Nuova finanza n. 1/2015

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BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO

Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013

Anno 2015 Numero 1 GENNAIO FEBBRAIO

DUE MILIARDI ALL’AGRICOLTURA PAROLA DI MINISTRO

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IL PUNTO Europa unita, ultima chiamata

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EXPO 2015 L’invasione cinese

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TRAGHETTI Fuoco, nemico mortale


gioco legale e responsabil responsabilee


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Il Punto Europa a rischio Agricoltura Parla il ministro Expo 2015/1 L’interesse cinese Expo 2015/2 Un nuovo Made in Italy Previsioni Allacciare le cinture Cipro Non solo gas Energia L’handicap italiano Immigrazione Prato l’asiatica Navigazione Il rischio incendio Big Data Business di frontiera Calcio Non solo palloni Intervista a Gravina L’impresa diversa Rinnovabili Innovativa Innovatec Intervista a Colucci Un mercato che esploderà Editoria Una crisi superabile Eccellenze Fondaco di cultura

COSTUME & SOCIETA’

38 40 41 42 44 46 48 50 52 54 56 57 59 60

Matera Dai Sassi alla gloria Tradizioni Il presepe di tutti Gioielli Arte da indossare Musica Melodie capitoline Mostre Eros a Parigi Usi & Manie Il trionfo del selfie Intervista a Pericoli L’arte che graffia Moda Da Firenze a Milano Turismo Il “caso Sorano” Intervista a Cutuli Tessuti di famiglia Idee Il concetto di populismo Letteratura Tra Coccioli e Tondelli Italia profonda Ai piedi delle Dolomiti Il racconto Sogno di Carnevale

Le nostre interviste Il Presidente Kinexia Colucci

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Nuova Finanza

Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale

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Pietro Romano Direzione Marketing e Redazione

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IL PUNTO del direttore

EUROPA UNITA, ULTIMA CHIAMATA

di Pietro Romano

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n ventiquattr’ore, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha assestato, bene amplificato a mezzo stampa, un uno-due da ko ai suoi avversari, nemici, detrattori. Le previsioni di crescita del prodotto interno lordo della Germania nel 2014 segnalano il miglior risultato dal 2011: un aumento dell’1,5%. E il bilancio federale ha chiuso per la prima volta in pareggio dal ’69 e con un anno di anticipo sulla tabella di marcia governativa. Due risultati resi noti nelle stesse ore, paradossalmente, in cui la Banca Mondiale lanciava l’allarme crescita, rivedendo al ribasso le stime di incremento del Pil globale (dal 3,4 al 3%), una correzione addebitata principalmente alle battute di arresto dell’Eurozona e del Giappone, che stanno appesantendo l’andamento del commercio internazionale, in fase di crescente appannamento. Ma l’uno-due è uno spot o possiede consistenza effettiva? I numeri sono indiscutibili. A quali costi, però, è stato raggiunto il pareggio di bilancio a Berlino? E l’incremento del Pil, dopo alcuni anni di crescita quasi piatta, praticamente impercettibile, è duraturo o

è solo un rimbalzo? Il risultato dei conti federali è stato ottenuto grazie, in prevalenza, a quattro fattori: il calo dei tassi d’interesse sul debito, una tassa straordinaria sulle società elettriche, il sensibile taglio alle spese per difesa e sicurezza, lo stop agli investimenti infrastrutturali materiali e digitali. Per il Paese che dovrebbe trainare l’Europa economicamente e politicamente, insomma, un feticcio conquistato con provvedimenti una tantum e a caro prezzo. Perché se, come ha sottolineato Merkel di recente, il governo di Berlino sente giustamente “il dovere di non lasciare alle future generazioni una montagna di debiti”, dovrebbe anche preoccuparsi di non lasciare alle stesse future generazioni un Paese debole e indifeso, arre-

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trato e destinato a perdere competitività e benessere. Una perdita di competitività che, al momento, sta già emergendo sul fronte delle esportazioni. A ottobre, le esportazioni tedesche sono calate del 2,1% rispetto a settembre (dopo due risultati mensili consecutivi leggermente negativi) e la produzione industriale ha perso lo 0,1%. Non a caso, l’incremento del Pil è merito soprattutto del buon avvio di 2014: la crescita nel secondo trimestre è stata negativa, nel terzo a malapena positiva e nel quarto soltanto dello 0,25%. Quando si fermano le esportazioni, autentico motore dell’economia tedesca, in Germania si ferma un poco tutto. E la crisi russo-ucraina ha assestato una mazzata all’export teutonico calcolata in sette miliardi di euro. Quanto alla potenza economica della Germania, vanno sottolineati alcuni punti di debolezza non indifferenti. Prima di tutto, il rapporto spesa privata/Pil: in Germania è il più alto d’Europa. I consumi sono da tempo superiori alla produzione di beni e servizi e l’indebitamento privato aumenta. E’ la conseguenza di scelte politiche che risalgono al 2002 - destinate a ridurre il rapporto debito pubblico/Pil della Germania, che ricevette un simpatizzante via libera in seguito non concesso da Berlino ad altri partner, attraverso l’abbassamento dei salari con nuovi contratti di lavoro (cancelliere il


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socialdemocratico Gerhard Schroeder) - che hanno incrementato la competitività del Paese rispetto agli altri membri dell’Unione e posto le basi per un boom delle esportazioni tedesche all’interno dell’Eurozona. Ma hanno creato qualcosa come sei milioni di lavoratori con redditi inferiori alla soglia della povertà. Se la stessa politica di compressione dei consumi interni a favore delle esportazioni fosse stata attuata in tutta l’Unione europea, la crisi sarebbe scoppiata già nel 2004. Il flusso positivo del commercio internazionale tedesco è stato sostenuto, ancor più dei provvedimenti governativi, dal cambio congelato ai livelli del ’99 che ha ridotto (fino, talvolta, ad annullare) la competitività di diversi Paesi. Per fare un esempio, la stessa Grecia avrà tante colpe politiche, ma prima di adottare l’euro contava su export agricolo (nell’Europa centro-orientale) e industriale (nel Medio oriente e in Nord Africa) ed era il cantiere navale dell’est del Mediterraneo. Tutto azzerato dall’euro forte. E’ dubbio che Atene abbia ricevuto pari compensi dall’adesione alla moneta unica. Infine, last but not least, la Germania non ha favorito le nascite, così da ottenere un forte scompenso demografico in grado di tenere sotto controllo la disoccupazione: una gravissima miopia politica, che apre la strada al devastante fenomeno della “sostituzione” della popolazione autoctona nel giro di poche generazioni. Eppure, a Berlino procedono come se nulla fosse successo dal 2007, e soprattutto dal 2011, a oggi. Lo dimostrano le difficoltà che sta riscontrando il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, nei suoi tentativi di combattere

una crisi che mette a rischio non solo la casa comune europea ma anche la tenuta di interi Stati sovrani. Perfino dopo la promozione della Corte europea di giustizia - mirata ad aprire la strada al piano anti-crisi della Bce, eliminando ogni ragione (o, meglio, pretesto) giuridico ed economico sulla strada di una politica monetaria finalmente non convenzionale ed espansiva – non sono arrivate aperture concrete dal governo di Berlino e dai rappresentanti della banca centrale tedesca nel consiglio della Bce. Per la Germania la Bce deve rimanere ancorata al suo asfittico mandato di garantire la stabilità dei prezzi, una eredità della Bundesbank (legata alla storia tedesca di ripetute iper-inflazioni) che, mentre la deflazione avanza in buona parte d’Europa, appare quanto meno paradossale, se non suicida. Draghi ha spiegato - prima di tutto alla cancelliera Merkel e al presidente della Bundesbank, Jens Weidmann - che il suo programma punta a combattere la deflazione (e, quindi, permettendo l’aumento dei tassi, ora intorno allo zero, favorirebbe prima di tutto i risparmiatori tedeschi) e a fornire ai governi le munizioni per la crescita. Quanto a eventuali

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perdite della Bce, finora la Banca centrale europea ha accumulato solo guadagni, distribuiti ai diversi Paesi, Germania in testa, secondo il loro impegno finanziario. Purtroppo, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. E, nella pratica, il muro innalzato dalla Germania - e da qualche staterello suo ascaro di turno sembra destinato a fare ancora danni, a meno di qualche shock politico. E’ arrivata l’ora di domandarsi perché mai la stragrande maggioranza dei Paesi europei dovrebbe uscire dall’area della moneta unica per obbedire a trattati vecchi di lustri? Né sembra comprensibile la soluzione delle monete a diversa velocità, destinata a istituzionalizzare la divisione dell’Eurozona in serie A e B e forse C. Piuttosto una strada percorribile sarebbe che i “primi della classe” e qualche loro ascaro fedele escano da una casa che va loro stretta. Perché l’Europa unita (che andrebbe in frantumi, purtroppo, assieme alla moneta unica, sia pure realizzata in maniera dissennata) è più importante dei singoli membri. Perfino della Germania.


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IL MINISTRO MARTINA

DUE MILIARDI ALL’AGRICOLTURA Sandro Neri*

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re piani di governo in primo piano e, sullo sfondo, la grande partita dell’Expo 2015. È una mano tesa e, insieme, una sfida agli imprenditori quella del ministro alle Politiche agricole, Maurizio Martina. «Ci sono strumenti per accompagnare investimenti e imprese - dice - chi vuole investire nei settori agricolo e agroalimentare ora può farlo. Quindi si faccia avanti». Martina presenta così il piano del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali espressamente nato per «accompagnare le imprese nel futuro». Sul tavolo, oltre 2 miliardi di euro per il triennio 2015-2017 e otto diversi strumenti messi in campo per promuovere gli investimenti. «È la prima volta - precisa che il ministero vara un piano pluriennale con questa specifica finalità, coinvolgendo anche i due enti controllati Isa e Ismea». Un settore che marcia anche in tempo di crisi (+1,5 per cento gli occupati nel terzo trimestre rispetto allo scorso anno e +1,8

per cento l’export, per un valore di oltre 34 miliardi a chiusura 2014) e con la prospettiva di essere protagonista nei prossimi mesi all’Expo di Milano, dove i temi della nutrizione e della sicurezza alimentare saranno i cardini della kermesse, offrendo una vetrina

internazionale alle eccellenze del Made in Italy. «Siamo di fronte a un evento che dice molto di noi - osserva il ministro - e che sarà l’occasione per rappresentare uno dei nostri punti di forza più importanti: l’esperienza agroalimentare italiana, non solo per i suoi numeri importantissimi, ma anche per la sua straordinaria attualità, le sue

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competenze, il suo saper fare». Far crescere l’export del 50 per cento in sei anni è l’obiettivo dell’impegno messo in campo dal governo in vista dell’appuntamento del maggio 2015 e, già da ora, con i tre piani di azione e sostegno economico orchestrati dal ministero delle Politiche agricole per consentire un salto di qualità al settore. Dal piano per la competitività e a favore dell’imprenditoria giovanile «#campolibero», a quello per la semplificazione «Agricoltura 2.0» (che prevede un dimezzamento delle pratiche burocratiche per oltre 1,5 milioni di aziende agricole), fino alle misure per promuovere nuovi investimenti del valore di 2 miliardi di euro nel prossimo triennio. «In campo ci sono 8 strumenti idonei per accompagnare le imprese nel futuro e questo piano è la dimostrazione che è possibile investire nel settore agricolo e agroalimentare. Vogliamo dare un segnale forte alle imprese, in un momento di mercato difficile e con problemi anche sul fronte del credito.


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Puntiamo su queste risorse per dare un’iniezione di fiducia al sistema, far nascere start-up, creare nuova occupazione e contribuire al rilancio e alla competitività, anche internazionale». Ministro, 2 miliardi sono tanti. Dove troverete le risorse? «E’ la somma complessiva fra pubblico e privato attivabile già oggi dalle due società controllate, Isa e Ismea. E’ evidente che ad ogni euro stanziato dallo Stato per questo piano ne corrisponde almeno un altro ad opera dei privati. Lo Stato non ha nessuna intenzione di farsi imprenditore. Interviene a titolo di garanzia o di supporto per un tempo limitato». Cosa vi rende così sicuri che i privati investiranno così tanto? «Il piano, frutto di circa tre mesi di lavoro, è stato messo a punto vagliando le operazioni effettuate dalle imprese negli ultimi tre anni con Isa e Ismea. Il calcolo preciso, carte alla mano, ci ha portato a prevedere una cifra prudenziale di 2.201 milioni di euro, che diventano 2.550 se calcoliamo il potenziale. Il nostro intervento deve contribuire al rilancio e alla competitività del paese. Con un occhio particolare ai giovani. Quelli già impegnati nel settore e quelli che guardano con interesse all’agricoltura e alle sue potenzialità». Di qui i contributi per le startup. «Sì, è uno degli otto strumenti del piano. Prevediamo un contributo fino a 40.000 euro per l’abbattimento dei tassi

d’interesse sul leasing in caso di acquisto di aziende agricole da parte di giovani under 40. Stimiamo investimenti per 183 milioni di euro». Gli strumenti su cui puntate di più? «Il fondo di garanzia prima richiesta. Copre fino al 70% dell’importo finanziato dalle banche e dovrebbe portare a nuovi investimenti per 510 milioni. Poi l’equity a condizione di mercato, cioè l’assunzione di quote di capitale e finanziamenti a medio-lungo termine. Lo Stato entra come socio di minoranza per garantire l’operazione progettata dall’impresa e ne esce entro il settimo anno, a risultato raggiunto». Quanto vale, oggi, il sistema agroalimentare italiano? «Vale il 17 per cento del Pil nazionale. Il governo è impegnato a far crescere ancora questo comparto perché lo riteniamo vitale per l’economia del nostro Paese. “Campolibero“, il pacchetto di misure che abbiamo trasformato in legge ad agosto, prevede azioni decisive per il lavoro giovanile e la competitività delle nostre imprese. Ed è in questo contesto che va inquadrato il nuovo piano di interventi. Coinvolgendo due enti controllati dal Ministero delle Politiche agricole, Ismea e Isa, vogliamo sfruttare la leva pubblica come moltiplicatore di quella privata. Ora, però, tocca anche agli imprenditori rispondere all’appello». *Caporedattore del Giorno

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EXPO 2015/1

CINA, GRANDE INTERESSE Giuliano Noci*

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a Cina è probabilmente - dopo l’Italia - il Paese che meglio conosce e più si interessa all’Expo di Milano. I cinesi lo hanno dimostrato soprattutto nei fatti, avendo investito in ben 3 padiglioni. Se si considera che la Cina è oggi la seconda economia del mondo (presto sarà la prima) e rappresenta la più grande popolazione turistica del pianeta è evidente che non possiamo lasciarci sfuggire l’occasione di avere con l’Esposizione Universale un vero e proprio faro puntato sul nostro paese. Nei confronti dell’Italia - non dimentichiamolo - i cinesi vantano un pregiudizio positivo, riconoscendoci il prestigio di una storia millenaria, ma nel contempo lamentando una conoscenza insufficiente e parziale che dipende anche da noi. L’Italia ha infatti finora seguito, anche in Cina, una logica di promozione turistica frammentaria: il particolarismo del campanile, prima di tutto. Mentre la domanda turistica locale va alla ricerca di esperienze di viaggio integrate e ben al di là degli striminziti confini amministrativi delle nostre province. Un approccio del tutto insufficiente, a ben vedere lo stesso che - se passiamo dal turismo alla dimensione industriale - ci ha portato ad adottare in Cina gli stessi moduli di promozione commerciale da noi sperimentati negli ultimi decenni in Occidente. Mentre poiché Expo rappresenterà - per numerosissime delegazioni ufficiali (industriali e non) cinesi -, un’attrattiva straordinaria, il sistema Italia deve saperne intercettare i flussi, capirne i bisogni utilizzando anche i distretti italiani come piatta-

forma rappresentativa dell’eccellenza italiana. Portando queste delegazioni non soltanto in Expo ma anche sui territori perché si apprezzino i nostri

ICE, tra gli altri, hanno intrapreso, a questo riguardo, una strada decisamente promettente; Regione Lombardia si appresta ad avviare uno “Spazio Regione

Il padiglione della Cina

prodotti/processi e se possibile si sottoscrivano contratti. Il Ministero degli Affari Esteri, con Camera di Commercio di Milano, Promos e Agenzia

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diffuso”, che vivrà sui territori nella prospettiva della valorizzazione – in una prospettiva B2B - delle eccellenze industriali locali. Occorre proseguire


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per fare del “pretesto Expo” l’occasione per “mettere luce” sui nostri territori. In questa prospettiva, il tempo che ancora ci separa dal sipario su Expo

può ancora contribuire a realizzare un grande progetto di promo-commercializzazione del brand Italia verso la Cina. Expo-Milano deve pertanto rappre-

sentare la leva per affermare una logica nuova di valorizzazione dei nostri giacimenti (turistici, culturali e anche industriali). Occorre immaginare e puntare su di una sorta di gemellaggio tra i due Paesi (Milano e Shanghai sono già città gemellate), capitalizzando sull’idea di un passaggio di consegne tra i due grandi eventi e sul positivo pregiudizio cinese, che abbiamo richiamato, per ottenere quei risultati importanti di cui abbiamo un dannato bisogno. In questa prospettiva - dove la parola crisi deve diventare per noi sinonimo di cambiamento strutturale e crescita - , per quanto riguarda ad esempio il turismo, è fondamentale progettare e promuovere esperienze di viaggio (e non singole destinazioni) utilizzando i social network cinesi (straordinariamente rilevanti nelle decisioni di acquisto dei cinesi ma anche profondamente diversi da quelli occidentali); allo stesso tempo occorre ren-

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dersi conto che la Cina – quella che guarda a noi, al brand Italia che noi non sfruttiamo, ma che l’Impero di mezzo ammira - non si ferma a Pechino e Shanghai; la nostra promozione turistica (con tutte le sue leve, anche quelle tradizionali) deve pertanto guardare anche a Chengdu (11 Milioni di persone) e Chongqing (megalopoli di 35 milioni di abitanti) dove vi è forte capacità di spesa e non vi è ancora un affollamento competitivo come nelle città “first tier”. È necessario infine che la nostra offerta turistica e culturale tenga conto delle esigenze specifiche dei cinesi: cibo Chinese-friendly, wifi ovunque e scritte in cinese sono priorità irrinunciabili per quei territori che ambiscano ad attrarre in misura significativa i turisti cinesi; del resto tutto questo accade già nelle vicine Svizzera, Francia e Germania. In questo, Explora rappresenta una risorsa di energie e competenze impegnate nella promozione di una nuova cultura e consapevolezza del turismo che cambia, un potente sensibilizzatore verso la necessità di fare sistema e squadra in tema di turismo. Insomma, se la Cina è sicuramente lontana da un punto di vista geografico e culturale, grazie ad Expo potremmo avvicinare almeno economicamente i due Paesi: troppa è ancora la distanza che separa noi dalla Germania in termini entrate commerciali dalla Cina. Non ce lo meritiamo.

