Nuova finanza n 1 2014

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BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO

Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013

Anno 2014 Numero 1 GENNAIO FEBBRAIO

KUWAIT LE GRANDI OCCASIONI PER L’ITALIA

a pag. 4

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IL PUNTO Il Paese in ripresa?

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MITI I Power Rangers

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INCHIESTA Fiori d’arancio


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Giornata Nazionale

29-30 marzo 2014 da oltre 110 anni prendiamo per mano chi ha bisogno

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Il Punto Il risveglio di un Paese Italia in pole position Kuwait, grandi occasioni Rapporto Centro Einaudi Ripresa: un’incognita Il barometro sale La nautica in ripresa Eccellenze italiane Umbra Cuscinetti vola Aerospazio e Difesa Modello Finmeccanica, ok Settore in crisi Il mattone traballa Contship Italia Il futuro? Siamo pronti Trasporto aereo L’Alitalia non è un lusso Voto Europeo Le poltrone degli ex Firenze-Milano La moda torna “rock” Giustizia Tributaria L’analisi del giudice I settori in ripresa Italia, eppur si muove Le grandi sfide Back-office made in Italy I 20 anni dei Power Rangers La più grande creazione La crisi & gli affetti I figli ci guardano Ricette anti-crisi Dipendente-azionista Cambiamento epocale Le idee in tempo di crisi Industria Turistica Il modello Terravision Necessità-Virtù Riciclo in cucina Cinematografia Roma può tornare capitale In tempo di crisi Budget, amore e…fantasia! Costume & Società Francesco e il nuovo corso Un’opera per ricordare Ciak: dal lutto all’amore Vino rumeno, passione italiana Cashmere, che passione

L’analisi sulla Giustizia Tributaria (a pag. 29)

Giorgio Fiorenza

Nuova Finanza Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale

Francesco Carrassi Direttore Responsabile

Pietro Romano Direzione Marketing e Redazione

Katrin Bove Germana Loizzi

Editore Kage srl 00136 Roma - Via Romeo Romei, 23 Tel. e Fax +39 06 39736411 www.nuovafinanza.it - redazione@nuovafinanza.it Per la pubblicità: nuovafinanza@nuovafinanza.it Autorizzazione Tribunale di Roma n. 88/2010 del 16 marzo 2010 Iscrizione ROC n. 23306 Stampa STI - Società Tipografica Italia Via Sesto Celere, 3 - 00152 Roma Progetto Grafico Mauro Carlini Abbonamento annuo Euro 48,00 Hanno collaborato: Katrin Bove, Valeria Caldelli, Nicola Carrassi, Ornella Cilona, Allegra Contoli, Roberto di Meo, Giorgio Fiorenza, Aldo Forbice, Salvatore Giuffrida, Germana Loizzi, Alberto Mazzuca, Maria Luisa Migliardi, Donatella Miliani, Enzo Millepiedi, Vieri Poggiali, Laura Ricciardi, Enrico Salvadori, Francesca Stirpe, Tommaso Strambi, Marco Toti, Pierandrea Vanni.


IL PUNTO del direttore

IL RISVEGLIO DI UN PAESE di Pietro Romano

U

na piattaforma web per raccontare le eccellenze del Made in Italy. Un percorso formativo per accompagnare le aziende tricolori, anche quelle micro, sui mercati mondiali tramite la rete. Venti borse di studio per giovani in grado poi di accompagnare, prioritariamente, le stesse imprese verso l’economia digitale, un concetto ancora alieno a moltissimi imprenditori italiani. E’ la sostanza del progetto “Made in Italy: eccellenze in digitale”, lanciato da Google tramite il Google Cultural Institute. Sulla piattaforma di Google, è bene precisarlo, non è prevista pubblicità. Non saranno citate singole aziende ma solo prodotti, proposti dalle filiere e “curati” da consorzi o da altri “raccoglitori” qualificati di eccellenze. Sembra strano, però, che il colosso americano abbia deciso, tutto a un tratto, di investire, senza ritorni, sull’Italia e non, per fare altri esempi europei, la Francia o la Spagna, che non dispongono della varietà di prodotti italiani ma hanno a loro volta un sontuoso “catalogo”. A monte ci potrebbe essere, comunque, un motivo commerciale. La produzione italiana è quanto mai frammentata. Come missione imprenditoriale Google offre servizi gratuiti ai singoli utenti del web per rivenderli sotto forma di contatti, direttamente o indirettamente (tramite la pubblicità),

alle aziende. L’obiettivo, in questo caso, sarebbe quello di fare il pieno dei budget destinati alla comunicazione della marea di micro, piccole e medie imprese manifatturiere e non solo, soprattutto quelle attive in settori altamente commerciali: l’agroalimentare, la moda, il turismo, il design, il medicale. Google, insomma, approfitterebbe delle debolezze del sistema Paese sia a livello privato sia a livello pubblico e, con un solo colpo di mouse, metterebbe fuori gioco i tanti promotori del Made in Italy, pubblici e privati, che poi - lo insegna l’esperienza degli ultimi decenni – sono stati in grado di proporre ben poco. Quindi, stare cauti, di sicuro, ma sia benvenuta, per ora, Google. L’impegno di Google, a parte ogni altra considerazione, dimostra quanta forza abbia ancora il sistema produttivo italiano. Del resto, anche se lo si dimentica spesso, l’Italia è il secondo Paese manifatturiero in Europa dopo la Germania. Ma, fuori del più tradizionale Made in Italy della moda e dell’enogastronomia, perlopiù produce, a esempio nella meccanica, un settore di primaria importanza per l’economia e l’occupazione del Paese, per conto di terzi assemblatori, il cui marchio è noto nel mondo e che alla fine della fiera creano senz’altro molto più valore aggiunto dei fornitori. Quanto alla percezione dei prodotti italiani all’estero, è illuminante il risultato di una ricerca dell’agenzia pubblicitaria globale Saatchi & Saatchi, condotta nell’arco di sei anni su 800mila persone e limitata a cibo, design, moda e vino:

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mentre mercati maturi come gli Usa privilegiano il “Made in Italy”, gli emergenti come la Cina preferiscono nettamente i prodotti francesi. Non aiuta nemmeno il concetto di “Made”, che ricorda soprattutto le produzioni seriali, spiegano in Saatchi & Saatchi, dove preferiscono parlare di “Created in Italia”, allo scopo di mettere l’accento appunto sulla creatività (come richiesto, peraltro, anche dalla recente normativa sulle etichette) e sull’italianità. Anche da Saatchi & Saatchi arriva un messaggio importante: la comunicazione è un terreno su cui si sono mossi molto bene i marchi italiani, ma dal punto di vista istituzionale altri Paesi, Francia in testa, si sono mossi molto meglio. Marcando la differenza soprattutto tra i consumatori dal più recente approccio al mercato e al benessere. Il problema italiano è stato quello della frammentazione politica e istituzionale che ha aggravato la frammentazione del sistema produttivo italiano, un bene nei momenti di fermento, che però mostra la propria gracilità negli anni di crisi. E l’Italia è arrivata alla più grave crisi economica moderna (ben peggiore di quella del ’29: ormai lo riconoscono tutti i più avveduti economisti) dopo aver subito

lustri e lustri di scossoni economici, più o meno meritati, più o meno giustificati. Il punto, insomma, è politico. Ma su questo fronte, dopo due decenni di colpevole (e/o stupida) ignavia arrogante, qualcosa di positivo si registra. La privatizzazione di Poste Italiane

per la prima volta non somiglia a una operazione strategica e non a una svendita, come ci avevano abituato vent’anni di catastrofiche dismissioni, che hanno espropriato il Paese (e i contribuenti in primo luogo) di ricchezze senza intaccare l’inarrestabile crescita di debito pubblico, facendo adombrare, francamente, motivazioni politico-ideologiche, quando non affaristiche, per nulla tese al bene comune. Soprattutto, è altamente meritorio porre la revisione della sciagurata modifica del Titolo V della Costituzione tra le priorità riformistiche. I dodici anni di vita dalla nuova formulazione della Carta hanno comportato un aumento costante della spesa (+40%) e del fisco (+80%) re-

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gionali senza un briciolo di risparmio centrale. Hanno generato una conflittualità continua e paralizzante tra Stato e regioni, impegnando quasi 1700 volte la Corte costituzionale. Hanno provocato assurdità come la frammentazione dell’offerta (e della legislazione) turistica senza eguali in Europa, nemmeno nella Germania federale, che ha portato a un continuo calo del ruolo turistico del Bel Paese nel mondo. Nulla è più antistorico di rigidi elenchi di competenze: la parola d’ordine, anche nelle competenze istituzionali, dev’essere “flessibilità”, intesa come adattabilità alle esigenze della politica e dell’economia, per il bene dei cittadini, non delle caste. Anche dall’Europa cominciano ad arrivare buone notizie: puntare decisamente sull’industria manifatturiera, cui vengono assicurati 100 miliardi di contributi a vario titolo e sotto diverse forme, non può che favorire un colosso manifatturiero come l’Italia. Ammesso che l’Italia della politica, dell’imprese e soprattutto della burocrazia sappia farne tesoro. Sta ai cittadini, però, vigilare rifuggendo dal “particolare” che qualche volta è un punto di forza italiano, ma in questa fase storica si sta dimostrando soprattutto un frenante fardello.


ITALIA IN POLE POSITION

R DOSSIE

KUWAIT, GRANDI OCCASIONI Pierandrea Vanni

I

l Kuwait rappresenta una grande opportunità per le imprese italiane. Il triennio 2014-2016 sarà molto importante perché il Paese deve rinnovare le sue infrastrutture e ha già promosso progetti di sviluppo che prevedono importanti commesse. Parola di Fabrizio Nicoletti, ambasciatore d’Italia a Kuwait City che spiega nel dettaglio: “Ci sono opportunità anzitutto nel settore energetico con due progetti che da soli valgono circa 15 miliardi di euro l’uno e che potrebbero essere aggiudicati già entro quest’anno. In particolare il Kuwait punta a migliorare la qualità della raffinazione petrolifera per mantenere e migliorare la competitività del suo greggio”. Commesse molto importanti sono previste soprattutto nel campo delle infrastrutture: strade, centri commerciali, porti turistici, ospedali. In particolare il piano di sviluppo prevede la realizzazione di sette zone industriali speciali, di un parco tecnologico e di una zona logistica. Si prevedono, inoltre, una nuova sede universitaria, resort turistici e parchi divertimenti. Il Paese sta riservando particolari attenzioni alle energie rinnovabili, con particolare attenzione all’eolico e all’energia solare concentrata. Con un consumo di energia in continuo aumento, il Kuwait (11.220 MW nel 2011) le previsioni parlano di un picco della domanda di energia elettrica entro cinque-sei anni. Stiamo parlando di un piccolo Stato con poco più di 3 milioni e mezzo di abitanti, per due terzi stranieri, con un elevato reddito pro capite (37 mila 525 euro per abitante nel 2012) con un prodotto lordo di oltre 130 mila miliardi di euro che lo colloca a livello di Paesi ben più popolati. Fonte primaria della ricchezza e della solidità economica è il petrolio: 3,1 milioni di barili di produzione al giorno, con una previsione di crescita fino a 4 milioni nel 2020 e con riserve petrolifere stimate in 104 miliardi di barili, pari

al 6 per cento delle riserve mondiali. I rapporti di amicizia e di collaborazione fra Italia e Kuwait, già buoni fino all’invasione del piccolo emirato da parte delle truppe di Saddam Hussein nell’agosto del 1990, sono ulteriormente migliorati per effetto della partecipazione, sotto l’egida dell’Onu, di forze della marina militare e dell’aviazione italiana alla prima guerra del Golfo che portò alla liberazione del Kuwait nel febbraio 1991. Non a caso il precedente emiro (il capo dello Stato) fece tappa anche a Roma nell’autunno 1991 durante il suo giro attraverso le capitali per ringraziare i principali Paesi che si erano schierati a fianco del Kuwait. Nella capitale italiana incontrò il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, e il presidente del consiglio Giulio Andreotti. E in quella occasione volle ricevere all’Hotel Excelsior una delegazione dell’associazione Italia-Kuwait, nata a Firenze durante l’invasione del suo Paese, e in rappresentanza dell’amministrazione comunale di Firenze che, sempre durante l’inva-

sione, si era gemellata con Kuwait City, il vice sindaco Gianni Conti. Non a caso l’attuale emiro è venuto qualche tempo fa a Roma, accompagnato da diversi ministri, per illustrare agli imprenditori privati e alle aziende di Stato il piano di sviluppo e per sollecitare il loro attivo interessamento. Del resto tutto quello che si identifica nel made in Italy trova nei Paesi del Golfo grande attenzione. Al primo posto ci sono i prodotti di lusso, a iniziare dalle griffe della moda, ma aumenta il numero delle grandi società che aprono uffici a Kuwait City, l’ultimo in ordine di tempo è il gruppo Italcementi che, anche attraverso l’acquisizione di imprese locali, è diventato il primo produttore di calcestruzzo. Così in due anni la presenza di italiani è quasi triplicata (da

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cia e Inghilterra ma anche Libano e Emirati Arabi. Il numero dei turisti italiani in Kuwait non è ancora significativo. I primi gruppi turistici organizzati sono stati promossi nel 2011 dall’Associazione Italia-Kuwait con la collaborazione della Kuwait Airways e dell’ufficio del turismo dell’emirato. La stessa associazione ha organizzato, in collaborazione con il ministero dell’Informazione del Kuwait, una visita di giornalisti della carta stampata e delle tv, specializzati

260 a 850). Ci sono soprattutto architetti, ingegneri, tecnici petroliferi, medici ma anche una docente universitaria fiorentina che insegna nella facoltà di architettura e ogni anno organizza uno stage di studenti a Firenze, Roma e Venezia. Diverse potenzialità potrebbe averle anche il settore turistico. Secondo alcune stime almeno i tre quarti dei kuwaitiani effettua ogni anno un viaggio all’estero. ma l’Italia non è fra le mete principali anche se Kuwait City è ben collegata a Roma dalla Kuwait Airways, compagnia di alta qualità e la cui sede italiana è molto attiva e ben presente nelle attività promozionali. Fino ad ora i kuwaitiani prediligono Spagna, Svizzera, Fran-

Una veduta aerea della Capitale, Kuwait City

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in informazione turistica. Un documentario realizzato dalla Rai in quella occasione è stato trasmesso recentemente nell’ambito di una puntata di “Alle falde del Kilimangiaro”. Da parte italiana numerose sono state, per restare agli anni più recenti, le visite ufficiali. Nel 2011 è volato a Kuwait City l’allora Ministro degli Ester Franco Frattini, (visita ricambiata poco dopo dall’allora Ministro degli esteri kuwaitiano, Sheikh Mohammed Al Sa-


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bah. Fra la fine del 2011 e il 2012 possibili investimenti da effettuare nei sono andati in Kuwait il Ministro due Paesi. degli esteri Terzi di Sant’Agata, poi Negli ultimi anni il Kuwait ha dimoquelli della Difesa Giampaolo Di strato di voler attrarre maggiori invePaola e dello Sviluppo Economico, stimenti esteri introducendo nuove Corrado Passera, che ha partecipato leggi economiche che, da un lato, faalla 13.ma Ministeriale dell’Internavoriscono il clima degli investimenti, tional Energy Forum a Kuwait City. i diritti di proprietà intellettuale, e le Poi nel novembre 2012 si è avuta la relazioni commerciali e che, dall’altro, visita del Presidente del Consiglio promuovono il settore privato nelMario Monti, il quale ha avuto incontri l’economia attraverso il programma con l’Emiro, il Primo Ministro e nudi privatizzazioni e di partenariato merosi Ministri (Commercio, Industria pubblico privato e l’apertura di nuove ed Edilizia; Programmazione e Sviaree agli investimenti privati locali e luppo; Finanze, Istruzione ed Unistranieri come le “utilities” (produzione versità; Sanità; Petrolio; Difesa nonché di energia elettrica e acqua in progetti con il Sottosegretario agli Esteri). Tale visita ha contribuito soprattutto a rilanciare l’affidabilità dell’Italia dopo la crisi finanziaria dell’ultimo anno, ponendo quindi le basi per un’intensificazione dei rapporti commerciali tra i due Stati oltre che dei flussi di investimenti bilaterali. Il 12 e 13 gennaio 2013, a tale proposito, il Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola è nuovamente tornato in visita ufficiale in Kuwait. I rapporti italo-kuwaitiani sono stati posti tra le priorità dell’attuale governo presieduto da Enrico Letta. Un segno di questo interesse si e’ avuto con la visita del Ministro degli Affari Esteri, Emma Bonino, il 6-7 luglio scorso. Molte le tematiche affrontate, con particolare riferimento alle relazioni economico-commerciali bilaterali e ai Fabrizio Nicoletti, Ambasciatore d’Italia a Kuwait City

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di desalinizzazione), e mega progetti infrastrutturali. Inoltre, il Kuwait è aperto al commercio estero, non prevedendo restrizioni quantitative alle importazioni (ma non consente l’importazione di alcuni prodotti per motivi religiosi, di salute e di sicurezza). Non vi sono limiti ai trasferimenti di capitali e il dinaro kuwaitiano, una valuta forte e stabile, è liberamente convertibile e trasferibile. Infine, l’elevato PIL pro-capite (oltre 47.000 euro) ed un notevole surplus di bilancio (oltre il 20% del PIL dal 2010) per 13 anni consecutivi, consentono di poter affermare che quello attuale è un momento particolarmente propizio per investire e penetrare commercialmente il mercato locale. Per quanto riguarda il sistema di affidamento degli appalti pubblici in Kuwait, la procedura ruota intorno al Central Tenders Committee, organo collegato al Consiglio dei Ministri e a cui sono affidati tutti i tender il cui valore eccede i 5000 dinari. Tutte le amministrazioni pubbliche appaltatrici sono soggette alle regole e competenze del C.T.C., ad eccezione del Ministero della difesa, del Ministero dell’Interno, della Kuwait University e della Kuwait Ports Authority. Il C.T.C. è formalmente responsabile del bando delle gare (anche quelle di prequalifica), dell’esame delle offerte e della aggiudicazione dei contratti. Di fatto, un


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ruolo sostanziale spetta alle Amministrazioni committenti che stabiliscono le specifiche, fanno le valutazioni tecniche sulle imprese in sede di prequalifica, studiano le offerte ed infine esprimono il loro avviso sull’affidamento del contratto. Il C.T.C. procede alla apertura della offerte e ne verifica la regolarità: il contratto deve essere assegnato alla offerta più bassa, e le offerte presentate vengono trasmesse alla amministrazione appaltante. Quest’ultima, dopo averle valutate esprime al C.T.C. il proprio parere e se la preferenza non va all’impresa miglior offerente deve fornire la relativa giustificazione. Sul piano pratico ciò si verifica in questi ultimi tempi sempre più di frequente in quanto le amministrazioni si sono rese conto che affidare gli appalti seguendo solo il criterio dell’offerta più bassa può comportare gravi ripercussioni sul piano della esecuzione dei progetti (scarsa qualità, aumento del contenzioso, ritardi nei tempi, ecc.). Le aziende straniere possono concorrere a condizione che abbiano un agente locale (“sponsor”). Infatti l’acquisto dei capitolati e la partecipazione alle gare può avvenire solo tramite agenti locali. Nel 2012 l’interscambio fra Italia e Kuwait è cresciuto del 41,7 rispetto all’anno precedente, passando da 659 a oltre 900 milioni di euro, trainato dalla vendita di macchinari e soprattutto dalle auto di Kuwait Towers lusso (+ 30 per

cento) le esportazioni italiane verso l’emirato sono cresciute del 44,1 mentre quelle kuwaitiane verso il nostro paese sono cresciute del 24,6. Le prospettive sono considerate positive e quindi in crescita anche per i prossimi anni. Insomma il Kuwait è uno dei Paesi più attivi del mondo arabo, con importanti prospettive di sviluppo, con una certa stabilità politica, una costituzione, un parlamento e elezioni. con una stampa sostanzialmente libera, con una società dinamica e caratterizzata da forti interessi sul piano commerciale ma anche su quello culturale e sociale. Un Paese che attrae molta mano d’opera ma anche investimenti e investitori e che presta particolare attenzione allo sviluppo tecnologico. Fra i punti di riferimento del Kuwait in Italia, oltre all’ambasciata a Roma e al consolato generale a Milano, alle sedi romane della Kuwait Airways e della Kuwait Petroleum, c’è l’Associazione Italia-Kuwait, già ricordata che, dopo aver svolto una forte attività di sostegno alla causa della liberazione del Kuwait durante l’invasione irakena (pubblicava fra l’altro il giornale Free Kuwait e organizzava manifestazioni di sostegno), si occupa soprattutto di favorire in ogni modo i rapporti di collaborazione e di amicizia fra i due Paesi e di contribuire alla loro crescita. “Ci vuole più Kuwait in Italia e più Italia in Kuwait, nell’interesse dello sviluppo economico, della promozione dei diritti umani, nel contrasto ad ogni forma di terrorismo e per l’affermazione di quei forti sentimenti di pace che accomunano italiani e kuwaitiani”, sostiene l’Associazione.

