Nuova Finanza n.2/2017

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BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO

Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013

Anno 2017 Numero 2 MARZO APRILE

LA SPEZIA, IL FUTURO NEL MILITARE O NEL CIVILE?

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IL PUNTO Italia: basta freni

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BORSA Le aziende quotate

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SOCIETÀ Un satellite ci protegge



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Il Punto L’Italia bloccata

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La Spezia Arsenale sì, Arsenale no

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Cisl Parla la segretaria Furlan

L’ORTODONZIA NELLA TRECCANI pag 48

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Carrara Il marmo vale oro

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Enegan Via al progetto Eve

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Decentralizzazione L’ostacolo classe dirigente

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New economy Profumo di sharing

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Innovazione Clampco Sistemi

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IdealMio Start up di sostegno

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Ecosostenibilità Earth Mother Project

Direzione Marketing e Redazione

I diritti dei cittadini L’avvocato robot

Katrin Bove Germana Loizzi

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Nuova Finanza Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale

Francesco Carrassi Direttore Responsabile

Pietro Romano

Senior Web Editor

Nicola Carrassi

Editore Kage srl 00136 Roma - Via Romeo Romei, 23 Tel. e Fax +39 06 39736411 www.nuovafinanza.com - redazione@nuovafinanza.it Per la pubblicità: nuovafinanza@nuovafinanza.it Autorizzazione Tribunale di Roma n. 88/2010 del 16 marzo 2010 Iscrizione ROC n. 23306

COSTUME & SOCIETA’

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ALLERTA ANTI-SISMICA ORTODONZIA IN TRECCANI FIRENZE SEGRETA A VOLTE SI TORNA AI TEMPI DEL JOBS ACT LA LINEA COUTU’ I BORBONE NEL PIATTO VIA MARGUTTA

Stampa STI - Stampa Tipolitografica Italiana Via Sesto Celere, 3 - 00152 Roma Progetto Grafico Mauro Carlini Abbonamento annuo Euro 48,00 Hanno collaborato: Gianpaolo Ansalone, Franco Antola, Rossella Ariosto, Marco Barbonaglia, Nicola Bartolini Carrassi, Katrin Bove, Roberto Di Meo, Piero Gherardeschi, Federica Gramegna, Germana Loizzi, Marcello Mancini, Donatella Miliani, Sandro Neri, Renato Pedullà, Sergio Santoro.


IL PUNTO del direttore

ITALIA, BASTA FRENI di Pietro Romano

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ome capita da lungo tempo ogni tre anni in Italia si assiste al rito delle nomine. Alle indicazioni da parte della politica, in sostanza, degli amministratori di un gruppo di società controllate dal Tesoro anche con quote nettamente inferiori alla maggioranza delle azioni. E che società. Si va da Eni a Enel, da Finmeccanica/Leonardo a Poste, da Terna a Enav. Sono ormai quelle che trainano la sempre più striminzita e periferica Borsa italiana e, nel contempo, ormai decidono anche la presidenza di Confindustria con il loro peso e il loro contributo economico alle casse della confederazione. Le indicazioni hanno suscitato polemiche, soprattutto perché a fare la parte del king maker è stato un signore attualmente senza incarichi pubblici, Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio ed ex leader del (più o meno) principale partito politico italiano, il Pd. Dalla parte sua, però, Renzi ha un piglio che manca a tutti gli altri leader, una consapevolezza delle proprie doti (che qualche oppositore chiama sicumera) e un dialogo costante con le istituzioni, incarichi a parte, che ne fanno una facile decisore in tempi di carenza di leadership. Lo dimostra la nomina più controversa di tutte, quella di Alessandro Profumo ad amministratore delegato (per ora ancora in pectore) di Finmeccanica/Leonardo, il maggiore gruppo hi-tech italiano, un gruppo dove ricerca e manifattura, conoscenza del mercato e dei principali player la fanno da padrone e la finanza è giocoforza in seconda linea. Secondo

indiscrezioni, Profumo avrebbe messo assieme tutte le anime dell’ex Ulivo (un’area ben più vasta dell’attuale Pd) una parte consistente della finanza italiana e si sarebbe avvantaggiato anche dell’assist della Banca d’Italia. Assicurandosi una nomina che ha suscitato molte perplessità: nessun medio/grande gruppo mondiale dell’aerospazio, difesa e sicurezza (i settori operativi di Finmeccanica/Leonardo) è guidato, infatti, da un esperto di finanza come Profumo. La società di piazza Monte Grappa ha già fatto l’esperienza dell’esperto di finanza alla guida (poco più di un anno con Alessandro Pansa ad) e non ne è uscita bene. Profumo, peraltro, nonostante le laute liquidazioni, non ha lasciato in salute le banche che ha guidato (Unicredit e MpS) né è indenne da controversie giudiziarie, una delle quali (l’accusa è di usura e riguarda la sua attività di presidente del MpS) sta già creando grattacapi al governo che l’ha formalmente scelto. Un executive non del settore (Mauro Moretti, ad uscente, che veniva dal settore dei servizi, le ferrovie, mercato oltre tutto protetto) ha già accumulato tre anni di luci e ombre, per Finmeccanica/Leonardo sarebbe difficile – sono convinti molti esperti del settore – sopravvivere a un altro triennio del genere. Come se non bastasse, Profumo non è affiancato nel consiglio di amministrazione da persone che conoscono la gestione aziendale, i mercati e le persone di riferimento, bensì, ma questo vale per quasi tutte le controllate dal Tesoro e da tantissime quotate italiane, da professionisti e accademici che non sono

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in grado di entrare nel merito del business. Tanto che qualche osservatore malizioso si è già chiesto se le nomine a Finmeccanica/Leonardo non siano finalizzate alla liquidazione della società. Sarebbe un dramma per l’Italia, oltre che per la società, i suoi dipendenti, shareholder e stakeholder tutti. I sistemi dell’aerospazio e della difesa attuali, e ancor di più quelli futuri, richiedono sviluppi tecnologici tali da generare un ciclo industriale che, alla fine, oltre a servire le esigenze del committente


genera un indotto, tecnologicamente molto innovativo, che si riverbera sul mercato civile. E’ la conseguenza della cosiddetta dualità della resa industriale. Non è un caso che i Paesi che investono di più nella produzione militare (non nell’acquisto di armamenti, come dimostra a esempio la Germania) sono quelli tecnologicamente più avanzati. La difesa non bada al risparmio, ma alla superiorità. E questo comporta un vantaggio competitivo enorme. Sarebbe un suicidio continuare nella po-

litica di indebolimento del settore e soprattutto della sua azienda leader, che già si è privata (negli anni della gestione Moretti) dell’industria ferroviaria nazionale (finita ai giapponesi di Hitachi) proprio dopo che era stata risanata (con un costo superiore al miliardo di euro) e alla vigilia di una delle più grandi gare italiane di forniture ferroviarie, che si è aggiudicata proprio una delle industrie ex italiane. Misteri. Le tristi vicende di quello che ancora pochi anni fa era uno dei più importanti player mondiali nei settori di riferimento sono sintomatiche, però, della totale assenza di politica industriale nel nostro Paese da diversi anni a questa parte. In un paio di decenni l’Italia ha perso numerose grandi imprese che facevano, e avrebbero potuto ancor di più, fare da traino tecnologico a tutto il sistema produttivo. Si parla tanto di Industria 4.0 ennesima rivoluzione industriale dalla quale deve scaturire l’industria del futuro ma questa formula è stata creata in Germania e prevede una grande impresa locomotiva dietro la quale può muoversi una filiera che rappresenta un pezzo delle eccellenze nazionali. Ma se mancano le grandi imprese a fare da locomotiva è difficile che poi si possa avere una catena produttiva in grado di partecipare alla sfida. Addio Industria 4.0 quindi e forse addio industria evoluta tout court. Contrariamente a quanto spesso si legge, infatti, il problema del sistema produttivo italiano non è dato dalla carenza di qualità ma dalla scarsità sul fronte quantitativo, dalla crescente mancanza di massa critica. Lo dimo-

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strano i dati sulla produttività delle imprese italiane, che scaturisce mediamente molto bassa da tutte le statistiche internazionali. Tra i pari taglia europei (Francia, Germania, Regno Unito, Spagna) in tutte le fasce dimensionali tra i dieci e i 249 dipendenti, invece, il nostro Paese è secondo per produttività. E nella fascia delle grandi imprese (da 250 addetti in su) è addirittura prima. Tutti i problemi della scarsa produttività media italiana, quindi, si annidano tra le micro imprese sotto i dieci dipendenti. Ma è più probabile che siano concentrati tra le imprese uni-personali o poco più. Molte delle quali sono imprese per modo di dire. La carenza di ammortizzatori sociali anti-disoccupazione, diffusi in tutte l’Europa centrale e settentrionale, e una propensione a inventarsi qualcosa per sbarcarsi il lunario sono alla base della presunta attitudine all’auto-imprenditorialità italiana. Spesso, invece, frutto della disperazione. Non è casuale che storicamente perlomeno la metà delle nuove imprese non arriva al terzo anno di vita. Per rilanciare il sistema produttivo italiano, quindi, è indispensabile tenere in vita le poche grandi imprese rimaste in grado di fare da traino alla filiera dell’Industria 4.0. Soprattutto è necessario che la politica si liberi delle paure di apparire interventista. Bisogna togliere il freno a mano che ha praticamente bloccato da anni gli investimenti pubblici. Perché un’automobile con il freno tirato nella migliore delle ipotesi rimane ferma, nella peggiore si cappotta. E lo stesso vale per un Paese.


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IL FUTURO DELLA SPEZIA

ARSENALE SÌ, ARSENALE NO Franco Antola

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na risorsa per l'economia della città e della provincia o, allo stato, solo un ostacolo allo sviluppo di aree strategiche oggi assoggettate ai rigidi vincoli militari, che hanno costretto a cercare altrove spazi di crescita? E' un dilemma storico quello su cui oggi si interrogano La Spezia e il mondo economico-produttivo. Gli scenari, in effetti, sono profondamente mutati da quando Napoleone Bonaparte, per primo, cominciò ad intuire le grandi potenzialità strategiche del golfo, ipotizzando la nascita di un grande arsenale. Un'idea certo non peregrina, non a caso ripresa successivamente da Cavour, a quel tempo – eravamo nel 1857 - presidente del Consiglio e ministro della Marina, e poi sviluppata, su suo incarico diretto, dal generale Domenico Chiodo, ufficiale del Genio militare (fu lui a inaugurare, il 28 agosto1869 l'impianto, non ancora completato, con l'allagamento dei bacini). Un'opportunità, allora, soprattutto di natura strategico-militare, ma non solo, visto che l'Arsenale divenne nel giro di pochi

decenni il polmone occupazionale della provincia con i suoi diecimila dipendenti. Di fatto, il polo “produttivo” che sancì la crescita di Spezia. E oggi? Di quei diecimila occupati, che arrivarono ai tempi d'oro fino a 12mila, non restano che poco meno di 800 posti di lavoro, fra civili e militari, sui quali pesano le incognite legate alle scelte “politiche” della Difesa. Ha ancora un senso, oggi, vincolare una superficie di 85 ettari a destinazione quasi esclusivamente militare, sottranendo spazi pregiati, per esempio, all'industria civile o al turismo, costringendo la città ad espandersi un po' disordinatamente verso est? La risposte non sono univoche. E' vero, infatti, che l'Arsenale ha reso off limits enormi spazi togliendoli alla fruizione pubblica – ne sanno qualcosa frazioni come Marola o Fabiano, private a lungo di un loro accesso al mare – ma è altrettanto certo che quelle stesse aree, aspetti occupazionali a parte, sono state comunque salvaguardate dall'aggressione del cemento e della speculazione, che a partire dagli anni '60

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hanno stravolto molta parte del patrimonio ambientale del Paese. Certo, nel rapporto fra Marina Militare e amministrazioni pubbliche non sono mancate rigidità e incomprensioni durate decenni, ma oggi il quadro è molto cambiato. Grazie alle nuove “aperture” della Difesa e dei vertici della Marina Militare, attività private hanno potuto ritagliarsi spazi all'interno dello stabilimento militare e soprattutto si è riallacciato un dialogo che ha consentito proficui

scambi fra amministrazioni pubbliche, imprenditoria privata e istituzioni culturali, da un lato, e Marina Militare dall'altro. Così, le aree dell'Arsenale hanno cominciato ad ospitare rassegne specializzate dedicate alle attività e all'industria nautica, mentre edifici a vocazione militare (come l'ospedale militare) hanno lasciato spazio, sulla base di apposite convenzioni, a servizi sanitari civili. Ma non solo. Il dialogo si è avviato anche sulla partita ben più impor-

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tante delle sinergie industriali e delle tecnologie navali, con significativi riscontri di natura economica. In questo quadro si colloca per esempio l'esperienza di “Sea future & Maritime Technologies”, rassegna internazionale delle tecnologie navali che offre alle imprese la possibilità di fare accordi commerciali con Marine Militari, grandi aziende e mondo della ricerca, e alla Spezia e il suo Arsenale l’occasione di confermarsi polo del refitting e dell’alta tecnologia. La


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base navale spezzina nel maggio 2016 è stata il cuore pulsante dell'evento organizzato da La Spezia Eps, Azienda speciale della Camera di Commercio della Spezia, con la Marina Militare, la Camera di Commercio della Spezia, l’Autorità Portuale della Spezia, il Distretto Ligure delle Tecnologie Marine, il Comune della Spezia, con il patrocinio del Ministero della Difesa, del Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dalla Regione Liguria. Un esempio virtuoso di come, oggi, Marina Militare e mondo dell'imprenditoria possono dialogare e lavorare “in squadra” per raggiungere obiettivi comuni. L'Arsenale, dunque, ha un suo ruolo e un suo futuro. Aspetti, questi, su cui ha dato garanzie lo stesso ministro della Difesa Roberta Pinotti, recentemente alla Spezia in occasione della cerimonia di brevettamento di dieci nuovi incursori del ComSubin, il comando delle forze speciali della Marina. La titolare del dicastero ha detto in sostanza che il programma di finanziamenti per lo sviluppo dell'Arsenale, il cosiddetto "Piano Brin", è "stato riattivato su mio impulso e quindi c'è l'impegno ad andare avanti" con la creazione di nuovi posti di lavoro e l'ammodernamento dei sistemi produttivi.Uno scenario plausibile? Il sindacato sostiene che proprio il Piano Brin è il nodo centrale dello sviluppo e addirittura della sopravvivenza dell'Arsenale militare, una struttura legata alla conservazione del suo patrimonio di professionalità che,

senza un piano organico dello Stato, non potrà essere consegnato alle generazioni future. "Qui non si tratta – osserva Franco Volpi, segretario generale della Funzione pubblica Cisl - di trovare le risorse per far fronte alle normali esigenze di carattere produttivo e di manutenzione, il vero nodo è la garanzia del turnover, per evitare che l'uscita delle maestranze più anziane blocchi di fatto il trasferimento del loro grande patrimonio di competenze ai giovani. "I conti sono presto fatti – chiarisce Volpi - : dei trenta milioni originariamente previsti dal piano Brin, ne sono arrivati quattro. Si tratta di risorse importanti, certo, che permettono di intervenire sui bacini i quali, ricordiamo, sono un patrimonio unico in Europa di queste dimensioni. Eppoi le infrastrutture, le officine, gli spogliatoi delle maestranze.Oggi si rischia che quei soldi siano usati per costruire cose a beneficio di altri, che lavorano fuori dall'Arsenale, senza alcun valore aggiunto per noi". La prima cosa da fare? "Intanto riaprire subito la scuola operai chiusa da vent'anni, che è un centro di formazione capace di preparare figure professionali in grado di lavorare sia per il pubblico che per il privato. Mettere a posto bacini e officine, poi, non è sufficiente: sarebbe inutile disporre di impianti moderni ed efficienti, senza personale nostro. Su questi temi abbiamo chiesto un impegno diretto al ministro della Difesa”.

