Nuova finanza 6/2014

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BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO

Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013

Anno 2014 Numero 6 NOVEMBRE DICEMBRE

EXPO 2015 VENTATA DI OTTIMISMO

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IL PUNTO Banche: il trappolone europeo

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FUSIONE La BCC Roma incorpora la Tuscia

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NATALE I consigli per i regali


messaggio pubblicitario con finalità promozionale

Quest’anno la Banca di Credito Cooperativo di Roma compie 60 anni 60 anni al servizio delle famiglie e delle imprese. Un percorso iniziato nel 1954 alla periferia della Capitale e sviluppatosi nel corso degli anni in tutta Roma, nel Lazio e nella provincia aquilana. Con il sostegno di soci e clienti, la Banca è potuta diventare leader nei propri territori con 175 agenzie, 1270 dipendenti ed un livello di patrimonio che la pone tra le aziende bancarie più solide della sua categoria.

Grazie a tutti coloro che ci accordano la loro fiducia

Capitale Ca pitale in crescita. crescita. Da 60 anni. www.bccroma.it


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Il Punto Banche, trappolone europeo Expo di Milano Un’iniezione di fiducia L’intervista a Grignaschi Il ruolo delle Bcc Parla Liberati La Bcc Roma è anche Tuscia Gruppo Azimut A sostegno delle imprese Economia Le “guerre” di Renzi Eurozona I limiti della Bce Sviluppo sostenibile L’Onu scende in campo MPS Ritorno al futuro I consigli di Angeletti Così il mattone non delude Benetti Sulla cresta dell’onda Sebach Successi senza confine

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COSTUME & SOCIETÀ Medicina Il cuore rivoluzionato Sanità Una clinica eccellente Unitalsi Il treno dei desideri Recuperi Il parco di Gavorrano Musica Il re del cross over India Sulle tracce di Teresa Fotografia Cacciatore d’immagini Natale E’ già tempo di regali Cucina Le ricette dei grandi In vino business Carpenè & Crociani La mostra/1 Modigliani a Pisa La mostra/2 Il barocco del Sir Il libro La vita oltre l’euro La riflessione Uomo e dignità Il ricordo Natale in casa Spolvi

Le nostre interviste Il DG Dg della Federlus Grignaschi

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Nuova Finanza

Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale

Francesco Carrassi Direttore Responsabile

Pietro Romano Direzione Marketing e Redazione

Katrin Bove Germana Loizzi

Editore Kage srl 00136 Roma - Via Romeo Romei, 23 Tel. e Fax +39 06 39736411 www.nuovafinanza.com - redazione@nuovafinanza.it Per la pubblicità: nuovafinanza@nuovafinanza.it Autorizzazione Tribunale di Roma n. 88/2010 del 16 marzo 2010 Iscrizione ROC n. 23306 Stampa STI - Società Tipografica Italia Via Sesto Celere, 3 - 00152 Roma Progetto Grafico Mauro Carlini Abbonamento annuo Euro 48,00 Hanno collaborato: Heinz Beck, Katrin Bove, Valeria Caldelli, Jacopo Carlesi, Ornella Cilona, Paolo Coccopalmerio, Antonello Colonna, Allegra Contoli, Riccardo di Giacinto, Aldo Forbice, Antonio Fulvi, Germana Loizzi, Alberto Mazzuca, Donatella Miliani, Sandro Neri, Jacopo Salvadori, Alessandro Spolvi, Tommaso Strambi, Marco Toti


IL PUNTO del direttore

BANCHE, IL TRAPPOLONE EUROPEO di Pietro Romano

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no sgambetto. O, meglio, un agguato. Non c’è bisogno di essere lamentosi o complottisti per averne la (quasi) certezza. Gli stress test bancari europei, per come sono stati applicati agli istituti italiani, gridano vendetta al cospetto di Dio. Come e perché, tecnicamente, lo hanno chiarito con autorevolezza sui più letti giornali italiani i maggiori esperti di tecnica e diritto bancario. Il “Messaggero” si è domandato se organi di controllo come la Consob non abbiano la possibilità di intervenire (magari sanzionandolo) su Andrea Enria, presidente dell’Eba, la Vigilanza bancaria europea. Purtroppo italiano, Enria è il primo ispiratore degli stress test della Bce focalizzati sul modello di banca commerciale, quella che in sostanza presta denaro a imprese e famiglie (a vantaggio dell’economia reale, l’occupazione, lo sviluppo), e non sulla banca che fa finanza. Il genere di banca, insomma, dai cui disinvolti comportamenti si è scatenata la crisi economica dalla quale l’Europa, e l’Italia in particolare, è ben lontana dall’uscire. E il “Sole 24 Ore” ha accusato Enria di emettere “norme che hanno indotto gli istituti finanziari italiani a scelte draconiane con ripercussioni drammatiche su cittadini e imprese”. Gli stress test hanno diffuso nel mondo l’immagine di un sistema bancario italiano simile a un colabrodo. Le vicende del Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo in attività, sono finite sulle prime pagine dei giornali internazionali senza fare i dovuti distinguo tra la precedente e l’attuale gestione. Una gestione, invece, impegnata in

un’opera di risanamento cui proprio la bocciatura europea (che non ha voluto tenere conto dei risultati della ristrutturazione in corso d’opera, come invece è stato fatto in altri casi) sta praticamente tagliando le gambe. Eppure, a partire dal 2008, per sostenere le sue banche, la Germania ha iniettato

Paschi di Siena, l’allora commissario europeo alla concorrenza, lo spagnolo Joaquin Almunia, aprì una procedura d’infrazione contro l’Italia per “aiuti di stato”. Eppure, poco prima o poco dopo, Bruxelles si è guardata bene dall’inviare avvertenze e stop operativi a simili (ma molto più onerose) iniziative

250 miliardi di euro pubblici, la Spagna 60, l’Irlanda e l’Olanda 50, 40 la Grecia, il Belgio e l’Austria e poco meno di 20 il Portogallo. E l’Italia? Solo quattro. Sarebbe stato difficile, peraltro, fare in maniera diversa. Non appena il governo di Mario Monti varò un bond di quattro miliardi per ricapitalizzare il Monte dei

varate e portate tranquillamente a termine dalla Germania o dalla Francia. Nessun vittimismo, dunque, ma numeri incontrovertibili. Come, altrettanto incontrovertibile, è il paradossale finanziamento italiano al Fondo salva-stati (Esm), nato allo scopo di evitare perdite alle banche che avevano comprato titoli di Paesi

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europei ad alto rischio: Grecia, Irlanda, in distribuzione) che non va sottovalutato test, ma al giro di boa dei nove mesi Portogallo, Spagna, Cipro soprattutto. e non è stato fugato. Un esempio fresco, del 2014, ha presentato conti migliori Su questo fronte l’esposizione italiana di metà novembre? In parallelo alle delle attese, confermando l’efficacia era minima. Maspressioni del premier della cura di Giuseppe Castagna. Che sima, invece, quelMatteo Renzi su Brucosa deve dimostrare ancora? Lo stesso la tedesca. Ma il xelles per ottenere una discorso, per addurre un altro esempio, contributo italiavirata sviluppista alvale per il Credito Valtellinese. Nei no al Fondo sarà, l’Europa depressiva tarprimi nove mesi dell’anno, anche il complessivamengata Angela Merkel, le CreVal guidato da Giovanni De Censi te, di 125 miliardi. banche tedesche, seha chiuso i suoi conti in utile (al netto Ammesso che bacondo quanto risulta pari a 7,2 milioni) con un risultato di stino. “Nuova Fia “Nuova Finanza”, gestione cresciuto del 46,8% e i proventi nanza” ha appreso hanno cominciato a operativi incrementati del 15,9% rispetto da attendibili fonti vendere copiosamente allo stesso periodo del 2013. Certo, su di Bruxelles che titoli di stato italiano. un punto Enria ha ragione: “Nessuna alcune grandi Un fenomeno che anbanca deve sentirsi sicura, la storia non banche tedesche Giovanni De Censi, Presidente Creval drebbe monitorato con è finita nemmeno per chi ha superato avrebbero ancora maggiore attenzione. gli stress test”. Non è che superando in pancia una noLa difesa delle Bcc e gli esami europei, insomma, si può abtevole quantità di titoli tossici, perlopiù delle Popolari deve dibandonare la strainesigibili. La Deutsche Bank, tanto ventare, perciò, prima da della sana geper fare un esempio, avrebbe una espodi tutto politica e di stione. Ma questo sizione ai derivati stimata in 75mila sistema. E’ inaccettanon era Enria che miliardi di dollari (cinque volte il Pil bile che si vogliano doveva dircelo. europeo) e, proprio sulla base di questa obbligare a esami di Lui, e tutto il suconsiderazione, il quotidiano economico riparazione banche per-pagato sistema tedesco “Handesblatt” ne aveva previsto che hanno superato “inquisitorio” euuna bocciatura agli stress test. Nulla di gli stress test con le ropeo, farebbe tutto ciò. Come fuori dagli stress test regole esistenti. E tra bene a chiarire ai sono stati tenuti, su “ordine” di Berlino, queste “sorvegliate” cittadini e ai conanche le casse regionali tedesche, un speciali - per le quali tribuenti delmisto di interventismo pubblico e opacità gli esami, chissà perl’Unione, invece, amministrativa che non ha eguali. Mentre ché, non devono finire se, in un ipotetico rimangono nel mirino dei “vigilanti”, mai - guarda caso, ci Giuseppe Castagna, futuro, hanno l’inAD Banca Popolare di Milano per mancanza di prove, europei due sarebbero alcune Bantenzione di trattare specificità italiane, le Bcc e le Popolari, che popolari italiane. Ma sorvegliate tutte le banche, di qualsivoglia forma che hanno contribuito a evitare che speciali perché? Devono pagare forse la o Paese, allo stesso modo. Altrimenti, l’Italia facesse la fine della Grecia. Un mancata bocciatura? Nel mirino era fisarà il caso che l’Italia studi exit strategy rischio politico e non economico (come nita, a esempio, anche la Popolare di anche clamorose da un sistema ingiudimostra il documentato pamphlet “Il Milano. L’istituto di piazzetta Meda, stamente punitivo, che sta mettendo golpe chiamato rating”, da pochi giorni però, non solo ha superato gli stress in ginocchio il Paese.

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EXPO E RIPRESA ECONOMICA

UN’INIEZIONE DI FIDUCIA

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Sandro Neri*

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’ultima novità è un’iniezione di fiducia. Gli imprenditori italiani sono ottimisti nei confronti dell’Expo: stando all’ultima rilevazione dell’International Business Report, il 66 per cento ritiene che «ospitare Expo 2015 possa aiutare la ripresa dell’economia italiana». Soltanto il 22 per cento del campione - 50 aziende italiane - pensa che l’appuntamento del 2015 non avrà impatti positivi. La maggior parte degli intervistati, inoltre, è convinta che Expo porterà una «miglior conoscenza del cibo italiano Doc e Dop» nel mondo, e il 62 per cento crede che l’evento possa rappresentare una «spinta al settore agroalimentare italiano». Non solo. Uno studio commissionato da Expo Spa, la società che si occupa dell’organizzazione dell’evento, all’Uni-

versità Bocconi prevede che la kermesse porterà 200mila posti di lavoro entro il 2020, con 25 miliardi di produzione aggiuntiva per le aziende. Sempre secondo gli organizzatori, i posti di lavoro creati dall’allestimento dei Padiglioni stranieri saranno alla fine 4mila, e altri 15-16mila saranno attivati dalla gestione delle attività. Intanto, i cantieri avviati per allestire il milione di metri quadri di sito espositivo (110 ettari) di RhoPero, alla periferia nord di Milano, sono ormai arrivati a coprire «oltre l’80 per cento» del cronoprogramma, come ha recentemente assicurato Giuseppe Sala, commissario unico delegato dal governo per Expo 2015. Dopo i ritardi dovuti a una serie di problemi tecnici e di governance, sui cantieri è piombata anche l’ombra degli

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scandali che hanno portato all’avvio di tre inchieste giudiziarie e all’arrivo di Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che il governo Renzi ha incaricato di monitorare, a stretto contatto con gli uomini di Expo, gli appalti e la correttezza delle procedure burocratiche. Le ultime vicende hanno portato al commissariamento delle ditte Maltauro e Tagliabue per le Vie d’acqua Sud, opera di 11,4 chilometri che restituirà l’acqua in uscita dal sito espositivo al Naviglio grande. La stessa vicenda - corruzione e turbativa d’asta sono le ipotesi al vaglio dei magistrati - ha portato alle dimissioni dell’ingegnere Antonio Acerbo da subcommissario delegato di Expo e da responsabile unico del procedimento di Padiglione Italia. Sul sito


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continua la corsa contro il tempo che coinvolge, al momento, soprattutto i Paesi ospiti. Sei dei 53 Paesi che si sono impegnati a costruire un padiglione in proprio non hanno ancora iniziato i lavori. A preoccupare, adesso, è il pericolo neve, che potrebbe rallentare i cantieri: i padiglioni dovranno essere ultimati entro aprile per lasciare tempo sufficiente ai collaudi. Padiglione Italia è la struttura più avanti nei lavori. Anche se resta l’incognita dell'Albero della vita, la grande installazione che dovrà essere ospitata al centro della Lake Arena, ma per la quale manca ancora il bando per le strutture tecnologiche. Al secondo posto nella classifica dell’avanzamento lavori c’è il Padiglione della Germania, il primo Paese, dopo l’Italia, ad aver avviato le operazioni di

costruzione. Complessivamente, ai padiglioni costruiti direttamente dai Paesi partecipanti sono destinati 130.000 metri quadrati del sito espositivo. In cantiere una babele di 1.050 imprese e 1.800 operai; i Paesi che non avranno un proprio Padiglione saranno presenti nei nove cluster tematici. Per la prima volta suddivisi, cioè, non per aree geografiche, ma per tema. Ecco, quindi, gli spazi dedicati a riso, cacao, caffè, frutta e legumi, spezie, cereali e tuberi, Mediterraneo, isole mare e cibo e agricoltura e alimentazione in zone aride. Il sito si svilupperà lungo l’asse del Decumano, la via lunga 1.700 metri che attraversa l’area da Est a Ovest, che si incrocerà con il Cardo, seguendo lo schema di un castrum latino. All’ingresso ovest si intuiscono già le

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forme dell’Expo center che ospiterà uffici di rappresentanza, Rai e sala congressi e del Padiglione zero, una sorta di ‘museo’ che introduce al tema dell’Expo. Ha preso forma ormai anche l’anfiteatro, per gli spettacoli all’aperto, ed è quasi ultimato il lago artificiale, dove saranno posizionate 60 colonnine per gestire i getti d’acqua; l'arena potrà ospitare 10 mila persone. In fase avanzata anche Cascina Triulza, struttura già esistente destinata a ospitare (è la prima volta all’interno di un’Expo) la società civile. Sul fronte della promozione, l’ultima novità è la campagna pubblicitaria sulle reti Rai, affidata alla voce di Antonio Albanese. A dicembre, invece, è previsto il reclutamento dei 140 giovani che svolgeranno 12 mesi di servizio civile


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per l’Esposizione a partire da febbraio. Ciascuno guadagnerà 433 euro al mese, grazie ad un investimento di 800.000 euro interamente sostenuto da Expo; 12.700 giovani hanno dato la loro disponibilità a prestare opera come volontari nei vari programmi previsti. Di questi ne verranno selezionati 910.000. Il Comune di Milano si sta attivando per il Fuori Expo, cartellone di eventi spalmati sui sei mesi dell’Esposizione. Le iniziative approvate dal Comitato di Coordinamento, in totale, daranno vita a circa 7mila appuntamenti quotidiani tra mostre, concerti, spettacoli, convegni scientifici, eventi sportivi, festival, rassegne, manifestazioni sui temi agroalimentari e sociali, iniziative ed eventi pubblici e privati. Tra questi, le mostre su Leonardo e Giotto a Palazzo Reale, i concerti di Piano

City, l’arrivo del Giro d’Italia 2015, la settimana del commercio equo, i concerti in piazza Duomo, le visite guidate tra i gioielli architettonici della città, la Fashion Week, la rassegna MiTo e gli appuntamenti di Cascine Aperte. Il primo maggio, data d’apertura della kermesse, il campanone e del Duomo di Milano suonerà a festa, al tramonto, per annunciare l’inaugurazione. Sul sito espositivo, previsto l’arrivo di capi di Stato e delegazioni diplomatiche da tutto il mondo. Un invito a partecipare è stato inviato anche a Papa Francesco (il sito ospita un padiglione della Santa Sede) e a Michelle Obama, che potrebbe inaugurare il padiglione americano, una delle grandi sorprese dell’intera kermesse. La sera precedente, all’avvio dell’Expo sarà dedicata una festa trasmessa in diretta televisiva dalla Rai. L’Expo, che vede coinvolti oltre 140 Paesi e istituzioni come la Nazioni Unite e l’Unione europea, si annuncia come una piattaforma internazionale per la discussione dei temi che riguardano il futuro del pianeta, la sostenibilità e le politiche, anche

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commerciali, che ruotano intorno al cibo. Costruire un fronte comune a livello europeo per arrivare a una nuova legislazione per la tutela dei marchi e la difesa del «Made in» è la strategia avviata da Regione Lombardia, protagonista di un World Expo Tour per sensibilizzare i Paesi europei e convincerli a firmare la proposta d’intervento legislativo che Milano presenterà in occasione della kermesse. Attirare investimenti stranieri, l’altra mission delle iniziative avviate in questi mesi, anche a livello governativo. Ma è sul turismo che si giocherà la partita più grande. Per l’Expo sono attesi tra i 20 e i 24 milioni di visitatori, com’è stato confermato anche da Explora, il tourist board di Expo, che ha appena toccato il suo primo anno di attività sui fronti della promozione e del raccordo dei territori chiamati a mettersi in vetrina. Le presenze sul sito espositivo saranno concentrate in particolare tra maggio (4,1 milioni di visite, pari al 17%) e giugno (4,7 mi-


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lioni, 19%) e poi a ottobre (4,4 milioni, 18%). La distribuzione mensile delle visite varierà però in base alla nazionalità dei turisti: se gli italiani si concentreranno a giugno (36% delle loro visite) e a settembre (26%) perché per loro sarà «una seconda vacanza», gli stranieri prediligeranno i mesi estivi (da giugno ad agosto), perché il passaggio da Rho-Pero sarà solo una tappa delle loro vacanze italiane. In totale, sono tra i sei e gli otto milioni i visitatori stranieri attesi. Circa 7 milioni i biglietti venduti finora ai tour operator di tutto il mondo; oltre 1 milione quelli venduti in Cina, uno dei Paesi dove l’Expo di Milano sembra possa

attirare il maggiore interesse. Le previsioni parlano di 13 milioni di visitatori italiani, due milioni dei quali studenti. Il Progetto scuola, messo a punto dalla società Expo in collaborazione con i ministeri dell’Istruzione e delle Politiche agricole, prevede percorsi differenziati per le gite scolastiche e offerte sul biglietto d’ingresso (costerà 10 euro, un terzo del prezzo medio) e sulle tariffe di viaggio in treno e pullman, grazie alle convenzioni firmate con le Ferrovie dello Stato e alcuni dei principali operatori del settore dei trasporti. In due settimane venduti ai ragazzi delle scuole 100.000 biglietti. (*Capo Redattore - Il Giorno)

NF TRA I PADIGLIONI: KIP

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l Padiglione KIP è pensato per essere un luogo d'incontro internazionale tra istituzioni, associazioni e settore privato sui temi dello sviluppo locale. Il padiglione evoca l’idea del Villaggio del Mondo. Il progetto vuole evocare le aree rurali, depositarie delle risorse naturali e storiche del territorio e delle culture produttive e alimentari locali. Il Programma del padiglione illustrerà in dettaglio le esposizioni, gli incontri e gli eventi che avranno luogo. Ogni giorno la sua scuola di cucina offrirà nuovi sapori e il suo teatro nuove emozioni. Due grandi temi collegano tutte le attività del Padiglione KIP. Uno è la relazione tra la produzione, il commercio e il consumo di alimenti e il più generale sviluppo del territorio. L’altro è l’innovazione, non solo quella che riguarda le tecnologie davvero utili, ma anche quella che crea nuove forme di organizzazione, nuovi metodi di lavoro, nuovi tipi d’imprese e di associazioni, nuove forme di finanziamento e così via. La KIP International School (Knowledge, Innovations, Policies and Territorial Practices for the United Nations Millennium Platform) è un’organizzazione indipendente senza scopo di lucro che collabora con Governi Nazionali, Regionali e Locali. Il Padiglione KIP è sostenuto da diversi attori pubblici e privati di molti paesi. Il suo principale partner è la Chinese In-

vestment Xineng Technology and Development Company Ltd di Pechino. Oltre agli spazi per esposizioni, incontri e riunioni, vi saranno un teatro da 250 posti e un'area allestita con una cucina a vista per attività di show cooking e scuola di cucina. Il Progetto è di RIMOND© in collaborazione con l'architetto Tony Marincola.

