Nuova finanza NUMERO 5/2014

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BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO

Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013

Anno 2014 Numero 5 SETTEMBRE OTTOBRE

NASCE LA BORSA MERCI A SAN MARINO

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IL PUNTO UE: la moneta non è tutto

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LONDRA Tea for two? Ancora business

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QUOTATE Le performance delle aziende



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Il Punto Ue, la moneta non è tutto ABI: Il Presidente Patuelli “Costruiamo una nuova fase” Piattaforma digitale La BMI e le imprese del mondo BMI: nuovi scenari L’idea di G. Fiorenza Il Segretario di Stato Arzilli Il ruolo di San Marino Unioncamere Intervista al Presidente Dardanello Italia-Europa Il Terzo Valico Unindustria e BBC di Roma Insieme per ripartire Credito Cooperativo BCC, plus per il Paese Fondazione Roma Europea I “salotti” internazionali Italia grande Paese Il rovescio della medaglia I pericoli della retorica Industria militare a rischio TerniEnergia Prima smart energy company Reportage dalla Basilicata Terra dei grandi contrasti Un progetto “Paese” Crescita, riforme e Expo Costume & Società Mitoraj: la mostra “dei miracoli” “Tradire”, una vera liberazione “Vendetta…e dintorni” Sud Africa: “il mondo in un Paese” Scarpe, lo specchio dell’anima Ma quale D’Annunzio? Madra, un centro per le donne Londra:Tea for two? Religione e letteratura

SOCIETÀ QUOTATE a cura dell’Ufficio Marketing

48 FINMECCANICA 50 ANSALDO STS 52 GTECH 54 BPM

56 BANCA CARIGE 58 BENI STABILI SIIQ 59 MARR 60 GRUPPO BOERO

Le nostre interviste Il Presidente dell’ABI Patuelli a pag 4

Nuova Finanza

Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale

Francesco Carrassi Direttore Responsabile

Pietro Romano

Direzione Marketing e Redazione

Katrin Bove Germana Loizzi

Editore Kage srl 00136 Roma - Via Romeo Romei, 23 Tel. e Fax +39 06 39736411 www.nuovafinanza.com - redazione@nuovafinanza.it Per la pubblicità: nuovafinanza@nuovafinanza.it Autorizzazione Tribunale di Roma n. 88/2010 del 16 marzo 2010 Iscrizione ROC n. 23306 Stampa STI - Società Tipografica Italia Via Sesto Celere, 3 - 00152 Roma Progetto Grafico Mauro Carlini Abbonamento annuo Euro 48,00 Hanno collaborato: Marco Barbonaglia, Katrin Bove, Valeria Caldelli, Germana Loizzi, Alberto Mazzuca, Donatella Miliani, Giuliano Noci, Joselia Pisano, Gaia Romani, Elena Saporiti, Francesca Stirpe, Marco Toti.


IL PUNTO del direttore

UE, LA MONETA NON È TUTTO di Pietro Romano

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l 15 settembre del 2008, all’una di notte ora di New York, Lehman Brothers dichiarava il fallimento. A sei anni e pochi giorni di distanza da quel crac da oltre 600 miliardi di dollari, che ha dato il “la” a una crisi finanziaria scoppiata l’anno precedente e destinata a diventarela più devastante crisi economica della storia moderna, è arrivato il momento di valutarne non solo le cause ma anche le cure adottate. Perché questa crisi si è dimostrata di gran lunga più dolorosa della “grande depressione”, perlomeno in Italia, considerato che in capo a cinque anni, allora, la produzione era tornata al periodo precrisi mentre oggi tutti gli indicatori rimangono negativi. L’allora ceo di Lehman Brothers, Richard C. Fuld, detto Dick, non riuscì né a vendere la banca zavorrata di crediti inesigibili né a ottenere il salvataggio pubblico. Motivi politici, probabilmente. Wall Street all’epoca era vista parteggiare per i Democratici più che per i Repubblicani e l’amministrazione guidata da George W. Bush non voleva concedere agli avversari nemmeno un centimetro. Che dietro la vicenda di Lehman Brothers non ci fosse dolo, perlomeno dolo evidente, lo dimostra il fatto che Fuld non abbia fatto un giorno di galera. Il che la dice lunga in un Paese che, da tempo, non fa sconti nemmeno ai “colletti bianchi” più potenti e doviziosi, cui infligge pene centenarie e carcere duro. La situazione degli Usa è contraddittoria. Alcuni indicatori economici la-