LA SCHEDA

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a superficie complessiva occupata dall'Arsenale è circa 90 ettari, di cui quasi 20 di superficie coperta . Sei i bacini in muratura, due i bacini galleggianti. 2600 sono invece i metri di banchina e 13000 quelli della rete stradale interna. Gli occupati (civili e militari) sono circa 800. L'indotto è costituito approssimativamente da 25 imprese locali, per 450 lavoratori circa. Alcune attività "private" sono ospitate, occasionalmente,nell'area dell' arsenale, tipo mostre, convegni, iniziative culturali e scientifiche. Fra queste, le più importanti sono Seafuture & maritime technologies, la Giornata Fai di primavera e Terre di Canossa international classic cars challenge. Sono altresì forniti in concessione d’uso alcuni locali (aule e officine) interni all’Arsenale per lo svolgimento di attività formativa professionale da parte del Polo Universitario della La Spezia “G. Marconi”- Promostudi.

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LA STORIA

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'Arsenale militare della Spezia – che occupa la zona centro-occidentale del Golfo, a due passi dal centro cittadino – deve la sua nascita a Cavour, per quanto già Napoleone Bonaparte avesse intuito le grandi potenzialità strategiche dell'area e la possibilità di costruirvi una grande base navale; le sue sconfitte a Lipsia e a Waterloo impedirono però la realizzazione del progetto. L'idea di Napoleone fu fatta propria nel 1857 dall'allora presidente del Consiglio, Camillo Benso conte di Cavour appunto, che affidò a Domenico Chiodo, ufficiale del Genio militare, la costruzione della nuova base navale. I lavori, iniziati nel 1862, terminarono il 28 agosto 1869: fu in quell'anno che Chiodo inaugurò l'impianto - non ancora del tutto completato – con l'allagamento dei bacini appena costruiti. I lavori proseguirono negli anni successivi, attraverso ulteriori ampliamenti fino al 1900 circa, quando l'Arsenale raggiunse la configurazione definitiva. L'odierna struttura rispecchia in pratica quella raggiunta con l'originario progetto del Maggiore Chiodo. Come spiegano al Comando Marittimo Nord, da cui l'Arsenale dipende, restano come capisaldi di tale progetto: le due darsene interne; i sei bacini in muratura; le officine principali (congegnatori, calderai, tubisti, artiglieria, ecc.). La costruzione dell'Arsenale ha determinato la vera nascita della città ed il suo primo disegno urbanistico: al'inizio del 1800 La Spezia era infatti un piccolo borgo

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dell'impero napoleonico, con una popolazione di circa 3000 persone. Con la costruzione dell'Arsenale la città ebbe un rapido sviluppo economico e, in conseguenza della disponibilità di nuovi posti di lavoro, anche un notevole sviluppo demografico: la popolazione raggiunse le 31.500 unità nel 1881, le 60.000 unità nel 1901, le 123.000 nel 1940. Inizialmente – spiega il Nucleo pubblica informazione del Comando marittimo - il compito principale dell'Arsenale era quello di costruire unità navali per la Marina Militare e fra il 1871 e il 1923 furono varate dagli scali dello stabilimento 8 corazzate, 6 incrociatori, 2 torpediniere, 2 cannoniere, 9 sommergibili, oltre a numerose unità minori di appoggio.In quegli anni l'Arsenale aveva la capacità di costruire non solo gli scafi delle navi ma anche i macchinari, le armi e le apparecchiature necessarie sia alla propulsione che ai sistemi di combattimento. Durante il secondo conflitto mondiale, in considerazione della sua importanza strategica, l'Arsenale – che ospitò fra l'altro la II squadra e la X flottiglia Mas – fu pesantemente bombardato e andò quasi completamente distrutto. La ricostruzione cominciò subito nel dopoguerra e la base tornò ad essere operativa già nel primo dopoguerra. Per tutto il periodo della guerra fredda, l'Arsenale è stato sede dellaI divisione navale. La struttura è ancora quella del progetto originale del XIX secolo, anche se la conversione di officine, magazzini, laboratori, attrezzature è stata necessaria per razionalizzare le strutture e riqualificare le maestranze alle esigenze della moderna tecnica navale. Attualmente l'Arsenale non costruisce più navi e sono diventate prevalenti le attività di manutenzione e, dove occorre, trasformazione, anche radicali, delle unità navali, oltre al mantenimento in efficienza di infrastrutture, mezzi e attrezzature impiegati per l’assolvimento dei compiti di istituto.

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LA SEGRETARIA FURLAN

CISL, “UNA CASA DI VETRO” Renato Pedullà

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er la CISL quest’anno sarà l’anno del Congresso confederale, un appuntamento fondamentale per il potente Sindacato “cattolico “, in virtù di questa occasione, ma anche grazie agli accordi innovativi fatti con il Governo che hanno cambiato la legge Fornero sulla previdenza , abbiamo ritenuto interessante sapere personalmente dalla sua Segretaria Annamaria Furlan, l’indirizzo del Sindacato su alcuni temi aperti nella società italiana, come la nuova Riforma Madia, il famoso aumento degli 85 euro ai dipendenti pubblici,” la questione meridionale”, la questione drammatica della mancanza di lavoro per le nuove generazioni, il rinnovamento del Sindacato ormai esigente di un maggiore controllo e trasparenza nell’utilizzo delle risorse. Buon giorno segretaria, la riforma Madia ormai è stata varata. Ritiene tale riforma che punisce i furbi e premia i lavoratori meritevoli valida ed efficace o secondo lei dovrebbe essere soggetta a limature e integrazioni? La riforma del Governo è sicuramente un passo avanti verso la necessaria riorganizzazione di tutta la Pubblica Amministrazione. La Cisl ha sostenuto in questi mesi l'esigenza di cambiare le regole del lavoro pubblico, ma abbiamo detto con chiarezza che tutto questo non si fa con nuove leggi calate dall'alto, ma dando più spazio alla contrattazione nazionale e decentrata, in tutti i comparti pubblici, anche nella scuola, nelle Università, nella ricerca, coinvolgendo i lavoratori e il sindacato. Questo era l'obiettivo che avevamo fissato nell'accordo del 30 novembre scorso con il Governo per avere più produttività, più efficienza, migliore qualità dei servizi, ed anche più moralità e rispetto delle regole sia da parte dei lavoratori, sia da parte dei dirigenti. Il nuovo Testo unico va in questa direzione, anche se il ruolo della legge è ancora

troppo invasivo. Per questo il confronto con la ministra Madia deve continuare in vista dell'apertura dei tavoli per i rinnovi contrattuali. Nel pubblico impiego il modello deve essere quello che stiamo portando avanti attraverso tutti i contratti privati che stiamo rinnovando negli ultimi mesi: più partecipazione dei lavoratori alle scelte, più formazione e riqualificazione del personale, migliore razionalizzazione della spesa, incrementi di stipendio stabiliti insieme e legati agli obiettivi nel secondo livello di contrattazione. Questo è il nostro obiettivo. I furbetti del cartellino colti in flagranza di reato sono licenziabili entro 30 giorni. Ritiene tale decreto eccessivo, o giusto e corretto nelle sue finalità? Noi abbiamo detto senza equivoci che i furbetti vanno puniti perché non possiamo lasciare che una quota minoritaria di assenteisti, di cui parliamo da mesi, offuschi lo spirito di servizio e l'abnegazione di milioni di lavoratrici e lavoratori pubblici che fanno ogni giorno il proprio dovere. Pensiamo agli infermieri negli ospedali, ai vigili del fuoco, agli insegnanti e a tante altre figure importanti del lavoro pubblico che da 7 anni non vedono aumenti di stipendio. Vorremmo che ogni tanto nei talk televisivi si parlasse Annamaria Furlan anche di queste persone e non di quei pochi casi di irresponsabili colti a timbrare anche in mutande. Ci avviciniamo al rinnovo del contratto. Lei ritiene che bastino i 2,1 miliardi stanziati dal Governo per assicurare a tutti i dipendenti statali l'aumento degli 85 euro? Noi abbiamo detto con chiarezza al Governo che ci vogliono almeno altri 1,5-2 miliardi di euro da stanziare nella prossima Legge di Bilancio per il 2018 per rispettare l'impegno degli 85 euro di aumento. Siamo certi che il Governo non si sottrarrà agli impegni sottoscritti insieme al sindacato. Per

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quanto ci riguarda siamo pronti a discutere subito, ma con la certezza delle risorse, in modo da chiudere i contratti bene e in tempi brevi. I lavoratori attendono da troppo tempo questo rinnovo contrattuale che deve segnare una svolta anche sul piano di una stagione di protagonismo dei delegati nei posti di lavoro e nei territori in tutti i settori pubblici. Il 31 gennaio scorso si è concluso il Consiglio Generale della Cisl che ha visto l’approvazione unanime della Relazione che ha presentato. Quali sono stati secondo lei i punti incisivi del suo intervento? Per la Cisl questo è l'anno del Congresso confederale, un appuntamento importante che ci dà modo di raccogliere soprattutto le istanze della nostra base, i problemi dei nostri iscritti, le ansie e le aspettative di migliaia di delegate e di delegati che hanno scelto di stare nella Cisl e che ogni giorno, in tutti posti di lavoro e tra i pensionati, portano avanti la nostra linea autonoma, libera, partecipativa. Abbiamo fatto accordi importanti con il Governo nello scorso anno, cambiando la legge Fornero sulla previdenza e ponendo le basi per una contrattazione innovativa in tutti i comparti privati e pubblici. Continueremo a

sollecitare una svolta a livello europeo nella politica economica a favore della crescita e del lavoro, perché il nostro Paese ha bisogno di investimenti pubblici e di misure straordinarie svincolate dai parametri rigidi dell'Europa, in modo da combattere il grave livello di povertà cui siamo arrivati, ridurre il divario nord-sud, ricostruire le aree terremotate, affrontare il dramma di migliaia di profughi che sbarcano sulle nostre coste. La Cisl è pronta anche a governare i necessari processi di digitalizzazione di Industria 4.0 attraverso una rinnovata valorizzazione del lavoro 4.0 e di una maggiore partecipazione. L'obiettivo deve essere quello di favorire l'assunzione di giovani con nuove politiche attive del lavoro, più formazione, più ricerca, più innovazione. Tante, insomma, sono le questioni aperte che la Cisl vuole affrontare nel 2017 e nei prossimi anni con uno spirito nuovo e con grande senso di responsabilità. Parliamo del nostro Sud. L'argomento resta sempre delicato e triste, ma deve sempre rimanere vivo, acceso

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da una nota di speranza. In cosa deve essere incentrata la nuova politica industriale nel Mezzogiorno, nell'innovazione, nella ricerca, nelle infrastrutture, nell'energia pulita, o ci sono altre strade da intraprendere? La questione meridionale è un tema che va affrontato con uno spirito di unità e di solidarietà del sistema-Paese. Non va vissuto in una logica di "separatezza", che è stato l'errore storico anche di una certa politica meridionale. Noi pensiamo che avere uno sviluppo ordinato, infrastrutture moderne, beni culturali ben tutelati e fruibili per il turismo e soprattutto più legalità e sicurezza per i cittadini e le imprese nelle regioni del Sud debbano diventare priorità per tutto il nostro Paese e anche per l'Europa. Sarebbe ingiusto non riconoscere gli sforzi e le scelte che sono stati fatti negli ultimi anni. È importante che il Governo Gentiloni abbia istituito un Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, che testimonia la volontà politica di seguire più da vicino le politiche per lo sviluppo. Ma è chiaro che tutto questo non basta. Bisogna fare di più e molto più velocemente per il Sud, con il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali, economici e sociali ai vari livelli, ponendo anche il tema di



una maggiore responsabilità della politica. Prendendo spunto da un intervento che lei ha rilasciato al “Mattino” di Napoli qualche giorno fa, dove ha chiaramente sostenuto che "a preoccupare soprattutto è la diffusione della povertà e la fuga dei giovani: più di 600.000 hanno lasciato il Mezzogiorno l'anno scorso, soprattutto donne laureate". Vorrei chiederle al di là delle ormai conosciute note storiche sulla “questione meridionale", da dove deve partire un sindacato forte, innovativo, al passo con i tempi per dare speranza alle nuove generazioni? La questione del lavoro dei giovani sarà uno dei temi principali del Congresso della Cisl che si terrà a fine giugno. Oggi il nostro Paese è in ritardo rispetto ai concorrenti europei non solo per la qualità e la quantità dei percorsi formativi di alternanza scuola-lavoro, ma soprattutto sulle politiche attive del lavoro, sui progetti di riqualificazione professionale per far incrociare la domanda e l’offerta di occupazione. Anche sui tirocini occorre tornare a investire, a partire da quelli extracurriculari (attivati alla fine di un ciclo di studi), ma correggendo l’attuale impostazione e qualificando lo strumento. Oggi il tirocinio è soggetto ad abusi, inflazionato come lavoro a bassissimo costo, una trappola per molti giovani costretti a permanervi a lungo, rimanendo privi di un normale contratto. Questi sono temi concreti insieme alla necessità di scrivere le nuove regole per la previdenza dei giovani, su cui abbiamo cominciato a discutere con il Governo nella trattativa che è partita al Ministero del Lavoro. L'obiettivo della Cisl è quello di offrire ai giovani in cerca di lavoro, a partire dai tanti laureati su cui le famiglie hanno investito, una prospettiva nuova, sapendo che la crescita economica rimane la strada obbligata per creare lavoro

stabile in tutti i settori. Per questo bisognerebbe azzerare totalmente le tasse per chi assume giovani laureati e investe in innovazione e ricerca, incentivare fiscalmente un piano per nuove infrastrutture materiali e immateriali, reti telematiche, fonti energetiche alternative, tutela del patrimonio architettonico e culturale, messa in sicurezza delle case degli italiani. Per questo serve più formazione e più partecipazione, perché più i giovani saranno competenti e protagonisti, più avremo prodotti competitivi e di alta qualità. Concludo, lei ha posto in questi mesi anche il tema del rinnovamento del sindacato e della necessità di una maggiore trasparenza nell'utilizzo delle risorse e nei servizi offerti dal sindacato? Avevamo assunto 3 anni fa l'impegno di cambiare la Cisl, di costruire una "casa di vetro" alla quale tutte le cisline e i cislini potessero sentirsi fieri di appartenere. Una scelta consapevole che era stata programmata e riaffermata, con grande unità interna, anche nei documenti della nostra Assemblea organizzativa. Per essere credibili con le istituzioni e con le nostre controparti, il sindacato deve essere sempre più trasparente nell'utilizzo delle sue risorse, nella sobrietà dei comportamenti e del ruolo di rappresentanza e di tutela dei lavoratori, nell’efficienza dei servizi agli iscritti e ai cittadini. Se chiediamo più moralità alla società italiana e alla politica dopo anni di scandali, corruzioni, ruberie, anche il sindacato deve affrontare il tema del controllo puntuale delle risorse a tutti i livelli con grande severità e trasparenza. Questa è stata fin dall'inizio la nostra scelta. Senza equivoci o tentennamenti. Una sfida che stiamo portando avanti con coerenza, anche attraverso scelte dolorose, ma svolgendo fino in fondo il nostro compito a favore dei nostri delegati, dei nostri iscritti, della nostra gente.