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IL DIRETTORE DELLA FEDERLUS

IL RUOLO DEL CREDITO COOPERATIVO

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conomista, 55 anni, Paolo Giuseppe Grignaschi è digere il proprio ruolo, attraverso un riconoscimento, anche rettore generale della Federazione delle banche di credi tipo regolamentare, di questo ruolo. In tal senso, negli dito cooperativo di Lazio, Umbria e Sardegna. Usa per esempio, si sta andando nella direzione di valorizzare Federlus, di cui è presidente Francesco Liberati, associa 26 dal punto di vista normativo l’apporto concreto e specifico banche con 330 sportelli al servizio del pubblico, oltre 2300 delle Community Banks. dipendenti e quasi 64mila soci. Al direttore Grignaschi Che cosa potrebbero perdere le comunità, in termini eco“Nuova Finanza” ha chiesto di inquadrare il ruolo delle bannomici e sociali, dalla paventata omogeneizzazione del che locali nell’attuale congiuntura. credito in Europa? Direttore, l’Unione bancaria è una minaccia per il CrePerderebbero un’opportunità di crescita e uno strumento per dito cooperativo? vivere da protagonisti i grandi processi relativi alla globalizCertamente no. La prospettiva continentale rappresenta zazione. La contrapposizione tra globale e locale costituisce un orizzonte ineludibile per le banche europee. La tutt’oggi una contraddizione non risolta. La finanza, in tendenza al consolidamento del mercato sicuraquesto caso locale, unitamente alla spinta tecnologica, mente avrà luogo. A livello macro-prudenziale, ne sarà prevedibilmente la chiave. ciò migliorerà l’efficacia della politica monetaria. Ogniqualvolta si redige la mappa delle banche A livello micro-prudenziale, avrà impatti posiitaliane commissariate, si pone l’accento su una tivi sul livello di efficienza del singolo intermemaggioranza composta di banche cooperative. diario. Essenziale è che a più elevati livelli di Senza sottolineare che rappresentano la straconcentrazione non corrispondano inferiori ligrande maggioranza delle banche italiane e che, velli di pluralismo nel sistema bancario europeo. viceversa, sarebbe più corretto evidenziare i voNoi come Credito cooperativo italiano vogliamo lumi intermediati dalle banche per valutare partecipare a questo consolidamento, ma la reale incidenza della tipologia come un network di piccole banche bancaria sulle difficoltà del crelocali e mutualistiche che ambidito. La ritiene una leggerezza o scono a fungere da cinghia di traesiste il rischio che alle spalle ci sia smissione tra le dinamiche qualcosa di peggio? finanziarie globali e i micro-conIl problema è evidentemente di chi testi territoriali, con l’obiettivo analizza queste mappe e non di chi di valorizzare tutte le eccellenze le redige. La Vigilanza ha, in questi che da essi tuttora provengono. anni, contribuito fortemente a renChe cosa possono concretadere il sistema maggiormente resimente chiedere alla Banca cenliente: gli esami condotti in sede Bce Paolo Giuseppe Grignaschi, DG Federlus trale europea le banche ne costituiscono riprova. D’altro cooperative o di comunità? canto, una lettura coerente di queste Le banche cooperative e mutualistiche inserite in un sistema evidenze non potrebbe che sottolineare come le banche locome il nostro, devono chiedere che, nell’ambito della cocali, con una buona governance e inserite in un sistema a rete struzione di un mercato bancario unico europeo non valga che crea valore per esse in via sussidiaria, costituiscono, il principio del “One size fits all”. Il banchiere di territorio anche ai difficili giorni d’oggi, un valido modello d’interinfatti, cooperatore, che valuta i progetti imprenditoriali lomediazione creditizia e uno straordinario esempio di coopecali e sostiene le comunità attraverso il servizio che eroga alla razione sociale. propria base sociale dev’essere messo nelle condizioni di svolA proposito di salute, può farci la radiografia della salute

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delle banche di credito cooperativo attive sui territori di competenza di Federlus? Le Bcc della Federazione di Lazio, Umbria, Sardegna, anche nel periodo più buio della crisi hanno mostrato un attaccamento al territorio, senza eguali nel resto del sistema bancario. Lo dicono i numeri: il totale dei finanziamenti erogati è passato dai 7 miliardi di euro circa del 2009 agli oltre 9,2 miliardi di fine 2013 (+32%); la raccolta presso la clientela è passata, nello stesso periodo, da circa 10 miliardi a oltre 12 miliardi (+21%); i soci nel 2009 erano poco più di 54mila, oggi sono quasi 64mila (+24%). Lavoriamo a livello interregionale per fare in modo che questo radicamento sia sostenibile nel tempo, supportando le banche nella gestione

del rischio, nello sviluppo delle competenze, nel mantenimento di una buona governance. Che cosa fa Federlus per le banche associate? Può anticipare a Nuova Finanza iniziative e/o progetti? Già oggi una buona parte di interi processi viene svolta qui in Federazione, attraverso rapporti di outsourcing con i quali diamo la possibilità alle banche di sgravarsi del peso organizzativo di attività che non attengono al sostegno delle comunità, al servizio del socio, alla cura dei clienti. Posso anticipare che stiamo intensificando questi sforzi, estendendo il novero di attività esternalizzabili: dal risk management service al supporto per i collegi sindacali; dalla contabilità e bilancio al digital marketing. Pietro Romano

LA SFIDA AGROALIMENTARE

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a Federlus e le sue Associate sono fattivamente impegnate anche nel sostegno alle attività produttive del territorio con particolare riferimento allo sviluppo del settore agroalimentare. In questo contesto si inserisce l’edizione 2014 di OLEIDE, la vetrina nazionale delle Banche di Credito Cooperativo che, per la loro mission peculiare di banche locali, promuoveranno le risorse produttive dell’area di riferimento con particolare attenzione all’olio extravergine di oliva, filo conduttore dell’evento. La manifestazione, in programma dal 14 al 16 novembre a Spello (Umbria), è promossa e organizzata dalla Bcc di Spello e Bettona, in collaborazione con Iccrea Holding, Federlus e Università dei Sapori di Perugia. L’obiettivo è quello di creare un “mercato” interno tra i soci delle Bcc Italiane e di offrire contestualmente un’occasione di confronto per raccogliere, sulla via della cooperazione, la sfida dello sviluppo agroalimentare e le opportunità concrete offerte dai PSR 2014-2020. L’evento prevede un “Villaggio” che ospiterà gli stand espositivi e i cooking show, una mostra mercato di prodotti tipici regio-

nali, l’Osteria diffusa tra i ristoranti di Spello, con menu degustazione che celebrano l’extravergine, varie iniziative collaterali e incontri tecnici e di approfondimento legati all’utilità della cultura di rete nelle imprese e alle risorse comunitarie di prossima disponibilità per l'agroalimentare e per il settore olivicolo in particolare. Come suggerisce il nome, Oleide vuole celebrare in forma quasi epica quello che, oggi più che mai, si conferma come uno dei principali protagonisti dell’alimentazione, della bellezza, della tradizione, della cultura e dell’economia dell’Italia, l’olio extra vergine di oliva, passando dal concetto di eroe e mito la cui fama dura da secoli… Lo fa partendo dall’Umbria, una delle tante regioni italiane ad alta vocazione olivicola, coinvolgendo in una rete virtuosa alcuni dei territori italiani che si distinguono per la coltivazione e la produzione di olio extravergine di oliva. Alla manifestazione prenderà parte anche la BCC dei Comuni Cilentani che sarà presente con un proprio stand e alcune aziende del territorio.

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IN CRESCITA COSTANTE

LA BCC ROMA È ANCHE TUSCIA

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CC di Roma, al termine di un’affollata assemblea, realtà più solide della sua categoria. Entrando più nel ha approvato lo scorso 9 novembre l’incorporazione dettaglio, dal 2008 ad oggi i crediti erogati da BCC Roma della Banca di Credito Cooperativo della Tuscia. Il sono aumentati di oltre il 70%, contro un dato generale del via libera è stato dato da più di 7mila soci, tra presenti e desistema bancario di meno del 15%. I dati di metà anno leghe. BCC Roma si conferma quindi realtà in crescita confermano la crescita degli impieghi rispetto a giugno costante nonostante la crisi economica generale non accenni 2013 dell’1,6%, contro una flessione a livello di sistema a scemare. Ne abbiamo parlato con il suo Presidente bancario del 2,2%. Anche gli altri valori economici e patriFrancesco Liberati. moniali della nostra Banca sono positivi, pur nella difficile Presidente, in un contesto economico gecongiuntura. La raccolta diretta su base annua cresce del nerale che continua purtroppo a permanere 5,4% e i crediti deteriorati sono sotto controllo, su valori, negativo, con l’ombra della recessione e in rapporto agli impieghi, nettamente più bassi rispetto alla della deflazione sempre presente, media del sistema bancario. E tutto questo rimanendo BCC Roma continua a crescere. fedeli alla matrice cooperativa di banca socialmente È da poco avvenuta, infatti, la responsabile. fusione per incorporazione della In questo quadro, quindi, l’incorporazione di BCC della Tuscia, che d’ora in BCC Tuscia rappresenta un’ulteriore opportunità poi continuerà la sua attività di sviluppo… sotto le vostre insegne… Riteniamo che sia un’operazione importante, Sì, cresciamo ancora nonostante che abbiamo compiuto anche il tanto atteso risveglio della in ragione di quello spirito di nostra economia, che ci è solidarietà e di cooperazione sembrato troppo spesso esche anima tutto il nostro Mosere alle porte, non arrivi vimento. Si tratta di una remai. Il 2014, dopo un inialtà, quella della consorella zio carico di aspettative, si della Tuscia che oggi entra a sta confermando come un far parte della nostra struttura, anno ancora deludente. che ha sul territorio cinque Sebbene all’orizzonte si vesportelli in provincia di Vidano schiarite, una ripresa terbo, e precisamente nei covera e propria stenta a mamuni di Farnese, Ischia di nifestarsi. Anche in un conCastro, Montalto di Castro, testo così incerto e fragile e Monte Romano e Tarquinia. al di là di questa operazione Voglio precisare che BCC di incorporazione, la nostra Tuscia non era in stato di Banca si avvia a chiudere l’anno crisi ma, nella consapevolezza con risultati positivi. La raccolta della crescente difficoltà tece gli impieghi continuano a crenica e gestionale che devono scere e il patrimonio aziendale a affrontare le piccole banche, fine anno raggiungerà i 750 milioni il suo Consiglio di amminidi euro, un valore più che adeguato strazione ha ritenuto opporche fa della nostra banca una delle tuno avviare la richiesta di un processo Francesco Liberati, Presidente BCC di Roma

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di aggregazione con la nostra Banca a tutela degli interessi della comunità locale, dei soci (che sono circa 2mila), dei clienti e dei dipendenti in organico. Il processo si è concretizzato lo scorso 9 novembre, a seguito di un’Assemblea straordinaria che abbiamo tenuto presso la Fiera di Roma. D’altronde alcuni anni fa avevamo già incorporato, su invito di Banca d’Italia lo sportello BCC Tuscia di Canino. Il fatto è che per fare banca oggi è necessaria una dimensione minima e una capacità amministrativa inconciliabile con le categorie del passato. Se questo vale per le piccole banche, vale però anche per la nostra Banca. Viviamo in mondo enormemente diverso da quello di appena dieci anni fa. Il comparto bancario, in questo mondo così cambiato, è sottoposto a una pressione normativa e regolamentare senza precedenti. È

indispensabile quindi attrezzarsi per rispondere al cambiamento competitivo e normativo, salvaguardando la tradizione e i valori che ci hanno fatto grandi. I risultati dimostrano che stiamo rispondendo a questa sfida con efficacia e lungimiranza. Quali sono le caratteristiche della BCC che avete incorporato? La BCC della Tuscia nacque nel luglio del 2000 dalla fusione della BCC di Farnese e della BCC di Monte Romano, realtà operanti ciascuna da oltre cento anni. Quella di Monte Romano fu costituita infatti nel 1909, quella di Farnese addirittura nel 1896. È un territorio, quindi, in cui il Credito Cooperativo è presente da moltissimo tempo. Ma è importante sottolineare come la zona di competenza che era della BCC della Tuscia offre una importante opportunità per la nostra banca: costituisce infatti il

L’affollata assemblea che ha votato l’incorporazione della Tuscia

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prolungamento dell’area del Viterbese e del litorale a nord della Capitale, dove BCC di Roma già opera con successo da diversi anni. La struttura portante dell’economia locale è costituita prevalentemente da artigiani e da piccole e medie imprese, categorie che BCC Roma ha da sempre messo al centro del proprio modo di fare banca. Alla nuova clientela con la quale, a seguito dell’aggregazione, cominciamo da oggi a collaborare potremo offrire quella ampia gamma di servizi e prestazioni che BCC Tuscia non poteva garantire a causa della sua contenuta dimensione. Aggiungo che con questa incorporazione la BCC di Roma raggiungerà la quota di 150 agenzie e toccherà a fine anno quota 30mila soci. Una realtà sempre più diffusa al servizio di soci e clienti di tutto il Lazio e della provincia dell’Aquila. (ReNF)


LA NUOVA SFIDA DEL GRUPPO AZIMUT

INNOVARE PER FAR CRESCERE LE IMPRESE

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zimut, il principale gruppo gestione di grandi patrimoni offrire italiano indipendente nel riservizi che aiutino i clienti con esigenze sparmio gestito quotato alla complesse”. Ma questo modo di apBorsa di Milano, rappresenta una procciare il mercato ha effetti positivi delle storie di maggior successo degli anche sul nostro core business. In ultimi anni in Italia. Lo dimostrano particolare lavoriamo sia lato imprese i numeri da poco presentati al mercato: i primi nove mesi del 2014 si sono chiusi con un utile netto di 124 milioni di euro, ricavi a 400 milioni e un patrimonio totale di 29 miliardi. Ambiziosi anche gli obiettivi del piano industriale quinquennale che prevedono di arrivare a 300 milioni di utile netto e a 50 miliardi di masse totale entro la fine del 2019. Tra le poche public company in Europa, totalmente autonoma da gruppi bancari, assicurativi e industriali, il Gruppo Azimut è presente in 13 Paesi: Italia, Lussemburgo, Irlanda, Svizzera, Monaco, Turchia, Hong Kong e Shanghai, Taiwan, Brasile, Singapore, Messico e da poco anche in Australia. Azimut nel tempo si è sempre contraddistinta per un approccio innovativo che, grazie anche alla sua indipendenza, le ha concesso di evolvere con flessibilità, proponendo soluzioni e strategie innovative in grado di adattarsi efficacemente ai mutamenti dello scenario. A gennaio 2014 ha lanciato “Libera Impresa”,un progetto strategico e di posizionamento del gruppo con il quale cerca concretamente di aiutare le imprese, perchè “oggi è L’evento che si è tenuto a Milano fondamentale per chi si occupa di

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sia lato imprenditori clienti del Gruppo”. Il progetto punta a fornire servizi alle aziende per agevolarne e stimolarne la ripresa, creando un canale diretto tra imprenditori e investitori. In un


momento in cui la situazione macroeconomica del Paese stenta a migliorare e le aziende italiane hanno difficoltà a trovare la via della crescita, l’iniziativa sta riscuotendo sempre più interesse. Secondo i dati di Unionca-

mere nei primi sei mesi del 2014 i fallimenti di imprese sono cresciuti del 22% rispetto al dato del 2013 in cui ne sono stati registrati oltre 10.000. Per questo motivo Azimut ha elaborato soluzioni alternative per sostenere

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giovani imprenditori e piccole medie imprese contribuendo anche al rilancio del Sistema Italia. Fermo restando il core business della gestione di patrimoni, il Gruppo ha ampliato il proprio modello attraverso una serie integrata di nuovi servizi ed iniziative con focus sugli imprenditori. Libera Impresa è una piattaforma di azione privata il cui scopo non è quello di sostituire le banche ma utilizzare formule alternative o addirittura complementari. La piattaforma è costituita da sei progetti che seguono lo sviluppo del ciclo di vita di un'impresa, da quando nasce un’idea fino alla sua quotazione in borsa. Il progetto parte con SiamoSoci, una piattaforma web ideata per supportare nuove start-up innovative mettendo in contatto giovani imprenditori e investitori. Ad oggi SiamoSoci ha realizzato circa 10 milioni di investimento su circa quaranta progetti e ha avviato il progetto Club Digitale, primo veicolo di investimento diversificato che deterrà un portafoglio di partecipazioni composto da circa 20 startup selezionate dai migliori acceleratori. Azimut inoltre ha investito insieme al Fondo Italiano in P101, un operatore di Venture Capital specializzato negli investimenti early-stage in start up digitali che ha realizzato già diversi investimenti tra cui ad esempio musiXmatch, famosa startup che ha sviluppato un’applicazione mobile per mostrare i testi di una canzone mentre la si ascolta


sull’iPhone. È stata poi lanciata una nuova società all’interno del Gruppo, Azimut Global Counseling, che opera nel mondo dell'Investment Banking agendo anche come broker a fianco dei clienti aiutandoli nella scelta degli advisor senza alcun conflitto d’interesse. Azimut inoltre si è avvicinato allo strumento SPAC, seguendone una sua evoluzione (IPO Challenger), iniziativa che vuole spronare la crescita di ottime imprese ed il loro avvicinamento ai listi borsistici offrendo nel contempo opportunità di investimento per i clienti. È stata infine sviluppata una partnership con Borsa Italiana all’interno del progetto Elite per aiutare gli imprenditori a costruire la propria storia di successo. L'ultimo progetto riguarda il lancio, in partnership con Antares Private Equity, di un fondo riservato ad operatori qualificati che investirà in minibond di piccole e medie aziende italiane. Per promuovere, presentare, valorizzare il progetto, Azimut ha organizzato una serie di incontri, unici nel proprio ge-

il processo realizzativo e gli attori che trasformano le idee in imprese anche attraverso alcune case history. Gli eventi sono proseguiti con interventi dedicati alle operazioni straordinarie nella vita dell’azienda durante il quale è stato spiegato come supportare in modo indipendente le aziende nelle proprie scelte strategiche, aiutare gli imprenditori nelle operazioni straordinarie e nella valorizzazione delle loro imprese, attraverso pareri professionali diretti e indipendenti. Ultimo tema approfondito riguarda nuove alternative di finanziamento per le imprese con l’obiettivo di indicare la possibilità di superare la tradizione del sistema banco-centrico nei confronti delle PMI attraverso la creazione di fonti alternative di finanziamento (minibond, ecc.). Gli eventi si sono chiusi con degli spunti di finanza comportamentale volti ad aiutare l’imprenditore a decidere in condizioni di incertezza. In questo modo, oltre cinquemila imprenditori hanno partecipato al progetto in dodici città ( Torino, Cuneo, Biella, Alessandria, Verona, Genova, Padova, Bergamo, Brescia, Catania, Firenze e Cagliari). Questo percorso intrapreso viene considerato dal Gruppo come una sfida nel quale impegnarsi nel prossimo futuro, attraverso una nuova serie di tappe sul territorio nel primo semestre del 2015 e l’evoluzione di altri progetti.

nere, su tutto il territorio nazionale i quali hanno avuto l’obiettivo di coinvolgere le realtà locali per creare nuove sinergie d’azione tra aziende, imprenditori e investitori. Gli eventi si sono aperti con una tavola rotonda sul tema “Le vie della (possibile) ripresa”, che ha visto confrontarsi i rappresentanti di istituzioni e associazioni locali e alcuni tra i più importanti imprenditori. È seguito un focus sul mondo delle start up dove sono stati approfonditi gli aspetti che caratterizzano l’ecosistema delle startup italiane,

Pietro Giuliani, Presidente Azimut

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POLITICA ECONOMICA

LE “GUERRE” DI RENZI Aldo Forbice

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on sarà facile per Matteo Renzi spuntarla con la crescita. Da settimane è in “guerra” con i sindacati (la Cgil di Susanna Camusso, in modo particolare), con parte degli imprenditori, con le Regioni, i Comuni e le Province per i drastici tagli che vengono loro imposti dalla legge sulla stabilità, con Jyrki Tapani Katainen (supervisore sull’economia Ue) e negli ultimi tempi, prima con Barroso e poi col nuovo presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker (definito il capo di “una banda di burocrati”). A sostenerlo è rimasto il suo partito (ma solo la maggioranza) e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ci limitiamo però qui ad affrontare solo le questioni più strettamente economiche, legate alla crescita, alla disoccupazione, al calo dei consumi, all’aumento del costo della vita, all’ulteriore incremento della tassazione (già altissima). Il patto di stabilità è la prima organica manovra che RenziPadoan hanno messo a punto per riavviare la crescita. Ma la Commissione europea ha imposto di ridurre sensibilmente la “spinta innovativa” della legge di bilancio facendo ridimensionare il disavanzo per il 2015 da 11,3 a 5,9 miliardi. E non è finita qui perché la Commissione ha chiesto un’altra correzione, di almeno 3 miliardi, con la motivazione che l’indebitamento strutturale migliorerebbe solo dello 0,1 per cento, rispetto a quest’anno, invece del previsto 0,3. Tutto questo porta allo svuotamento in parte del contenuto della nostra manovra espansiva, che rischia di tradursi in un ulteriore peggioramento della nostra economia. Intanto ricordiamo che la manovra non è più di 36 miliardi, come inizialmente indicato, ma di circa 32 miliardi, che è pur sempre una cifra considerevole. Se si analizzano i diversi capitoli si scopre facilmente che la decontri-

buzione delle assunzioni a tempo indeterminato si riduce, nel 2015, a meno di due miliardi (ipotizzando un milione di neo assunti). In realtà, si tratta di sole trasformazioni di contratti a termine (precari) e appare molto difficile ogni effetto aggiuntivo. Queste risorse,secondo gli imprenditori e non pochi economisti, non basteranno. Ci sono poi gli effetti fiscali della quota di tfr in busta paga. Il contributo delle entrate alla manovra è di circa 10 miliardi: 2,5 miliardi verrebbero proprio dal prelievo fiscale del tfr in busta paga. Si ipotizza che siano soprattutto i lavoratori delle grandi imprese a scegliere questa opzione (per cui la spesa verrebbe sostenuta dall’Inps). Ma si può effettivamente ritenere che un’alta percentuale di lavoratori sceglierà questa soluzione, rinunciando a lasciare il “gruzzolo” in deposito sino al momento della pensione? Secondo sondaggi (di fonte sindacale) solo il 20-25% dei dipendenti sceglierebbe la soluzione del tfr in busta paga. Ma la necessità, cioè la busta paga sempre più assottigliata (nonostante le 80 euro elargite ad ampi settori del lavoro) potrebbe convincere i lavoratori e gli impiegati a ricorrere a una “aggiunta” di retribuzione. Se però i sindacati dovessero avere ragione,con i loro sondaggi, le entrate fiscali da tfr si assottiglierebbero molto. La crisi però continua a “mordere”. Ricordiamo che la Commissione Ue prevede per la zona euro una crescita dello 0,8% per l’anno in corso e di appena tre decimi di punto in più per il 2015. La ripresa infatti rimane debole, anzi debolissima, anche per i rischi geopolitici all’orizzonte, la fragilità dei mercati e i tempi lunghi delle riforme strutturali. Quei numeri non a caso peggiorano per l’Italia: 0,4% quest’anno e +0,6% per il 2015. La Commissione europea fa fatica a individuare una politica che rappresenti il giusto mix tra risanamento finanziario e e spinta alla crescita. Anche il presidente della Bce, Mario Draghi,

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incontra difficoltà e rischia di incontrare ostacoli anche all’interno della sua banca. Intanto però ha fatto approvare all’unanimità (e questo smentisce le tante voci sui dissidi interni) di espandere il bilancio dell’Eurotower fino ai livelli del 2012, cioè di 1000 miliardi, annunciando che ben presto la Bce procederà all’acquisto massiccio di titoli privati e soprattutto pubblici per stimolare l’economia. Basterà tutto questo? Ovviamente no,ma è bene che ognuno faccia bene la propria parte, anche perché sappiamo tutti che la crisi continua a “mordere” senza pause. Ricordiamo infatti che i posti di lavoro nell’industria sono scesi, in dieci anni, di oltre il 15 per cento, la quota di prodotti ad alto contenuto di conoscenza,dal 2000, si è ridotta del 30 %. C’è da aggiungere che, in cinque anni di crisi, le regioni meridionali hanno perso 583 mila posti di lavoro, il 60 % della cifra dell’intero paese; la quota di prodotti ad alto contenuto di conoscenza si è ridotta di oltre il 30 % dal 2000; il divario tecnologico con i paesi emergenti è crollato da 11 a 7 anni, dal 2004 ad

oggi; lo stock di capitale si è assottigliato, dagli anni ’90, del 30 %. Ed è noto che con risorse finanziarie più povere si fanno meno investimenti e quindi si genera meno occupazione e produttività e ovviamente ne risente anche la struttura finanziaria. Appaiono poi molto scarsi gli incentivi alle imprese (oltre a quelle della decontribuzione solo per un anno). Ad esempio,la legge di stabilità prevede uno sgravio fiscale (“patent box”) nella misura del 50% dei redditi derivanti dall’utilizzo di opere d’ingegno,brevetti o marchi industriali: sono state stanziate per questa voce appena 80 milioni, che possono arrivare a 140 negli anni successivi. E’ una sorta di sussidio alle imprese, ma appare generico e soprattutto discrezionale. In pratica, i sussidi,che dovevano essere eliminati vengono incrementati. Infatti, su circa 10 miliardi “analizzati”, ne sono stati cancellati appena 10 milioni. Ma a proposito di tagli prendiamo atto che gli enti locali e le regioni subiranno delle decurtazioni,anche se forse non totalmente nella misura fissata: 1,2 miliardi i Comuni (“la legge di stabilità però ha detto il presidente dell’Anci, Piero

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Fassino - peserà sui Comuni per 3,7 miliardi”), 1 miliardo le province (ma non dovevano essere abolite?), 4 miliardi per le Regioni. Tutte queste istituzioni però sono sul piede di guerra: non accettano alcun taglio e minacciano di ricorrere alla tassazione locale e di ridurre i servizi essenziali per i cittadini,come quelli sanitari. E gli altri tagli, quelli cioè individuati dalla Commissione Cottarelli? Si sbandiera una cifra gigantesca: ben 16 miliardi che verrebbero recuperati dalla spesa pubblica improduttiva. Ma lo scetticismo è, sulla base dell’esperienza passata, molto diffuso. Infatti, del “piano Cottarelli”, che avrebbe consentito un risparmio di 34 miliardi in tre anni, non se ne parla più, abbandonato in chissà quale cassetto. La partita è dunque complessa: si giocherà ora nelle aule parlamentari e si intreccerà sicuramente con il dibattito sul Job Act (su cui la Cgil non mollerà ed ha già proclamato uno sciopero generale, sostenuta anche dalla minoranza del Pd), sulla riforma della legge elettorale e sul nuovo Senato (che, com’è noto, sarà ridimensionato e non elettivo).