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RAPPORTO CENTRO EINAUDI

RIPRESA: UN’INCOGNITA Aldo Forbice

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uest’anno l’economia italiana, secondo il ministro del Tesoro Saccomanni, dovrebbe crescere dell’1 per cento. Secondo Banca d’Italia, Fmi e Unione Europea non dovrebbe superare lo 0,7, mentre Moody’s e Bloomberg non azzardano più dello 0,5. Ma, al di là di queste cifre discordanti, rimane il dato positivo che la recessione dovrebbe finire e qualche lieve risveglio della nostra economia potrebbe verificarsi,ma non prima nell’ultima parte del 2014. C’è però una grande incognita rappresentata dal credito. La domanda che gli operatori economici e gli imprenditori si fanno è sempre la stessa: si può sperare nella ripresa senza credito? E chi dovrebbe concedere i finanziamenti alle imprese? Dallo Stato, col debito pubblico che si ritrova e i limiti imposti al deficit, ci si può aspettare molto poco. Restano le banche. Ma anche in questo settore non vi è molto ottimismo. Lo conferma anche il recente Rapporto del Centro studi Einaudi di Torino sull’economia globale e l’Italia, elaborato da un gruppo di economisti

(Giovanni B. Andornino, Giorgio Arfaras, Anna Caffarena, Giuseppina De Santis, Anna Lo Prete, Paolo Migliavacca, Anna Paola Quaglia, Giuseppe Russo), coordinati dal prof. Mario Deaglio (Università di Torino). Il Rapporto è stato pubblicato, col titolo “Fili d’erba, fili di ripresa”, da Guerini e Associati. La ricerca, oltre ad analizzare l’economia mondiale (con una particolare attenzione a quelle americana e cinese), riepiloga la “grande crisi”,che come è noto, è presente dall’estate 2007 (prime clamorose cadute in Borsa) e dall’autunno 2008 (primi importanti effetti sull’economia reale).Secondo gli economisti del Centro Einaudi ,la costruzione monetaria europea, assolutamente incompleta, è stata lasciata a sé stessa tra il 2002 e il 2012. In pratica, dieci anni di modernizzazione mancata,che avrebbero dovuto creare le condizioni strutturali per evitare la crisi dei debiti sovrani. D’altra parte i paesi europei hanno dimostrato di soffrire della crisi della loro economia reale,oltre che di istituzioni monetarie inadeguate. In altre parole,l’euro non ha mantenuto le promesse,non solo quelle che gli uomini di governo hanno fatto agli ita-

Il ministro Saccomanni

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liani,ma anche quelle fatte agli altri europei. E questo perché la sua nascita non si è accompagnata a un forte impulso degli scambi e della crescita del reddito che la moneta unica avrebbe dovuto stimolare. Gli eventi hanno dimostrato che,invece, si è verificato tutto l’opposto. Infatti è proprio dal 2002 che l’Unione europea ha cominciato a mostrare segni di debolezza nell’ambito del G20.E più precisamente il tasso di valutazione del pil dell’eurozona si è mantenuto costantemente al di sotto di un paio di punti percentuali rispetto alla linea del G20. Il divario risale quindi agli albori dell’euro. E l’Italia si è presentata ancora peggio, al di sotto della linea dell’eurozona. La sua storia di decrescita è simile a quella europea,anche se nel 2008 l’economia del nostro paese entra in recessione prima degli altri paesi e nel 2010 ne è uscita ,con una forte debolezza,che evidentemente ha provocato, nel 2012, una seconda recessione,quando il livello della produzione (e dell’occupazione) non aveva recuperato i livelli precedentemente perduti. Le ragioni della mancata crescita? “Non ci si preoccupò -osservano gli analisti-

del fatto che la zona euro poteva non essere un’area monetaria ottimale e neppure del persistere di meccanismi di regolazione del sistema bancario solidamente impostati su base nazionale e fortemente divergenti tra loro. In realtà, i tassi favorevoli hanno stimolato l’indebitamento pubblico più dell’investimento privato, specie nei paesi mediterranei. In alcuni paesi, gli eurotassi miti hanno portato a un aumento nella produzione di abitazioni, senza una domanda effettiva o potenziale che la giustificasse. In sostanza, i mercati hanno servito il risparmio su un piatto d’argento a governi che con esso hanno finanziato la crescita della spesa pubblica cor-

rente (come in Grecia, Portogallo e Spagna) o l’hanno impiegato non per fare le riforme, m a

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per vivacchiare grazie a un costo del debito pari a quello di paesi virtuosi, come è il caso italiano”. In altre parole, l’avvio della moneta unica ha coinciso con il boom della globalizzazione, che ha eroso i vantaggi degli scambi all’interno dell’Europa. Insomma, sono apparsi troppo labili e ampiamente sopravvalutate le basi teoriche dei benefici teorici della moneta unica. In pratica, come si è detto, le promesse non sono state mantenute. Non solo, ma il maggior vantaggio della moneta unica non ha sempre “costretto” gli Stati nazionali ad armonizzare le loro politica economica, in direzione di una auspicata unione politica. Ricordiamo, che dal 2002 la moneta unica ha determinato una serie di distorsioni. Il credito più abbondante e a buon mercato in tutto il continente europeo ha scarseggiato (e ancora oggi continua a d


esserlo) nel nostro paese. Aggiungiamo che i vantaggi commerciali dell’euro non si sono mai registrati perché gli scambi all’interno della Ue, invece di aumentare il loro peso sul pil, sono diminuiti per la crescita degli scambi extraeuropei. La globalizzazione stava infatti costringendo l’Europa ad adeguarsi alle nuove “regole” e a delocalizzare verso est la manifattura dei beni standardizzati di largo consumo,mentre nei paesi dell’euro cominciava ad incrementarsi la capacità produttiva inutilizzata. Tra la fine del 2011 e la fine del 2012 i riflettori di Bruxelles si sono concentrati sull’Italia: gli eurocrati erano particolarmente preoccupati dell’impatto della crisi finanziaria del nostro paese sull’euro. “Ma l’Italia non era l’unica anatra zoppa, ma semmai l’ultima anatra zoppa di una fila di tante anatre zoppe europee”, come ormai sappiamo. La crisi de-

l’economia reale non viene, come qualcuno ancora pensa, dal crak Lehman, ma ha radici lontane, che risalgono al 2000 e rappresenta la diretta conseguenza di una serie di errori di politica economica. Infatti, le manovre finanziarie sui conti pubblici hanno provocato un’ovvia depressione sui consumi e una pressione deflazionistica sui salari. Non si può infatti far dipendere la recessione del 2012 dalla sola finanza e dalla sola appartenenza all’Europa. Se si accettasse questo solo “vincolo” dimostreremmo di non comprendere che la crisi del 2008 non è ancora finita perché ha profonde radici nell’economia reale, i cui aggiustamenti richiederanno ancora diversi anni. Del resto, non a caso il Fmi ha affermato che la recessione, continuata nel 2013, proseguirà per buona parte del 2014, anche se il ministro, super ottimista, Saccomanni la pensa diversamente.

Nella foto, una riunione del G20 con i ministri della Finanza nel febbraio 2013 a Mosca

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IL BAROMETRO SALE

LA NAUTICA IN RIPRESA Enrico Salvadori

V

IAREGGIO - La nautica regge? La nautica non tira più? Interrogativi d’obbligo a fronte dei bilanci e delle classifiche di «rendimento» del settore soprattutto a Viareggio dove la cantieristica ha storicamente rappresentato uno dei capisaldi dell’economia prima che la crisi infliggesse un colpo molto duro. Ma ora il barometro, tanto per usare una metafora meteo-marina, sembra volgere al tempo buono anche se c’è in tutti la consapevolezza che la strada da fare sia ancora lunga. Comunque si spera che il periodo buio sia alle spalle, in una Darsena come quella di Viareggio che ha pagato molto la crisi a tutti i livelli. Una notizia ufficializzata in questi giorni contribuisce a diffondere questo clima di ottimismo. E’ il titolo che è stato conquistato da Azimut Benetti, proclamato primo cantiere del mondo «per numero di

imbarcazioni prodotte e per lunghezza totale». Un riconoscimento prestigioso. «E’ un risultato eccezionale - ha sottolineato Francesco Ansalone, direttore maketing di Azimut Benetti Gruoup - che fa onore all’azienda e a tutto il comparto industriale». Si è chiuso dunque un 2013 con l’Azimut ancora ai vertici mondiali: il segreto del successo e anche le prospettive per il 2014? «Continuiamo a credere nei nostri valori. Sicuramente la difesa del Made in Italy più vero, inteso come valorizzazione e salvaguardia delle competenze e delle eccellenze presenti sul nostro territorio è uno dei principali motivi del nostro successo, oltre che di orgoglio. In particolar modo in Toscana nei distretti di Viareggio e di Livorno. A questo si aggiungono la solidità e l’affidabilità finanziaria che ci vengono riconosciuti a livello internazionale».

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Ma quali sono i mercati internazionali sui quali vale la pena insistere per migliorare il fatturato e la diffusione del marchio? «Oggi - spiega Ansalone - tutti i principali mercati sono molto interessati al prodotto nautico: negli Usa perché vi è una competenza che in altri mercati non c’è oltre ad una diffusione procapite di yacht molto più alta che in Europa ed un consumo di beni “di lusso” che non ha al momento paragoni altrove. Ci sono poi i nuovi mercati, quelli emergenti individuati dall’acronimo del Bric (Brasile, Russia, India e Cina), perché la barca è uno status symbol. Purtroppo l’unico neo è ancora rappresentato dall’ Europa ed in particolare dall’area mediterranea nella quale non registriamo particolari segnali di ripresa, ma anche qui siamo sicuri che ben presto le cose volgeranno al meglio». Questa ripresa dovrebbe incidere positivamente anche nei livelli occupazionali in particolare nei cantieri via-


reggini e dell’intera area toscana? «Purtroppo non basta guardare al portafoglio ordini, ma è indispensabile guardare anche ai margini ossia al prezzo di vendita e all’efficienza complessiva dell’azienda. La nostra scelta di rimanere in Italia è una opzione che siamo sicuri pagherà già nel medio periodo, ma oggi per difendere e

portare avanti questa scelta dobbiamo rimetterci tutti in discussione, fare dei sacrifici ed intervenire in maniera molto mirata in modo da far emergere quelle sinergie necessarie a rendere l’azienda più competitiva sul mercato. Solo in questo modo possiamo garantire continuità all’industria nautica in italia ed in Toscana in particolare».

Nella foto, Francesco Ansalone, direttore Marketing di Azimut Benetti Group

I CLIENTI VIP

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upert Murdoch, Roman Abramovich, Silvio Berlusconi. Sono solo alcuni dei nomi di potenti del mondo che si sono fatti la barca nella Darsena di Viareggio. La tecnologia e la bravura degli specialisti viareggini è riconosciuta unanimemente e continua ad essere punto di riferimento per i “Paperoni” che puntano sulle lussuose costruzioni per solcare il mare. E i vari di questi “gioielli” spesso sono volutamente di “basso profilo” come è accaduto per gli yacht di Murdoch. Ma possono anche essere occasioni di veri e proprio eventi mondani. Il re della pesca norvegese, anni fa, prenotò voli aerei privati e requisì un intero albergo del lungomare viareggino per far arrivare in Versilia e ospitare i partecipanti al party celebrativo della sua nuova regina del mare. Un vero e proprio evento che diede impulso anche all’economia turistica della città. E come non ricordare le bizze di Naomi Campbell che, ospitata a bordo di uno yacht di uno dei suoi tanti fidanzati (il panfilo era interessato da un’opera di rimessaggio) scese a terra per gustare i prelibati piatti di pesce della cucina viareggina ma dette in escandescenze in un noto ristorante della Darsena quando si accorse di essere intercettata dai paparazzi. E.S.

LA PRIMA MOSTRA

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l salone di Genova è ora l’appuntamento forse più importante a livello mondiale della nautica. In pochi però sanno che negli anni Settanta, ben prima quindi che le luci si fossero accese sulla ribalta genovese, fu Viareggio ad ospitare una mostra della nautica. Ma come spesso accade nella città costiera toscana tante idee e iniziative partorite qui con lungimiranza, poi si sono trasferite altrove. Del resto accadde così anche per il Festival della canzone italiana ideato a Viareggio e poi assurto al ruolo che ha adesso a Sanremo. Per quanto riguarda la ribalta nautica Viareggio ora tenta di risalire la china o, se vogliamo essere precisi, di tornare alle origini. Da mesi in città si parla di realizzare un “Salone del mare” che non potrà essere in concorrenza con quello di Genova ma che rappresenterà una ribalta a 360 gradi non solo della produzione dei cantieri della Darsena ma di tutto ciò che è legato anche al diportismo e in generale dell’economia turistica del mare. La Regione Toscana, con un impegno preciso del governatore Enrico Rossi, si è detta favorevole ad appoggiare l’appuntamento che nelle intenzioni dovrà essere uno di quegli eventi in grado anche di destagionalizzare il turismo nella tarda primavera. E.S.

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ECCELLENZE ITALIANE

UMBRA CUSCINETTI VOLA Roberto Di Meo

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on c’è aereo al mondo della Boeing, che voli senza un componente della Umbra Cuscinetti un’azienda che rappresenta l’eccellenza italiana nel mondo. Sono le considerazioni dell’ambasciatore Rinaldo Petrignani presidente della Boeing Italia che proprio in queste settimane sta concludendo una nuova commessa esclusiva con la multinazionale umbra per i prossimi cinque anni del valore complessivo di 100 milioni di dollari. Una vera e propria manna in un momento così difficile contrassegnato da una crisi che non ha eguali rispetto al passato. L’Umbra Cuscinetti, rappresenta dunque un punto di riferimento delle eccellenze italiane nel settore dell’alta tecnologia. Quattro stabilimenti produttivi nel mondo, la casa madre a Foligno in provincia di Perugia, uno a Seattle (Usa) nel cuore del colosso Boeing e due in Germania, la Umbra Cuscinetti dà lavoro a quasi mille persone più altre 500 che costituiscono l’indotto. Ma oltre a questo ha anche un centro di ricerca ad Albanella (Salerno) dove una ventina di super ingegneri progettano un sofisticato motore

elettrico del futuro. «La nostra mission - dice l’ingegner Valter Baldaccini, ad della multinazionale umbra - è quella di avere il primato mondiale nella realizzazione di viti a ricircolo di sfere nel settore aeronautico e fornire di sofisticate tecnologie il mercato industriale». Umbra Cuscinetti è così diventata fornitore strategico di importanti realtà a livello mondiale come Boeing, Airbus, British Airwais, Lufthansa, KLM, Loockheed Martin, Trumpf e Mori Seiki (quest’ultima la più grande azienda mondiale per la produzione di robot industriali). In una recente visita allo stabilimento di Foligno il presidente di Boeing Italia, l’ambasciatore, Rinaldo Petrignani ha sottolineato di essere «orgoglioso nel collegare la società Boeing alla Umbra Cuscinetti, questa grande realtà regionale, riconosciuta dalla Boeing come fornitore unico per i pezzi di alta tecnologia che produce in questi stabilimenti. E’ un riconoscimento raro da parte della Boeing ad un produttore straniero e questo dimostra l’apprezzamento e la stima della Boeing per la Umbra Cuscinetti, ma anche per il suo

ad, l’ingegnere Valter Baldaccini». «La vera e durevole ricchezza dello sviluppo economico - evidenzia con orgoglio l’ingegner Baldaccini - può essere creata e mantenuta soltando quando la produttività cammina di pari passo con l’interesse per l’individuo. La nostra azienda, il nostro gruppo, vogliono creare un profitto sostenibile ma anche promuovere il rispetto e la valorizzazione delle persone e dell’inestimabile contributo che esse possono apportare a una crescita eticamente sana di cui tutti, indistintamente possono beneficiare. E’ con questo spirito che un gruppo sensibile al rispetto e alla valorizzazione dei principi etici, dell’innovazione e della responsabilità sociale, può affrontare con successo le difficoltà e le sfide che il mercato le pone». La Umbra Cuscinetti negli ultimi tre anni, nonostante la crisi, è passata, da 781 dipendenti a 950, con un incremento di 169 unità lavorative mentre l’indotto si aggira intorno alle cinquecento unità. Il fatturato è passato da 127 milioni e mezzo di euro del 2011 ai 134 milioni dello scorso anno, mentre

Operai insieme all'AD Baldaccini mostrano una delle viti a sfera da guinnes dei primati prodotte da Umbra Cuscinetti

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per questo 2014 si prevede un ulteriore incremento fino a 140 milioni. Gli investimenti previsti per l’anno in corso si aggirano intorno ai cinque milioni di euro. Ma Umbra Cuscinetti non è solo alta tecnologia. L’azienda con tutto il suo personale è in prima fila per la solidarietà. «Il compito di un’azienda - sostiene da sempre con grande forza l’ad Valter Baldaccini - non è soltanto quello di creare profitto, ma anche di condividere questa ricchezza, in primis fra i collaboratori e poi con la comunità». Ed ecco il nuovo progetto che si chiama «Aggiungi un posto a tavola». «E’ del nostro tempo e delle nostre braccia - dice ancora Baldaccini - che hanno bisogno le persone povere, ed è questo lo spirito che ha spinto la Umbra Cuscinetti ad aderire a questa importante iniziativa. Alla tavola della mensa Caritas la Umbra sarà presente, il secondo sabato di ogni mese, per garantire un pasto caldo a chi non avrebbe possibilità di acquistarlo». Per i dipendenti questa giornata sarà anche occasione per dare libero sfogo alle doti in cucina: chi alle prese con la preparazione di pasti semplici ma gustosi, chi investito del ruolo di aiuto cuoco, chi invece si diletterà nell’apparecchiatura e nel servizio ai tavoli. Continuano invece gli altri progetti fuori dai confini nazionali come quello in Kosovo. La Umbra Cuscinetti fornirà un contributo per il completamento della nuova ala della casa famiglia in corso di realizzazione a Leskoc in Kosovo, a cura della Caritas Umbra. Il «Campo-missione» accoglie 35 bambini e ragazzi e alcuni adulti con situazioni familiari difficili. E ancora: entro

quest’anno sarà ristrutturato l’istituto Salesiano Don Bosco di Perugia il cui obiettivo è quello di insegnare un mestiere ai giovani con l’auspicio di facilitare il loro inserimento nel posto di lavoro. Poi ci sono le missioni in Africa dove la multinazionale folignate ha avviato una serie di iniziative in Kenya e Burkina Faso. Dal 2006 ad oggi sono stati costruiti dei pozzi per l’approvvigionamento idrico di alcuni villaggi e poi c’è anche l’importante sostegno a distanza che ha come obiettivo quello di dare ad un bambino o un ragazzo in condizioni particolarmente difficili, la possibilità di avere una educazione e crescere con la propria famiglia e nel proprio Paese. E per sostegno a distanza si intende cibo, istruzione e, per alcuni, la possibilità di abbandonare lo slum. In Kenya i bambini sostenuti fino ad oggi sono 61 mentre in Burkina Faso la Umbra Cuscinetti ha deciso di finanziare il percorso formativo di base per 15 bambini. Il sostegno avviene in collaborazione con La Gòmena Onlus. E sempre in un villaggio del Kenya, la multinazionale folignate ha regalato un forno per produrre il pane.