*Presidente Explora e Prorettore del Politecnico di Milano


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EXPO 2015/2

UN NUOVO MADE IN ITALY

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n questi giorni la stampa ha giustamente dato grande enfasi al “tutto esaurito” registrato nei Padiglioni di Expo. Un indubbio successo, che rende merito al lavoro fin qui svolto dal Commissario Sala e dal suo team. La nuova sfida diventa allora quella di fare in modo che l’organizzazione dell’Esposizione Universale generi ricadute importanti e permanenti per l’intero Paese. Per quanto riguarda le infrastrutture siamo probabilmente sulla strada buona: l’Expo ha infatti contribuito ad imprimere un’accelerazione importante ad opere cruciali per la competitività delle nostre imprese (e non solo). Ma un fronte rimane, a mio avviso, ancora aperto e deve essere indirizzato al più presto non solo se vogliamo massimizzare i benefici conseguenti all’organizzazione dell’esposizione universale: quello del rilancio della filiera turistico-culturale della Lombardia e dell’Italia intera. Se vogliamo, con un’operazione di sistema, offrire una piattaforma alla stessa Expo e fare di Expo la leva temporale per un salto di qualità strutturale all’offerta di un Made in Italy che unisca il paesaggio dei beni culturali ai tratti distintivi dello stile di vita italiano. E Perché? In primo luogo, per la rileGiuliano Noci vanza economica del segmento turistico-culturale: questa incide complessivamente per oltre il 15% del PIL nonostante, nell’ultimo decennio, gli introiti turistici di pertinenza dell’Italia (rispetto al resto del mondo) siano passati dal 5,8% al 4,1% a fronte di una domanda che è quasi raddoppiata (oltre 800 miliardi di Euro). In seconda battuta, perché il nostro Paese, con tutto il suo patrimonio naturale e culturale (direi unico al mondo), è davvero poco conosciuto soprattutto dai nuovi turisti, quelli dei paesi emergenti, che sono però anche quelli più interessanti in chiave prospettica. Da queste premesse deriva dunque un messaggio chiaro:

Expo deve rappresentare l’occasione per porre al centro dell’agenda strategica del Paese il tema del turismo, della cultura e del loro indotto. Anche perché proprio da qui passa l’auspicata ripresa della nostra economia. Che cosa fare per raggiungere l’obiettivo? Occorre lanciare un grande progetto di racconto dell’Italia ma in una prospettiva completamente nuova, lungo tre direttrici. La prima: informazione e promozione digitale (soprattutto attraverso i social network, andando oltre la semplice rappresentazione autoreferenziale su sito web). Con Internet la domanda di turismo è cambiata molto: una recentissima ricerca di Google evidenzia come il 68% degli individui consulti la rete prima di decidere dove andare; mentre il 61% considera Internet la principale sorgente di ispirazione (contro il 30% di TV e stampa) e nell’80% dei casi la pianificazione di dettaglio di un viaggio viene ormai decisa on line. La seconda direttrice è quella della promozione di una nuova offerta, che superi il concetto di destinazione (tanto caro a una parte della politica) e privilegi invece quello di esperienza di viaggio. Se vogliamo attrarre turisti verso l’Italia dobbiamo organizzare una (nuova e articolata) proposta che risponda alle motivazioni che stanno alla base della scelta di un viaggio: insomma corrispondere a interessi è più convincente e attrattivo rispetto alla tradizionale proposta di uno specifico territorio. E a questo riguardo abbiamo grandi opportunità, in grado di esaltare proprio le specificità italiane e il tema di Expo: richiamo solo, tra i tanti, due dati. Il 31% delle ricerche online dedicate all’Italia riguarda beni e temi culturali; l’ambito dell’eno-gastronomia e della cultura sono quelli in grado di generare il maggior valore aggiunto nella presenza turistica (rispettivamente 120 Euro e 105 Euro contro gli 84 Euro generati dal turismo balneare). Immediate le con-

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seguenze: il binomio cultura-turismo e la valorizzazione dei territori, in relazione al loro potenziale eno-gastronomico, sono tra gli elementi chiave della nuova comunicazione digitale. La terza ma non meno importante dimensione del cambiamento riguarda il format del racconto; un format, che deve saper combinare informazioni pratiche (servizi, logistica e sicurezza) e una narrativa quasi cinematografica, epica: in grado di creare nel potenziale turista una vera e propria esperienza di anticipazione. Si tratta di un bel cambiamento ma che, a mio modesto avviso, merita di essere cavalcato. Otterremmo infatti numerosi risultati. Promozione di un’Italia che va al di là dei “soliti noti” e crescita economica. Basti pensare che una recentissima ricerca di Oxford Economics ci dice che investendo

online in modo intelligente sulla qualità della nostra proposta, e veicolando un’offerta attrattiva, potremmo creare non meno di 250.000 posti di lavoro con una crescita del PIL dell’1%. Se volessimo poi intervenire sulla attuale frammentazione del nostro sistema ricettivo (incentivando la creazione di poli integrati – dal punto di vista della proposta commerciale) e finalmente capaci di affermare una gestione moderna e manageriale dei poli museali e archeologici (dove le best practice ci dicono che per ogni euro ben investito ne possono tornare 18) saremmo probabilmente in grado di creare almeno un altro mezzo milione di nuovi occupati. Ah dimenticavo: in tutto questo, saremmo probabilmente in grado di raggiungere gli obbiettivi di attrazione di visitatori stranieri che il sistema Italia si attende in relazione a Expo. G.N.

IL CALENDARIO DEGLI EVENTI

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'ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ricevendo al Quirinale ai primi di gennaio il presidente della Commissione di Coordinamento per le attività connesse all’Expo 2015, nel commentare i ritardi nel tabellino di marcia disse: «Ci abbiamo messo la faccia, dobbiamo riuscirci...». Ad essere preoccupati, alla vigilia, non sono solo coloro che devono portare a termine la realizzazione delle strutture dei vari padiglioni ma anche gli operatori turistici in allarme per i ritardi sulla stesura del programma di eventi. «A pochi mesi dall’inizio della manifestazione — dice ad esempio Gerlando Sajeva, titolare della Jaktravel, società specializzata in turismo incoming e in grandi eventi, abituata a movimentare oltre 130.000 persone al mese verso il nostro Paese — non c’era un calendario degli eventi programmati, e parliamo di circa 7000 appuntamenti. Cosa che, ovviamente, ha comportato gravi problemi nella vendita dei pacchetti turistici alle persone provenienti dai Paesi cosiddetti a lungo raggio come Stati Uniti, Sud America e Cina. L’unico evento confermato da settembre 2014 in effetti, con tanto di date già fissate dalla compagnia, era Le Cirque du Soleil. Un po’ poco. Non abbiamo potuto programmare nè vendere pacchetti perchè la programmazione si basa sugli eventi. L’unica cosa che si vendeva e si vende sono i biglietti, ma li comprano le istituzioni e da certi operatori, che poi vengono venduti ad altri. Una sorta di circolo vizioso, perché — commenta — nessuno vuol tenere in mano la patata bollente». Ma l’ospitalità almeno è adeguata? «Milano ha capacità di 500.000 posti letto, fatto positivo, ma chi verrà da lontano per Expo, non si fermerà solo a Milano, dovrebbe creare indotto all’economia turistica di tutta l’Italia». Insomma il principio della visita all’Expo per poi viaggiare nel Bel Paese, sulla base del quale si sono stimati importanti incassi per gli operatori dell’accoglienza e del turismo, sarebbe stato paralizzato dalla mancanza del calendario degli eventi? «Sì, è proprio così. Abbiamo fatto investimenti in tecnologia — spiega l’imprenditore — per essere pronti a dare servizi innovativi ai visitatori che verranno all’Expo con noi, dalle applicazioni e i supporti mobili/tablet per seguire i percorsi di terra e acqua ad un ingente quantitativo di ‘Google Glasses’ per godersi l’evento. Ma a chi li vendiamo senza un programma degli eventi?».

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I NODI SONO GIUNTI AL PETTINE

ALLACCIARE LE CINTURE Alberto Mazzuca

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orse è il caso di annunciare: turdunque si tratta pur sempre di occubolenze in vista, allacciare le pazione subordinata, anziché di partite cinture. Anzi, senza forse. Si Iva, e con il tempo si consolida e dodeve stare all’erta dopo il periodo con vrebbe dare delle posizioni permail pilota automatico inserito nei mernenti. Per questi ultimi lavoratori docati nell’ultima parte del 2014 in vrebbe essere più facile ottenere un quanto un po’ tutti volevano finire secredito in banca. L’Italia ha quindi renamente l’anno, anche se già allora messo in moto il modesto motore di il prezzo del petrolio faceva vedere i stimolo di cui dispone, ora speriamo sorci verdi a numerosi paesi produttori che abbia effetto». e l’Europa continuava a navigare a viL’Italia, insomma, è sempre nei guai sta senza alcun piano credibile di rinonostante la mitraglia di annunci e lancio. Ma con l’inizio del 2015 ecco di promesse da parte del premier scoppiare il saliscendi delle Borse. MoRenzi. Sguazziamo sempre nella stativo? I nodi sono giunti al pettine. I gnazione con la nostra crescita pari a nodi politici, economici, monetari ac“zero virgola” (0,5% si dice ma è tutto cumulati in questi ultimi anni. da vedere) e con la disoccupazione al Partiamo dall’Italia. Qui i nodi sono 13,4% (al 5,8% negli davvero robusti. E che lo siano è sufStati Uniti e al ficiente riportare una frase di Mario 6,5% in GerDeaglio, docente di economica mania); abinternazionale all’università di biamo spreTorino, pronunciata in un’incato i sei tervista ad un giornale on line, mesi di il sussidiario.net. Cosa ha detto presidenza Deaglio a Pietro Vernizzi a proposito di quel che dovrebbe fare il governo italiano? Quanto segue: «Abbiamo fatto quasi tutto quello che si poteva fare e che era comunque limitato. Ora non ci resta che aspettare e pregare che le cose vadano bene». Aspettare e pregare, proprio un bell’inizio 2015… E chiarisce Deaglio: «Con il Jobs Act c’è una convenienza a trasformare l’occupazione precaria in una di tipo permanente ma con le tutele Alexis Tsipras crescenti. Nella prima fase

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italiana dell’Unione europea (sprecato soprattutto rispetto alle aspettative pompate con poco buon senso da Roma); ci troviamo di fronte ad un malcontento crescente verso una classe politica molto modesta tanto da convincere più del 40% degli italiani a non andare a votare; abbiamo in mano pochi risultati e quel poco che è stato fatto non ha cambiato il quadro interno, anzi, a volte il governo si è mosso in maniera maldestra come il tentativo della norma salva-evasori quando siamo il paese più corrotto d’Europa e tra i primi nell’evasione fiscale. Si potrebbe continuare nell’elenco, dalla “rottamazione” che si è inceppata da qualche parte alla specie di “inciucio” che prende il nome di “patto del Nazareno”. Ed ora c’è l’elezione del nuovo capo dello Stato. È una partita che ha subito scatenato gli uomini di potere nei loro giochetti per spingere in alto un nome o per bruciarne un altro. Ogni giornale fa il suo inutile toto-nomine sul successore di Giorgio Napolitano, candidati perbene e candidati che dovrebbero quanto meno arrossire (meglio, dovrebbero arrossire coloro che li propongono), candidati preferiti solo perché fanno il gioco dell’uno più che dell’altro e candidati bocciati a causa di vec-


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chi rancori. Noi preferiamo tenerci fuori, vorremmo solo un capo dello Stato che pensasse al bene dell’Italia. La vicenda italiana del nuovo presidente della Repubblica s’intreccia in qualche modo con altri due nodi altrettanto robusti che riguardano l’Europa e quindi anche noi. La Grecia da un lato, la Bce, cioè la banca centrale europea, dall’altro. E questo in un momento di completa distorsione dei mercati dal momento che, spiegano gli analisti finanziari, i paesi più ricchi del mondo si stanno finanziando gratis e forse ci guadagnano. Come? Emettono debito e custodiscono i soldi di chi lo compra accettando tassi negativi. Possibile? È possibile. Per la prima volta da sempre i rendimenti del decennale di Usa, Giappone e Germania sono scesi sotto l’1%. E questo significa che gli investitori hanno paura del futuro e si rivolgono verso i beni rifu-

gio. La Grecia rappresenta, sostiene Luigi Campiglio, professore di politica economica alla Cattolica di Milano, «il nuovo disastro targato Germania», il disastro di una politica di austerità voluta vigorosamente dai tedeschi e appoggiata con i paraocchi dai tecnocrati della Ue e della Bce. La crisi greca solleva il tema dell’indebitamento che grava su buona parte dell’Europa e che non è diminuito con l’austerità: i debiti della Grecia sono il 175% del Pil, l’Italia è al 134%, Francia e Spagna sono vicini al giro di boa del 100% già superato da Belgio e Portogallo. E dimostra quindi che l’Europa, l’Italia, tutti noi, abbiamo buttato via cinque anni di sacrifici dal momento che ci ritroviamo al punto di partenza: dopo essere già intervenuti nel salvataggio di Atene (ma allora i soldi erano serviti per salvare i bilanci delle banche tede-

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sche e francesi, piene zeppe di quell’immondizia ellenica che a loro serviva per speculare e guadagnare), c’è ora di nuovo il rischio che la Grecia diventi l’Argentina d’Europa, vada cioè in default nel caso in cui venga lasciata al suo destino. In un primo tempo i tedeschi (Bundesbank in testa ma anche un ascoltato consigliere della Merkel) hanno detto tranquillamente che la Grecia poteva anche uscire dall’euro in quanto pesa a malapena per l’1% del Pil dell’eurozona. Un anello debole che poteva essere tagliato. Poi hanno fatto marcia indietro quando hanno fatto un po’ di calcoli. Meglio, quando li ha fatti Jens Boysen-Hogrefe del Kiel Institute for the World Economy: se si arrivasse ad una ristrutturazione del debito greco come la chiede Alexis Tsipras (ovvero un taglio che porti il rapporto debito-Pil dall’attuale 175% al 90%), la Germania pagherebbe un


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Mario Draghi

prezzo molto alto, circa 40 miliardi di euro. Ma se la Grecia dovesse uscire dall’euro diventando di fatto insolvente, il costo sarebbe ancora più salato per le casse tedesche, più o meno 76 miliardi di euro. Si arriverà quindi ad un compromesso tra Bruxelles e Atene. C’è poi Francoforte, cioè la banca centrale europea. L’eurozona è da dicembre in deflazione. Quindi Mario Draghi ha la giustificazione per non preoccuparsi della resistenza della Bundesbank e varare la sua politica di stimolo monetario per acquistare bond sovrani. La giustificazione di Draghi è che la Bce ha come obiettivo di stabilità un livello di inflazione inferiore ma vicina al 2%, l’opposizione di Jens Weidmann & soci è che il calo del prezzo del petrolio è già sufficiente per avviare la ripresa. Tesi da condividere la prima, tesi da condividere solo in parte la seconda: un prezzo del petrolio basso è molto utile per la nostra politica energetica ma non sufficiente

per mettere in moto quella ripresa che da anni inseguiamo. Si tratta ora di capire quanto può essere questo stimolo monetario (il Qe, Quantitative easing, in pratica un paracadute), già attuato dalla Fed americana e dalla Bank of Japan. Secondo le banche d’affari, l’importo annuale è tra i 180 e i 360 miliardi di euro ma potrebbe essere anche di 500 miliardi. E oltre l’importo, si tratta anche di vedere come sarà attuato operativamente, le ipotesi sono diverse. La più efficace quella che vede la Bce comprare bond sovrani. È un puzzle comunque molto complicato: vari economisti sono dell’idea che il Qe della Bce, pur non essendo inutile, abbia poche speranze di successo, quanto meno abbia un effetto molto modesto dal momento che il nostro sistema è bancocentrico. E molte banche sono ancora convalescenti. A rendere il puzzle ancora più complesso s’innestano poi alcune variabili non proprio secondarie: la Russia si è svenata per soste-

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nere la caduta del rublo e va incontro a problemi molto seri nel caso in cui il petrolio scendesse a 45 dollari il barile (già con il prezzo a 60 dollari è previsto una calo del Pil superiore al 4%); in Giappone la cosiddetta “Abenomics”, cioè la politica di stimolo monetario, non si dimostra efficace ed è un guaio perché di fatto la banca centrale nipponica ha iniziato il suo Qe dal 2001; a metà dell’anno la Fed americana dovrebbe aumentare i tassi di interesse dopo ben tre cicli di Qe che hanno comunque dato vigoria all’economia reale Usa. E la Ue non ha un piano efficace per stimolare la ripresa, quello di Juncker si limita a distribuire risorse già esistenti che dovrebbero creare un effetto leva impensabile per molti ma non per i tecnici di Bruxelles. Insomma, ci sono troppe palle in alto che girano più o meno vorticosamente. C’è il rischio che qualcuna cada prima o poi. Quindi è bene tenere allacciate le cinture.

Matteo Renzi


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IL GIACIMENTO MEDITERRANEO

CIPRO, NON SOLO GAS Salvatore Giuffrida

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er Cipro sembra giunto il momento di ripensare finalmente alla crescita. Intendiamoci, la crisi del 2013 e l’imposizione da parte dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale dell’umiliante piano di salvataggio, comprensivo di prelievo forzoso sui conti correnti interni, sono tutt’altro che assorbite. Le opere pubbliche rimangono ferme per mancanza di fondi e la crescita del debito pubblico non è destinata ad arrestarsi a breve: nel 2014 ha sfondato

quota 122% sul Pil e le stime per il 2015 prevedono un’ulteriore crescita fino al 126,4%. Continuano a preoccupare anche i dati microeconomici: nel 2011 le famiglie a rischio povertà erano l’11,7% del totale, ora superano il 16% e il tasso di disoccupazione, adesso intorno al 19%, è previsto che scenderà alla fine di quest’anno solo di pochi decimi di punti, al 18,4%. Ma a Nicosia l’economia sta lentamente rimettendosi in moto e il centro della capitale cipriota torna ad ani-

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marsi di consumatori locali e soprattutto di turisti. Non è un caso. Per riprendersi, il Paese si sta specializzando verso i servizi e il turismo che, sia pure leggermente, è in aumento: nei primi dieci mesi del 2014, i turisti sono stati 2,302 milioni, segnando un incremento dell’1,5% sullo stesso periodo del 2013. La capacità ricettiva dell’isola si sta rafforzando soprattutto in località già a vocazione turistica come Limassol e Paphos. Nella prima, la zona del porto è stata ampliata con altre strut-


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ture commerciali, nella seconda si punta sul nuovo aeroporto e sul turismo d’avventura. Certo, la convalescenza ha bisogno ancora di tempo per ultimarsi e la crisi fa ancora sentire i suoi effetti, in particolare sulla domanda interna, che non decolla, evidenziata dalla deflazione. Rispettare l’accordo con la troika, che mira a ripristinare la stabilità e a ottenere un surplus del 4% del Pil entro il 2018, sembra, però, a portata di mano: Nicosia è determinata a perseguirne la piena applicazione nei conti pubblici, nel settore bancario, nelle riforme strutturali. Per i primi mesi di quest’anno è prevista, così, una leggera inversione di tendenza nella crescita e Bruxelles stima per il 2015 un +0,9% del Pil, poco ma significativo. Nonostante il fallimento della National Bank e il ridimensionamento del settore creditizio, Cipro rimane un centro imprenditoriale internazionale di alto livello qualitativo, con un sistema fiscale favorevole agli investitori. Il governo vuole mantenere questi fattori e per la prima volta, dopo oltre tre anni, Cipro è di nuovo in grado di coprire le sue necessità di finanziamento sui mercati internazionali al punto che, spiega il presidente della repubblica, Nicos Anastasiades, «Cipro rimane una destinazione attrattiva per gli investitori stranieri con importanti vantaggi comparativi». Un appello rivolto pure alle imprese italiane. Anche a Cipro, infatti, Made in Italy e Italian sounding sono marchi vincente e l’Italia rimane il suo terzo partner: Nicosia compra dal Belpaese articoli di abbiglia-

mento, macchinari e prodotti alimentari, quasi il 9% dell’import totale, benché il calo in termini monetari sia costante: dai 670 milioni del 2011 ai 418 del 2013. La crisi fa il suo, ma su ambedue le sponde : gli investimenti diretti tricolore sono limitati, infatti, e non si registra una significativa presenza di imprese italiane nell’isola. Il rapporto commerciale tra i due Paesi può diventare, però, strutturalmente forte perché la crisi ha aperto nuove opportunità in settori come trasporto e magazzinaggio, miniere e cave, costruzioni e attività immobiliari, energia elettrica e servizi. E poi c’è il gas. Dopo la conclusione dei lavori di esplorazione, condotti dall’Eni, il 2015 appare come un anno cruciale : bisogna decidere come distribuirlo, concludere i lavori per lo stoccaggio e iniziare quelli di estrazione. Questi ultimi, oltre alla presenza dell’Eni che detiene l’area più estesa, potrebbero dare il via a un indotto economico nel quale le imprese italiane sono tra le più competitive al mondo. Insomma, il gas potrebbe rappresentare una svolta per Cipro. E pure per l’Italia. Piazza di Faneromeni, centro storico di Nicosia

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PORTE APERTE AGLI INVESTITORI

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’ufficio è ampio e luminoso, con un lungo divano Quali sono i punti di forza sui quali puntate e quali le debolezze sulle bianco appoggiato a una parete. È qui che ci accoquali intervenire? glie Giorgio Lakkotrypis, Ministro dello Sviluppo Non è un discorso puramente fiEconomico, giovane promettente della politica cipriota; nanziario. Per ogni opzione ci sta maneggiando con precisione una patata bollente sono punti negativi e punti posicome il gas. Interessate anche le pmi italiane, che devono tivi sotto ogni punto di vista. Il sopportare i costi più alti d’Europa: 198,8 euro ogni supporto della comunità intermille kw. Con il gas cipriota, i costi dovrebbero rinazionale è buono, ci aspettiamo dursi. che continui ancora più forte. Che cosa sta maturando sul fronte dell’estrazione del Non abbiamo limitazioni particogas a Cipro? lari, i lavori continuano, le violaCi sono numerose cose in ballo, al momento forse la zioni non ci distolgono dal lavoro. più importante è mandare il gas in Egitto al Violazioni? Si riferisce agli sconterminal di Lng, dove sarà lifinamenti della nave quefatto e quindi distriturca “Barbaros” buito in Europa. Bisogna in acque cirealizzare un gasdotto per priote? l’Egitto, e noi vorremmo anche avere un gasdotto L’instabilità della regione da e per Cipro per i nostri usi domestici. è un problema. Ciò Ad ogni modo tutte le opzioni sono sul che sta succampo, come il cedendo in gasdotto che Iraq e Siria parte da Cipro è un proe, passando per blema e Lakkotrypis Ministro Sviluppo Economico la Grecia, arquesto è il riva in Europa. motivo Che ruolo potrebbe avere l’Ue in questa strategia? per cui abbiamo preferito allacciare rapporto stretti con i Abbiamo chiesto il sostegno della Commissione europea nostri vicini, Libano, Giordania, Palestina, Israele, Egitto. anche per dare sicurezza all’approvvigionamento energeIl nostro obiettivo, attraverso queste alleanze, è di creare tico del continente. Insomma l’Ue non deve cercare alun’area stabile e sostenibile, per noi e per gli investitori trove la sua fonte energetica: ce l’ha in casa e questa casa stranieri. si chiama Cipro. S.G.