sciano immaginare che la crisi sia alle spalle. Altri svelano che gli Stati Uniti non ne sono usciti realmente. Un dato per tutti? La disoccupazione, stabilmente a livelli ancora superiori a quelli degli anni in cui, ufficialmente, la crisi impazzava. Gli ottimisti, però, smontano questa valutazione spiegando che a cavallo della crisi il mondo del lavoro è cambiato dalle fondamenta: i disoccupati di lungo periodo non trovano lavoro non perché non ce ne sia, ma piuttosto perché la loro professionalità è legata a un’altra epoca. Tanto è vero che gli Stati Uniti attraggono non solo Latinos di scarsissima preparazione ed elevata disperazione, ma anche esperti di nuove tecnologie, quei technies che, a esempio, rifuggono l’Europa più dell’Africa. Certamente, i consumi negli States hanno recuperato il tempo perduto. Merito, solitario e indiscutibile, della iniezione di denaro pubblico decisa dalla Fed, la banca centrale federale. Stampare e versare nel sistema finanziario miliardi di dollari, assicurano i Democratici, ha dato effetti tangibili. Se, sostengono però i Repubblicani rifacendosi all’economista fondatore della Scuola di Chicago, Milton Friedman, questo denaro fosse stato lanciato alla folla da un elicottero, come Friedman per paradosso chiedeva, i risultati sarebbero

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stati di gran lunga migliori. Insomma, la partita si gioca tra chi vuol dare soldi alle famiglie e alle imprese manifatturiere e chi preferisce l’interme-

diazione della finanza e delle grandi corporation. Questo dibattito è aperto anche in


Europa a cavallo della mega-iniezione di capitali decisa dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Stavolta Francoforte assicura di

aver messo paletti tali da obbligare gli istituti di credito a girare questi fondi a imprese e famiglie. Ma, come ha te-

nuto a sottolineare il presidente della’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, la legge punisce chi presta denaro, non suo ma delle banche, a quanti non posseggono la solidità necessaria. Di conseguenza, nonostante l’ulteriore iniezione di capitali decisa dalla Bce, potrebbe capitare che le banche, in questo caso, siano “costrette” a comprare titoli a scarso rendimento ma sicuri. Del resto, anche il vicepresidente della Banca europea degli investimenti, Dario Scannapieco, ha lamentato di recente che i loro fondi sono disponibili, ma in Italia mancano i progetti. E non solo in Italia, si può aggiungere senza timore di smentita. E’ indubitabile che la crisi sia stata affrontata meglio dai Paesi con una banca centrale autonoma e in grado di intervenire con rapidità stampando moneta e non vincolata alla guerra a una inflazione che non esiste più e, comunque, non rappresenta il maggiore problema, com’è invece il mandato della Bce. Cambiarne la filosofia e la mentalità di Eurolandia è complicato, ma indispensabile. Nel frattempo servono grandi progetti. Coraggiosi. Magari visionari. Uno per tutti? Come finanziare il megapiano da 300 miliardi per le infrastrutture proposte dal nuovo presi-

