medici canta Califano" girerà l'Italia regalando emozioni in musica ai tanti fans, e non solo, del Califfo. Quando era una diciassettenne, bellissima, talentuosa e con una carriera avviata e lui un artista già affermato oltre che un irresistibile seduttore, si innamorarono ed ebbero una travolgente storia che li portò per tre anni anche a convivere, in un'epoca in cui cose del genere non erano certo all'ordine del giorno. Oggi lei, sempre fascinosa e bravissima, è la protagonista di questo spettacolo che rende omaggio al poeta della vita e dei sentimenti scomparso nel 2009 ma forse dimenticato troppo presto. Per la prima volta lei 'porta in scena' il Califfo... " Lo spettacolo - spiega l'attrice-cantante - nasce da un'idea di Silvano Spada, direttore artistico del Festival che cura anche la regia. Confesso, quando me lo ha proposto ho avuto un attimo di smarrimento, inevitabile pensare che sarebbe entrato tra teatro e musica anche il vissuto privato... Poi però ho accettato e visti i risultati sono felice di averlo fatto". Quali erano le vostre canzoni? "Beh di brani con parole dedicate a me ce ne sono tante. Anche se in verità quando noi stavamo insieme ascoltavamo anche altra musica. Un pezzo molto carino che ci divertivamo a fare è "E la chiamano estate", cantata da Bruno

Martino, per noi che eravamo appassionati di mare... Può sembrare poco romantica e invece basta ascoltare bene le parole". Come vi siete conosciuti? "Avevamo un amico comune: Gianni Minà. In quel periodo a Roma ci si ritrovava nei locali come il Piper che era frequentato da persone di varie generazioni. E lui, Minà, ci parlava sempre del Califfo. A me in particolare. Lo stesso faceva con Franco, parlandogli di me. Finchè un giorno ci incoriciammo in una casa discografica di Milano. Scattò subito una fortissima attrazione. Lui abitava a Milano in quel periodo. Quando io tornai a Roma anche lui si trasferi. Stavamo bene insieme. Partimmo con la convinzione di voler costruire. Poi le cose sono andate diversamente. Un giorno uscì di casa, mi disse che andava fuori, che non dovevo aspettarlo. Invece era a Roma. Lo vidi con una mia amica e un'altra donna nel ristorante dove andavamo sempre. Non dissi nulla... forse sono stata troppo impulsiva. Lui provò a riconquistarmi...Comunque - dice -abbiamo avuto una bella storia e dopo siamo rimasti amici. Non succede sempre. Spesso gli ex si dicono delle cose terribili....Abbiamo avuto percorsi diversi poi. Ma quando ci incontravamo casulamente era sempre una gioia". Cosa ricorda in particolare del Califfo? "Il sorriso, l'ironia e la capacità di sorprendere piacevolmente. Era dolcissimo Franco. Traspare anche dalla poesia delle sue

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canzoni. Era un generoso. E comunque la differenza di età, io avevo 17 anni, non si sentiva. Lui aveva una fanciullezza naturale che ci avvicinava...". Oggi canta le sue canzoni...

"E' meraviglioso. Sono un'attrice ma il mio desiderio era essere una rock star. Mi sono rimessa a studiare. Oggi canto sì, ma da attrice, perchè questo - sottolinea -, è uno spettacolo teatrale".

Immagini sullo sfondo di voi insieme? "No. E' un priivato che non nascondo, altrimenti non avrei accettato di fare questo spettacolo, ma che non va esibito...". (Don. Mil.)