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L’HANDICAP ITALIANO

POLITICA ENERGETICA CERCASI Pietro Romano

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l ritorno a casa delle imprese, soprattutto industrie, delocalizzate all’estero è un fenomeno che interessa ormai l’intero mondo occidentale. Per indicarlo si utilizza, ovviamente, terminologia inglese e lo si definisce back reshoring (anche se sarebbe disponibile rilocalizzazione) e articoli e convegni dedicati al tema, negli ultimi tempi, non si contano. L’Italia, dopo gli Stati Uniti d’America, sarebbe il secondo Paese più interessato dal back reshoring, ma le dimensioni numeriche rimangono limitate rispetto al fenomeno inverso sviluppatosi negli scorsi lustri. E, per quanto riguarda gli sviluppi futuri, le opinioni sono divergenti. Gli economisti francesi sono ottimisti. Una ricerca pubblicata dal quotidiano parigino “Le Monde” sostiene che il combinato disposto di petrolio a basso prezzo, tassi d’interesse ridotti e svalutazione dell’euro è destinato a permettere all’Europa un forte vantaggio competitivo. Viceversa, sull’altra sponda della Manica non sono altrettanto ottimisti. Meglio, il loro ottimismo non vale per tutti i Paesi occidentali. In particolare, il “Financial Times” sostiene, in un articolo titolato “Cheap energy is the new cheap labour”, che la competitività soprattutto dell’industria manifatturiera si baserà più sull’energia conveniente che sulla manodopera a basso costo. Sicché la situazione non sarebbe uguale per tutti i Paesi occidentali. Una valutazione che mette automaticamente l’Italia tra i Paesi che rischiano di perdere ulteriori quote di competitività, se non in settori di nicchia. Un rischio che nemmeno l’apparentemente opposta lettura francese fuga, considerato che il petrolio a basso costo (vale a dire una fonte energetica più conveniente) è uno dei tre fattori di rilancio. Perché l’Italia da decenni non ha più una politica energetica e i suoi piani sono più che altro velleitari (e spesso costosi per famiglie, imprese, sistema Paese) manifesti ideologici, sui quali in qualche occasione ha anche aleggiato l’ombra degli interessi privati. In attesa di una decisa sterzata, per ora ancora attesa, a confermare le tesi più pessimistiche per il nostro Paese è arrivata l’annuale ricerca del Wec (World energy council) sul “trilemma energetico”: “2014 World Energy Trilemma Time to get real – the myths and realities of financing energy systems”. Questo trilemma si compone di tre diversi parametri: la sicurezza energetica, l’equità energetica e la sostenibilità ambientale, il Wec valuta come i diversi Paesi riescano a bilanciare

questi aspetti. I tre parametri del trilemma vogliono dare un’indicazione dello sviluppo energetico di un Paese seguendo il flusso dell’energia dalla produzione (o dall’approvvigionamento), passando per il consumo e considerando infine le esternalità correlate all’utilizzo di energia. Al giudizio complessivo contribuiscono poi (per il 25%) anche altri parametri che descrivono il contesto di un Paese dal punto di vista politico, sociale ed economico. Secondo il Wec, gli investimenti mondiali nel settore dell’energia saliranno dai 1.700 miliardi di dollari annui dal 2013 ai 2.500 miliardi di dollari, o più, del 2035. A patto che si vogliano rispettare gli obiettivi climatici e fornire energia

Pozzo petrolifero in Lucania

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a quel miliardo e 200 milioni di persone che oggi non ne dispone. Il Wec, quindi, ritiene necessari ben 48mila miliardi di dollari di investimenti nei prossimi venti anni, i capitali ci sono, ma perlopiù privati, e il Wec dà consigli su come sarebbe possibile sbloccarli. Nella classifica del “trilemma” l’Italia nel 2014 si posiziona al 29° posto assoluto, posizione peggiorata perfino rispetto al 27° posto del 2012 e al 28° posto nel 2013. A ognuno dei parametri del trilemma viene attribuito un voto all’americana: ABCD. Dove la lettera A indica un’ottima performance, la B una buona, la C una scarsa, la D una insufficiente. Per il nostro Paese viene giudicata ottima la sosteni-

bilità ambientale (A), buona l’equità energetica (B) e mediocre la sicurezza energetica (C). E ai primi posti della classifica? In cima alla graduatoria si conferma la Svizzera, prima assoluta al mondo nella sostenibilità ambientale e ben piazzata nelle altre categorie. La sua produzione elettrica è costituita da idroelettrico (52%), nucleare (42%), altre rinnovabili (4%) e da solo un 2% di fonti convenzionali. Un mix simile ha quindi ripercussioni praticamente nulle sull’ambiente. E, visto l’alto reddito pro capite, il costo dell’energia per gli utilizzatori finali è relativamente basso. Al secondo posto si piazza la Svezia che, rispetto allo scorso anno, scalza la Danimarca, scesa al 5° posto. Anche la Svezia può contare su una quasi assoluta autosufficienza dal punto di vista della generazione elettrica con il 45% da idroelettrico, il 39% da nucleare e il 13% da nuove rinnovabili, ma a causa dell’assenza di riserve di idrocarburi dipende dall’estero per le importazioni petrolifere e di gas. I prezzi dell’energia ai consumatori sono relativamente elevati ma comunque il Paese guadagna una tripla ‘A’ nel “trilemma”. Terza è la Norvegia, con due ‘A’ ed una ‘B’ per quanto riguarda la sicurezza energetica. Come sono piazzati invece i maggiori consumatori di energia? Gli Usa salgono di 3 posizioni rispetto allo scorso anno e si piazzano al 12° posto. Primi assoluti nell’equità energetica, visto il basso prezzo (in rapporto al reddito pro-capite) di energia elettrica e carburanti, ma posizionati molto male per quanto riguarda la sostenibilità ambientale (solo all’ 83° posto). La forte crescita in termini assoluti è dovuta all’ulteriore apprezzamento sul fronte della sicurezza energetica, dovuto alle enormi riserve di combustibili non convenzionali. La Cina si porta al 74° posto rispetto al 78° che occupava nel 2013: peggiora la sicurezza energetica, con l’approvvigionamento di energia fa fatica a stare al passo con la crescita economica, mentre stabile appare l’impatto ambientale e in forte miglioramento (20 posizioni) l’equità energetica. L’India risulta, invece, in peggioramento (al 122° posto assoluto): vanno male tutti gli indicatori del “trilemma”, in particolare la sostenibilità ambientale. Ma nel peggioramento registrato dall’India nel 2014 gioca soprattutto il detrimento dei tre fattori politico, economico e sociale.

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UNA STORIA ITALIANA

PRATO, IL FENOMENO CINESE Piero Gherardeschi

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ia Pistoiese a Prato e' una strada lunga e stretta che collega una delle Porte storiche della città alla periferia. Negli anni del "piccolo e' bello", slogan della Prato che funzionava, accanto alle abitazioni sorgevano piccole aziende in un labirinto di strade dove entravano a malapena i furgoni per recuperare pezze di stoffa lavorate. Ora quella Prato, simbolo anche di una immigrazione dal sud Italia, che l'aveva resa famosa negli anni Sessanta, non esiste più. Ora tutto parla cinese: non ci sono nemmeno le doppie scritte, previste dalla legge comunale, per far intendere a chi e' nato a Prato, di cosa si parla. Il popolo del Dragone in una ventina d'anni, ma soprattutto negli ultimi dieci, ha cambiato la geografia di una citta' precipitata rovinosamente nella classifica della qualità della vita. Il tutto frutto di una miscela fatta di politica falsamente buonista, dove porre un problema era solo razzismo, e dove il compiacimento di chi poteva pagare con pochi spiccioli gente che lavorava giorno e notte, era all'ordine del giorno. Tutto questo ha fatto si' che la Chinatown di Prato sia diventata, in rapporto al numero di abitanti,

la più grande d'Europa ingoiando quel "sistema Prato" che non ha saputo reagire come avrebbe dovuto. Il fenomeno cinese comincia un paio di decenni fa sulle ceneri della crisi del settore maglieria, ormai non più nella condizione di reggere i costi della manodopera rispetto ad altri Paesi emergenti. Ecco allora che dalla vicina San Donnino, un enclave alla periferia di

Firenze, si cominciano a spostare quei primi cinesi impiegati fino ad allora, a cucir borse e pelli e già abituati a maneggiare il "nero" nelle fatturazioni e a lavorare venti ore al giorno per un tozzo di pane. L'onda gialla comincia così a montare verso Prato, perché i cinesi capiscono subito il business del Pronto Moda. All'inizio degli anni Duemila il tessile vive la sua crisi peggiore: l'euro non

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aiuta l'export e il costo del lavoro e' una zavorra insopportabile per industrie tartassate dalle tasse. E' così che nasce e si sviluppa quel distretto parallelo che vive nel sommerso e che sfrutta la caduta da 5 a 3 miliardi del prodotto pratese: molte aziende sono costrette a chiudere i battenti, migliaia di posti di lavoro vanno in fumo e non saranno più recuperati, mentre la comunità cinese continua il suo viaggio nel mondo dell'industria locale, fagocitando tutto quello che incontra e trasformandolo in ricchezza da spedire esentasse in Cina. La tecnica di occupazione, cominciata con l'industria, prosegue con gli insediamenti civili. E' una tecnica semplice, prerogativa di coloro che si possono permettere di spendere senza problemi. Via Pistoiese diventa l'obiettivo di 'occupazione" della Chinatown: dapprima le abitazioni vengono acquistate a prezzI fuori mercato ai quali i pratesi non sono in grado di opporsi. Poi, una volta preso possesso di una parte del quartiere, il resto viene da solo. A prezzi, questa volta, stracciati. Perché per i pratesi in quegli insediamenti diventa impossibile vivere. Finisce così che la comunità cinese


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tocca le quarantamila unità. Cifra per difetto non del tutto certa perché costretta a fare i conti con quel misterioso numero di orientali clandestini obbligati a vivere in alloggi di fortuna dentro le aziende dove anche ora continuano a lavorare in uno stato di obiettiva schiavitù. Il business tocca, così, un giro di due miliardi di euro all'anno con un "sommerso" individuato nella metà del fatturato: il tutto combattuto dalle forze dell'ordine con molta buona volontà ma senza troppi mezzi a disposizione, nonostante il tentativo di arginare il fenomeno da parte dell'amministrazione di centrodestra, che ha guidato la citta' fino alla primavera della scorso anno. Ma il fenomeno Cina vive ancora la sua vita parallela a livello industriale e sociale. Con le sue regole e le sue cadenze, spesso dettate da una Mafia, che, silenziosa ma spietata, governa le attività economiche, evitando accuratamente il pericolo di contaminazioni con il sistema locale. Tanto per rendersi conto di come difficile possa essere anche un solo tentativo di integrazione, infatti, basta risalire alla assoluta mancanza di aziende, e se ne contano circa quattromila, iscritte alla Unione Industriale Pratese. Se la diffidenza dei pratesi e' andata crescendo, infatti, quella dei figli del Dragone non ha mai aperto a concessioni o alla possibilità di un dialogo. Solo i giovani, quei cinesi di seconda generazione nati a Prato, hanno cominciato un timido avvicinamento che ancora, co-

munque, non sa di dialogo vero e proprio. E' così che anche dai Palazzi del governo romano spesso si guarda al fenomeno di Prato solo quando esiste una emergenza vera: poco più di un anno fa nella zona industriale del Macrolotto sette cinesi sono morti bruciati nell'incendio di una fabbrica, nella quale lavoravano e vivevano. Ovviamente da clandestini. Il Governo un anno fa ha aperto un tavolo che ha partorito tante idee e solo qualche timido risultato. Aspettando, magari, una nuova emergenza per riconvocarlo, perché di buone intenzioni e' lastricata la strada che porta a Chinatown. Prato e il fenomeno cinese, insomma, assomigliano molto ad una classica storia italiana condita in salsa orientale: tanto buonismo immolato sull'altare di una accoglienza, soprattutto fra la fine degli anni Novanta e la prima metà del Duemila, senza controlli seri, accompagnata da interessi che per un po' sono stati coincidenti e conniventi. Quando la città ha aperto gli occhi su una realtà fatta molto spesso, per dirla con un eufemismo, di scarso rispetto delle regole, forse e' sembrato tardi per risolvere il problema in quattro e quatt'otto. E allora perché scandalizzarsi se quest'anno le insegne del Dragone, dopo un lungo periodo di esilio in periferia, si fonderanno con i luoghi storici della città durante il Capodanno cinese? Forse, questa, e' solo l'ultima ipocrisia che cade.

LA LEGALITÀ E I COMPAGNI DI PARTITO

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opo cinque anni di amministrazione di centrodestra, il Pd ha ripreso la guida del Comune di Prato. E così dopo Aldo Milone, l'assessore "sceriffo", che spesso da solo ha condotta la guerra alla illegalità cinese, la battaglia per il rispetto delle regole punta su una linea magari un po' più soft. Certo non verrà' ricordata come una grande uscita, quella del sindaco Matteo Biffoni, che in campagna elettorale aveva proposto di insegnare il cinese ai bimbi

pratesi che frequentavano la scuola dell'infanzia e le elementari. Per favorire l'integrazione. Si giustifico'. Un colpo d'ala Biffoni, renziano doc, ma magari non po' meno scafato dell'originale, l'ha dato in una polemica con il Governatore Rossi, il presidente che si fa fotografare con i nomadi vicini di casa. Rossi aveva

proposto di creare dei dormitori nella zona industriale di Prato per i cinesi così da sottrarli ai lager dormitorio nelle aziende dove lavorano. A questo Biffoni ha risposto con un "no" netto e convinto. A dimostrazione che la soluzione al fenomeno della illegalità cinese non trova d'accordo nemmeno illustri compagni di partito.

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LA SICUREZZA SUI TRAGHETTI

IL FUOCO, NEMICO MORTALE Antonio Fulvi*

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e normative internazionali sulla sicurezza delle navi traghetto sono, tra quelle ciclicamente aggiornate dall’IMO (International Maritime Organization, una “costola” dell’ONU, probabilmente le più numerose e dettagliate. Eppure non sono ancora in grado di rendere sicure al 100% queste navi che a migliaia viaggiano sulle rotte nazionali e non tutti i giorni e in tutte le stagioni. Sia chiaro: le navi traghetti sono le più controllate dalle autorità delegate alle verifiche di sicurezza. Il “Port State Control” delle Capitanerie di porto italiane, ovvero la pratica delle verifiche di sicurezza a bordo, è considerato a livello internazionale uno dei più approfonditi e dei più severi. Ulteriormente potenziato con protocolli sempre più dettagliati dopo il disastro della “Moby Prince” di vent’anni fa’ - sul traghetto appena partito da Livorno morirono bruciati o asfissiati in 140 tra passeggeri e membri d’equipaggio, con un mozzo come unico superstite - il sistema dei controlli di sicurezza è teoricamente perfetto. Eppure su queste navi come peraltro anche su altri tipi - si continua a morire, com’è dimostrato dalla recente tragedia del “Norman Atlantic” in Adriatico. E non c’è bisogno del più macroscopico errore umano - o dal concatenarsi di vari errori umani - com’è successo con la nave da crociera “Costa Concordia” finita sugli scogli all’isola del Giglio. A volte è la tecnologia a rivelare il tallone d’Achille - porte tagliafuoco che funzionano male, impianti antincendio non sufficienti in garage sovraffollati di mezzi che sono potenzialmente bombe, scarsa manutenzione dei motori nei periodi di punta e di massimo sfruttamento delle navi - a volte i problemi tecnici si sommano ali errori di valutazione o alla stanchezza degli addetti. Perchè una nave è sempre una macchina complessa e delicata: e una nave che trasporta non solo passeggeri ma anche mezzi ruotati come auto e camion con i serbatoi pieni di benzina o gasolio è già di per se potenzialmente una bomba. Con il fuoco chesembra un assurdo - è il massimo dei pericoli in mezzo al mare. Che il fuoco non sia un pericolo d’oggi e solo sulle navi moderne lo sanno bene gli storici della navigazione. Anche all’epoca della navigazione a vela, si sono perse più navi per incendio che non per tempeste, incagli, collisioni. Sui velieri che portavano in Europa il carbone in lunghe traversate ocea-

niche di settimane, l’autocombustione in stiva era il terrore degli equipaggi: e sono celebri le storie di navi che hanno preso lentamente fuoco, bruciando in stiva senza che i marinai se ne accorgessero in tempo, fino a costringere gli equipaggi ad abbandonarle al loro destino salvandosi - quando riuscivano a salvarsi - sulle lance. Storie documentate, quelle finite bene: ma anche tante storie immaginate, perchè navi e genti si sono perse nel mistero. Il fuoco dunque è stato, è e probabilmente rimarrà il pericolo maggiore sulle navi, specie sui traghetti. Perchè l’errore umano,

“Il Norman Atlantic” in preda alle fiamme

che quasi sempre è all’origine degli incendi a bordo, è ovviamente più frequente dove ci sono a bordo centinaia e centinaia di passeggeri, spesso del tutto inconsapevoli del pericolo di accendere una sigaretta nel garage, o di lasciare acceso per qualche minuto il motore dell’auto in stiva. Da qualche anno quando una nave traghetto parte c’è l’obbligo per l’equipaggio

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di “sigillare” le stive-garage, impedendo ai passeggeri di accedervi (per recuperare cose dimenticate a bordo delle auto, per depositarvi bagagli che erano stati portati in cabina ma non servivano, per semplice senso di possesso del proprio mezzo). Per quanto sui moderni traghetti- e in teoria su tutti quelli che hanno avuto il nulla osta per navigare con passeggeri e con messi in stiva- esistano dei sistemi di ventilazione delle stive-garage, bisogna sapere che centinaia di auto e di camion “rizzati” a stretto contatto, con i serbatoi del carburante che sviluppano gas di benzina o di gasolio, tendono a trasformare

le stive stesse in micidiali bombe facili da innescare con una sola scintilla. Ci sono, ovviamente, oltre ai sistemi di ventilazione anche gli impianti antincendio, che si attivano con sensori automatici o manuali. Ma non esiste sistema antincendio in grado di contrastare l’esplosione di una serie di serbatoi di carburante di auto o camion, una volta che una scintilla ha

innescato l’apocalisse. L’accesso in garage di passeggeri inconsapevoli del rischio è un pericolo da scongiurare proprio con la proibizione ad entrare. Però la pratica di chiudere gli accessi è affidata a membri dell’equipaggio che spesso sono anche sovraccarichi di altri compiti. E ne deriva che anche nella più completa buona fede qualche volta il garage rimane accessibile ai passeggeri, con un notevole aumento dei rischi. Peggio ancora, su certe rotte, esiste il concreto pericolo dei clandestini che si nascondono tra i carichi dei camion: e a volte è bastata una sigaretta. La recente tragedia del traghetto “Norman Atlantic”, sul quale peraltro sono ancora in corso le indagini (e ci vorrà del tempo per capire esattamente come e perchè è scoppiato il devastante incendio) ha confermato che è indispensabile non allentare la vigilanza anche in operazioni di routine su navi considerate più che sicure. Sia l’armatore, che è anche il costruttore della nave (la società Visemar è di proprietà del gruppo titolare del cantiere Visentini di Rovigo) sia la confederazione italiana degli armatori Confitarma, hanno sottolineato subito dopo la tragedia che la nave era in ottime condizioni e tutti i sistemi di sicurezza funzionavano. In effetti la nave è recente, con meno di 6 anni di età; quando sul Mediterraneo e anche lungo le nostre coste operano traghetti che hanno più di venti anni, acquistati quando sono stati radiati (o stavano per esserlo) specialmente in Nord Europa, sia pur sottoposti a lavori di ammodernamento e adeguamento alle normative di sicurezza. Si è scritto che la “Norman Atlantic” aveva avuto nei suoi pochi anni di vita più di un nome ed era stata noleggiata a più d’una società: una pratica peraltro assai diffusa nello shipping, perchè copre con i noleggi (qualche volta bareboat, ovvero senza equipaggio che viene poi fornito da chi ha noleggiato lo scafo nudo, qualche volta con equipaggio) i periodi di picco di richiesta; e che non inficia, ma semmai intensifica, i controlli di sicurezza da parte delle autorità preposte al “Port State Control”. Nella fattispecie, sulla nave l’ultimo controllo fatto in Grecia aveva evidenziato alcune modeste carenze (tra cui il malfunzionamento di una porta antincendio che era comunque stata subito riparata secondo l’armatore)ma non erano tali da imporre la sospensione del servizio. *Direttore de La Gazzetta Marittima