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dente della Commissione europea, il lussemburghese Juncker in versione felicemente keynesiana? Se tutto si risolve in una partita di giro, meglio non farne niente. Dove trovare i fondi? Alcuni economisti eterodossi hanno proposto di costituire un fondo garantito dall’oro depositato presso la Bce dalle banche centrali dei Paesi europei. E’ stato calcolato che si potrebbe, senza grande difficoltà, ottenere capitali per un controvalore di mille miliardi. Inserirne anche solo la metà nei meccanismi produttivi - le infrastrutture (materiali e immateriali), l’energia, l’industria, l’agricoltura, magari riservando una quota minore agli investimenti nei sistemi di difesa, la salvaguardia idrogeologica, i beni artistici, l’educazione – assicurerebbe uno shock in grado di rilanciare il complesso meccanismo dell’economia europea. Questa proposta è stata affidata a Matteo Renzi, cui non sembrano mancare né la visionarietà né la guasconeria. E se il commissario finlandese di turno, magari su imbeccata di Angela Merkel, trovasse qualcosa da ridire, gli potrebbe rispondere che quando i suoi antenati vestivano di pelli, i nostri si permettevano il lusso di prestare quattrini ai Reali di mezza Europa. E, pr non riottenendoli indietro, di lasciare ai posteri le ricchezze di Firenze e di Venezia, di Milano e di Roma, di Napoli e di Palermo. Altrimenti? Forse è arrivato il momento di alzare l’asticella con i partner di Eurolandia. Ricordando loro che ormai da quarant’anni in Italia vige il divorzio…


ABI: IL PRESIDENTE PATUELLI

“COSTRUIAMO UNA NUOVA FASE” Alberto Mazzuca

A

ntonio Patuelli, bolognese di nascista e romagnolo di fatto, è l’attuale presidente dell’ABI, l’Associazione bancria italiana, oltre ad esserlo della Cassa di Risparmio di Ravenna. Studioso del Risorgimento italiano, editore di una rivista storica (“Libro Aperto”), ex deputato liberale e sottosegretario per la Difesa nel governo Ciampi dal maggio 1993 al maggio 1994. A lui abbiamo rivolto queste domande sulla situazione economica in Europa e in Italia. Il recente messaggio di Mario Draghi è abbastanza chiaro: vuole un minimo di crescita, l’aumento della massa monetaria a disposizione e un po’ di inflazione. Un mix che per i mercati significa prezzi delle equities più alti e quindi l’inizio della fine di una possibile bolla obbligazionaria. È d’accordo? Mario Draghi è indubbiamente il principale esponente europeo che ha assunto decisioni coraggiose e tempestive per contrastare le fasi più acute della grave e pronunciata crisi economica ancora in atto e per favorire la ripresa dello sviluppo. In tale quadro i rischi affrontati innanzitutto dalla BCE sono stati molteplici, quasi quotidiani, ma l’orizzonte, le sensibilità e le determinazioni hanno salvato l’euro e la stessa Unione Europea e sono la base per le scelte delle Istituzioni dei singoli Stati nazionali per le competenze di ciascuno. Ad avviso di molti la BCE si è mossa almeno con un anno di ritardo. E comunque in misura minore rispetto alla bocca di fuoco del QE della Fed e della Bank of Japan. È il caso quindi di parlare di una svolta della BCE quando non c’è stata una sconfitta

della linea rigorista? Non ritengo che la BCE si sia mossa con un anno di ritardo. E deve tenersi conto che, a differenza di Banche Centrali di Stati nazionali, la BCE ha un processo deliberativo forzatamente più complesso. Nonostante questa collegialità fra i componenti del sistema europeo delle Banche Centrali nazionali, le determinazioni della B C E guidata da Mario

Mario Draghi, Presidente BCE

Draghi sono state certamente molto più tempestive di quanto avveniva in precedenza. Anche questo rappresenta un passo in avanti sia per la solidità e la credibilità internazionale dell’euro sia della stessa Unione Europea. D’accordo, l’iniziativa mantiene le Borse vivaci e indebolisce il cambio dell’euro, utile per facilitare l’export.