EUROZONA: IL BUCO NERO

DOVE VA QUESTA EUROPA? Alberto Mazzuca

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a dove va questa Europa? Conciata com’è, non va da nessuna parte. Sembra anzi uno di quei pugili suonati che sta sul ring fermo sulle gambe con l’unico obiettivo di prenderne il meno possibile mentre l’avversario gli trotterella attorno e lo rimbecillisce di pugni. Oltre a tutto è un pugile che si batte con un braccio solo, l’altro lo tiene legato dietro la schiena. Quindi ancora più botte. Non è un comportamento misterioso: la Bce di Mario Draghi non può fare le stesse cose che fanno le altre banche centrali per motivi istituzionali. Il suo mandato è di assicurare solo la stabilità dei prezzi mentre la Fed americana e le altre banche centrali abbinano la lotta all’inflazione con il perseguimento della piena occupazione. Il risultato è evidente: l’eurozona è un buco nero nella crescita globale. Per oltre 5 anni la Fed americana ha stampato moneta per una cifra colossale, ben 4500 miliardi di dollari, finita non solo alle banche (come invece è successo in Europa) ma anche all’economia reale. E oggi il Pil Usa cresce del 3,5%, l’inflazione è ai livelli precrisi (5,9%), la disoccupazione è sotto il 6%. Londra, che è fuori dall’euro, ha seguito la stessa strada ed è l’unica economia europea a crescere in maniera robusta, veleggia attorno al 3%. Tokyo, che già da tempo porta avanti una strategia di stimolo, ha ora decuplicato gli acquisti di bond, da 70 a 720 miliardi di dollari. Dall’altra parte la Bce tentenna e Bruxelles è quasi ingessata, parla di spendere 300 miliardi in tre anni, riciclati dal bilancio corrente. Una somma ridicola che ha fatto dire a Romano Prodi, ex commissario Ue: “All’Europa della fiducia è subentrata l’Europa della paura”. E c’è da avere paura. Dall’istituto di statistica

tedesco emergono dati allarmanti: la deflazione è arrivata alla fine del 2014 anche in una fetta della Germania. Nella regione del Brandeburgo il tasso di inflazione è stato ad ottobre del -0,3% (in precedenza era invece 0%), in Assia – 0,2% (0,1%), in Sassonia -0,2% (0,1%), in Baviera -0,3% (0,1%). Che ci sia un rischio lo conferma del resto Andrea Ernia, l’italiano presidente dell’Autorità bancaria europea. Parlando a Berlino ha detto che le banche europee non dovrebbero sentirsi troppo al sicuro anche se hanno in gran parte superato gli stress test posti dalla Bce. Possibile: la Commerzbank tedesca ha avuto un occhio di riguardo avendo avviato una ristrutturazione verso la fine del 2013 e la Germania è riuscita a tenere fuori dagli esami Bce le banche regionali sulle quali ci sono molti dubbi. Inoltre le strutture patrimoniali delle banche che fanno il loro mestiere (quello di concedere prestiti) sono state penalizzate rispetto alle banche che invece fanno più finanza. E altre perplessità sorgono vedendo chi sono stati i beneficiari del terzo programma di stimolo chiuso alla fine Mario Draghi, Presidente BCE di ottobre dalla Fed: le piccole banche Usa non hanno ricevuto niente, una belle fetta è andata alle grosse banche come JP Morgan, molto di più hanno ottenuto le banche straniere, in gran parte europee. Senza quegli aiuti cosa sarebbe stato degli istituti di credito europei? Quale Europa, quindi? Non questa, burocratica, tecnocratica, non solo succube del grande potere bancario al punto da avere rovesciato sul modello di stato sociale il peso della responsabilità del debito sovrano aumentato a dismisura in seguito ai colossali salvataggi bancari, ma anche incapace di affrontare temi veri come la eccessiva finanziarizzazione del-

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l’economia, la scandalosa concentrazione della ricchezza, la furbesca corsa alle grandi dimensioni bancarie (“to big to fail”, troppo grande per fallire). Un’Europa invece con una banca centrale in grado di operare con gli stessi strumenti delle altre banche centrali, con il paese-guida (la Germania) capace di assumere sino in fondo il ruolo di leader, con meno brontosauri che pensano solo a conservare il proprio potere, con una Commissione europea che voglia scrollarsi di dosso il livello modesto raggiunto sotto la guida Barroso (ma c’è da dubitarne se le promesse di investimento di Junker si limitano solo a quei 300 miliardi) e che faccia ricorso a massicce dosi di buon senso. Già, buon senso. Perché è quello che occorre allorché si tratta di effettuare una correzione di marcia e riconoscere che certe regole scritte 15 anni fa, quando l’economia tirava, non possono essere valide anche quando l’economia è ferma. È come guidare l’auto contro un muro solo perché non c’è un car-

tello che indichi di svoltare. Con il rischio di farci molto male. Tanto più che la combinazione di debiti record e di rallentamento della crescita è segnale inquietante di una nuova crisi proprio in Europa. Romano Prodi ha di recente ricordato quanto aveva già detto anni fa: “Il patto di stabilità è stupido se non accompagnato da adeguate misure economiche”. Non facciamoci distrarre dal piè veloce Renzi che ormai si corregge in corsa (cosa difficilissima, peraltro) dando una sterzata netta al governo verso l’abbraccio con gli imprenditori. Guardiamo invece la Germania, dove sono state realizzate anni fa quelle riforme sul lavoro che ora Bruxelles chiede con forza all’Italia. Le riforme volute dal cancelliere Schröder hanno consentito la ripresa della Germania a partire dal 2003. Ma a quale prezzo? Ebbene, due libri - entrambi scritti da tedeschi ed entrambi con la prefazione di Hans-Werner Sinn, presidente dell’Ifo, l’istituto tedesco per la ricerca economica - sfatano il luogo comune che la Germania navighi nel benessere. Il primo è di Patricia Szarvas (“Ricca Germania, poveri tedeschi”), il secondo di Marcel Fratz-

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scher (“L’illusione tedesca”). Ne emerge lo spietato ritratto di un paese ricco di lati oscuri tanto che ora la nuova parola d’ordine è quella di “riformare le riforme” e persino Schröder è critico su alcuni “effetti collaterali” prodotti dalle sue riforme. La Germania è un paese che perde colpi nella crescita, nella produttività, negli investimenti e in cui due cittadini su tre vantano un reddito reale inferiore rispetto a quello del 2000. Sono aumentati i posti di lavoro parttime, è cresciuta l’incertezza, sono ampliate le disparità. E nonostante abbia avuto in questi anni una bilancia dei pagamenti in enorme attivo (circa 200 miliardi all’anno), non ci sono stati maggiori investimenti per alimentare il mercato interno e i servizi. Gli investimenti non sono decollati nonostante le riserve delle aziende tedesche siano stimate in 500 miliardi di euro. Anzi, sono diminuiti rispetto al giro d’affari (21% nel 2000, 17% nel 2013). E perché? Perché le aziende tedesche non investono in Germania ma all’estero, dagli Usa


alla Cina. Commenta uno dei due autori tedeschi: “Vendiamo auto di alta qualità e macchinari in tutto il mondo ma quando l’intonaco comincia a scrostarsi dai muri di una scuola sono i genitori a dover raccogliere il denaro per pagare l’imbianchino”. Euro o non euro, la Germania sembra una vecchia locomotiva europea in fase declinante. E con una strategia votata al rigore e all’austerity, è difficile che possa mantenere la leadership esercitata in tutti questi anni. Tanto più che il concetto stesso di Unione europea ha bisogno di un aggiustamento. Sono in crisi numerosi paesi europei, in settembre ben otto erano in deflazione (Bulgaria, Grecia, Ungheria, Spagna, Polonia, Italia, Slovenia, Slovacchia). La politica monetaria mondiale non è fatta da Francoforte ma dalla Fed americana che quindi può deprimere o promuovere l’euro. La politica energetica europea è senza ambizioni. Il prezzo delle commodities è deciso dalla politica monetaria sul dollaro, quindi penalizza l’eurozona. Il sistema bancario ha sempre il braccino corto nell’erogare il credito alle imprese. La disoccupazione è elevata, quasi il doppio di quella americana. L’unica cosa che cresce è il numero dei miliardari, rispetto al 2000 sono addirittura triplicati in tutto il mondo: 128 mila Paperoni con un patrimonio netto sopra i 50 milioni di dollari. Il 49% si trova negli Stati Uniti, il 24% in Europa e più del 20% nell’Asia del Pacifico, incluse Cina e India. Ce ne sono di più persino in Italia: 3.322 individui pari al 2,6%. Dal che si arguisce che non è la Cgil a dividere in due questo paese come sostiene Renzi dal momento che questo è un paese diviso tra ricchi e poveri. Lo era in passato, lo è ancora più oggi. Ritorniamo allora alla domanda iniziale: quale Europa? Assodato che il modello attuale non va più bene di fronte al mezzo disastro in cui si dibatte l’Europa, non è pertanto ac-

cettabile il mantenimento da parte di Junker dello status quo. E quindi di una confederazione ibrida in mano a tecnocrati e burocrati fuori da qualsiasi controllo politico e interessati a conservare soprattutto il loro potere. Oltre a tutto mantenere questo status quo è impensabile di fronte al crescente numero delle forze centrifughe che chiedono un po’ dovunque un’uscita dalla moneta unica. Anche in Italia: di recente Ernesto Preatoni, l’imprenditore che ha inventato Sharm el Sheikh e si definisce “economista pragmatico”, ha parlato in un libro-intervista – “La vita oltre l’euro” - di un’Europa afflitta dall’“euromorbo” invitando i governi ad organizzarsi per uscire ordinatamente dall’euro. Bruxelles deve quindi fare delle scelte che non si limitino solo alla promessa ridicola dei 300 miliardi di investimenti in tre anni. Ma quali scelte? Una prima scelta è quella di arrivare ad un compiuto confederalismo che porti a mettere in comune politica economica, politica fiscale, politica per l’educazione, politica per la ricerca e lo sviluppo. Difficile soluzione, quasi impossibile: di fronte all’egemonia tedesca e americana in Europa, nessun governo è disposto a farsene promotore. Rimane quindi la seconda scelta: dividere l’eurozona in duetre zone monetarie che possano trovare tra loro una forma di coordinamento. Uno scenario a cui si sta orientando la signora Merkel. Uno scenario che potrebbe convenire un po’ a tutti, dagli Usa alla Russia e alla Cina. Uno scenario in cui l’Italia non si troverebbe in serie A ma quanto meno in serie B con la prospettiva di una svalutazione della sua nuova moneta del 20-30% e, a causa dei maggiori costi delle importazioni, di una inflazione nell’ordine del 10%. Questo è il rischio. Un rischio così alto e penalizzante che viene tranquillamente evitato nei tanti, troppi dibattiti di casa nostra. Parliamo tanto di fesserie e non parliamo del nostro futuro…

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SVILUPPO SOSTENIBILE

LA RICETTA DELL’ONU Ornella Cilona

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eno proclami e più concretezza. E’ questo il messaggio lanciato dai nuovi obiettivi per lo sviluppo sostenibile cui stanno lavorando le Nazioni Unite. I “Sustainable development goals” (Sdg) sono una bussola che orienterà l’azione di imprese e governi contro le disuguaglianze sociali, la disoccupazione, l’inquinamento e il riscaldamento globale. E sono il frutto di un accordo raggiunto nel corso della Conferenza dell’Onu sullo sviluppo sostenibile, svoltasi a Rio de Janeiro nel giugno 2012. Gli Sdg sono ancora in fase di redazione: a occuparsene è un gruppo ad hoc dell’Onu, composto di trenta Stati, al quale partecipano a rotazione 70 Paesi. Una prima versione con 17 obiettivi, che integrano gli aspetti economici, sociali e ambientali in una prospettiva più ampia di sviluppo sostenibile, è uscita quest’estate. Il primo obiettivo punta alla fine della povertà in tutte le sue forme e il secondo all’eliminazione della fame. I tre successivi chiedono la promozione del benessere a tutte le età, un’educazione di qualità, sostenuta da una formazione lungo tutto l’arco della vita e l’uguaglianza di genere. Gli obiettivi 6 e 7 mirano all’accesso e alla gestione sostenibili dell’acqua e delle fonti energetiche; l’8 alla promozione di una crescita economica sostenibile e a un lavoro decente per ognuno. L’obiettivo 9 punta a promuovere l’industrializzazione sostenibile e inclusiva e il 10 la riduzione delle disuguaglianze all’interno degli

e fra gli Stati. L’obiettivo 11 domanda che, in particolare, le aree urbane diventino sostenibili, sicure e inclusive come il 12 che anche i consumi siano attenti alla difesa dell’ambiente e dei diritti sociali. L’obiettivo 13 è focalizzato sulle azioni urgenti per contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti negativi. Gli obiettivi 14 e 15 riguardano l’utilizzo sostenibile dell’ecosistema marino e di quello terrestre, combattendo in quest’ultimo caso la desertificazione. Gli ultimi due obiettivi chiedono sia una società inclusiva e pacifica sia un rinnovato partenariato globale per lo sviluppo sostenibile. A questi 17 obiettivi corrispondono 169 target: 40 intendono favorirne l’attuazione. E’ molto probabile, però, che i 17 obiettivi e i target relativi siano modificati dalla discussione in corso all’Onu. La loro definitiva approvazione è prevista per settembre 2015 e la loro entrata in vigore da gennaio 2016. Non è la prima volta che le Nazioni Unite preparano una lista di obiettivi da raggiungere per cambiare in meglio il pianeta. Nel Duemila, infatti, l’allora segretario generale Kofi Annan lanciò gli otto ambiziosi “obiettivi di sviluppo del millennio” (Millennium development goals, Mdg), che miravano al dimezzamento delle persone malnutrite, all’educazione primaria per tutti, alla riduzione della mortalità infantile, alla sostenibilità ambientale

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e alla lotta contro malattie come l’Aids e la malaria. Sono due gli aspetti che differenziano Mdg e Sdg. In primo luogo, agli Stati e al sistema produttivo non è più chiesto un generico impegno, ma l’utilizzo di precisi indicatori socio economici per dimostrare che stanno facendo quanto è nelle loro possibilità. In secondo luogo, gli Sdg enfatizzano il concetto di sviluppo sostenibile, mentre i Mdg richiamavanoi, più genericamente, obiettivi di sviluppo del millennio. I Mdg sono presto naufragati sugli scogli dell’inerzia degli Stati e della crisi economica mondiale. Per questo motivo, il gruppo ad hoc delle Nazioni Unite che ha messo a punto gli Sdg insiste molto nel suo Rapporto sulla necessità di un monitoraggio costante sull’effettiva attuazione degli obiettivi, ricorrendo agli indicatori socio economici. E’, inoltre, previsto che l’Onu prepari ogni anno un Rapporto sull’attuazione degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile, avvalendosi dei dati raccolti presso gli Stati e le organizzazioni internazionali. “Questo approccio”, si legge nel Rapporto, “è ambizioso e impegnativo per tutti gli Stati e le organizzazioni partecipanti, ma l’intento è quello di trasformare gli indicatori sugli Sdg in strumenti utili per una gestione nazionale e locale in tempo reale”. Secondo Adrian Henriques, do-

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cente all’università britannica del Middlesex, “gli obiettivi di sviluppo del millennio non sono stati soddisfacenti. I nuovi, legati alla sostenibilità della crescita, sono invece importanti, perché serviranno alle aziende per migliorare le proprie strategie di responsabilità sociale”. Non tutti i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile trovano, però, un consenso universale. La Cina, a esempio, ritiene che bisogna dare più spazio all’obiettivo di eliminare le disuguaglianze sociali, mentre alcune economie emergenti non sono d’accordo sull’opportunità di inserire l’obiettivo della lotta al cambiamento climatico. Più in generale, molti Paesi in via di sviluppo criticano gli Sdg perché non riflettono le differenti capacità, i diversi stadi di crescita economica e sociale e le condizioni degli Stati. Altre critiche provengono dalle organizzazioni internazionali: Roberto Azevedo, direttore generale dell’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc), ritiene che fra gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile occorra includere anche il potenziamento degli scambi commerciali a livello globale. “Bisogna”, scrive Azevedo sul sito Post2015.org, “utilizzare appieno il sistema commerciale multilaterale (..) Il commercio aiuta a permettere la crescita. E senza la crescita la riduzione della povertà rimarrà un obiettivo inafferrabile”. Nella foto: Il Palazzo dell’ONU a New York


“LE CURE” A ROCCASALIMBENI

MPS: UNA STORIA RECENTE Tommaso Strambi

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he il periodo fosse un po’ complicato i manager di Mps lo avevano chiaro già da tempo. Non per nulla, nella primavera scorsa, sono partiti proprio da lì da quel ‘periodo un po’ complicato’ per lanciare la campagna pubblicitaria legata all’aumento di capitale monstre da 5 miliardi. Del resto, nei 542 anni precedenti, il Monte dei Paschi è sempre cresciuto. Nonostante tutto. Nonostante la peste, le epidemie, le guerre, la caduta della Repubblica di Siena e quella degli Stati. Ma lui, il ‘Babbo’ dei senesi, è sempre stato lì. Sicuro e solido, al servizio di famiglie e imprese. Almeno sino alla prima metà degli anni Duemila, quando non è stato aggredito dal virus della finanza creativa e della ‘megalomania’ di una governance troppo familistica. Più interessata al consolidamento delle posizioni personali che non alla crescita reale della banca e del territorio. Così, quando nel 2007 fu compiuto il passo più lungo della gamba (l’acquisizione di Antonveneta), hanno cominciato a manifestarsi i primi scricchiolii. Soprattutto nei bilanci. Ma nell’euforia di una ‘bolla di sapone’ chi la guidava pensò di nascondere la polvere sotto i tappeti con il ricorso

Fabrizio Viola, DG

all’estetica dei bilanci. Proprio così, come riferì l’ex direttore generale Antonio Vigni a magistrati che lo interrogavano sul perché di certe scelte. E lui, con l’aria bonaria di un curato di campagna, spiegò che il presidente Giuseppe Mussari lo aveva invitato a ricorrere ‘all’estetica dei bilanci’. Ma il botulino utilizzato ha portato guai ancora peggiori di quelli che si volevano nascondere con qualche iniezione sottopelle. E, come una protesi in silicone difettosa, è ben presto esplosa afflosciando tutte le speranze di celare tutte le rughe e i segni del tempo. Ecco perché la cura a cui sono dovuti ricorrere i nuovi manager, chiamati dal presidente Alessandro Profumo e dall’amministratore delegato Fabrizio Viola, è massiccia e richiede tempo. Perché il ‘periodo un po’ complicato’ non si supera dalla sera alla mattina. Ci vuole sangue freddo e tenacia. Soprattutto se fuori, sulla scena internazionale, si vive una delle crisi più lunghe che gli economisti e gli storici ricordino. Ed è proprio adesso che gli effetti della cura intrapresa cominciano a produrre gli effetti benefici, sebbene il risultato dei recenti stress test della Bce lascino pensare il contrario. E’ il paradosso del Monte. Venticinquesima banca nel rating dei severi esami europei eppure abbondantemente al di sopra del livello di minimo richiesto negli asset quality review. Questi ultimi, infatti, hanno evidenziato che Mps ha un Cet1 del 9,5%, ben al di sopra della soglia minima prevista del 8%. ‘Così come, non

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va dimenticato – sottolineano Profumo e Viola – che gli scenari degli stress test (le previsioni sull’andamento del Pil, ndr), sono stati valutati alle condizioni che si avevano alla fine di dicembre 2013 e, dunque, senza tener conto del piano di ristrutturazione (peraltro concordato con la stessa Ue, ndr) avviato proprio alla fine del 2013 e con scadenza nel 2016’. Un paradosso, appunto. Eppure, nello stesso tempo, un’ulteriore occasione per compiere una completa pulizia delle scorie lasciate dal passato e presentarsi sul mercato come una banca completamente rinnovata e pronta ad affrontare le sfide del Terzo Millennio. Ed è quello che accadrà al Monte dei Paschi una volta portato a termine il capital plan approvato dal board di Rocca Salimbeni all’indomani della bocciatura europea. Un’operazione d’urto - una straordinaria ricapitalizzazione (da 2,5 miliardi di euro), enorme se si considera quella immediatamente precedente da 5 miliardi - ‘a cui si procede non per l'attuale inadeguatezza del capitale e, più in generale, del patrimonio - riconoscono gli osservatori -, bensì per quel che potrebbe accadere se uno sce-

Alessandro Profumo, Presidente


nario da cataclisma si dovesse verificare, disegnato per di più avendo in mente un tipo di istituti di credito che non coincide con quello delle banche italiane e che, nei test, avvantaggia gli istituti di altri Paesi, a cominciare da quelli tedeschi’. Nel dettaglio il capital plan varato dal Cda di Rocca Salimbeni prevede, come prima misura urgente, un aumento di capitale da 2,5 miliardi superiore rispetto al fabbisogno evidenziato agli esami europei, in cui è ricompreso un buffer di liquidità cuscinetto per l'operatività dell'istituto. L'aumento di capitale, che sarà garantito da un pool di banche d'affari internazionali - con Ubs in qualità di global coordinator, assieme a Citigroup, Goldman Sachs e Mediobanca (ci saranno anche Barclays, Bank of America - Merrill Lynch, Société Generale, Commerzbank e Deutsche Bank. Oltre al ricorso al mercato, per la ricerca di capitali freschi, banca Mps ricorrerà alla cessione di partecipazioni non core e di altri asset per 220 milioni per colmare il fabbisogno denunciato dagli stress test. L'aumento di capitale, la cui dimensione finale dipenderà, comunque, dall'approvazione del capital plan da parte della Bce, consentirà di rimborsare integralmente e in anticipo i residui Monti bond per complessivi 1,07 miliardi (anche l'ultima tranche da 321 milioni di euro prevista per il 2017). Infine un'ulteriore azione prevista dal Cda è quella di ottenere uno sconto (una mitigazione del deficit) per un ammontare pari alla differenza positiva tra gli utili operativi stimati per l’anno 2014 (il cosiddetto “expected pre-provision profit”) e i medesimi valori stimati nello scenario

avverso, che hanno contribuito negativamente alla determinazione del suddetto deficit patrimoniale, stimata dalla Banca in circa euro 390 milioni. Ma l'aumento di capitale non sarà l'unica misura che l'istituto senese avvierà nei prossimi mesi. Secondo quando previsto nell’incarico assegnato agli advisor Ubs e Citigroup, il ritorno sul mercato è un passaggio necessario a traghettare la banca senese verso una aggregazione - tra i nomi più ricorrenti resta quello della più piccola rivale Ubi Banca - dopo gli ultimi disastrosi anni in cui ha perso oltre 9 miliardi di euro e ha visto la condanna dei suoi ex vertici accusati di aver occultato le perdite attraverso complesse operazioni in derivati. Ipotesi, quella di una fusione, confermata anche dal presidente Profumo ("è una delle opzioni in esame"). Ubi dal canto suo ha detto di non aver avuto alcun tipo di contatto con il Monte su una possibile integrazione ma i banchieri d'affari dicono che una operazione con una banca regionale come Ubi sarebbe politicamente più digeribile perché eviterebbe i pesanti esuberi che comporterebbe invece una fusione con banche di maggiori dimensioni, come Intesa o Unicredit (benché entrambe si siano dichiarate non disponibili) per restare sempre in Italia, oppure con Bpn Paribas o Bando Santander (le quali, a loro volta, hanno dichiarato di non avere allo studio nessun dossier Mps). Quella che ne uscirà, appunto, sarà una banca rinnovata e capace di cogliere le opportunità di un mercato rivoluzionato dalla grande crisi e, nello stesso tempo, più esigente.