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LE CAVE DI CARRARA

LAVORO & TURISMO Piero Gherardeschi

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iù volte ospite in queste mura Michelangelo Buonarroti quando ad eternare i concetti di sua mente creatrice ai nostri monti per marmi andava". E' questo il miglior biglietto da visita, impresso in una lapide in piazza del Duomo, che Carrara possa presentare. Michelangelo scolpì, infatti, la "Pietà " in un unico blocco di prezioso marmo bianco estratto proprio dalle Apuane. E così anche il Bernini ottenne straordinari effetti con il gruppo "Apollo e Dafne", mentre il Canova riuscì a rendere immortale la bellezza di Paolina Borghese in una straordinaria candida scultura. Le Cave di Carrara, oltre a molte altre cose, sono strumento vivo di arte e cultura che ha attraversato secoli fino a giungere ai giorni nostri se pensiamo alle opere realizzate da Sironi e Henry Moore. Carrara e le Cave. Carrara e il turismo. Ogni anno 1300 bus, prevalente-

mente stranieri, si fermano a ridosso di un veccchio distributore di carburante trasformato ora in check point per ritirare il pass e portare più di 50mila turisti in visita. Ma è stimato in più del doppio il numero di persone che ogni anno raggiungono le cave: un paesaggio nel paesaggio, vera interazione fra l'attività dell'uomo e le risorse naturali. Risorse naturali e economiche, bisogna aggiungere, per il molteplice uso che ne viene fatto: dalle centinaia di visite guidate a luogo di concerti e di set cinematografici, fino a vere e proprie piattaforme scenografiche per la presentazione, in una location così suggestiva, di nuovi modelli di auto. Quella culturale e turistica è l'immagine delle cave più conosciuta nel mondo. Il tutto si inserisce nel Parco regionale delle Alpi Apuane, che a sua volta fa parte della Rete Globale de Geoparchi e che gestisce la propria at-

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tività sotto gli auspici e il controllo dell'Unesco. Ma certo è che la storia ha radici profondissime. La loro escavazione, infatti, ha inizio nel primo secolo d.C.. Da una cava ancora in attività, quella di Polvaccio, proviene il marmo della colonna Traiana. Nel Rinascimento il marmo di Carrara si impose sulle facciate negli interni delle chiese. Ma le statue dei grandi maestri sono solo una parte, la più conosciuta, di un altrettanto importante quantità di opere che vanno dai vasi ai capitelli, dalle colonne alle cornucopie fino si bassorilievi e alle statue che adornano piazze in ogni parte del mondo. Ma se abbiamo parlato di marmo come strumento d'arte, per Carrara le cave sono anche e soprattutto, imprese, addetti e produzione, punto di riferimento fondamentale nel tessuto socioeconomico della Provincia. Le imprese delle attività dirette sono circa 1100 ed occupano quasi 4500 dipen-


denti che generano una produzione pari a 1.143.000.000 euro. Le imprese che lavorano all'estrazione del marmo sfiorano il centinaio mentre sono oltre 400 quelle che operano nel settore di taglio e finitura delle pietre. E non si possono dimenticare nel bilancio economico i 2500 addetti che lavorano nell'indotto. Si tratta di strumenti fondamentali in un'area dove, senza questo contributo, il divario economico con il resto della Toscana sarebbe quasi insostenibile. Del resto anche il settore lapideo ha dovuto fare i conti, da una decina d'anni a questa parte, con la crisi dei mercati finanziari. Numerose aziende hanno spostato il baricentro della loro attività verso prodotti lavorati e la fornitura e materiali di particolare pregio architettonico. Nel 2015 il valore della produzione delle cave è stato di circa 200 milioni di euro, mentre quello delle aziende che lavorano le pietre e i derivati ha sfiorato gli 800

milioni. L' avvicinamento, come si sostiene da parte degli imprenditori, al mercato dei prodotti finiti è frutto di un accurato lavoro di riposizionamento del marmo sui mercati internazionali. L'operazione ha portato a un'esportazione di prodotti finiti di 370 milioni di euro. Ma l'innovazione non si è fermata soltanto ad una nuova strategia di produzione, si è puntato anche a nuovi profili professionali. Le aziende infatti hanno cominciato ad assumere collaboratori che, oltre ad avere una profonda conoscenza del marmo e delle sue lavorazioni, parlano linguaggi architettonici e sviluppano tecniche informatiche legate alla produzione e al marketing. Uno sviluppo costante degli strumenti a disposizione che ha coinvolto anche un tema caro a tutto l'indotto: la sicurezza del lavoro. Tra il 2015 e il 2016 nel distretto lapideo Apuano, infatti, si sono verificati alcuni gravi

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incidenti che hanno portato ad alzare ulteriormente il livello di attenzione. Recentemente, a questo proposito, è stato firmato un protocollo d'intesa fra le Procure interessate, la Regione Toscana e la Forestale per il monitoraggio e il coordinamento da parte di tutti i firmatari dei luoghi di produzione con ispezioni e controlli nelle aziende lapidee. Controlli che terranno in considerazione anche il rispetto ambientale e l'assetto idraulico legato a corrette modalità di coltivazione delle cave. Arte, turismo, ambiente, produzione, lavoro. Sono cinque facce di un'unica medaglia che legano in modo indissolubile da secoli la storia di Carrara alle sue cave. Un mondo antico, ma solo all'apparenza, che si muove agevolmente nelle nuove tecniche di vendita e nella diversificazione della produzione a legare magicamente da sempre storia e modernita'.



STAZIONI DI RICARICA IN TOSCANA

ENEGAN LANCIA IL PROGETTO EVE Gianpaolo Ansalone

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ltre 300 stazioni di ricarica per veicoli elettrici in tutta la Toscana Un progetto all’insegna del green, dell’ecosostenibilità e dell’innovazione. Sono queste le parole chiave del nuovo progetto EVE – Electric Vehicle Energy, realizzato attraverso la collaborazione tra tre grandi realtà come Enegan, trader di luce e gas che opera a livello nazionale, il Polo Tecnologico di Navacchio (Pisa), realtà composta da 60 imprese hi-tech e Dielectrik, che lavora alla progettazione e alla produzione di prototipi di generi elettronici ed informatici. EVE nasce dall’intuizione di Massimo Bismuto, AD di Enegan, e Maurizio Castagna, Responsabile Ricerca e Sviluppo di Enegan, realizzata con un bando di ricerca regionale per l’installazione di stazioni di ricarica per veicoli elettrici in Toscana. Grazie alla nascita di EVE, Enegan installerà 325 colonnine di ricarica per veicoli elettrici in tutta la Toscana. Questo settore è in piena espansione e sviluppo. Si prevede, infatti, che solo in Italia il mercato delle auto

elettriche salirà a 10 milioni, con la prospettiva di sostituire completamente i veicoli a gasolio – che oggi rappresentano il 50% del mercato -. Enegan, dopo aver scelto di fornire energia 100% green, investendo sulla smart mobility si dimostra ancora una volta all’avanguardia in diversi settori. Questa innovazione oltre a portare

immediati e chiari vantaggi in termini di ecosostenibilità e rispetto per l’ambiente – tema molto caro ad una realtà come Enegan che fa dell’energia green la propria mission – avrà delle ripercussioni sul mondo del lavoro. La nuova industria produttiva sorgerà infatti nel polo industriale di Pontedera

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(in provincia di Pisa) e sarà strutturata con nuovo personale tecnico ed ingegneristico per garantire il valore tecnologico dei vari prodotti esistenti e per la realizzazione di nuove tecnologie da immettere sul mercato internazionale. Grande soddisfazione da parte di Massimo Bismuto, Amministratore Delegato di Enegan: “Abbiamo fortemente voluto e sviluppato questo progetto, non appena si è presentata l’occasione. Siamo sempre in prima linea con attività ed azioni che vanno nella direzione dell’ecosostenibilità e del rispetto per l’ambiente e nel corso della nostra vita aziendale lo abbiamo dimostrato. Questo è un ulteriore passo verso una filosofia green”. Continua Bismuto: “Allo stesso tempo, da imprenditori, non potevano non cogliere l’incredibile opportunità che il mercato delle auto elettriche sta offrendo. In un futuro non troppo lontano, i veicoli ad energia elettrica entreranno nella vita quotidiana di tutti noi”.


DECENTRALIZZAZIONE

UNA CLASSE DIRIGENTE INIDONEA Sergio Santoro* Abbiamo chiesto al presidente Santoro con quali strumenti ed amministratori possa realizzarsi un rapporto ottimale tra i servizi pubblici offerti dagli enti locali e le relative risorse chieste ai cittadini con i corrispondenti tributi. a decentralizzazione è, a ben vedere, un fenomeno molto più complesso di quanto possa percepirsi. Agli enti locali sono state trasferite in effetti non soltanto funzioni e potestà amministrative in senso stretto, da esercitarsi con procedimenti amministrativi già di competenza di organi centrali e periferici dello Stato, ma anche compiti di gestire veri e propri servizi pubblici, talora in partnership con i privati. La "partnership pubblico-privato" può consistere semplicemente in autorizzazioni o concessioni a imprese private a esercitare pubblici servizi che in precedenza erano svolti da persone giuridiche pubbliche in via esclusiva. Oppure può consistere nell'acquisizione di quote di società private dall'ente pubblico o, viceversa, di quote di società pubbliche da parte del privato. Il partenariato contrattuale si fonda sulla natura negoziale della cooperazione tra pubblico e privato ed è soggetto ad una regolazione di fonte eminentemente contrattuale. Il partenariato istituzionalizzato viceversa si realizza mediante la creazione di un nuovo soggetto, di natura privatistica, detenuto

da entrambi i soggetti pubblico e privato, ma controllato, a seconda dei casi, dal primo o dal secondo, e ciò sulla base delle rispettive autonome scelte negoziali dei vari soggetti. Talora è la stessa legge che indica se deve essere il soggetto pubblico ovvero quello privato

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ad avere la maggioranza di controllo della persona giuridica designata a svolgere il servizio pubblico. Quindi io non parlerei di trasferimento di risorse e professionalità dal pubblico al privato, ma piuttosto di qualità dei servizi svolti, e del necessario controllo di un organismo indipendente sull’attività del soggetto che in concreto ha il compito di

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svolgere il pubblico servizio. Quest'ultimo aspetto è quello che in realtà è mancato, dal momento che al complessivo fenomeno delle privatizzazioni non è corrisposto un miglioramento dell'efficienza dei nuovi soggetti cui è stato attribuito il compito di erogare di volta in volta determinati pubblici servizi. Si prenda a esempio il caso del trasporto pubblico locale, che attualmente è svolto prevalentemente in regime di concessione, e nei grandi comuni dà risultati spesso insufficienti, come a Roma, dove rappresenta il principale problema sia della giunta che dei cittadini. Il problema è essenzialmente quello di un eccesso di addetti al servizio, un'insufficienza di mezzi e un insieme di risorse sostanzialmente sprecate, e quasi mai ottimizzate attraverso un opportuno outsourcing, soprattutto avvalendosi delle imprese private di trasporto esistenti sul territorio. Se però al sistema delle concessioni a un'impresa pubblica ereditata da un'azienda autonoma (ente-organo pubblico) si sostituisse quello delle autorizzazioni di imprese private di trasporto, preventivamente qualificate, poste in concorrenza tra di loro, sulla base di rigorosi capitolati o contratti di servizio, probabilmente il costo unitario del biglietto di trasporto potrebbe scendere, il servizio avrebbe maggiore continuità ed efficienza, il cittadino ne trarrebbe maggiore soddisfazione.


I tributi locali sono un altro aspetto dell'inefficienza diffusa nell'erogazione e nella realizzazione dei servizi pubblici. Il fenomeno più perverso è quello della tassa sui rifiuti urbani: invece di considerare i rifiuti come materie prime, e dunque incentivarne la raccolta per ricavarne risorse con le quali diminuire l'onere per il cittadino di pagare il corrispondente tributo all'ente locale, si preferisce inasprirne la pressione e il corrispondente gettito, preferendo costosi sistemi di smaltimento soltanto per arricchire un apparato decisamente inefficiente. Le imprese concessionarie di tali servizi sono per lo più complici di questa perversa volontà delle amministrazioni locali di aumentare il gettito senza perseguire le diverse strade rivolte al recupero e alla rigenerazione delle materie prime, che oltretutto potrebbero generare ulteriori benefici per l'ambiente, il Pil e il debito. Gli strumenti amministrativi sono certamente idonei a migliorare l'efficienza dei pubblici servizi, ma debbono essere usati con finalità manageriali, evitando appesantimenti burocratici e separando nettamente i procedimenti amministrativi dalle scelte economiche, evitando che a quest'ultime possano applicarsi vincoli e condizionamenti ulteriori rispetto a quelli che normalmente gli azionisti esercitano sul management delle proprie società di diritto comune. In queste scelte è necessario bandire ogni forma di condizionamento politico o, peggio ancora, partitico: in pratica l'indi-

pendenza e l'imparzialità della Pubblica amministrazione trovano una diversa forma ed esigenza da realizzarsi proprio nell'esercizio dell'attività di impresa pubblica, anche e soprattutto se svolta in Partenariato. L'attuale classe dirigente degli enti locali in genere non è mediamente idonea ai compiti che una moderna ed efficiente gestione, sia delle attività amministrative che di quelle di impresa, richiederebbe. Il motivo di questo gap culturale e professionale è molto semplice: la burocrazia comunale si è formata in un ambiente molto simile a quello statale e non si adatta alla moderna realtà d'impresa, che dovrebbe contraddistinguere il management pubblico nelle attività di erogazione di pubblici servizi. Probabilmente il fenomeno si attenuerà con il ricambio generazionale, ma attualmente la situazione è drammatica: il caso Roma e le inchieste, peraltro di gravità non eccessiva, che sono giunte a coinvolgere, per effetto di palese inesperienza, anche unagGiunta come quella del Movimento Cinque Stelle, stanno a dimostrare che le funzioni di internal auditing, controllo, ispezione, vigilanza, risk assessment, follow up e, in generale, di moderna ed efficiente governance delle Pubbliche amministrazioni sono molto lontane dal realizzarvisi concretamente, nonostante si tratti del più grande comune d'Europa e di uno dei più grandi centri di spesa dello Stato italiano. *Presidente di Sezione del Consiglio di Stato.