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Ma alla fine l’azione sul lato monetario riuscirà solo a far galleggiare il sistema ma non a rimetterlo in crescita. È una previsione plausibile? L’azione sul lato monetario non può riuscire da sola a rimettere in moto una cospicua ripresa produttiva. Di ciò debbono essere fortemente consapevoli le Istituzioni tutte dei singoli Stati nazionali. La BCE ha fatto molto, ma non può fare tutto. La maggiore liquidità disponibile da parte della BCE, che compensa la minore liquidità in dollari causata dall’azione di rientro dalla fase di politica iper-espansiva della FED americana, non cambierà comunque la restrizione dei criteri di erogazione che limita il credito a chi ne avrebbe disperato bisogno. Non è così? Certamente la BCE ha fornito più liquidità in questi ultimissimi tempi, così come avevano e hanno fatto altre Banche Centrali nel mondo. Ma la crisi di questi anni ha imposto, per motivi prudenziali, di assumere iniziative per evitare ricadute, ripetizioni di altre crisi come quella di questi anni. Sono state necessarie, sottolineo, regole molto rigide per l’erogazione di crediti da parte delle banche commerciali e per la loro solidità patrimoniale. Si tratta di una tendenza non solo europea ma internazionale che è proprio frutto di questa crisi nata anche per una sottovalutazione di talune regole prudenziali che erano state allentate alla fine del Novecento. Quindi non basta dare soldi alle banche con il vincolo di non comprare debito pubblico, occorre obbligarle ad ab-


bassare gli spread che applicano a prestiti e mutui. I costi di finanziamento per le banche sono ai minimi storici, non lo sono invece per le aziende dell’economia reale… Il mercato non lo si obbliga. Chi ha pensato, in tutto il Novecento, a obbligare, costringere o superare il mercato è rimasto culturalmente e storicamente sconfitto. Il mercato va regolato da autorità che debbono svolgere le funzioni di garanzia nella competizione libera e responsabile. Le banche, per effettuare prestiti, non hanno bisogno solo di liquidità, ma di sempre più cospicui capitali - che costano. Peraltro la competizione in Europa fra le banche è piena e le aziende sono libere di scegliere l’istituto bancario che preferiscono. Di conseguenza, non si può rifiutare integralmente il mercato e la concorrenza fra le banche pensando così di costruire la ripresa dello sviluppo e un’economia libera. Così si costruirebbe solamente una nuova fase dittatoriale, subìta in varie parti d’Europa nel corso del Novecento e che in questi decenni ha ancor meno senso. Ma se non si agisce su quel differenziale, ovvero non si riesce ad avvicinare lo spread che gli istituti impongono al netto del tasso Eribor, non si va da nessuna parte nemmeno con tassi a zero e negativi sui depositi… Gli spread che gravano sul costo del denaro per le imprese e le famiglie sono sostanzialmente due: uno è derivante dal differenziale fra il costo dei titoli del debito pubblico italiano e di quelli innanzitutto tedeschi; il secondo riguarda il costo del servizio di intermediazione bancaria che non può certamente essere

gratuito. La somma dei fattori che prosorse proprie e di milioni dei loro azionisti ducono il costo del denaro realizza in che hanno concorso ai cospicui aumenti Europa e in Italia i livelli più bassi nei di capitale, senza alcun aiuto di stato a settanta anni dal dopoguerra. In partifondo perduto. colare, in Italia non vi erano tassi così Non trova comunque scandaloso che bassi come sono oggi per le imprese e le nessuno affronti il vero problema, famiglie nemmeno negli anni della ricioè il modello economico-finanziario costruzione post-bellica e del “miracolo che abbiamo costruito e in cui ci economico”. Chiaramente il costo del stiamo muovendo? denaro è anche parametrato alla rischiosità Ormai le norme dell’Unione Bancaria di chi lo chiede in prestito: ciò avviene Europea, che sta nascendo proprio in non solo nel mondo creditizio, ma questo 2014, sono diventate per tutti anche, per altre rischiosità, in quello as(non solo per l’Italia) più rigorose. Gli sicurativo “esami” che la BCE sta compiendo sulle Oltre a tutto anche le banche europee, principali banche in buona parte responsabili del collasso europee finanziario e della “Grande Recessione” sono finain cui si trova l’eurozona, continuano lizzati a ad avere problemi e sono esposte a un chiarire livello di leva di 26 a 1, cioè per ogni fino in dollaro di capitale ce ne sono 26 di fondo assets, compresi i prestiti. In condizioni la solidità simili, basta che gli assets calino del delle banvalore del 4% per ritrovarsi con il cache. I ripitale sottostante spazzato via… sulLe banche europee non sono tutte uguali, ma tutte diverse e in competizione fra loro; gli Stati internazionali poi, con diversi livelli di tassazioni, ne differenziano le attività. E in Italia la tassazione è fra le più alte nell’Unione Europea. Inoltre le banche italiane non sono state certamente responsabili né della crisi finanziaria, né della recessione dell’Europa che hanno subìto. Le banche italiane, forse uniche nell’Unione Europea, hanno fra l’altro affrontato la crisi esclusivamente con riAntonio Patuelli, Presidente dell’ABI