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MUTAMENTI NEL COSTUME ITALIANO di Marco Toti

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el secondo dopoguerra, l’Italia attraversava un periodo in cui era divisa tra la ricerca delle proprie profonde radici culturali e la cosiddetta “colonizzazione” statunitense, sorta quale effetto dell’esito del secondo conflitto mondiale e della “spartizione” operata dai vincitori. Uno degli strumenti di questa “colonizzazione” - che non costituì una occupazione nelle forme del colonialismo “classico” -, in primis “ideologica” e inerente al costume e, quindi, ad un nuovo stile di vita, fu proprio il cinema e la sua “mitologia”: secondo A. Santoni-Rugiu, “se il mondo oggi è in gran parte permeato di una modernità americano-cinematografica, il cinema ne ha il merito o la colpa, per il novantacinque per cento”. La pervasività della cinematografia era (è) direttamente connessa al potere dell’immagine, oltre che ad una “rimozione” della propria memoria da parte degli italiani, causata dalla volontà di dimenticare gli anni del fascismo e della guerra; ma anche dall’attingere, da parte di Hollywood, a canovacci mitici in un certo senso “universali”, e dunque facilmente riconoscibili e fruibili. Ad ogni modo, si deve anche tener presente che la mitologia cinematografica statunitense operò in Italia, nonostante le misure autarchiche adottate dal fascismo dalla seconda metà degli anni ‘30, anche durante il ventennio: il musicologo partigiano M. Mila, ad esempio, ha affermato di non “aver avvertito la frattura e la perdita di contatto con l’Olimpo hollywoodiano perfino quando combatte da partigiano e sogna di ‘poter scendere assieme agli altri’ un giorno o l’altro in pianura, tornare al paese o in città e andare al cinematografo a vedere non più le facce odiose di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, ma

un bel film di Clark Gable o Mirna Loy”. In effetti, il pubblico, non solo fin dal periodo immediatamente successivo alla guerra, mostrò chiaramente di preferire alle produzioni autoctone il cinema americano, che dominava largamente il mercato; per avere una idea dell’importanza che il cinema aveva allora in Italia (oltre che in Europa), si pensi che a Roma, verso la metà degli anni cinquanta, esso costituiva la seconda industria dopo l’edilizia, e che quasi la metà degli incassi dei film americani proveniva dall’estero: di qui il grande interesse che gli statunitensi nutrivano per l’esportazione delle loro opere, interesse motivato sia da ragioni politico-economiche che ideologico-culturali.

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IL DRAMMA DEI PROFUGHI di Paolo Coccopalmerio

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ome s’avviva a lo spirar d’i venti / carbone in fiamma, così vid’io quella / luce risplendere a’ miei blandimenti.” Così Cacciaguida, nel XVII canto del Paradiso di Dante, descrive l’evidente imbarbarimento della sua avita città, quella che diventa meta di: “Nobili e Villani” . Certamente più recenti, in un contesto di diverso respiro, gli studi in onore di Raymond Aron, filosofo e teorizzatore di una società buona, fatta di uomini liberi, accoglienti e responsabili. Come viene espresso nel celebre saggio “Libertà e Uguaglianza”. Questi sono solo due esempi, tratti peraltro a caso nella selva delle citazioni possibili, e per di contro opposti, per accostarci all’annoso e pluridiscusso dibattito sull’efficienza e l’efficacia della buona società, quando questa ha a che fare con lo “straniero”. Il dramma umanitario dei profughi è tema di dibattito sociale non solo politico, la società ne parla in famiglia, in ufficio, alla fermata dell’autobus e ci si confronta. La disperazione delle genti straziate, il loro destino, è sulla bocca di tutti. E’ indubbio che si tratta di un fenomeno generale, frutto di logiche geo-politiche che traggono la loro ragion d’essere da un duplice ordine di fattori. In primo luogo certe parti del mondo hanno sofferto, e continuano a soffrire, la vera povertà dei beni primari e la con-

tinua privazione del sapere. In secondo luogo, la militarizzazione della società e la discontinuità con un ragionevole flusso migratorio da parte dello stato confinante, come fonte probabile di integrazione con il tessuto già esistente. Il concetto che lega l’attualità del pro-

blema deve collegarsi con quello più proprio dello scenario di provenienza. A fronte di Stati del terzo mondo che non mantengono rating di visibilità, strutture, certezza del diritto assai discutibile, ma che si sono imposti come nuovi soggetti dell’economia mondiale, e quindi legittimati sullo scenario geo-economico, si affiancano realtà parimenti traballanti ma che non danno lo stesso livello di affidabilità. E evidente che il miraggio di luoghi,