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SHARING ECONOMY

TRA GABBIE LEGALI E FAR WEST

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a fatto irruzione sulla scena economica con una carica innovativa davvero dirompente. E sorprendente. Un fenomeno in rapida evoluzione, la sharing economy, che – secondo uno studio della facoltà di Economia di UniCusano vale già 13 miliardi di euro a livello mondiale ed è destinato ad aumentare fino a 300 miliardi nel 2025. Un fenomeno dalla crescita tumultuosa, talvolta anarchica, qualche altra piratesca. Una crescita che rischia di non rispettare i diritti delle imprese tradizionali (soprattutto le piccole che, dal trasporto alla ristorazione passando per le attività di soggiorno, sono per ora le più colpite da questa nuova forma di concorrenza), dei lavoratori, dei consumatori, magari muovendosi fuori dalle regole, a esempio in tema di fisco. Un fenomeno che, però, rappresenta una boccata d’aria salutare per molte famiglie (di consumatori e di lavoratori), dopo lunghi anni di crisi, non può essere imbrigliato, per evitare di gettare il bambino con l’acqua sporca, ma va sicuramente regolato. In giro per il mondo si assiste perdipiù, però, a dei muro-contro-muro. Prendiamo il caso di Airbnb, la società che offre on line pernottamenti dal super-spartano al lusso sfrenato, ormai all’undicesimo anno di vita. Vietata a Berlino, sotto assalto a San Francisco, a rischio a Barcellona, in difficoltà a New York da un lato, dall’altro in pieno spolvero in moltissime altre località dove si muove praticamente al di fuori di regole e leggi. Difficile dire

quale sia la strada migliore. Nel frattempo, però, il suo fondatore e amministratore delegato, Brian Chesky, alza l’asticella della competizione: lancia Airbnb Trips, che offre ai viaggiatori escursioni, esperienze, avventure. E’ facile scommettere che questa decisione stimolerà nuovi contenziosi, politici e legali. Ma, nel contempo, che di fronte a questo business stanno per aprirsi nuovi orizzonti. L’Italia si era mossa molto bene su que-

Antonio Palmieri

sto fronte e in anticipo rispetto agli altri principali Paesi europei. Per strada, però, ha perso il suo vantaggio competitivo, come spesso succede. Proprio in Italia, infatti, è stata depositata, ormai un anno fa, una delle prime proposte di legge europee, bipartisan, per regolamentare la gestione e l’utilizzo delle piattaforme digitali

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sulle quali s’incontrano domanda e offerta di servizi. Punto centrale: la disciplina fiscale che diversifica l’integrazione delle entrate dall’attività imprenditoriale vera e propria. “Ai redditi fino a 10mila euro prodotti mediante le piattaforme digitali si applicherebbe un’imposta pari al 10 per cento – spiega Antonio Palmieri, deputato di Forza Italia, uno dei primi firmatari della pdl – i redditi superiori andrebbero cumulati con gli altri redditi e a essi si applicherebbe l’aliquota corrispondente”. La pdl è rimasta ai box. In compenso, la Camera ha votato una legge che regola solo uno degli aspetti della sharing economy: gli home restaurant. La legge passata a Montecitorio, non bipartisan, disciplina solo l’attività non professionale di ristorazione, ponendo limiti al numero di coperti e di ricavi (oltre a chiedere una serie di adempimenti amministrativi) dei ristoratori non professionisti. Nel frattempo si sono “svegliate” le istituzioni europee. La Commissione Ue ha emanato una direttiva presentata come molto innovativa ma già accusata, in altri “palazzi” di Bruxelles, di aver affrontato solo timidamente la questione, partorendo linee guida deboli e poco efficaci, destinate a creare un contenzioso tale da intasare la Corte di Giustizia europea. A Bruxelles, di conseguenza, è partita una manovra a tenaglia sull’esecutivo europeo interamente di marca tricolore. Da un lato il Comitato delle Regioni, espressione delle autonomie locali, stimolato dalla “rapporteur”


Benedetta Brighenti, pd, vice sindaco di Castelnuovo Rangone; dall’altro il Parlamento europeo, dov’è incaricato del dossier l’eurodeputato pd Nicola Danti. Per Danti, “il nostro obiettivo dev’essere quello di perimetrare il campo di gioco della sharing economy, senza però volerlo recintare. Per questo servirà un sistema di regole a livello europeo, semplice ma efficace, che ne consenta lo sviluppo evitando conseguenze negative sui settori tradizionali dell’economia”. “L’economia collaborativa, come preferisco chiamarla, è un misto di sfide e opportunità. Con qualche rischio. A esempio – spiega Brighenti – che prevalga anche in Europa il modello americano della sharing economy. Noi, però, abbiamo un sistema imprenditoriale diverso, fatto di tante micro, piccole e medie imprese. Anche dal punto di vista geografico e abitativo l’Europa è molto più variegata. E’ necessaria, di conseguenza, una visione strategica continentale. Evitando un eccessivo carico di burocrazia e di requisiti da rispettare”. C’è bisogno di una classificazione chiara dei prestatori di servizi, di regole sulla responsabilità sociale delle piattaforme

on line e sui diritti degli utenti, di soglie comuni per l’accesso al mercato. Per quanto riguarda la fiscalità le piattaforme collaborative digitali possono diventare uno strumento utilissimo per tracciare attività e operazioni che altrimenti rimarrebbero confuse nell’economia sommersa, favorendo la concorrenza sleale alle imprese tradizionali e creando problemi anche agli enti locali: sul fronte turistico, a esempio, non versando le tasse di soggiorno, che rappresentano un’entrata molto importante per i comuni. La sharing economy potrebbe servire anche a vitalizzare il progetto di smart city, una modernizzazione su cui Bruxelles punta molto. “La smart city è solo una serie di servizi urbani ad alta tecnologia. Una iniezione di sharing economy, intesa come economia collaborativa – conclude Brighenti - nella quale interagiscono cittadini, enti locali, volontariato, può darle l’anima. E su questo piano l’Europa ha un asso nella manica: la creatività italiana. E’ l’Italia il lievito migliore per una sharing economy di stampo europeo”. PI.RO.

A ZERBONI LA COMUNICAZIONE OPEN FIBER

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lessandro Zerboni, 49 anni è il nuovo Responsabile delle Relazioni con i Media e della Comunicazione di Open Fiber. La società compartecipata da Enel e Cassa depositi e prestiti che sta realizzando la più diffusa infrastruttura in Italia di rete in fibra ottica con velocità di connessione a 1Gbps (1 gigabit al secondo) si è affidata all'esperienza più che venticinquennale svolta da Zerboni nella Comunicazione del Gruppo Enel dove ha ricoperto diversi incarichi: Dalla Crisis Communication, al Progetto Futur-E , relativo alla trasformazione e al riutilizzo di 23 grandi centrali termoelettriche italiane di cui è stato Project Manager. Forte della grande esperienza e della profonda conoscenza del settore elettrico italiano in passato ha seguito le relazioni esterne dei Grandi Progetti Infrastrutturali (riconversione centrali...Civitavecchia). Già responsabile delle Relazioni con i Media Territoriali di Enel ha coordinato il lavoro dei 7 uffici stampa e comunicazione dislocati a Milano, Venezia, Firenze, Bologna, Roma, Bari e Palermo.

Durante la sua esperienza si è occupato, lato Media, anche delle fasi di collocamento di Enel e Terna sul mercato azionario e ha seguito la 'nascita' di Wind e di Sfera. Coautore di pubblicazioni sul settore energetico, speaker e relatore a convegni ha conseguito diversi attestati sul lavoro tra cui 2 onorificenze dalla Protezione Civile per aver seguito sul campo i terremoti di Nocera Umbra (1997) e L'Aquila (2009). Tra le sue passioni la scrittura, il cinema neorealista italiano , la radio e il doppiaggio.

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LA CLAMPCO SISTEMI

“ILLUMINA D’IMMENSO” Sandro Neri*

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ra le mille luci di Milano ce ne sono tre che svettano sopra tutte le altre, dall’alto della torre Isozaki, della torre Unicredit e del Pirellone, i nuovi simboli di una Milano sempre più smart e cosmopolita. Luci poco appariscenti ma rassicuranti, che i milanesi guardano senza vedere, ma che contribuiscono a mantenere sicuro lo skyline del capoluogo lombardo, unendo tecnologia e design. Si tratta delle luci di segnalazione di Clampco Sistemi, azienda friulana specializzata nella progettazione e nello sviluppo di sistemi di segnalazione a volo notturno, in particolare lampade che vengono installate sulle strutture a sviluppo verticale per segnalare l’ostacolo ai velivoli. «Grazie ai nostri sistemi con tecnologia e design tutto italiano siamo tra i principali operatori nel settore con clienti in oltre settanta Paesi, in tutta Europa con esclusione della Russia – precisa l’ingegner Pierangelo Lodolo capo delle operazioni -. Senza dimenticare America settentrionale, Middle e Far East, escluse India e Cina”. Le lampade hanno un ruolo fondamentale per la sicurezza degli aeroplani e sono posizionate su tutti quelli che possono essere dei potenziali ostacoli al volo: grattacieli, eliporti, centrali elettriche, pali eolici, ciminiere, gru, torri per le telecomunicazioni, ponti. Ma quelle della Clampco non sono lampade comuni: devono avere caratteristiche uniche al mondo, non si devono mai rompere. Parliamo, come per molti altri prodotti del settore oil&gas, di oggetti cui sono richieste particolari requisiti di robustezza, affidabilità ed estrema semplicità nella manutenzione, che devono poter svolgere la loro funzione in un ambiente aggressivo, con una protezione antideflagrante. I progetti comprendono anche tutte le specifiche per la produzione di quadri elettrici per gli impianti luce, batterie di comando e segnalazione, prodotti speciali in esecuzione antideflagrante e armature illuminanti per le segnalazioni. «Una delle nostre lampade può operare 24 ore al giorno senza mai fermarsi, subisce escursioni termiche che vanno dai – 50

gradi fino ai + 200, si comprende la complessità di soluzioni che il team di ingegneri, designer e tecnici deve affrontare. La capacità di capire i problemi del cliente, talento e ricerca per trovare soluzioni efficaci e una importante organizzazione per implementare la soluzione nel miglior modo possibile e nei tempi previsti sono i nostri punti di forza», aggiunge Lodolo. La Clampco ha realizzato progetti in tutto il mondo, registrando grandi referenze. Solo a Milano le sue lampade sono sulla torre di Unicredit, sul Pirellone e sulla torre di Isozaki, ovvero sui grattacieli più alti d’Italia. Fondata nel 1989, azienda privata con circa 20 dipendenti, la Clampco ha più di vent’anni di esperienza sul campo e un team composto da ingegneri, progettisti, tecnici ed esperti che opera con successo e competenze decennali di normative nazionali e internazionali, regolamentazioni e raccomandazioni. Con sede a Basiliano (Udine), la Clampco mette al centro del suo business le esigenze dei singoli clienti, con l’obiettivo di aiutare i committenti a comprendere appieno le diverse soluzioni tecnologiche e le conseguenti decisioni da prendere. Proprio in questo modo, sono riusciti a sviluppare, insieme con i principali attori del settore Oil&Gas, soluzioni personalizzate in grado di soddisfare appieno le aspettative e le esigenze dei singoli clienti. «Disegnamo, progettiamo, e realizziamo prodotti su misura per produrre qualcosa di unico. Diamo inoltre grande importanza all’assistenza post vendita. Cerchiamo di costruire relazioni solide di lungo termine, non solo prodotti di alta qualità», conclude Lodolo. Una lunga esperienza e una grande attenzione ai particolari, quella della Clampco, che si produce in risultati economici. I fatturati sono infatti in continua crescita: si passa da un 2014 chiuso con 4.200.000 euro, un 2015 con 4.500.000 euro e un 2016 appena concluso con circa 5.000.000 di fatturato. *Direttore de Il Giorno

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BUSINESS E SAPERE

LA SCUOLA DI JUST ACADEMY

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numeri parlano chiaro: nei primi nove mesi del 2016 le 18 imprese associate a Univendita, la maggiore Associazione italiana delle vendite a domicilio (52% del mercato), hanno registrato un fatturato di 1 miliardo e 146 milioni di Euro, con un incremento dell’1,8% sullo stesso periodo dell’anno precedente, mentre il numero degli incaricati alle vendite è cresciuto del 4,2%, raggiungendo ben 128.000 unità. E non è tutto; le opportunità di lavoro per il 2017 provenienti da questo sorprendente ”bacino professionale“ sono oltre 15.600, un numero che – da solo – testimonia la buona salute della vendita a domicilio, sistema apprezzato da consumatori di ogni età e ceto sociale.

Fiducia, qualità e relazione sono le parole-chiave che spiegano il successo di questa formula distributiva, riconfermandone la modernità e la capacità di rispondere alle aspettative dei consumatori. Ogni giorno, infatti, questa grande squadra di professionisti incontra migliaia di famiglie italiane che aprono con fiducia le porte delle loro case, acquistano prodotti e servizi, ricevono informazioni, provano le novità, scambiano opinioni, condividono esperienze alimentando, giorno dopo giorno, uno straordinario ”Patto di Fiducia” che rappresenta l’insostituibile valore aggiunto della vendita a domicilio. Su questi presupposti è nata “JUST ACADEMY”, la grande Scuola di Formazione interna di Just Italia dedicata alla vendita diretta, una iniziativa esclusiva che propone agli incaricati alla vendita Just percorsi didattici e formativi nei settori della

cosmesi naturale Just e del benessere e che rappresenta un vero e proprio “must“ per affrontare con gli strumenti adeguati il mercato della vendita diretta. Just Italia, costituita nel 1984 a Grezzana (Verona), è oggi uno dei leader nella vendita a domicilio, con un fatturato 2016 di oltre 143 Milioni di Euro, un incremento del 6% sull’anno precedente: distribuisce in tutto il Paese i cosmetici naturali svizzeri Just attraverso una rete di ben 24.000 Incaricati, esclusivamente con la modalità della vendita diretta a domicilio tramite Party. L’obiettivo di Just Academy è quello di aiutare i professionisti Just della vendita a domicilio a fare business, e a farlo bene. Fornendo i più evoluti strumenti culturali, tecnici e professionali e ponendosi, nei confronti dei consumatori, come un vero e proprio “Garante” di qualità, competenza, etica, rigore professionale. Nel solo 2016, JUST ACADEMY ha erogato oltre 20.000 ore di formazione in 550 sedi sul territorio nazionale sviluppando un ampio programma didattico, affidato a 45 docenti, tarato su misura per i diversi ruoli e livelli professionali. A tutt’oggi, Just Academy accompagna oltre 24.000 persone nel proprio percorso professionale contribuendo, giorno dopo giorno, allo sviluppo di un settore “di qualità” e di eccellenti prospettive. Ka.Bo.

Just Italia è stata costituita nel 1984 a Grezzana (VR) da imprenditori italiani che hanno creduto nell’eccellenza dei cosmetici naturali svizzeri Just e li hanno distribuiti tramite “Party” a domicilio raggiungendo, in 30 anni di crescita ininterrotta, i vertici della vendita diretta, un fatturato 2016 del mercato italiano di oltre 143 Milioni di Euro, con un incremento sull’esercizio precedente del 6%. Si aggiungano, nel 2016, gli aumenti a doppia cifra nei mercati che Just Italia controlla direttamente: + 16,8% in Austria, + 26,6% in Croazia, affermazione in Slovenia e ingresso nel grande mercato spagnolo con l’apertura di Just Iberia.