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INVESTIMENTI IMMOBILIARI

IL MATTONE CHE NON DELUDE Germana Loizzi

I più recenti dati dell’Istat relativi al mercato immobiliare italiano confermano perfettamente il sentiment dei nostri operatori sul territorio: i prezzi delle case continuano a scendere, segnando un calo dello 0,6 rispetto al primo trimestre 2014 e del 4,8% in confronto al 2013. Una flessione che interessa le vecchie abitazioni più delle nuove e non accenna a rallentare”. E’ realista Valerio Angeletti, presidente nazionale di Fimaa (Federazione italiana mediatori agenti d’affari)-Confcommercio, nella panoramica a 360° che riserva ai lettori di “Nuova Finanza”. Presidente, eppure l’Istat ha comunicato che, dopo due anni di cali in tutti i comparti immobiliari, il mercato del mattone è timidamente ripartito nel primo trimestre del 2014 con un rialzo complessivo dell’1,3%. Non le sembra un risultato che può preludere a un’inversione di tendenza? In buona parte si può attribuire questa ripresina alla riforma della tassazione dei trasferimenti immobiliari a titolo oneroso, che ha portato molti acquirenti, per beneficiare di una disciplina più vantaggiosa, a rinviare l’atto di trasferimento della proprietà immobiliare al 2014, con il duplice effetto, confermato proprio dall’Istat, di contrarre l’andamento delle transazioni nel corso dell’ultimo trimestre del 2013 e accentuare la crescita registrata nella prima parte del 2014. Continua a scendere, il calo è all’incirca del 5%, il mercato degli affitti sia di abitazioni a uso civile sia di immobili a uso commerciale. In definitiva il mercato immobiliare italiano,

sia pure con qualche sparuto segnale positivo, legato soprattutto agli investimenti stranieri per immobili storici o di lusso e al risveglio delle compravendite immobiliari nelle grandi città del Centro e del Nord-est, è ancora lontano dalla ripresa. Ma, insieme alle compravendite immobiliari, nel primo trimestre dell’anno sono cresciuti anche i mutui. Lei che tipo di effetto ritiene che la politica bancaria abbia sul settore immobiliare? Il mercato delle compravendite immobiliari è strettamente legato alla disponibilità degli istituti di credito ad erogare mutui. La crisi immobiliare di questi ultimi anni ha determinato una forte stretta del credito da parte delle banche che ha bloccato gli investimenti delle imprese e delle famiglie. Se a ciò si aggiunge la forte pressione fiscale sul mattone, ne deriva il risultato sotto gli occhi di tutti: compravendite al palo e stagnazione del mercato immobiliare. Oggi chi possiede una casa o un immobile strumentale sta vivendo un incubo: in primis perché la confusione generata dall’Imposta unica comunale e dalle difficoltà legate alle modalità di pagamento delle imposte sul mattone ha raggiunto livelli

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spropositati, poi perché tra Tasi, Tari e Imu gli immobili sono sottoposti a un carico fiscale insopportabile. La timida ripresa dei mutui, quantificata dall’Istat al 5%, lascia sperare che le banche stiano iniziando a erogare credito, anche grazie all’aiuto dello Stato. Il Fondo di garanzia da 650 milioni di euro per acquistare o ristrutturare la prima casa,


reso definitivo il 9 ottobre scorso dopo la firma del protocollo d’intesa fra Tesoro e Abi che disciplina l’accesso ai fondi statali, potrebbe aiutare il rilancio delle compravendite immobiliari a vantaggio delle categorie deboli, anche se va constatato che il Fondo, passando esclusivamente attraverso il canale delle banche, esclude il ruolo fondamentale

dei mediatori creditizi, i consulenti del credito che mettono in contatto i clienti con gli istituti bancari alla ricerca dell’offerta meglio rispondente alle esigenze e al profilo del cliente-consumatore. I mediatori creditizi, infatti, forti del loro ruolo di terzietà tra le parti, avrebbero potuto dare effettiva applicazione al Fondo attraverso la sua promozione tra i clienti stessi, facilitando così l’erogazione dei mutui e la ripresa delle compravendite di immobili destinati a prima abitazione. E ciò non avrebbe fatto altro che produrre occasioni di lavoro anche per gli agenti immobiliari, dando slancio all’intero indotto del comparto immobiliare. Non avere previsto la figura del mediatore del credito all’interno del decreto rappresenta, dunque, una grave lacuna che prova il disinteresse delle Istituzioni verso le categorie dei mediatori creditizi e degli agenti immobiliari. Ma quali misure proporrebbe al governo centrale e alle amministrazioni locali per far ripartire decisamente il settore? Per far ripartire il settore occorre innanzitutto aggredire alla radice la crisi,

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non con misure tampone e d’emergenza, ma con interventi forti che abbassino la pressione fiscale sul mattone rimettendo in moto investimenti, consumi e occupazione. I prezzi degli immobili hanno raggiunto il loro minimo, mentre le compravendite sono quasi al palo perché la tassazione continua ad aumentare e ha raggiunto livelli ormai insostenibili. Ben venga dunque qualsiasi tipo di incentivazione fiscale che ridia ossigeno al mercato delle compravendite immobiliari, ma senza l’abbassamento della pressione fiscale qualsiasi concreta prospettiva di ripresa del comparto diventa irrealizzabile. Volendo investire sul mattone, è preferibile acquistare immobili direttamente o rivolgersi al mercato finanziario acquisendo quote di fondi e/o società che investono nel settore? Tutto dipende da come andrà il mercato immobiliare nel prossimo futuro. Al momento, grazie al calo dei prezzi, conviene investire direttamente sul mattone ed evitare l’acquisto di azioni o fondi che investono in immobili. Ma occorre fare una precisazione di base sui fondi: essi possono essere chiusi o aperti, nel primo caso il fondo investe comprando direttamente gli immobili che poi affitta, mentre nel secondo il fondo investe comprando azioni di società immobiliari o di costruzioni, che fanno lo stesso lavoro di un fondo chiuso immobiliare. Precisato ciò, il punto è che, per l’atteso rialzo dei tassi d’interesse e per la crisi economica, i casi che l’investimento vada male o che non ci siano più le performance dei tempi pre-crisi sono maggiori di


quelli che il mercato vada bene. Inoltre, considerato che i prezzi degli immobili sono cresciuti a ritmo vertiginoso negli anni precedenti la crisi, così come gli affitti che hanno seguito la stessa tendenza, i margini per un ulteriore aumento dei prezzi sono molto ridotti. E, quindi, se i titoli delle società immobiliari, a causa della riduzione dei prezzi degli immobili, iniziassero a scendere, anche i fondi chiusi seguirebbero la stessa tendenza e le loro quote perderebbero valore. Lo stesso discorso vale per i fondi aperti che investono in azioni di società immobiliari. In definitiva se il mercato, e quindi le società, andassero male, il fondo seguirebbe lo stesso destino. Ecco perché questo è il momento per chi ha intenzione e disponibilità di investire in immobili di farlo nel modo tradizionale e cioè attraverso l’acquisto diretto del bene. Ma in Italia come consiglia, eventualmente, di investire? Con la crisi, le incertezze dei mercati e le borse altalenanti puntare sul mattone è sempre la scelta che offre migliori garanzie. Gli immobili nelle aree di pregio, panoramiche e/o storiche, sono quelli più ricercati. Li seguono le nuove abitazioni di lusso vicine al centro città e coinvolte in progetti di riqualificazione del territorio. Basti pensare a City Life nell’ex quartiere storico della Fiera di Milano o alle nuove residenze di Porta Nuova, sempre a Milano, che grazie alla spinta dell’Expo 2015 rappresentano un contributo alle eccellenze italiane e costituiscono un nuovo modo di abitare, contemporaneo e innovativo. A Firenze, invece, nell’ambito della riqualificazione di alcune aree della città, inizieranno presto i lavori per il complesso del Borgo del Guelfo, a due passi dalla centralissima stazione di Santa Maria Novella, mentre a Roma, dove molti progetti di trasformazione urbana sono in stand by da anni, sempre a causa della crisi, sta venendo alla luce, nel centrale quartiere San Lorenzo, il progetto immobiliare “De Lollis 12”, una nuova struttura con immobili ecosostenibili di pregio e piccolo ta-

glio vicino al Policlinico Umberto I e all’Università. Per gli investimenti immobiliari le città d’arte come Roma, Firenze e Venezia rimangono, comunque, le più ambite, soprattutto dalla clientela internazionale di alto livello che viene attratta dal forte appeaI delle dimore storiche, dei paesaggi e dalle particolari caratteristiche territoriali dell’Italia, che si esprimono anche con le eccellenze enogastronomiche. Per quanto riguarda, invece, gli investimenti ideali, acquistare un immobile facilmente raggiungibile dalla metropolitana; vicino ai centri di forte attrattiva come teatri, cinema, ospedali; in aree urbane coinvolte in progetti di riqualificazione e sviluppo; nei pressi di grandi università oppure a uso commerciale in centro può dimostrarsi un investimento molto redditizio, soprattutto nel lungo periodo. Consiglia di acquistare immobili o investire su fondi e titoli all’estero? Nonostante la crisi, credo fortemente nel valore e nella ripresa del comparto immobiliare italiano. Storicamente lo sviluppo dei cicli economici non procede in modo uniforme, ma è intrinsecamente caratterizzato da oscillazioni: dietro ogni grande crisi ci sono stati grandi movimenti di ripresa. Oggi il comparto dell’intermediazione immobiliare può contare su professionisti e know how di alto livello, per cui il mattone italiano è maturo e anche sofisticato: l’unica cosa che gli operatori attendono per la vera ripresa delle compravendite è il superamento della crisi economica. Per quanto riguarda il consiglio sugli investimenti, ritengo sia giusto ricordare che gli investitori non consigliano mai di investire il denaro in un unico canale preferenziale, ma di diversificare. L’importante è che i canali siano redditizi e che qualsiasi decisione venga ponderata dal cliente con equilibrio, perché nessuno ha la ricetta magica del successo assicurato nell’investimento.

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Nella foto Valerio Angeletti, Presidente FIMAA


IL PIÙ GRANDE MARCHIO ITALIANO

LA GRANDE NAUTICA: BENETTI

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Antonio Fulvi

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’ una storia, quella del marchio di super-lusso dello yachting Benetti, che appare paradigmatica dell’italian fashion. Perchè dal 1873 quando fu fondato, il cantiere è cresciuto non solo come location costruttive- oggi opera a Livorno, Viareggio e Fano- ma specialmente come successi commerciali, come fama e specialmente come gamma. Oggi è il più grande marchio italiano del mondo dello yachting di lusso e registra il più alto tasso di crescita tra tutti i costruttori mondiali del comparto. Con tre linee di prodotti: classica, dislocamento e dislocamento veloce (entrambe in composito, da 93 a 145 piedi) e infine in acciaio e lega leggera, oltre 45 metri. La notizia più recente è che sta “sfondando” la barriera dei 100 metri i lunghezza, con almeno due ordini di questa gamma sui quali si sta lavorando a blocchi da assemblare. L’ingegner Vincenzo Poerio, amministratore delegato del marchio- che fa parte della holding di famiglia di Paolo Vitelli nel gruppo della torinese Azimut Yachts- è un personaggio eclettico. Ottimo tecnico n e l com-

parto dei grandi yachts, eccezionale organizzatore anche di una rete di vendita che cresce ogni anno (Fort Lauderdale è l’ultima localion fissa: ma ce ne sono a Dubai, in Cina e in Sud America, tutti i mercati di riferimento oltre ovviamente il Mediteraneo) sta dimostrandosi anche uomo dalla notevole diplomazia e dall’immensa pazienza: Perchè il principale cantiere del brand, quello di Livorno rilevato dal fallimento del vecchio cantiere navale ex Fincantieri, sconta nella sua pur importante crescita le problematiche di essere al centro di una città dove di recente è avvenuta la più clamorosa rivoluzione politica del secolo: il Comune è passato dal Pd ai 5 Stelle, una vera cannonata sui denti a tutta la sinistra italiana proprio nella città dove nacque il Pci. Il problema dei problemi è che tutti i patti sanciti dieci anni fa con l’acquisizione dell’ex cantiere Orlando (Fincantieri) che comprende anche il comparto bacini di carenaggio, sembrano oggi tornare in discussione. Con feroci faide anche all’interno dello stesso Pd, cui una frangia operaista (ma non solo) non perdona quella che ha consi-

Il “Veloce 140”

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derato una svendita di un pezzo del cuore urbano. Il gruppo Azimut/Benetti, nel rilevare l’ex cantiere navale, ha operato una riconversione di parte dell’area con modernissimi hangar per la costruzione e l’assemblaggio dei suoi grandi e splendidi yachts. L’altra parte dell’area, quella che guarda verso il centro della città e l’antico porto mediceo, è stata destinata a una grande operazione immobiliare-urbanistica, con residenze di alto livello, un canale all’interno dell’ex cantiere per creare uno sbocco al mare indipendente, e un (ancora bloccato da cavilli e ricorsi vari) porto turistico nella metà dell’ex mediceo, destinato a riparazioni, rimessaggio e refitting dei più grandi yachts del Mediterraneo. Sia chiaro: tutte queste operazioni furono ufficialmente benedette al momento del salvataggio del cantiere Orlando, con tanto di accordi firmati a Roma e controfirmati dall’allora presidente della Repubblica (livornese) Carlo Azeglio Ciampi. Oggi però il quadro politico- istituzionale è cambiato: e sia l’operazione immobiliarefatta solo in piccola parte in diretta, per il resto ceduta a cooperative specializzate del grande circuito nazionale- sia quella del porto


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turistico nello storico bacino mediceo trovano resistenze. Il problema è rappresentato dalla nuova gestione a 5 stelle del Comune, che non si è ancora ben pronunciata sul porto turistico ma sembra contestare lil mantenimento alla Benetti del comparto bacini di carenaggio (essenziale, secondo Poerio, per poter varare e manutenere i prossimi, grandi yachts da 100 ed oltre metri). Anche l’Autorità portuale di Livorno, competente sull’area a mare, sembra “nicchiare” sui bacini, tanto da avere in ballo una gara internazionale per la loro gestione: gara che secondo come sarà importata nei dettagli, potrà dare o negare chances al grande cantiere degli yachts. In questo quadro complesso e articolato, che cambia ad ogni stormir di polemica tra partiti locali, Poerio si trova a combattere su svariati fronti: su quello dell’Autorità portuale per i bacini di carenaggio (quello grande, da 350 metri, ha persino perduto la sua barca/porta che è affondata e non è stata più recuperata: per benetti dovrebbe essere utilizzato solo per i grandi yachts o come darsena); su quello del Comune per il porto turistico del Mediceo, su quello commerciale con la concorrenza crescente di grandi gruppi internazionali, alcuni dei quali allocati in Italia

(Ferretti) ma costantemente irrobustiti da forti iniezioni di capitali cinesi. Il marchio Benetti si difende comunque alla grande: negli ultimi saloni nautici internazionali di prestigio (a Genova sia Benetti che Azimut non si sono presentati: la “dialettica” interna all’UCINa sembra aver lasciato il segno, come scrivemmo qualche numero fa) da Montecarlo a Cannes fino a Fort Lauderdale in Florida i Benetti sono stati gli yachts più premiati. E presumibilmente anche i più venduti; anche se questo tipo di mercato è fatta da acquirenti fantasma con società spesso matrioske, proprio per tutelare la privacy (principalmente fiscale) dei proprietari. Il nuovo orizzonte dei Benetti è rappresentato appunto dalla linea dei supermaxy yachts, vere e proprie navi da 100 e oltre metri di lunghezza. Ce ne sono almeno due in ordine, di cui si sta iniziando la costruzione a blocchi decentrati ( alcuni nella darsena del Canale dei Navicelli diu Pisa, altri a Piombino o nelle vicinanze: poi i blocchi saranno trasportati via acqua al cantiere di Livorno e qui assemblati, dotati dell’impiantistica e quindi arredati come straordinarie ville semoventi). E altri seguiranno: con un indotto costituito da centinaia di lavoratori interni ed esterni, decine e decine di

Poerio Vincenzo, AD

sub-fornitori, e uno straordinario patrimonio di arredatori di lusso, in parte articolato sull’area del pisano un tempo regina del mobile d’arte. Tutto questo rappresenta, per l’economia dell’intera Toscana, un patrimonio di eccezionale valore: che si fonda con il valore della lavorazione artigianale degli arredi e di impiantistica (spesso ad altissima tecnologia) con epicentro a Viareggio ma con punti di eccellenza su tutto il territorio. L’ingegner Poerio, che fonda la sua eccezionale capacità diplomatica con la sottile ironia del vero signore partenopeo, è arrivato un paio di volte a sussurrare che senza il definitivo e sicuro rispetto dei patti firmati sotto la presidenza di Ciampi il cantiere è pronto a far le valigie (e non mancano locations, in Italia e all’estero, pronte a fargli ponti d’oro).

Benetti - Con il più alto tasso di crescita tra tutti i costruttori mondiali di super e mega yacht, Benetti è icona di stile ed eleganza italiana senza tempo unita ad eccellenza costruttiva di manifattura. • Fondato nel 1873, Benetti è il più antico cantiere italiano specializzato in yacht di lusso. • Ogni yacht è unico, costruito intorno al proprio Armatore. • Benetti progetta, costruisce e commercializza tre linee di prodotto: Gamma Class - Displacement e Fast Displacement - in composito dai 93 ai 145 piedi - e Custom - acciaio ed alluminio oltre 45 metri. • Benetti ha sede a Viareggio, Livorno, Fano e ha uffici a Fort Lauderdale, Dubai e Hong Kong. • Benetti, è parte del Gruppo Azimut|Benetti Group, il più grande gruppo della nautica di lusso al mondo a capitale privato.

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IL PIÙ GRANDE SALONE

A MIAMI “IL VELOCE 140”

S

arà presentato in anteprima a Fort Lauderdale in Florida al più importante salone nautico del mondo uno yacht dalla grande personalità, il Veloce 140’, nuovo gioiello della Gamma Benetti Class Fast Displacement. Una personalità che deriva sia dalle innovazioni tecnologiche di carena e propulsioni, sia dal forte stile che contraddistingue design e arredi. Alla base di tutto c’è la nuova carena D2P studiata dallo Studio Pierluigi Ausonio Naval Architecture e dal centro di Ricerca e Sviluppo del gruppo Azimut|Benetti. I primi evidenti vantaggi consistono nella velocità di crociera di 12 nodi a consumo contenuto, ma anche nella possibilità di viaggiare a velocità sostenute (oltre i 20 nodi) con il massimo comfort. È quindi uno yacht semi-custom e con scafo D2P (displacement to planing), un progetto innovativo che entusiasma sia i clienti già appassionati di Benetti, ma desiderosi di maggiori velocità sia chi per la prima volta si avvicina al cantiere toscano sapendo di poter contare su yacht capaci di più alte performance e, al contempo, di agevoli andature dislocanti. Per maggiori informazioni tecniche invitiamo a prendere visione degli allegati comunicati stampa dedicati alla linea Fast Displacement. Benetti Class. Costruito per un armatore già cliente Azimut|Benetti il Veloce 140’ si caratterizza per gli interni molto personalizzati, a partire dalla distribuzione degli spazi, su sua esplicita richiesta. Mentre l’Exterior Styling & Concept è a cura di Stefano Righini, il design interno è stato sviluppato dallo studio inglese

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RWD-Redman Whiteley Dixon in collaborazione con il designer dell’Armatore. Il decor (interior&exteriors) è stato invece affidato all’architetto internazionale Joao Armentano. Dominano, come legni principali il TAY tinto grigio chiaro e il TABU grigio ardesia per i pavimenti. Sono poi stati scelti laccati silver per elementi decorativi e laccati bianco e alcantara per cielini. Tutti gli acciai sono satinati. Gli arredi interni sono firmati Minotti, le lampade Flos e le rubinetterie Gessi. Per quanto riguarda l’anima tecnologica dell’imbarcazione, da segnalare che utilizza i motori più grandi mai montati dal cantiere di Benetti in Viareggio: due MTU 12V4000 M93L da 3.500 mHp. È poi dotata di un sistema di pinne stabilizzatrici elettriche della CMC Marine. Sun Deck. Il grande Sun Deck si estende per più di 77 mq sul “ponte” più alto della nuova realizzazione di Benetti. Anche qui classe e funzionalità si incontrano. Una grande terrazza sul mare dominata dalla piscina centrale che fronteggia la zona living più spettacolare del 140’: un’estesa zona living sulla destra servita dal lungo bar lineare sulla sinistra. Altra caratteristica di questo ponte sono le sedute nella parte prodiera con vista frontale sul mare. Upper deck. Su questo ponte domina la trasformabilità. Non sono stati, infatti, previsti i tradizionali arredi “fissi”. Tutto si può facilmente rimuovere e spostare per ottenere una sconfinata zona disco che si estende all’aperto come nella zona interna. All’estrema poppa

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ci sono il grande tavolo da pranzo, sedici posti a sedere. Qui si colloca anche la zona relax da cui, attraverso una porta elettrica che si richiude a pacchetto laterale, si accede allo sky-lounge interno. Il risultato è quello di avere a disposizione un’unica grande superficie, in parte climatizzata. A prua la seconda spettacolare piscina di bordo, in questo caso particolarmente profonda, con una comoda e sicura scaletta per potersi immergere completamente nell’acqua e rilassarsi nell’idromassaggio. Di fronte, due grandi prendisole e una zona living con divano e tavolino, dove si può godere di un’assoluta privacy. Su questo ponte, su esplicita richiesta dell’Armatore, quella che originariamente era stata pensata come cabina del comandante, è stata trasformata in un ulteriore locale notte VIP. Main deck. Regina di questo ponte è la grande palestra dell’Armatore. Collocata nella zona prodiera è basata su una struttura wide-body e può quindi sfruttare al meglio l’intera larghezza dello scafo. Tra le peculiarità che la caratterizzano una terrazza laterale

che garantisce una vista mozzafiato sul mare regalando a tutto l’ambiente grande luminosità e aerazione. Di altissimo livello l’attrezzatura Tecno-Gym della linea Personal. Non manca neanche una zona massaggi. Più a poppa trova spazio una grande zona pranzo per dodici persone e un’immensa zona living che si estende all’aperto, anche qui senza che si percepisca in nessun modo il passaggio tra “in&out”. Il pozzetto è dotato di un day-bed che si trasforma rapidamente in un’area relax. Lower deck. Nel ponte inferiore si accede alla zona notte. Si tratta di ben cinque cabine di cui una riservata all’Armatore, due matrimoniali e due per gli ospiti, con letti separati e letti pullman. Le quattro cabine riservate all’equipaggio - composto da otto persone - sono invece all’estrema prua. Il lower deck è poi dotato di una meravigliosa ed estesa area “beach club” a cui si accede da una doppia scalinata, attrezzata con bancone bar centrale che corre lungo tutta la paratia. Il garage è orientato trasversalmente, per baglio, e può alloggiare fino a due tender.

NUOVO UFFICIOSHOWROOM Benetti ha registrato per il 2014 una nuova crescita nelle Americhe, tra i mercati più strategici per il cantiere Toscano e conferma i suoi successi con l’apertura di nuovi uffici sales e after sales sulla 17ma strada di Fort Lauderdale, capitale dello yachting americano e mondiale. Dopo aver imposto la sua presenza a livello commerciale in USA – Paese che rappresenta più del 50% del fatturato del marchio – Benetti impone anche la sua presenza fisica a Fort Lauderdale, luogo di eccellenza anche per i mercati Centro e Sud Americano. Il nuovo head-quarter di Benetti in USA è concepito come un ufficio-show room, è un luogo aperto a broker, operatori del settore ed Armatori. È un punto di partenza ma anche d’incontro, un luogo dedicato all’accoglienza. In particolare, il progetto del primo ufficio Benetti USA è stato realizzato rifacendosi allo stesso stile dello show room Benetti di Viareggio. I materiali usati sono il pregiato palissandro tinteggiato scuro, la pelle colore avorio e inserti di ottone brunito. I pavimenti sono in marmo Crema Marfil con inserti di legno

di teak. Le vetrine espositive riservate a Yachtique sono in cristallo. Tutto il mobilio sciolto è stato offerto solo da fornitori Italiani ed è di altissimo design. Sono nomi che rappresentano l’eccellenza in tutto il mondo – Edra, Lupi, Poltrona Frau, Schiffini, Cantalupi, Stefano Ricci, Armani, Yachtline, Menchini Marmi, Gruppo Mastrotto – che rendono gli ambienti accoglienti, di classe e decisamente unici. All’interno dell’ufficio si troveranno anche pezzi – scrivaniereceptionist, desk, tavolo meeting room – disegnati in “limited edition” dall’interior designer Maria Rosa Remedi per Benetti. Così dice Maria Rosa Remedi: “Scegliere fornitori solo Italiani è stata una precisa volontà presa insieme alla direzione aziendale sia per promuovere ciò che sappiamo fare meglio, ma soprattutto per dire che siamo Italiani e felici di esserlo e che la nostra storia e la nostra cultura fanno di noi un popolo molto speciale”. Le operations di Benetti prevedono non solo la vendita ma anche un efficiente after sales con a capo Piergiorgio Belardini, service manager Benetti Americas.