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OPPORTUNITÀ E RISCHI

BIG DATA, BIG FORSE BUSINESS Ornella Cilona

B

ig data: grande aiuto o grande bufala? Negli ultimi anni, la rapida evoluzione delle tecnologie informatiche ha portato all’aumento esponenziale dei dati. Nel passato, un’azienda intenzionata a espandersi sul mercato estero o lanciare un nuovo prodotto poteva contare su alcune statistiche, sull’apporto di qualche esperto e sulle notizie riportate dagli organi di stampa. Oggi, invece, siamo tutti immersi in un oceano di numeri, immagini e parole trasportati dalla Rete nel quale è facile annegare. Blog, risultati di ricerche, banche dati sempre più sofisticate, commenti sui social network, video: il mondo dell’informazione ha mille forme che devono interagire per essere lette in tutta la loro complessità. L’Ibm ha calcolato che nel 2020 disporremo di informazioni 300 volte più ampie di quelle esistenti nel 2005 e, secondo uno studio compiuto per Oracle, entro il 2017 il mercato della gestione informatizzata dei dati salirà a 50 miliardi di dollari. “La prima rivoluzione industriale ha mostrato al mondo quanto potevano fare le macchine”, si legge nel giornale on line della scuola Wharton dell’Università della Pennsylvania, “La seconda ci sta ora mostrando quanto

possono fare le macchine quando comunicano fra loro”. E’ proprio il dialogo fra computer, infatti, ad aver avviato il decisivo cambiamento, perché soltanto le macchine possono immagazzinare, comparare ed esaminare la mole impressionante di informazioni delle quali disponiamo oggi. Sono quattro le parole che caratterizzano i Big data e tutte cominciano con la V: volume, velocità, varietà, veridicità. La

prima, volume, si riferisce all’effettiva dimensione dei dati, che, secondo alcune stime, raggiungerà nel 2020 l’astronomica cifra di un miliardo di terabytes. Per avere un’idea della dimensione, basti pensare che 1.400 CD occupano un solo terabyte di memoria. Il termine velocità sottolinea, invece, il fatto che oggi i dati devono essere accumulati, integrati e analizzati dai computer in real time, praticamente all’istante. La

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varietà è un’altra componente essenziale: le informazioni, strutturate e non, provengono da una vasta gamma di fonti e i sistemi di analisi tradizionali riescono a gestire solo quelle strutturate, che oggi costituiscono appena il 20%. La veridicità, infine, sta diventando un tema importante, perché non basta puntare alla quantità dei dati, ma occorre anche verificarne l’accuratezza e, dunque, la loro qualità. Non mancano preoccupazioni sulle conseguenze della diffusione dei Big data. La principale riguarda la privacy: imprese e persone temono che la condivisione delle informazioni possa tradursi in un vantaggio per la concorrenza o in un’intrusione indebita nella vita privata. “Abbiamo bisogno”, scrive Robert Kirkpatrick, direttore di Global Pulse, un’iniziativa del segretario generale delle Nazioni Unite sui Big data, “di portare a un nuovo livello le norme, le politiche e le tecniche sulla protezione dei dati e sulla privacy, per mitigare gli abusi potenziali”. Un terreno ancora inesplorato nella gestione di grandi flussi di dati riguarda la sostenibilità. Una multinazionale che voglia valutare l’impatto di azioni e decisioni sull’ambiente e sulla società ha


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bisogno di una bussola per orientarsi nel mare magnum di informazioni in merito, a esempio, alle emissioni di carbonio nei propri stabilimenti e nell’intera catena di subfornitura o al rapporto con i consumatori nelle diverse aree del pianeta. “La raccolta e la comprensione dei dati su come opera un’organizzazione”, afferma John Hsu, esperto dell’ONG Carbon Trust, in un articolo comparso sul quotidiano britannico The Guardian il 31 gennaio dell’anno scorso, “produce conoscenza che può migliorare il processo decisionale, perfezionare gli obiettivi e focalizzare gli sforzi (…) I Big data hanno il potere di trasformare il modo in cui le grandi imprese e le organizzazioni – quelle con i maggiori impatti ambientali, ma anche con l’accesso a grandi volumi di informazioni – possono operare sulla sostenibilità”. E in Italia? Il gruppo Pirelli si avvale da tempo di Hana, il sistema di gestione dei grandi volumi di dati di proprietà della società informatica tedesca Sap. Grazie ad Hana, che elabora ogni secondo i dati rilasciati dai sensori all’interno dei pneumatici, Pirelli gestisce al meglio l’inventario, con una riduzione dei rifiuti e un incremento dei profitti. Anche le amministrazioni pubbliche stanno cominciando a interessarsi ai Big data. L’erogazione dell’acqua o il controllo del traffico sono due compiti degli enti locali che possono essere svolti al meglio proprio attraverso la raccolta, l’interazione e l’analisi in real time di enormi flussi di dati. Su questo tema, la Regione Puglia ha appena lanciato un bando, finanziato dal programma europeo Horizon 2020, cui sono invitati a partecipare sia le imprese sia le amministrazioni pubbliche. Il contributo è pari al 100% sia per le azioni di ricerca e innovazione sia per quelle di coordinamento e supporto.

Numerosi esperti ritengono, tuttavia, che i Big data debbano essere maneggiati con molta attenzione, soprattutto nel caso di decisioni politiche. “L’idea che i trilioni di bytes di dati che generiamo sui mezzi di comunicazione sociali forniscano grandi, profetici poteri ai decisori politici è di gran moda oggi”, scrive Konrad Yakabuski in un articolo di maggio dell’anno scorso sul settimanale canadese The Globe and Mail. L’editorialista canadese smonta questa convinzione citando due esempi. Il primo riguarda Google Flu. Nel 2009 la società californiana creò un algoritmo che avrebbe dovuto prevedere con esattezza i casi di influenza, permettendo così alle autorità sanitarie di gestire al meglio le cure e le strutture ospedaliere. Le previsioni di Google Flu si rivelarono, però, sbagliate per eccesso, perché si basavano in modo prevalente su quante volte venivano digitate nel motore di ricerca le parole che avevano attinenza con l’influenza. Il secondo esempio portato da Yakabuski concerne le decisioni errate adottate dal governo conservatore canadese sul mercato del lavoro. Jason Kenney, ministro del Lavoro a Ottawa, nella primavera del 2014 ha giustificato il programma di visti temporanei per gli immigrati con una carenza di manodopera in Canada, citando dati provenienti da Kijiji, sito di annunci internazionale consociato a eBay. In realtà, è emerso che queste cifre non erano corrette e le polemiche seguite hanno portato a una brusca retromarcia dell’esecutivo sui visti agli immigrati. I big data, conclude Yakabushi, possono essere utili, a patto, però, che si sappia utilizzarli nel modo corretto, senza aspettarsi miracoli: “Quando apprezzeremo i loro limiti, vedremo più chiaramente i loro benefici”.

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SPORT & BUSINESS

IL CALCIO DRIBBLA LA CRISI Carlo Tavecchio*

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l calcio è una risorsa importante per l’intero sistema Paese. Sotto diversi punti di vista, lo sport più amato dagli italiani rappresenta un traino i cui effetti si riscontrano direttamente nel benessere della vita dei cittadini. Recentemente, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, ha affermato che il Governo, sostenendo la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024, ha voluto ‘risollevare l’Italia’ che

il semplice aspetto agonistico. Il calcio è uno strumento valoriale, con la diffusione tra i più piccoli di principi quali il rispetto delle regole e dell’avversario, la cultura della sconfitta e il gioco di squadra; migliora la qualità della vita dei cittadini incidendo in maniera diretta sul loro tempo libero; è un vettore economico fondamentale per le economie dei singoli Paesi, europei in particolare. Ed è proprio su

Carlo Tavecchio

attraverso lo sport e il calcio deve e vuole fare la sua parte. Perché il calcio è un veicolo sociale di grande impatto. Essendo uno sport dal grande coinvolgimento nel nostro Paese come in gran parte del resto del mondo, il calcio assume connotati che travalicano

questo aspetto che voglio soffermarmi ponendo l’accento su come l’investimento nel mondo del calcio, in un momento di forte e perdurante contrazione economica in Europa, rappresenti un investimento anticiclico ed una grande opportunità che sug-

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gerisce approfondimenti specifici. Ci pare opportuno sottolineare che in economia si dice anticiclico l’andamento che tende a variare in direzione opposta ai principali indicatori del ciclo economico, per esempio in relazione al Pil (Prodotto interno lordo). E in politica economica, si definisce anticiclico un provvedimento di politica fiscale o monetaria adottato per attenuare le fluttuazioni, intervenendo sul mercato per frenare la ripresa o contrastare la depressione dell’attività economica. Il movimento economico del calcio italiano, comprendendo l’attività professionistica, quella dilettantistica e il relativo indotto, ammontava nel 2012-13 a 12,7 miliardi di euro, dato in crescita del 53% rispetto a dieci anni prima. Incrociando tale dato con le classifiche annuali elaborate da Mediobanca sulle imprese italiane con il maggior livello di fatturato, emerge come il calcio rappresenti oggi la nona industria italiana (vedi Tab. 1). Il calcio italiano si conferma un settore in grande crescita e in sostanziale controtendenza rispetto all’andamento economico. Nelle ultime sei stagioni il fatturato aggregato del calcio professionistico è risultato in crescita del 16,7%, mentre nel medesimo periodo il Pil italiano si è contratto del 2,2%. In ogni stagione considerata (con l’eccezione del 2010-11) il trend medio annuo del settore calcio è risultato migliore rispetto a quello macroeconomico generale. Mentre il fatturato aggregato del calcio europeo è cresciuto negli ultimi dieci anni del


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63,1%, pasin termini di sando dai 12,2 funzionalitĂ miliardi di per il cittaeuro del 2003dino spor 04 ai 19,9 del tivo/tifoso e di 2012-13. Anindotto eco che in questo nomico rilecaso è interesvante. !! " # " $ sante andare a In conclu! # % &' leggere la consione, risulta ( "" ) * trotendenza rievidente spetto al clima come, in senso + ) ) economicoeconomico, generale; negli l’investimento , ' * * ultimi nove nel calcio sia anni, la variain netta con+ " # - * zione media trotendenza annua del fatrispetto agli . / 0 " turato del calindicatori , 1 2, cio europeo ha dell’attuale cisempre sopraclo congiunvanzato la variazione del Pil pro capite nella Zona Euro. turale; mentre, in ottica di politica economica, ogni investiQuesti dati sono ulteriormente confermati se si prende come mento compiuto nel mondo del calcio è anticiclico in quanto campione il fatturato aggregato dei venti principali club eucontrasta la depressione dell’ attivitĂ economica. ropei in termini di ricavi, cresciuto in termini significativi Da parte sua la Federcalcio si è attivata in tempi celeri per negli ultimi anni: tra il 2006-07 e il 2012-13 si è registrato varare riforme in grado di ancorare e rendere strutturale queun incremento del 44,8%, con una crescita da 3,7 a 5,4 mista tendenza positiva. Basti pensare alle regole relative al “fair liardi di euro. playâ€? finanziario, con l’introduzione dell’obbligo del pareggio L’analisi complessiva dei dati, dunque, ci configura chiaradi bilancio, al blocco delle rose in Serie A per i calciatori mente come l’Italia del calcio, nonostante tutti i miglioraover 21 (con almeno otto giocatori cresciuti nei vivai naziomenti ancora da apportare, risulti essere molto piĂš vicina alnali, di cui quattro nel settore giovanile del club di appartel’Europa di altri settori del nostro sistema Paese. In questo nenza) e alle restrizioni per il passaggio al professionismo dei senso, il calcio rappresenta una grande opportunitĂ di crescita cosiddetti ‘giovani di serie’ che ha di fatto interrotto un malche non bisogna lasciarsi sfuggire. In assenza di contribuzione costume tipicamente italiano di utilizzare giovani extracostatale e con gli Enti locali sempre piĂš in difficoltĂ (vedi munitari come pedine di scambio in sede di mercato. Il comPatto di stabilitĂ interno), il calcio si sta incaricando, partendo binato disposto di tutte queste norme, infatti, mira a rendere dal basso, anche di ammodernare le strutture sportive, quelle piĂš solidi i club italiani e consentire loro, quindi, una promicro territoriali che partono dai Dilettanti fino ad arrivare grammazione mirata all’accrescimento del valore tecnico, in Lega Pro e forse anche in Serie B, con provvedimenti auche rimane giudice ultimo dei successi in campo e consetonomi per la ristrutturazione, la messa in sicurezza e l’effiguentemente anche della valorizzazione economica. cientamento energetico. Tali interventi creano altro valore *Presidente Figc

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GABRIELE GRAVINA

LA RESPONSABILITÀ SOCIALE

“P

er la nostra azienda la responsabilità sociale è una opportunità di crescita e non un ulteriore costo da sostenere. E’ vero, siamo al centro di una grave e storica crisi economica, ma a volte mi chiedo se sia solo una crisi economica, quella che stiamo attraversando, o non, piuttosto, una crisi di valori sul modo di fare impresa, ossia sull’incapacità di saper generare, attraverso l’uso della attività economica, ricchezza e benessere sociale”. Imprenditore, docente universitario e soprattutto amante e mecenate dello sport e della cultura, Gabriele Gravina, pugliese di nascita e abruzzese di adozione, è a capo di un gruppo che opera in diversi settori dell’imprenditoria e conta su un centinaio di collaboratori. Un gruppo del quale la responsabilità sociale, come sottolineato dallo stesso Gravina, permea tutte le attività e non rappresenta uno slogan. Men che meno in questi anni di crisi. Professor Gravina, ma che valore aggiunto può apportare la responsabilità sociale d’impresa? Il ruolo dell’impresa nella società è un ruolo centrale, perché non è avulsa dal contesto in cui opera e si relaziona con tutto ciò che la circonda. Per la nostra azienda, molto radicata su un territorio ben circoscritto, ciò è ancora più evidente, ed è tale radicamento a influenzare anche il nostro profilo competitivo. Il modello di azienda, che condivido con i miei figli Francesco e Leonardo, è un modello rivolto al conseguimento del profitto, ma

attento alle esigenze e ai progetti del territorio. Ecco allora il nostro impegno per il mondo dello sport e, più di recente, per il mondo della cultura. Sono fermamente convinto che la cultura migliora il vivere sociale come la vita di ciascuno di noi. Fa crescere positivamente la consapevolezza e l’orgoglio della propria umanità e il desiderio di condividere i valori di bellezza e di verità con chi ci circonda. La cultura crea ponti tra tradizioni di-

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verse, inventa collaborazioni, instaura dialoghi. È evidente, allora, che per quanti operano nel mondo “arido” delle costruzioni questa forma di impegno sia una opportunità da cogliere costantemente. Per lei lo sport è prima di tutto riscatto… Ho sempre sostenuto che il mondo dello sport ha rappresentato per me la metafora della vita. Come atleta prima e come dirigente di società e dirigente federale oggi, il mio impegno ha avuto sempre un minimo comune denominatore: la passione. Il mondo del volontariato, e il mio impegno nel calcio è volontariato, se non è supportato da una grande passione non puoi servirlo degnamente. Se segui la logica della valorizzazione della sola dimensione economica dello sport segui logiche che non possono generare forme di realizzazione personale, sei sempre più alla ricerca di protagonismi e sei sempre meno in grado di testimoniarne i valori. Personalmente ritengo di essere stato fortunato nell’ assaporare la vera essenza della multi-dimensionalita’ dello


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sport: la sua grande forza di aggregazione, la sua capacità risorse e la loro formazione. Per me questo ha rappresentato di superare confini e di abbattere barriere politiche, la sua e rappresenta motivo di orgoglio e di soddisfazione. Non dimensione culturale e metaforica, la sua capacità di avendo mai amato il detto “dopo di me il diluvio”, ho già provocare forti emozioni. Tutti ingredienti del mio vecchio condiviso con loro il passaggio di consegne, non solo sotto “progetto Castel di Sangro”. il profilo sostanziale ma anche formale. Già da qualche Un’avventura romantica rimasta nella storia del calcio anno i miei due figli sono, infatti, formalmente titolari italiano… delle quote societarie e attori protagonisti delle sorti La favola Castel di Sangro rappresenta una pagina molto aziendali. Devo riconoscere che la loro preparazione, la bella in questa storia. Un messaggio di speranza per chi loro dedizione e la loro giovane età hanno già dato un vuole centrare dei notevole impulso potraguardi difficili, apsitivo e nuove motiparentemente imposvazioni allo sviluppo sibili. Il nostro proaziendale. getto ha dimostrato I numeri della sua negli anni che, quanimpresa la classifido si applicano criteri cano, a livello interdi gestione attenti e nazionale, come meprofessionali, anche dio/piccola. Profesin presenza di risorse sore, ma lo slogan limitate, nessun tra“piccolo è bello” ha guardo è precluso. ancora valore o la Molti credono che strada della crescita la continua ricerca dimensionale è ordella massimizzaziomai obbligata? ne dei risultati sporQuando vogliamo tivi sia l’obiettivo abbinare la nostra fondamentale dell’atazienda a un aggettività sportiva. L’alea tivo, quello che usiae l’incertezza del rimo più frequenteGabriele Gravina con i figli Leonardo e Francesco sultato non possono mente è “azienda faesaurire l’impegno miliare”, per la sua della pratica e della programmazione di un evento sportivo, composizione, per il rapporto con i nostri collaboratori, i il rischio è troppo alto. Oggi, per diverse ragioni, è difficile fornitori, i committenti. Il problema che ci poniamo spesso replicare sul piano dei risultati sportivi la favola Castel di non è legato alla dimensione aziendale, ma alla qualità Sangro, è invece possibile replicarne il progetto, i contenuti, della commessa che dobbiamo conseguire. In sostanza non i valori. ci interessa la corsa al fatturato ma la remunerazione del Ma il passaggio di consegne ai vertici del suo gruppo, pur nostro lavoro che è la formula più giusta per poter continuare lontano nel tempo, assicurerà la continuazione di questo a crescere. Da un po’ di tempo abbiamo iniziato ad esplorare diverso modo di fare impresa? anche alcuni mercati internazionali che ci consentiranno a Io ho due figli molto bravi, che per loro scelta hanno breve di ritrovare un giusto equilibrio tra impegno lavorativo deciso di proseguire l’attività aziendale investendo le loro e acquisizione di nuove esperienze. Felice Vincenzi

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ENERGIE RINNOVABILI

INNOVATEC E SOCIAL NETWORK

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Marco Barbonaglia

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nnovatec, società controllata dal gruppo Kinexia e quotata all'Aim Italia, è una realtà che nasce da un’intuizione. Dalla capacità di interpretare un’evoluzione in atto e dall’attitudine ad anticipare le tendenze di un mercato nuovo e non sempre facile da decifrare, come quello delle energie rinnovabili. Tutto parte dal presupposto che il mondo si sta avviando a sostituire un modello fatto di pochi grandi produttori e di un’infinità di consumatori, con un nuovo sistema nel quale esiste una quantità sempre più grande di produttori/consumatori. I cosiddetti "prosumers", ovvero autoproduttori ed autoconsumatori di energia da fonte rinnovabile che, attraverso l’ormai consolidata tecnologia dello stoccaggio, possono prelevare energia quando serve, migliorando l’efficienza dei consumi e riducendo i costi. Per questo Innovatec ha deciso di puntare sui concetti di Smart grid (una rete elettrica in grado di integrare intelligentemente le azioni di tutti gli utenti connessi), Smart building e Smart Cities. Una strada da percorrere integrando diversi comparti della Green Economy per andare verso quella che viene definita la "Net Zero Community", ovvero una comunità nella quale città e fabbricati (pubblici e privati) funzionano senza emissioni nell’atmosfera, alimentati da fonti energetiche rinnovabili, con zero rifiuti e ridotti consumi di acqua ed energia.