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Solidarietà: inaugurazione del pozzo di Burkina


GRUPPO AEROSPAZIO E DIFESA

MODELLO FINMECCANICA, OK Germana Loizzi

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al 13 febbraio 2013, quando alle dimissioni ma uscito pulito da Alessandro Pansa è stato noogni accusa, e poi il successore Giuminato amministratore deseppe Orsi, finito invece in galera), la legato di Finmeccanica, al 24 gennaio quale rischiava di travolgere il più 2014,il momento in cui questo articolo importante gruppo industriale italiano è stato scritto, il titolo della holding è per produzione e per investimenti passato da 4,23 a 6,37 euro, crescendo nella ricerca, l’innovazione e lo svidi oltre il 50% contro una media del luppo, Pansa si è rimboccato subito mercato del 19,6% e trainando la le maniche, forte della sua esperienza quotazione a livelli che non si vedevano da tre anni e passa. Ecco, se servisse un indicatore sintetico di che cosa ha rappresentato, finora, la gestione Pansa per Finmeccanica, nulla riuscirebbe meglio di questo. Quanto a valore per gli investitori, Pansa ha compiuto un capolavoro. E, poiché Finmeccanica non è un titolo speculativo, ma una solida realtà industriale e occupazionale, questo significa che dietro l’anno di Pansa al vertice del gruppo con sede in piazza Monte Grappa esiste una strategia. Di successo. Derivata anche L’AD Alessandro Pansa e il Presidente Gianni De Gennaro dalla scelta (o dalla conferma) di autentiche eccellenze macome responsabile nel settore finannageriali ai vertici delle aziende conziario, rimasto indenne da ogni accusa trollate. e, anzi, riconosciuto esemplare per Arrivato alla poltrona più ambita di gestione e risultati. In questo anno, Finmeccanica in un momento delicaPansa (da luglio affiancato come pretissimo, al culmine di una bufera mesidente da Gianni De Gennaro) e il diatico-giudiziaria (che aveva avuto nuovo vertice di Finmeccanica hanno nel mirino prima Pier Francesco Guarlavorato tanto sul fronte del riassetto guaglini, l’<inventore> di Finmeccanica quanto sul fronte del controllo interno, e del suo successo mondiale, costretto senza trascurare i rapporti con i sin-

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dacati, che hanno permesso di condurre in porto praticamente senza conflittualità operazioni di enorme portata, quale la nascita di Selex Es, il polo dell’elettronica della sicurezza e difesa. Pansa ha centrato la sua strategia sulla concentrazione del gruppo nelle attività di aerospazio, difesa e sicurezza. A tal fine ha lavorato all’uscita dai settori dell’energia e del trasporto con operazioni coronate, finora, dal successo. Il punto di forza attuale di Finmeccanica è senza dubbio Alenia Aermacchi, che ha acquistato una nuova immagine e sembra pronta a rinverdire i fasti aeronautici italiani del passato. Ma tutti i settori, core e no core, si sono messi in mostra. Un esempio per tutti? L’ottima performance di Ansaldo Energia, ora nel portafoglio del Fondo strategico italiano. Essersi concentrato, tra l’altro, sulla difesa apre a Finmeccanica uno spazio nuovo. Il taglio dei budget pubblici aveva fatto ritenere perlomeno discutibile questa preferenza. Ma negli ultimi mesi, anzi: nelle ultime settimane, sono giunte novità significative, in grado di capovolgere questa valutazione. Aggiornando la metodologia di calcolo dei bilancio degli Stati, la Commissione europea ha annunciato che, dal prossimo settembre, le spese in ricerca e sviluppo nonché le spese militari, relative ai nuovi progetti e al-


l’acquisto di armamenti, rientreranno nella voce “investimenti” e non nella voce “spese” con ovvie e positive conseguenze sui parametri economico-finanziari che Bruxelles impone ai Paesi membri e, ovviamente, sulla borsa dei tesorieri pubblici. Del resto, il settore dell’aerospazio e dell’elettronica professionale erano già stati individuati nel programma di governo come strategico per lo sviluppo delle alte tecnologie e per la crescita del sistema industriale. Di questi comparti, Finmeccanica è magna pars: tra i primi dieci gruppi al mondo per ricavi nel settore aerospazio, difesa, sicurezza nonché terzo gruppo mondiale per investimenti in R&S nel proprio settore di attività, impiega nel nostro Paese 42mila addetti diretti, genera un valore della produzione superiore agli 11 miliardi di euro, crea un valore aggiunto di oltre 3,5 miliardi, esporta più di due terzi della propria produzione, per un ammontare superiore ai 7 miliardi, l’1,9% dell’export nazionale complessivo e il 5% delle esportazioni manifatturiere. Complessivamente, sommando tutti i contributi (diretti, indiretti, indotto) il gruppo genera in Italia più di 9 miliardi di valore aggiunto, lo 0,6% del Pil; dà lavoro a 130mila addetti; contribuisce alle entrate pubbliche per 4 miliardi. Ogni euro di valore aggiunto del gruppo genera ulteriori 1,6 euro nell’economia nazionale; ogni occupato sostiene altri 2,1 posti di lavoro in Italia. La sua presenza diffusa sul territorio nazionale dà lavoro, complessivamente, a 35mila persone nelle regioni meridionali, dove la loro produttività è superiore del 50% a quella media territoriale. Il mix di queste considerazioni fa dire agli analisti finanziari che il titolo Finmeccanica è bene impostato, perlome-

no anche per il 2014. Secondo l’outlook 2014 Global Aerospace and Defense, nell’anno in corso il comparto Aerospazio & Difesa crescerà complessivamente del 5%. Tra i business più importanti del settore è destinato a emergere con sempre maggiore forza quello della Homeland Security, la sicurezza dei confini in primis, sulla quale molti Paesi stanno investendo per frenare l’immigrazione clandestina, evitare infiltrazioni di terroristi, ridurre i traffici illeciti. Un settore presidiato eccellentemente da Finmeccanica attraverso Selex Es.

Il gruppo italiano è tra i leader mondiali nell'aerospazio e difesa

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SETTORE IN CRISI

IL MATTONE TRABALLA

L

a recessione continua e il settore immobiliare, nonostante un fiacco risveglio, non sembra riprendersi, dal momento che è uno dei più bersagliati. I dati sono preoccupanti. L’imposizione fiscale sugli immobili in Italia, gia’ in linea con il livello medio europeo all’epoca della stretta fiscale della fine del 2011, oggi risulta essere quasi il doppio. Secondo le stime, la Iuc la nuova imposta sulla casa, che ha un nome buffo ma in compenso potenzialità micidiali, costerà più della vecchia Imu in tutte le città italiane. Composta da Imu, Tasi e Tari riguarderà rispettivamente la componente patrimoniale, la fruizione di servizi comunali, a carico sia del possessore che dell’utilizzatore dell’immobile, e la tassa sui rifiuti che dovrà essere versata da chiunque occupi l’immobile. Un vero e proprio salasso da 150 euro in più per la maggioranza delle famiglie, che sono già allo stremo delle forze.

La pressione è tale da produrre effetti depressivi sull’intera economia del settore: dal dimezzamento del numero di compravendite e mutui, registrato negli ultimi cinque anni, al grave calo dei prezzi dei beni immobili, che colpisce tutti, anche i possessori

della prima casa, nonostante per il momento sia esente dall’Imu, fino alla riduzione al lumicino della locazione privata. Basta fare un giro per le strade per notare un fenomeno a dir poco allarmante: i cartelli “Affittasi” si sono triplicati e su ogni portone ce ne sono appesi almeno due o tre, per non parlare dei cartelli “Vendesi” sco-

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loriti e stropicciati, quasi dimenticati dagli stessi proprietari. Si moltiplicano soprattutto nelle periferie, ma ora anche nelle zone più centrali le saracinesche abbassate, triste immagine di un fallimento, di un sogno infranto, quasi un monito per chi vi passa davanti, laddove prima la vetrina colorata e piena di luce del negozio illuminava il marciapiede e scaldava il cuore dei passanti. Il quadro si fa ancora più preoccupante se parliamo di immobili pignorati o che stanno per andare all’asta. Quel che fa più rabbia è che spesso gli immobili non vengono pignorati perché i proprietari sono loschi individui che non pagano le rate del mutuo o perché hanno fatto il passo più lungo della gamba e si sono messi in un affare sbagliato. Oggi molti padri e madri di famiglia non ce la fanno più a stare dietro alla rata mensile del mutuo perché dopo


avere pagato le bollette, fatto la spesa, messo la benzina “quanto basta” nella macchina, comprato i libri e un paio di scarpe ai propri figli, perchè si sa i figli crescono, hanno finito i soldi e non il 30 del mese ma diversi giorni prima. Padri e madri di famiglia che hanno acceso un mutuo sull’unica casa di proprietà, il sogno di una vita, da lasciare in eredità ai propri figli e lo hanno fatto in tempi non sospetti, quando ancora era lecito fare progetti per il futuro e il proprio lavoro, magari a tempo indeterminato, era una certezza indiscussa. Molti uomini e donne, che da sempre hanno lavorato per vivere dignitosamente e mettere da parte qualche risparmio, vedono spazzato via il proprio sogno perché hanno perso il lavoro o comunque hanno assistito, impotenti, ad una drammatica diminuzione delle loro entrate, così come molti piccoli artigiani e imprenditori

che stremati dalla crisi sono costretti a chiudere la propria attività. Di qui spesso la scelta dolorosa e non priva di dolorose conseguenze, non solo economiche ma soprattutto psicologiche, di vendere il proprio immobile prima che vada all’asta, in un contesto non facile, nel quale i tempi di vendita si sono notevolmente dilatati e i prezzi già bassi devono necessariamente incontrare il mercato. Una scelta difficile e sofferta perché rappresenta per molti la presa di coscienza del proprio fallimento, una sconfitta che la vita li costringe a sopportare nonostante tutti i loro sforzi per evitarla. Eppure dentro di loro la speranza ancora c’è, gli italiani pronti a rimboccarsi le maniche e a guardare con ottimismo al futuro esistono e sono molti. Non lasciamoli soli. G.L.

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GRUPPO CONTSHIP ITALIA

IL FUTURO? SIAMO PRONTI Enzo Millepiedi

L

’analisi di Cecilia EckelmannBattistello, Presidente del Gruppo Contship Italia, va, come sempre, al cuore del problema senza lasciare margini né alle interpretazioni né alle scorciatoie quando dice che il

Michele Giromini, AD di LSCT Contship

2014 continuerà ad essere caratterizzato da un alto livello di incertezza e ci aspettiamo ulteriori complesse dinamiche per il business dei nostri clienti i cui ricavi devono ritrovare un livello di sostenibilità in grado di salvaguardare la crescita degli investimenti. Si tratta di un obiettivo chiave per l’intera catena logistica mondiale perché le azioni di riduzione dei costi in termini assoluti e nello specifico nei costi di rete, nelle attività portuali e terminalistiche hanno un punto limite di arrivo. In considerazione di questo, il nostro business continua ad essere sotto pressione essendo noi stessi sempre di più impegnati

sul fronte degli investimenti e per il continuo aumento dei costi energetici e di manodopera, un aspetto che deve essere opportunamente riconosciuto nel settore della logistica”. E dice questo dopo che nel 2013 per il La Spezia Container Terminal (che è tornato a superare il milione di Teu), gioiello di efficienza nel rapporto banchine-containers, ottenuto il rinnovo per altri 53 anni delle concessioni demaniali, ha firmato con l’Autorità Portuale una innovativa intesa che prevede investimenti per 200 milioni di euro, una parte dei quali destinati a sovrastrutture e mezzi d’opera (le gru) e ben 80 - una straordinaria novità e in Italia è la prima volta - a banchine e moli, che diventeranno patrimonio della città. Per la prima volta opere civili di questo tipo saranno dunque realizzate con capitale privato, senza ricorrere a fondi pubblici. Con l’obiettivo di aumentare notevolmente l’attrattiva di un porto - commenta il Presidente dell’Authority Lorenzo Forcieri - che, come snodo vitale, può fare da capofila per la direttrice Tirreno Brennero e che è un core port nella rete europea TEN-T (Trans-European Networks - Transport). E subito dopo la firma dell’intesa, il Terminal Contship della La Spezia è stato il primo gateway italiano ad ordinare a Officine Meccaniche Galileo, due nuove gru di banchina capaci di operare sino a ben 23 file di contenitori. Un ordine che va letto appunto come ulteriore tassello del piano di investimenti volto a migliorare ulteriormente le infrastrutture e la capacità operativa del terminal spezzino. Le nuove gru saranno

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in grado di lavorare le navi di ultimissima generazione impiegate dalle linee di navigazione globali sia in modalità di sollevamento singola che con spreader “twin lift” ovvero 2 container in contemporanea. I clienti del terminal potranno beneficiare di una maggiore flessibilità delle operazioni e facilità di scelta nel disegnare la propria rete di servizi. Il progetto è stato sviluppato in collaborazione con la società di ingegneria Liftech Consultants inc. mentre la costruzione e montaggio sarà affidata a due aziende specializzate cinesi, la China Shipbuilding Trading (Wuhan ) CO.LTD e la Haixi Heavy-Duty Machinery CO, LTD. La componente in-

Cecilia Eckelmann-Battistello, Presidente del Gruppo Contship Italia

terna dei motori e degli attivatori sarà fornita dal Gruppo Emerson, adottando le più moderne tecnologie di rigenera-


Nella foto un operatore impegnato nella movimentazione dei containers

zione energetica e risparmio dei consumi. Le Gru (con capacità di carico di 60 tonnellate sotto spreader) saranno terminate in 18 mesi e poi trasportate via mare da Qingdao in Cina dopo una fase di test che velocizzerà la procedura di accettazione e messa in operatività una volta arrivate in banchina LSCT. E’ entusiasta Michele Giromini, che da direttore generale di una società che ha ribattuto colpo su colpo alla crisi, è diventato amministratore delegato cogliendo il testimone da Marco Simonetti, ora vice presidente dei Terminal Marittimi del Gruppo Contship: “E’ un momento aziendale molto eccitante e lo sarà ancora di più in questi prossimi

anni. Ai nostri clienti assicuriamo il nostro massimo impegno nell’affrontare le crescenti sfide e fornire servizi affidabili e tecnologicamente avanzati. Questo contratto è un altro passo avanti nello sviluppo del La Spezia Container Terminal che genererà a breve nuove opportunità in termini di sviluppo banchine, nuovi piazzali e capacità operativa”. Come dire al La Spezia Container Terminal siamo pronti per il futuro, ora! Senza dimenticare la sfida di spostare il trasporto container da strada a ferrovia fino a raggiungere dall’attuale 30 per cento al 50 per cento a favore della rotaia. Un ragionato e solido ottimismo (e si

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sa di quanto ce ne sia di bisogno) che si inquadra nei risultati 2013 dei Terminal Container Marittimi del Gruppo Contship Italia, risultati che consolidano la loro posizione di mercato in Italia. Nonostante il livello di incertezza che si continua a registrare nel settore del trasporto marittimo containerizzato riassume Daniele Testi, Marketing & Corporate Communication Director - i risultati 2013 rispecchiano l’impegno e gli sforzi del Gruppo che in Italia raggiunge 5,2 milioni di TEU movimentati nei terminal container partecipati, con in aggiunta i risultati al porto di Tangeri, dove la partecipata Eurogate Tanger recupera i volumi del-


l’anno precedente e per la prima volta supera la soglia del milione di TEU movimentati. Al Medcenter Container Terminal (Mct), il “mega hub” di Gioia Tauro che registra per il secondo anno consecutivo una crescita a due cifre, i clienti hanno potuto beneficiare di alti livelli di performance in una infrastruttura già in grado di operare su grandi navi di nuova generazione. Il Cagliari International Container Terminal (Cict), nonostante la tensioni socio-politiche nei mercati di riferimento del Nord Africa, ha incrementato l’attività confermando il duplice ruolo di centro per il Transhipment nel Mediterraneo e Gateway per le merci della Sardegna. Il La Spezia Container Terminal (Lsct) e Terminal Container Ravenna (Tcr) hanno beneficiato di una crescita dei flussi containerizzati in esportazione, e in maniera più limitata anche per ciò che riguarda i flussi in importazione, conseguenza di una ripresa economica che inizia a mostrare i primi leggeri segnali nei mercati strategici del Nord Tirreno e del Nord Adriatico. Considerando inoltre i buoni risultati del Salerno Container Terminal (Sct), i clienti del Gruppo Contship Italia hanno potuto ottenere vantaggi competitivi per le loro catene logistiche globali grazie ad una offerta di soluzioni integrate portuali e intermodali e ad un continuo impegno sugli investimenti (appunto), quale ulteriore garanzia per un appropriato dimensionamento con il quale rispondere alle sfide e richieste di servizio future. Le soluzioni intermodali del Gruppo Contship

Italia (offerte da Sogemar ed Hannibal) hanno ottenuto un risultato in leggero decremento anche se il trend di mercato sui trasporti nazionali è stato parzialmente compensato dai dati positivi registrati sul fronte del trasporto combinato internazionale. Il centro intermodale di Milano-Melzo ha incrementato il livello di attività ferroviaria con oltre 5.500 treni gestiti nel 2013. Gli sviluppi di questa moderna infrastruttura continueranno nel 2014 con l’obiettivo di accrescere ulteriormente la capacità di movimentazione a supporto delle attività di trasporto ferroviario domestiche ed internazionali. La società ferroviaria Oceanogate Italia ha infine operato, nel suo secondo anno di attività, oltre 1 milione di treni-kilometro confermandosi come nuovo affidabile anello della rete logistica globale.

IL GRUPPO IN CIFRE Melzo (MI) Il Gruppo Contship Italia, leader di mercato in Italia nel business dei Terminal Container Marittimi e nel Trasporto Intermodale ha registrato, nel 2013, questi risultati: Total contenitori movimentati (TEU) nei Terminal Contship: Italy MCT - Medcenter Container Terminal CICT - Cagliari International Container Terminal LSCT - La Spezia Container Terminal TCR - Terminal Container Ravenna SCT- Salerno Container Terminal Morocco Eurogate Tanger

2013 (TEU) 3.087.000 656.000 1.031.000 206.000 194.000 2013 (TEU) 1.064.000

2012 (TEU) 2.721.000 582.000 990.000 191.000 150.000 2012 (TEU) 585.000

Attività Intermodal e Ferroviarie del Gruppo Contship Italia 2013 240.000 1.154.000

Sogemar + Hannibal (TEU trasportati) Oceanogate Italia (Treni*km)

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2012 247.000 840.000


TRASPORTO AEREO

L’ ALITALIA NON È UN LUSSO Pietro Romano

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er la seconda volta Air France si sfila dalla partita Alitalia. Mettendo fine a un equivoco che dura da troppo tempo. Certo, si sentirà dire e si leggerà ancora che a Parigi avevano le migliori intenzioni di questo mondo ma Roma non ha permesso la valorizzazione della compagnia. Del resto, l’abbiamo sentita raccontare per anni che Air France voleva Alitalia, se ne accollava debiti e dipendenti, avrebbe creato in Italia un altro hub per i suoi voli e invece no, a causa del governo dell’epoca, sono stati accollati ai contribuenti miliardi di spesa e ora la compagnia si trova punto e a capo. Non è così. Come già Nuova Finanza ha dimostrato, l’operazione Passera-Berlusconi

ha fatto addirittura risparmiare alcuni miliardi di euro alle casse pubbliche (soprattutto in ammortizzatori sociali) realizzando invece valore aggiunto, prodotto interno lordo, tributi e contributi che l’alienazione (o un fallimento, peggio ancora) non avrebbero prodotto. In più rimangono gli asset, materiali e immateriali, e il capitale umano della compagnia nonostante la “nuova” Alitalia sia stata svezzata negli anni di una crisi forse peggiore di quella scoppiata nel ’29. Air France ora si è fatta da parte perché non dispone dei polmoni finanziari adeguati a sostenere un’operazione di acquisizione, integrazione e rilancio di Alitalia, come dimostrano i suoi conti e anche i riflettori che molti analisti –

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da ultimi gli svizzeri di Ubs – hanno acceso sullo stato di salute della compagnia transalpina. Un’altra, sacrosanta questione è, invece, la collaborazione commerciale tra Alitalia e AirFrance. Partnership e sinergie tra le due compagnie sono indispensabili al loro business. I due vettori, inoltre, sono pietre miliari dell’alleanza SkyTeam e nessuno ha mai pensato a un divorzio. Ma la questione proprietaria è un altro paio di maniche. Chiarito l’equivoco francese, Roma può e deve giocare la partita Alitalia con mani più libere che in passato. Benché l’obiettivo sia ormai dichiarato: la partnership con Etihad. Di fronte alla quale c’è una compagnia, come Alitalia, che comincia a mostrare i suoi punti di forza. Lo dimostrano i brillanti risultati del 2013 su lunghe e medie tratte. Attenzione, la strada per uscire dalla crisi è ancora lunga e Alitalia non potrebbe farcela da sola. Mentre la strada dell’ingresso – non si sa sotto quale forma – di Etihad nella compagine azionaria che controlla Alitalia non sarà agevole. Prima di tutto, non sembra ci sia unità di vedute sull’impegno italiano tra l’emiro di Abu Dhabi, Khalifa bin Zayed Al Nahyan e il ceo della compagnia, James Hogan. Fortunatamente per l’Italia, nei Paesi


del Golfo Persico di solito l’ultima parola spetta all’azionista e non all’executive ma Hogan, l’artefice del successo di Etihad, è molto ascoltato a palazzo. Per facilitare l’approccio, magari si potrebbe rispolverare il progetto di valorizzazione societaria del programma Millemiglia, che ha agevolato l’ingresso di partner finanziari in altre compagnie (è il caso della stessa Etihad) e che l’anno scorso, sotto l’incalzare delle emergenze, è stato accantonato. E’ vero pure che, se Alitalia fallisse, l’Italia potrebbe continuare a volare. Ma in che condizioni? E con quali riflessi sull’economia nazionale? Non ci sono mecenati in questa industria. Le compagnie tradizionali giocano a mettere fuori mercato i concorrenti e le low cost hanno una logica del breve periodo, prendono (e lasciano) tratte secondo la convenienza del momento e l’entità dei contributi. Ma le casse pubbliche italiane non sono nelle condizioni di continuare a sovvenzionarle. Per ora, inoltre, le low cost non affrontano le lunghe tratte, però sono le lunghe tratte che attirano investitori e turisti. All’economia italiana non bastano navette da e per Parigi o Madrid, Francoforte o Londra. Una delle maggiori potenze manifatturiere al mondo e sicuramente una delle mete turistiche più ambite ha altre esigenze che quelle, sia detto con tutto il rispetto, del Belgio e della Svizzera, che hanno visto fallire le loro ex compagnie di

bandiera. La sfida si combatte tra sistemi Paese e non è un caso che Lufthansa si sia schierata contro l’ingresso di Etihad in Alitalia: siamo per la Germania l’unico, reale concorrente industriale in Europa. A Berlino (ma anche a Parigi, Madrid e forse Londra) le risorse che Etihad potrebbe mettere a disposizione di Alitalia fanno paura per l’effetto moltiplicatore che l’intesa potrebbe avere sul sistema Italia. Ma è anche la forza e il valore aggiunto del sistema che attirano Etihad. Gli emiri non fanno beneficenza, fanno affari e se questi affari possono avere anche una ricaduta politica tanto di guadagnato. Sul tavolo delle trattative, non a caso, negli ultimi giorni gli emissari di Etihad stanno mettendo l’integrazione con il sistema dei trasporti e delle infrastrutture interne. Un punto di debolezza per l’Italia. Che diventa un punto di forza se si comincia, appunto, a discutere a livello di sistema. Dove l’Italia può mettere sul piatto della bilancia, con pochi eguali, l’esperienza nel trasporto aereo, il suo peso di potenza industriale, le sue eccellenze, le bellezze naturali e artistiche. Che solo un mix di vittimismo e autolesionismo (magari condito dalle spezie dell’interesse di chi lavora per il “fronte esterno”, insomma le “quinte colonne” per dirla nel gergo spionistico) può mettere in discussione. E, come spesso capita, purtroppo, svalutare o distruggere.