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DA CERTALDO ALL’EUROPA

LA SCALATA DI UN’AZIENDA

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na realtà leader a livello internazionale, vera eccellenza all’interno del panorama economico del Paese. Sebach, azienda che opera nel settore del noleggio di bagni mobili, ha sede a Certaldo, in provincia di Firenze, città tra le più antiche e rinomate del Granducato Toscano, passata alla storia per essere stata la casa di Giovanni Boccaccio. Sebach vive completamente nella città fiorentina, inserita in un paesaggio mozzafiato tra le colline tra Siena e Firenze. Sia gli uffici che la produzione hanno sede nella stessa struttura, cosa non così usuale nelle aziende di casa nostra, così come non è consuetudine trovare un’azienda come la Sebach che può vantare da sempre il proprio bilancio ampiamente in attivo, contemplando anche l’opportunità di investire all’estero. Investimento che è avvenuto già da qualche anno in Francia, con ottimi risultati, ed è invece appena partito in India, senza che però sia stata snaturata la realtà italiana. In Italia, dove si registra una movimentazione giornaliera di oltre 25.000 bagni, sono 80 i concessionari che hanno dato fiducia a Sebach, 11 quelli oltralpe. L’azienda ha deciso di

investire all’estero senza alcun progetto di ridimensionamento della produzione italiana. Uno degli obiettivi, infatti, è finalizzato all’espansione del prodotto anche a livello internazionale che comunque è già riconosciuto ed apprezzato fuori dai confini nazionali. L’Amministratore Delegato di Sebach, Antonella Diana, afferma: “Il marchio Sebach è

riconosciuto ed affermato in Italia e, già nel 2010, avevamo intuito che esistevano le premesse per investire all’estero. E per ora i risultati parlano a nostro favore”. E proprio il marchio rappresenta una delle caratteristiche principali della realtà toscana, con il suo famigerato e inconfondibile cuore rovesciato e la cabina di colore rosso, opere della campagna di rinnovamento grafico, ideate dal fotografo e pubblicitario Oliviero Toscani,

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che nel 2010 curò la creazione del nuovo brand. Al di là di queste particolarità stilistiche, Sebach si attesta ed è riconosciuta – sono i numeri a parlare per lei – come leader nel settore per i prodotti e la professionalità del servizio. Già nella produzione dei bagni l’azienda si contraddistingue per una caratteristica che, nel settore dei bagni mobili, è unica al mondo: il processo di produzione industriale dei bagni Sebach è infatti basato sullo stampaggio ad iniezione che garantisce una maggiore precisione e velocità di realizzazione deli manufatti. Non sono da meno i prodotti realizzati per rendere i bagni sempre più ecosostenibili e nel pieno rispetto dell’ambiente - anche a fronte della Normativa UNI EN 16194 che regolamenta il servizio bagni mobili – ai quali, dal 2013, si fa registrare una novità: il Sebach Track, un sofisticato sistema di tracciabilità che, attraverso un segnale GPS, permette di seguire il bagno mobile in tutti i suoi spostamenti e consentire così ridotte emissioni. Uno dei settori più interessati a queste migliorie è quello dell’agricoltura, sul quale Sebach ha investito molto in questi anni, ma sono diversi gli ambiti di ma-


novra dell’azienda leader in Italia nel noleggio dei bagni mobili che vanno dall’edilizia per arrivare fino alla gestione degli eventi. Sono tantissimi infatti, gli eventi anche di respiro internazionale, durante i quali Sebach ha fornito i propri bagni: si va dal Giro d’Italia 2014 – durante il quale in ogni tappa erano presenti i famigerati bagni rossi -, passando dal Gran Premio di Formula 1 di Monza, dagli MTV Awards e dal raduno degli Alpini (dove hanno partecipato 300 mila persone circa), per arrivare alla Canonizzazione dei due Papi dello scorso aprile, a diverse visite di Papa Francesco sul territorio nazionale e al raduno nazionale Agesci, quando ad agosto hanno partecipato oltre 35 mila tra scout e utenti vari. La lista potrebbe continuare con gli eventi in terra francese, quando Sebach ha messo a disposizione i propri bagni durante il Gran Premio di Formula 1 di Monaco e a Marsiglia, quando la città della Provenza è stata Capitale Europea della Cultura accogliendo più di 600 mila persone – con bagni decorati, per l’occasione, con esagoni di varie gradazioni cromatiche –. È invece di poche settimane fa

lo sbarco di Sebach nel mondo delle applicazioni, decisione che permette all’azienda di restare al passo con i tempi e avvicinarsi anche al mondo della tecnologia. Settembre infatti è il mese di avvio della nuova applicazione Sebach, scaricabile sulle piattaforme iOS (su Apple Store) e Android (su Google Play) e dalla quale è possibile ottenere tutte le informazioni e le curiosità legate al mondo dei bagni mobili. Inoltre la App conterrà un gioco multilingua che racconta, in maniera ironica e divertente, la vita di cantiere attraverso tre personaggi: Leroe, il boss e la segretaria sexy. A questo si aggiunge il lancio del nuovo sito, molto più intuito e responsive. “La nostra azienda è un marchio affermato nel settore – afferma Antonella Diana – ma questo non vuol dire che abbiamo intenzione di adagiarci e fermarci a quanto ottenuto. Gli investimenti all’estero, ai quali potrebbero aggiungersene altri e l’avvicinarsi al mondo del digital sono un chiaro esempio di quanto la nostra realtà voglia continuare ad evolversi e aggiornarsi, cercando di guardarsi costantemente al fine di migliorarsi”. (ReNF)

TORNA IL MERCATO NEL CAMPO A SIENA A Siena torna il Mercato nel Campo, un tuffo nel Trecento tra storia ed eccellenze enogastronomiche e artigianali. Un’originale proposta per trascorrere il ponte dell’Immacolata: sabato 6 e domenica 7 dicembre, dalle 8 alle 20, nella conchiglia di Piazza del Campo verrà rievocato il “mercato grande” medievale, con 140 banchi che proporranno i migliori prodotti della tradizione senese e tipicità provenienti dall’Italia e dall’Europa, disposti seguendo le indicazioni date nel XIV secolo dalle autorità comunali, con lo stesso allineamento, la distinzione nelle due grandi aree di vendita alimentare e merceologica e il raggruppamento per categorie al loro interno. I prodotti saranno esposti su banchi ispirati a quelli del passato, pronti a svelare un universo di sapori, profumi, bellezza e tipicità, il tutto nel segno dell’eccellenza che da sempre fa di Siena una vera e propria “città del gusto”. In questa sesta edizione del Mercato nel Campo, ispirata al tema di EXPO 2015 “Feed the planet/Nutrire il pianeta,

energia alla vita”, alla rievocazione del “mercato grande” si affiancheranno numerose altre iniziative, a partire dalla realizzazione “live” di una installazione artistica, il globo “Feed the planet”, che prenderà lentamente forma nel corso delle due giornate davanti agli occhi dei visitatori. Gli antichi Magazzini del Sale di Palazzo Pubblico faranno invece da cornice a un percorso sensoriale che si snoderà tra degustazioni, musica e arte, mentre l’area antistante al palazzo ospiterà laboratori agroalimentari dedicati a pane, pasta, formaggi e salumi. Non mancheranno gli artigiani che condurranno alla scoperta degli antichi mestieri, mentre nei ristoranti cittadini sarà possibile gustare menù con piatti legati alla tradizione gastronomica senese e preparati seguendo l’idea “Dal Mercato nel Campo alla tavola – nutrendo il pianeta”. Per conoscere il programma, al momento in aggiornamento e che verrà svelato gradualmente, seguiteci su Facebook “Siena - Mercato nel Campo” e su Twitter @mercatonelcampo

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Il cuore oltre l’ostacolo Nuove frontiere (a pag. 34)

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CUORE: LE NUOVE CONQUISTE

RIPRENDERSI LA VITA Valeria Caldelli

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ISA - Va’ dove ti porta il cuore. A lei, Maria Grazia Bongiorni, aritmologa, una laurea in medicina alla facoltà di Pisa e una quantità di prestigiosi incarichi nazionali e internazionali che ormai non si contano più, l’ha portata all’obiettivo più ambizioso: ridare la vita a chi la vita poteva ormai guardarla solo dalla finestra. Utilizzando dilatatori raggiunge il cuore attraverso le arterie e poi agisce con delle cannucce che somigliano a piccole cerbottane. Le hanno inventate negli Stati Uniti, ma per farne un uso diverso. Con lei sono diventate un mezzo per rimuovere o reimpiantare pacemaker e defibrillatori cardiaci con successo e senza usare il bisturi. Una tecnica personale innovativa e formidabile, oggi esportata in tutto il mondo, che ha rivoluzionato la cardiologia. E pochi mesi fa è stata la prima a impiantare, sempre attraverso le vene, un micro pacemaker senza fili, poco più grande e pesante di una pillola. L’Unità operativa di Malattie cardiovascolari 2, che Maria Grazia Bongiorni dirige, è stato infatti l’ unico centro scelto in Italia per lo studio clinico di questo nuovissimo strumento. In tutto sono nove gli interventi fatti e perfettamente riusciti negli ultimi quattro mesi. Ore e ore di ricerca, una volontà incrollabile, una passione infinita e tanto affetto da parte di quegli ex pazienti a cui lei ha ridato una vita normale. Libri, lettere e piccoli oggetti gelosamente custoditi in una grande scatola e che a lei fanno tanto battere il cuore. Dottoressa Bongiorni, c’ è un tempo

per lavorare e un tempo per vivere. giornata tra sala operatora, visite e Quanto resta di privato nelle sue scrivania. Almeno quattro volte su sei giornate? salto il pranzo e uso il fine giornata «Il lavoro domina la mia vita almeno per fare ricerche e studi da portare ai per l’80 per cento. Sono dipendente congressi. Lo avverto come un dovere. dai miei impegni di lavoro: a me E’ inutile mettere a punto tecniche rimane molto poco» sofisticate se poi non si condividono Ci descrive la sua giornata? con la comunità scientifica. Ovviamente «Non c’è n’è una uguale all’altra e non so mai quando torno a casa». spesso mi succede di viaggiare per congressi e conferenze. La mia giornata in ospedale comincia comunque sempre con un briefing insieme a tutti i miei collaboratori. E’ il momento più importante, quello in cui il gruppo prende consapevolezza dei problemi di ogni ammalato. Voglio che ognuno esprima il proprio modo di vedere per poi individuare una soluzione condivisa, non imposta da me. Dopo è come se ci fosse un’esplosione: ognuno va a fare il proprio lavoro specifico. Per quanto mi riguarIl Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi e la dottoressa Maria Gra da, divido la mia

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Quando ha deciso che avrebbe fatto il medico? «Ho perduto mio padre a causa di una forma terribile di tubercolosi quando avevo 6 anni e credo che la voglia di fare il medico sia cominciata in quel momento. Mi ricordo che il mio bambolotto Fabio era sempre ammalato e io lo mettevo nel lettino e poi mi

occupavo di lui e lo curavo. La passione per il cuore è nata invece al 4° anno di medicina e la devo al professor Luigi Donato. Lui ci faceva lezioni di patologia medica e quando spiegò le aritmie mi affascinò. In quel momento non pensavo alla chiurgia, una disposizione che solo dopo ho scoperto di avere. A me l’aritmologia interessava perchè dentro c’è molta matematica e molta fisica e io ho sempre amato le materie scientifiche». La sua passione è rimasta quella di allora? «Anzi, è aumentata. Devo dire che ho anche avuto fortuna perchè in questo campo è avvenuta una vera e propria rivoluzione, sono stati fatti progressi inimmaginabili. Quando andai a Parigi e a Bordeaux per la specializzazione mi prefissi un obiettivo: quello di riuscire a guarire definitivamente i miei pazienti. Ce l’ho fatta. Adesso non resta neanche azia Bongiorni durante l’inaugurazione di una nuova sala angiografica traccia dell’inter-

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vento e una persona può tornare ad una vita assolutamente normale. Questa è la soddisfazione più grande per un medico». Lei ha fatto interventi difficili. Non ha mai avuto paura di non farcela? «Come no? Ma ce l’ho sempre messa tutta, con determinazione, perseveranza e anche tranquillità. Insomma, sono una che non molla. Non m’importa del tempo, non m’importa della fatica. Finchè c’è una speranza, io insisto». Qual è la caratteristica più importante che deve avere un medico? «Dare al paziente la sensazione che sta combattendo insieme a lui la sua battaglia. Mettersi al suo fianco e non farlo sentire inferiore perché è ammalato». In corsia sono meglio gli uomini o le donne? «Le donne sono più mature e responsabili, anche a livello universitario. Sono più pronte a fare sacrifici, stanno più ore sui libri e sono più preparate. Hanno anche un atteggiamento più amorevole verso il malato. Purtroppo per tutte noi è difficile vivere in questo mondo maschile. Possiamo essere straordinarie, ma le posizioni apicali è difficile raggiungerle e quando raramente succede vengono fatte cadere dall’alto. Non sto parlando delle ‘quote rosa’, quelle non mi interessano. Sto parlando del merito perchè so che le donne saprebbero dirigere anche meglio degli uomini, ma questo succede difficilmente. Eppure donne medico ce ne sono moltissime.....» Qual è la sua maggiore soddisfazione nel lavoro?


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«Far uscire dal tunnel giovani e bambini, ridare loro una vita passiona: la fotografia. Ma le macchine digitali di adesso mi normale, senza più farmaci. Guarirli, insomma, e inviarli hanno un po’ rattristato. Cominciai a fare foto quando sui campi di calcio». avevo 18 anni, anche per guadagnare qualcosa e non gravare Le è mai successo di dover mandare via qualcuno per completamente sulle spalle di mia madre. Eravamo una famancanza di posti letto o sovraffollamento in sala operamiglia povera. Mia mamma, che mi ha insegnato cose imtoria? portantissime come l’onestà e la tenacia, lavorava nel «Mai. E non succederà mai». commercio di frutta e verdura e ha fatto tanti sacrifici per Questa è la dottoressa Bongiorni. Ci racconti di Maria farmi studiare. Così io cominciai a fare foto: mi piaceva la Grazia. Cosa fa nel poco tempo libero? ‘ritrattistica’ e guadagnavo qualcosa facendo i ‘battesimi’. «Sono un’ amante della musica e soffro Conservo tutte le mie macchine fotografimolto a non poter suonare. Ho studiato che». fino al quinto anno di conservatorio e Qualche rimpianto? a casa mia c’è un pianoforte ad ogni «Uno solo: mi sarebbe piaciuto piano. Suono ancora bene con la avere dei figli, a cui credo che testa, ma le mani non sono alleavrei saputo dare tanto. Invece nate....Mi piace anche il giardisono single. Diciamo che naggio creativo. Purtroppo non ho mai trovato la persona l’aritmologia viaggia con i segiusta». condi, ha bisogno dell’ordine Destino? estremo e questa paranoia «Non solo. Anche io sono ‘difficile’ me la porto dietro anche e pretendo molto. Ho incontrato in giardino. Il sabato poi, alcune persone, ma quando quando non ci sono conho capito che bisognava fare gressi, ne approfitto per molti compromessi, io stessa preparare dei manicaho deciso di non farli. D’alretti per gli amici. Faccio tronde non si può avere tutto gli gnocchi, oppure la dalla vita. E per quanto riguarda pasta e anche il pane. Mi i figli, adesso ne ho comunque piace cucinare soprattutto tanti. Me li sono trovati». quello che facevano mia Immagino che molti di questi siano mamma e mia nonna e quei bambini a cui lei ha dato la vita quando rientro in casa dal una seconda volta. Come le fanno sentire giardino amo ritrovare quel il loro affetto? profumo di pane che c’era a «Mi danno i loro pupazzetti o altri piccoli casa mia». giochi. Una volta il padre di un ragazzino Per avere così poco temmi ha regalato il libro ‘Cuore’ che lui po sono tante le cose aveva avuto per la sua prima coche fa... munione. Molti mi scrivono pa«A dire la verità c’è role sincere e commoventi. anche un’altra atSpesso mi fanno piangere». Dottoressa Maria Grazia Bongiorni tività che mi ap-

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CLINICA DONATELLO

ECCELLENZE SANITARIE

I

n un periodo economico difficile il ricorso al mercato privato a pagamento in sanità tende a ridursi: tutti, ma principalmente le strutture che non sono legate al settore pubblico, per emergere devono continuamente innovarsi ed offrire servizi sempre più efficienti ai cittadini. Un esempio di questo andamento è rappresentato da Villa Donatello, storica clinica privata fiorentina, che essendo stata acquisita nel recentissimo passato dal Gruppo Unipol ha fatto della innovazione e della tecnologia una propria chiave distintiva. Oltre a Villa Dona-

tello, Unipol ha assunto la proprietà anche del CFO (Centro Oncologico Fiorentino), situata alle porte di Firenze e punto di riferimento nella cura oncologica, e del Centro Florence, uno dei centri di fecondazione più conosciuti e frequentati in Italia, con gli oltre 5.000 pazienti ogni anno. Ma la realtà che maggiormente rap-

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di Jacopo Carlesi

presenta questa volontà di innovazione è senza dubbio Villa Donatello che, lo scorso gennaio, ha inaugurato un edificio adiacente a quello storico, dove offre specialità che sono sempre più richieste, ma per le quali la risposta del pubblico è spesso carente: Oculistica, Dermatologia, Fisioterapia e Odontoiatria. Tutti questi nuovi reparti possono vantare macchinari e pratiche all’avanguardia, che permettono di curare il paziente in maniera non invasiva e con le migliori tecniche a di-


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sposizione oggi della medicina, ad esempio il Laser a Femtosecondi in oculistica, che consente di eseguire interventi di cataratta dai tempi estremamente brevi, ma con una sicurezza molto più elevata delle tecniche tradizionali, o il TC Cone Beam, per la diagnostica odontoiatrica, ma anche quella otorino che consente di indagare in 3D l'intero volume del cranio in 10 secondi e con una precisione con ordini di grandezza molto inferiori al millimetro. Ma al di là delle singole attrezzature la filosofia che vuole caratterizzare la nuova Villa Donatello è quella della interdisciplinarità: spesso per curare una malattia e non solo un sintomo è necessaria la collaborazione di più specialisti che si occupano dei diversi aspetti della malattia. Un esempio è rappresentato dalla nascita, nel mese di novembre, del “Team Mano”: una realtà all’avanguardia e unica in Italia che vedrà lavorare a stretto contatto un’equipe di medici completamente fo-

calizzati sulla diagnosi e la cura delle patologie della mano. Queste sono tante, dal dito a scatto, al tunnel carpale, dalla lesione dei legamenti, alle fratture ed alle artrosi: una squadra di medici orientata e specializzata su questo settore è in grado di offrire maggiore efficienza, velocità e professionalità per tutte le problematiche. Il paziente viene seguito a 360° potendo contare su un chirurgo, un anestesista, un fisioterapista, un reumatologo che si confrontano e stabiliscono le procedure migliori per garantire un recupero efficiente e più immediato. Nei prossimi mesi Villa Donatello svilupperà anche in altri settori queste strutture integrate che consentiranno ai clienti di poter contare su equipes di professionisti in grado di trattare con estrema capacità ed esperienza tutte le patologie e di seguirli in tutto il percorso terapeutico dalla diagnosi, al trattamento, alla riabilitazione, alla gestione dei problemi collegati.

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IL TRENO DEI DESIDERI

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metà ottobre la notizia ha fatto il giro delle redazioni. Non capita tutti i giorni, per fortuna, che un treno con centinaia di pellegrini, tra i quali circa duecento malati e disabili gravi, rimanga in una piccola stazione, come Ventimiglia, p e r b e n quindici ore. Fermo come u n o stoccafisso in attesa di un locomotore che le ferrov i e francesi Sncf avrebbero dovuto garantire in orario per portare a Lourdes i fedeli italiani partiti da Brescia. Per Sncf, purtroppo, l’Europa senza confini è lontana da venire e un locomotore italiano non può passare le barriere che ancora dividono i due Paesi. “Anche prima di arrivare ai picchi di inefficienza toccati a metà ottobre, comunque, il degrado del servizio trasporto dei pellegrini a

Lourdes con i treni speciali era diventato sempre più evidente”, sottolineano all’Unitalsi (Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali), che questi treni encomiabilmente organizza, conducendo nella cittadina mariana

ai piedi dei Pirenei, anno dopo anno, circa 45mila pellegrini italiani, per l’80 per cento proprio percorrendo la strada ferrata. “E 10mila di loro sono ammalati e disabili. Dei quali, secondo un nostro studio, il 60 per cento non potrebbe arrivare a Lourdes con un mezzo diverso dal treno, il treno dell’Unitalsi, un investimento di gioia, di felicità”, spiega a “Nuova

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di Katrin Bove

Finanza” il presidente della organizzazione, Salvatore Pagliuca. Presidente Pagliuca, ma è proprio così degradato il trasporto ferroviario dall’Italia per Lourdes? Sì, il viaggio è la nota dolente dei nostri pellegrinaggi. I treni presentano diverse carenze, dall’aria condizionat a guasta o mal funzionante alle scadenti e maltrattate finiture interne dei vago(Foto di Marco Mincarelli) n i . L’accesso alla rete ferroviaria francese peggiora, poi, anno dopo anno e ci costringe a muoverci in orari infami. Che si può fare, allora? Dieci anni fa, con altre associazioni italiane che promuovono pellegrinaggi, abbiamo costituito una spa chiamata Sarp allo scopo di trattare con le diverse società ferroviarie con


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le quali ci interfacciamo. La nostra intenzione era ed è, ancora di più, quella di sfruttare l’indirizzo europeo di liberalizzazione del trasporto su ferro, puntando a una società creata ad hoc per adeguare i treni alle esigenze dei pellegrini, dei malati, dei disabili. Il futuro dei treni per Lourdes è destinato a cambiare, ha bisogno di investimenti per mantenersi all’altezza dell’evoluzione europea dell’Alta velocità. Ma, operativamente, come vi state muovendo? Stiamo trattando con Trenitalia la gestione esclusiva delle carrozze ferroviarie, allo scopo di poter offrire ai pellegrini un viaggio di andata che sia di avvicinamento alla meta, procedendo verso la conversione del cuore, e un viaggio di ritorno che rappresenti la condivisione della gioia di un cuore rinnovato dalla fede. Senza che i disagi del viaggio in condizioni inadeguate possano danneggiare gli effetti positivi del pellegrinaggio. Le carenze francesi sembrano sul banco degli imputati. Ma loro, i francesi, che dicono? Le rispondo con le parole della signora Josette Bourdeu,

L’UNITALSI

consigliera generale degli Alti Pirenei e neosindaco della città mariana. La diminuzione spettacolare del numero di treni di pellegrini che arrivano a Lourdes, sono le parole della signora Bourdeu, è una catastrofe. Impossibile, però, abbassare le braccia, arredendersi. Sono infatti convinta, conclude, che il messaggio di Lourdes sia indissolubile dalla accoglienza delle persone malate. Ecco come rispondono i francesi al nostro grido di dolore. Ma poi vi lasciano quindici ore a Ventimiglia… Le Ferrovie, in Francia come in altri Paesi europei, sono attente solo all’alta velocità, alla clientela d’affari e ai biglietti costosi, quei Tgv non attrezzati addirittura per le barelle. Con Trenitalia, invece, stiamo studiando un progetto mirato a migliorare i treni speciali per ammalati e disabili diretti al santuario mariano più famoso al mondo. Del resto, in Europa proprio Trenitalia è rimasta l’unica società che non ostacola i convogli dei pellegrini e dispone di un centinaio di vetture. Tanto il personale di Trenitalia quanto i loro colleghi della Rete ferroviaria, inoltre, si sono prodigati in favore dei pellegrini già quando i nostri treni hanno dovuto, in passato, patire enormi disagi a causa delle disfunzioni delle Ferrovie francesi. Insomma, la collaborazione tra voi e Trenitalia sarebbe nella natura delle cose…

L

’Unitalsi (Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali) non è un’opera assistenziale o filantropica, ma “un ministero della consolazione”, come l’ha definito Papa Francesco. E’ nata oltre 110 anni fa grazie a Giovanni Battista Tomassi, figlio dell’amministratore dei principi Barberini, il quale, poco più che ventenne e infermo, voleva suicidarsi di fronte alla Grotta. Ma proprio davanti alla Grotta rimase colpito dalla presenza dei volontari e dal loro amorevole servizio e non mise in atto il suo gesto disperato. Anzi. L’Unitalsi conta oggi circa 80mila soci e nel 2013 ha portato a Lourdes 45mila pellegrini, 10mila dei quali ammalati o disabili.