In un mondo dove condividere è diventata una parola d’ordine, perché non condividere anche l’energia che ognuno può produrre da sé? In pratica, se in un dato momento si produce più energia di quella che serve si può metterla in condivisione con una comunità per poi pescare dalle risorse messe in rete da qualcun altro, quando si avrà un bisogno superiore alla propria produzione. Per fare questo, Innovatec propone un sistema di storage per l’energia rinnovabile connesso al web, sviluppato in collaborazione con AROS (Gruppo Riello) e BYD (leader mondiale in storage systems), che integra algoritmi per l’uso delle informazioni che arrivano tramite internet (come, ad esempio, le previsioni del tempo). Tale sistema, abbinato a una speciale batteria agli ioni di litio di ultima generazione modulare e perfettamente adattabile ad impianti di piccola e media taglia, permette di controllare l’utilizzo dell’energia. Di accumularla, di venderla quando viene pagata di più e di utilizzarla quando il costo è minore, grazie a un apparato di domotizzazione degli stabili. In pratica, una complessa struttura hardware-software mette on line apparati di produzione di energia rinnovabile e dispositivi di consumo, domestici e non. Grazie ad internet, poi, i dispositivi collegati alla Smart Grid si autogestiscono secondo principi di efficienza. I dati disponibili on line arrivano ad influenzare le dinamiche di produzione, accumulo e cessione

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dell’energia mentre i flussi interni alla rete e gli scambi con l’esterno sono retti da un sistema di management centralizzato e altamente sofisticato che riduce le perdite. Alla base dell’intero progetto Smart c’è un’idea tanto semplice quanto efficace. Le aziende utilizzano più energia durante le ore diurne e nei giorni feriali, proprio quando le abitazioni ad uso civile ne usano di meno e quindi possono cederla. Di sera e nei weekend, invece, sono le industrie ad averne un bisogno più ridotto e a potere, pertanto, rifornire le case. Ma la semplicità dell’intuizione messa in campo da Innovatec non ne diminuisce la portata rivoluzionaria per quanto riguarda il mercato energetico. Un progetto ambizioso che la società sta portando avanti con una precisa strategia. Fondamentale è l’innovazione tecnologia che, non a caso, è uno dei pilastri nel business di Innovatec. Per i prossimi anni, inoltre, i piani dell’azienda prevedono una crescente sinergia con le altre attività e le altre società del gruppo Kinexia e una sempre

maggiore internazionalizzazione (per ora soprattutto in Nord Africa, Medio Oriente, Far East ed Europa Orientale). L'apertura della nuova sede di Kinexia a Londra, nel cuore della finanza globale, è un chiaro segnale in questo senso. Ma per capire ambizioni e orizzonti di Innovatec basta analizzare il piano industriale 2014-2016 che si articola su diverse linee di sviluppo. Dall’aumento della penetrazione del mercato retail al potenziamento della struttura commerciale e logistica, dall’incremento della penetrazione nel mercato corporate al focus sull’innovazione tecnologica di prodotto, servizio e processo, attraverso mirati investimenti in ricerca e sviluppo. Fino allo sviluppo dell’efficienza energetica in chiave ESCo, e all’espansione all’estero su progetti retail e corporate che consentano di replicare know-how e prodotti sperimentati con successo sul mercato nazionale. «Il nostro progetto - spiega Pietro Colucci presidente e ad di Kinexia e presidente di Innovatec - è basato sull'innovazione tecnologica, sulla produzione

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da fonti rinnovabili, sulle reti intelligenti e locali, sulla riduzione dei consumi, sul monitoraggio costante degli stessi, sulle Smart cities. Progetti e tendenze che non sono solo nazionali, ma globali e che hanno una potenzialità di diffusione virtualmente infinita». E in merito all’affascinante paragone del modello di Innovatec con una sorta di “facebook dell’energia” Colucci precisa: «La spinta è stata data dall'aver rilevato quanto gli utenti siano sensibili a partecipare al cambiamento in corso nel Paese e non solo. Come tutti oggi sanno di spread, altrettanto tutti vogliono capire la bolletta elettrica, come fare a ridurla, come essere più sostenibili, come far interagire le cose a casa propria o in azienda. È questa la base delle cosiddette reti info-energetiche. Una sorta di community basata sul Web dove gli utenti si scambiano non solo informazioni ma anche energia creando distretti autonomi e connessi tra loro. Piccole centrali elettriche polverizzate che si scambiano energia ed informazioni anche con meccanismi premiali per i soggetti più virtuosi».


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PIETRO COLUCCI

UN MERCATO CHE ESPLODERÀ

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inexia (dal greco: movimento) è una holding di partecipazioni attiva nel settore delle energie rinnovabili e dell’ambiente. Nata da un’idea imprenditoriale del presidente e amministratore delegato Pietro Colucci, pioniere del binomio energia da fonti rinnovabili – servizi ambientali, con una storia di successo che dura da oltre trent’anni, Kinexia è quotata al mercato Mta di Borsa Italiana. La società basa il proprio modello di sviluppo su una strategia incentrata sulla crescita per linee interne e su acquisizioni mirate. Il disegno imprenditoriale che sta alla base del gruppo Kinexia, infatti, è quello di essere un polo aggregatore di nuove idee con l’obiettivo di valorizzarle in un unico progetto industriale rivolto al futuro e alle prossime generazioni. Kinexia è in grado di coprire l’intera catena del valore, dallo scouting e sviluppo delle iniziative con la scelta delle migliori tecnologie fino ad arrivare alla costruzione e alla gestione degli impianti. Il presidio in tutte le fasi progettuali permette u preciso controllo dei costi e un’efficiente gestione delle iniziative in ogni aspetto tecnico e autorizzativo. All’interno del gruppo, Sei Energia è attiva nel teleriscaldamento; Waste Italia è l’azienda privata leader di mercato nella gestione integrata dei risfiuti speciali non pericolosi; Innovatec (quotata sull’Aim Italia – Mercato alternativo del capitale) sviluppo tecnologia, prodotti e servizi si Smart grid, Smart city e Smart home per la clientela retail e corporate sia in Italia sia all’estero. Nel corso del 2014 è stata completata la fusione inversa tra il gruppo Sostenya e il gruppo Kinexia. Il nuovo progetto accresce e rafforza il posizionamento di Kinexia nel settore dell’ambiente, grazie all’integrazione con il gruppo Sostenya, leader tramite Waste Italia nel settore della gestione dei rifiuti e dei servizi per l’ambiente e permette di sfruttare e massimizzare tutte le sinergie esistenti tra i due gruppi, operando in

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settori altamente complementari, consentendo anche risparmi di costi. Post merger i ricavi del gruppo Kinexia puntano a risultare in progressiva crescita (Cagr: 10%), passando dai 165 milioni di euro del 2013 a un obiettivo per il 2018 pari a 264 milioni, con un crescita del 60%. Anche l’Ebidta e l’Ebit sono previsti in aumento, arrivando a un target 2018 pari a 79 milioni (30% sul fatturato) e 43 milioni (16% sul fatturato). Tali marginalità dovrebbero determinare una costante generazione di cassa, permettendo anche una progressiva riduzione dell’indebitamento finanziario netto, sia pure in presenza di importanti investimenti per 138 milioni. Dottor Colucci, si sente ricorrentemente parlare di sostenibilità ambientale. Ma finalizzare investimenti alla tutela dell’ambiente, benché sacrosanti, in anni di dura crisi come quelli che stiamo vivendo, non le sembra un lusso che non ci si può permettere? Credo che questa sia oggettivamente la domanda centrale della lunga crisi che stiamo attraversando. Da sempre siamo abituati a veder ridurre da parte delle imprese i presidi ambientali in momenti di crisi. Purtroppo è tanto vero quanto deleterio. Sono persuaso che infatti, sono stati proprio i maldestri tentativi di molte imprese italiane, nel tentare di tenere bassi questo tipo di costi, ad avere aperto la strada a palesi illegalità, quali lo smaltimento illecito dei rifiuti, delle acque civili ed industriali, delle emissioni in atmosfera! Un conto salato che oggi resta a carico dell'intera collettività per mettere riparo agli errori ed ai vantaggi colpevoli di pochi. Noi crediamo sia utile l'esatto opposto! Per questo, con la regia dell'Alta scuola di formazione dell’Università Cattolica, abbiamo stimolato la costituzione di un tavolo di confronto tra dieci società quotate, l'Abi, Società di

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rating e Borsa Italiana per cercare di inserire i parametri Esg (Enviroment social governance) nell'attribuzione dei rating aziendali. Siamo convinti, infatti, che un'impresa che investe correttamente in presidi ambientali sia, alla fine, meno rischiosa anche per chi concede credito. E forse il caso Ilva è lì proprio a rappresentare una triste conferma. I 28 partner dell’Unione europea hanno firmato un accordo sugli obiettivi climatici da raggiungere entro il 2030. Pensa che costituisca un traguardo raggiungibile? Ma non esiste il rischio che la mancanza di vincoli ai singoli Stati lo possa trasformare in un’auspicabile aspirazione e niente più? Beh, il passato ha dimostrato che la preoccupazione circa la raggiungibilità degli obiettivi era infondata. I risultati sono stati raggiunti e anche superati, almeno per la maggior parte degli obiettivi. Sarà così anche per i prossimi

anche perché l'intera Europa sta decidendo di spingere in questa direzione e gli europei, sia come cittadini che come consumatori, hanno assolutamente voglia di migliorare i propri standard di qualità della vita con una svolta green chiara e decisa. L’accordo stipulato con il Pastificio Divella da Innovatec, di cui è presidente, per la realizzazione di un impianto fotovoltaico e interventi di efficienza energetica può rappresentare uno schema ripetibile anche con altre realtà industriali italiane? Avete qualche altra trattativa in corso? Certo che è ripetibile. E' esattamente il modello di business di Innovatec. Le trattative sono decine e quello dell'efficienza energetica è un mercato che esploderà, sia in Italia che all'estero. Il Consiglio di amministrazione di Innovatec ha approvato l’emissione di un “green bond”. A quali scopi saranno utilizzate le risorse relative?

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E, a livello più generale, pensa possa esistere una “finanza verde” e sostenibile, insomma una “finanza dal volto umano”, dopo anni di mercati irrazionali e talvolta pirateschi? Oggi non esistono ancora i Green Bond classificabili e certificabili come tali. Si tratta di un impegno formale dell'emittente e dei sottoscrittori, con cui l'impresa si impegna a destinare quelle risorse nella realizzazione di infrastrutture e progetti Verdi. E' uno strumento innovativo ed estremamente interessante nel momento in cui le banche, soprattutto italiane, hanno smesso di investire in questo comparto e quindi bisogna rivolgersi alla finanza "non convenzionale" per raccogliere preziose risorse. Credo che questi strumenti siano destinati a crescere in futuro, anche perché sempre più investitori scelgono di destinare parte delle risorse raccolte in progetti che siano green. Ka.Bo.

primi nove mesi del 2014 hanno messo in luce una generale tendenza al miglioramento per Innovatec che ha realizzato diverse performance interessanti. Prime fra tutte quella del valore della produzione, positivo per 12,4 milioni di euro e dell’ebitda che, rispetto ai -0,6 milioni del primo semestre, ha cambiato segno attestandosi sui 30mila euro. Per quanto riguarda il valore della produzione, il risultato è stato raggiunto grazie a vendite impianti sul mercato retail e corporate per circa 4 milioni, attività di O&M, telecontrollo e services e altri ricavi per circa 3,5 milioni ai quali bisogna aggiungere 0,23 milioni per audit energetici. Nel terzo trimestre, poi, il gruppo ha avviato il progetto “serre”, che prevede la sostituzione di impianti di riscaldamento alimentati da combustibili fossili annessi ad installazioni serricole con impianti alimentati da biomassa di matrice commerciale. I ricavi per il progetto “serre” sono quindi arrivati a 5,7 milioni con una marginalità di 1,5 milioni che compensa ampiamente i costi fissi di struttura, generando un ebitda positivo. Tale progetto e i conseguenti investimenti, però, hanno ovviamente fatto crescere l’indebitamento finanziario netto che dagli 0,4 milioni di fine 2013 è passato a 5,6 milioni di euro. (a cura dell’Ufficio Marketing NF)

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SUPERARE LA CRISI DEL SETTORE

UNA NUOVA EDITORIA Alessandro Serrau* evo dire la verità: quando il direttore Francesco Carrassi mi ha chiesto di scrivere un articolo sulla situazione del settore editoria, sono rimasto al tempo stesso spaesato e orgoglioso di dare il mio contributo, per me che, non essendo un giornalista, posso essere valutato dai lettori esclusivamente come osservatore, anche se privilegiato per il

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Il mondo dei quotidiani soffre, in particolar modo, degli effetti della congiuntura economica. Il prodotto interno lordo degli ultimi anni è in calo vertiginoso e anche se il trend nell’ultimo biennio si è finalmente arrestato, i segnali di miglioramento si sono dimostrati assai flebili e le previsioni di crescita per l’anno ormai concluso sono largamente al di sotto

Gli effetti della recessione, con il pesante calo della domanda e dei consumi, hanno colpito molti settori merceologici e il settore dell’editoria giornalistica in particolare, con gravi perdite sotto gli aspetti sia diffusionali che di pubblicità. Questa situazione di grande difficoltà, equiparabile e, se possibile, anche peggiore di quella più generale che

ruolo che ricopro. Partendo dai dati sul trend della stampa quotidiana e periodica gli stessi confermano una situazione di profonda crisi di tutto il settore in generale e dell’editoria giornalistica in particolare.

della media europea. Anche la capacità di spesa delle famiglie, marker fondamentale per l’acquisto di prodotti editoriali, soprattutto quotidiani, è tornata ad essere quella di prima dell’inizio della guerra del Golfo.

coinvolge l’Italia, induce ad un approccio programmatico, da parte di tutti i players, diverso rispetto agli altri modelli di business tradizionali. Ma tale approccio non potrà esclusivamente riguardare gli Editori ma dovrà riguardare anche gli stessi fruitori

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dell’informazione, affinchè possa essere confermato il binomio tra buona cultura e buona informazione requisito fondamentale per le democrazie moderne. Per questi motivi risulta oltremodo necessario l’avvio di un nuovo modo di fare editoria giornalistica. Le società editoriali devono avere la forza di affrontare questo profondo cambiamento cercando di valorizzare il mezzo tradizionale d’informazione, che tuttora rappresenta comunque ancora il 90% del fatturato, e i nuovi media digitali, riuscendo ad ottenere le risorse sufficienti a sostenere i costi della produzione e, in prospettiva, a compensare la costante perdita di redditività. La necessità di modificare gli asset e le strategie imprenditoriali, conseguenza ineludibile delle difficoltà del settore, devono corrispondere ad un reale cambiamento finalizzato a sfruttare al meglio le nuove Alessandro Serrau opportunità. La certezza di avere più fruitori del mezzo informativo ma di converso meno ricavi non deve pregiudicare l’autorevolezza e la qualità dell’informazione. Le stesse società editrici hanno già dimostrato, nella loro storia, una grande sensibilità e un’inaspettata capacità di affacciarsi positivamente al cambiamento, dimostrando, altresì, di credere nelle novità e di volerle considerare come un’opportunità e una sfida.

Gli editori piccoli e grandi hanno riorganizzato, hanno ristrutturato e in alcuni casi anche investito, certo sulla multimedialità in primis ma non tralasciando comunque anche gli altri aspetti del loro business, quali le nuove frontiere dell’advertising e modificando i tradizionali canali diffusionali. Siamo sicuri che tutto ciò non potrà bastare per risollevare il settore nel suo complesso. E in effetti in tanti si aspettano più aiuti governativi e molte sono le proposte al centro della discussione anche parlamentare, ma non dimentichiamo che per fare imprenditoria sono necessarie le idee e la passione e per fortuna in Italia e in generale in Europa, gli editori hanno sempre dimostrato di saper fare impresa e di assolvere a quello scopo, non secondario, di divulgazione della cultura e di diffusione dell’informazione il più possibile priva di condizionamenti. Il diritto di cronaca come libertà di manifestazione del pensiero è un diritto presente nella maggior parte delle Costituzioni degli stati Europei, è un patrimonio inestimabile e a cui nessuno potrebbe permettersi di rinunciare. *Direttore Personale e Organizzazione Gruppo Poligrafici Editoriale (QN, La Nazione, Il Carlino, Il Giorno e Monrifnet)

RAFFICA DI ASSUNZIONI

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iù di 6mila i nuovi assunti che si sono aggiunti al team Amazon per servire i clienti in tutta Europa nel 2014. Amazon stabilisce così un nuovo record di assunzioni dal 1998 e ora conta più di 32mila dipententi a tempo indeterminato. “La domanda dei clienti non è mai stata così elevata in tutta Europa e negli ultimi due anni abbiamo creato più di 10mila posti di lavoro”, ha affermato il gruppo.

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ECCELLENZE ITALIANE

FONDACO, IMPRESA E CULTURA

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reare un circolo virtuoso tra cultura ed impresa”. Con questo obbiettivo nasce a Venezia nel 2004 Fondaco, società privata che opera in tutta Italia. Superato l’approccio classico della sponsorizzazione e del mecenatismo, Fondaco propone alle aziende dei veri e propri investimenti culturali che legano il marchio d’impresa alla storia e all’arte. In questo modello l’impresa rafforza il marchio e l’identità aziendale, mentre la cultura trova inaspettate chance di rinascita. Dal restauro di siti architettonici alla realizzazione di eventi aziendali, dall’organizzazione di progetti culturali a progetti di licensing. Fondaco attiva percorsi che superano l’inerzia culturale e gli articolati iter burocratici per favorire l’interazione tra Imprese ed Enti Pubblici. Ognuna di queste attività viene studiata per essere in sintonia con la storia dell’Azienda, con la sua filosofia e quindi divenire un importate strumento di comunicazione ad alto contenuto culturale. Fondaco poggia la sua filosofia su due capisaldi, restaurazione e innovazione. “Restaur-azione”: valorizzare il patrimonio storico ed artistico per mettere in moto progetti di comunicazione nei quali capitale umano e capitale culturale trovano soddisfazione e convenienza, uniti dal reciproco interesse ed in forza di un rinnovato rapporto di partecipazione attiva e secondo logiche imprenditoriali che garantiscono il raggiungimento degli

obiettivi nei tempi prefissati e con costi certi. Restaurazione è ciò che le imprese possono dare alla cultura. “Innov-azione”: concepire l’impegno a favore del patrimonio culturale come etica d’impresa e veicolo promozionale tanto più efficace quanto più ancorato alle radici della nostra storia. Innovazione è ciò che la cultura può dare alle imprese. “Garantiamo l’unicità dei progetti, la qualità dei restauri, il tempo per la loro realizzazione ed il rispetto del budget a disposizione. Tutto ciò in forza di un rapporto “privatistico”. Lo spirito del nostro agire ruota attorno il concetto della partecipazione attiva in modo tale che le aziende, e con loro gli imprenditori, si sentano attori protagonisti attraverso il coinvolgimento diretto”, spiega Enrico Bressan, presidente del gruppo. Bressan (veneziano della città d’acqua) dopo una carriera nel mondo bancario, ha deciso di investire nella 1 sua città, proponendosi come imprenditore in questa nuova ed entusiasmante iniziativa. L’impresa prende il nome dagli storici Fondaci veneziani, che sin dal XIII secolo sono stati luoghi di scambio di merci, idee ed esperienze. Il loro modello operativo si sviluppa in una serie di capisaldi, iniziando dall’individuazione dell’opera da restaurare, la ricerca storica, il fundraising, il progetto di restauro con coordinamento e controllo in collaborazione con le istituzioni, per finire con la gestione dell’evento nei rapporti con la stampa, lo sviluppo grafico e la realizzazione di eventi aziendali. (ReNF)

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PHOTOGALLERY

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Chiesa degli Artisti Piazza del Popolo - Roma (restauro degli affreschi della sacrestia)

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Basilica di S. Maria degli Angeli - Roma Statua S. Giovanni Battista (realizzazione statua)

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Basilica di San Marco - Venezia Cappella Zen (restauro quattro profeti)

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Abbazia di San Gregorio “Gero Qua” - Canaletto (realizzazione progetto culturale ed espitivo)

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Ca’ Rezzonico Museo del ‘700 Veneziano (restauro della facciata)


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COSTUME & SOCIETĂ€

Matera Il riscatto degli ultimi (a pag. 38)

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DAI SASSI ALLA GLORIA

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a residuo preistorico a protagonista della cultura europea. E’ avvincente e affascinante il cammino percorso da Matera in meno di mezzo secolo. Un cammino magari accidentato che ha condotto la cittadina lucana a meritarsi il ruolo di capitale culturale continentale nel 2019. E ora comincia un nuovo percorso, di rivalsa rispetto a un passato che l’ha vista solo marginalmente presente nel paesaggio italiano, come tutta la Basilicata. “A Matera si respira uno straordinario clima di mobilitazione sociale a dimostrazione che con la cultura è possibile cambiare le cose”, spiega Salvatore Adduce, sindaco di Matera, “La partecipazione alla candidatura è stato un percorso entusiasmante e faticoso, nel quale hanno creduto fino in fondo tutti i cittadini”. Poi è arrivata la nomination nella shortlist e la presentazione del programma definitivo che ha coinvolto l’intera popolazione cittadina con fede e ardore. Un programma che ha visto scansare altre grandi città del paesaggio italiano, certamente non da meno di Matera. Evidentemente l’ “Open Future” lucano ha trasmesso un messaggio diretto sulla condizione di riscatto del Mezzogiorno. Matera rappresenta l’esperienza unica di una comunità che nel primissimo dopoguerra ha saputo affrontare la terribile questione dell’inabitabilità del suo territorio e la necessità di “svuotare” gli affascinanti ma invivibili Sassi. In meno di cinquant’anni il dilemma di Matera si è risolto positivamente, nel completo rispetto di quel grandissimo patrimonio storico dato dallo spettacolare sito rupestre, millenario esempio di equilibrio ambientale, donando nuova ospitalità a un’intera popolazione. Matera viene considerata la città del “rovesciamento”, la città che ha saputo sconfiggere la sua condizione negativa grazie alla cultura e ad un sapere antico. Un sapere che viene da lontano: Matera è abitata da 8500 anni, la terza città più antica al mondo dopo Aleppo e Gerico. La Basilicata, con Matera protagonista, annuncia all’Europa e all’Italia stessa che un altro Sud è possibile, mettendo alle spalle gli stereotipi di un Mezzogiorno piegato su se stesso ed in perenne attesa di assistenze. Era il 1964 quando Pierpaolo Pasolini sceglie di girare “il Vangelo secondo Matteo” nei Sassi di Matera. Il regista rimane affascinato dalla sua essenza ferocemente antica, come

di Katrin Bove

quella di Gerusalemme e rivede nella semplicità della città la situazione ideale per le scene del suo film. Un connubio tra storia e bellezza naturale che fa dei Sassi e della profonda Gravina intorno un paesaggio unico al mondo,

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dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Pasolini visionò il territorio proprio negli anni in cui i Sassi erano disabitati per effetto di una legge che nel 1952 aveva sancito la “vergogna nazionale”. Le condizioni di vita degli abitanti di questi antichi rioni vennero considerate di urgente risoluzione, coattamente vennero spostati dalle “grotte” e trasferiti in nuovi quartieri. La situazione è descritta anche da Carlo Levi nel suo libro autobiografico “Cristo si è fermato ad Eboli”, dove lo scrittore denuncia le condizioni di arretratezza e indigenza di questi luoghi. Non sarà dunque solo la bellezza artistica di questa città a farne la vincitrice della cultura europea ma la capacità di inserirsi in un tessuto dinamico e di saper proiettare nel futuro il “prodotto” culturale. La dimostrazione di come si è in grado

di valorizzare il patrimonio culturale senza aggrapparsi alla mera rendita. Elemento fondante di questo successo europeo è stato il dossier di candidatura che ha espresso una forte “visionarietà” nel programma artistico con una concretezza estrema per quanto concerne gli strumenti finanziari. Città internazionale per abitanti e notorietà e molto reputata dal punto di vista urbanistico, tanto che nel 2004 Mel Gibson rende omaggio alla terra lucana girando interamente tra Matera e Craco (paese fantasma della provincia) il film “The Passion”. Oggi Matera può contare su flussi turistici che crescono al ritmo del 5% annuo e permettono di contare su 182mila presenze, per tre quarti italiani e per un quarto stranieri. La volontà di Matera non è quella di diventare una “Venezia del Sud”, però, ma soprattutto di attrarre altri abitanti, come ha saputo fare una delle due capitali della cultura europea 2014, la svedese Umea. Questa città, a dispetto della poco favorevole posizione geografica, situata a 700 km da Stoccolma, senza treni ad alta velocità, è riuscita grazie alle proprie qualità di offerta accademica e soprattutto tecnologica ad attirare giovani, imprese e talenti da tutta la regione baltica.