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porti immaginari, approdi sicuri, conduca masse di disperati a tentare l’ultimo gettone nella roulette della vita. Paradossalmente, quello che poteva essere l’approdo diventa il “secondo letto”, forse più caldo, ma comunque provvisorio. Questa situazione indebolisce, fiacca lo Stato che accoglie queste realtà e pone interrogativi all’interno delle sue forze politiche, talvolta lacerandosi in accese discussioni. La radice del problema è la completa disorganizzazione politica degli Stati membri che, in un annosissimo gioco al rimbalzo, scaricano il problema. La paura più marcata è quella proveniente dai neo stati dell’Unione, soprattutto quelli dell’ex blocco sovietico, il vecchio impero asburgico, ora piccole oasi quasi prevalentemente turistiche, che vedono minacciata la loro integrità ed in maniera massima il loro business. È comprensibile, visti i limiti geografici ma anche alla luce delle coalizioni neonazionalistiche ad esse connesse. Quali sono, dunque, gli scenari possibili? Non spetta a noi dirlo, certo è che possiamo interrogarci sul significato di Orismos, uomo come tale o come entità, metafisica, con pieni ed assoluti diritti . Ovvero “Parcere subiectis et debellare superbos”.


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ALESSIA E LA QUOTIDIAN  ARTE

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asce avvocato continua imprenditrice. Un vulcano di idee e soprattutto di idee realizzate, Alessia Montani fonda il brand M’AMA.ART tre anni fa con l’intento di coniugare l’arte agli oggetti di uso comune e quotidiano affinché tutta la nostra vita sia un continuo museo in movimento. Artisti di fama, affascinati e partecipi, legati da amicizia e intenti comuni aderiscono così all’idea e nascono le “etichette divine” per il grande vino della Cantina Cerulli Spinozzi, ( attualmente alla Gnam di Roma all’interno della Mostra Corporate Arte) si continua con le palle di Natale firmate da Pietro Ruffo, Bizhan Bassiri, Pietro Fortuna, Angelo Bucarelli ed altri che inaugurano la Galleria in Via dei Banchi Nuovi in odore di Natale e di Arte. In questo momento M’AMA.ART lancia sul mercato un prodotto che nasce vincente. Il romantico ed intenso profumo “Ricordati di fiorire” nato dall’arte di Mastri profumieri e la bottiglia disegnata dall’artista Chicco Margaroli. Sentori di pera, pepe rosa e fiori di bosco con un tocco di vetiver per un mix che non si fa dimenticare. Alessia Montani così presenta il suo profumo: “Già il nome vuole essere un monito per le donne, un incanto che deve accompagnare la giornata di chi, indaffarata e sommersa dagli impegni, dimentica a volte la propria parte femminile. Sarà uno spruzzo a ricordare la fragilità, il fascino e il sex appeal che circonda ogni donna. Presto lo presenteremo con un evento che farà parlare di sé.”

E dopo il grande successo ottenuto dalla Mostra di Valeria Corvino in Galleria – magnifici oli, plexiglass e disegni che hanno incantato tra gli altri Renato Zero ospite dell’inaugurazione – ecco spuntare la Moda. Nasce quindi dalla collaborazione di Alessia Montani e dell’artista l’idea di lanciare un foulard con gli imponenti disegni di Valeria Corvino. Foulard e grandi sciarpe, con tocchi di oro e splendidi cavalli o bocche rosse da baciare, ecco la realizzazione di un prodotto di nicchia, solo per intenditori e ancora una volta per donne che credono in sé e nella propria bellezza. Alla domanda di come sia l’iter e la realizzazione di un foulard d’artista Alessia Montani racconta: “Credevo di dover scalare una montagna, in realtà lo studio è stato molto lungo ….realizzare graficamente il disegno giusto che avesse intatto il fascino delle opere dell’artista ma la dimensione adeguata alle spalle di una signora è stato laborioso ma entusiasmante, quando finalmente abbiamo avuto il primo foulard in mano siamo state felicissime!” Un brand per tutte le stagioni, che vuole l’arte al servizio del quotidiano per fare di ogni casa un museo e di ogni donna un’opera d’arte. La Galleria di Alessia Montani a Roma in via dei Banchi Nuovi 21a per un punto di incontro con l’arte, per due chiacchiere d’artista e per aperitivi divertenti. Donatella Miliani