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tati che attendiamo innesteranno un ciclo di maggior fiducia internazionale sulla solidità della gran parte delle banche europee che hanno compiuto scelte complesse ed anche sacrifici, appunto per divenire ancor più solide. Parliamo dell’Italia. Il ministro Padoan ora dice che ci vuole un minimo di tre anni (e non più due come diceva fino all’altro ieri) per produrre “risultati visibili” attraverso le riforme strutturali. Si allinea in questo modo al nuovo slogan dei 1000 giorni di Renzi che ha cambiato anche lui passo di marcia. Ma non è più serio smetterla di prenderci in giro e dichiarare che prima di tre anni non potrà esserci ripresa né tanto meno nuova occupazione? Confidiamo e lavoriamo per realizzare al più presto la ripresa dello sviluppo, mai rassegnati. Vi sono alcuni segnali iniziali di ripresa, per esempio, nel settore dei mutui. I dati relativi ai primi sette mesi del 2014 confermano (anche ulteriormente rafforzando) la ripresa del mercato dei finanziamenti per l’acquisto delle abitazioni. Dal campione ABI, composto da 84 banche, che rappresenta circa l’80% della totalità del mercato italiano, emerge che tra gennaio e luglio 2014 l’ammontare delle erogazioni di nuovi mutui è stato pari a 14,6 miliardi di euro rispetto agli 11,4 miliardi dello stesso periodo del 2013. L’incremento su base annua è quindi del 29,2%. Se si considera l’intero mercato, sulla base dei dati Banca d’Italia, il tasso annuo di crescita sfiora il 16%. L’ammontare delle nuove erogazioni di mutui nel 2014 è superiore anche al dato del 2012, quando si attestarono sui 13 miliardi di euro.

Padoan, quando era al FMI e all’Ocse, cioè due degli organismi che hanno contribuito con le loro decisioni di eccessiva austerity alla crisi, diceva che bisognava tagliare gli stipendi. Possibile che sia questa l’unica riforma strutturale per i paesi della periferia europea? Tutte le Nazioni e gli Stati dell’Occidente e dell’Unione Europea hanno condizioni diversificate fra loro, per cui non può sussistere un’unica “ricetta anticrisi” uguale per tutti. Gli organismi europei e internazionali hanno competenze definite e così ne hanno altre i singoli Stati nazionali. Viviamo in una società ormai molto aperta e molto complessa. Oltre a tutto la riduzione delle retribuzioni si scontra con uno degli interventi della Bce che è quello di creare un po’ di inflazione. Se taglio gli stipendi produco deflazione, se voglio creare inflazione devo mettere più soldi in tasca ai cittadini in modo da fare aumentare la domanda e fare salire i prezzi… Appunto, non può esservi una ricetta giusta per le diverse realtà degli Stati nazionali che hanno ancora una ampia sovranità. Penso che siano importanti le attività in atto sia nell’Unione Europea, sia nella BCE, sia da parte degli Stati nazionali per favorire un clima di maggior fiducia. È infatti la mancanza di fiducia la principale causa attualmente della forte prudenza negli investimenti da parte delle imprese e anche da parte delle famiglie. Ma la fiducia non la si innesta dalla sera alla mattina, ma con processi progressivi di razionale costruttività.