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Situazione simile per il piccolo “Gioiello italiano” che è situato in una regione povera di infrastrutture di trasporto. La città non possiede un aeroporto ne una stazione ferroviaria. “Con Matera2019 potranno esserci dei ritorni positivi in termini economici di indotto e d’immagine per tutto il nostro Sud, ma lo Stato dovrà impegnarsi per garantire, tra le altre cose, che tutti possano raggiungere Matera con una rete di trasporti adeguata “, così si pronuncia il presidente del Senato, Pietro Grasso, dopo la proclamazione di Matera.


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IL PRESEPE DI TUTTI

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nche quest’anno i Sassi di Matera hanno ospitato la V° edizione del Presepe vivente che si è tenuta dal 2 al 5 gennaio 2015. La magia di quei luoghi inalterati nel tempo con il loro caratteristico colore bianco e la loro suggestiva architettura, unica al mondo, ha fatto da sfondo alla più magica delle storie. Per Matera, neoeletta capitale europea della cultura per l’anno 2019, è stato il primo grande evento a livello internazionale che ha visto la partecipazione di migliaia di visitatori e la collaborazione di più di 400 persone, tra figuranti e rievocatori storici. Il percorso partiva da Piazza Vittorio Veneto (con ingresso dall’Arco del Rosario, in via San Biagio) per poi abbracciare entrambi i rioni Sassi (Barisano e Caveoso) e snodarsi lungo le vie principali della citta’ vecchia (Via Fiorentini, Via Madonna delle Virtù, Porta Pistola, Piazza San Pietro, Rione Malve con uscita da Rione Casalnuovo). La prima parte del tragitto, prevalentemente scenografica, è stata affidata al Gruppo Storico Romano, che con i

suoi 60 figuranti ha ricreato scene tipiche del mondo militare dell’antica Roma: l’accampamento militare, la scuola dei gladiatori, le danzatrici, il senato, la domus e il castrum. Nella seconda parte, invece, dedicata al presepe vero e proprio, i 50 figuranti della Pro Loco di Rionero in Vulture (PZ) hanno dato vita alle scene dell’Annunciazione e della Strage degli Innocenti, le vere novità di questa edizione, mentre i 200 figuranti delle Pro Loco di Crispiano (TA) e Barile (PZ) hanno messo in scena la Natività nel Rione Casalnuovo dei Sassi. Il tema di quest’anno “Segui la stella cometa”, è stata l’occasione ideale per predisporre lungo tutto il tragitto una scenografia luminosa che conduceva gli spettatori fino alla grotta della Natività, sulla quale è stata montata una stella cometa di quattro metri di diametro che, insieme al gioco di luci allestito sull’Altopiano delle Murge, ha conferito al Presepe vivente di Matera, il più grande al mondo, un fascino unico e inimitabile. “Dopo la nomina di Matera Capitale della Cultura per il 2019”, avvenuta lo

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di Germana Loizzi

scorso 17 ottobre - ha dichiarato Salvatore Adduce Sindaco di Matera - la nostra città sta vivendo un momento di grande rinnovamento, con l’obiettivo di rendere finalmente protagonista in Europa una città del Sud Italia: un miracolo che solo la cultura può fare”. “Il Presepe Vivente - ha dichiarato Luca Prisco, direttore del Comitato Promotore del Presepe Vivente - con i suoi 400 figuranti e i 5 km di itinerario tra i Sassi è ad oggi il più grande del mondo. Siamo fieri quest’anno di presentarlo come primo grande evento culturale di livello internazionale che apre la strada verso il 2019. Il percorso che abbiamo organizzato evidenzia le bellezze storiche e naturalistiche della nostra città che è la terza più antica del mondo. Non a caso è stata protagonista in passato di film come “The Passion” di Mel Gibson e de “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, di cui ricorrono i 50 anni, e continua a essere location di grandi produzioni, come quella del remake di Ben Hur con Morgan Freeman che sta prendendo il via in questi giorni”.


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UN GIOIELLO DI DONNA

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iù che semplici (si fa per dire) goielli, crea delle vere e contribuito sempre a esaltarne il valore, il fascino e l’eleganza. proprie opere d’arte. Lui, Enrico Morbidoni, oroglio“La mia passione - racconta - nasce nella primissima infanzia, samente figlio della Città dei Due Mondi, è lo stilista quando curiosavo nello studio del mio vicino di casa, un nonchè il proprietario dell’azienda “Spoleto Gioielli” che da maestro orafo. Fu una sorta di folgorazione. E’ da quell’espepiù di dieci anni produce gioielli rienza infatti che nasce la consaartigianali di altissima manifatpevolezza che quell’arte poteva estura, pezzi unici, pensati, disesere mia. Di lì all’assecondare il gnati e realizzati da lui stesso, desiderio di fondare un’azienda gemmologo nonchè gioielliere dal tutta mia per avere la libertà di notevole talento. La sua è una produrre le mie creazioni, il passo vera e propria vocazione all’arte è stato breve”. orafa, che lo porta a scegliere perIl suo è uno stile sobrio e raffisonalmente le singole pietre, prenato, imprevedibile negli accostaziose o semipreziose, avendo già menti cromatici, “esagerato” nelle in mente il prodotto finale. dimensioni, ma comunque dalla “Creazioni - spiega Morbidoni fortissima personalità e dalla imche vengono fatte per soddisfare prescindibile impronta autoriale. la personalità di chi poi le indosLe sue gemme non vengono mai serà, magari come speciale finisottoposte ad un eccessivo protura-collare su un abito da sera”. cesso di lavorazione, per non alE’ così che nascono i suoi gioielli, terarne le caratteristiche morfodi insolita grandezza e forma, prologiche ed energetiche. Gli dotti in limitatissima serie o in incastri perfetti sfidano la gravità pezzi unici. e danno vita a dei divertissement Come lo stesso Morbidoni sottosenza tempo, che rendono queste linea, dunque vere e proprie creazioni dinamiche e polifunzioopere d’arte da indossare. Ogni nali allo stesso tempo. donna ha il suo gioiello ed Enrico Così nasce la serie delle “MutaMorbidoni sa capire sempre qual zioni” dove anelli diventano bracè quello giusto per ogni carattere ciali, spalline diventano collane, e per ogni occasione. Lo sanno i castoni si aprono e le gemme si bene le star e le Vip di mezzo alternano a seconda dello stato mondo che ormai adorano le sue d’animo, dell’umore o della vocreazioni esposte nelle migliori Enrico Morbidoni a Shangai durante la presentazione dell’ul- lontà di chi le indossa. Pochi semtima preziosa collezione con il suo partner del posto. Una mo- plici gesti trasformano un ciongioiellerie del Pianeta. La sua esperienza nel settore lo della con una collana gioiello applicata ad un abito da sera. dolo in un anello, una spallina in ha condotto a sperimentare solu- Altre due creazioni: un anello e una collana. una cintura. zioni innovative per rendere le sue L’attenzione ai dettagli, la perfecreazioni sempre al passo con i tempi e con le esigenze del zione tecnica, il design innovativo caratterizzano tutti i prosuo vastissimo pubblico. Con la sua arte egli regala soprattutto dotti della Spoleto Gioielli. emozioni. Profondo conoscitore dell’universo femminile, ha “Provare - conclude Morbidoni - per credere...”. D.M.

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MUSICA PER ROMA,

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a stagione di un Centro internazionale per lo spettacolo dal vivo è molto più affascinante di una pinacoteca di personaggi celebri. E anche di un granitico pensiero filosofico. E’ un organismo vitale, moderno, complesso, in continuo aggiornamento. Il programma di appuntamenti di Musica per Roma è uno dei più avanzati esempi di questo sistema evolutivo. Anno dopo anno, per una dozzina di anni di seguito, la Fondazione ha costantemente rigenerato idee, energie, proposte per offrire al pubblico la più vivace effervescenza artistica e culturale nel panorama contemporaneo. Tradizionalmente, per comodità espositiva, il programma stagionale è diviso in quattro sezioni. Ma gli scambi e le intersezioni tra l’uno e l’altro genere sono continui. Spesso eventi musicali si intersecano con attività teatrali, artistiche e culturali. E performance di natura scenica, letteraria o visuale presentano contiguità con il mondo delle sette note. Si rinnova (con qualche eccellente conferma) il parterre di artisti internazionali che si esibiranno sui palcoscenici del Parco della Musica: Sarah Jane Morris, Anastacia, The Musical Box, St. Vincent, Einstürzende Neubaten, Dave Holland e Kenny Barron, Dee Dee Bridgewater, Plaza Francia, Ute Lemper, Giovanni Sollima, Anthony Strong Band, Bireli Lagrene, Tuxedomoon, Med Free Orkestra, James Taylor, Stacey Kent, Marcus Miller, Jackson Browne, Renzo Arbore, Fiorella Mannoia, Chiara Civello, Brad Mehldau, Joshua Redman, Gino Paoli e Danilo Rea, Francesco Renga, Nathalie, Arisa, Brunori SAS. L’edizione 2015 del festival di Villa Adriana proporrà anche quest’anno spettacoli di musica, teatro e danza nella meravigliosa cornice del Sito Unesco di Tivoli. Tra gli eventi previsti, l’ultimo spettacolo del curatore artistico di Equilibrio, Sidi Larbi Cherkaoui. Il coreografo ha inoltre selezionato per il Festival della Nuova Danza di febbraio artisti quali Lloyd Newson che arriverà a Roma con il suo DV8 Physical Theatre, Luca Silvestrini - British Dance Award 2011 - con la sua compagnia Protein dance. Emozionante ritorno al balletto classico, poi, in compagnia delle stelle del New York City Ballet per un tributo al geniale coreografo Jerome Robbins. La stagione Contemporanea, da parte sua, offrirà un campionario completo di incroci “a schema libero” tra i generi.

Grandi musicisti incontreranno grandi interpreti, grandi giornalisti, grandi attori. Tra gli altri, Ute Lemper, Peter Eötvos, Kajia Saariaho, Tristan Murail, Paolo Fresu, Giovanni Sollima, Iannis Xenakis, Diego Osorno, Attilio Bolzoni, Marco Baliani, Francesco Lotoro, Maurizio Ferraris. Appuntamento tra i più attesi (ed affollati) in ambito cultu-

rale, Libri Come, il Festival del libro e della lettura, “invade” tutti gli spazi dell’Auditorium per una kermesse a base di lectio magistralis, dialoghi, tavole rotonde, reading e spettacolazioni, dedicata questa volta al racconto dell’esperienza formativa per eccellenza: la scuola. Testimonial attivi già in

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GLI APPUNTAMENTI programma: Emmanuel Carrère, James Ellroy, Alessandro Baricco, Alessandro Bergonzoni, Massimo Recalcati. Altro eccellente esempio di appuntamento multidisciplinare, il Festival delle Scienze attrae migliaia di spettatori per la profondità dei temi trattati (quest’anno “L’ignoto”) e la accessibilità alla divulgazione degli stessi. Le conferenze più

autorevoli sono infatti alternate da incontri ravvicinati, exhibit, spettacoli, installazioni ludiche. Tra le star del mondo scientifico (e non) in programma: John Barrow, Melissa Franklin, Jeff Leek, David Hand, Manuel Castells, Simon Critchley, Peter Ludlow, Edward Frenkel.

di Massimo Pasquini* Il ciclo delle Lezioni, autentiche officine culturali del programma annuale rappresentano una sorta di Accademia del sapere, in forma di spettacolo. A partire dalle celeberrime Lezioni di Storia, quest’anno dedicate al tema del Viaggio, con la partecipazione, tra gli altri di Eva Cantarella, Andrea Carandini e Barbara Frale. Novità dell’anno, le due Lezioni di Giallo – Crime Time, curate da Giancarlo De Cataldo, che, attraverso racconti, musiche e immagini, entreranno nel vivo dei meccanismi della letteratura poliziesca. Le 12 Lezioni di Rock in programma accompagneranno i fedelissimi spettatori in un viaggio attraverso la storia della canzone italiana e all’interno della vicenda artistica di alcuni grandi personaggi del mondo del rock. Le Lezioni di Musica proposte da Giovanni Bietti verteranno sulle Sinfonie di Beethoven, illustrate da autorevoli giornalisti, musicologi, compositori, così come le Lezioni di Jazz curate da Stefano Zenni consentiranno viaggi all’interno dei capolavori, approfondimenti, ritratti e guide all’ascolto. E, in tema di ascolto, prosegue la rassegna dedicata all’approfondimento del tema della riproduzione del suono. Le Lezioni di Ascolto consentiranno di “godere” dei suoni ad alta risoluzione. Per le Lezioni di Arte, un altro viaggio, questa volta alla scoperta delle piazze di Roma, in compagnia dei massimi esperti: Anna Lo Bianco, Antonio Paolucci, Giorgio Muratore, Anna Ottani Cavina, Claudio Strinati, Franco Purini. E infine la serie indiscutibilmente più godibile, in tutti i sensi: per le Lezioni di Cucina Carmelo Chiaramonte intreccia i le prelibate degustazioni con i racconti e gli incontri con altri esperti e, questa volta, le abbina con alcuni dei principali format in programma. Anche il mondo dell’arte nella stagione di Musica per Roma accosta temi, personaggi, generi e tecniche diverse. La mostra Gianni Berengo Gardin – Elliott Erwitt. Un’amicizia ai sali di argento mette a confronto due grandi interpreti della fotografia in un percorso incrociato di stili, con i provini delle più importanti immagini dei grandi fotografi e una ricostruzione del loro studio. La Ecco, Musica per Roma vuol dire spettacolo per tutti. Al di là dei singoli generi, all’interno del complesso dei generi. Dall’1 gennaio al 30 giugno 2015, una sinfonia di suoni e immagini, parole e suggestioni, primizie e capolavori. *Responsabile Ufficio Stampa Fondazione Musica per Roma

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COSTUME & SOCIETÀ

EROS A PARIGI

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a chi l’ha detto che l’amore si fa col cuore? Ciò che letterati e poeti hanno evocato per secoli come sede del sentimento cede il passo alla fantasia degli artisti che si sono sbizzarriti nel riprodurre parti più pruriginose del nostro corpo dando loro significati paradisiaci. Sesso ed erotismo come parafrasi di quelle virgolette tra le parole ‘ti amo’ che Cyrano declamava alla sua bella Rossana e che oggi Parigi riscopre in un’altra dimensione artistica. D’altronde proprio Parigi è da sempre la capitale della lussuria, a partire dal mitico ‘can can’ che tanto estasiava i nostri nonni. Questa volta sono due importanti istituzioni culturali a focalizzare la lente d’ingrandimento su un tipo particolare di arte, quella erotica, offrendoci visioni e culture diverse a seconda delle epoche e delle collocazioni geografiche. A cominciare dal kamasutra indiano, vero e propria enciclopedia del piacere riassunto in una quantità di posizioni che non conoscono limiti, se non quelli della fantasia. E’ la Pinacothèque di Place de La Ma-

deleine a farci fare un lungo viaggio tra bassorilievi, miniature e sculture lignee provenienti dai templi indù dove la pratica dell’amore era illustrata con dovizia di particolari così come nelle nostre chiese i racconti del Vangelo. D’altronde per il saggio Vatsyayana, che nel III secolo aveva pensato bene di spiegare come funzionano le faccende sessuali, il piacere era una condizione indispensabile all’armonia tra uomo e donna, terzo passo fondamentale verso la liberazione suprema dello spirito. E allora perché rinunciare a quelle fantasie che permettono di rinnovare continuamente il piacere, senza il pericolo di cadere nella noia? Per la verità nei giochi dell’estasi, vere e proprie lezioni d’amore impartite in maniera quasi epica, niente è escluso, neanche l’omosessualità, considerata come un aspetto naturale della vita erotica. Persino gli accoppiamenti con gli animali vengono contemplati, dal momento che gli dei, astuti e libidinosi, spesso si trasformano in elefanti, tigri o volatili, per possedere qualche bella fanciulla, la quale, comunque, si

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di Valeria Caldelli abbandona volentieri alla passione. Per non parlare dei consigli impartiti al fine di convincere una moglie riottosa o concupire la donna di un altro uomo e viceversa. Nessun conformismo ha dunque messo i veli a quelle immagini che nei templi dovevano spiegare a tutti una materia così ‘sensibile’. Nella mostra ‘Le Kama Sutra: spiritualité et erotisme dans l’art indien” il sesso appare dunque in tutte le sue angolature, spesso sottolineato da organi spropositati, tanto per chiarire il più possibile che è proprio da lì che passano non solo le passioni, ma anche i sentimenti, insieme a tutte le forze rigeneratrici della natura. Fantasioso, acrobatico e persino grottesco, ma, ahimé, senza neanche una punta di quell’erotismo che voleva evocare, più bizzarro che osceno, così trasparente da non provocare turbamenti, ma solo sorrisi. I loro ‘nipotini’ oggi abitano a Bollywood, da dove continuano ad inviarci messaggi ‘zuccherati’ di unione tra sacro e profano. Turbamenti ben più sensuali evocano le geishe del Giappone in una seconda


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esposizione della Pinacothéque di Parigi. Le opere esposte oggi nella mostra “L’art de l’amour au temps des Geishas”, non sono mai state visibili a tutti, ma piuttosto tenute sempre nascoste, appannaggio solo di alcune classi sociali nel paese del Sol Levante e di collezionisti privati nell’Europa ottocentesca. Immagini troppo lascive e sensuali per poter essere lasciate al pubblico, tanto che per la prima volta vengono esposte oggi a Parigi. D’altronde dietro il mondo delle geishe non c’è nessuna filosofia o religione, ma solo il piacere fine a se stesso, una visione edonistica della vita in contrasto con la rigida morale dei Samurai e propria, invece, di una borghesia rampante. Mai i protagonisti dell’arte erotica giapponese sono completamente svestiti: tratti dei loro corpi si intravedono attraverso il drappeggio di lussuosi kimoni aprendoci ad un mondo di delizie corporali che, se non è certo avaro di particolari anatomici e posizioni sessuali, è tuttavia unito a gesti e sguardi audaci che rendono sensuali quegli incontri clandestini. Un erotismo rivolto unicamente alla soddisfazione dei piaceri dell’uomo e quindi, proprio per questo, voluttuoso e contagioso. E le cortigiane dal volto di porcellana finiscono per diventare principesse da sogno, raffinate signore e sovrane di ciò che sarebbe permesso solo pensare ma che invece miracolosamente diventa vero. In questo viaggio nell’universo erotico di tutti i tempi l’Europa gioca il ruolo più perverso. E sono artisti come Delacroix, Rodin, Goya, Degas, Cezanne e Picasso a mostrarci l’immostrabile diventando gli eroi della liberazione dell’immaginario sessuale. “Sade. Attaquer le soleil” è il titolo della mostra in

atto al museo d’Orsay che guarda l’amore attraverso il libro più maledetto in pubblico ma da tutti conosciuto in privato. Un romanzo, quello del marchese de Sade, che racconta delle leggi crudeli del desiderio, della filosofia del “tutto è buono quando è eccessivo” , leitmotiv delle “120 giornate di Sodoma”. Violenze, orgasmi che si trasformano in crimini, una drammatizzazione dell’erotismo che neanche oggi, a duecento anni dalla morte di Sade, lascia tranquille le nostre coscienze. La mostra ci trasporta nei bassifondi dell’inconscio, ci racconta di quelle passioni crudeli e inconfessabili che ci trasformano in mostri, ma che pure rappresentano uno dei volti del genere umano. “Amare o gioire sono cose molto diverse”, scriveva Sade. “Ne è prova il fatto che si ama tutti i giorni senza gioire e che si gioisce ancora più spesso senza amare”. Non a caso il nome dell’audace marchese è diventato sinonimo di crudeltà, violenze e perversioni. L’ esposizione del museo d’Orsay ci trasporta dunque nel mondo dei cattivi pensieri, mostrando attraverso questi come il XIX secolo ci abbia condotto a scoprire l’immaginario dei corpi per individuare nel desiderio un grande inventore di forme. Dunque, una carrellata di grandi firme, fino al surrealismo di Ernst, Masson e Man Ray, in una sfida per rappresentare l’irrapresentabile. Libertà e moralità dal punto di vista del pennello in una rilettura della storia dell’arte che non manca di sorprese. Affascinanti, certamente erotiche, spesso maledette. Tanto che i curatori della mostra hanno scritto all’ingresso questo avvertimento: “La natura violenta di alcune opere e documenti può scioccare alcuni visitatori”.