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MERCATO TRA PRODOTTO E CLIENTE

UNA START-UP DI SOSTEGNO Germana Loizzi

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tart up, una parola magica sulla bocca di tutti. Ma che cos’è esattamente una start up? Il significato è molto più complesso di quello che sembra. La definizione che parrebbe, se non la più esaustiva, la più realistica è: “La start up è un’organizzazione umana con un scopo o un particolare intento innovativo. Lo scopo di questa organizzazione, nella prima fase, è quello di trovare un mercato che sia su misura tra prodotto e cliente. Questa ricerca di un mercato su misura deve essere fatta attraverso l’iterazione e l’apprendimento di comportamento dei clienti nel mondo reale rispetto all’innovazione che si vuole ottenere. La forma di mercato deve essere trovata prima che la start up esaurisca il denaro contante proveniente dagli investitori.” Tre concetti chiave emergono da questa definizione: organizzazione, innovazione, investimento. Ma la via del successo è tutt’altro che scontata. Si stima che, nei primi tre anni di vita, ben otto start up su dieci si perdano per strada. Al primo posto emerge

l'incapacità di reggere la competizione (14%), segue l'assenza di un modello di business sostenibile (11%), ma anche l'inadeguatezza del prodotto (9%) e le questioni legali (9%) hanno il loro peso così come costi fissi troppo elevati sommati a ricavi incerti e non programmabili, scarsa qualità del pro-

dotto o del servizio offerto, incapacità di comprendere il mercato, i suoi ritmi e soprattutto le sue richieste. Con l’obiettivo di guidare passo dopo passo le start up verso un traguardo certo e non solo sperato, a ottobre 2016 è nata

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IdealMio, il social start up network digitale che intende fungere da collegamento tra ideatori, imprenditori, programmatori, investitori e tutte le altre figure professionali interessate. Si tratta di una sorta di incubatore di impresa telematica che attraverso la piattaforma digitale www.idealMio.com riunisce una vasta gamma di idee proposte dai propri utenti. In una prima fase vengono valutate le idee, nella seconda vengono realizzati i prodotti, i servizi e la società, nella terza fase si passa alla realizzazione delle idee di business. IdealMio è una nuova realtà imprenditoriale di cui fanno parte cinque soci, otto collaboratori interni, cinque aziende partner e un complesso network di figure professionali esterne. Il primo gennaio 2017 è stata lanciata ufficialmente la versione aggiornata del sito web, parallelamente all’approvazione dell’applicazione mobile disponibile su ITunes Store o Play Store per IOS e Android. IdealMio intende sviluppare qualsiasi idea, purché specifica, misurabile e realizzabile, fornisce inoltre servizi di


consulenza on- line impiegando strumenti come Skype o Face-time per programmare incontri in rete con i professionisti specializzati in base alle necessità del cliente. “La nostra start up” spiega Matteo Spaziani, amministratore delegato di IdealMio, “vanta consolidati rapporti con professionisti specializzati in vari settori, così da poter offrire servizi di elevata qualità a prezzi in linea con la media di

mercato. Siamo consapevoli del fatto che la maggioranza dei giovani aspiranti imprenditori non possiede risorse economiche sufficienti per poter usufruire di consulenti con esperienza, per questo motivo, IdealMio ed i propri collaboratori potranno essere il punto di giunzione tra ideatori e professionisti, che collaborando insieme, trasformeranno la vostra semplice idea in una futura start up”.

GRADUALE RIPRESA L’economia mondiale sembra ripartita. Ritiene che anche il mercato italiano sia sulla strada della ripresa? Siamo convinti che la ripresa economica del nostro Paese sia vicina ma non mi aspetterei di vederla nell’imminente. IdealMio punta moltissimo sui giovani per contribuire, nel suo piccolo, alla ripresa del sistema economico locale e indirettamente anche dell’occupazione. Abbiamo da poco lanciato una nuova pagina www.IdealMio.com/collaboraconnoi, che consente a chiunque abbia delle qualità tecniche specifiche di candidarsi spontaneamente nella nostra piattaforma, potendo contribuire a dare supporto o collaborazione per la nascita, implementazione e lancio di start up. La soluzione a cui stiamo puntando è quella di un sistema autonomo di incontro tra offerta e domanda. Da una parte abbiamo l’ideatore che crede fortemente nella sua visione, dall’altra ci sono consulenti e professionisti che possono contribuire allo sviluppo dell’idea, mediante varie formule: 1) Contribuire al progetto percependo una retribuzione; 2) Lavorando per diven-

tare soci operativi, finanziatori o entrambe. Come nasce l’idea di un Social Start up Network? L’idea di un social start up network nasce da una visione di un sistema di collaborazione autonomo, dove idee, conoscenze e risorse potessero confluire per dare vita ad attività imprenditoriali che possano contribuire a rilanciare l’economia, l’occupazione e la voglia di fare per le nuove e vecchie generazioni di imprenditori. L’idea iniziale è quella di riunire, in un'unica piattaforma, giovani imprenditori con idee brillanti e voglia di fare, professionisti con esperienza e conoscenze pratiche, investitori con risorse e business network consolidati. La mortalità delle start up è alta. Quali sono i requisiti che una nuova impresa deve avere per superare gli ostacoli iniziali? I requisiti principali che una start up deve possedere nei primi mesi di vita sono quattro: 1) un’idea che sia valida, misurabile e concretizzabile; 2) un mercato con potenziali clienti che siano disposti ad acquistare ciò che si

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offre; 3) un team agile e flessibile, in grado di far fronte alle sfide di mercato; 4) risorse finanziarie minime da investire per iniziare, che siano sufficienti per coprire le spese di creazione del prodotto o del servizio. Questa non è di certo la ricetta standard per il successo, ma sono di sicuro i primi elementi che permetteranno alla vostra idea di diventare con il tempo una impresa consolidata di successo. Quali consigli può dare a chi desidera trasformare la propria idea in una futura start up? Il consiglio che possiamo dare a ogni aspirante startupper è quello di “crederci”, di non abbattersi quando gli diranno che la sua idea non funziona e che è una perdita di tempo, di non farsi demoralizzare dai “no” o dalle porte in faccia, perché ogni rifiuto è un’opportunità di migliorare. Se crede veramente che la sua intuizione sia quella giusta, deve cercare in ogni modo di lavorare sui punti deboli dell’idea e cercare di rafforzarli. Se basta poco per fargli cambiare idea, gli conviene pensare a fare altro.


EARTH MOTHER PROJECT

ECOSOSTENIBILE & EQUOSOLIDALE Partiamo da due concetti e cerchiamo finalità di lucro sia a vantaggio di di comprenderne il significato: ecopersone, comunità, territori e amsostenibile ed equo-solidale. biente. Le B-corp esistono negli Stati E’ eco-sostenibile ogni attività che Uniti già dal 2010. L’economista staha come obiettivo la salvaguardia del tunitense Robert Shiller, considerato patrimonio naturale, il suo migliorail padre della finanza comportamentale mento anche dal punto di vista ecoe vincitore nel 2013 del premio Nobel nomico e sociale, non ammette lo per l’economia, definì le B-corp “azienspreco di risorse ma, al contrario, de che svolgono attività di business prevede la possibilità di rinnovarle e trasformarle attraverso un ciclo virtuoso capace di rispettare il delicato equilibrio tra ambiente, persone e animali. E’ equo-solidale quella forma di business che, al contrario delle forme tradizionali mirate esclusivamente a massimizzare il profitto, non perde di vista il valore e il rispetto delle persone e dell’ambiente ed è in grado di garantire, soprattutto ai lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, un trattamento economico e sociale equo e rispettoso. Conosciuta nella dizione anglosassone come Benefit Corporation o più semplicemente società a beneficio comune, questa nuova tipologia d’impresa sembra possedere entrambe le caratteristiche. Introdotte in Italia dalla Legge di stabilità per il 2016, le B-corp rivestono una duplice natura di impresa “for profit” Alessandro Dominici e “for benefit”, sono cioè Business & Trading Director Earth Mother Project società che operano sia con

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in modalità innovative perché volontariamente, accanto all’obiettivo di massimizzazione del profitto, hanno come scopo la creazione di un impatto positivo sulla società e sull’ambiente”. Tale vocazione prevede da parte degli amministratori il massimo impegno in termini di trasparenza e responsabilità nei confronti di tutti gli stakeholder: dipendenti, fornitori, cittadini e tutte le categorie che possano risultare impattate dall’attività aziendale. In Italia è in attesa di ottenere questo importantissimo riconoscimento internazionale (dall’ente “no profit” statunitense B Lab) Earth Mother, un progetto di business che si discosta completamente dal sistema finanziario tradizionale. Un progetto “for profit” con il modello operativo del “no profit”. Earth Mother è una forma di business umano, che pur perseguendo finalità di lucro, non rinuncia alla sua natura equosolidale ed eco-sostenibile, anteponendo a tutto le persone e la professione etica. Per missione si pone il coinvolgimento di tutti gli associati in un ritorno all’economia agricola in totale assenza di rischio, garantendo la completa tutela dei capitali. Il suo core business è rappresentato dalla gestione di una piattaforma agro-economica basata su un modello economico reale, mirato alla produzione


di materie prime, frutta tropicale e prodotti agricoli fino alla loro trasformazione in prodotti finiti. Parte di questo progetto è la linea di integratori a base di Moringa oleifera che ha determinato il posizionamento di Earth Mother tra i più grandi produttori di materie prime bio. “Si tratta di un progetto di co-making – ha già spiegato a questa rivista Alessandro Dominici, Business & Trading Director di Earth Mother - basato sulla convinzione che i desideri realizzati insieme, e fatti bene, siano la chiave del successo”. Co-making, infatti, significa permettere ad altre realtà di partecipare alle

attività agricole ma non solo. Recentemente, Earth Mother Project, sta strutturando dei corsi di formazione che permettano ad altri imprenditori, non necessariamente del settore agricolo, di acquisire le conoscenze necessarie all’attuazione del loro modello, un modello che, indipendente dal core dell’azienda, correla il profitto aziendale alle esigenze delle persone e del pianeta. Non a caso, Earth Mother è stata contattata anche da paesi extracomunitari per ricevere consulenze mirate atte a sostituire, modificare o integrare, i loro sistemi di produzione agricola. Questo perché è un sistema produttivo

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in continuo movimento e in continua espansione, il progetto ha, infatti, attivato un moltiplicatore economico che permette di poter continuare l’espansione dei terreni e rinnovare, se necessario, le colture. “Il nostro futuro – assicura Alessandro Dominici - vede anche l’ampliamento delle colture con l’apertura di nuovi mercati e il consolidamento di quelli in essere. La nostra è una realtà che costruisce giorno dopo giorno, senza la fretta della società moderna, con l’unico obiettivo di fare e di condividere”. Germana Loizzi


I DIRITTI DEI CITTADINI

L’AVVOCATO ROBOT

E

’ Herman il progetto che potrebbe rivoluzionare il concetto di “Giustizia” e la difesa dei diritti dei cittadini, finalmente milioni di persone potrebbero avere la possibilità di difendere i loro diritti e non dover rinunciare in partenza per l’esosità delle prestazioni degli avvocati ed i loro tempi biblici. Una giustizia “smart” la definisce così Lorenzo Asuni Country Manager di AirHelp (www.airhelp.it) società impegnata nella difesa dei passeggeri che hanno subito un disagio con i loro voli. Ma cos’è concretamente l’avvocato Robot Herman? Nasce dall’esigenza da parte di AirHelp del poter aiutare in maniera sempre più veloce ed efficace i cittadini in caso di ritardi o cancellazioni dei loro voli. Il progetto che ha visto protagonista anche l’Italiana Simona Staglianò insieme a Christian Nielsen, Piotr Rosiak, Daria Michalska, Agnieszka Woch e Gosia Gulgowska. E’ stata sviluppata un’intelligenza artificiale, Herman appunto, che può essere nutrita con migliaia di dati e dettagli su un reclamo UE261 (compagnia aerea, aeroporto di par-

tenza, parametri di legge, sentenze passate, ect) dal suo cervello viene eseguita, in pochi istanti, un’analisi per suggerire la giurisdizione ottimale dove poter procedere legalmente e le successive azioni da compiere. Herman ha già aiutato oltre 2 milioni di passeggeri ad ottenere il giusto risarcimento per i problemi con i loro voli. Queste le dichiarazioni di Lorenzo Asuni su come questo progetto possa rivoluzionare il mondo della giustizia: “Herman è solo l’inizio di una sperimentazione molto più ampia che ha come scopo una giustizia più veloce, efficiente ed aperta a tutti”. Il pensiero si sposta sul futuro “La vera sfida è quella di dare a tutti degli strumenti per tutelare i propri diritti come nel caso di AirHelp, a potersi difendere non saranno più solo coloro che possono permettersi le esose prestazioni degli avvocati convenzionali. L'obiettivo non è la giustizia in senso solamente giuridico ma puntiamo ad una giustizia nel senso più ampio di equità. Vi è una grande massa di persone che non possono permettersi la giustizia, noi vogliamo aiutare queste persone.”

PKF ITALIA PKF Italia Spa, prestigiosa società di revisione facente parte del network internazionale PKF presente in tutti i principali Paesi con oltre 400 uffici, risponde alle esigenze del Mercato con una efficace strategia. Obiettivo principale di PKF è quello di sviluppare nuove aree di business, in particolare l’Advisory e il Corporate finance. Determinanti - nella vision del Presidente, Umberto Giacometti – anche le aggregazioni e il potenziamento nel settore della Revisione Contabile. Tale impostazione ha già prodotto i primi significativi risultati, come testimoniano l’acquisizione di nuovi e importanti clienti nel 2017 nel settore dell'advisory e le nuove assunzioni effettuate dagli Uffici di Roma e Milano. I nuovi team di professionisti sono già al lavoro al servizio della prestigiosa clientela. Inoltre, PKF Italia ha da poco nominato un nuovo Socio operativo e ha coinvolto nella gestione un Socio Consigliere. I nuovi successi di PKF Italia sono il risultato dell’ottimo lavoro svolto dai due partners: Carlo de Giuseppe, esperto nell’Advisory e nella Consulenza Strategica, Socio fondatore di Pkf, richiamato nel 2015 nel Consiglio d’Amministrazione per offrire il suo contributo nel nuovo percorso strategico e Maria Luisa Del Caldo, che ha maturato una grande esperienza con una clientela internazionale, nei bilanci IAS, su IPO e sui mercati regolamentati o nei processi di ristrutturazione del debito. “Siamo certi che PKF Italia, grazie al potenziamento dell’attuale struttura, sarà sempre più capace di intervenire a supporto delle diverse esigenze che il sistema imprenditoriale italiano ci chiede", commenta Umberto Giacometti, Presidente di PKF Italia.