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VOTO EUROPEO

LE POLTRONE DEGLI EX Alberto Mazzuca

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fine maggio si vota per l’Europa, più di 750 seggi di cui una settantina spetteranno all’Italia. E si vedrà se anche questa volta un discreto numero di quelle settanta poltrone sarà occupato da ex parlamentari, ex sindacalisti, ex portaborse con l’unico comun denominatore di essere dei “trombati”. Gente cioè che di fatto è stata messa in pensione e non ha più voglia di combattere quando invece mai come oggi in Europa si dovrà combattere per l’Europa. Già, perché in molti prevedono nelle prossime elezioni - in Italia ma anche in Germania, Grecia, Olanda, in tutti i 28 membri dell’Ue - un successo dei partiti e dei movi-

menti antieuropei. Quindi il successo di una ribellione neo-restauratrice del nazionalismo contro i governi europeisti e contro l’euro. Certo, l’Europa che ci ritroviamo non è proprio quella che sognavamo, che ci illudevamo di creare. E cioè un’Unione politica, economica, monetaria. È stata realizzata, senza dibattito e in modo imperfetto, quella monetaria con il risultato che gli effetti positivi sono svaniti ben presto e l’intero continente è finito nel bel mezzo di una crisi. Dal 2008 l’Europa, ormai germanocentrica, è in una crisi finanziaria e bancaria che ha costretto Bruxelles ad imporre misure di austerità così pesanti da rivelarsi controproducenti. Il 12% della popolazione europea è sotto la soglia di povertà, i benestanti sono appena lo 0,6% ma detengono il 39% della ricchezza, la disoccupazione nell’eurozona è in media al 12,1% ma si va dal 5% di alcuni paesi come l a Germania a l 22% e oltre

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di altri, la disoccupazione giovanile è attorno al 24% in media con punte che superano il 57% in Spagna. Tre paesi sono in deflazione (Grecia, Cipro e Lettonia), Portogallo, Spagna, Irlanda e Malta ci sono molto vicini. L’Italia, che di suo è già ingessata per colpa di una classe dirigente che negli ultimi vent’anni ha pensato più agli interessi propri che a quelli generali, si colloca nella fascia di quei paesi che arrancano in coda; anzi, ha addirittura registrato con il 12,7% l’aumento più cospicuo su base annua del tasso di disoccupazione in tutta l’Ue, secondo solo a quello di Cipro. Nel dicembre 2013 è stato raggiunto in Europa l’accordo sull’Unione bancaria i cui effetti, se ci saranno, si vedranno dopo il 2026. Ma intanto è stato stabilito un principio politico: il costo dei salvataggi delle banche resta nazionale, a carico quindi di azionisti, obbligazionisti e correntisti di ogni singolo paese. Il che significa un addio alla solidarietà europea. All’inizio di gennaio la Commissione europea ha cambiato poi il metodo per il calcolo da parte di Eurostat delle statistiche pubbliche dei paesi membri. Questa nuova metodologia, operativa dal prossimo settembre, potrebbe tramutarsi per Italia, Spagna e Portogallo in un incremento dell’1-2% del dato pregresso del Pil 2011, del 2-3% per Germania e Francia, addirittura del 5% per Finlandia e Svezia. Un nuovo metodo, dicono a Bruxelles, per allinearsi a quanto fa gli Usa che l’hanno già adottato nell’agosto 2013 causando un incremento del Pil del 3,5% per gli anni dal 2010 al 2012. E che vuol dire questo cambiamento per il nostro futuro? Significa fa-


vorire la crescita artificiale del Pil per rendere, almeno nel caso nostro, meno pesante il parametro deficit-Pil del 3% oppure l’abbassamento dello stock di debito - 40 miliardi l’anno previsto dal Fiscal compact. Ma è un “trucchetto” che non fa cambiare la realtà economica che resta sempre quella: domanda interna sofferente, disoccupazione in aumento, credito bancario che non arriva all’economia reale, pressione fiscale nel 2013 al nuovo record del 44,3% e nel 2014 ben oltre il 44%. Ma c’è chi riesce a vedere, in mezzo a queste macerie, la luce in fondo al tunnel… La Commissione europea ha pubblicato di recente le previsioni economiche per l’eurozona che in materia di qualità della vita sono molto preoccupanti. Indicano infatti una decisa regressione della qualità della vita europea rispetto agli Usa: “Senza riforme strutturali, nel 2023 la qualità della vita degli europei sarà al 60% di quella degli americani. Peggio di com’era nel 1960”. Insomma, questo è l’orizzonte dopo 12 anni dall’introduzione della moneta unica. E dal simposio di Davos tra banchieri, politici, investitori, il World Economici Forum, è emerso come il debito pubblico rappresenti la più grande minaccia per l’economia globale. Non solo il debito in Europa, quindi, ma anche in Usa (il debito pubblico ufficiale è già più del 100% del Pil) e in Giappone (viaggia ormai verso il 230%). Crisi fiscali innescate dagli alti livelli di debito nelle economie avanzate, in parole povere, sono considerate potenziali detonatori di nuovi choc a causa della fuga di investitori. Con costi dei pagamenti per gli interessi fuori controllo, debito in continuo aumento, rialzo dei tassi di interesse. Nel breve termine, inoltre, “i

rischi sono maggiori per le nazioni dell’eurozona che non hanno la leva svalutativa della moneta come opzione per rendere meno traumatico un aggiustamento fiscale”. Non è solo questo il nodo emerso a Davos, uno dei rischi maggiori è la crescente diseguaglianza: ci troviamo infatti di fronte ad “una generazione perduta” di giovani che nella decade iniziata nel 2010 ha perso o perderà il lavoro e che si ritrova con requisiti insufficienti per trovarne un altro. E il loro senso di frustrazione aumenta fino a poter sfociare in sollevazioni sociali, come accaduto in Tailandia, Grecia e Brasile, con i giovani in piazza per protestare contro diseguaglianza e corruzione. In Italia abbiamo tantissimi giovani sfiduciati, così sfiduciati da non cercare nemmeno più un posto di lavoro. In questo panorama tutti quanti, ricchi e poveri, europeisti e antieuropeisti, sono a rischio. Il malessere è dovunque, molti cominciano a mettere in dubbio l’esistenza di una ripresa reale, c’è chi nutre perplessità anche sulle operazioni di stimolo varate dalle banche centrali. L’Abenomics giapponese sta inondando il mondo di yen ma il tasso d’inflazione non sale secondo le aspettative. La Fed americana, che ha cercato di ridare fiato all’economia reale con tonnellate di liquidità finite invece in gran parte sul mercato finanziario Usa, continua a mettere in giro 75 miliardi di dollari ogni mese (già, ogni mese) nonostante abbia già chiuso un tantino i rubinetti. Ma il risultato maggiore di questa politica espansiva è la cifra record di 1,3 triliardi di dollari di depositi in eccesso rispetto ai prestiti stabilita dalle quattro principali banche statunitensi… La Bce, che per statuto può svolgere un

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Federal Reserve Board Building

ruolo molto più limitato rispetto alla Fed americana, ha salvato l’euro e il sistema bancario europeo ma non un euro è finito all’economia reale. Più di tanto, sostengono a Francoforte, la politica monetaria non può fare, oltre a tutto con i tedeschi che tengono il fucile puntato su Mario Draghi. L’unica operazione di stimolo che, stando almeno agli esperti, sembra avere funzionato un tantino meglio è quella della Bank of England: prestiti alle banche con il vincolo che una fetta dei soldi dovesse finire obbligatoriamente alle piccole e medie imprese. Risultato: la disoccupazione in Gran Bretagna è scesa al 7,4% e continua a scendere mentre nell’eurozona è al 12,1%. C’è poi la Cina, il vero epicentro del rischio globale, in quanto vuole abbattere il debito nel pieno di un processo di profonde riforme strutturali. La Cina è in crescita di oltre il 7%, una cifra strabiliante che noi sogneremo ad occhi aperti ma che per i cinesi significa invece rallentamento. Insomma, il motore cinese ha bisogno di una ripulitina. La Cina ha poi in pancia 1,3 triliardi di dollari di debito Usa, una cifra record. Ma ha anche riserve record pari a 3,8 triliardi di dollari. Solo che c’è un dato molto significativo: già nel 2010 la Cina era piena di debito Usa, circa 1,2 triliardi di dollari. Quindi in tre anni Pechino ha acquistato debito Usa solo per la cifra modesta di cento miliardi di dollari o giù di lì. Che accadrà ora che la Fed, principale detentore del debito Usa, ha iniziato a chiudere un po’ i

rubinetti dei soldi dando al mondo il messaggio di non essere più il sostegno di ultima istanza di tutto il debito americano in pancia alle istituzioni finanziarie? L’interesse ad investire nel debito di un paese che ha già superato il tetto del 100% del Pil potrebbe diminuire e i tassi finire sulle montagne russe. Acque agitate, in definitiva. L’Europa ha perso smalto, diciamo pure che è quasi in tilt pur rimanendo un soggetto politico rilevante a livello globale. La sua identità europea si è anche indebolita con l’immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente di persone che non si considerano ancora europee. Sembra anche piccola rispetto all’India e alla Cina, con in più la Russia che nello stesso tempo è Europa e non Europa e ha una forte influenza su varie zone di confine. Ma l’Europa è ancora forte sul piano industriale, molto forte. E lo è solo se rimane unita. La sua crisi non è solo economica, è anche una crisi di ideali. Si tratta quindi di trovare un nuovo ideale di Europa, che certamente non è quello degli antieuropeisti. E solo se agganciata ad un nuovo ideale di Europa anche l’Italia - vecchia, spompata, sfiduciata - può ripartire, da sola non potrà mai farcela. In questo senso c’è già un appello con tre proposte firmato nei mesi scorsi da un economista serio come Paolo Savona. Ma altri suggerimenti dovrebbero esserci, soprattutto ora che toccherà all’Italia il timone dell’Ue. Invece c’è il silenzio.

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FIRENZE-MILANO

LA MODA TORNA “ROCK” Allegra Contoli

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e due manifestazioni dedicate alla moda maschile sono appena terminate: il 10 gennaio a Firenze è calato il sipario sull’85° edizione di Pitti, il 14 gennaio a Milano si è invece conclusa la settimana della Moda Uomo. E mentre con grande trepidazione già si aspetta la settimana della moda Donna di febbraio, è giunto il tempo di fare bilanci. La kermesse fiorentina è andata bene, nonostante cadesse a ridosso dell’Epifania, nonostante l’intreccio con la Fashion Week londinese, insomma nonostante tutto questo, Pitti è stato davvero “rock” e anche i numeri lo dimostrano. «Pitti Uomo n.85 e Pitti W n.13 si sono conclusi all’insegna della positività, con un confortante aumento delle presenze rispetto ai risultati dello scorso gennaio» - afferma con entusiasmo Raffaello Napoleone, amministratore de-

legato Pitti Immagine. - “Abbiamo raggiunto quasi 21 mila compratori, circa 30 mila visitatori in totale, e sono tornate a crescere anche le presenze dall’Italia, circa 13.000 persone, quindi una crescita di più del 4%: non potevamo sperare di meglio, siamo molto soddisfatti e carichi di entusiasmo in vista del prossimo giugno». Oltre 1.100 marchi (italiani ed esteri) che hanno esposto le collezioni per il prossimo autunno-inverno 2014/15 e dato vita ad una fiera davvero interessante, con spettacoli, installazioni, djset ma anche importanti collaborazioni, come quella con la Mercedes-Benz Kiev Fashion Days, che quest’anno vede come Pitti Guest Nation l’Ucraina, le cui collezioni sono state presentate in uno speciale allestimento all’interno di Pitti W, e grandi ospiti, su tutti Chiara Boni, Special Guest dell’edizione di gennaio ed Alessandro dell’Acqua, con la prima collezione maschile targata N.21.

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Ma come si vestirà l’uomo il prossimo inverno? Senza dubbio, le parole chiave di Pitti sono state ritorno ai classici ed unione di tradizione e futuro. Rivisitazione dell’abito tre pezzi e del doppiopetto, della serie più classici non si può, sono stati protagonisti da Kiton, Paoloni e Tagliatore. Ridefinizione delle linee senza dimenticare un tocco di eccentricità, si gioca quindi con la trama decorativa, in particolare la stampa check. Ma anche capi all’avanguardia, come quelli della Linea Zero Gravity firmata Tombolini. Fattura sartoriale ed una leggerezza senza pari, con completi invernali che arrivano a pesare solo 400 grammi e tessuti di alta qualità, come lane purissime, cashmere e seta, lini e cotoni. Non solo classico però ma anche moderno, anzi evoluto con combinazioni di tessuti futuristiche e tessuti tecnici coniugati con materiali tradizionali. La più importante ed interessante è lei: la giacca di taglio classico rivisitata in chiave sportiva con


la trapuntatura, per affrontare il freddo senza rinunciare ad un tocco di eleganza. O ancora, l’orlo di 3,5 cm di Cucinelli che lascia intravedere la calza, la sua linea di accessori che si arricchisce di custodie per smartphone, tablet e persino di portasigari e, last but non least, le tre diverse interpretazioni del cappotto, ovviamente sempre in stile Cucinelli: dalla versione british, che non passa mai di moda al modello grintoso di ispirazione militare, che ricorda un po’ il cappotto dell’esercito prussiano, passando ad un terzo modello, dal taglio simile a quello di Capitan Nemo. Non si può non citare il debutto nel settore maglieria di An ItalianTheory di Alessandro Enriquez e la collezione Malo che gioca a mescolare punti e filati differenti per capi di eccellenza. È anche tempo di accessori: cappelli e borse si confermano indispensabili, purchè siano artigianali i primi e funzionali le seconde. Infine, l’inverno 2015 sarà (ancora) mimetico: la tendenza camo infatti non solo resiste ma si aggiudica anche il titolo di Pitti evergreen, in barba a chi già la credeva tramontata. E dopo Firenze, è toccato a Milano dettare i trend autunno-inverno 2014-2015 in fatto di menswear, con un calendario che ha racchiuso anche piacevoli sorprese, come il ritorno in passerella di Antonio Marras. E anche qui vince incontrastata l’eleganza, con il gilet che oggi “svecchia” l’abito formale, con la giacca reversibile o la cravatta monocromatica. E se Versace fa sfilare l’uomo biker, considerato il “cowboy di oggi”, Costume National risponde con un uomo dall’animo ribelle ed influenze rock. Dolce&Gabbana puntano sulla raffinatezza dei cavalieri normanni, con stampe che richiamano i grandi personaggi dell’età di Federico II mentre Prada fa sfilare uomini e

donne, giocando su capi in contrasto mischiati tra loro, in maniera tutt’altro che casuale. Focus sui colori e sulle fantasie, con il blu, re incontrastato in tutte le sue sfumature, mentre il grigio-business è il protagonista assoluto della collezione Armani, micro disegni, stampe e contrasti che arricchiscono ed esplodono su tessuti come cashmere e misto lana ma resistono anche pelle e coccodrillo o inserti di pelliccia, come si è visto da Fendi. Un uomo deciso e grintoso insomma, sia quando indossa un abito tre pezzi sia quando osa con un giubbino di pelle, ma anche un uomo attento al dettaglio che rende l’accessorio parte integrante del look. Dall’ispirazione “dandy-biker”di Hogan fino alla comodità delle borse Piquadro, grande ritorno del tanto amato/odiato borsello e dell’intramontabile zaino. Anche le scarpe spaziano dalle più eleganti, in pelle con doppia fibbia, fino a quelle più sportive, con cuciture a vista e suole in gomma. Così Milano come Firenze: una chiusura in bellezza, resa ancora più piacevole da un importante annuncio da parte del presidente della Camera della Moda Italiana, Mario Boselli, che ha dichiarato: “Sono in arrivo sei milioni di euro per finanziare la moda a Milano”. I sei milioni andrebbero ad aggiungersi ai già 2 milioni che il Ministero dello Sviluppo Economico ha destinato al prossimo Pitti. Si respira un’aria nuova nel mondo della moda italiano, e “le previsioni di crescita salgono al 5 per cento, non più al 2,5”, come conferma ancora Boselli. Un inizio non male quindi per quello che, secondo molti, dovrebbe essere l’anno della lenta ma tanto attesa ripresa. Lo sguardo intanto è già puntato a febbraio, quando andrà in scena la settimana della Moda Donna, e gli occhi non saranno puntati solo sulle collezioni ma, è da scommetterci, anche sulla grande new entry di quest’anno: il nuovo amministratore delegato della Camera della Moda Italiana, l’inglese Jane Reeve.