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PIATTAFORMA DIGITALE

LA BMI E LE IMPRESE DEL MONDO

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Joselia Pisano

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astri di partenza a San Marino per la Borsa Merci Internazionale, la piattaforma digitale per il “matching” tra domanda e offerta di imprese di tutto il mondo, che farà della Repubblica del Titano un vero e proprio punto di riferimento globale nel campo del commercio tra Stati. Sì, perché se simili piattaforme sono già in uso, la Borsa Merci Internazionale ideata da Giorgio Fiorenza, introduce un nuovo concetto, quello dell’internazionalizzazione, grazie al tramite istituzionale individuato nelle Ambasciate dei vari Paesi accreditati presso la Repubblica di San Marino. In questo modo l’Ambasciata e l’Ente di riferimento si fanno tramite e garanti delle imprese che intendono aderire alla Borsa Merci, proponendo il proprio bene o servizio oppure facendo la propria richiesta. L’apertura a nuovi mercati e più ampie opportunità di interscambio e investimento delineano uno scenario di

crescita economica e sviluppo sociopolitico difficile da ignorare. È su questo assunto che si basa il concetto fondante la Borsa Merci Internazionale e che trova la perfetta collocazione proprio nella Repubblica di San Marino: un Paese attento alle novità, e che all’indomani dall’uscita dalla “Black List” dimostra una forte determinazione a diventare un punto di riferimento nel settore degli investimenti e dei commerci internazionali a livello globale. La crisi economica mondiale ha avuto negli ultimi anni un impatto considerevole sulle politiche adottate da molti Paesi, emergenti e non, in fatto di commercio internazionale. Spesso, però, i timori di un diffuso protezionismo si sono rivelati fondati solo in parte; ricerche pubblicate dalla Banca Mondiale, infatti, dimostrano che, in un periodo di difficoltà econo-

San Marino

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mica globalizzata, le realtà esportatrici tendono ad essere più produttive rispetto ad aziende operanti esclusivamente sul territorio nazionale. Parallelamente, è stato registrato un incremento del numero delle agenzie nazionali di promozione commerciale, che è addirittura triplicato negli ultimi anni: secondo gli studi effettuati anche in questo caso dalla Banca Mondiale su 103 Paesi, sia svi-


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luppati che in via di sviluppo, oggi il lavoro delle agenzie di promozione commerciale ha prodotto un effetto statisticamente significante sul volume delle esportazioni. Basti pensare, a puro titolo esemplificativo che il Perù, nel solo settore di esportazione di frutta e ortaggi, ha avuto un incremento da 101 milioni di dollari registrati nel 2000 a 1,7 miliardi di dollari nel primo semestre del 2013, e ha affrontato i primi mesi del 2014 aumentando l’export del 32% rispetto ai risultati ottenuti nello stesso periodo dello scorso anno. Il Fondo Monetario Internazionale ha quindi stimato che nel 2017 le economie che una volta venivano considerate emergenti arriveranno a produrre il 74% del PIL mondiale: dal 2007 al 2013 molti Paesi in via di sviluppo

hanno infatti migliorato la loro capacità di vendere o acquistare sui mercati internazionali: tra questi l’Angola, l’Uganda, il Vietnam, le Filippine. Così come la Colombia, la Tunisia, il Perù. Inoltre, le più recenti previsioni WEO (Word Economic Outlook) stimano una importante ripresa delle economie di Paesi come la Russia, il Brasile, la Cina, l’India, con una media di crescita dal 5,1% al 5,4% nel biennio 20142015. Ma come funzionerà in pratica la Borsa Merci Internazionale? Il primo passaggio sarà quello dell’adesione dei Paesi, che dovranno autorizzare l’Ente di promozione commerciale a trasferire tutti i dati già in suo possesso, in termini di domanda e offerta commerciale, nel ‘contenitore’ della