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IL TEMPO DI VALIGIE E MATITE di Alessandro Spolvi (Scrittore)

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inita la villeggiatura si tornava in città, abbronzati e riposati. Il tempo di disfare le valigie e mia madre ci portava in giro per cartolerie. Iniziava la scuola, la cosa che odiavo più di ogni altra al mondo! Mi trascinavo a forza davanti a quel portone e mi affidavo nelle mani di Marzio, il custode tuttofare delle elementari. Non sopportavo il grembiule blu con i bottoni bianchi, tantomeno quel colletto di plastica, sempre di colore bianco, rigido come un collarino ortopedico ed il fiocco acrilico che si impigliava ovunque. L'aula diventa a per me una gabbia, quattro ore di lezione con un unico maestro! Non riuscivo a stare attento durante le sue spiegazioni , guardavo fuori dalla finestra aspettando di poter uscire da quella stanza per correre fuori con i miei amici e finalmente fare quello che più amavo: giocare a pallone! L'unico momento divertente era la ricreazione, dove potevamo mangiare quelle merendine fatte in casa dalle nostre mamme. Potevi trovare di tutto dentro quei panini, dalla pasta della sera prima, alla frittata alta come n'ciambellone! Non avevamo le merendine odierne giá confezionate. Le nostre erano incartate con quello che passava casa, dal giornale di papá al pezzo di canovaccio per i

piatti. I piú fortunati potevano usufruire dell'utilissimo foglia della pizza del fornaio di un paio di mesi prima. Naturalmente non mancava mai chi non avesse la merenda, motivo per il quale iniziava il famoso giro del " che me ne dai m'pezzetto?" che alla fine der giro più che un pezzetto diventava er pranzo de Natale. Era lui,Giuseppe, il figlio del falegname, al quale davamo un po' delle nostre merende in cambio però delle sue

imitazioni vocali. Era un maestro nell'imitare la circolare ( il tram su rotaia), ma il suo pezzo forte era la macchina di formula uno. Bastava infatti chiu-

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dere gli occhi durante l'esibizione e sembrava di stare a bordo pista, ma ogni volta che ci portava a bordo pista il maestro lo costringeva ad un pitstop obbligato stampandogli una bella nota sul registro! Giuseppe era il mio compagno di banco ed io appena mi annoiavo gli dicevo " Giusè, famme er Ferrari che parte!" E lui rispondeva subito " Non posso Sá, il maestro sta spiegando e non vojo prenne n'artra nota!". A quel punto io pronto lò ricattavo, dicendogli " Ah si Giusè, niente partenza? Domani scordate er pezzo de merenda" e lui, impaurito dalla minaccia, faceva partire nel silenzio assoluto dell'aula il rombo inconfondibile di un ferrai in partenza, con tanto de sgommata e cambio de marcia. Dopo la partenza entrava in gioco il maestro, che senza alzare gli occhi dalla cattedra, apriva il registro e diceva: "Giuseppe? NOTA!". A quel punto il povero Giuseppe cercava di giustificarsi cercando di far capire al maestro di esser stato raggirato, ma il maestro non gli credeva, anzi si infuriava ancor di più, tuonando " Giuseppe non ti credo, ti metto un'altra nota per vigliaccheria!". Giuseppe fu bocciato con un 5 in condotta ma da grande diventò un'eccellente imitatore. Io invece conclusi con successo l'anno scolastico e tutt'oggi continuo a sognare la vacanze.




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