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L’ANALISI

LA GUSTIZIA TRIBUTARIA Giorgio Fiorenza*

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a lotta all’evasione ed all’eludi carriera che garantisse l’applicazione dovuto. E questo in contrasto con i sione fiscale è sacrosanta. Non della “procedura” e di professionisti, dettami dell’art. 53 della Costituzione. solo per la costante, quanto capaci di dare risposte immediate a A questo fine ormai da anni, sono sotto certi profili preoccupante, nequesiti riferibili ad applicazioni di stati espletati molteplici tentativi di cessità di “far cassa” da parte dello norme fiscali che spaziano, dalla ditrasformare la denominazione delle Stato, ma soprattutto per una quechiarazione dei redditi agli accertaCommissioni in “Tribunali” per renstione di etica e di rispetto delle menti catastali, dalla tassa sui rifiuti dere più chiara la loro reale funzione, regole, per poter raggiungere, in amalla determinazione dei valori delle ma pur essendo una operazione a bito nazionale, un accettabile livello aziende. Da qui il ricorso a figure costo zero per l’Erario, ad oggi niente di “equità fiscale”. di fatto. Per non parlare Ma al potenziamento del poi della inopportunità potere di accertamento e giuridica del fatto che la di riscossione, avrebbe “Commissione” dipenda dovuto corrispondere un dal Ministero delle Fiparitetico ed adeguato (in nanze che, direttamente termini proporzionali) o indirettamente “rapprepotenziamento del diritto senta”, in una molteplicità alla difesa. Come peraltro dei giudizi trattati, una previsto dallo Statuto dei delle parti in causa. diritti del Contribuente Negli ultimi cinque anni, sancito dalle norme consono molti i decreti legge, tenute nella Legge utilizzati in modo del tut212/2000, che avrebbe to arbitrario e ormai acdovuto assumere una vaclaratamente illegittimo lenza di carattere costiche si sono succeduti per Giorgio Fiorenza, ricevuto dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano tuzionale ma che è invece effettuare cambiamenti divenuta una delle norme nell’alveo della Giustizia più “derogate” del panorama norma“professionali” che operano quotidiaTributaria che ne hanno determinato tivo nazionale. Più che una Legge namente nella società civile e che una perdita d’immagine prima ed una serie di suggerimenti. sono dotati di notevole senso pratico una notevole riduzione dei propri E’ importante evidenziare come Il e soprattutto di senso della misura. poteri e della propria autonomia poi. giudice tributario, sia di fatto un La mancata conoscenza, spesso, da E questo nonostante che il Presidente “operatore di prossimità” proprio perparte del contribuente dell’esistenza Napolitano abbia effettuato un imché espleta la propria attività profesdelle Commissioni Tributarie cui poportante “richiamo” sull’uso improprio sionale su uno specifico territorio e tersi rivolgere per veder fatti salvi i dei decreti, senza la prescritta urgenza conosce bene quali siano gli usi e le propri diritti, crea una atipicità strute senza che, spesso, gli argomenti consuetudini locali. Infatti il legislaturale dell’evento accertativo, venenproposti avessero direttamente a che tore, all’epoca dell’istituzione delle dosi a ingenerare, di fatto, una vera e fare con la finalità del decreto stesso. Ivan Theimer nel suo atelier mentre lavora all'opera donata alla MiseriCommissioni Tributarie, aveva pensato propria “trattativa” per la determinaE di recente anche la Corte Costitucordia di Firenze per ricordare i due senegalesi uccisi il 13 dicembre 2011. bene di creare una “struttura”Foto polizione di quanto pagare che, spesso, zionale ha sancito, con una propria di Emiro Albiani funzionale presieduta da un Magistrato confligge con quanto effettivamente sentenza, questo incredibile assunto.

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A prescindere dalle sedi che sono ormai ridotte, per lo più, a vere e proprie “rovine” sia come strutture immobiliari che come attrezzature e dotazioni impiantistiche e funzionali. Fino a due anni fa, la Giustizia Tributaria era l’unica giurisdizione a garantire i termini sanciti dall’art. 111 della Costituzione in materia di giusto processo. Oggi non più a causa della norma cha ha sostanzialmente obbligato la giurisdizione tributaria “ordinaria” ad assumere l’onere della definizione delle pratiche arretrate della Commissione Tributaria Centrale (alcune delle quali datate 1970), che operava autonomamente rispetto alle Commissioni di primo e secondo grado. Non solo il numero rilevante delle cause ancora pendenti, ma soprattutto l’enorme difficoltà a reperire i contribuenti proponenti appello (o per meglio dire, nella maggior parte dei casi, i loro eredi) per notificare loro l’avviso di trattazione della causa, hanno ingenerato costi smisurati ed impegni professionali notevoli sia per il personale di segreteria che per i giudici, anche per il fatto che molte delle imposte di cui si era chiamati a trattare, ormai da anni non esistono più, basti pensare all’INVIM. Non solo, per la definizione delle cause pendenti, il legislatore ha dato dei tempi strettissimi. Entro due anni (scadenza 31 dicembre 2013), tutte le cause

dovevano essere concluse, con questo denotando non solo una poca conoscenza della procedura ma anche una notevole carenza organizzativa dato che ha obbligato al temporaneo distacco di personale amministrativo e di giudici tributari in servizio presso le Commissioni Tributarie Regionali e Provinciali per risolvere un problema che i Giudici in servizio presso la Commissione Centrale non avevano saputo risolvere. Per finire, sula norma era espressamente previsto che, in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo “azzeramento”, chi ne avrebbe pagato le conseguenze non sarebbero stati i Giudici di quella Commissione ma bensì i “distaccati”. E’ come se in una zona terremotata ai soccorritori delle protezione civile venisse detto: “ se non ce la fate a ricostruire il paese in due anni, pagate voi”. Se non è folle il solo pensiero astratto è quantomeno alterato il principio filosofico adottato. Altra anomalia per “decreto” che ha interessato la Giustizia Tributaria è avvenuta con la cosiddetta “mini riforma” approvata dal Parlamento (artt. 37 e 39 del d.l. n. 98/2011, conv. dalla legge n. 111/2011) che ha interessato l’importante tema dell’ incompatibilità, quello della nuova procedura di accesso alla fun-

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zione di giudice tributario per arrivare, passando dalla norma sul reclamo/mediazione, al contributo unificato. Tutti punti certamente “critici” ma che comunque niente o quasi avevano a che fare con quella che in origine era la “filosofia” del provvedimento. Nel “merito” della riforma, tanto, troppo forse, potremmo dire su argomenti come l’incompatibilità, le modalità di accesso al ruolo di giudice tributario e il contributo unificato, ma sono argomenti tecnici che riguardano i Giudici Tributari più che il mondo dei Contribuenti e dei Professionisti. E allora vorrei concentrare il mio intervento sulla cosiddetta Mediazione. Quale prima cosa viene subito da pensare: come mai il legislatore non ha preso in esame, trattandosi di “mediazione” una figura terza ed imparziale che di fatto ha già “in casa”? Perché non si è pensato al Giudice Tributario, soprattutto stante l’avvento delle nuove “forze lavoro” che avrebbero potuto fino da subito essere impiegati sia per costituire le “sezioni speciali” che quotidianamente, anche inaudita altera parte, in applicazione dell’art.

47 comma 3 del D. Lgs. 546/92, possono prendere in esame i casi di particolare gravità in riferimento alle richieste di “sospensiva” delle azioni cautelari , che giungono ormai quotidianamente presso le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali.

Il Giudice, ovviamente, non dovrebbe esprimere giudizi di merito, ma prendere unicamente atto delle ragioni che hanno condotto le parti all’accordo, limitandosi a dichiarare, se ne ricorrono obiettivamente i motivi, che non risultano ragioni di “manifesta” incongruità, così mutuando l’espressione penalistica. Solo ove risultassero macroscopici errori di fatto o di diritto sarebbe giustificato un giudizio di non congruità. Ciò do-

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vrebbe ritenersi essenziale, perché in nessun caso il giudice può invadere il campo delle valutazioni di merito, a meno che non siano appunto frutto di “manifesta” incongruità, o di errori evidenti di fatto o diritto; in caso contrario egli si sostituirebbe nel giudizio all’ufficio, cosa che al giudice deve essere assolutamente inibito. E potremmo andare avanti parlando, oltre che della primaria necessità di organizzare percorsi di studio per i neo nominati Giudici Tributari (con particolare riferimento alle materia contabili e catastali), dell’ormai imminente entrata in funzione del processo tributario telematico, della necessità di costituire un centro studi per il coordinamento, in ambito nazionale, delle massime delle sentenze emesse dalle commissioni tributarie, fino alla necessità di un riconoscimento costituzionale della giurisdizione tributaria. *Giudice Tributario presso la Commissione Tributaria Provinciale di Roma


I SETTORI IN RIPRESA

ITALIA, EPPUR SI MUOVE Vieri Poggiali

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ei anni sono il tempo che un poppante impiega per pervenire ai suoi primi incerti sforzi di scrittura. Sei sono gli anni attraverso i quali l’Italia si è trascinata economicamente in crisi , e ancora non se ne vede per davvero la fine. Però, però : la convalescenza economica appare bensì ancora remota e non ben decifrabile, se alla sola aridità di molte cifre e alla visione di molte assurdità nostrane ci si ferma. Ma va anche osservato come al di là appunto di certi numeri ed eventi, se vogliamo ricorrere alla famosa frase mormorata da Galileo quando gli toccò smentire sé stesso di fronte all’inquisitorio tribunale ecclesiastico potremmo dire : “Eppur si muove” . Si, perché qualcosa davvero si muove, nonostante mille freni e inciampi e benché ancora non manchino dati e fatti inquietanti. La politica spara annunci e fa intravvedere provvedimenti, ma poi accade - per esempio - che siano andati perduti in poco più di mezzo anno nel 2013 ulteriori 300mila posti di lavoro (nella peggiore tradizione italica) per il gap fra i

tempi d’una decisione politica assunta (e proclamata) riguardo ai finanziamenti alle piccole imprese per l’acquisto di macchinari e tecnologie digitali, e i decreti attuativi perché ciò non rimanesse sulla carta : il che conferma come fra il dire e il fare la faccia sempre da padrone il mare. Un mare che in casa nostra è largamente rappresentato per esempio anche da direttori generali e capi di gabinetto di ministeri (le cui retribuzioni mediamente toccano il triplo di quanto analoghe funzioni comportino negli Stati Uniti o in Germania), i quali giocano col livello decisionale politico teoricamente loro sovrastante come il gatto col topo. Si veda in proposito, per un altro concreto esempio, quanto finisce coll’accadere di conseguenza coi fondi strutturali che dalle istituzioni europee dovrebbero pervenire: all’Italia ne competerebbero 31,8, contro i precedenti 27. Ma il guaio è che per un’infinità di complicazioni operative rimangono sulla carta : non riusciamo neppure ad incassare del tutto ciò che ci spetterebbe e che pure viene formalmente stanziato. Dove larga parte dei ritardi è dovuta appunto alle “zeppe” delle inapplicabilità concrete che la grande burocrazia ministeriale riesce ad infilare. Oppure i danari non arrivano perché mancano in Italia progetti seri e realizzabili : sicché i fondi, quando alla fine si muovono, finiscono distribuiti a pioggia senza incidere realmente. Infine perché le normative ambientali del Bel Paese sono così cogenti, e le procedure amministrative tanto complesse, che diviene praticamente impossibile realizzare

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nuove infrastrutture anche là dove davvero ne occorrerebbero. Sicché l’Italia continua paradossalmente a versare all’Europa più quattrini di quanti sia poi in grado di trarre dai finanziamenti teoricamente resisi disponibili a nostro favore. Gli investimenti complessivi nel sistema economico nostrano stentano a ri-decollare, anche perché le istituzioni bancarie hanno in larga misura edulcorato le loro funzioni primarie di accordare creditizia linfa vitale alle imprese, e il cosiddetto credit crunch continua ad imperversare. Si dibatte forsennatamente tra politici e stampa su vicende che in larga parte hanno influenza reale relativamente moderata rispetto alle occorrenze del Paese. Di liberalizzazioni e di privatizzazioni si parla in misura sempre inversamente proporzionale alle realizzazioni che poi vi fanno seguito davvero. L’unica operazione che in casa nostra procede in realtà a ritmo speditissimo e con grande efficacia e immediatezza è quella di succhiar fiscalmente in misura via via accentuata sangue persino dalle rape: il tutto per giunta in un clima di incertezze, di guazzabugli, di improvvisazioni che sarebbe addirittura esilarante se non fosse tragico, a sottolineare il quale basterebbe le vicende dell’integrazione dell’Imu in tanti Comuni italiani e il caos applicativo della

neonata Tares. Poi, però, ecco che qualche piccolo movimentino nel senso del recupero sembra fare comparsa. Quasi sottotraccia. Senza che se ne discorra abbastanza. Sul piano di certe grandi imprese, emerge nel fatto che parecchie di esse sembrano reggere persino con disinvoltura alle tempeste, pur se i loro investimenti sono quasi sempre contrassegnati da intendimenti cost-saving, cioè dal proposito di ridurre drasticamente costi e risparmiare manodopera ma anche, talora, di ampliare nel mondo repertorio e presenza propri. Se fanno notizia Fiat e i recuperi di alcune aziende Finmeccanica, tanto per citare due soli nomi, vanno però gradualmente risollevandosi anche imprese medio-grandi ancora capaci di intravvedere, scoprire ed occupare spazi di nicchia nei quali tuffarsi con profitto. Vi sono settori che si vanno propriamente rianimando : nell’agroalimentare, per esempio. Nel campo dei macchinari , nel vasto settore farmaceutico, in svariati comparti manufatturieri. Moda, abbigliamento, design, digitalizzazione crescono. Si progetta (o si tenta di progettare) con rinnovata intensità. Ma è spuntata anche una certa sobrietà di atteggiamenti da parte delle imprese, gli allegri sprechi non usano più. L’attenzione alle dissipazioni, agli intollerabili privilegi personali, e alle ingiustizie economiche della politica qualche primo risultato forse lo sta producendo. Si parla timidamente ancora di qualche parziale scossone nei comportamenti del mondo creditizio. Le emis-

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sioni obbligazionarie ed azionarie non vengono rifuggite dal mercato con l’orrore di tempi non lontani, anzi. Il mondo assicurativo pare prenda a riflettere gradualmente sull’opportunità di non assistere passivamente al bruciare della casa solo per scaldarsene un poco di più nel frattempo. Compaiono ed anzi si moltiplicano iniziative innovative. Una soprattutto emerge. Nell’ormai abbastanza radicato (nonché immodificabile) convincimento che sul posto fisso e sulle assunzioni a tempo indeterminato non si può fare affidamento, lievitano le iniziative di molti di mettersi in proprio. Scoprendo e valorizzando nuovi spazi, come quelli che si connettono per esempio alla salvaguardia dell’ambiente. Un terzo delle nuove imprese sorte negli ultimi mesi ha per titolari uomini e donne al di sotto dei 35 anni, sono ormai poco meno di 700mila quelle in capo a giovani. Ogni mese si aprono dalle 40mila alle 50mila nuove partite Iva, quasi sempre ad iniziativa appunto di persone in età largamente inferiore ai 40 anni. Si riaffacciano iniziative nell’artigianato, ritrovano pian pianino spazio mestieri quasi dimenticati se non disprezzati. E’ bensì vero che non tutte le iniziative nuove tengono il passo, e molte anzi spariscono anche abbastanza rapidamente : il tasso di mortalità delle intraprese recenti è purtroppo elevato. Non di meno rimane vivo e significativo il segnale positivo d’una volontà di rimboccarsi le maniche al di là e al di fuori dei canali più tradizionali, una volta

fattasi strada la consapevolezza di come lì sia ben più arduo (salvo che per certe eccellenze -in termini di preparazioneche pure ci sono). Un trend di autorealizzazione prende insomma a farsi lentamente largo, soprattutto in aree d’attività che comportano alta tecnologìa e creatività, e dove dei giovani non mediocri mostrano di sapersi affermare. Ciò accade pure nel commercio. Anche se i lacci soffocanti degli adempimenti burocratici e le diffidenze bancarie si guardano per ora bene dall’agevolarla, certa vivacità serpeggia e opera. Anche se l’istruzione per lo più seguita a dimenticarsi della necessità di maggiori collegamenti con il mondo reale, col lavoro, con la vita. Appunto, a ridirla di nuovo con Galileo Galilei : eppur si muove, quest’Italia rimasta a lungo inchiodata ai margini delle altrui evoluzioni verso nuove forme di produzione di reddito e di creazione d’occasioni. Il Paese sta imparando ad attendersi meno salvezze dall’alto e a puntare di più su sé stesso. Certamente le scosse non saranno in grado di produrre risultanze di grande immediatezza, quanto a dire che di fasi difficili ne conosceremo ancora presumibilmente per un par d’anni almeno. Ma il fondo dovrebb’essere stato toccato. E da un fondo, di norma, non si può che ripartire ; ce ne dà testimonianza, rassicurante, la Storia. Nella foto: l’Eataly di Firenze

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LE GRANDI SFIDE

BACKOFFICE MADE IN ITALY Tommaso Strambi

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IENA RILANCIA. E lo fa in un settore sino ad oggi rimasto all’interno dei perimetri stretti delle banche. Con Fruendo, joint venture tra il gruppo Bassilichi (operatore del business process outsourcing) e Accenture (azienda di consulenza direzionale, servizi tecnologici e outsourcing), è nata la prima società italiana specializzata nelle attività amministrative e di back office bancario. Una realtà che, partendo dalla città del Palio (anche se, in realtà, la sede legale è a Firenze), offrirà i propri servizi a tutto il comparto bancario, sviluppando l’attività in Italia e valorizzando esperienze e professionalità made in Italy. La sfida lanciata dai fratelli Leonardo e Marco Bassilichi con i dirigenti della multinazionale Accenture, infatti, è proprio quella di partire dal knowhow maturato all’interno della terza banca del paese per esportarlo oltre i confini nazionali, dove sia il gruppo Bassilichi che Accenture sono realtà già affermate. E non solo a favore delle altre banche, perché la newco si rivolgerà anche a pubbliche amministrazioni, Asl, Utilities e, più in generale,

a tutte le realtà - evidenziano i soci fondatori - interessate a ripensare e innovare i loro processi interni che abbiano a che fare con gli utenti finali. Fruendo, con i suoi 1100 addetti (provenienti dal gruppo Montedeipaschi che ha ceduto il ramo d’azienda alla fine dello scorso anno) impiegati in sette sedi (oltre Siena anche Firenze, Padova, Mantova, Roma, Lecce e Abbiategrasso) attualmente ha un portafoglio ordini di circa un miliardo destinato ad ampliarsi già nel corso di questo 2014, facendo leva proprio sulla principale caratteristica della newco: ovvero quella di essere l’unico back-office made in Italy del tutto indipendente. Un elemento di vantaggio su cui puntare la sfida da giocare, come lascia intendere Leonardo Bassilichi, amministratore delegato del gruppo di famiglia. “Con questa nuova società - afferma - vogliamo entrare in un mercato oggi presidiato da società captive o da grandi aziende che svolgono in casa queste attività. Per di più, a breve, questo mercato sarà travolto da cambiamenti provocati da un fattore endogeno ovvero la digitalizzazione e la scomparsa della carta e da un fattore esogeno perché le grandi organizzazioni dovranno dotarsi di procedure più snelle ed efficienti”.

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Un nuovo modello di impresa per il paese e l’Europa, dunque, che parte da Siena? “Per quanto ci riguarda - risponde ancora Leonardo Bassilichi era già partito con la Bassilichi 2.0. Ora con Fruendo dimostreremo che da una situazione complessa e problematica legata ad un’importante realtà come Banca Mps possono nascere nuove opportunità di business e speriamo che anche altri vogliano emulare la nostra storia”. Ed è proprio in questo contesto, mentre intorno si cominciano a cogliere segnali di ripresa, che Siena rilancia. Perché è solo così che si possono mettere a frutto i talenti. Sotterrati per non sciuparli, infatti, non produrrebbe niente di buono. Ed ora non è certo il tempo di mirarsi allo specchio.