ACCOGLIENZA

U

na casa di accoglienza per bambini e disabili, a due passi dalla Grotta della Natività, a Betlemme, gestita con amore dalle suore del Verbo Incarnato con la collaborazione di un manipolo di volontari. E’ l’Hogar Ninos Dios, recentemente ampliata e resa più funzionale e accogliente anche grazie all’intervento di Unitalsi, nell’ambito di un progetto del quale è responsabile Giovanni Punzi. Sviluppata su tre piani, attrezzata anche per le cure ai disabili , è stata ristrutturata e ampliata e di recente benedetta dal patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Faud Twal.

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IL CORNO DI FINE TURNO

di Jacopo Salvadori

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uona il corno di fine turno. E’ caldo. Dai pozzi escono i minatori sudati, stanchi, consumati da quel lavoro che non solo ti entra dentro ma ti marchia sulla pelle. E’ il 30 giugno del 1981. E’ la fine della miniera di pirite più grande d’Europa. La Montecatini Edison, la società che dal 1910 è proprietaria delle miniere di Gavorrano, un piccolo paese a nord della provincia di Grosseto, decide di fermare l’attività di estrazione della pirite, il minerale da cui si otteneva lo zolfo, dal quale, a sua volta, si produceva l’acido solforico, la pietra filosofale dell’industria chimica, indispensabile per ottenere fertilizzanti, esplosivi, allumini e leghe leggere, utilizzato per la depurazione delle acque, per l’industria cosmetica (saponi, detergenti) e quella farmaceutica. Il motivo della chiusura è semplice: già da alcuni era più conveniente comprare lo zolfo dalla Spagna o dal Sud America oppure ottenere direttamente l’acido solforico come sottoprodotto della lavorazione del petrolio. Non solo costava meno comprare direttamente la materia prima, ma anche estrarla, visto che i giacimenti di zolfo erano a cielo aperto. Così quello che per quasi un secolo è stato il nucleo di sussistenza e ricchezza per il territorio gavorranese aveva esaurito il suo corso, lasciando nei lavoratori e più in generale nella popolazione un senso di forte dolore, al pari del lutto di una persona cara. Gli anni successivi, dall’81 alla fine dei novanta, sono stati caratterizzati da una sorta di silenziosa rimozione collet-

tiva del periodo minerario. Ma come è possibile allontanare un passato così recente ed un’identità così fortemente radicata che non solo ha cambiato la vita di tante persone e famiglie, ma ha anche modificato in senso stretto il territorio? Basta buttare un occhio al Filare e al Bagno, le due frazioni del comune di Gavorrano nate per vo-

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lontà della Montecatini perché occorreva trovare una sistemazione al crescente numero di lavoratori, provenienti da tutta Italia, che negli anni ’60, gli anni del massimo splendore, ha sfiorato quota 3000. Le stesse campagne gavorranesi assunsero una nuova conformazione e si riempirono di stabilimenti industriali specializzati nella lavorazione del minerale grezzo estratto dalla miniera, in particolare di laverie. E’ qui che entrano in gioco i figli dei minatori che decidono di salvare ciò che resta della storia recente di Gavorrano, con un obiettivo semplice e chiaro: non dimenticare. Così, attraverso una fittissima rete di associazioni culturali, di pro loco e leghe per l’ambiente, è stata recuperata una grande quantità di oggetti collegabili direttamente all’attività mineraria, spesso salvati in extremis da una fine certa. Tantissimi archivi sono stati buttati nei cassonetti al momento della chiusura degli stabilimenti, mentre alcune strutture e i macchinari inutilizzati sono stati spesso fatti a pezzi e venduti alle acciaierie di Piombino come materiale di risulta. Grazie al duro lavoro della seconda generazione negli anni ’90 inizia a delinearsi l’idea di riconvertire l’area mineraria per un fine culturale. Per la precisione siamo nel 1999 quando si pensa al progetto di un parco minerario che non si limiti soltanto al territorio gavorranese, ma comprenda tutta l’area delle colline metallifere: tre anni dopo, grazie al decreto del Ministero dell’Ambiente d’intesa con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Regione Toscana, nasce il Parco Tecnologico e Archeologico delle Colline Metallifere, che, oltre a Gavorrano, comprende il territorio dei comuni di Follonica, Massa Marittima, Montieri, Monterotondo Marittimo, Roccastrada e

Scarlino, ed è costituito da un Consorzio di cui fanno parte il Ministero dell’Ambiente (che nomina il Presidente), il Ministero dei Beni e le Attività Culturali, la Regione Toscana, la Provincia di Grosseto, la Comunità Montana Colline Metallifere e le sette Amministrazioni Comunali (che nominano in loro rappresentanza il Vice Presidente). Il Parco è diviso in sette Porte, una per ogni comune, che fungono da punti di accesso attraverso cui i visitatori possono acquisire tutte le informazioni necessarie per usufruire di tutti i servizi del Parco: organizzati direttamente dalla sede centrale o da ogni porta sotto il coordinamento della sede centrale. Possono essere centri di informazione, centri di documentazione, biblioteche, musei e parchi, ma hanno tutti un unico obiettivo: promuovere la conoscenza del mondo minerario, del paesaggio, della storia delle attività estrattive e soprattutto dell’identità del territorio delle Colline Metallifere Grossetane. Così l’idea maturata circa dieci anni fa da quei figli dei minatori che si erano stretti intorno alle associazioni culturali, alle pro loco e alle leghe per l’ambiente si era finalmente cristallizzata. La porta di Gavorrano, che è sorta sui territori minerari, è oggi sorvegliata da un vecchio minatore di legno, opera dello scultore Hilario Oreglia Isola, che attende i visitatori sulla porta di una vecchia galleria mineraria, riconvertita a museo. Non si tratta di una normale galleria: era la riservetta degli esplosivi, quella in cui veniva stipata la dinamite e i detonanti (detonatori) e dal 2003 è possibile visitarla grazie ai vecchi minatori che hanno aiutato a ricostruire i primi 200 metri. All’interno è possibile vedere e toccare la vita di ogni giorno in miniera: c’è il pannello delle medagliette, che veni-

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vano prese dai minatori all’inizio del turno e riconsegnate alla fine come prova del ritorno in superficie; ci sono i respiratori utilizzati dalle squadre di soccorso; c’è un cartello che mette in guardia i lavoratori: “proteggi la tua persona con l’attenzione e la prudenza”; ci sono le caratteristiche lampade ad acetilene, un gas molto leggero, capace di fornire molta più luce delle lampade a petrolio o delle lucerne. Fuori dalla galleria si alza uno stradone sterrato che in poche centinaia di metri porta ad una vecchia cava di calcare da cui si ricava il breccino, il materiale che veniva utilizzato per riempire le gallerie e i cantieri della miniera una volta svuotati dalla pirite, e che oggi è stata riconvertita in teatro: il Teatro delle Rocce. Ogni anno, in particolar modo nella stagione estiva, ospita artisti di livello nazionale ed internazionale che lavorano in tutti gli ambiti artistici, dalla musica alla recitazione.

La Porta non racconta soltanto la storia recente di Gavorrano, ma attraverso il centro di documentazione “Davide Manni”, traccia un filo che collega il comune minerario all’epoca etrusca e all’epoca medievale. E’ inoltre possibile effettuare delle visite guidate al parco minerario naturalistico, che comprende le aree minerarie, i bacini di San Giovanni (dove veniva trattata la pirite durante l’età mineraria) e il monte Calvo, un’alta collina che sorge tra i due paesi di Gavorrano e Ravi. Il 1° ottobre del 2010 il parco è stato inserito nello European and Global Geoparks Network Under the Auspices of UNESCO, una rete internazionale, volontaria e no-profit che si occupa della cooperazione tra geoparchi, riunisce agenzie governative, organizzazioni non governative, scienziati e le comunità provenienti da tutti i paesi del mondo in un progetto unico al mondo, che opera secondo le norme dell’UNESCO.

ERA IL LONTANO 1899

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’ il 1899 quando una piccola società mineraria, la Montecatini, compare per la prima volta in maremma, acquistando la miniera di Fenice Capanne, situata nel comune di Massa Marittima. Il nome deriva dalla cittadina della val di Cecina (Montecatini, appunto) in cui l’azienda controllava un giacimento di rame. Undici anni dopo, con la nomina dell’ingegner Guido Donegani ad amministratore delegato, la Montecatini decide di investire in modo massiccio nei territori delle colline metallifere: rilevò l’Unione Italiana Piriti, la società che dal 1905 era la proprietaria dell’area mineraria di Gavorrano e acquistò da una società inglese la miniera di rame di Boccheggiano, un piccolo paese nel cuore delle Colline Metallifere Grossetane. Donegani ebbe un ottima intuizione: investire nella pirite per produrre acido solforico, un elemento fondamentale per l’industria chimica, che non si era ancora sviluppata in Italia, in particolare per ottenere fertilizzanti, esplosivi, allumini e leghe leggere. Nel giro di pochi anni la Montecatini aveva il monopolio della pirite italiana e nel 1925 possedeva quattordici miniere e sedici stabilimenti industriali. Gli “anni d’oro” per la miniera di Gavorrano ini-

ziano nel 1962, cioè quando, sull’onda del boom economico, vennero costruiti alcuni impianti industriali ai piedi di Scarlino, a due passi dalle miniere, per lavorare direttamente l’acido solforico sul territorio. Fino ad allora la quasi totalità degli introiti della società della val di Cecina erano ottenuti soltanto con l’estrazione, ovvero provenivano interamente dal settore primario, ma dagli anni ’60, con la produzione dell’acido solforico in loco, la Montecatini ha iniziato a guadagnare anche dal settore secondario, provocando un doppio effetto: il primo è l’aver bloccato parte della ricchezza derivata dalla vendita del prodotto nell’area mineraria, facendo crescere l’economia locale; il secondo è l’aver creato nuovi posti di lavoro nel settore industriale, in buona parte occupati dai figli dei minatori. Sedici anni dopo ci si rende conto che ricavare l’acido solforico come sottoprodotto della lavorazione del petrolio o direttamente dallo zolfo, comprato dalla Spagna o dall’America del Sud, è molto più conveniente. Da qui inizia un lento travaglio che termina il 30 giugno del 1981, la data dell’ultimo rapporto di produzione della miniera di Gavorrano, la data che segna la fine di un secolo di storia del territorio.

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“LA CLINICA DEL CANTO”

di Donatella Miliani

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NA STORIA straordinaria, dio, dell’impegno e dell’umiltà». fatta di talento, coraggio e voCome funziona, come si accede? glia di mettere al servizio degli «Selezioniamo circa 200 studenti alaltri la propria esperienza. «Perchè i l’anno con delle audizioni che curo persogni possono realizzarsi». Lui è Piero sonalmente per valutare la loro capacità Mazzocchetti, tenore e rappresentante d’orecchio, il fraseggio. Questo perchè del crossover (magico mix tra lirica e non mi va di prendere in giro chi il tapop), divenuto celebre in tutto il lento non ce l’ha». mondo prima ancora che a casa sua, Lei Mazzocchetti ha fatto una gavetta l’Italia. Dove poi però, grazie a un Sanmolto particolare. remo condotto da quell’eccezionale talent scout che da sempre è Pippo Baudo, ha riscosso e continua a farlo, il successo che meritava. Oggi Mazzocchetti ha 36 anni, una carriera in continua ascesa, una splendida moglie e un figlio di 16 mesi ma anche un’accademia dove valorizzare giovani talenti. Si chiama «Crossover Academy». «E’ un centro di alto perfezionamento in canto - spiega il tenore trentaseienne - che è stato inaugurato a San Giovanni Teatino, in provincia di Chieti, nel 2012. Un complesso di 400 metri quadrati con all’interno studi di registrazione, sale polivalenti o multimediali per solPiero Mazzocchetti e il Nobel Ennio Morricone feggio, portamento, dizione. Chi può frequentare l’accademia? L’alto perfezionamento è destinato «E’ vero. Ho iniziato in Germania a giovani tra i 18 e i 25 anni mentre la racconta. Dopo il Conservatorio a Pepropedeutica è per i bambini dai 6 ai scara e un diploma da geometra, invece 10 anni. In genere si tratta di ragazzi di iscrivermi all’Università come avrebche sanno già cantare. Cerchiamo di bero voluto i miei genitori, ho deciso perfezionarli sia nell’esecuzione che nel di assecondare quella che era la mia superare l’ansia da palcoscenico, ma inpassione: il canto lirico al quale mi sono segnamo anche l’importanza dello stuavvicinato all’età di 15 anni ascoltando

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giganti come Di Stefano, Corelli e Pavarotti. Sono andato in Germania a 19 anni, avevo degli amici con un ristorante proprio vicino a quello che oggi si chiama Allianz Arena a Monaco. Volevo guadagnare un po’ di soldi. Suonavo e cantavo in questo ristorante frequentato da calciatori, manager dello sport e imprenditori. Tra loro campioni come Beckenbauer e Rumenigge che con la moglie Martina si innamorarono della mia voce. Mi dissero che dovevo esibirmi negli stadi. Mi fecereo conoscere un grande manager del calcio che mi fece cantare in tutti gli stadi tedeschi più importanti prima di eventi top come le partite di champion’s league davanti a 50, 60 mila spettatori. Una fortuna straordinaria - racconta. Lo sport è stato davvero il mio trampolino di lancio. Perchè in quelle occasioni sugli spalti ci sono tutti, anche i manager discografici e quello della Universal mi scoprì proprio così. Si avvicinò e mi propose di incidere un disco. Presi la palla al balzo: è la storia di ‘Eternità’ questo il titolo del brano che cantai anche in occasione di un incontro di boxe di pesi massimi. Il brano piacque a tal punto che dopo cinque settimane era già disco d’oro. Da lì mi invitarono in tutte le più importanti trasmissioni tv tra Germania, Svizzera e Austria. Ero veramente una star nonostante fossi giovanissimo. Non era popolarità, di quella che ti regala il talent show, avevo


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successo. Mi mancava però l’Italia, perchè la Germania non si interfaccia molto in questo settore con il nostro Paese». E cosa fece? «Mi avvicinai, sperando di partecipare a Sanremo Giovani. Baudo mi rispose che uno che aveva venduto tutti quei dischi e che aveva già duettato in giro per il mondo con gente come Carreras o Chaka Khan non poteva fare gara con perfetti sconosciuti. Così mi propose di gareggiare tra i big, anche se in verità in Italia ancora nessuno sapeva chi fossi. Arrivai terzo con ‘Schiavo d’amore’». Il sogno si è realizzato. «Sì, volevo rientrare in Italia ma non immaginavo che sarebbe accaduto in modo tanto fantastico». Ora la sua carriera viaggia a gonfie vele non solo nel mondo, da Shangai a Pechino, dall’Europa al Canada ma anche nella sua terra d’origine. «E’ vero, ho solo 36 anni, tante cose da fare e tanti giovani da aiutare. Vorrei evitare che ragazzi appassionati di musica e dotati di buone capacità siano costretti a emigrare fuori regione o addirittura all’estero come è capitato a me per emergere e farsi conoscere dal grande pubblico». Da dove arrivano i suoi allievi? «Un po’ da tutta Italia. E’ bello perchè un’accademia che si trova in Abruzzo si interfaccia con tutto il territorio nazionale, a breve apriremo una succursale a Marsala. In Sicilia ci sono tanti talenti». Ha già lanciato qualche artista? «Sì, alcuni si sono già esibiti nelle emittenti nazionali a ‘Io

canto’, o ‘Ti lascio una canzone’ ma anche a ‘X-factor’. Un altro debutterà proprio a giorni in un importante festival in Canada, a Toronto». Ma poi con l’interista Rumenigge e gli altri ha mantenuto rapporti? «Sì, ci vediamo ogni tanto. Succederà anche a Natale, andrò a esibirmi al gala degli auguri del Bayern Monaco. E pensare che io sono un tifoso milanista...» La canzone alla quale è più affezionato? «Beh, ‘Schiavo d’amore’, per il cambio di marcia che ha impresso alla mia vita facendomi rientrare in Italia. Ma anche ‘Nessun dorma’ della Turandot, perchè è un brano che temo sempre tanto e che forse proprio per questo mi regala ogni volta grandi emozioni. I cantanti pop-rock preferiti? Tra gli italiani Claudio Baglioni, un poeta. Tra gli stranieri Elthon John per la classe e il grande Freddy Mercury per la grinta e l’energia che era capace di sprigionare e per quello che ci ha lasciato». Ma se potesse con chi le piacerebbe duettare? «Con Bono, di cui ammiro il fraseggio, lo stile e il sentimento che comunque mette nelle sue canzoni. Un italiano che mi ha colpito favorevolmente negli ultimi anni è stato invece Mengoni. Il suo brano ‘Essenziale’ è bellissimo». E intanto? «Intanto mi dedico alla mia ‘clinica privata del canto’ che ci tengo a distinguere dai ‘centri commerciali del canto’, e mi dedico alla prossima tournée che è legata all’uscita del mio ultimo disco: Parlami d’amore Mariù, in cui ripercorro ottant’anni di musica italiana con successi evegreen...»

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SULLE TRACCE DI TERESA

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n India, sui passi dei luoghi sacri frequentati da madre Teresa di Calcutta, l’Istituto dei Medici di Firenze completa il lavoro di restauro della Cattedrale del Sacro Cuore di Delhi e di due chiese, la basilica di Nostra Signora delle Grazie e la chiesa di San Francesco. Le preghiere della grande missionaria si rivolgevano spesso al Santo di Assisi, nella chiesa di Dehradun, difronte ad una monumentale serie di affreschi posizionati all’altezza di sette metri e dipinti da un artista italiano settant’anni fa. I lavori sono stati frazionati nel tempo e complessivamente hanno avuto una durata di dieci anni, la direzione è stata eseguita dal professor Lorenzo Casamenti che, con la sua equipe, è intervenuto su undici affreschi e sette dipinti e sui complessi marmorei di tre cattedrali a Dehradun, Sardhana e Delhi. I costi dell’intero intervento tecnico sono stati sostenuti dall’Istituto fiorentino, in nome dell’amicizia e dell’affetto che lega Fabrizio e Carla Guarducci, rispettivamente presidente e direttrice dell’istituto di restauro, al vescovo della

diocesi di Meerut, mons. Patrik Nair, grande amico di Madre Teresa di Calcutta. All’impresa hanno contribuito anche, per la parte dei costi iniziali, i frati Cappuccini di Montuli, altri privati e la Cattedrale di Delhi. Il lavoro più complesso di questo percorso indiano risulta essere quello della chiesa di San Francesco a Dehradun. Il restauro degli affreschi sulla vita S. Francesco, 140 mq a 7 metri di altezza, fortemente danneggiati dalla pioggia subentrata dalla rottura del tetto. Sono stati puliti gli affreschi eliminando l’intonaco intaccato da funghi e muffe e ricostruito con un nuovo impasto di calce e sabbia di fiume, mentre per la parte pittorica è stata utilizzata una tecnica ad imitazione usando colori ad acquerello e a tempera. A Sardhana l’equipe è intervenuta sulla Basilica di Nostra Signora delle Grazie, nell’immenso complesso marmoreo dell’artista italiano Adamo Tadolini in marmo bianco di Carrara. La pulitura del marmo è avvenuta tramite impacchi di cellulosa con carbo-

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nato di ammonio, tali da permettere l’asportazione dello sporco senza l’azione meccanica. Il complesso era completamente annerito dal fumo di candele dei decenni trascorsi. Ed infine a Dehli, nella Cattedrale del Sacro Cuore, sul restauro di 90mq di affresco raffigurante l’ultima cena. Affresco affetto da scrostamento, sul quale sono intervenuti con una pulitura con acqua satura di carbonato di ammonio e acqua distillata. Il successivo restauro pittorico è stato effettuato usando la tecnica del sottotono (stesso colore ma leggermente più chiaro) usando i colori a tempera e ad acquerello. L’intero reportage degli interventi è stato realizzato dal fotografo Luca Bracali, che ha accompagnato il professore nei suoi viaggi internazionali. Bracali ha anche progettato un documentario dove raccontare il ciclo di interventi del restauratore, impegnato in missioni fino al confine del mondo in soccorso dell’arte sofferente di ogni religione. Katrin Bove


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IL CACCIATORE D’IMMAGINI

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er descriverne la singolare figura sono sufficienti alcuni numeri: 134 paesi visitati, 96 servizi su Rai1 come regista, 29 mostre in Italia e nel mondo, 15 spedizioni artiche e polari, 5 libri pubblicati e persino un asteroide, che brilla nel cosmo a 300 milioni di anni luce dalla terra, che porta il suo nome. Luca Bracali, fotografo, giornalista, regista ed esploratore, è toscano di nascita, ma può essere considerato un vero cittadino del mondo che ha fatto del viaggio e del reportage una professione ed una missione da svolgere con sensibilità e rispetto. Una figura eclettica, sempre alla ricerca di nuovi obiettivi da affrontare con umiltà e determinazione, che in decenni di carriera ha esplorato gli angoli più remoti del pianeta, documentandone le bellezze e la fragilità degli ecosistemi messi in pericolo dalle azioni gli stessi esseri umani. Bracali ha mosso i primi passi nel mondo della fotografia e del giornalismo nel 1986, come inviato di alcune testate sportive, seguendo i mondiali di Motocross, Motogp e, in seguito, di Formula1. Ha firmato numerosi servizi su riviste di viaggi, cultura e turismo; e conquistato quattro premi internazionali legati alla fotografia e al reportage. Dal 2008 è membro dell’Associazione giovani scienziati polari (Apecs) per i suoi contributi diffusi a livello mediatico

legati a problematiche ambientali quali lo scioglimento dei ghiacciai e il riscaldamento globale. Oltre 40 interviste radiofoniche e televisive con dirette satellitari hanno documentato le sue spedizioni artiche. Nel 2009 è stato l’unico reporter e documentarista a raggiungere sugli sci il Polo Nord geografico. Nel 2010 ha debuttato nel mondo della fotografia d’arte con mostre personali in pinacoteche e gallerie a Roma, Sofia, Kiev, Copenaghen, Montreal e New York. Nel 2011 è anche approdato sul piccolo schermo, diventando conduttore per un programma di viaggi in onda su Sky. Nello stesso anno è stato tra il primo reporter e documentarista al mondo ad accedere all’interno del Global Seed Vault, nelle isole Svalbard, uno scrigno fra i ghiacci che custodisce il patrimonio mondiale delle sementi. Ha inoltre diretto 96 servizi come regista per Rai1 ed è stato ospite in 25 trasmissioni e TG delle reti Rai come esploratore e documentarista. Tre dei suoi reportage, dei quali ha firmato testi e fotografie, sul restauro dei Moai nell'isola di Pasqua, sulla base artica del CNR "Dirigibile Italia" nelle isole Svalbard e sui grandi telescopi di Cerro Paranal sono stati pubblicati sul prestigioso magazine National Geographic. Nelle foto Luca Bracali e un’immagine di in suo reportage

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COSTUME & SOCIETÀ TRE I S O LE N PER VO TE SCEL

È GIÀ NATALE

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a festa più attesa dell’anno è alle porte. Sarà per l’atmosfera che si respira, sarà perché poi ci si può rilassare con qualche giorno di vacanza, sarà perché ci si avvia verso un nuovo anno, ma il Natale nonostante tutto, riesce ancora a regalarci un pizzico di gioia. Per i più piccoli poi, inutile dirlo, il Natale è la festa di Babbo Natale, e questo significa regali. E se tanto è divertente e facile curiosare tra giocattoli, bambole e videogiochi per scovare il regalo più adatto a soddisfare i desideri dei più piccini, tanto è difficile, complicata e, diciamolo, a volte anche un po’ noiosa la ricerca del regalo ideale per gli adulti. Spesso ci si affida al classico, e rischioso, riciclo oppure ci si riduce la sera della Vigilia alla disperata ricerca di un libro, una cravatta, un cd musicale senza pensare troppo a quanto possa effettivamente essere adatto al destinatario. Negli ultimi anni, le tendenze in fatto di regali natalizi sono molto cambiate. La rivoluzione più grande è stata senza dubbio nel settore hi-tech; mai come oggi, infatti, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale nella nostra vita di tutti i giorni e così smartphones, tablet, lettori musicali, ebook, decoder, si rivelano alcune tra le idee regalo più diffuse. Adatti a tutte le età, sono regali moderni e utili con cui si sbaglia raramente. Ma anche i prodotti e le offerte legate al benessere ed alla cura della persona sono regali sempre più apprezzati. La filosofia, in molti casi l’ossessione, di un corpo perfetto ha reso palestre e centri benessere sempre più affollati e ormai anche l’universo

BORSA GHERARDINI La versione mini dell’iconica borsa della maison, la Bellina, è proposta nell’elegante versione in pitone effetto laminato, resa ancor più preziosa dai decor realizzati in metallo dorato. L’accessorio perfetto per la notte più importante dell’anno.

di Allegra Contoli

maschile ama prendersi cura di sé con beauty routine precise ed organizzate. Ecco quindi che un buono per un massaggio, un cofanetto con prodotti per il viso e/o il corpo o un weekend in una spa sono tra i regali più diffusi e, complice lo stress e la frenesia dei ritmi di tutti i giorni, desiderati. Anche i regali legati all’abbigliamento ed agli accessori continuano ad essere tra i più gettonati. Un paio di guanti o un cappellino di lana servono sempre e sono soluzioni rapide, economiche ma che non fanno sfigurare, così come i regali dedicati alla casa, quali candele, cornici, sopramobili proprio perché “possono sempre servire”. Più personali, invece, profumi e gioielli, la cui scelta è senza dubbio rischiosa a patto di conoscere molto bene il destinatario mentre gli accessori da ufficio, come custodie per tablet o borse per trasportare notebook, rimangono tra i regali più utilizzabili. Insomma, il Natale è l’occasione per sbizzarrirsi, per osare o più semplicemente per togliersi uno sfizio senza troppi sensi di colpa. Rigorosamente vietati i ricicli mentre è stata rivalutata l’idea di “dirsi” anticipatamente i regali così da non commettere errori ed evitare imbarazzi. L’importante è non esagerare e cercare di pensare a cosa l’altra persona può effettivamente desiderare o di cui può avere bisogno. Di seguito, alcune proposte per il Natale 2014 da cui prendere ispirazione per evitare la “corsa della Vigilia” alla ricerca degli ultimi regali!