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SELFIE D’AUTORE

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di Donatella Miliani

’ UNA MODA-MANIA che impazza tra le star ma soggezione dei grandi Burri, non vivere come una musica le non solo. Finora però nessuno aveva mai pensato di sale della battaglia. E Pistoletto? E Penone? E Warhol? utilizzarlo per promuovere l’arte e la cultura. L’iniziativa Inutile fare l’elenco, è così vasto! E per questo - continua attuata alla Galleria nazionale d’Arte Moderna di Roma #selfiedautore che vede partecipare personaggi del mondo del cinema, del teatro della musica e non solo, ha colto talmente nel segno da suscitare l’attenzione anche dei media internazionali. Un’idea promossa dall’Associazione Amici della Gnam, di cui è presidente Maddalena Santeroni. Come è nata? “Entrare alla Gnam è un’esperienza indelebile. Ancora oggi - dice SanteSelfie di gruppo con Fiorella Mannoia, Cinzia Tani, Maddalena Santeroni e lo Stilista Antonio Grimaldi roni -, mi stupisco sempre della sensazione di bellezza, di accoglimento e di grandezza che le sue abbiamo creato un contest che avesse il compito assoluto di sale emanano. attirare i giovani, i meno giovani e chiunque si voglia E di contro ancora oggi scopro quante persone non conoscono divertire con l’arte e con il sé”. L’arte è stata definita in molquesto splendido antro fatto da grandi artisti, fatto dalla patissimi modi, ma il denominatore comune resta sempre il sizienza di chi si è succeduto alla guida della Gnam, fatto da lenzio e il misticismo.” Vero, ma per una volta - sottolinea tutti gli “oh” e gli “ah” di chi finalmente arriva e si scopre afferriamola con divertimento, consumiamola come una paproprietario di un grande museo. Sì, proprietario…i musei sticca da sciogliere in bocca rapidamente e viviamoci con lei, sono nostri, sono il nostro patrimonio culturale; siamo così divertendoci! Insomma, venite e fatevi un selfie alla Gnam, abituati alla bellezza che molto spesso la dimentichiamo in abbiamo proposto. Ed è stato subito un successo”. un angolo della nostra mente, invece dovremmo tirarla Beh, vedere Fiorella Mannoia, Alessandro Preziosi, Ermanno sempre fuori dai nostri cuori. Impossible entrare ed ignorare Olmi, Gigi Diberti, Angelo Bucarelli, Beppe Convertini, il grande pavimento a specchio di Alfredo Pirri, non avere Cinzia Tani, Antonio Grimaldi e tanti altri personaggi fare

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da testimonial all’iniziativa deve aver contribuito e non poco. “Sì, sono alcuni degli amici che hanno aderito con sincera simpatia”. “Ho partecipato con entusiasmo racconta Alessandro Preziosi -. Farmi un selfie in Galleria è stato un piacere”. “L’arte deve convivere con noi, ed io me la sento addosso, proprio qui in questo luogo eccezionale” il commento di Beppe Convertini. “Warhol un artista di rottura, non so definirlo meglio, ed eccomi di fronte a lui” ha detto l’attore Luigi Diberti scattando il selfie. “Che posto meraviglioso! Canterei” la frase di Fiorella Mannoia. “Qui tra arte e creatività, la mia vita!”, la battuta di Antonio Grimaldi. “Ma al di là dei testimonial - conclude la presidente dell’Associazione Amici della Gnam - ciò che ci sta dando grandi soddisfazioni è la larga partecipazione dei giovani, tantissimi, che vengono con entusiasmo a realizzare il loro selfie d’autore scoprendo la Gnam e le splendide opere d’arte moderna che contiene. Quello che viene immortalato è il piacere di stare di

supporti tecnologici. Inoltre una giuria selezionerà tra le foto più votate (il selfie può essere anche una composizione di immagini scattate davanti a una o più opere presenti in Galleria, quelle per realizzare un video da pubblicare sul canale GnamVideo. I selfie vanno inviati a Gnam.contest@gmail.com

A sinistra la Presidente dell’Associazione Amici della Gnam Maddalena Santeroni In basso l’attore Alessandro Preziosi

fronte a un quadro: il selfie rappresenta il fenomeno attuale di volersi riprendere e testimoniare quella emozione. In un periodo di forte crisi e tagli per musei e istituzioni culturali, l’hashtag significa un modo per diffondere il patrimonio culturale, scoprendo un museo divertendosi!”. Le 50 foto con più “mi piace” saranno selezionate da una giuria che premierà i cinque selfie più originali in febbraio. Gli autori riceveranno degli smartphone e altri

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LE INCISIONI D TULLIO

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l liceo faceva le caricature degli insegnanti che poi pubblicava sul giornalino della scuola. La satira politica è poi diventata una delle sue principali ‘vene’ artistiche, ma non certo l’unica. A quell’ innato talento di ‘scavatore’ di animi che Tullio Pericoli si porta dietro fin dalla fanciullezza si sono aggiunti altri linguaggi con cui cerca sempre nuovi approfondimenti, dai ritratti di poeti e scrittori a personaggi quasi fiabeschi che evocano miti antichi, da oggetti in movimento che popolano tavoli ingombi di tutto a paesaggi dalle cadenze morbide, quasi mappe misteriose. C’è tutta la sua storia nella mostra ‘Le incisioni di Tullio Pericoli’ aperta al Museo della grafica di Palazzo Lanfranchi a Pisa fino al 15 marzo. Un percorso che comincia dai primi anni ‘80 e attraverso un centinanio di opere, racconta i momenti e i temi della ricerca del pittore e disegnatore marchigiano, una delle voci più note e autorevoli nel panorama artistico contemporaneo. -Graffiante, ma nello stesso tempo romantico. Ce lo dice come è veramente Tullio Pericoli’? “Un’artista che ha impegnato la sua matita ad attraversare i territori più disparati, scoprendo zona dopo zona. Nei volti dei politici si può trovare in effetti una punta di veleno, ma in quella satira non c’era alcuna intenzione di fare politica. Semmai volevo capire quanto il mio segno potesse incidere sul fare politica. Nei ritratti degli scrittori, invece, non c’è satira. Se sono ‘aguzzi’ è solo perché ho cercato di scavare nel loro carattere. Nemmeno

mi ritengo un paesaggista. Semplicemente ho cercato di usare varie forme espressive, di parlare più lingue. Per me è stato molto bello, ma capisco che un osservatore possa confondersi. Questa è un po’ la mia disperazione”. -Nelle sue opere ci mette più testa o più cuore? “Entrambe le cose, immagino, visto che sono difficilmente separabili. La parte razionale è mescolata alla parte istintiva, all’immaginazione, cioè a quella che un tempo si chiamava ispirazione. Se poi le immagini contengono un concetto, questo arriva in un secondo momento. Per quanto mi riguarda io preferisco lasciare che le immagini esprimano quello che pensano autonomamente, senza guardarle prima che sboccino sulla tela. Quindi ogni opera contiene un conflitto tra le immagini che prendono una direzione e l’autore che invece vuole

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dargliene un’altra. E in questo processo non dobbiamo dimenticarci la mano. Perché anche la mano ha la sua mente”. -Proprio recentemente è stato pubblicato per Adelphi il suo libro ‘Pensieri della mano’ . Dunque anche la mano ha la sua ‘sapienza’? “Non ho dubbi. Già Kant diceva che la mano è la finestra della mente. E infatti questa agisce con una propria autonomia rispetto al suo proprietario. Ha dei vizi, delle esperienze, una gestualità propria, un ricchezza che gli arriva da qualche parte ma che non sottomette al proprietario della mano. Il gesto casuale, puro, non esiste. Nella mano c’è una sapienza, e insieme, a volte, il peso della sapienza”. -Lei si sente arrivato o pensa di dover ancora imparare? “Devo ancora imparare moltissimo. E più si aprono strade e più provo ad andare in una certa direzione, più ne vedo altre da percorrere”. -Dove sta andando l’arte? “Non mi piace prevedere


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il futuro. Forse la moda si può anticipare, l’arte no, perché deve riflettere su se stessa e guardare quello che hanno fatto gli altri artisti” -Lei più volte si è definito un ‘ladro d’arte’.... “L’arte nasce sempre da altra arte. E’ come una lunga catena che non si rompe mai. L’arte di oggi è il prodotto di quella che l’ha preceduta, o di quella di un altro continente. Ciò che ci precede non è un peso, ma una ricchezza. Io, comunque, sono un ladro dichiarato. Mi piace rubare, ma rubare mattoni da una casa serve a farne un’ altra più bella, serve ad arricchire quella vecchia”. -Ha imparato da solo a dipingere o qualcuno le ha insegnato? “Dipingere e disegnare mi piaceva così tanto che alla fine era diventato un pericolo per il mio andamento scolastico. Tanto è vero che un anno sono stato persino bocciato. Il fatto era che il pomeriggio andavo a lezione da un pittore segretamente da mio padre, il quale, quando lo ha saputo, si è arrabbiato moltissimo. Ma questo non bastò a farmi smettere”. -Dipingere per lei è terapeutico? “Ci sono momenti belli ed esaltanti, ma non c’è liberazione se prima non c’è stato un passaggio che dà emozione e ansia. Questo può essere anche doloroso”. -Genio e sregolatezza dell’artista? “Per carità! Per me, anzi, è importante la pazienza. Io sono molto metodico: la mattina leggo e il pomeriggio lavoro. Sempre. Niente a che fare con la sregolatezza...” V.C.

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MODA, DA FIRENZE A MILANO

di Allegra Contoli

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i è conclusa venerdì 16 gennaio l’edizione numero 87 di Pitti Uomo, la kermesse di moda maschile che è sbarcata a Firenze con le collezioni dell’autunno/inverno 2015/2016. E poi via, direzione Milano con sfilate ed eventi. Tantissime le tendenze presentate durante Pitti, sempre più dinamico grazie anche al mood di quest’anno: WalkAbout Pitti. Perché camminare fa bene, «per vedere, pensare e assaporare il mondo, da soli o in compagnia» come afferma Agostino Poletto, vicedirettore generale di Pitti Immagine. E mai come ora è necessario non rimanere fermi ma continuare ad andare avanti, a testa alta, forti delle proprie idee e del proprio valore. E i dati di Pitti confermano il desiderio di positività, con record di partecipanti e ben 1119 espositori di menswear maschile provenienti da più di 30 paesi, 70 per Pitti W, il salone dedicato all’universo femminile e ancora tanti progetti da realizzare, grazie anche al piano di 2,3 milioni di euro

varato dal Governo per Pitti e per il Made in Italy. La moda maschile ha chiuso l’anno a + 1,2%, grazie soprattutto all’export che è cresciuto del +5,1% e anche il 2015 sembra essere iniziato bene, con un + 8,5% sulla richiesta di ordini da parte della clientela straniera per le collezioni primavera/estate 2015. E come sostiene Gaetano Marzotto, Presidente di Pitti Im-

magine, il 2015 «sarà ancora un anno volatile, però la fiducia degli italiani sta migliorando» anche se i consumi interni continuano a soffrire a -4,3%. Ma il 2015 è appena iniziato e, per ora, non poteva esserci partenza migliore. La Fortezza da Basso si è animata di

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colori, di profumi e di tanto ottimismo. Complice (forse) la sospensione di Bread&Butter Berlin, Pitti ha riconfermato la sua autorità in fatto di moda maschile, con importanti new entry e grandi progetti per il futuro. Grande novità è stata l’apertura della location degli Archivi, uno spazio di circa 800 m² che ha ospitato la sezione Unconventional, il progetto dedicato ai marchi luxury underground o l’area Born in the Usa, con marchi tutti rigorosamente americani. E si continua a parlare inglese, se si considera che quasi il 45% dei brand presenti in fiera quest’anno proveniva dalla Gran Bretagna, da sempre terra di grande tradizione sartoriale e dell’abito fatto su misura. A proposito di tailoring, l’eccellenza del Made in Italy spicca anche in questa edizione, con abiti sartoriali, di taglio classico, per un uomo che riscopre il valore senza tempo del capo fatto su misura. Dai modelli di Tagliatore, a quadri colorati con dettagli in raso, alle giacche in cashmere Zero Gravity di Tombolini, l’uomo sceglie l’eleganza ma l’arricchisce con dettagli urban chic ed una buona dose di colore. Giacche in Principe di Galles, camicie con fantasie forti e decise ma anche capi dallo stile street come felpe e jeans informali. E poi gli insostituibili: derby e sneakers e tanti, tanti accessori. Accanto ad abiti made to measure spiccano poi piumini e bomber hitech, realizzati in tessuti tecnici, per resistere alle temperature più rigide,

in tonalità accese come il blu elettrico o fluo come il giallo e l’arancio. Ma è lui il vero protagonista del prossimo inverno: il connubio, definitivamente consolidato, tra classico e sportswear. Dopo anni in equilibrio tra bon ton e casual, finalmente la fusione. Così l’abito si porta con le sneakers, sempre p i ù accessoriate e colorate e sì, nonostante in molti la dessero per sconfitta, anche con la cravatta. Cravatta che resiste agli attacchi e si impone prepotentemente a completamento del look, in tessuto lucido e anch’essa rigorosamente di fat-

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tura sartoriale. Immancabili gli accessori, abbiamo detto. E allora via libera non solo a scarpe e borse ma anche a cappelli, calze e pochette. A cavallo tra British style e classicità italiana, per un uomo che ama divertirsi e sentirsi ogni giorno diverso. Infine, la palette cromatica. Decisamente classica, di ispirazione autunnale con i toni del verde e del marrone che richiamano i colori del bosco e delle castagne, accanto a sfumature di blu che spaziano dal blu elettrico fino al blu cielo. Immancabili il nero, il cammello, il grigio ed il bianco. E poi è toccato a Milano, dal 17 al 20 gennaio, con un’edizione molto ricca, 40 sfilate, 36 presentazioni e 10 eventi in calendario. Dal 14 al 21 gennaio inoltre, proprio in occasione della Fashion Week maschile, in Via Montenapoleone è stata allestita una splendida mostra a cielo aperto dedicata all’universo Uomo con 27 fotografie realizzate dal Maestro Giovanni Gastel. Un grande omaggio alla moda, alla fotografia e all’arte.


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IL “CASO SORANO”

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uando il recupero di un importante patrimonio storicoartistico-ambientale può essere la premessa per nuove forme di sviluppo in un territorio la cui economia si reggeva tradizionalmente sull''unica gamba dell'agricoltura. Il “Caso Sorano” insegna qualcosa. Quasi venti anni fa, con il contributo determinante della Regione e con l'impiego anche di fondi europei, il Comune diede vita al primo parco archeologico della Toscana per un'estensione complessiva di oltre settanta ettari. Nucleo centrale: l'area

della necropoli rupestre di Sovana, dominata dalla Tomba Ildebranda, simbolo della civiltà etrusca e del suo insediamento nella zona. Poi le vie Cave, testimonianza straordinaria di civiltà lontanissime, vere e proprie tagliate nel tufo, forse utilizzate per riti funebri, piu' difficilmente come strade di comunicazione Le vie Cave sono una particolarità proprio dei territori di Sovana, Sorano e e Pitigliano e hanno pochissimi esempi del genere al di fuori di questo triangolo del tufo. Assieme alla necropoli etrusca e alle vie Cave fanno parte del parco archeologico la

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di Pierandrea Vanni necropoli di San Rocco, la Fortezza Orsini di Sorano con i suoi suggestivi camminamenti e con gli imponenti bastioni, e Vitozza, la <città di pietra>, con molti resti medievali e, in particolare, con quasi cento grotte-abitazioni, in parte abitate fino alla metà del 70 . La realizzazione del parco ha significato imponenti lavori di recupero, per esempio del complesso della Fortezza Orsini, considerato uno degli esempi piu' significativi di architettura medievale, ma anche di sentieri, segnaletica, staccionate e quanto altro ancora nelle aree di Sovana e di Vitozza. Con il parco si è aperta una stagione nuova per il turismo, fino ad allora limitato, in quanto a presenze, a non molti appassionati di archeologia, soprattutto stranieri. <Non abbiamo certo risolto i problemi del nostro territorio, che negli anni 60 e 7o ha subito una fortissima emigrazione soprattutto a causa della crisi dell'agricoltura, racconta Carla Benocci, sindaco di Sorano,ma certamente abbiamo potuto affiancare altre gambe a sostegno della nostra economia: appunto il turismo, l'artigianato e il commercio>. Nel giro di alcuni anni sono nati diversi agriturismi, è aumentata notevolmente la ricettività, piuttosto diversificata (alberghi ma anche affittacamere e bad end brekfast) la ristorazione è cresciuta in qualità e in quantità. ed è sorto un <villaggio> termale. Insomma il parco ha


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dato una bella spinta allo sviluppo di un turismo soprattutto culturale e ambientale e a diversificare il tessuto economico, pur non riuscendo ad invertire una situazione complessiva ancora negativa a causa delll'inarrestabile crisi dell'agricoltura collinare, del ridimensionamento sul territorio di una serie di servizi e di uffici pubblici, della paralisi dell'edilizia e della chiusura o del forte di ridimenionamento delle poche attività industriali presenti in aree vicine, come l'Amiata. Per non parlare degli effetti di una rete viaria in genere inadeguata e disagiata (problema che riguarda gran parte della provincia di Grosseto),della distanza dai grandi centri urbani e soprattutto della crisi economica. generale e generalizzata. I dati di alcune delle principali aree archeologiche della Maremma sono significativi per quanto riguarda in particolare il turismo culturale. L'antiquarium di Cosa (Orbetello) ha perso dal 2007 al 2013 il 4o per cento dei visitatori, la stessa percentuale dell'area archeologica di Vetulonia, mentre l'area

di Roselle ha perso il 38 per cento.. Il parco archeologico di Sorano-SovanaVitozza ha registrato una perdita meno accentuata, attorno al 30 per cento, e negli ultimi tre anni si è attestato sui 30-32 mila visitatori annui, contro i 19 mila di Roselle (dato del 2013) e i 9 mila di Vetulonia. <Bisognerebbe

chiedersi che cosa sarebbe accaduto in questi anni nel nostro territorio senza la presenza del parco archeologico, sottolinea Arturo Comastri , presidente della Pro Loco comunale ,e quanto ha contribuito alla nascita e alla crescita di un indotto che non riguarda solo le attività turistiche, come dimostra, per esempio, la crescita in questi anni la crescita della mostra mercato di agosto a Sorano, ma anche rievocazioni storiche

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come, solo per fare un esempio, la cena medievale a Castell'Ottieri>. La scelta venti anni fa di realizzare il parco archeologico si è rivelata strategica per il comune di Sorano, come è strategica per l'intera Maremma, culla degli etruschi che hanno lasciato straordinarie testimonianze della loro civiltà. <Ma adesso il parco va rilanciato ricorrendo soprattutto alle nuove tecnologie e all'informatizzazione, dice il sindaco Benocci, e tenendo conto che con lo scioglimento degli Apt (aziende di promozione turistica) e lo svuotamento delle funzioni fino ad ora attribuite alle Province, la promozione ricade praticamente solo sui Comuni che, notoriamente non hanno risorse Anche questo è un grosso problema>. E da Sorano riparte una proposta lanciata anni fa agli altri comuni delle colline del Fiora (Pitigliano e Manciano): mettere assieme tutto il patrimonio storico,artistico e archeologico dell'intero territorio realizzando così un inedito circuito in termini di quantità e di qualità, insomma un grande museo all'aperto sotto il segno degli etruschi.