Nella foto Leonardo e Marco Bassilichi


I 20 ANNI DEI POWER RANGERS

LA PIÙ GRANDE CREAZIONE Nicola Carrassi

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aim Saban è il più creativo e poliedrico produttore internazionale di intrattenimento per bambini e ragazzi. Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1944 in una famiglia di modeste origini, e poi trasferitosi a Tel Aviv, e quindi in Francia nel ’75, Haim ha sempre dimostrato di avere l’X factor, il piglio del giocatore d’azzardo combinato con quello del creativo ‘marketing oriented’. Che cosa significa? Mr. Saban non passerà alla storia come creativo tout court, cioè per creazioni immaginifiche che però mancano della visione del mercato, della dimensione reale; come si direbbe in editoria, “cultural chic, parole piccole, affari scarsi’’. Neppure passerà agli annali per essere un semplice imprenditore, un figlio di papà messo a capo di una multinazionale -dopo il 110 e lode (la morte del guizzo creativo)-; anche se ha dimostrato di essere un grande imprenditore, tra i migliori, nell’ambiente dei kids, al rango di Murdoch, inserito dalla rivista Forbes tra gli uomini più ricchi ed influenti al mondo. Haim Saban è già nella storia per aver combinato l’inventiva, l’azzardo, l’innovazione e la lungimiranza di chi annusa il mercato come un segugio, e fa saltare il banco. Anche bluffando. Entrato nel mondo dello spettacolo come organizzatore di concerti in Francia, Saban, incontrato il musicista Shuki Levy, quello che sarà il suo partner in un sodalizio trentennale, ebbe l’intuizione di prendere tutte le serie provenienti dai paesi stranieri, soprattutto animazione dal Sol Levante, e di sostituire le musiche di sottofondo (BMG), e sigle di apertura e chiusura, con musiche firmate da lui e Levy. In soldoni, milioni di dollari di diritti e 18 milioni di dischi venduti, dalla colonna sonora di ‘Mapple Town’ a ‘X-Man’, a ‘Willy Fog

e il viaggio del mondo in 80 giorni’. Intervenendo in questa parte della lavorazione, il due cominciò a firmare le musica prima a livello nazionale, poi internazionale, quindi worldwide, (esclusi i paesi di origine delle serie, quando non prodotte dalla Saban Entertainment direttamente). A queste si sono unite le musiche di produzioni anche americane, dando vita al più vasto e ricco patrimonio esistente di diritti musicali per ragazzi. Con una liquidità garantita da un’operazione del genere, Saban cominciò a produrre animazione, o meglio ad acquistare serie già pronte, trattandole come stock footage (materiale video elaborabile): ciò gli garantì di avere prodotto animato da rimontare, creando nuove storie, dialoghi, inserendo nuove musiche: tutti elementi che generavano diritti d’autore. L’uovo di Colombo. Un esempio su tutti: Haim Saban acquistò la serie ‘Ape Magà’, originariamente giapponese. L’acquisì per tutto il mondo, con il diritto di cambiare tutto: titolo, battute dei copioni, musiche. Fu così che una datata e sfruttata serie (dal 1975), divenne la nuova “Honey Be Hutch”. Insomma, usato sicuro, garantito, rigenerato e rimodernato. Un sistema che, collaudato, ridiede vita e linfa a serie trasmesse con successo in tutte le parti del mondo. Una seconda chance per produzioni rimesse in pista con nuovi montaggi, intrecci, musiche e ritmo, senza disegnare un fotogramma: tutto lavoro di montaggio e riedizione. Tolta quindi la voce principale di spesa di una produzione animata, i disegni e gli animatori appunto, si trattò di mark up puro anche del 500% se non di più. Geniale. E il coronamento di questa immensa operazione che tutti al principio bollarono come folle, per poi vedere gli ascolti che stracciavano ogni record, furono i Mighty Morphin Power Rangers.

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Parliamo nuovamente del Giappone, che non è solo il principale produttore di animazione di qualità a livello mondiale, ma il creatore e il fautore di numerosi show legati alla tradizione del Sol Levante. Tra questi, che prevedono soap opera ambientate ai tempi dei Samurai, disaster movie in stile Godzilla con ragni gi- A destra, Saban con l’ex presidente americano Bill Clinton ganti e lucertole spara laser, ecco come i kamikaze, è la panacea di ogni il Super Sentai (lett. Gruppo d’Attacco). giapponese, un leitmotiv che ritroPer capirci un genere di telefilm con viamo in cartoni animati, film, telefilm protagonisti super eroi in calzamaglia e appunto nelle fiction chiamate Super multicolore, che combattono contro Sentai. In ogni episodio, eroi che insidie di ogni tipo, ricorrendo a super cambiano e si evolvono secondo le poteri combinati ad arti marziali, per stagioni e le mode, mantenendo il difendere un giappone di carta pesta loro richiamo alla purezza, alla core polistirolo da mostri terrificanti e rettezza e al coraggio del samurai, spietati. Si è spesso parlato di come il combattendo e vivendo tra la realtà e conflitto mondiale e le esplosioni nul’incredibile. A Haim Saban questo cleari di Hiroshima e Nagasaki abbiano rutilante mondo piacque. Con l’unica colpito il cuore e la mente del popolo eccezione degli attori nipponici: “i nipponico, e di come questi elementi bambini impazziranno per gli eroi in siano entrati, con ricorrenza, nelle costume, per le battaglie tra mostri opere non solo animate come Il grande giganti, ma certo non si appassioneMazinga, Jeeg Robot etc. Il paese, atranno a storie così radicate nella taccato, distrutto, raso al suolo, salvato cultura nipponica, interpretate da da eroi senza macchia e senza paura, giapponesi’’ . Detto fatto, Saban acpronti a morire per la loro nazione,

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quistò la serie ‘’Kyōryū sentai Juranger’’,(Juranger, la pattuglia dei dinosauri), mantenendo tutte le parti con gli attori in costume e scene di battaglia, e sostituendo gli attori giapponesi con altrettanti americani. Girò solo le scene degli interpreti alle prese con la vita di ogni giorno, montò il tutto con musiche da rock adrenalinico e assemblò questa sorta di Frankestain televisivo. Fu così che venti anni fa esordirono in America i Power Rangers, il primo show più visto sulle tv di mezzo mondo per oltre due decadi. I Power Rangers si sono affinati con il tempo: ora le serie giapponesi sono girate in contemporanea con l’america e le scene in costume e di combattimento condivise. PR non significa solo eroi, ma anche merchandising, bambole, pupazzi, robot, costumi per carnevale, giochi di carte, poster, adesivi, figurine, e naturalmente, musica e dischi. Ciliegina sulla torta, Haim e la moglie sono due filantropi che aiutano con numerosi donazioni associazioni per l’infanzia, anche da loro fondate e gestite.


LA CRONOLOGIA

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993 Nascono i Mighty Morphin Power Rangers. Saban Entertainment mette in cantiere altre serie analoghe ma i Rangers sono i più amati e ambiti, per quanto il progetto inizialmente fosse stato bollato come fallimentare da tutti i competitor di Saban. 1995 Haim Saban e Robert Murdoch uniscono forze e compagnie (Saban Entertainment e Fox Kids Network) creando il più grande polo produttivo e detentore dei principali diritti merchandising e licensing per un totale sfruttamento a livello mondiale. 1997 La joint Saban/Fox Kids acquisisce Fox Family Channel un canale distribuito via cavo capace di raggiungere 81 milioni di case. Il gruppo, come Fox Family Worldwide incorporò Fox Family Channel, Fox Kids Network, Saban Entertainment e Fox Kids International Network una compagnia, quest’ultima, trasmessa via cavo e via satellite presente in 53 paesi in Europa e nel Middle East. Capacità? I prodotti raggiunsero oltre 250 milioni di case nel mondo. 2001 Saban e Murdoch vendono Fox Family Worldwide a Disney. Fu il deal con la più larga transazione cash condotta individualmente nella storia di Hollywood (oltre 5 miliardi di $) Saban si allontana per un po’ dal mondo dei ragazzi. Crea la Saban Capital Group e con la sua enorme liquidità acquisisce canali televisivi, satellitari, case di produzioni etc. Mette poi a segno grandi colpi acquisendo parti di aziende pubbliche in giro per l’Europa, aumentando il proprio capitale e la sua presenza sul mercato. 2010 Saban vede che Disney non riesce a capitalizzare il potenziale della sua principale creatura, i Power Rangers. Per questo riacquista i diritti di sfruttamento del francise, oltre a tutte le 17 stagioni del telefilm, per un totale di oltre 700 puntate da 30 minuti. I Power Rangers tornano nelle mani del creatore ed è nuovamente un trionfo con Power Ranger Megaforce. Saban è nuovamente il Re dei ninja del nuovo millennio.

I POWER RANGERS IN ITALIA

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nche in Italia si festeggiano i 20 anni dei Power Rangers, programmati da Italia Uno sin dalla prima puntata di Mighty Morphin Power Rangers. La serie, importata in Italia da Alessandra Valeri Manera e Nicola Bartolini Carrassi, che si occupò del licensing e merchandising con l’azienda L&C, e i dialoghi per Fininvest essendo anche doppiatore e adattatore, fece la gioia di Giochi Preziosi e del suo patron, che distribuirono la linea di giocattoli prodotti in terra giapponese da Bandai.

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LA CRISI & GLI AFFETTI

I FIGLI CI GUARDANO Katrin Bove

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’attuale crisi economica e finanziaria, con la connessa erosione del potere d’acquisto della moneta, ha prodotto rilevanti effetti sulle famiglie. In particolare, sulle famiglie con figli grava più che sulle altre il peso della crisi. Una famiglia su tre non riesce oggi a far fronte alle esigenze essenziali, rispetto alle quali, laddove possibile, si provvede attingendo ai propri risparmi. Sono state modificate profondamente le abitudini quotidiane, oggi più che mai ispirate all’imperativo categorico dello “spendi solo se necessario”. Gli equilibri familiari, poi, sono sconvolti, assai spesso, da un diffuso sentimento di paura per il futuro che appare sempre più incerto. La perdita della sicurezza economica, dell’immagine sociale o gli stenti di una situazione di precarietà, sicuramente fungono da fattori di malessere esistenziale e provocano momenti di intensa angoscia. La crisi economica, infine, e forse è questo l’aspetto più drammatico, che merita maggiori momenti di riflessione, acuisce i conflitti latenti nella coppia. A farne le spese sono, insieme agli adulti, anche e soprattutto i bambini. Secondo i dati contenuti nell’indagine conoscitiva sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, realizzata di recente dall’Eurispes, ben il 28,7% dei bambini in età scolare e il 50,1% degli adolescenti sa di vivere in una famiglia che fatica ad arrivare a fine mese. Questo comporta una sorta di destabilizzazione nell’universo degli affetti, per cui, dal punto di vista dei figli, viene a mancare una conferma di quanto sempre ricevuto. Un segnale che spesso viene interpretato come indifferenza verso il loro mondo e le loro piccole abitudini. Certo è che la realtà ci costringe a scelte dure e spietate, ma che difficilmente possono essere capite dai figli, se non con grande contrapposizione e inclinazione alla negazione di loro stessi. Nasce il distacco e la sensazione di non appartenenza, perché quello che prima era parte di un esistenza, viene strappato via da necessità superiori.

La conferma dell’affetto da parte dei genitori, che viene di solito manifestato con l’accondiscendenza nelle richieste continue e svariate dei figli, con uno stile di vita agiato e piegato al consumismo, prende forma in una distratta comunicazione che via via riporta all’incapacità di esprimersi. Dovrebbero, in realtà, scaturire manifestazioni maggiori di affetto e di grandi attenzioni quotidiane, a sopperire le mancanze di abitudini e i cambiamenti subiti per necessità economiche. Ma difficilmente si riesce ad accettare il cambiamento, da entrambi i punti di vista, sia di genitore che di prole, per cui la comprensione viene divorata dall’angoscia e dall’ansia che ne scaturisce. Per un genitore, valutando principalmente un punto di vista maschile, per il quale si è educati al mito della “forza d’animo”, non riuscire a soddisfare le esigenze familiari, provoca sconforto e crisi interiore. Per cui si ritrova a confrontarsi con la sensazione di fallimento, di auto-svalutazione, sia esterno, dettato dalle circostanze economiche, che morale nei propri affetti. Il disorientamento interiore provoca allontanamento, costringendo il “pater familias” all’alienazione di se stesso, che spesso sfocia in situazioni di veri drammi familiari oltre che sociali. Ed ecco come l’incomunicabilità e la chiusura portano a quella che è la crisi della famiglia, che non è un problema “morale”, ma l’effetto della crisi dell’intero sistema. Dai dati pubblicati in Report dell’Istat emerge che le separazioni, nel 2011, sono state 88.797 e i divorzi 53.806. Rispetto al 1995 le separazioni sono aumentate di oltre il 68% e i divorzi sono praticamente raddoppiati. Gli incrementi, osservati in un contesto in cui i matrimoni diminuiscono, sono imputabili a un effettivo aumento della propensione alla rottura dell’unione coniugale. Ecco quindi tracciarsi un volto nuovo nel volto della crisi economica: la crisi matrimoniale.

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RICETTE ANTI-CRISI

DIPENDENTEAZIONISTA Ornella Cilona

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iù spazio all’azionariato dei dipendenti in Italia e in Europa per combattere la crisi e aiutare finanziariamente le imprese. I recenti sviluppi della normativa italiana e l’approvazione di un’importante Risoluzione del Parlamento europeo vanno, infatti, verso il rafforzamento della partecipazione dei dipendenti al capitale di impresa. Il comma 180 della legge 147 del 27 dicembre 2013 (Legge di stabilità 2014) ha istituito

l’azionariato dei dipendenti già lo scorso anno, dedicando al tema l’articolo 56 ter della l. 98/2013, che ha convertito il decreto legge “del fare” 69/2013. Questo articolo stabilisce che i quattro ministri dello Sviluppo economico, della Giustizia, dell’Economia e del Lavoro devono individuare le “opportune misure, normative e di incentivazione fiscale, volte a favorire (...) la collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende ai sensi del-

presenza di rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori nei Consigli di amministrazione delle grandi aziende. Il Parlamento europeo, dal canto suo, ha approvato a metà gennaio una Risoluzione che chiede ai vertici dell’Ue di “sviluppare un quadro di riferimento non vincolante sui principi di base per la riuscita” di modelli di partecipazione finanziaria dei lavoratori negli Stati membri. La Commissione euro-

l’articolo 46 della Costituzione, a partire dai piani di azionariato”. Torna quindi alla ribalta il famoso e inapplicato articolo 46 della Costituzione, che sancisce “il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Le iniziative del governo in materia di azionariato dei lavoratori sono state accolte con molto favore dal centro destra, tanto che Angelino Alfano ne ha fatto uno dei punti centrali del Piano per l’occupazione del Ncd, presentato a inizio d’anno. Più cauto, invece, il giudizio di Matteo Renzi, che punta nel Jobs Act sulla

pea, però, aveva già accolto le sollecitazioni dell’assemblea di Strasburgo nei mesi scorsi, tanto da presentare in autunno un Piano d’azione per il 2014 che prevede sia lo studio di possibili forme transnazionali di azionariato dei dipendenti all’interno dell’Ue sia iniziative concrete per rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla diffusione di questo strumento a livello nazionale. Per i legislatori europei, quindi, la partecipazione finanziaria dei lavoratori può salvaguardare il sistema produttivo del vecchio continente ed essere una risposta efficace contro la recessione.

Il complesso delle Poste Italiane, all’Eur

un Fondo mirato a incentivare “iniziative rivolte alla partecipazione dei lavoratori al capitale e agli utili delle imprese e per la diffusione dei piani di azionariato rivolti ai lavoratori dipendenti”. Il Fondo, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, avrà quest’anno una dotazione di due milioni di euro, che aumenterà nel 2015 a cinque milioni. Le modalità di attuazione e i criteri di utilizzo del Fondo saranno chiariti da un prossimo decreto del Ministero del Lavoro, di concerto con il dicastero dell’Economia e delle finanze. Il governo Letta aveva peraltro riconosciuto l’importanza del-

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Sono tre i modelli più comuni che può assumere la partecipazione finanziaria dei dipendenti. Il primo è costituito dalla partecipazione agli utili, remunerata in denaro, differita nel tempo o con altre azioni. Vi sono poi due modelli di partecipazione azionaria: quella del singolo lavoratore al capitale dell’impresa e i piani di azionariato diffuso (ESOP, acronimo in inglese di Employee Stock Ownership Plan). Tutte e tre queste forme, e in modo particolare l’ultima, possono contribuire ad alleviare uno dei problemi più gravi che oggi le imprese italiane si trovano ad affrontare: la carenza di finanziamenti sui quali contare per mantenere e sviluppare la propria attività. L’acquisto di azioni da parte dei dipendenti non solo, infatti, riduce la conflittualità, ma è anche in grado di risolvere i problemi finanziari, allontanando il pericolo di acquisizioni ostili. Questi vantaggi sono molto evidenti soprattutto nelle micro e nelle piccole imprese, lasciate spesso a secco dai tagli ai prestiti attuati dagli istituti di credito. Secondo dati dell’EFES, la Federazione europea dell’azionariato dei dipendenti, la quota di capitale detenuta dai lavoratori nell’Ue ammontava nel 2013 a 266 miliardi di euro, pari al 2,99% del capitale totale. Nonostante la grave crisi, quindi, le imprese europee continuano a proporre azioni ai propri occupati. Il fenomeno è in crescita da circa dieci anni soprattutto nei grandi gruppi, tanto che

oggi l’83% delle multinazionali con sede nell’Ue prevede piani di azionariato dei lavoratori, con un aumento del 43% rispetto al 2003. Anche se l’azionariato dei dipendenti stenta a decollare nel nostro Paese, non mancano, però, esperienze di rilievo. Nella primavera dello scorso anno, l’Assemblea degli azionisti di Telecom Italia ha approvato il varo di un piano che prevede l’offerta ai dipendenti di azioni ordinarie del gruppo a un prezzo scontato del dieci per cento rispetto ai valori di mercato. Le azioni offerte ammontano a 54 milioni e i lavoratori che le conserveranno per un anno riceveranno gratis un’azione ordinaria ogni tre sottoscritte a pagamento. Un altro caso interessante è quello della catena di supermercati Punto Simply, di proprietà del colosso francese della grande distribuzione Auchan. Nel 2011, Simply ha proposto ai 7.800 dipendenti italiani l’acquisto di titoli societari, che sono stati comprati nel giro di qualche mese dal 77% del personale. Di azionariato dei lavoratori si parla in questi giorni anche a proposito della ventilata dismissione di Poste Italiane. Secondo Antonio Catricalà, viceministro allo Sviluppo economico, l’ipotesi che i dipendenti possano acquistare quote della società in via di privatizzazione sarebbe “molto opportuna” e “ben vista anche dai sindacati’’.

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CAMBIAMENTO EPOCALE

LE IDEE IN TEMPO DI CRISI Donatella Miliani

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I FA PRESTO A DIRE CREATIVITÀ. Perchè quello delle idee al tempo della crisi diventa uno dei settori più “bersagliati” e quindi, complicati. Le aziende, anche in Umbria, stanno vivendo forti difficoltà. La crisi dei mercati finanziari, sottraendo risorse, ha contagiato l’economia reale, che ha dovuto affrontare una contrazione della domanda e la conseguente necessità di ridimensionare la sovracapacità produttiva delle imprese. Se a questi aspetti di ordine macro-economico si aggiungono le diseconomie tipiche del sistema Italia: pressione fiscale, burocratizzazione, inefficienze logistiche e vezzo imprenditoriale italiano più rivolto a sfruttare rendite di posizione che ad investire nell’innovazione, è facile vedere come la contrazione economica si sia trasferita di riflesso ai budget per il marketing, il cui taglio ha visto crollare gli investimenti pubblicitari, almeno sui media tradizionali. Insomma, il mercato è cambiato, il cliente è cambiato, il processo decisionale dell’acquisto è cambiato! Come se ne esce? «QUELLO che abbiamo vissuto nel nostro settore - dice Leonardo Rocchetti direttore creativo dello Studio Rocchetti di Perugia da oltre vent’anni sul mercato nazionale -, è un cambiamento epocale. Il consumatore, in virtù delle tecnologie, è diventato più esigente, preparato, insomma, più arduo da conquistare. Ma non è tanto questo a crearci difficoltà. La questione vera è la contrazione drastica dei budget destinati alla comunicazione. Chi, nel nostro ambito, non riesce a dare risposte immediate è de-

stinato a soccombere». Per la teoria Darwiniana secondo cui “Non è il più forte della specie a sopravvivere, nè il più intelligente, ma il più reattivo al cambiamento”? «Esatto. E’ un must che vale sempre nel nostro settore dove è un principio fondamentale. Lo abbiamo tenuto ben

Leonardo Rocchetti

presente fin dai primi tempi di attività, quando eravamo piccoli e sconosciuti. In verità non siamo mai diventati una struttura pachidermica. Siamo sempre rimasti con i piedi ben saldi a terra. I successi conquistati non sono mai stati legati al clamore. Per questo c’eravamo ieri, ci siamo oggi e ci saremo domani». Capacità di adattamento, l’arma vincente.