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COSTUME & SOCIETÀ UN SATELLITE CI PROTEGGERÀ DAI TERREMOTI (a pag. 46)

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TERREMOTI, NUOVE “SENTINELLE” di Roberto Di Meo

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erremoti, dallo spazio le nuove 'sentinelle' ci proteggeranno. Da qui ai prossimi tre anni l'Italia e la Cina metteranno in orbita due satelliti che avranno lo scopo di monitorare, o meglio, di analizzare con una possibilità di previsione, i terremoti (eventuali precursori sismici). Si tratta di una impresa eccezionale e l'Italia partecipa alla missione con il progetto Limadou che è il nome cinese con il quale veniva chiamato Matteo Ricci (Li Madou). Un satellite, una volta in orbita, cercherà di agguantare le perturbazioni della ionosfera che, si pensa, possano essere associate ai terremoti. Sembra, ma è tutto da verificare, che prima di un terremoto, dalla terra, si sviluppano delle onde elettromagnetiche che creano delle particolari perturbazioni nella fascia di Van Allen che circonda il nostro pianeta. Detta così sembrerebbe una cosa facile, siccome però la ionosfera è percorsa da miliardi di onde elettromagnetiche di qualsiasi tipo, dai segnali radio a quelli televisivi e via dicendo, il satellite Limadou, che nel 2019 avrà accanto un suo gemello, dovrà individuare proprio quelle che vengono generate sulla terra prima di un evento sismico. La missione si chiama Cses (China Sismo-Elettro-

magnetic Satellite) e verrà lanciata questa estate. "Limadou - sottolinea la dottoressa Simona Zoffoli, program manager dell'Agenzia spaziale italiana - è un rilevatore di particelle che cercherà di agguantare le perturbazioni che avvengono, nella regione superiore dell'atmosfera, in occasione di eventi sismici. In precedenti missioni spaziali si è notato che nella ionosfera e magnetosfera, quando si verifica un terremoto, si registrano alcuni comportamenti anomali del campo elettrico (anomalie di tipo elettro-magnetico, ionosferico e magnetosferico). In base alle ricerche fin a qui effettuate si ritiene che siano emissioni di onde elettromagnetiche provenienti dalla crosta terrestre. Il progetto dunque mira a isolare queste perturbazioni e capire, in futuro, se

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queste possono essere considerate come fenomeni precursori di un evento sismico. Una volta in orbita Limadou osserverà la ionosfera per cinque anni da un'orbita posta a 500 chilometri dalla terra e inizierà subito a raccogliere i dati per la comunità scientifica". E proprio questi dati diventeranno estremamente importanti se Limadou funzionerà alla perfezione. "Dall'inizio del prossimo anno - continua la dottoressa Zoffoli - possiamo cominciare a cercare questi particolari segnali e quindi studiarli in maniera approfondita. Il nostro rivelatore di particelle ha già superato tutti i test termici, di termovuoto, meccanici che si sono svolti al Serms di Terni. Addirittura mentre eravamo nei laboratori abbiamo pure 'beccato' il forte terremoto del 30 ottobre. Ora il nostro rilevatore è già stato inviato in Cina per i preparativi del lancio che verrà effettuato entro il prossimo mese di luglio". Alla preparazione di questa eccezionale missione scientifica con particolare riferimento al progetto Limadou hanno lavorato le industrie italiane e la comunità scientifica. In particolare hanno partecipato le sezioni di Bologna, Napoli, Perugia e Roma Tor Vergata dell'INFN(Istituto nazionale di fisica nucleare), i laboratori nazionali di Frascati, il


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Centro Tifpa di Trento Inaf con l'Istituto Iaps e alcuni atenei italiani tra cui Roma Tor Vergata, Trento, Bologna, Perugia e Università tematica internazionale UniNettuno. Questo per dire che la comunità scientifica è impegnata su questo progetto da cui si aspetta risultati importanti. In definitiva la missione italo cinese potrebbe dare, nel tempo, la risposta alla domanda che viene sempre posta quando accadono eventi sismici come quello che è accaduto, e purtroppo ancora in corso, nell'Italia centrale. I terremoti si potranno prevedere? Il presidente dell'Agenzia spaziale Roberto Battiston, in occasione della presentazione della missione ha tenuto a sottolineare che la scienza potrà dare un contributo importante ma che le incognite sono ancora molte. "Il progetto Limadou - ha detto il professor Battiston - rappresenta una fase di studio particolare e mira a valutare la possibilità di aveva un riscontro di dati dallo spazio, oltre alla rete dei sismografi a

terra, in coincidenza di un evento sismico. Ci vorrà ancora molto tempo per trovare la soluzione perché, come spesso accade, le incognite sono molte. Poi c'è anche un altro aspetto molto importante. Anche nel caso di chiara evidenza di segnali che anticipino l'avvento di un terremoto bisognerà valutare il margine di precisione e l'arco temporale che si ha a disposizione. C'è poi da capire chi ha il dovere istituzionale per dare l'allerta in modo affidabile. Tutte cose da verificare accuratamente con rigore scientifico". Intanto, come detto, il primo lancio della missione è previsto per questa estate mentre si sta già lavorando per la seconda che dovrebbe essere lanciata entro il 2019. Anche in questo caso di tratta di un satellite simile, con gli stessi strumenti, in modo da avere una costellazione che potrebbe interpretare con maggiore precisione e, probabilmente più in fretta, se le perturbazioni della ionosfera potranno essere correlate con l'arrivo di un terremoto.

WELT ELECTRONIC: ECCELLENZA TOSCANA Servono molti ingredienti - e tutti di altissima qualità - per permettere ad un’azienda come Welt Electronic di arrivare ai livelli di cura e affidabilità che può vantare oggi sul mercato nazionale. L’azienda fiorentina - nata nel 1985, per volontà di tre professionisti di grande esperienza nel settore - è specializzata nella commercializzazione di componenti elettronici, passivi, elettromeccanici e di dispositivi a led e lcd, oltre che di prodotti “custom”, realizzati su specifiche dei clienti. Un settore molto specifico, dove le qualità dei prodotti e di tecnologie impiegate fanno la differenza. Una sfida che però Welt Electronic interpreta con grande successo, come testimoniano anche i numeri aziendali: quasi 50 dipendenti, 28 milioni di fatturato ed oltre 1200 clienti coprendo una vasta gamma di settori industriali (automotive, bianco, elettromedicale, avionico, termoregolazione ecc). Recentemente l’azienda è stata protagonista con il progetto “Nuova Luce a Ponte Vecchio”, che ha permesso di adeguare l’illuminazione del ponte alla nuova tecnologie a LED, così da ridurre i consumi di energia elettrica e i costi di manutenzione dell’impianto. Nel corso del 2016 Welt Electronic ha avviato anche una stretta collaborazione con l’Università Design Campus di Calenzano (Firenze), per far emergere giovani Lighting Designer tramite la realizzazione di una serie di oggetti innovativi di design: un concreto esempio di sinergia tra mondo accademico e imprese. Sul fronte nazionale si è distinta per aver unito competenze e tecnologie per la gestione del portafoglio energetico e l'ottimizzazione dei consumi di Banca Mediolanum, supportando l’istituto bancario nella delicata operazione di un sistema di illuminazione intelligente e sostenibile. Una collaborazione che testimonia l’elevato grado di affidabilità ed innovazione tecnologica di un’azienda come Welt Electronic, fortemente radicata nel territorio toscano, ma con un raggio di azione che si estende in tutta Italia e non solo.

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L’ORTODONZIA ENTRA NELLA TRECCANI di Katrin Bove

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a storia dell’ortolume ha avuto inizio grazie L'attenzione per la cura dei denti è cresciuta enormemente donzia italiana racalla straordinaria partecinegli ultimi decenni. E ricerca, tecnologia, nuovi materiali chiusa in un opera pazione del professor Cahanno cambiato completamente sia le cure che le richieste dei letteraria a cura della prioglio, che il presidente pazienti. Si è ampliato il concetto di salute che non coincide Suso, Sindacato Unitario di Michele cita come suo più con l'assenza di malattia ma comprende anche la funzionaSpecialità Ortognatodongrande maestro di specialità ottimale e l'estetica. L'ortodonzia, in questo contesto, ha zia, questa “La Cittadella” lità e attore indiscusso concquistato sempre più spazio e autorevolezza. Un importanza un unico volume prestidella storia dell’Odontoiaconfermata anche dall'insermento della voce "Ortodonzia" gioso per suggellare i quatria italiana, del giornalista nella famosa "Treccani": la IX appendice della Enciclopedia rant’anni di vita del sinMassimo Boccaletti, che italiana diretta da Tullio Gregory. Nella IX appendice la nuova dacato. ha coordinato il lavoro "voce" dedicata all'ortodonzia è curata da due esperti italiani, Una ricostruzione ordieditoriale, e del presidente pionieri della branca è protagonisti nel nostro Paese del suo nata narrativamente di provinciale Suso di Roma, sviluppo, Raoul D'Alessio e Roberto Deli, dell'università Catstorie di uomini, pasRaoul D’Alessio, che gratolica di Roma. I due specialisti, nell'illustrare la branca, danno sioni, sacrifici e viaggi zie alle sue ricerche nazioconto delle ricerche più recenti, con testi che testimoniano lo nella cultura ortodontica nali e internazionali, ha sviluppo a diversi livelli: mezzi clinici, metodologie d'intervento con professionisti di alto permesso di fare approdare e tempi di cura. Un progresso scientifico che ha reso l' ortoprofilo scientifico interla voce “Ortodonzia” nella donzia uno dei settori più all'avanguardia in odontoiatria. nazionale. nona appendice dell’EnciIl libro, a cura di Damaso clopedia italiana Treccani Caprioglio e Pietro di di scienze, lettere e arti. Michele, con la partecipazione di Massimo Boccaletti e Con l’inserimento nella Treccani, il 2015 diventa una data Raoul D’Alessio, edito da Edizioni Martina, sarà l’elemento storica per l’ortodonzia italiana, che vede finalmente ricocelebrativo che testimonierà la storia dell’ortodonzia in nosciuta la propria dignità. Italia. “La nostra ricerca - spiega D’Alessio - avviata sul finire del “Nel ricostruire la storia dovevamo rivisitare il <come eravecchio millennio, si è avvalsa inizialmente della collabovamo>, perché senza la razione del professor Carl conoscenza dei padri, Misch, dell’Università di Pittdelle correnti di pensburg, negli Usa, affrontando siero che li ispiravano e il rapporto tra bellezza natugalvanizzavano, non sarale, norma e presenza di ageremmo mai giunti ai nesie dentarie, e valutandone trattamenti ortodontici l’influenza sull’estetica del attuali, chiave del nostro viso e del sorriso. È ulteriorsuccesso”, scrive Pietro mente proseguita negli anni di Michele, presidente della mia presidenza della nazionale Suso, nella Cron-Om, Centro ricerca orpresentazione deltodontico nazionale - ortopel’opera, “scolpita nel disti mascellari - e con la cuore e nella mente”. Sido, Società italiana di ortoLa realizzazione del vodonzia, avvalendoci del pre-

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zioso contributo del professor Alprima e dopo qualsiasi terapia. berto Laino e della professoressa La ricerca sull’attrattività facciale al Chiarella Sforza, esperta dell’analisi femminile, mediante la fotogrammemorfometrica facciale tridimensiotria 3D, ha avuto un notevole imnale”. pulso dal contributo del concorso di Tali studi si sono contraddistinti per il superamento delle valutazioni effettuabili sulle fotografie o sulle proiezioni radiografiche bidimensionali ottenendo, attraverso la digitalizzazione elettromagnetica computerizzata, nuvole di punti tridimensionali, per estrapolare i volumi facciali di ogni volto umano considerati attraenti. Con il professor Roberto Deli, leader internazionale negli studi sulla crescita cranio-facciale, e con il professor Luigi Galantucci, esperto in prototipazione rapida e reverse engineering, si è consolidata ulteriormente la ricerca sulla scansione tridimensionale del volto con tecnica fotogrammetrica. Come riporta la Treccani: concettualmente la fotogrammeria tridimensionale, oltre a dare una valutazione più realistica del volto stesso, permette un esame dei valori ottenuti che, Il Professor Raoul D’Alessio sia pure non vanno considerati come termini assoluti, consenbellezza italiano, Miss Italia, che ha tono comunque di creare delle curve permesso lo studio dei volti delle figaussiane entro le quali può essere naliste. posto ciascun individuo. Attraverso Grazie alla esperienza e alla raffinata questa tecnica è possibile rilevare sensibilità estetica della presidente asimmetrie o difetti volumetrici e vaPatrizia Mirigliani, Miss Italia ha lutare le differenze dei tessuti molli,

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concesso di realizzare una ricerca unica al mondo, ripetuta per ben quattro edizioni. E’ stato fortemente condiviso, inoltre, dalla prima presidente donna della Sido, la dottoressa Carmela Savastano, che nel 2010 ne ha rinnovato il progetto implemendando lo slogan lanciato dal Professor D’Alessio: “non solo la medicina al servizio della bellezza, ma la bellezza al servizio della medicina”. “Il sorriso è il modo più profondo e istintivo con cui ci presentiamo al mondo. Ogni sorriso e diverso, ognuno comunica qualcosa. Per tutti e soprattutto per chi fa della comunicazione il proprio mestiere, il sorriso è la chiave del successo” spiega Raoul D’Alessio a Nuova Finanza, “Il buon approccio sostiene i risultati, e i buoni risultati sostengono a loro volta, la capacità del paziente ad aderire alle cure, fondamentale per il buon successo delle terapie che propongo. L’ortodonzia non prevale sull’estetica dentale e viceversa, vanno di pari passo, si tratta piuttosto di un approccio multifattoriale per giungere al risultato individuale ottimale, a volte anche un sorriso imperfetto è interessante ed ha successo, resta ovviamente per tutti l’attenzione ad un sorriso funzionale e soprattutto sano”.


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C’È UNA FIRENZE SEGRETA di Marcello Mancini

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'è una Firenze segreta che è ancora tutta da esplorare. Una città sotterranea, un dedalo di gallerie, molte delle quali risalgono al tempo dei Medici. La famiglia più famosa e potente di Firenze, che nel Rinascimento inventò le banche e battezzò il fiorino moneta universale, visse per tre secoli fra strategie criminali, di cui fu vittima e carnefice allo stesso tempo. Il sangue scorreva in queste gallerie costruite sottoterra, che percorrevano la città medicea in lungo e in largo, da un palazzo del potere all'altro, molte delle quali sono ancora da scoprire. In prevalenza non si trattava di cunicoli ma di ampi spazi vitali nei quali poteva transitare un cavallo con il suo cavaliere. Una gran parte della vita dell'epoca si svolgeva qua sotto, lontano dalla luce del sole. Anche per gli avversari dei Medici o per chi, in quel dato momento, non era nelle grazie della famiglia. Perfino Michelangelo Buonarroti ne dovette fare uso. Fu aiutato dal priore di San Lorenzo, Giovanni Battista Figiovanni, noto sostenitore dei Medici, uno con cui l’artista non si era neppure troppo bene inteso, in passato. «Io lo scanpai dalla morte» scrive il sacerdote nelle sue Ricordanze «et salva‘li la roba». Il priore mise a disposizione di Michelangelo un posto dove difficilmente lo avrebbero cercato: proprio la chiesa dei Medici, San Lorenzo, a pochi passi dal Palazzo di Famiglia, che oggi ospita la sede della Prefettura. Quelle Cappelle dove l’artista scolpiva le sepolture dei cadetti allo scoppio dell’insurrezione. C’è un sotterraneo, sotto la Sacrestia Nuova, chiuso da una botola. Lì lo scultore si rintanò, un loculo di dieci metri per due, le finestrelle sbarrate, sulla sinistra. In questo tunnel illuminato a candele di sego, il maestro aspettò che il destino si compisse, che fosse vita o fosse morte.