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I COLORI DELLA MODA

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rasforma faggio, ortica e bambù in tessuti e poi crea delle autentiche opere d’arte da indossare. Lui è Claudio Cutuli e le sue sciarpe e stole sono un must nelle migliori boutique del mondo. Capi, quella della linea cutulicult in particolare, da custodire e tramandare di generazione in generazione, proprio come gioielli di famiglia. Perché i suoi scialli, le sue stole e le sue sciarpe rifuggono da tutto ciò che è massificazione, non per snobismo, ma perché creati per durare privilegiando tessuti nobili lavorati interamente a mano su antichi telai di famiglia e tinti con selezionate e ricercate materie prime provenienti dal mondo vegetale, animale e minerale (tra questi anche la celebre cipolla di Tropea sua città natale). Claudio Cutuli è nato in Calabria da una famiglia di tintori e tessitori da almeno cinque generazioni. Un nome ormai consolidato nel settore della moda tanto da essere apprezzato dai migliori negozi italiani, europei e asiatici. Terminati gli studi è passato a occuparsi con passione dell’azienda di famiglia. Ma il feeling con l’Umbria, “galeotta” fu l’Università di Perugia dove si è laureato al Ctf, lo convince che il luogo ideale come quartier generale della sua azienda è proprio l’Umbria. Prima Foligno e Trevi poi Bevagna. “ Un borgo bellissimo, incantevole - dice -. Qui ho trasferito definitivamente tutto a pochi passi dalla splendida piazza centrale. Quale luogo migliore per ispirarsi e creare?” Ed è da qui che il suo brand diventa un qualcosa di irrinunciabile nel mercato del lusso, del bello. “ Oggi i nostri capi sono presenti in circa 600 dei migliori tempi della moda nel mondo in diversi continenti: Asia, Europa,

America, Cina, per un venditore di sciarpe è un bel risultato mi creda”. Tante le capitali del fashion che mostrano in vetrina gli esclusivi capi creati da Cutuli: Los Angeles, Parigi, New York, Milano, Roma ovviamente, Mosca, e poi Pechino, Londra, Monaco, Toronto, Tokyo e tante altre. È proprio con il Giappone potrebbe realizzarsi a breve un progetto nel settore della tintura di valenza universitaria. Perché Cutuli è imprenditore sì ma animato dalla passione dell’arte, dell’artigianalita che vuole tramandare, conoscenze preziose da trasferire a chi vuole entrare nel mondo della moda. Una passione viscerale la sua per il proprio lavoro, tanto da essere legato, come lui stesso dice, da un “cordone ombelicale” a tutto ciò che è fashion. “Come mi definirei? Non uno stilista piuttosto un esteta, cultore del bello e delle cose belle”. Alla tradizione familiare ha unito la sua personale ricerca e le sue molteplici esperienze: studi, viaggi in paesi lontani, nei quali ha trovato altre fonti e altra materia d’ispirazione. Alla base delle collezioni, che sfilano ormai sulle più importanti passerelle della moda, c’è l’estro personale che privilegia tessuti nobili tinti in maniera naturale, persino con il vino Sagrantino che nella zona di Bevagna e Montefalco ha la sua zona di produzione doc. Colori intensi che resistono nel tempo senza alterarsi grazie alle competenze derivate dallo studio e dalla lunga esperienza evidentemente anche attraverso i geni. “Da quasi duecento anni -spiega -la tintura naturale è il fiore all’occhiello dell’artigianato tessile della mia famiglia e il colore naturale è sinonimo di vita, di passione e di allegria ma soprattutto è l’elemento fondamentale grazie al quale possiamo ancora sognare”.

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Le collezioni nascono da un’accurata ricerca e riassumono tutte le esperienze nella rinnovata creatività e capacità di trasmettere ed esprimere emozioni, superando gli altalenanti diktat della moda, senza mai perdere l’autenticità delle radici mediterranee. Al fianco di Cutuli la moglie Maria Grazia, siciliana, che coordina tutta la parte commerciale, oltre a 24 dipendenti specializzati e un notevole indotto. E il successo è così evidente e crescente da rendere quasi difficile riuscire a stare dietro a tutte le richieste. Basti dire che il fatturato del 2014 registra un incremento del 70 per cento. Un risultato quasi incredibile in un momento di crisi come quello attuale. Ci sono anche due figlie di 12 e 10 anni animate dalla stessa passione. “E’ vero - dice - alla piccola piace molto disegnare, creare. La grande ha spirito manageriale ed organizzativo. É normale credo, assorbono un po’ quello che è il nostro lavoro. Quando possibile ci seguono sempre nei nostri viaggi all’estero, parlano già bene inglese e cinese che studiano da qualche anno. Ma non voglio ipotecare il loro futuro. Saranno loro a decidere. Io ho tre sorelle che hanno preferito svolgere altre attività rispetto alla tradizione di famiglia. Due sono medici e una insegna. Ognuno segue ciò che è più nelle sue corde. Pensi che la mia svolta personale è avvenuta quando, ragazzino, feci colorare un tessuto di canapa, ginestra e lana che poi maltrattai con la striglia con cui uno dei dipendenti pettinava ogni mattina la sua cavallina. La sciarpa che venne fuori piacque moltissimo a tutti facendo capire a me quale fosse la mia strada.” E adesso? “Il mio viaggio continua... l’ultimo approdo mi ha portato verso l’estrema semplificazione delle forme estranee e lontane dal mondo visibile: creazioni che sfileranno a partire da gennaio sulle passerelle della moda”. Insomma, intuizione, innovazione, creatività e internazionalizzazione. Caratteristiche fondamentali per avere un’idea vincente che poi si trasformi in un prodotto di successo. L’azienda di famiglia è nata nel 1838. 175 anni dopo Claudio Cutuli l’ha trasformata portandola a essere leader mondiale nel campo della produzione di sciarpe e stole. E la storia continua... D.M.

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IL CONCETTO DI POPULISMO

di Paolo Coccopalmerio

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latone, tra i suoi vari scritti, ne annovera uno di particolare importanza storico – politica (vedasi Epistola VII). In essa, il grande filosofo greco ci racconta di alcuni suoi viaggi intrapresi in Italia. Significativo quello in cui si recò in Sicilia, a Siracusa, allora regnante il tiranno Dionigi. Nell’intento del maestro vi era quello di incontrare il feroce padrone della città, per cercare di insegnargli, come era costume anche con i suoi discepoli, le regole del “buon governo”, l’importanza dei rapporti con il popolo, il concetto dell’amministrazione della cosa pubblica in modo retto e saggio. Il perno, affinché queste condizioni si potessero realizzare, ruotava attorno all’idea del consenso. Il consenso del popolo, cioè, come legittimazione politica che affidi il potere di governare. Nel corso dei secoli, al progredire della sensibilità politica dell’uomo, si sono venute a delineare differenti e sempre più articolate forme di Stato e di Governo. È indubbio che dopo il crollo delle grandi monarchie, ancorché presenti ma ridotte a meri simboli, i neo Stati hanno fondato la propria essenza giuKarl Marx stificativa sul concetto di consenso. Quest’ultimo, però, almeno nella sua accezione più pura, non sempre è stato l’elemento illuminante della democrazia cosiddetta perfetta. Di pari passo e con il rafforzarsi dell’idea di consenso, assistiamo alla nascita di un nuovo atteggiamento politico, ossia quello che viene definito “populismo”. Queste preliminari considerazioni traggono spunto da una recente intervista rilasciata dal filosofo tedesco Jurgen Habermas. Un colloquio in cui lo studioso colloca il concetto

di populismo in un’ottica negativa, soprattutto a livello europeo, anche sull’onda dell’affermazione di partiti politici dichiaratamente populisti. L’esempio più attuale, non certo isolato, è quello del Front National di Le Pen. E dire che, storicamente, il populismo nasce nella Russia post rivoluzionaria, come modello di aggregazione delle classi rurali e operaie, nell’intento di migliorare le loro condizioni di lavoro e di vita. Una protoforma di populismo già si individua nel pensiero politico di Machiavelli (vedasi il Principe), in cui si delinea la figura del Signore, del Dominus, unico Sovrano e arbitro, titolare del “ius vitae ac necis” ovvero del “ius primae noctis”. Esso esercita sul suo popolo un carisma magnetico, quasi animalesco, che paralizza il cittadino che diventa suddito. Anche in questo caso manca ancora un vero e proprio consenso, per quanto la popolazione vedesse nel Principe un elemento catalizzatore che la teneva unita. È con il secolo scorso che si afferma appieno il concetto di populismo e gli studi scientifici ad esso legati. Un’idea che assume valenze e valori completamente diversi rispetto al modello originario. Secondo il Professor Giso Amendola, sociologo, il populismo contemporaneo è “il nome che si sottrae all’ordine della visibilità, della razionalità politica. In sintesi il populismo è tutto ciò che si sottrae all’ordine della rappresentanza. Leviathan contro Behemoth, come nella mitologia fissata da Thomas Hobbes”. Ciò a dire che, mentre in precedenza era assente, ora il con-

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senso ed il populismo che da esso deriva, legittima il Dittatore o il Leader del partito. Spesso, però, in maniera palesemente adamantina, ottenuto il consenso, si viene a creare una voragine tra corpo elettorale (il popolo) e il leader del partito (il governante o il dittatore). Viene da chiedersi, a questo punto, se il populismo appartenga a un’ideologia politica piuttosto che ad un’altra. Nello sviluppo della storia politica mondiale, il populismo si afferma sia nelle dittature che nelle democrazie rappresentative. Nelle prime, spesso in forma virulenta, il leit motiv è rappresentato da accesi slanci totalitari, intransigenti, nazionalistici, razziali. Hitler e Stalin, diversi ma uguali. Nelle seconde, si verifica un rapporto diretto ed immediato tra il leader ed il popolo che conduce ad una disintermediazione dei corpi intermedi (partiti, sindacati, etc.), conseguente al trend di leaderizzazione del sistema politico.

Asseriva Karl Marx: “la storia di ogni società è stata finora la storia di lotte di classe. La moderna società borghese, sorta dal tramonto della società feudale, non ha superato le contrapposizioni di classe. Ha solo creato nuove classi al posto delle vecchie”. (vedasi Marx – Engels, Manifesto del Partito comunista – 1848). Scriveva Antonio Rosmini:”le persone sono principio e fine dello Stato. Sono esse che costituiscono, che assegnano lo scopo e i limiti, per cui lo Stato e tutti gli organi statali sono dei semplici mezzi per le persone che ne sono realmente il fine. La ragione di tutti gli avvenimenti sociali si trova nell’uomo, elemento della società. Tutto ciò che nasce nelle nazioni sopra una scala più grande e con altre proporzioni, preesiste in germe nella mente degli individui che le compongono”. (vedasi Filosofia della Politica).

RELIGIONE E LETTERATURA: COCCIOLI VISTO DA TONDELLI P.V. Tondelli (1955-1991) e C. Coccioli (1920-2003) sono due autori letterari contemporanei in cui la inesausta tensione religiosa – generalmente negletta, oggi, dalla letteratura à la page – ha assunto toni e motivi particolarmente sofferti. I due hanno anche intrattenuto una significativa amicizia a distanza, di cui alcune pagine di “Un weekend postmoderno” di Tondelli sono una testimonianza (pp. 478-490; i due scritti qui considerati sono del 1987 e del 1990). In Tondelli, l’impegno politico degli anni ‘70 si trasforma in “scrittura interiore” ed “emotiva”: ma senza che il suo intimismo libertario si neghi alla dimensione religiosa, nella fattispecie cattolica (cfr. A. Spadaro, “Lon-

tano dentro se stessi. L’attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli”, Milano 2002). Coccioli, da parte sua, è un autentico irregolare: partito a meno di 30 anni per Parigi perché non sopportava l’egemonia culturale di Moravia, poi definitivamente stabilitosi a Città del Messico nel 1953, è stato cattolico, ammiratore del Vescovo Tradizionalista Monsignor Marcel Lefebvre, ebreo, indù e buddhista, oltre ad essere passato per varie esperienze di margine. Dopo aver “confrontato le proprie inquietudini vane con l’imperturbabilità del mondo” (p. 478), è tornato a una forma di Cristianesimo molto personale, esistenzialmente ed “ecologicamente” connotato, secondo cui “dare da mangiare a un animale

affamato è praticare Dio” (Piccolo karma): confermando così, seppure da un punto di vista diverso, la tesi tondelliana del Cristianesimo come “unica religione praticabile”. Molto significativa è la chiosa del capitolo in oggetto: Coccioli afferma di “non saper pregare”, ma di “saper pensare”. Commenta Tondelli: “Anch’io forse non so pregare, se non nell’osservare, con pietà, il mondo e gli uomini”. In Coccioli – e in Tondelli - si specchiano molte inquietudini irrisolte dell’uomo occidentale, oltre che quei “vuoti radicali” che la Chiesa cattolica odierna si ostina a non voler colmare, preferendo riempire gli stadi. MARCO TOTI

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STORIA E TRADIZIONE

I

l Carnevale in Trentino è un evento capace di stringere, o meglio mantenere, un legame molto forte con la storia e la tradizione del territorio. Difficile trovare qui Arlecchini o Pantaloni: ai piedi delle Dolomiti è più facile imbattersi nei tipici costumi dei matoci o delle facéres, tipiche maschere in legno, o ancora nei costumi asburgici. Tradizione, cultura e divertimento: queste le caratteristiche dei due Carnevali etnici della Val di Fassa e della Val di Fiemme. Il primo si propone come una celebrazione dell’identità ladina, con le mascherèdes, spettacoli burleschi e canzonatori nell'antica lingua che proseguono per un mese, dal 17 gennaio al 17 febbraio. Tra le attrazioni principali la sfilata di bufòn, marascons e lachè, con maschere lignee realizzate ancora oggi in modo artigianale dagli scultori della zona. Il bufòn, in particolare, ghigno furbesco e grande naso impertinente, si diverte a punzecchiare le persone, decantando pregi e soprattutto difetti della gente del posto, mettendo in piazza peccati e peccatori. Nella vicina Val di Fiemme l’appuntamento è con il “Carnevale dei matòci”, che ripropone l’antica usanza dei cortei nuziali, trasformata in manifestazione all’inizio del '900. I matòci sono buffi personaggi che il 14 febbraio sfilano per le dieci frazioni di Valfloriana indossando abiti vivaci, abbelliti con fiocchi e coccarde dai colori sgargianti e con il volto coperto da tradizionali maschere in legno (le facères). Per raggiungere la meta devono superare una serie di ostacoli e impegnarsi in scanzonati "botta e risposta" satirici, un sistema che richiama l'antico sistema di dazi e pedaggi da pagare per passare da un paese all'altro.

Giunti a Casatta i "matoci" vengono accolti dalle maschere guidate dagli "arlecchini" che danno il via alla festa con balli, scherzi, dolci e vin brulè. Più recenti, ma non per questo meno affascinanti, i riferimenti storici del Carnevale di Madonna di Campiglio: nella Perla delle Dolomiti rivive infatti la corte viennese della fine dell’Ottocento con i suoi fasti, i costumi, le carrozze, le dame in splendidi abiti e i valzer. Un evento di grande suggestione storica e molto raffinato, che riporta alla memoria i tempi in cui - era la fine dell'800 - la cittadina ospitò nei suoi prestigiosi alberghi la principessa Sissi e l’imperatore Francesco Giuseppe, oltre ad altri illustri rappresentanti dell’aristocrazia europea. Dal 14 al 20 febbraio la corte viennese torna simbolicamente ai piedi del Brenta. L’evento clou è rappresentato dal tradizionale Gran Ballo dell’Imperatore. L’atmosfera sfavillante fa da cornice al grande buffet asburgico, a danze con orchestra dal vivo, melodie e corteggiamenti d’altri tempi, ricreandone la magia e l’affascinante regalità di un tempo in compagnia dei discendenti della casata imperiale. Dal 7 al 15 febbraio fra le palme dei viali di Arco la protagonista è la grande sfilata dei carri allegorici, mentre il centro storico si trasforma in “Arcoland, città dei balocchi”, un vero parco dei divertimenti per i più piccoli con l’allegria di trampolieri, clown e giocolieri. Tutti questi appuntamenti sono impreziositi dall'enogastronomia tipica, in particolare dai grostoi: il tradizionale dolce carnevalesco si accompagna volentieri al vin brulè per contrastare le temperature di un Carnevale che arriva nel cuore dell'inverno. R.M.

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IL SOGNO DI CARNEVALE

di Alessandro Spolvi (scrittore)

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arnevale. Finalmente mascherato! Per il Carnevale non avevo mai avuto il piacere di mascherarmi come gli altri bambini. Mamma diceva sempre che, essendo noi quattro figli, non poteva spendere tutti quei soldi per acquistare i costumi per tutti. Ci rimanevo sempre male quando andavamo a passeggiare per le vie di Prati (Roma) popolate di tanti bambini in maschera. Mi ero concesso solo il lusso di comprare una busta di coriandoli da lanciare contro le mascherine. Il fatto è che queste erano tante e i coriandoli finivano subito. Allora li raccoglievo a manciate da terra e, dopo averli con perizia rimessi nella bustina, li rigettavo in faccia ai ragazzini mascherati, senza che loro sapessero la provenienza dei miei coriandoli. Un anno, però, avvenne un vero e proprio miracolo. La nostra vicina di casa suonò alla porta, in mano aveva uno scatolone. “Signora Dora, mi scusi, vuole un costume del mio Luca che, poiché è cresciuto tanto, non gli va più bene – e aggiunse – credo vada bene a Sandro”. Mamma ringraziò la signora, prese la scatola e andò in salone. Dopo un po’ mi chiamò: “Sandro, vieni qui che ti devo far vedere una cosa, - e dalla scatola di cartone tirò fuori un costume, nientemeno, di David Crockett! Con tanto di cappello in vera pelliccia di marmotta con la coda che arrivava alla schiena. Ero emozionatissimo, quindi lo provai subito. Mi stava perfetto. Anch’io, finalmente, sarei potuto andare lungo Via Cola di Rienzo per farmi ammirare da grandi e piccini. Dopo un’oretta, mamma mi fece indossare il costume per portarmi in giro. Ero bel-

lissimo e quella coda del cappello dietro la schiena mi faceva sentire più forte delle altre mascherine. Zorro, D’Artagnan, Cow Boy, Arlecchino, Pulcinella, Balanzone…ma ‘ndò annate! Mamma mi comprò pure un sacchetto di coriandoli e io felice li tiravo a tutti, ragazzini e ragazzine, adulti e vecchietti. Anzi, a proposito di vecchietti, ne tirai una manciata a una vecchietta che, incazzata, mi disse: “A ragazzi’, guarda che nun sono mascherata, so’ proprio vecchia!”. Poi cosa incredibile, mamma mi comprò il gelato da Pignotti, la rinomata gelateria su Via Cola di Rienzo. Un cono al pistacchio, la specialità della gelateria. Uscito con il mio cono in mano, feci appena in tempo a dare

la prima leccata che una stronza vestita da damina mi tirò u n a manciata di c o -

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riandoli in faccia e … sul cono! “Li mortacci tua!” – le dissi nonostante il costume da David Crockett e iniziai a togliere, uno ad uno, i coriandoli che ricoprivano il mio cono mentre il gelato si scioglieva e colava sulle mie dita. Dalla rabbia e dalla felicità per il mio cono riuscii lo stesso a finire quel gelato, alla faccia della damina stronzetta! Ma non era finita qui. Ad un tratto il cielo si oscurò e in un secondo cominciò a piovere fortissimo. Tutto durò una decina di minuti. La pioggia cessò improvvisamente, così come era iniziata. Si poteva proseguire la passeggiata. Poi non so, perché sentii dentro di me il bisogno di possedere un cavallo come David. Una cosa impossibile in Via Cola di Rienzo, e allora? Presi la mano destra e con questa colpii la chiappa destra ed iniziai a cavalcare, prima con un’andatura normale, diciamo al trotto, poi, aumentandola, raggiunsi un galoppo sfrenato tanto che con il vento la coda del mio cappello si staccò dalla schiena rimanendo sospesa nell’aria. Correvo così forte che, quando inciampai sul piede di un bambino vestito da Peter Pan, feci un volo d’angelo di circa tre metri atterrando direttamente sull’unica pozzanghera formatasi durante quei dieci minuti di pioggia. Per come mi sentivo, volevo morire affogato dentro quella pozza, ma non ci fu il tempo per pensare troppo a come stavo io, bensì a come era incazzata mia madre. Venivo trascinato verso casa per dare ufficialmente l’addio alle maschere e al Carnevale.



14-15 1 44 mar marzo 201 2015

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