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piattaforma digitale della Borsa Merci Internazionale. Si creerà in questo modo un link tra i due siti in modo che ogni qualvolta l’Ente di un determinato paese aggiornerà i dati sul proprio sito internet, in automatico verrà aggiornata anche la piattaforma della Borsa Merci Internazionale. L’Ente, con username e password, potrà monitorare l’andamento delle proprie proposte commerciali ed accedere al sistema per visualizzare domande e offerte degli altri Paesi aderenti. Inoltre, attraverso un report giornaliero, sarà costantemente informato sull’andamento delle singole proposte inserite nel «contenitore» Borsa Merci Internazionale. Grande attenzione è dedicata al tema sicurezza. I sistemi di sicurezza della piattaforma digitale della Borsa Merci Internazionale sono tra i più evoluti ed inviolabili tra quelli oggi esistenti. Gli Enti aderenti, per l’accesso, saranno dotati di un «token» di autenticazione a codice variabile ed un sistema interattivo di monitoraggio della piattaforma della Borsa Merci Internazionale segnalerà eventuali tentativi di intrusione sia all’Ente che al Gestore che provvederà all’immediata messa in sicurezza dell’impianto. Le domande e le offerte pubblicate non indicheranno il Paese di riferimento ma semplicemente il contenuto della proposta, la quantità, il prezzo e la scadenza della stessa, accompagnata da una breve nota comprensiva delle informazioni generali quali, a puro titolo esemplificativo, le modalità di trasporto, indicazione dell’imposizione fiscale, le modalità e la tipologia di pagamento richiesti. Altra


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caratteristica principale di questo progetto riguarda l’aspetto etico. La Borsa Merci Internazionale si pone infatti, principalmente, come strumento di lavoro interattivo a favore di quei Paesi in via di sviluppo non dotati di applicazioni tecnologiche ed informatiche per pubblicizzare in modo adeguato le proprie domande e le proprie offerte. Tutti i Paesi partecipanti, quindi, avranno gli stessi diritti e le stesse prerogative e tutti godranno allo stesso modo dei vantaggi che il sistema offre. Per l’accesso alla piattaforma il Paese che intenderà partecipare non avrà da sopportare alcun costo di adesione, attivazione, gestione, supporto tecnico informatico o di abbonamento periodico. Solamente nel caso di positiva conclusione dell’affare è previsto il pagamento di un corrispettivo predeterminato a favore della Borsa Merci Internazionale.

Sono già numerosi i Paesi che hanno espresso un parere favorevole nei confronti dell’iniziativa, che sarà presentata ufficialmente il 25 settembre a Roma, in occasione di un evento diplomatico, un vero e proprio summit internazionale di Ambasciatori e addetti commerciali di vari Paesi. “La Borsa Merci Internazionale rappresenta un mondo di opportunità per i Paesi, emergenti e non, che vorranno aderire all’iniziativa e intendono così affacciarsi su nuovi mercati o potenziare il loro flusso di importexport” spiega l’ideatore Giorgio Fiorenza. Semplicità, sicurezza, etica: questi gli assunti di base su cui si costruisce l’iniziativa e che rappresenta, appunto, non solo un mondo di opportunità, ma una vera e propria opportunità per il mondo degli affari.

L’EVENTO DIPLOMATICO

L

a Borsa Merci Internazionale presenta una vera novità nel panorama di iniziative simili ed operanti in tutto il mondo: il coinvolgimento degli Stati, che tramite le proprie Ambasciate e i rispettivi Enti di promozione commerciale, accreditano le aziende che potranno, così, operare all’interno della stessa Borsa Merci Internazionale. E saranno proprio gli Ambasciatori e gli addetti commerciali di 150 Paesi accreditati in Italia a ricevere l’invito per l’esclusivo evento diplomatico di presentazione dell’iniziativa: un vero e proprio “summit” di rappresentanti internazionali, che il prossimo 25 settembre si daranno appuntamento al Marriott Grand Hotel Flora di via Veneto a Roma per approfondire le modalità di adesione alla Borsa Merci Internazionale e avere così l’opportunità di trovare nuovi mercati per l’acquisto e la vendita delle merci prodotte nei loro Paesi.