CUFFIA ARENA Originalissime cuffie della linea training di Arena. Poolishsnow è la cuffia confortevole che propone in versione “siliconica” la trama del classico cappello di lana da snowborder. Innovativa, stravagante e super stilosa… solo per intenditori!

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COSTUME & SOCIETÀ KIT PENNELLI CLAIRE’S

Comodo set di pennelli per make up Claire’s con astuccio di paillettes.

BRACCIALI 1AR

ORECCHINI LEBOLE Orecchini Lebole della collezione Lady Murasaki che contiene piccoli diari rivestiti da sete di antichi kimoni dove è possibile scrivere un pensiero di auguri per il Natale o per il nuovo anno.

BORSONE HACKETT Pratico ed elegante il borsone firmato Hackett London realizzato con la classica fantasia “ a scacchi” in morbida lana con manici e rifiniture in pelle marrone.

Eleganti bracciali rigidi realizzati con l’utilizzo di metalli e leghe di pregio, nobilitati da materiali naturali. Disponibili nella versioni giallo, bianco e rosè. Collezione 1AR

RHUM ZACAPA

SCARPE HACKETT

L’ e d i z i o n e speciale 2014 di Zacapa XO è costituita da un cofanetto in noce che ospita la bottiglia della più alta referenza Zacapa insieme a un sofisticato secchiello dorato per il ghiaccio, alle pinze e a due bicchieri Alchemy personalizzati.

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Comode e morbide sneakers di pelle marrone con inserti in lana a fantasia tweed.


COSTUME & SOCIETÀ CAMICIA WEBB&SCOTT Camicia Slim 100 Cotone tessuto stampato – lavato senza tasca . Collo francese, tessuto a contrasto

D-AGE & ACTION SUBLIME GIFT BOX COMFORT ZONE

Il kit comprende: D-Age Cream (200 ml), crema corpo dalla texture generosa ad azione rassodante anti-ageing che contrasta simultaneamente le diverse aggressioni causate da invecchiamento biologico, atonia dei tessuti, radicali liberi ed inquinamento atmosferico. Grazie ad un’esclusiva formulazione, favorisce un profondo drenaggio, contrasta efficacemente la formazione di smagliature, regala alla pelle elasticità, setosità e una gradevole profumazione di arancio amaro. Action Sublime Cream (50 ml), crema viso protettiva ad azione anti-rughe della linea Action Sublime, un sistema innovativo ad azione multipla per contrastare simultaneamente le diverse aggressioni causate da radicali liberi, esposizione solare, inquinamento ed invecchiamento biologico.

ZAINO SMART TRAVELLER PER PC DI LEITZ Design elegante ed alla moda per il pratico zaino fimato Leitz. Spazioso grazie ai due scomparti ed ad un terzo più piccolo, è la soluzione ideale per l’ufficio, l’università o il tempo libero. Dispone di 20 tasche ed ha uno scomparto pensato proprio notebook e tablet: imbottito all’interno con un tessuto morbido per proteggere il dispositivo.

MAN SPACE GIFT BOX COMFORT ZONE

Man Space Shower Performer (200 ml), bagnodoccia rivitalizzante per corpo e capelli. Man Space Extra Protection Cream (50 ml), crema viso protettiva e nutriente.

OROLOGI LOCMAN

Orologi Locman modello Change. Orologi con il cinturino intercambiabile per avere colori diversi dello stesso orologio. I Change sono venduti in un elegante astuccio di pelle con un set di cinturini di diversi colori in pelle naturale o in silicone anallergico a colorazione vegetale.

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LE RICETTE DEI GRANDI CHEF LA PERGOLA

1 di Heinz Beck

" ... grazie alla magia delle materie prime, una mousse al cioccolato può essere alleggerita da un albume montato - più lieve della pannache custodisce, in ogni caso, il gusto profumato del cioccolato. Fra tutti i dolci, il cioccolato resta sicuramente il più emozionante e, anche dopo tanti stimoli, riesce a dare un impulso netto e deciso al cervello. Servito a fine pasto, segna l'iter-culinario con una sensazione di euforia".

SABLÉ AL CACAO CON CREMOSO DI CIOCCOLATO AL LATTE E SORBETTO ALLE FRAGOLE MOUSSE 3 uova 3 tuorli 25 gr Zucchero 20 gr Nescafè classic 2 fogli Gelatina 10 ml Rhum scuro 15 ml Tia Maria 200 gr Cioccolato al latte, 40 675 ml Panna CREMOSO ALLA LIQUIRIZIA 250 ml Latte 250 ml Panna 80 gr Zucchero 70 gr Tuorli 2 fogli Gelatina 325 gr Cioccolato al latte 10 gr Pasta di liquirizia

SABLÉ AL CACAO 230 gr Burro 200 gr Zucchero 360 gr Farina 100 gr Cacao 2 gr Sale

SORBETTO ALLA FRAGOLA 1 lt Purea di fragole 150 gr Maltodestrine BON BON AL CAFFÈ 150 ml Panna 5 gr Nescafè Classic 25 ml Sciroppo di glucosio 250 gr Cioccolato al latte, 40% 50 gr Cioccolato fondente, 64% 50 gr Burro 15 ml Kalua GLASSATURA 100 gr Cioccolato al latte, 40% 100 gr Burro di Cacao GUARNIZIONE DEL PIATTO Polvere di pistacchio Fiori eduli Spirali di cioccolato PORZIONI 12 Cucina: Mediterranea: Italiana DIFFICOLTÀ ***

CATEGORIA: DESSERT

LA PREPARAZIONE INGREDIENTI PER 4 PERSONE: Lavorazione 1. La mousse: Montare le uova con lo zucchero e il Nescafè a bagnomaria portando ad una temperatura di 65°C. Aggiungere la gelatina precedentemente ammorbidita in acqua fredda, il cioccolato fuso ed i liquori. A 32°C aggiungere la panna semi-montata. Versare il tutto in un sacchetto da pasticceria e lasciare addensare in frigorifero per qualche ora. 2. Il cremoso alla liquirizia: Portare ad 82°C il latte, la panna, lo zucchero e i tuorli. Inserire la gelatina precedentemente ammorbidita in acqua fredda. Versare sul cioccolato ed aggiungere la pasta di liquirizia. Amalgamare il tutto, filtrare e conservare in frigorifero. Una volta addensato, mescolare con una frusta e conservare in un sacchetto da pasticceria. 3. Il sablé al cacao: Unire il burro, lo zucchero, la farina, il cacao e del sale. Versare in una planetaria e con la foglia fare sabbiare. Versare in una placca da pasticceria e cuocere a 160°C per 10-13 minuti. 4. Il sorbetto alla fragola: Unire alla purea di fragole le maltodestrine ed un pizzico di sale. Frullare, conservare in frigorifero per una notte. Mantecare in una gelatiera. 5. Bon bon al caffè: Portare ad ebollizione la panna, il Nescafè e lo sciroppo di glucosio. Versare sui cioccolati ed emulsionare. A 32°C incorporare il burro e il liquore al caffè. Formare dei tartufini e glassarli con burro di cacao e cioccolato al latte temperato a 32°C in parti uguali. PRESENTAZIONE DEL PIATTO Al centro del piatto alternare delle strisce di mousse al caffè e cremoso alla liquirizia. Coprire il tutto con la sablé al cacao e decorare con due bon bon al caffè, una quenelle di sorbetto alle fragole, polvere di pistacchio, fiori eduli e spirali di cioccolato.

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OPEN COLONNA

2 di Antonello Colonna

U

n anarchico ai fornelli, l'Ottavo Re di Roma: sono alcune delle definizioni usate da giornalisti, critici gastronomici, amici o semplici appassionati della cucina dello Chef Antonello Colonna. Il 10 Luglio 1985 prende le redini dell’attività di famiglia e ne stravolge completamente le linee guida. Il Natale e il Capodanno vanno vissuti rispolverando le tradizioni regionali e familiari. Si parte dalla tavola. Una bella tovaglia bianca di lino o canapa, una di quelle che profuma di Marsiglia, perché per ricordare la tradizione servono i profumi. Poi un po' di vischio o pungitopo e due cesti stracolmi di mandarini con le foglie. Questa è la base sulla quale lavorare. Consiglio innanzitutto di acquistare prodotti stagionali: basta con ciliegie o anguria a dicembre, meglio mandarini e arance, il cui profumo si lega alle feste natalizie. E poi portiamo a tavola i numerosi ortaggi di questo periodo, soprattutto nella vigilia: broccoli, cavoli, borragine, puntarelle, che bene si accompagnano alle tipiche frittelle di baccalà. Nel periodo invernale e soprattutto con le feste Natalizie non possiamo non mettere sulle nostre tavole il brodo. Un buon piatto legato alle nostre antiche tradizioni che è sempre un piacere gustare. (vedi ricetta allegato). Come secondo piatto, il baccalà alla cacciatora con vicino una splendida insalata di arance e olive di Gaeta. Visto che ci siamo per la cacciatora recuperiamo anche il mortaio e aggiungiamo due fette di acciughe che serviranno per condire i filetti opportunamente soffritti in poco olio. Occhio che si bruciano e chi può sfumi con un po' di vino bianco. Verdure di contorno? Due puntarelle con le acciughe e un po' di cicoria di campo. Chiudiamo col dolce. Prima tornano i mandarini che avevamo messo a guarnire sul tavolo, poi biscotti, tozzetti e un po' di panettone che non è una tradizione solo milanese.

LA RICETTA

CAPPELLETTI DI CODA ALLA VACCINARA IN BRODO DI CAPPONE INGREDIENTI PER 4 PERSONE: cappelletti 40 PER IL BRODO: ossa di vitello 7 kg, sedano 1 kg, carote ½ kg, cipolle 4, alloro 3 foglie, pepe in grani, aglio 2 spicchi, acqua 101 PER IL RIPIENO: carote 250 gr, sedano 270 gr, cipolla 180 gr, magro di manzo 200 gr di macinato, carne di cappone 300 gr, albume 300 gr, sale 200 gr, pomodoro pelato 2 cucchiai PER LA FARCIA

coda di bue 80 gr, pomodori pelati 50 gr, sedano 1 costa, carota ½, cipolla piccola ½, aglio 1 spicchio, guanciale 10 gr, alloro 1 foglia, pepe nero in grani 1 manciata PREPARAZIONE Per preparare il brodo, riempire una pentola con l’acqua e unire le verdure e le ossa precedentemente tostate. Fare cuocere per 5-6 ore senza mai portare a ebollizione. A cottura ultimata, lasciare riposare il tutto per un’intera notte, quindi chiarificare il brodo, cioè eliminare il grasso in eccesso venuto in superficie. A parte, in un cutter versare le carote, il sedano, la cipolla, il macinato, la carne di cappone, gli albumi, il sale e il pomodoro e mescolare fino ad ottenere un trito. Mettere il tutto in una pentola avendo cura di disporre gli ingredienti in questo modo: la carne sul fondo, le verdure al centro e il pomodoro in superficie. Aggiungere il brodo chiarificato e fare cuocere sul fuoco moderato per 20 minuti. Gli albumi surriscaldati, saliranno in superficie, creando uno strato di protezione che dovrete forare per permettere al brodo di cuocere completamente. Per i cappelletti, cuocere la coda rosolandola in una casseruola capiente; lavare e tagliare a dadini il sedano, la carota e la cipolla e unirli alla coda insieme al guanciale sminuzzato, alla foglia di alloro e al pepe. Fare appassire per qualche minuto e dopo aggiungere i pelati precedentemente passati. Lasciare cuocere per 5-6 ore. Nel frattempo, preparare la pasta all’uovo amalgamando tutti gli ingredienti fino a ottenere un composto liscio e omogeneo. Fare riposare la pasta ottenuta e passare a preparare la farcia: scaloppare la coda cotta e tritarla finemente insieme alla salsa di pomodoro, quindi versare il composto in un sac à poche. Tirare la pasta finemente, ricavarne dei quadrati di 4 cm per lato, riempirli con la farcia ottenuta e chiuderli a triangolo. Rifilare gli angoli e ripiegarli su se stessi fino a formare un cappelletto. Una volta pronti i cappelletti portare a ebollizione il brodo e fare cuocere. Servire caldi. VINO ABBINATO Cori Rosso Doc Capolemole 2008 Marco Carpineti

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ALL’ORO RESTAURANT

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di Riccardo di Giacinto

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o chef Riccardo Di Giacinto per questo Natale propone uno dei suoi piatti costruito con la testa prima e con la pancia poi: “Ravioli cinesi al vapore con castrato, verza e pecorino”. Un viaggio sensoriale tra l’oriente e l’occidente, tra le origini e l’esperienza, questo piatto è il legame tra due mondi: la ricetta della pasta acqua e farina, che in questo caso usiamo con cottura al vapore, in Abruzzo viene utilizzata con un'altra cottura quindi fritta, realizzando dei ravioli farciti con castagne e cacao "I Caginetti" dolci tipici natalizi abruzzesi, terra dello chef. E’ anche un piatto ipersostenibile, poichè il 99% degli ingredienti proviene da agricoltura e allevamenti biologici della campagna romana, pensato quindi per aiutare i piccoli produttori e salvare la nostra identità, abbattendo anche l’inquinamento per il trasporto. Un piatto ipergoloso che produce energia positiva, che come la maggior parte delle creazioni dello chef unisce tradizione e innovazione trasformandosi in contemporaneità. Il vino in abbinamento a questo piatto è il Brut Peter Lauer Reasling 1991. Abbiamo la fermentazione in legno e l’affinamento per metà in botti da 1000 lt e il resto in acciaio. Passa 20 anni sui lieviti, di grande complessità e finezza, caratterizzata da una spiccata mineralità, sorprende la classica nota di ardesia. Al naso si presenta con note di frutta a polpa gialla, come albicocca e pesca gialla. Colpisce la stupenda nota di mele e datteri. Al palato è verticale come una spada, preciso ed austero ed è una grandissima espressione che ci fa capire a che livello può arrivare la spumantizzazione del riesling.

Ingredienti per 4 persone:

LA RICETTA

PER LA PASTA:

350 gr farina manitoba, 200 gr farina00, 70 gr olio di semi, 260 gr h2o tiepida Impastare tutti gli ingredienti e far riposare 24 ore in frigo.

PER LA VERZA:

Verza tagliata a julienne e sbollentata leggermente e fatta raffreddare rapidamente in acqua e ghiaccio.

PER LA CREMA DI PECORINO:

300 gr pecorino grattugiato, 100 gr di latte Portare il latte ad ebollizione e aggiungere il pecorino. Frullare il tutto facendo attenzione a non lasciare grumi nell'impasto

PER IL SUGO DI CASTRATO:

3 kg di castrato di agnello, 500 gr cipolla, 250 gr carota, 230 gr sedano, 2,5 kg pomodori pelati Rosolare le verdure in una padella aggiungere la polpa del castrato precedentemente scottata in padella versare il pomodoro frullato e setacciato far cuocere per almeno due ore. Una volta cotta si separa la carne dal sugo. Il sugo si fa restringere fino a densità desiderata la carne si utilizzerà per farcire i ravioli.

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L’ANGOLO DELL’ENOTECA: CARPENE’ RE DEL PROSECCO

A

mpliarne e svilupparne le nuove occasioni di consumo. Dopo averlo destagionalizzato e trasformato da spumante tipico delle festività a vino da “accompagnamento” in qualsiasi giorno dell’anno o momento della giornata, ovunque e con chiunque. E’ questo la strategia di una delle cantine storiche – più precisamente, della cantina storica in assoluto – della spumantistica italiana, la Carpenè Malvolti, giunta alla quinta generazione con l’arrivo alla guida di Rosanna Carpenè. Un’azienda che ha accompagnato la crescita del Prosecco superiore Docg e dove il discorso sul Prosecco è accompagnato da un ultimatum: “non chiamatelo fenomeno”. “Il Prosecco Superiore Docg è una realtà ben definita – spiega Domenico Scimone, global sales & marketing director – che si è affermata nel mondo intero grazie alle sue peculiari caratteristiche, alla sua freschezza e al suo inscindibile legame con il territorio, che si avvale altresì dell’energia di migliaia di viticoltori e produttori i quali, tra le colline incastonate fra Conegliano e Valdobbiadene, si tramandano un tradizione secolare di generazione in generazione”. Una tradizione condotta di generazione in generazione, fin dal 1868, anche alla Carpené Malvolti. Qualità robusta ma approccio facile, questi – raccontano alla carpené Malvolti – sono gli elementi che, più di ogni altro, hanno contribuito a raggiungere i grandi numeri che ormai caratterizzano questo prodotto delle colline venete. “La produzione totale di Prosecco Superiore Docg ormai sfiora i 69 milioni di bottiglie – sottolinea Scimone – con un trend in costante crescita. Negli ultimi dieci anni l’aumento è stato pari al 70%, dovuto soprattutto agli incrementi di volume nei mercati esteri, consolidatisi nel tempo grazie alle tendenze espansive in tutti i cinque continenti. Se oggi l’Italia è il primo esportatore mondiale di bollicine, molto deve al Prosecco, considerato che tra Doc e Superiore Docg, la produzione ha superatro i 320 milioni di bottiglie. Sono quasi 28 i milioni di bottiglie di Prosecco Superiore Docg esportate, circa il 45% della produzione totale, diretto principalmente

in Europa, che si assicura l’80% dell’export, poi nelle Americhe, con il 15%, in Asia e Africa, con il 2,5%, e in Oceania, con l’1,5%” Al di là delle macro aree, esistono poi delle nicchie significative. “Particolarmente interessanti – segnala Scimone - sono i risultati raggiunti sui mercato della Svizzera e del Regno Unito in termini di volumi, valori e percentuali di crescita, così come degna di nota è l’espansione nei Paesi dell’Oceania e dell’America Latina, oltre che nei Brics, l’acronimo con cui si definiscono Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. In questo contesto le performance della nostra azienda – conclude Scimone – sono in perfetta linea con il soddisfacente trend del settore e confermano la nostra posizione di leader nella Docg sia in Italia che sul fonte estero, dove la presenza di Carpenè Malvolti è più marcata. I mercati internazionali assicurano circa il 55% dei quasi 20 milioni di fatturato derivati da una produzione annua di cinque milioni e 400mila bottiglie”. PI.RO.

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NF PROPONE CROCIANI NOBILE DI MONTEPULCIANO

C

onoscere Susanna Crociani vuol dire incontrare una donna forte che sa affrontare problemi e avversità con il sorriso. E’ nata a Montepulciano, dove dirige con cipiglio l’azienda vitivinicola di famiglia. Ma non ha sempre vissuto in mezzo a tralci e botti. Negli anni novanta, infatti, dopo qualche anno di esperienza al Cantiere internazionale d’arte di Montepulciano (allora evento annuale di richiamo internazionale) si è trasferita a Roma, punto di partenza per tanti viaggi in giro per il mondo a organizzare i concerti di alcune tra le star italiane all’epoca di maggior successo, da Morandi a Ruggeri, tanto per fare due nomi tra i tanti. Un lavoro che le piaceva, per quanto fosse faticoso, e che le dava grandi soddisfazioni. Dopo la scomparsa di papà Arnaldo, fondatore della cantina che porta il nome di famiglia,

il fratello Giorgio le propone di tornare a Montepulciano per raccogliere insieme il testimone di un’azienda piccola, ma già conosciuta per la qualità e l’originalità dei suoi vini. E Susanna decide di gettarsi nella nuova impresa. Suo compito quello di trovare nuovi mercati, di internazionalizzare l’azienda che vendeva quasi esclusivamente in Italia o direttamente in cantina, dove già allora era possibile partecipare a degustazioni guidate e assaggi di prodotti tipici locali. Dopo pochi anni, organizzato il mercato, acquista un bel casolare nella campagna poliziana e lo trasforma in un agriturismo - “Il cantastorie” - in onore del padre che era, appunto, il cantastorie del “Bruscello poliziano”, la rappresentazione popolare che si tiene ogni anno nella piazza principale della città. Ma nel 2007 un evento che potrebbe interrompere una catena di successi che ormai contraddistinguono la cantina Crociani: Susanna rimane sola a guidare l’azienda. Lei, però, è capace di imprimere un’altra sterzata alla propria vita e da astemia si trasforma in tecnico dell’azienda. Studia di agronomia ed enologia, impara ad assaggiare i vini, ma soprattutto si fa una sua idea di come deve essere un grande Vino Nobile di Montepulciano e lavora perché il suo risponda a questa idea. Un’idea che è poi semplice: avere dei vigneti nelle zone più belle di Montepulciano e lasciare che il terroir faccia il resto. In cantina le uve vanno “solo” valorizzate, niente interventi chimici o fisici che ne modifichino l’iniziale valore. Tra le peculiarità dei suoi vigneti, oltre alla invidiabile posizione, la presenza del “Mammolo”, un antico vitigno da sempre usato in piccole quantità (max 2-5 %) per conferire al Vino Nobile di Montepulciano profumi molto particolari. Il Vino Nobile di Montepulciano in primis, ma anche il Vin Santo, di Susanna sono prodotti originali perché tradizionali. In cantina ci sono bottiglie di Vino Nobile a partire dalla vendemmia 1955 ed è dal 1985 che esiste la cantina di affinamento in legno nel centro storico di Montepulciano. Così nel 2015 si festeggeranno due anniversari - un 30° e un 60° - e sarà un concerto di grandi vini! PI.RO.