Questo loculo appartiene a un ritrovamento recente. Quella, invece, di cui oggi si vuole dimostrare l'esistenza è la galleria medicea tra palazzo Pitti e il forte Belvedere, il fort Knox della storica famiglia fiorentina. Una sorta di prolungamento del celebre corridoio vasariano, che da Palazzo Vecchio conduce a Pitti e al giardino di Boboli e che venne realizzato - in soli cinque mesi! - nel 1565 per volere del granduca Cosimo I de' Medici. L'opera fu commissionata in concomitanza del matrimonio tra il figlio del granduca, Francesco, e Giovanna d'Austria. L'idea del percorso sopraelevato era nata per dare opportunità ai granduchi di muoversi liberamente e senza pericoli dalla loro residenza al palazzo del governo, visto l'appoggio ancora incerto della popolazione verso il nuovo Duca e il nuovo sistema di governo che aveva abolito l'antica Repubblica fiorentina. Intorno al 1600 venne costruito il Forte di Belvedere, che doveva rappresentare l'estremo rifugio per i Medici, in caso di attacco o di una sommossa, che fosse raggiungibile velocemente. Vi avevano pensato anche un segretissimo forziere in cui nascondere gli inestimabili tesori che la famiglia deteneva. Della stanza del tesoro si favoleggiò per secoli e poi si è scoperto che esiste davvero. Si raggiunge da una stretta scala che ha i gradini in parte di legno, in modo da poterli tirare su, come un ponte levatoio. Le porte di accesso erano protette da meccanismi collegati ad archibugi, in modo che venisse sparato a chi tentasse di forzarle. Inoltre un trabocchetto nascondeva un pozzo con lame affilate. In alcuni testi si spiega che il Buontalenti aveva studiato queste trappole per rendere inaccessibile il caveau e perfino che "come estremo espediente contro i ladri c'era la possibilità di allagare la camera dall'alto, così che chi vi si trovasse sarebbe morto affogato". Vi si aggiunge che non si sono trovate mai tracce, invece, delle due gallerie sotterranee che dovevano collegare il forte con la villa di Poggio Imperiale e con palazzo Pitti: quest'ultima pare arrivasse addirittura fino al Lungarno Torrigiani, da dove un altro tunnel doveva passare sotto l'Arno, fino alla Fortezza da Basso. E' proprio questa strada misteriosa e inesplorata che si dovrebbe individuare, ma che nessuno fra sindaci e soprintendenti si è mai preso la briga di muoversi a cercare. Anche gli appelli di uno studioso fiorentino sono per anni

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caduti nel vuoto. Paolo inviti di andare a veriPaoletti è uno storico ficare? Su questo punto, sui generis, mai polilo studioso è piuttosto ticamente corretto, è polemico. andato trovando sem"Io dico: c'è speranza pre verità scomode, di per un paese che in 25 solito nascoste dalla anni, dal 1991, non è storiografia ufficiale. riuscito ad abbattere due E' noto per aver ricosopra mattoni e riaprire struito, attraverso tela galleria medicea. In stimonianze e docuquesto lasso di tempo menti, la strage naziabbiamo avuto tanti 'gofascista di San'Anna di verni del fare' di diverso Stazzema, sulla quale orientamento politico, ha scritto tre libri: non e non s'è fatto niente: sarebbero stati i nazisti menefreghismo, buroa trucidare i civili inercrazia, mancanza di culLa pagina della "Raccolta di piante delle principali città e fortezze del Granmi, ma i fascisti che tura, di amore per l'arte ducato di Toscana", scritta nel 1749 dal colonnello Odoardo Warren. Vi si legge indossavano divise delo qualcosa di peggio?". la frase: ".....si comunica al forte di Belvedere dal Palazzo de'Pitti per mezzo di le SS, e i partigiani che In effetti è strano che una galleria sotterranea. Si educavano in questo palazzo i principi della casa sopraggiunsero furono solo il silenzio abbia acde' Medici ed ora serve di quartiere per gli uffiziali della guarnigione......." processati per aver decolto le sollecitazioni di predato i cadaveri. Paoletti. Nemmeno il di stato. Infatti ad oggi possiamo solo Paoletti mi racconta come, per caso, sindaco Matteo Renzi, che si era moimmaginare da quale ala del palazzo ha scoperto la storia della galleria mestrato piuttosto sensibile a ricerche Pitti parte la galleria dove può sbucare dicea. "Nel 1991 mi imbattei nella storiche che aggiungessero prestigio all'interno del forte". copia anastatica di una 'Raccolta di alla città e che si era innamorato delUna generazione di fiorentini cresciuta piante delle principali città e fortezze l'idea di trovare nel salone dei Cinnei quartieri di Santo Spirito e San del Granducato di Toscana', fatta nel quecento il famoso dipinto di LeoFrediano, ricorda l'esistenza di alcuni 1749 dal colonnello Odoardo Warren, nardo, la Battaglia di Anghiari (ricerca cunicoli che partivano dal giardino responsabile delle piazzeforti. Mi colpì non coronata da successo), nemmeno di Boboli, molto curati e realizzati la frase: '........si comunica al forte Bellui, dicevo, prese sul serio questa poscon mattoni a spina di pesce. Evivedere dal palazzo de' Pitti per mezzo sibilità. Che oltretutto, con pochi dentemente praticabili almeno fino di una galleria sotterranea. Si educavano sforzi e a costi irrisori, potrebbe rapagli anni Cinquanta. Uno di questi in questo palazzo i principi della casa presentare un inedito, affascinante anfratti potrebbe essere il corridoio de' Medici ed ora serve di quartiere percorso che conduce da Palazzo Vecdi cui parla Paoletti. Al quale un vecper gli uffiziali della guarnigione...'. chio a Palazzo Pitti attraverso il corchio giardiniere di Boboli ha confessato Non mi meravigliò che all'archivio di ridoio vasariano e poi al Forte di Beldi sapere dove si trova la botola dalla Stato di Firenze non si trovasse un rivedere. Un altro museo ma soprattutto quale si accede alla galleria. Ma perché scontro a quel tunnel: sarebbe stato un altro "tesoro" da aggiungere alla nessuno ha dato ascolto ai ripetuti come lasciare una traccia di un segreto planetaria ricchezza di Firenze.

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A VOLTE RITORNANO di Federica Gramegna

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all’Italia si fugge ma in Italia, a volte, si ritorna. Anche se cinema, giornali e televisione sembrano quasi non volersene accorgere. Non è un paese per giovani è il nuovo film di Giovanni Veronesi, ispirato all’omonimo programma radiofonico condotto dal regista su Rai Radio2. La pellicola è uscita nelle sale il 23 marzo scorso e affronta il tema del futuro delle nuove generazioni in un’Italia che non dà lavoro e prospettive ai suoi figli. Ragazzi che sono costretti a partire per cercare di realizzare le proprie ambizioni oltre confine, a troppi chilometri di distanza da famiglia e amici. Ma se è vero che l’Italia è piena di giovani come Sandro e Luciano ‒ i protagonisti del film di Veronesi che decidono di concretizzare i loro sogni all’Avana scappando da un’Italia senza speranze ‒ è altrettanto vero che ci sono ragazzi che dopo essere stati all’estero per qualche anno decidono di tornare. Con lo stesso coraggio, se non maggiore, di quando hanno scelto di andarsene. Perché le partenze implicano quasi sempre un ritorno e nonostante l’Italia, oggi, non sia ancora pronta ad accogliere meritocraticamente le tante teste brillanti che si sono trasferite altrove, il

sogno di ritrovarsi a casa propria, circondati dagli affetti e dai sapori di sempre, spesso è più forte di qualsiasi altro desiderio. È facile capire perché un giovane, oggi, lascia l’Italia. Ma non è così semplice comprendere le ragioni che lo spingono a tornare alle proprie radici. Per Camilla, Lorenzo e Davide i motivi sono solo apparentemente diversi perché in realtà sono tutti legati all’amore per l’Italia, nonostante tutto. Camilla ha vissuto dodici anni a Berlino. Le dicevano che ormai, una volta superati i cinque anni, sarebbe stato difficile rientrare. Perché nella capitale tedesca si vive bene. È tra le città europee più interessanti soprattutto per gli artisti come lei. Ricca di musei, locali alternativi e una comunità di italiani molto unita. Con la sua vivacità, Berlino è difficile che ti deluda. Camilla, e non solo lei, ne fa un ritratto lontano anni luce dal nostro paese che da anni è immobile e non lotta abbastanza per svegliarsi dal torpore in cui è caduto. Eppure Camilla è tornata. Dopo aver girato l’Europa con la compagnia teatrale che ha creato a Berlino, ha scommesso sull’Italia. In controtendenza rispetto ai suoi colleghi e forse con

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un pizzico di incoscienza. “Berlino non è capitata per caso, l’ho scelta, così come il mestiere che amo che per me non è un lavoro ma una passione sconfinata”, racconta Camilla. “I primi anni sono stata benissimo, mi sentivo fortunata rispetto ad altri coetanei che avrebbero voluto recitare e guadagnare anche di questa attività ma in Italia potevano dedicarsi al teatro solo per hobby perché nel nostro paese, si sa, non si riesce a vivere solo di arte”. Poi però Camilla è cresciuta e a 38 anni ha sentito che si stava perdendo qualcosa. “Ho cominciato ad essere stanca di parlare con i miei genitori su skype ogni sera, di vederli invecchiare da uno schermo. Sono sempre stati fieri di me ma si sono chiesta se non mi stavo la-

sciando indietro qualcosa che difficilmente sarei riuscita a recuperare dopo. Come la nascita dei figli di mia sorella e dei miei più cari amici, che mi riducevo a vedere solo durante le feste. E così ho deciso di fare il grande salto e sono tornata, perché dodici anni all’estero sono tanti e più ne trascorri fuori più fai fatica a sentirti di nuovo a casa nel tuo paese”. Camilla di fatica ne ha fatta tanta. A recuperare i vecchi rapporti di amicizia, a riabituarsi alle “abitudini” del suo pezzo di Italia, la Campania, però non si è mai pentita della sua decisione. Perché ha visto i “suoi vecchi” – come li chiama lei – farsi anziani ed è potuta stare vicino a loro nel momento del bisogno e a sua sorella, recuperando ogni momento perso i nipoti. Anche Lorenzo se tornasse indietro lo rifarebbe. A lui, assistente parlamentare a Bruxelles, mancava la politica fatta di banchetti, tessere, ore di sonno mancate e parole spese con una comunità per la quale sei un punto di riferimento. Certo per lui oggi lo stipendio è ben diverso ma tornare a fare politica a casa propria, lo fa sentire più soddisfatto di quel che fa e fiero di se stesso. “La politica a Bruxelles è un’altra storia – racconta Lorenzo – e per chi come me ama il contatto fisico con gli elettori del tuo partito, gli anni nella capitale europea sono stati preziosi in termini di maturità professionale ma allo stesso tempo una sofferenza dal punto di vista esistenziale. Ero abituato ad altri ritmi e a confrontarmi ogni giorno sul campo con la gente. Ad essere in prima linea, insomma. Mentre a Bruxelles mi sentivo

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spesso al di fuori della realtà, totalmente distaccato da quello che era davvero il mio Paese”. Davide, invece, dopo aver lavorato 7 anni ad Anversa come medico chirurgo, è tornato nelle Marche, a Osimo, perché “solo le tue radici possono darti quel senso di appartenenza che ti appaga, che un altro paese, seppur meritocratico, non potrà mai darti”. Davide ha talento e ha sfruttato al massino tutto ciò che ha imparato all’estero. Ora però il suo desiderio più grande è tornare a Osimo e lavorare in un ospedale pubblico in cui mettere le sue competenze e il suo talento al servizio degli italiani e dei suoi stessi compaesani. Questo è il sogno di Davide, insieme al progetto di costruirsi una famiglia. Nei luoghi di sempre e congli affetti di una vita, gli stessi che dieci anni fa lo savevano incoraggiato a partire e a diventare un campione nel suo mestiere, gli stessi che ora sono felici di riaverlo in mezzo a loro. “Chi prima, chi dopo, gli italiani all’estero arrivano sempre a fare i conti con la nostalgia per le proprie radici. E a quel punto ci si trova a un bivio e il ritorno è un atto di coraggio. Ci vuole forza, all’inizio riambientarsi è complicato e si rischia di soffrire la solitudine a casa propria però poi ne vale la pena”. L’Italia non è un paese per giovani ma se nessuno dei suoi giovani tornasse avrebbe ancora più difficoltà a riprendersi la sua dignità. Per questo le nuove generazioni di cervelli in fuga hanno la responsabilità di provare a cambiare questo paese, a partire proprio dal loro ritorno. Pima o poi.


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AI TEMPI DEL JOBS ACT E OLTRE... di Nicola Bartolini Carrassi

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l gradimento dei lettori, soprattutto on line, ci ha spinto a continuare il nostro viaggio nel biz della musica, delle aziende e delle maestranze. In questo numero incontriamo due artisti della scuderia Limonta Publishing, un’azienda giovane, che dal mercato musicale si è espansa, grazie all’AD Alessandro Limonta nel settore delle acquisizioni, della produzione, nel mercato cinetelevisivo. Ancora creatività versus crisi e contrazione di un mercato totalmente rivoluzionato dalla crisi e dalle nuove tecnologie. Presentatevi con un tweet. STEFANO FUCILI: Cantautore, compositore ha collaborato con Lucio Dalla, F. Gazzè, Keope, ha composto canzoni e strumentali per spot, film, cartoni animati. ATTILIO CASATI: Colori in musica per dipingere immagini Quali sono gli artisti che vi hanno ispirato? SF: I miei riferimenti musicali sono un mix tra il pop, rock e folk anglo-americano,

(Sting, U2, Rem, James Taylor …), ed i grandi cantautori italiani prima fra tutti Lucio Dalla, con il quale ho avuto il privilegio di collaborare e poi Bennato, Branduardi, Finardi, Fossati etc. AC: Ci sono state più correnti musicali. Ho ascoltato da giovane molto la linea “prog” dei GENESIS, EL&P, PINK FLOYD. Contemporaneamente molta musica r&b/Soul americana degli anni 70/80/90: AL JARREAU in primis ma molti artisti/musicisti. Una citazione per JOE SAMPLE per lo stile pianistico che apprezzo ancora oggi e ispirazione di miei brani e PAT METHENY per le atmosfere globali di ascolto. Non dimentichiamo la pop Britannica fonte di ispirazione negli anni 80.

Da ragazzi avevate già deciso che la musica sarebbe stata la vostra vita? SF: Sicuramente ho amato la musica da subito, i miei genitori mi raccontavano che a 4 anni nei viaggi in macchina mi divertivo ad inventare melodie con un inglese maccheronico. AC: Ho iniziato a strimpellare all’età di 5 anni, a 6 le prime lezioni di pianoforte, a 10 anni batteria ed un po’ di chitarra. Poi continuai da autodidatta iniziando le lavorazioni in studio come arrangiatore e tecnico del suono. Bella e coinvolgente l’esperienza degli ultimi anni dove registrai e mixai opere eseguite da orchestra di 70 elementi. L’approccio orchestrale è ciò che più mi piace e che utilizzo per le mie ultime composizioni e lavori. La vostra prima band a quanti anni? SF: Fondai la prima band a 16 anni con i compagni del liceo, ci chiamavamo Fine Art Garden e suonavamo cover di band anglo americane di ispirazione Beatlesiana come Rem, The Smiths o The Housemartins. Nella cantina del batterista si sperimentavano anche i primi brani originali in inglese ed il mio ruolo di chitarrista/compositore (non cantavo ancora) era un po' quello del George Harrison della situazione. AC: Durante le scuole Stefano Fucili superiori formammo la

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prima band, (basso, drum, gtr e key). Suonavamo le musiche dei nostri miti del momento, (Genesis, Pink Floyd, EL&P). Durante l’anno militare nacque in caserma una bella esperienza: formammo una band tra commilitoni, In quell’epoca si ascoltava la musica britannica di Sade, Everything but the girl, Style Council. Qual è il vostro giudizio sul mondo della musica di oggi? SF: Da un lato le major tendono a produrre progetti che escono dai talent tutti omologati e un po’ piatti, dall’altro c’è un meraviglioso mondo “indie” con realtà di band e nuovi cantautori molto attivo, stimolante ed interessante che vive di concerti e di web. AC: Non molto positivo, poche idee, molte rubate… Poco di nuovo in Italia. Ascolto molto colonne sonore in quanto mia attività attuale. Con Limonta Publishing, siete arrivati ad oltre un decennio di proficua collaborazione. SF: Devo ringraziare Limonta Publishing per questa bella collaborazione che negli anni ci ha regalato molti risultati soddisfacenti… AC: Sì, colonne sonore e sigle per film e cartoon. Abbiamo collaborato per anni con Mediafilm nel creare sigle cartoon, loghi e proposte di sonorizzazione film. Ho composto poi una serie di brani per library da sonorizzazione edite da Limonta P. Abbiamo partecipato attivamente agli incontri presso “Le Marchè du Film” creando contatti e collaborazioni con realtà europee. Attualmente siamo in working con una produzione di colonna sonora per un prossimo film. La musica ai tempi del jobs act…Come è cambiato

l'ambiente di lavoro per i musicisti? SF: Il web dà incredibili opportunità a chi fa musica oggi. Grazie alla tecnologia, un artista, con le dovute competenze, può essere il manager di se stesso. Oggi puoi produrre musica di qualità nel tuo home-recording studio e con un click metterla a disposizione del mondo intero. AC: Il nostro ambiente è cambiato da molti anni prima della jobs act. Si conferma la tendenza all’autoproduzione e all’utiAttilio Casati lizzo di studi Home addicted. Sempre minori le grandi produzioni. Come per la post pro tv, di cui mi occupo parallelamente, la qualità viene sempre meno “recepita” dalle nuove generazioni e dall’utilizzo di devices che non prediligono la diffusione di musica allo stato dell’arte. In che cosa siete impegnati in questo momento? SF: Sono molti e diversi tra loro i progetti che sto portando avanti in questo periodo: realizzazione di canzoni per bambini per il canale You Tube Coccole Sonore, concerti dal vivo in Italia e all'estero con vari progetti come il tributo “Piazza Grande”, omaggio a Lucio Dalla, o lo spettacolo d'inchiesta “La realtà è più avanti” con il giornalista Daniel Tarozzi con mie musiche originali, composizione e produzione di nuovi brani per sincronizzazioni. AC: Stiamo lavorando su un progetto riguardante la colonna sonora di un film. Parallelamente sto scrivendo appunti per un mio nuovo disco personale Su www.nuovafinanza.it, altre domande, file multimediali e molto altro