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«Sicuramente. Abbiamo la fortuna di avere come principale committente un grosso cliente nel settore della distribuzione farmaceutica, anche se pure i grandi in questo momento pongono maggiore attenzione ai budget. Cosa che impone a noi elasticità e capacità di adattamento con una maggiore specializzazione per cercare di offrire sempre le migliori risposte alle richieste che ci vengono rivolte». Non è sempre facile però. Di qui la selezione naturale? «In periodi come questi in cui le piccole e medie aziende locali la prima cosa che hanno fatto è tagliare la comunicazione, sicuramente sì. Chi lavorava solo con il mercato regionale ha subito forti contraccolpi. Noi, che abbiamo sempre mantenuto il nostro quartiere generale a Perugia ma ci siamo comunque sempre rivolti molto all’esterno diversificando, ce la caviamo. Siamo meno vulnerabili difronte alla contrazione della domanda regionale». Facciamo degli esempi concreti. «Quello che si faceva prima, oggi si pretende con la metà del tempo e con budget inferiori. Di conseguenza aumenta il livello di tensione che va di pari passo con la possibilità di errore. Tra l’altro ora siamo noi ad andare dal cliente. Un servizio, un modo di rispondere alle esigenze del mercato che è risultato positivo. Certo, è cambiata la creatività, più piegata alla comunicazione. Oggi l’idea deve nascere in un giorno e si deve essere in grado di proporre cose buone da realizzare praticamente subito. Insomma il motto è di-


ventato: dare di più nel minor tempo possibile e al minor costo». La vostra forza? «La versatilità. La capacità di risolvere i problemi al cliente....». Alcuni dei sintomi della crisi che si notano nel marketing sono le poche idee, quasi sempre ripetitive (l’uso della donna è preponderante per ogni prodotto), la paura di rischiare e la scarsa capacità innovativa. Qualcuno dice che affinchè la crisi possa trasformarsi in opportunità dovrebbe verificarsi invece l’esatto contrario. E’ d’accordo? «Sì, la soluzione è: spremersi le meningi, ripensare strategicamente ogni strumento di marketing e comunicazione portando nuove ed originali idee per differenziarsi. Solo così la crisi può diventare un’opportunità. Molti rinunciano ed è lì che bisogna entrare in gioco. Certo, dieci anni fa era tutto più semplice. Però sono questi i momenti in cui puntando su qualità e professionalità, la creatività viene fuori di più». A fronte di una contrazione di investimenti pubblicitari su tv e stampa. Internet è invece in controtendenza. E’ il web a rappresentare il futuro anche in questo ambito? «Nì. E’ una grande opportunità, uno degli strumenti del futuro ma non è esclusivo. Vero è che l’imperativo ormai è creare coinvolgimento attraverso i contenuti: nulla viene più imposto, almeno apparentemente, ma è costruito dal basso. Commenti recensioni, consigli, hanno trasformato il cliente in cliente/testimonial del brand: strumento importante ma altrettanto ‘pericoloso’ per le imprese, in quanto percentuali sempre maggiori di potenziali clienti cerca informazioni attraverso le opinioni di altri utenti o siti di confronto prezzi». Quindi? «Adesso si crea un prodotto sulla base del bisogno. Ma sono dell’opinione che la bravura, il successo di un’azienda non risiedono nel seguire il consumatore ma nel precederlo. Bisogna precorrere i tempi, facendo ricerca, analisi. Bisogna guardare oltre quello che vuole la gente. Vince chi riesce a intuire le esigenze di domani. E’ la chiave per passare dalla crisi alla ripresa». Dal mercato di massa alla massa di mercati. E’ vero che le aziende in grado di gestire in modo efficace questi dati hanno tra le mani il loro asset più importante e cioè la co-

noscenza dei propri clienti? «Come dicevo non basta conoscere il cliente. Bisogna anticiparlo. E’ ciò che facciamo da sempre: anticipare le esigenze del cliente. E’ così che siamo riusciti a fidelizzare quelli storici». Qual’è la direzione da seguire? «Qualche anno fa quando c’era una sovraeccitazione, erano tutti ristoratori, tutti vendevano cashmere, tutti facevano comunicazione. La crisi ha fatto emergere professionalità e qualità. Il consumatore non vuole più mezze misure, chi spende vuole spendere bene. Per questo bisogna essere in grado di offrire un’ampia gamma di servizi: dall’ideazione fino alla registrazione e tutela del marchio. Essere propositivi». Come sarà il 2014? «Faticoso, stimolante ma un pochino più roseo... Ci saranno nuo

È

un’agenzia di comunicazione a 360 gradi. Ha sede a Perugia e opera nel settore del mercato pubblicitario dal 1998. Leonardo Rocchetti insieme a Roberta Stagno sono le colonne portanti dell’agenzia, che è composta da un gruppo ristretto di affiatati collaboratori. Un’ agenzia piccola ma al tempo stesso molto versatile, una struttura elastica e snella capace di adattarsi alle esigenze del mercato e dei clienti. Questa l’arma vincente che la rende competitiva anche in un perido di crisi globale come quello attuale.

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INDUSTRIA TURISTICA

IL MODELLO TERRAVISION Maria Luisa Migliardi

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e tanti giovani “cervelli” se ne vanno dall’Italia è perché siamo un Paese troppo vecchio per permettere loro di esprimersi e di utilizzare le proprie capacità. «Perdiamo i giovani talenti perché siamo incapaci di offrirgli un destino coerente con le loro attese e le loro competenze» afferma l’imprenditore Fabio Petroni, romano, 53 anni, laurea in economia con lode e abilitazione a commercialista, che nel 2002 per realizzare i suoi progetti si è trasferito a Londra dove ha fondato il Gruppo Terravision che oggi opera come leader nel settore del trasporto turistico e fornisce servizi per i viaggiatori in transfer dagli aeroporti delle maggiori città europee ai rispettivi centri città e viceversa. Nel 2013 gli inconfondibili pullman Terravision hanno trasportato circa 4,5 milioni di passeggeri in Gran Bretagna, Olanda, Portogallo, Italia e Malta; il fatturato del Gruppo lo scorso anno ha superato i 35 milioni di euro. «La chiave del nostro successo è da sempre una politica commerciale aggressiva e creativa - afferma Petroni - che ci permette di essere più competitivi, sia in termini di qualità che di prezzi, rispetto agli altri concorrenti locali. Per mantenere i nostri servizi “Low Cost-High Value”, come recita il

motto di Terravision, utilizziamo tre canali di vendita diretti: il sito internet (www.terravision.eu), che conta più di 500mila visitatori ogni mese, le biglietterie negli aeroporti e nei centri delle città, a cui si affiancano altri canali indiretti tra cui le partnership con gli esercizi commerciali affiliati in diverse metropoli europee». L’altra insostituibile risorsa che ha determinato la capacità competitiva e il successo di Terravision è il capitale umano: 350 giovani collaboratori, età media 25 anni, in prevalenza donne, non solo europei. «Cervelli liberi - dichiara Petroni, orgoglioso dei suoi ragazzi - che finalmente possono espatriare ovunque trovando occupazione e riconoscimenti». Per integrare il core business dei transfer aeroportuali Fabio Petroni ha creato nel centro di alcune città europee i Terracafè (www.terracafe.eu), punti turistico-informativi dove i passeggeri e gli stessi residenti possono ottenere informazioni di viaggio o sugli eventi

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cittadini, gustando un caffè, un piatto della cucina italiana o i prodotti enogastronomici di eccellenza provenienti dalla Tenuta Agricola dell’Uccellina in Toscana - nel Parco Naturale della Maremma - di proprietà del Gruppo Terravision. Il primo Terracafè è stato inaugurato nel 2007 presso la Stazione Termini di Roma e l’anno successivo, con l’acquisizione dello storico Bar Deanna sulla Piazza della Stazione di Santa Maria Novella, è stato aperto quello di Firenze. L’ultimo è il Lounge Terracafè di Londra a Victoria Station, diventato punto di riferimento per turisti e londinesi alla ricerca di prodotti alimentari italiani di qualità. Entro l’anno è prevista l’apertura di un nuovo Terracafè a Milano, sede dell’Expo 2015. Nella Tenuta dell’Uccellina (www.tenutauccellina.it), un’oasi naturalistica di 450 ettari con numerosi casali ristrutturati per l’agriturismo, vicino a Talamone, Fabio Petroni ha creato una fattoria didattica dove, mantenendo inalterati i cicli agricoli di produzione e di allevamento, vengono organizzati soprattutto per i più giovani corsi educativi tra escursioni a cavallo, giochi, animali ed esperienze a contatto con la natura tenuti da personale specializzato. Oltre alle attività educative, l’azienda agricola offre nell’annesso ristorante La Torre del Gusto anche corsi di cucina e degustazioni ideati dal famoso chef televisivo Fabio


Campoli, presidente del Circolo dei Buongustai, da abbinare ai tour nella tenuta alla scoperta delle attività produttive, tra vigneti e uliveti, fino alla Torre medioevale che domina la collina, dove si possono assaggiare i prodotti DOP del Tuscany Corner (www.tuscanycorner.it): olio, vino, mieli, confetture, la carne allevata allo stato semibrado, tutto di produzione propria o selezionato dai consorzi e dai piccoli agricoltori biologici locali. La grande passione di Fabio Petroni per il turismo si è con-

«Thaz Italia - dichiara Petroni - è nata per dare una risposta alla forte richiesta, anche internazionale, di soggiorni a prezzi contenuti ma di alto livello. In un momento di crisi economica, in cui i consumatori italiani e stranieri hanno mutato i propri stili di viaggio e di consumo, la nostra proposta di turismo diffuso nei piccoli borghi italiani rappresenta la migliore risposta alle nuove tendenze del mercato. Il soggiorno sarà per il turista un’esperienza unica e diversa, arricchita dalla bellezza del territorio, dal buon cibo, dall’arte

L’imprenditore Fabio Petroni

cretizzata con la creazione di Terravision Travel (www.terravisiontravel.com), l’agenzia di viaggi on line del Gruppo Terravision che ha come missione quella di offrire ai propri clienti un servizio di alta qualità e strutture esclusive a prezzi competitivi. «Attualmente stiamo commercializzando gli Apartamentos Turísticos Las Letras - informa Petroni - una struttura di 15 confortevoli alloggi di design moderno situati in Plaza Matute, nel cuore di Madrid, a cui si aggiungeranno presto sempre nella capitale spagnola altrettanti mini appartamenti in Calle Sevilla». Si chiama invece “Thaz Italia” (www.thazitalia.com) l’ultimo iniziativa imprenditoriale di Petroni, elaborata in partnership con Assolowcost: un progetto innovativo per rilanciare il turismo nei piccoli Comuni italiani.

e dalla possibilità di riscoprire ed imparare gli antichi mestieri attraverso corsi di formazione curati da artigiani locali». Thaz Italia, che ha come slogan “dormi, gusta, scopri e impara”, offrirà soggiorni di qualità a basso costo in cento piccoli Comuni delle quattro regioni italiane che hanno già aderito al progetto: Lazio, Toscana, Lombardia e Veneto. A trarne i maggiori benefici saranno gli abitanti dei piccoli centri che, se vorranno, potranno mettere a disposizione dei turisti posti letti o appartamenti. Tutto è acquistabile su internet e i soggiorni saranno possibili da giugno 2014. « L’obiettivo - conclude Fabio Petroni - è di portare a 400 i Comuni aderenti all’iniziativa, per un totale di 80mila posti letto da offrire nei prossimi tre anni al mercato turistico internazionale».

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NECESSITÀ-VIRTÙ

RICICLO IN CUCINA Valeria Caldelli

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sa, ma non gettare. Soprattutto in cucina. Quando si dice “crisi”, si dice “guerra agli sprechi” e l’idea tutta americana di una società che prende solo il meglio e butta il resto nella pattumiera non fa più al caso nostro. Lo confermano i dati lanciati con grande allarme dalle numerose associazioni che controllano i consumi, preoccupate per la tenuta dei mercati, ormai da anni in costante flessione. Secondo uno studio di Unioncamere, infatti, nel 2013 gli italiani hanno speso 2 miliardi di euro in meno sul cibo, non solo riducendo la quantità di generi alimentari acquistati, ma anche andando alla ricerca di tutto quello che costa poco. Negli ultimi anni si è visto crescere il consumo di pasta, pane e uova, in macelleria si compra più pollo e più maiale, a scapito del manzo e il pesce di mare lascia sempre più il posto sulla tavola a quello proveniente dagli allevamenti. Non basta: prodotti non di marca, promozioni, offerte speciali, articoli in scadenza venduti al 50 per cento del prezzo originario sono ormai entrati in tutti o quasi i carrelli della spesa mentre nelle famiglie sono tornate le vecchie abitudini dell’orticello personale con pomodori e insalata direttamente

dal giardino o dalla terrazza. Nel frattempo anche affannate lavoratrici (e lavoratori) si sono riscoperte massaie (e massai) recuperando in cucina tutto quello che c’è da recuperare. I numeri si sprecano, le percentuali si rincorrono, le classifiche si confrontano mese dopo mese: tutte per rilevare che mangiare ai tempi della crisi presenta le sue difficoltà. D’altronde, senza andare troppo lontano, ci aveva già ammonito Geppetto che non bisogna mai buttare via niente perché i casi della vita sono tanti. E Pinocchio, che aveva divorato le tre pere buttando via la buccia e i torsoli, aveva dovuto “digerire” in fretta la lezione del padre andando a ricercare subito torsoli e buccia per calmare la fame rimasta. La differenza è che le pere in quel caso erano quelle buone dell’orto, senza né coloranti, né conservanti, e Pinocchio era comunque un burattino, senza grossi problemi per la sua salute. La nostra fame, forse da lui ereditata o anche dal costantemente allupato Arlecchino, ci porta invece sempre più spesso dal medico. Perché è ormai assodato in più di un’ indagine che gli italiani, a differenza dei loro ‘cugini’ europei, molto

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malvolentieri rinunciano alle tavole imbandite. Crisi o non crisi. Straziami, ma la pancia saziami potrebbe essere la loro bandiera in cucina. Con l’aggravante che con meno soldi in tasca la qualità si dirada e in bocca arrivano concentrati di pomodoro cinese, olio tunisino, vino di vendemmie incerte, prodotti in scatola, surgelati, grassi a go-go. Qualsiasi cosa purché sia low cost. Non solo, dunque, la crisi non sembra farci dimagrire, ma, purtroppo, rischia anche di farci ammalare. Eppure gli italiani dovrebbero conoscere bene almeno un modo per evitare il ‘cibo spazzatura’ e risparmiare il borsellino. Tradizionale, facile da preparare, buono e anche sano. Si tratterà di limitare un po’ le calorie evitando di mettere in tavola le solite “cofane” e servendoci invece porzioni più umane. In fondo la faccia soddisfatta dell’indimenticabile Albertone nazionale davanti ad un piatto di pasta, eternamente immortalata nel film di Steno “Un americano a Roma” dovrebbe servire da buon esempio per tutti. “Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno...!”


LE RICETTE LOW COST Penne al tonno, basilico e Pachino Cuocere le penne (80 gr. a persona) in abbondante acqua salata. Nel frattempo tagliare in quattro 6 o 7 pomodori di Pachino e sminuzzare circa 50 grammi di tonno in scatola a persona, dopo averlo ben asciugato del suo olio. Tenere separati pomodoro e tonno. Quando la pasta è quasi cotta far scaldare l’olio extravergine di oliva in una casseruola; due minuti prima di scolarla aggiungere i pomodorini. Saltare le penne in padella insieme al tonno e a fuoco spento aggiungere anche qualche foglia di basilico.

LOW COST Cozze alla pescatora Per 4 persone calcolare all’incirca un chilo di cozze. Pulirle e metterle sul fuoco senza alcun condimento in una pentola antiaderente con i bordi alti. Aspettare che aprano e lasciar raffreddare. Nel frattempo sbattere un uovo, aggiungervi un cucchiaio di latte, salare e pepare a piacere. Togliere alle cozze la metà del guscio e disporre l’altra metà in una casseruola con i bordi bassi. Aggiungere olio extravergine di oliva e subito dopo 200 grammi di passato di pomodoro. Lasciare cuocere fino a quando non si è rappreso, mantenendo le cozze dentro la loro metà del guscio. Unire l’uovo sbattuto con il latte, girare velocemente, mantenendo la casseruola sul fuoco e al termine far rapprendere con un pugnetto di pangrattato. Servire ben calde.

RICICLO Le rovelline Se le fettine alla milanese della sera precedente erano troppe, quelle rimaste possono essere trasformate in un nuovo secondo piatto. Spremete sulle fettine già impanate e fritte il succo di uno spicchio di limone, aggiungere il pomodoro pasato, i capperi (meglio se tritati), il sale e il pepe. Far cuocere per circa mezz’ora e servire

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CINEMATOGRAFIA

ROMA PUÒ TORNARE CAPITALE Salvatore Giuffrida “Roma può tornare a essere la capitale del cinema ma per farlo bisogna crederci e investire”. Parola di Giacomo Caporale, della Whale Pictures, azienda di distribuzione cinematografica indipendente che in soli sei mesi ha già conquistato un posto di rilievo nel panorama nazionale. Accreditata presso la Rai e iscritta al registro delle imprese cinematografiche del ministero dei beni culturali, la Whale sta dedicando un’attenzione particolare al film d’essai e recentemente ha acquisito i diritti di “Frances Ha”, un film d’autore che uscirà in Italia nei primi mesi del 2014 e ha già conquistato il favore unanime della critica, trionfando alla Berlinale e vincendo il Mouse d’Argento al Torino film festival. Ma la Whale rappresenta una ventata nuova anche a livello economico: Caporale, fresco di ritorno dall’American Film festival di Santa Monica negli Usa, dice la sua su come rendere più competitivo un settore che insieme all’indotto rappresenta una risorsa fondamentale per l’economia di una città che è stata la capitale del cinema. E che può tornare a esserlo. Cinema di qualità, film d’essai e distribuzione: non facile, come settore. Perché? Da quando sono coinvolto con le campagne di marketing pubblicitario avevamo questa idea, anche perché tra i clienti avevamo la vecchia Iris. Insomma già conoscevamo l’ambiente, conoscevo le persone che ci lavora-

no e da un po’ di tempo mi intrigava l’idea di impegnarmi in questo settore. E così un po’ per caso, un po’ per spirito, parlandone con alcuni soci, abbiamo deciso di buttarci in questa avventura. Siete una impresa giovane ma già avete una posizione importante nel mercato nazionale. Confermando la tendenza positiva delle start up laziali. È vero, siamo nati nel maggio 2013, ora l’obiettivo è confermarci come la quarta realtà a livello nazionale, alle spalle di grandi case come Medusa, ZeroUno, Lucky Red. Abbiamo solamente sei mesi di attività ma possiamo contare su persone che lavorano in questo settore da oltre 30 anni. Contemporaneamente aspiriamo ad avere un certo respiro internazionale perche compriamo film all’estero e li distribuiamo in Italia. A inizio 2014 uscirà “Frances Ha”, bellissimo film d’autore; poi stiamo trattando altre pellicole di qualità e acquisteremo diritti anche per le serie tv. Il cinema in Italia rappresenta un settore fondamentale sia in

La Fontana di Trevi

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termini storico-culturali che economici. Come intervenire per rendere il mercato più competitivo? Il mercato in Italia non è molto appoggiato dalle istituzioni, al momento l’unico strumento utile è la legge sul credito di imposta, ma non basta: quando si chiedono finanziamenti, si trovano resistenze. Insomma il problema è l’accesso al credito. Ad esempio, gli americani sono più bravi di noi a fare cassa nel momento in cui esce il film, e già questo è un modo per guadagnare di più. Inoltre negli Stati Uniti è più facile accedere al credito dalle banche, mentre qui la prima cosa che si fa è cercare l’amico che può mandarti dal conoscente di turno. Qui il cinema è condizionato dalle grandi case che prima lo fanno uscire al cinema e poi negli altri canali; al contrario negli Usa il film esce contemporaneamente nelle sale cinematografiche, in pay per tv e tutti i canali possibili. Anche in Italia sarebbe auspicabile una strategia del genere, sarebbe un’arma vincente perche coinvolgerebbe tutto il pubblico, anche quello che non va al cinema. Inoltre toglierebbe spazio alla pirateria. Bisogna poi dire che in Italia costa tutto più caro e c’è più burocrazia. Questo è un altro aspetto del problema Già, questo è un problema che condiziona il sistema produttivo italiano. E anche il cinema, con tutto il suo indotto.

Ad esempio, il kolossal Thor è stato girato nei paesi dell’est Europa perché i costi sono molto più bassi e c’è meno burocrazia da sbrigare. E’ giusto che ci siano regole da rispettare ma è altrettanto giusto che ci siano linee burocratiche più snelle. Ne gioverebbe l’economia di tutta la città e ci sarebbe meno clientelismo. Tornando a Roma, che ruolo può avere nel cinema internazionale? Noi crediamo nel ritorno del grande cinema di qualità. Purtroppo però non basta ospitare il festival del Cinema, ci vuole altro, qualcosa di concreto come attirare nuovi investimenti, incentivare nuove produzioni, riportare l’entusiasmo di girare in quella che una volta era la capitale del cinema. È vero: Hollywood, per diventare quello che è, ha studiato da noi. E poi che è successo? A Roma rischiamo di essere un po’ provincialotti, ad esempio il festival di Roma dovrebbe prendere esempio da Cannes. Mi spiego: vetrina e passerella vanno bene se inserite in un contesto che sia veramente produttivo e non fine a sé stesso, insomma che dia l’opportunità di lanciare nuove proposte, idee e investimenti. Se puntiamo solo sulla passerella, è ovvio che Venezia ci batte. Prendiamo esempio dall’American Film festival, che coinvolge tutto il mercato del cinema, con più di 350 produttori e protagonisti famosi e meno famosi. Noi rimaniamo i più bravi del mondo, ma per tornare ai livelli di una volta bisogna crederci. E investire.