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COSTUME & SOCIETÀ ra La most EO “AMED NI LIA MODIG is” a et ses m

BELLO E IMPOSSIBILE

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ello e impossibile. Sempre con una giacca di velluto tori, uccidendo così anche il figlio che stava per nascere. Tra nero e un foulard rosso annodato al collo, uno sguardo il reale e l'irreale, come quei misteri che Dedo aveva sempre vivace e profondo che neanche la malattia e l'alcol riucercato dietro le maschere senza tempo dei suoi ritratti e che sciranno a modificare. Bello lo era proprio Amedeo Modiha lasciato a tutti noi come un' eredità da comprendere. Migliani, Dedo per gli amici, di una bellezza quasi aristocratica, steri che si sono trascinati dopo la sua morte con la scomparsa forse derivata da quell'ideale astratto e ieratico profuso nelle inspiegabile della prima figlia, caduta dalle scale a Livorno, statue dell'antichità che lui amava tanto. Un contrasto insaproprio mentre si apprestava a scrivere la sua biografia. Misteri nabile con il suo carattere, irruente e collerico, impossibile, che sono arrivati fino ad oggi, quando si sono viste aprire le appunto; persino irriporte del carcere nei ducibile, sia nella sua confronti dei suoi previta trasgressiva, fatta sunti falsari. di donne, vino e droCon la firma del Cenghe, sia nella ricerca tro Pompidou di Parigi continua della perfel'intensa storia di Amezione del tratto e della deo Modigliani può essemplificazione delle sere letta nelle sale di immagini. La sua storia Palazzo Blu, la masdrammatica lo ha trasima sede espositiva sui sformato in un persolungarni pisani che naggio leggendario, fino al 15 febbraio geniale e sfortunato, un offre una ricca e attenta po' tenero e un po' imselezione di capolavori pudente, ridotto a ciprovenienti da collebarsi solo di fagioli e zioni pubbliche e prisardine ma anche viovate. Oltre cento opere lento al punto tale da tra le più famose e straJ. M. Bouhours, del Centro Pompidou di Parigi, che ha curato la mostra di Pisa distruggere, sotto l'efordinarie ci accompafetto dell'alcol, le opere dei suoi colleghi di Rue du Delta, che gnano indietro nel tempo facendoci ripercorrere un'avventura mai glielo perdonarono. Un mito, quello di Modì, l'artista artistica che ha avuto il suo epicentro nei quartieri di Parigi maledetto, che comincia a Livorno, città dove nacque in una dove un gruppo di 'audaci' come Picasso, Braque, Chagall, facoltosa famiglia ebraica, per continuare a Parigi, tra MonBrancusi, Derain e molti altri rivoluzionariono la pittura deltmarte e Montparnasse, in uno dei paesaggi artistici più intel'epoca in un'atmosfera culturale entusiasmante. Modì, il disressanti e rivoluzionari del secolo scorso. Un mito che non si soluto, nato alla scuola dei Macchiaioli a Livorno, partecipò è mai spento, forse anche per la sua tragica fine, così commoa questa avanguardia pur rifiutandosi di aderire a qualsiasi vente da sembrare un romanzo. Lui era ormai agonizzante in movimento, fosse questo il cubismo o l'astrattismo. <Restò una fredda stanza al numero 8 di rue de la Grand Chaumiere, sempre un lupo solitario, molto individualista>, spiega il cudove i suoi amici lo trovarono in mezzo alle scatolette vuote ratore della mostra Jean Michel Bouhours, del Centro Pomdi sardine. Jeanne Hebuterne, l' amata e giovanissima Jeanne pidou. <Chiese di conoscere Picasso e abitarono in case vicine, che ha condiviso con Modigliani gli ultimi anni di stenti, lo ma le relazioni tra i due non furono mai significative. Tuttavia stava cullando. Il giorno dopo, disperata, si sarebbe gettata da in alcune opere presenti in mostra sono chiari i segni della sua una finestra al quinto piano dell'appartamento dei suoi geniinfluenza, soprattutto tra il 1907 e il 1910>.

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Una delle false teste di Modigliani della Beffa di Livorno

Un'esposizione importante quella di Palazzo Blu, che raccoglie dipinti e sculture dell'artista geniale, raramente insieme e a confronto con quelle degli autori con cui lui condivise gli anni parigini. Eccezionale anche la presenza di due opere dello scultore rumeno Costantin Brancusi, che gli indicò la strada della scultura aprendogli il suo atelier, salvo poi arrivare a cacciarlo perchè, sempre pieno di alcol, era rischioso affidargli uno scalpello. Storie di una vita sperperata che ha trovato il suo riscatto nell'arte, soprattutto in quei ritratti dai colli lunghissimi e senza corpo, quasi scolpiti più che dipinti, ormai diventati una delle icone dell'arte moderna. <Modigliani è riuscito a rendere nuovamente vivo il ritratto>, sottolinea Jean Michel Bouhours. <Nel cubismo e ancora di più nell'astrattismo questo non aveva più alcuna ragion d'essere perchè veniva meno il principio di somiglianza. Modigliani ha portato un contributo fondamentale inserendo il ritratto nella modernità>. Sempre alla ricerca di un suo stile originale, Modì ebbe comunque i suoi guai con i clienti. Come nel caso della baronessa Marguerite de Hasse de Villers, rappresentata con un'aria distante nella sua veste di equitazione. Ma lei voleva un ritratto ufficiale che portasse i segni della sua provenienza borghese. Invece il pittore captò i tratti del suo carattere, eliminò qualsiasi sfondo e la sua giacca rossa da amazzone diventò color ocra. Così lei rifiutò il quadro e Modigliani pagò una volta di più l'ostessa di chez Rosine con un disegno per poter mangiare un piatto di minestra. D'altronde erano solo le persone nella loro veste di esseri umani che interessavano Amedeo. Eppure quei sorrisi malinconici e quegli occhi vuoti forse svelavano anche il suo dramma, il suo mal di vivere. <La felicità è un angelo dal viso serio>, scrisse una volta. I suoi angeli non ridevano mai, ma dietro quella tristezza c'era tutta la loro anima. Valeria Caldelli

FALSI FAMOSI

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ISA - Sono false come Giuda eppure hanno conquistate il loro posto nella storia, anche se non nell'arte. Tanto che ora sono esposte a poche centinaia di metri dalla mostra pisana di Palazzo Blu dedicata a 'Modigliani e i suoi amici'. Ad aprire le porte alle tre sculture della famosa beffa di Livorno, ritrovate durante l'estate del 1984 nei fossi che attraversano la città è stato addirittura il Museo di San Matteo, una delle più importanti e antiche istituzioni che ospita artisti medievali quali Simone Martini a Giovanni Pisano. "I tre reperti si offrono ancora oggi quale testimonianza di un'autosuggestione collettiva, nata nel nome di Modigliani, che sembra affondare le sue motivazioni nel desiderio di trasformare un sogno, un mito, in realtà", ha spiegato il direttore del museo, Dario Matteoni. E difatti successe l'incredibile quel 24 luglio di 30 anni fa, quando la prima testa fu 'ripescata' nei fossi davanti alle telecamere della Tv: eminenti studiosi, tra cui lo stesso Giulio Carlo Argan, gridarono alla scoperta, mentre altri critici, nonché periti, ne confermarono l'autenticità, così come la lunga permanenza di quelle pietre nell'acqua. L'esultanza fu generale e furono 40 giorni di apoteosi per Livorno perchè nelle settimane successive altre due 'opere' vennero tirate sù dalla draga, di fronte ad un pubblico col fiato sospeso. Era il trionfo. Peccato che tre studenti livornesi sciuparono la festa. "Continuavano a non trovare niente, così abbiamo deciso di fargli trovare qualcosa", spiegarono al settimanale 'Panorama' Pietro Luridana, Francesco Ferrucci e Michele Ghelarducci, oggi apprezzati professionisti, dimostrando come avevano 'creato il primo falso con un normale trapano Black&Decker dopo aver visto l'affannoso e inconcludente dragaggio dei fossi nei primi giorni delle ricerche. Alle altre due teste contrafatte ci aveva pensato autonomamente un artista spiantato e donnaiolo, Angelo Froglia, ex portuale, spinto dal clamore del primo ritrovamento. Anche lui uscì allo scoperto e disse che lo aveva fatto per spirito di rivalsa verso i critici d'arte. In effetti fu un risveglio un po' brusco per loro, costretti alla fine ad ammettere di aver preso una bella 'cantonata' perché solo di 'patacche' si trattava. Questo racconta la cronaca, a cui, come è giusto che sia, seguì la vergogna. E le tre 'opere', dopo il loro quarto d'ora di celebrità, finirono in qualche armadio del Comune, nell'attesa che il tempo stendesse un pietoso velo sull'intera vicenda. Sono rispuntate qualche mese fa, a 30 anni dalla burla, ed esposte a Livorno con grande successo di pubblico, i tre 'falsari' presenti all'inaugurazione insieme al neosindaco Nogarin. E dal 3 ottobre sono appunto a Pisa, nel museo di San Matteo, tempio dell'arte medievale (autentica), dalla parte opposta del lungarno dove, a Palazzo Blu, imperano in questo stesso periodo le opere (autentiche) di Modì, in una mostra organizzata dalla Fondazione Palazzo Blu in collaborazione con il Centro Pompidou di Parigi. Capolavori e pasticci. Verità e bugie. Ma in fondo anche le 'patacche' hanno una storia. Sarà meglio non dimenticarsela. (v.c.)

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DA GUERCINO A CARAVAGGIO

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NA MOSTRA da vedere «Da Guercino a Caravaggio Sir Denis Mahon e l’arte italiana del XVII secolo» che fino all’8 febbraio condensa nel suggestivo contesto di Palazzo Barberini, Galleria Nazionale di Arte Antica in via delle Quattro Fontane alcuni capolavori appartenuti a Sir Denis Mahon. Personaggio che dedicò la vita al Barocco italiano, le sue scoperte e i suoi studi sulla bellezza della pittura bolognese alle soglie del Seicento, portarono alla luce eccezionali artisti come Guercino, fino ad allora pittore non riconosciuto nella sua grandezza. La mostra organizzata grazie alla Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma, diretta da Daniela Porro, realizzata dalla società Beni Culturali e con il sostegno di The Sir Denis Mahon Charitable Trust, a cura di Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese, Sergey Androsov, dell’Hermitage Museum e Mina Gregori, propone un percorso espositivo con oltre 45 capolavori assoluti. Alcuni appartenuti alla collezione di Sir Denis, insieme alle opere di Poussin, Guercino, Carracci e Caravaggio provenienti dall’Hermitage Museum di San Pietroburgo e da altre raccolte pubbliche che generosamente hanno contribuito alla eccezionale ricchezza di questa esposizione. L’intento quindi, oltre ad un doveroso omaggio ad un grande mecenate europeo amante dell’Italia e della sua arte, è quello di mettere a un ideale confronto opere di assoluto valore affinché queste non

siano solo il risultato definitivo di conoscenze acquisite e concluse, ma possano ancora oggi portare a momenti di studio, emozioni e discussioni, per una ulteriore riscoperta del nostro passato e della nostra storia dell’arte. La grande generosità di Sir Denis Mahon si riconfermò con un lascito testamentario che destò clamore donando alcune significative opere anche alla Pinacoteca Nazionale di Bologna. I capolavori

della Scuola Emiliana del ‘ 600, con artisti come Annibale Carracci, Domenichino, Guercino, Guido Reni, Benedetto Gennari, che già erano stati destinati in donazione alla Pinacoteca Nazionale di Bologna dal 1990, furono trasferiti definitivamente nella ‘proprietà’ dello Stato italiano grazie ad un provvedimento dello Stato britannico che ne concesse l’uscita definitiva dal paese. Questa Mostra tiene conto

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dell’intero percorso di studi del mecenate, e comprende sia grandi capolavori dell’arte italiana, Guercino Caravaggio Guido Reni Annibale Carracci ed altri, nonché le due grandi battaglie, capolavori di Nicolas Poussin, dipinti che fino ad oggi non era stato possibile vedere insieme. In esposizione anche una delle opere del Guercino più amata da Mahon– La Madonna del passero - il più grande esempio di teatro della realtà tipico dell’artista di Cento. E poi Il suonatore di Liuto di Caravaggio della collezione dell’Hermitage Museum. Il Suonatore di liuto è l’unica opera di Caravaggio presente in Russia, concesso in prestito a questa mostra nonostante ricorrano i 250 anni dell’Hermitage. Tra gli altri anche il famoso Bacchino malato, prestito dalla Galleria Borghese di Roma, e il San Francesco in meditazione prestito del Museo Civico Ala Ponzone di Cremona; ed infine Giuditta e Oloferne prestito della Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini. Per la prima volta in uno spazio Museale italiano poi la possibilità di utilizzare i famosi Google Glass, che offrono al visitatore un racconto diverso all’arte barocca: osservando alcune opere esposte, la possibilità di visualizzare sullo schermo dei Glass un racconto di approfondimento e di confronto della mostra, curiosando tra la realtà e il virtuale. E poi sarà possibile, su prenotazione, avere visite guidate ed Audioguide con uno storytelling per i più piccoli, alla scoperta del bello e della nostra arte. Don. Mil.


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LA VITA OLTRE L’EURO

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erché da sette anni l’economia dell’Italia va a fondo? Perché alcuni Paesi dell’Unione Europea crescono, mentre altri sono sull’orlo del fallimento? Perché Francesi e Inglesi sono arrivati al punto di immaginare un referendum per liberarsi di quest’Europa? Sono le domande che i politici – italiani ed europei – sono stati costretti a porsi, quest’anno, subito dopo gli choccanti risultati delle elezioni europee. Molti di questi politici, soprattutto in Italia e in Francia, oggi pensano che l’Europa e l’euro debbano essere cambiati, oppure l’Unione rischia di implodere. Già cinque anni fa, però, un imprenditore aveva previsto quello che sta avvenendo oggi: Ernesto Preatoni. Le sue teorie, esposte sui principali quotidiani italiani – allora, quando la stragrande maggioranza di politici ed economisti tifavano per la moneta unica – avevano raccolto aspre critiche. Oggi le sue opinioni sulla moneta unica e sugli eurovincoli sono oggetto di valutazione tra i politici eletti a Bruxelles, oltre che tema di dibattito tra economisti e opinionisti in Italia. In una vivace conversazione con il direttore del Giorno,

Giancarlo Mazzuca, Preatoni – con l’approccio dell’economista pragmatico, che sa unire la visione dell’imprenditore a quella dello studioso dei fenomeni economici – spiega perché quest’euro non può funzionare – e non ha mai funzionato – per l’Italia e per l’Europa, perché gli eurovincoli rischiano di farci affondare e perché anni fa autorevoli politici abbiano insistito per portare l’Italia in un’Unione sbagliata e oggi, anche di fronte all’evidenza – non vogliano rassegnarsi a cambiare idea. I “sacerdoti dell’euro”, che allora – con una visione miope – portarono l’Italia nell’unione monetaria, oggi rischiano di trascinare l’Italia oltre il ciglio del baratro e di condannarla a un default paragonabile a quello argentino. Unica via di salvezza? Un ritorno ordinato alla lira. Perché c’è una vita fuori dall’euro (come dimostrano i Paesi europei che non hanno accettato di adottare la moneta unica) ed esiste una vita anche oltre all’euro, per chi deciderà – con coraggio – di abbandonare una valuta nata male e finita peggio. Il libro-intervista (Rubbettino Editore) è da qualche giorno in edicola.

Ernesto Preatoni

Giancarlo Mazzuca

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UOMO E DIGNITÀ

di Paolo Coccopalmerio

La vita e’ governata da una moltitudine di forze. Le cose andrebbero assai lisce se si potesse determinare il corso delle proprie azioni esclusivamente in base a un unico principio morale, la cui applicazione in un dato momento fosse tanto ovvia da non richiedere neppure un istante di riflessione. Ma non riesco a ricordare una sola azione che si sia potuta determinare con tanta facilità” (Ghandi, Massime e Principi). Con queste poche e semplici parole uno dei maestri del sapere universale introduce un pensiero che abbraccia il concetto, la categoria filosofica inscindibile afferente all’Uomo ed alla sua Dignità, ai suoi doveri intrinseci, al suo Io. La domanda di fondo, se si esamina questo binomio, è quello di stabilire se questi due momenti dell’essere umano e del modo più giusto di esserlo, siano o meno acefali, manchino, cioè, di un ulteriore elemento. Credo di sì. Uomo e Dignità sono inscindibili, se non li si collochi in un ottica relativa ad un contesto sociale. In una prospettiva scientifico filosofica moderna (vedasi Hobbes, Il Leviatano) l’uomo esce dallo stato di natura e quindi dalla sua condizione di ani-

male (homo homini lupus), per cercare di costruire una società, ovvero un consesso civile in cui per la moltitudine dei suoi simili sia possibile una vita pacifica e civile, degna, appunto, di essere vissuta. La società è il presupposto essenziale in cui l’uomo, emancipandosi, assorbe quelle caratteristiche che lo rendono libero, diverso, autonomo, piena-

mente consapevole di sé. La Società come consorzio, come unione, come koinè. All’interno della quale e nel corso dei secoli vengono a svilupparsi tutta una serie di regole scritte e non scritte che regolano le abitudini e i comportamenti degli individui.

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Questi concetti suesposti hanno trovato un riconoscimento da parte del Santo Padre Papa Francesco, in un recente Congresso tenutosi presso la Sala dei Papi, rivolto alla Delegazione dell’Associazione internazionale di Diritto penale. In sintesi il Sommo pontefice si è soffermato sulla massima attenzione da porre nei confronti di quelle regole giuridiche che in certi ordinamenti vanno a ledere la dignità e quindi gli stessi diritti fondamentali degli individui (vedasi la pena di morte, il populismo penale, la tratta delle persone). La dignità è quel complesso di diritti e doveri che ognuno ha e deve rispettare nei confronti di sé stesso e degli altri. Una parte inscindibile che l’essere umano assume nei confronti dei suoi consimili e della società di cui è parte fondante. La dignità individuale e sociale, e questo è sotto gli occhi di tutti, non sempre è cosi facile a raggiungersi. Un complesso alle volte anche oscuro di desideri, comportamenti, fini umani porta la società stessa ad essere nemica dell’uomo, che l’ha creata. La teoria sociale della cospirazione (vedasi Karl Popper, Congetture e Confutazioni, Libro secondo), è un


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opinione dottrinale secondo cui tutto quello che accade nella società, spesso accadimenti lesivi della stessa, sia un preciso intento di gruppi di potere o come la scienza politica più precisa definisce, di pressione. Di fronte ad uno stato di fatto potenzialmente lesivo, l’uomo talora complice, talatra vittima è limitato nel suo legittimo principio di godimento e dell’esplicazione della dignità. Viene quindi da chiedersi quali siano i principi fondanti della “buona” società ( e quindi della felicità, del rispetto, del progresso) in una struttura in cui dominano e non da ieri, comportamenti e dottrine che vanno contro la dignità dell’uomo e dell’uomo stesso, in quanto “civis”. Ricordiamo queste poche righe: “La società ha indebolito l’uomo non soltanto togliendogli il diritto di disporre delle proprie forze, ma anche rendendogliele insufficenti. Ecco

perché i suoi desideri si moltiplicano di pari passo con la sua debolezza ed ecco da dove deriva quella del bambino paragonato all’uomo adulto” (vedasi Jean- Jacques Rousseau, Emilio, Libro secondo). Dobbiamo quindi considerare l’uomo come un bambino in balia di una famiglia cattiva (la società di cui è parte) o come una vittima? Si può dire che all’interno del “sistema mondo” alcuni soggetti portano avanti propositi ed intendimenti nobili che sono in linea con un concetto “attivo” di dignità; molte altre situazioni, spesso determinate da situazioni geopolitiche cogenti, indeboliscono l’essere umano e le sue speranze di dignità che non lo debbano rendere quel tipo di “suddito” che Spinoza (vedasi Trattato Teologico – Politico, XVII), aberrava.

DIALOGO SULL’ISLAM

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l libro di Dag e Alberto Tessore, appena uscito per i tipi di Fazi (collana “Campo de’ Fiori”, n. 32), costituisce un lavoro al tempo stesso fruibile e significativo; soprattutto, esso è un utilissimo strumento per sgombrare il campo da equivoci tanto annosi quanto perniciosi. Esso risulta accessibile per la forma utilizzata - il dialogo, appunto, che rimanda ad una venerabile tradizione oggi per lo più banalizzata -; è degno di letture e riletture per la dialettica anche aspra, ma sincera, che la discussione sviluppa, oltre che per i temi trattati, che coprono sia gli aspetti storico-sociali che quelli più propriamente religiosi e spirituali inerenti allo sfaccettato universo islamico. L’ottica, in quest’ultimo caso, è talora comparativa; peraltro, la struttura dialogica e lo stile del tutto intelligibile non impediscono al testo una profondità non comune, pur nel tono generalmente e volutamente divulgativo dell’opera (p. 8). Dalla trattazione emergono i profili di uno giovane studioso di preparazione pressoché enciclopedica, ma non affetto dai mali dell’occidentalissima idolatria della “cul-

di Marco Toti

tura“, e di un fine, esperto viaggiatore ed operatore culturale: entrambi attenti, pur su posizioni abbastanza ben definite e distanti, a cogliere ed a rispettare le sfumature della vita e delle diverse culture. Talvolta il dialogo può sembrare quasi asimmetrico - è Dag a menare le danze, rispondendo spesso alle domande di Alberto -, tanta è la divergenza tra i due interlocutori; altre volte all’opposizione per diametrum dei punti di vista si sostituisce una encomiabile complementarietà delle posizioni espresse dai due autori. La distanza “ideologica” non è comunque solo relativa alle opinioni professate, ma concerne pure le prospettive adottate da Dag e Alberto: storico-filologica, ma sempre con un occhio di riguardo ai temi più precipuamente spirituali nel caso di Dag, credente; antropologica nel caso di Alberto, “agnostico“ epperò aperto alla dimensione della spiritualità. Entrambi, comunque, attribuiscono alla religione un senso concreto, pratico, esistenziale: ed è forse questo l’aspetto centrale di un lavoro di cui consigliamo caldamente la lettura.

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NATALE IN CASA SPOLVI

di Alessandro Spolvi (scrittore)

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uando mia madre, ci diceva, prepariamo l’addobbo di Natale, per noi in casa cominciavano le festività. Una scala per raggiungere il soppalco, dove c’erano le scatole di legno da dove sarebbero uscite le palle per l’albero. Erano sempre belle, nonostante fossero le stesse degli anni passati. Di vetro, colorate con finiture in oro e argento, una diversa dall’altra,

così delicate che le maneggiavamo con cura per paura che si rompessero. Mio padre portava l’abete, quello vero con il vaso in terracotta (non esistevano alberi finti). Ricordo che il vaso veniva ricoperto di carta rossa o bianca, a seconda della disponibilità del cartolaio sotto casa. L’odore che emanava si diffondeva per tutta la casa, regalandoti la sensazione del Natale. Con le mie sorelle, Rossana e Giuliana, e mio fratello Giancarlo, il maggiore, cominciavamo la vestizione dell’abete, partendo dal puntale in vetro rosso per poi scendere verso il basso. Tutto in un silenzio assoluto, interrotto a volte dal rumore di una sfera caduta che si rompeva in mille pezzi. Finito di addobbare l’albero con palline e candeline, l’immancabile colpo di scena: la neve. Rigorosamente fatta con batuffoli di cotone perché non avevamo la neve spray, né tantomeno luci al leed e fari laser per illuminarlo,

Alessandro Spolvi e il fratello, tra Babbo Natale e la Befana

Nuova Finanza - novembre, dicembre 2014 - Pag. 64

anche se lo facevano i nostri occhi puntati su di lui. Sotto l’albero non c’erano giocattoli, ma torrone (uno), panettone (uno) e bottiglia di Asti Gancia (una). Poi la cena di Natale, la tombola con parenti e amici che proseguiva anche oltre le due di notte. Caso unico, perché di solito alle 21.00 eravamo a letto. Mi torna in mente quel torrone duro come la pietra, l’uva passa del panettone e l’odore dei mandarini che faceva festa solo a sentirlo. Era il mio Natale quello. Così come lo era per altri ragazzini del 1954, cresciuti tra finto boom economico, cambiali vere, TV in bianco e nero e carosello. Era quello il nostro Natale: “tradizionale”. Ma quello che ricordo più volentieri è quello del 1960, quando ruppi l’abete con tutte le palle colorate in testa a mio fratello che aveva rubato il torrone. Mi mangiai anche quello prima che rientrasse mio padre. Sento ancora il sapore di quei calci.


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