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FRANCESCA, STILISTA “COUTÙ” di Donatella Miliani

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stata presenza discreta ma come sempre fondamentale per Carlo Conti, che a Sanremo ha definitivamente consacrato le sue indiscusse doti come conduttore e direttore artistico del Festival dei record. Lei è Francesca Vaccaro, solare e amorevole moglie del professionista Rai nonchè madre del piccolo Matteo, il loro figlioletto di 3 anni. Ex costumista Rai, la Vaccaro proprio alla vigilia di Sanremo ha debuttato come stilista firmando la linea «Coutù Bark & Rust» per Claudio Cutuli. Griffe famosa in tutto il mondo che ha il suo quartier generale in Umbria, a Bevagna. Come è nata l’idea di creare «Coutù»? «Conosco Francesca e Carlo da diverso tempo – racconta Claudio Cutuli che spende parole ottime sia sul professionista Conti che sul marito, padre e uomo dalle notevoli qualità abituato a fare tanta solidarietà e ‘senza mai voler apparire’. Sapevo che Francesca ha sempre avuto un sogno: fare la stilista e così una sera è nato il progetto di creare una linea di abbigliamento molto particolare. L’abbiamo realizzata e ne siamo molto soddisfatti. Si chiama Bark&Rust la collezione autunno-inverno 2017/18 ed è stata ispirata dalla corrosione della ruggine e le crepe irregolari delle cortecce. Un concept che è piaciuto molto». Prima uscita il 12 gennaio a Milano. Come è andata?

«Sì eravamo al White. Benissimo. Una serata con tanti personaggi: da Panariello a Simona Ventura, Caterina Balivo, Malgioglio, Giovanni Ciacci, e tanti altri vip. Tutti si sono detti entusiasti». E Carlo Conti non c’era? «No. Lui era già impegnatissimo con Sanremo e in quella serata in modo particolare aveva fatto rientro a Firenze per coccolarsi il loro bimbo Matteo». E forse aveva anche intenzionalmente deciso di non esserci per non ‘rubare’ la scena alla moglie che, a proposito, che donna veste? «La donna che veste ‘Coutù’ è una donna cittadina che ama il suo corpo senza ostentarlo, con una vita piena e tanto da raccontare. Il suo colore preferito è il nero: un non-colore denso di significato che, anche quandoaccostato al bianco, è solo per esaltarne le profonde qualità emotive. I materiali, impreziositi dalla lavorazione artigianale danno vita a capi unici dalle forme irregolari e tagli asimmetrici. Le pelli dei capi Coutù sono corrose o stampate, bronzate, lavate e lavorate dai nostri abili artigiani per esser poi coniugate con tessuti innovativi». Un target molto alto? «Abbastanza. in linea con il nostro brand che ha una rete

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vendita in tutto il mondo. Abbiamo già ordini dai buyers. Ora ci aspettano le passerelle di Milano, poi Parigi e New York». E a Sanremo, come è andata? «Direi che meglio non poteva andare. Io e mia moglie Maria Grazia abbiamo assistito a quello che è stato un autentico trionfo. E Francesca naturalmente e come al solito è stata contentissima».

Sua moglie e la stilista Francesca naturalmente erano vestite rigorosamente Coutù? «Ovviamente...». Nella foto a sinistra Claudio Cutuli con la moglie Maria Grazia e Francesca Vaccaro al White di Milano. Sotto Francesca con Cristiano Malgioglio

LA FASHION DI BEVAGNA Claudio Cutuli è nato in Calabria da una famiglia di tintori e tessitori da almeno cinque generazioni, nome ormai consolidato nel settore della moda tanto da essere apprezzato dai migliori negozi italiani, europei ed asiatici. Terminati gli studi è entrato nell'azienda di famiglia e di essa si occupa con dedizione e passione. Decide poi di trasferirla in Umbria, cuore verde d'Italia. E' animato da una passione viscerale per il proprio lavoro, tanto da essere legato, come lui stesso dice, da un "cordone ombelicale" a tutto ciò che è moda. Non si reputa uno stilista ma un esteta, cultore del bello e delle cose belle. Alla tradizione familiare ha unito la sua personale ricerca e le sue molteplici esperienze: studi, viaggi in paesi lontani, nei quali ha trovato altre fonti e altra materia d'ispirazione. I suoi scialli, le sue stole e le sue sciarpe rifuggono da tutto ciò che è massificazione, non per snobismo, ma perchè creati per durare. Alla base delle collezioni c'è l'estro personale che privilegia tessuti nobili come canapa, lino, bambù, seta, lana e cachemire ... lavorati interamente a mano su antichi telai di famiglia e tinti con selezionate e ricercate materie prime provenienti dal mondo vegetale, animale e minerale. Da quasi duecento anni la tintura naturale è il fiore all'occhiello dell'artigianato tessile della famiglia e il colore naturale, come sua stessa ammissione: "è sinonimo di vita, di passione e di allegria ma soprattutto è l'elemento fonda-

mentale grazie al quale possiamo ancora sognare". Le collezioni nascono da un'accurata ricerca e riassumono tutte le esperienze nella rinnovata creatività e capacità di trasmettere ed esprimere emozioni, superando gli altalenanti diktat della moda, senza mai perdere l'autenticità delle sue radici mediterranee. DA gennaio 2017 la nuova collezione "Coutù" firmata da Francesca Vaccaro.

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A TAVOLA CON IL BORBONE

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a storia, e l’attualizzazione pratica sotto forma di ricette, della opulenta cucina della corte reale borbonica si arricchisce di un nuovo capitolo: i secondi. “I secondi. 35 ricette ispirate alla Cucina Napoletana di Corte” (96 pagine, con pregevoli illustrazioni a colori, per i tipi di De Luca Editori d'Arte) si titola la seconda tappa del percorso gastronomico intrapreso da Franco Santasilia di Torpino per far conoscere agli appassionati una tradizione culinaria di grande valore: la cucina napoletana di corte. In particolare quella sviluppatasi alla fine del Settecento grazie alla regina Maria Carolina di Borbone che volle ingentilire la gustosissima cucina povera dei napoletani con il tocco dei raffinati cuochi scappati dalla Francia rivoluzionaria, i celebri Monzù. L’autore è considerato uno dei più autorevoli conoscitori e interpreti della cucina partenopea. Ingegnere nucleare, negli anni sessanta, durante la sua permanenza professionale in California, disgustato dal cibo locale, iniziò a interessarsi di cucina e tornato in Italia, oltre a perfezionarsi nell’arte dei fornelli, si è appassionato alla cucina napoletana. Da allora Santasilia si è dedicato senza tregua a ricercare piatti dimenticati, eseguire lui stesso le ricette, cucinando per gli amici, organizzare conferenze, scrivere libri. Già nel Cinquecento, quando Carlo V arrivò a Napoli, la cucina di corte si distingueva per le sue ricche creazioni: per antipasto si presentavano nei banchetti reali “prosciutti salviati” cotti nel vino e salvia, fegatelli impanati cucinati sui carboni avvolti in foglie di lauro, “arrosti con mirausi,

peperati e civere” e torte a base di marzapane e cotognata. Ma il grande balzo compiuto dalla cucina di corte e delle case aristocratiche, consacrando definitivamente la napoletana fra le grandi cucine europee, fu impresso durante il Regno delle Due Sicilie e l’interregno di Gioacchino Murat. Le pesantezze gastronomiche francesi a base di salse butirrose e grasse furono fortemente attenuate dalle basi sapide di una cucina di territorio, mentre i piatti migliori della gastronomia napoletana venivano arricchiti con composizioni elaborate e di grande scena raggiungendo traguardi da far tremare finanche quello che è stato il più grande cuoco di Francia: MarieAntoine Carême. Da allora la grande cucina Napoletana si è sempre distinta non soltanto per le prelibatezze, ma soprattutto per l’elevata raffinatezza e la squisita fattura. Il libro di Santasilia è arricchito da gustosianeddoti, ricordi personali, consigli sui migliori abbinamenti tra vini e piatti, e sarà seguito da un’ulteriore pubblicazione rivolta ai dolci di corte. Tutte le 35 ricette illustrate nel denso volume sono state sperimentate, provate e riprovate personalmente dall’autore. Sono piatti di grande effetto, di squisita fattura e di alta cucina, anche se non mancano alcune preparazioni più semplici. GDN

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VIA MARGUTTA, VIA IN RINASCITA di Rossella Ariosto

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’apertura della nuova galleria di Paolo Antonacci in via Alibert, breve strada di congiunzione tra via del Babuino e via Margutta, rappresenta un evento da molti interpretato come un segnale dell’auspicato risveglio commerciale di un incantevole angolo di Roma apparso, negli ultimi anni, rassegnato a un pigro declino. La regìa della serata – dopo il tramonto di giovedì 9 febbraio - prevedeva che con Antonacci inaugurassero anche la Casa d’Aste Colasanti e il gallerista Fabrizio Russo, organizzatore di un’importante mostra sull’eclettico artista futurista Thayaht. La triplice vernice ha centrato l’obiettivo, riportando nel vecchio art district capitolino uno scompiglio paragonabile a quello di cui parlano le cronache del Sette-Ottocento, gli anni in cui via Alibert ospitava uno dei teatri prediletti dal pubblico romano e il caotico ingorgo delle carrozze in attesa di raggiungerne l’ingresso si allargava sino a piazza di Spagna. A omaggiare Antonacci la Roma della finanza e della cultura. Primo ad arrivare il banchiere, ma anche grande esperto di pittura antica, Emmanuele Emanuele, seguito a ruota dall’immobiliarista-finanziere Valter Mainetti accompagnato dalla moglie Paola. Impossibile non notare l’istrionico Achille Bonito Oliva e poche assenze tra i volti noti della vita sociale capitolina. Attenzione però: dietro all’enfasi mondana che il mercante d’arte dei VIP

ha voluto dare al suo passaggio da via del Babuino al suggestivo contesto di via Margutta si nasconde una strategia accorta e contro corrente. L’involuzione del centro storico La verità è che la breve distanza – non più di cento metri - messa da Antonacci tra la sua storica sede del Babuino e il nuovo, bellissimo spazio di Via Alibert segna un cammino concettualmente molto lungo e un cambio epocale. Gli Antonacci – un nome importante nella storia dell’antiquariato italiano del Novecento – a via del Babuino sono arrivati nel 1916, l’anno in cui Emanuele, il nonno di Paolo, si insediò al civico 146. Paolo si è formato lì, accanto al padre Giuseppe antiquario del jet set internazionale

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negli anni in cui a Roma il jet set era di casa - e quando, nel ‘98, ha deciso di fondare una sua galleria si è spostato al 141/a, non prendendo nemmeno in considerazione l’idea di potersi allontanare dalla via dei grandi antiquari. Negli ultimi anni, però, ciò che nel ’98 appariva inconcepibile è diventato realtà: i marchi della moda, e perfino outlet e rosticcerie, hanno preso d’assalto le vetrine un tempo presidio dei migliori mercanti d’arte e un mondo antico e prezioso si è silenziosamente dileguato. Che fine hanno fatto gli antiquari del Babuino? Chi non ha cessato l’attività è stato comunque costretto a spostarsi, non verso altre zone della città, ma verso gli elitari epicentri dello scambio internazionale: Londra e/o rassegne esclusive come il Tefaf di Maastricht. Perché il mercato antiquario oggi è una nicchia in cui pochi operatori e collezionisti provenienti da ogni parte del mondo trattano solo la qualità molto alta e si può campare benissimo anche senza galleria, limitandosi a partecipare alle fiere più prestigiose. A quelle, d’altronde, partecipa anche Paolo Antonacci, uno dei venti antiquari italiani ammessi a TEFAF Maastricht, una rassegna molto esclusiva che nel settore dell’arte antica è considerata l’appuntamento commerciale numero uno. A differenza di molti altri lui, però, di lasciare Roma non ha voluto sentir nemmeno parlare: “. Da vent’anni facciamo ricerca sulla pittura di veduta e del


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Grand Tour, che ebbe proprio a Roma uno dei suoi centri più vivaci, andarsene significherebbe tradire la linea della galleria” E infatti l’antiquario è rimasto, rendendosi protagonista di un’operazione coraggiosa dalla quale potrebbe arrivare un interessante impulso all’auspicato rilancio commerciale della zona di via Margutta, bella da mozzare il fiato, ma incapace di collocarsi all’altezza di un passato sin troppo prestigioso. Segnali di risveglio In via Alibert, da più di cinque anni, il locale che era stata la sede del famoso Spazio Alinari non riusciva a trovare un nuovo occupante e quelle saracinesche abbassate erano da tutti commentate come uno dei tanti segnali di stanchezza dell’epoca della crisi. Paolo Antonacci racconta che la decisione di farne il suo nuovo quartier generale è stata presa quando si è reso conto che proprio lì, alla fine dell’Ottocento, Nanna Aliberti - probabilmente da identificarsi con Anna Ascari, la modella di Feuerbach - aveva aperto una trattoria subito diventata uno dei punti d’incontro prediletti dalla cosmopolita comunità degli artisti residenti a Roma: “È stato entusiasmante scoprire che avrei potuto lavorare in un luogo anticamente frequentato da molti degli artisti trattati dalla nostra galleria”. Un restauro a regola d’arte ha restituito alla strada quel suo piccolo tesoro e, a chiosa dell’evento, il nuovo

inquilino del 16A si è concesso un gesto da principe commissionando un’opera d’arte che in qualche modo segnalasse il senso della sua presenza e del suo lavoro. L’incarico è stato affidato a Baldo Diodato, recente protagonista di una retrospettiva dedicata alla sua lunga carriera dalla Galleria nazionale d’arte moderna. Per il suo committente Diodato ha realizzato un calco in rame di via Margutta che, disposto sul pavimento della galleria partendo dall’ingresso, simula l’irruzione della celebre strada degli artisti con tutto il suo carico di storia. L’arrivo di Paolo Antonacci, l’apertura della Casa d’Aste Colasanti, il lavoro di squadra per la serata delle tre inaugurazioni: forse a via Margutta qualcosa si muove nella giusta direzione, quella del recupero della sua identità di strada dell’arte e dell’artigianato di qualità. Il prezioso rettilineo che da anni si anima solo per le mostre dei Cento Pittori - manifestazioni di qualità mediocre vissute dai marguttiani doc come una dolorosa invasione aliena (Fabrizio Russo arriva al punto di abbassare le saracinesche per protesta) – sembra aver trovato la voglia di intraprendere quel percorso di valorizzazione della propria stupefacente tradizione da troppo tempo invocato, senza che alle molte parole spese sull’argomento siano prima d’ora seguite iniziative concrete.




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