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IN TEMPO DI CRISI

BUDGET, AMORE E...FANTASIA! Francesca Stirpe

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n un’atmosfera di crisi e di ristrettezze economiche, diventa sempre più difficile decidere di pronunciare il fatidico sì, con la paura di non riuscire a permettersi la favola che, ancora oggi, tutti gli sposi desiderano e di non avere un budget giusto per essere all’altezza del giorno perfetto. Come fare a coronare il proprio sogno d’amore quando la disoccupazione galoppa e la crisi economica incalza? Per un matrimonio da favola si finiscono per spendere cifre da capogiro: il rapporto di Aprile 2013 della Federconsumatori ha evidenziato che per un matrimonio all’insegna della tradizione, con confetti, banchetto di nozze, abito bianco e un centinaio di invitati, le coppie italiane spendono complessivamente fra i 34.450 e i 57.703 euro. Tuttavia basta dare un taglio allo sfarzo per riuscire a contenere i costi, anche senza andare a discapito del buon gusto. Dagli abiti degli sposi al ricevimento, passando per partecipazioni e bomboniere, basta un po’ di ingegno per far sì che quel giorno sia il più romantico della nostra vita. Oggigiorno vi sono numerosissime possibilità di regalarsi un evento straordinario, un’opera d’arte inedita da modellare via via. Ma chi l’ha detto che per un matrimonio da sogno occorre per forza un ricevimento in grande stile, in una villa smisurata o in un castello con tanto di ponte levatoio? Il segreto è mettere nella scelta un po’ di noi stessi, facendo sì che questa ricada sul luogo più vicino al nostro modo di essere e di vivere. E poi qualsiasi location potrebbe essere quella del cuore, purché la coppia riveda in essa la sua essenza. In questo modo anche un grazioso agriturismo, così

come una romantica azienda vinicola potrebbero essere la scelta giusta, quella scritta nel famoso libro dei desideri. Quanto all’abito da sposa, qual’è la donna che non ha sognato un vestito da principessa sin da bambina, con tanto di scarpette di cristallo? Un sogno che purtroppo va in frantumi quando ci si confronta con il cartellino del prezzo. Ebbene, ci si può sentire bellissime e vestite da regine anche con un abito delle collezioni precedenti, e si può risparmiare fino al 70% acquistando un vestito dai campionari. In alternativa, un vestito di seconda mano può racchiudere molti significati, che vanno ben oltre il mero risparmio economico: pensate a come può essere emozionante indossare l’abito da sposa della mamma o della nonna! Nel film “Se scappi ti sposo” una venditrice di abiti nuziali esorta Julia Roberts, al quarto tentativo di matrimonio, a non spendere troppo per il suo abito con un più che eloquente perché spendere tanto, per dieci minuti di gloria? Un’altra voce che incide molto sul budget nuziale è l’acquisto delle bomboniere. Un tempo i confetti chiudevano il banchetto di nozze ed erano distribuiti a cucchiaiate dagli sposi. Chi dice che non si può tornare ad un gesto così antico ma anche così semplice e pieno di poesia? E se proprio non si riesce a rinunciare alle bomboniere (per le mamme degli sposi è impensabile), si può scegliere il “fai da te”. Pensare a piccoli oggettini da realizzare con le proprie mani sarà una grande soddisfazione ma anche un gran divertimento da condividere con amiche, mamme e zie. E ancora, se proprio si vuole lasciare un ricordo del giorno perfetto agli ospiti, perché non dare un taglio solidale alla favola e regalare un sorriso a chi è meno fortunato? Tornando al “fai da te”,

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questo vale anche per partecipazioni e tableau, un pizzico di fantasia e qualche spunto qua e là per dare un tocco personale al giorno perfetto. Quanto alle foto, un amico o un parente appassionato di fotografia si occuperà delle foto per la parte più importante della cerimonia, la festa sarà poi a cura degli amici più cari così da

realizzare un vero e proprio “reportage” di matrimonio…le foto in posa non sono più di moda! Oggi tutti possono quindi realizzare il proprio sogno, c’è persino chi si è inventato il “matrimonio con lo sponsor”! Aprendo un blog o una pagina Facebook è possibile cercare degli sponsor tra le aziende di settore, che saranno

Il matrimonio regale di William e Kate, una cerimonia da sogno

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poi ricambiate dalla visibilità in rete. Il segreto in questo caso è “spopolare” sul web, creando un forte “engagement” intorno alla propria favola. Che le coppie si avviino dunque all’altare con un sorriso regale, certi di non aver speso una fortuna e di aver perfettamente orchestrato il tutto, così da pronunciare il fatidico SI’.


COSTUME & SOCIETÀ FRANCESCO E IL NUOVO CORSO di Marco Toti

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on c’è dubbio che il “nuovo corso” inaugurato da papa Francesco abbia costituito una “rivoluzione”, se non altro in relazione al precedente pontificato, sul piano delle “forme”. Bisognerebbe comprendere quanto a queste “forme” abbia fatto seguito anche una rivoluzione nei contenuti. Ciò non è affatto facile. Francesco, che fin dalla scelta del nome ha impostato il suo pontificato in una prospettiva “umanitaria”, sembra ad esempio poco interessato alle questioni dottrinali, che invece erano così care a Benedetto XVI. Inoltre, è stato evidente fin da subito il suo carattere estroverso: tale attitudine – che non dovrebbe costituire un problema – ha avuto un impatto notevole sul piano mediatico, contribuendo al coinvolgimento di molte persone anche lontane dalla Chiesa. Alcuni suoi gesti eclatanti hanno certamente contribuito a questo avvicinamento. É però importante chiedersi quanto questi avvicinamenti siano radicati, ovvero semplicemente motivati da una semplice “empatia” nei confronti di Francesco. In particolare destano qualche interrogativo le scelte teologico-politiche del nuovo papa. Alcune indiscrezioni, addirittura, parlano di una sua volontà di far rientrare i “tradizionalisti” lefebvriani nella Chiesa: lui che tradizionalista non è affatto. Ma sono solo indiscrezioni, nulla di più.

Ci chiediamo solo se il prossimo futuro potrà rivelarci qualcosa di più preciso in merito a queste aperture a largo raggio e a questo apparente disinteresse per la dottrina.

UN’OPERA PER RICORDARE Laura Ricciardi

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na volta, in un mondo senza tempo, viveva Arione, poeta e cantore sublime che si accompagnava con la cetra. Tanta era la sua bravura che i marinai della nave che doveva riportarlo nel Peloponneso, gelosi dei suoi successi in tutto il Mediterraneo, lo condannarono a morte. Solo un ultimo canto prima di gettarsi

tra le onde. Ma così struggente da richiamare un delfino che, impietosito per la sua sorte, lo prese sul dorso e lo condusse a terra sano e salvo. In un altro tempo, in un altro mondo, c’era un ufficiale dell’esercito romano che diffondeva la fede cristiana e fu giustiziato dall’imperatore Diocleziano imponendogli un martirio che lo trasformò

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in santo, San Sebastiano. Oggi un’altra storia è passata davanti ai nostri occhi. Quella di Diop Mor e Samp Modou, i due senegalesi uccisi in piazza Dalmazia a Firenze il 13 dicembre 2011 da un uomo armato che poi a sua volta si è tolto la vita. Leggenda e attualità si fondono in un’ opera d’arte che è andata ad arricchire la chiesa della Mi-


sericordia del capoluogo toscano per un dono fatto dal maestro Theimer alFuggì una notte dalla Cecoslovacchia ricordare gli africani vittime di un l’Arciconfraternita di Firenze, che lo nel lontano 1968, anche se non ama tragico agguato, oltre ai numerosi fugha presentato ufficialmente il 20 genparlarne. E’ lui, Ivan Theimer degli giaschi alla ricerca di un’esistenza minaio, giorno in cui ha celebrato i 770 obelischi dell’Eliseo e di quelli per il gliore, continuamente inghiottiti dalle anni dalla sua nascita. “L’ opera vuole bicentenario della Rivoluzione francese onde nel mare a Parigi, lo stesdi Lampedusa. so delle fontaI suoi autori, ne di OloIvan Theimer e mouc, suo paeNdary Lo, hanse natale, e di no riscritto il Poissy, dell’almito e la storia tare e dell’amin un tabernabone del duocolo alto più di mo di Massa un metro con Marittima e una base colma dei numerosi di simboli e monumenti in iscrizioni otteItalia, Germanute con bassonia e Svezia. rilievi in bronzo Lui, che ragdi grande finezgiunta la Franza dove naufracia, dove anghi nuotano cora vive a nell’incertezza di metà con Pieessere salvati, trasanta, per Ivan Theimer nel suo atelier mentre lavora all'opera donata alla Misericordia di Firenze per imbarcazioni campare faceva ricordare i due senegalesi uccisi il 13 dicembre 2011. Foto di Emiro Albiani antiche navigal’imbianchino. no in tutto il “La tragedia di Mediterraneo portando la parola di essere la testimonianza della collaboDiop Mor e Samp Modou, così come Cristo, bambini crescono e fanno razione tra due popoli diversi nella quella della moltitudine di africani che sperare in un futuro più giusto, mentre memoria di una tragedia che continua”, muoiono ogni giorno nel Mediterraneo, tartarughe testimoniano la forza delle sigilla l’autore che ha voluto al suo ha riaperto vecchie ferite”, dice oggi. nostre origini, trasmettendo longevità. fianco un artista senegalese. Per questo “Quell’unico corpo a tre che svetta In alto, sulla sommità, due uomini è andato a Dakar e lo ha cercato affisulla cima del tabernacolo vuole essere nudi abbracciano un delfino che guizza, dandogli la parte centrale del tabernaun messaggio sull’universalità del marinnalzando loro e il mondo intero colo, dove uomini nuotano chissà dove tirio. Abbiamo tutti la stessa pelle, apverso sfere più alte, dove il martirio come manichini scheletriti. Lo stesso parteniamo tutti alla stessa umanità. Il diventa arte. Uno degli uomini è, apTheimer, prima di diventare uno dei delfino è un pesce, quindi un simbolo punto, Arione, l’altro San Sebastiano, più grandi nomi della scultura condella Chiesa, ma qui anche l’emblema a cui la chiesa della Misericordia è intemporanea, ha sentito su se stesso dell’arte come strumento di collaboratitolata. Quello del tabernacolo è invece l’umiliazione di non avere più radici. zione tra i popoli”.

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COSTUME & SOCIETÀ CIAK: DAL LUTTO ALL’AMORE

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i blocchi di partenza Il film “Passione Fatale” di Daniela Alviani, con un cast ancora top secret. L’attrice Italo Americana si cimenterà anche con la sua seconda regia e sarà un film tutto al femminile. Lucrezia, la protagonista del thriller sarà Daniela Alvianui, tornata a girare in Italia dopo la lunga permanenza americana. “Devo ringraziare l’imprenditore Enrico Porta dell’Impresa Funebre di San Ceccardo di Carrara per la sua preziosa collaborazione nella realizzazione del film riferisce l’attrice.” “Da Lunedì 27 chiuderemo tutte le location tra Carrara e dintorni, per poi tornare a Roma. L’inizio riprese sarà il 4 febbraio. Tornando al film, è un thriller pieno di colpi di scena dove farò un ruolo in cui mi sono totalmente immersa, penso come fossi Lucrezia, anche se nella realtà Daniela non le somiglia affatto. Lucrezia è una donna imperscrutabile. Che rapporto ha realmente con il marito e la sua morte che l’ha resa proprietaria di un impero, ha a che fare con lei? Che tipo di rapporto ha con Eloise, è solo una sua dipendente/amica , o c’è dell’altro? La rigida donna manager ha forse una seconda vita, sfrenata dove la trasgressione è la costante? lo spettatore avrà la sensazione di averla intuita, ma i colpi di scena si succederanno sino alla fine. Buona visione…

VINO RUMENO, PASSIONE ITALIANA

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ello dal Tio è un uomo che nella sua vita ha saputo creare dal nulla una delle aziende di produzione di macchine professionali per il caffè tra le più famose al mondo: la Cma con i marchi “Astoria e Wega”. Nel 2001 decide di aprire una nuova fabbrica, oltre a quella di proprietà in Veneto, e lo fa nella città di Timisoara in Romania. Obiettivo: creare un altro marchio dove la tecnologia resti quali-

tativamente ai massimi livelli consentendo però dei costi di produzione, e quindi di vendita, più bassi ed entrare nei nuovi mercati mondiali. Manda a realizzare questo progetto uno dei suoi collaboratori storici: Roberto Marchetto. Con il passare degli anni Marchetto capisce che questa terra ha una vocazione vitivinicola certa anche se non valorizzata secondo le sue potenzialità. Così Nello dal Tio comincia a creare un’azienda

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vitivinicola modello e inizia una inaspettata e originale avventura. Acquista 172 ettari di terreno, e dopo un lavoro certosino, ma necessario, al fine di regolarizzare i titoli di proprietà frazionatissimi (ogni venditore disponeva di pochi ettari), finalmente, iniziano i lavori di impianto dei vigneti. Le competenze e la cultura che permeano l’azienda fin dall’inizio sono italiani, perché tutto deve essere impostato al


massimo livello qualitativo, ma a portare avanti il progetto è un team di giovani rumeni (tra i quali molte donne) a dimostrazione che il Paese si sta evolvendo, che il passato è davvero passato. Nello dal Tio e il suo team cercano delle viti di Feteasca neagra, il vitigno rosso di maggior pregio, per testarle e riprodurle. Oggi finalmente è in produzione e si sta progettando sia di aumentare la superficie sia di individuare viti di altri interessanti vitigni autoctoni da riprodurre e sviluppare: 42 gli ettari totali già impiantati e progetti per altri 30. Così come per i vigneti, anche per la cantina l’obiettivo è stato quello di realizzare una

“Otarniţa”. Il primo è un blend Merlot Cabernet, il secondo un Pinot Nero, entrambi affinati in barrique . Nascono nelle vendemmie seguenti anche “Alb” e “Rosu” di Petro Vaselo un bianco e un rosso giovani e profumati da Chardonnay e Cabernet Sauvignon. Poi tre tipi di spumante “Bendis”, dal nome della Dea della Fertilità e della Felicità adorata dai Daci. Per ultimo il “Melgis”, una Feteasca neagra che prende il nome di una Semidea, una figura femminile forte e coraggiosa anch’essa mutuata dalla mitologia dei Daci, il popolo che ha fortemente segnato con la sua cultura l’antichità dei territori

struttura al top tecnico senza nessuna invadenza sul piano dell’impatto ambientale. Alla base di tutto, il rispetto per un ecosistema che ha nella storia recente il suo più grosso handicap, ma anche il più grande vantaggio. Il fatto di avere a disposizione colline che negli ultimi anni sono state poco coltivate, fa sì che il paesaggio sia originale ed incontaminato. Questo permette anche di rispondere al desiderio dell’azienda di non utilizzare prodotti chimici di sintesi per la lotta ai parassiti che non hanno sviluppato, come invece in altri Paesi produttori, ceppi resistenti ai prodotti meno tossici. Fare una camminata in mezzo ai vigneti di “Petro Vaselo” è come tornare indietro nel tempo e scoprire una natura incontaminata, farfalle e insetti di tutti i tipi, uccelli rari, fiori e piante che da noi non si vedono più da decenni perché sterminati dall’uso degli antiparassitari. Prima vendemmia imbottigliata, quella del 2009 con due vini che prendono il nome da due colline dell’azienda: “Ovaș” e

dove è collocata l’azienda “Petro Vaselo” In pochi anni “Petro Vaselo” non si è guadagnata solo un posto tra le più qualificate aziende rumene, ma grazie ai tanti riconoscimenti e premi ottenuti, anche nel mercato internazionale. Le scelte controcorrente di Nello dal Tio: investire in agricoltura in Romania e produrre vini di qualità, sono risultate vincenti. Chi assaggia i vini dell’azienda trova una territorialità molto forte nei vitigni internazionali che li caratterizza rispetto agli stessi coltivati in altre zone del mondo. Infatti il clima tipicamente continentale delle dolci colline di Petro Vaselo (estati calde, inverni freddi, forti escursioni termiche) dà ai vini profumi ricchi, eleganza e finezza. La Feteasca neagra è invece un vitigno sconosciuto anche ai più grandi intenditori del mondo e scoprirla è come leggere la storia di una terra, la sua forza, la sua intensità, il coraggio della sua gente, la voglia di riscatto che hanno i rumeni. Katrin Bove

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COSTUME & SOCIETÀ CASHMERE, CHE PASSIONE

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L CASHMERE DI ECCELLENsile di Confindustria Perugia - abbiamo ZA nel mondo parla umbro. Acinvece deciso di investire in loco. Dando canto al marchio del francescano vita pure a corsi che hanno formato Brunello Cucinelli infatti, ci sono altri diverse giovani maglieriste tutte già asbrand Top del Perugino. Tra questi sunte in varie aziende». quello che si sta facendo conoscere ed E così, dopo il boom degli anni Noapprezzare sopratutto sui mercati orienvanta tra Germania e Stati Uniti, paese tali ma anche europei è Lorena Antodove l’attacco alle Torri Gemelle e la niazzi (della Sterne International spa). crisi che ne seguì, portportarono però Dopo il successo del primo negozio a un ritiro dai mercati esteri, oggi Lomonomarca inaugurato nei mesi scorsi rena Antoniazzi (15 milioni il fatturato a Parigi, in rue De Castiglione, tra del 2012 che ne proietta 17 nel 2013) place Vendôme e les Jardins des Tuileriparte per l’avventura mondiale. ries, ora anche quello del nuovo sho«L’arma vincente? La nostra filosofia wroom di Milano, in via Morimondo produttiva - spiega - che punta a resti22, neo quartier generale del fashion. tuire modernità e valore a concetti Quattrocento metri quadri di stile per per noi basilari come l’artigianalità, la presentare anche in Italia il nuovo qualità dei filati e del processo pro“concept”. Parole chiave e principi ispiratori di collezioni già molto apprezzate e ambite dai più importanti buyers internazionali: artigianato e modernità. «Per costruire un bene prezioso» - ama ripetere Luca Mirabassi, presidente e ad della Sterne International che da vent’anni realizza anche capi per una esclusivissima griffe francese - “è sempre necessaria l’arte e la mano dell’uomo. Per questo quando anni fa’ tutti tendevano a delocalizzare le produzioni all’estero, noi in Umbria” - ha aggiunto Nella foto, a sinistra, Mirabassi che è anche Lorena Antoniazzi presidente del settore tes-

Nuova Finanza - gennaio, febbraio 2014 - Pag. 58

duttivo. Le tecniche e i materiali che utilizziamo sono innovativi ma il 70 per cento del nostro processo produttivo resta manuale e affidato a persone che possiedono grandi capacità manuali». Tradizione dunque ma con uno sguardo attento alle innovazioni tecnologiche alla Lorena Antoniazzi, prima e unica griffe al mondo ad aver dotato ogni prodotto di un sofisticato microchip che ne certifica i passaggi e garantisce non solo la tracciabilità ma l’assoluto made in Italy. «Inseriamo - spiega Mirabassi - un microchip nell’etichetta dei capi attraverso cui è possibile risalire con date, spostamenti e luoghi di produzione, a tutte le fasi produttive: filatura, tessitura, rimaglio, trattamenti». Le collezioni di Lorena Antoniazzi sono realizzate interamente nella sede dell’azienda a Perugia e qualsiasi acquirente nel mondo può verificarlo. Fondata nel 1993 dalla stilista Lorenza Antoniazzi e da Gianluca Mirabassi (i due sono marito e moglie) la Sterne International è oggi un’azienda in crescita e con un futuro che vede già in campo i figli della coppia, Andrea e Nicola. Dopo Parigi e Milano, tra il 2014 e il 2015 la Lorena Antoniazzi sbarcherà anche a Mosca, Tokyo e Seul. D.M.




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