All’evento saranno presenti, in rappresentanza istituzionale della Repubblica di San Marino, l’Ambasciatore in Italia Daniela Rotondaro e il Segretario di Stato all’Industria Marco Arzilli, che insieme all’ideatore della Borsa Merci Internazionale Giorgio Fiorenza, illustreranno agli Ambasciatori le peculiarità di una iniziativa tanto unica nel suo genere quanto ricca di potenzialità commerciali difficili da ignorare nell’attuale realtà economica mondiale. La Borsa Merci Internazionale, infatti, nasce come strumento utile per i Paesi in via di sviluppo, ma non solo, che intendono aprire i propri mercati a nuovi interlocutori, trovare ambiti di sviluppo e partner commerciali da tutto il mondo. Di questo e molto altro, quindi, si parlerà in occasione dell’evento di presentazione istituzionale della Borsa Merci Internazionale, in programma a Roma il 25 settembre.

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BMI: NUOVI SCENARI

L’IDEA DI G. FIORENZA

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uova Finanza ha incontrato Giorgio Fiorenza, ideatore della Borsa Merci Internazionale: un progetto tanto ambizioso quanto innovativo, che farà della Repubblica di San Marino uno snodo importante nell’ambito del commercio internazionale e che aprirà nuovi scenari di compravendita delle merci in tutto il mondo. A partire dai Paesi in via di sviluppo. Come è nata l’idea della Borsa Merci Internazionale? L’idea nasce dalla semplice osservazione di ciò che mi circonda e, più in generale, dall’osservazione della realtà quotidiana in cui mi trovo ad operare. Ho infartti l’onore di ricoprire la carica di Console Onorario della Repubblica del Perù nella Repubblica di San Marino. Un Console Onorario è chiamato ad essere, a trecentossessanta gradi, un rappresentante attivo e propositivo del Paese da cui ha ricevuto questo prezioso incarico. Un Console Onorario, alla luce degli sconvolgimenti economici che determinano gravi squilibri politici e finanziari di moltissimi Paesi, rappresenta in questa delicata fase storica una figura a cui è richiesto un notevole supporto nello sviluppo di rapporti tra Stati, anche di tipo economico. Ogni mese, infatti, le agenzie di promozione commerciale inviano ai Consoli del Paese di rappresentanza un “bollettino” periodico, in cui si segnalano le “domande” e le “offerte” commerciali da promuovere, in modo da favorire gli scambi commerciali del Paese. È nel ricevere una di queste comunicazioni che ho avuto un’idea semplice ma innovativa: creare un “contenitore” in cui le azienGiorgio Fiorenza de, accreditate dal

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proprio Paese, possono riversare le proprie richieste o proposte commerciali, e aprirsi così, con pochi semplici clic, a nuovi mercati internazionali. Perchè ha deciso di realizzare la BMI nella Repubblica di San Marino? La Repubblica di San Marino, proprio per il ruolo istituzionale che rivesto, è il mio primo territorio di riferimento. Si tratta di un Paese che negli ultimi anni si è trovato ad affrontare difficoltà importanti come un significativo aumento dell’imposizione fiscale, e sfide delicate come l’avvenuta uscita dalla black list, con il suo carico di aspettative nella riconquista della “fiducia” internazionale. Ed è proprio la volontà di riconquistare questa “fiducia” degli Stati esteri, che ha fatto sì che San Marino divenisse un Paese attento e aperto alle novità imprenditoriali, un territorio “sensibile” a progetti coraggiosi, innovativi, dal grande potenziale economico. Quali sono le prospettive? Mi aspetto che la Borsa Merci Internazionale possa diventare in poco tempo uno strumento utile per tutti i Paesi del mondo, soprattutto per quelli in via di sviluppo, che vorranno affacciarsi a nuovi mercati e nuove prospettive, e che questo rappresenti per loro un’opportunità mai avuta fino a questo momento. Da non dimenticare, infine, che il più ampio progetto della Borsa Merci Internazionale ha anche dei risvolti sociali: potrà prevedere, infatti, interventi e donazioni in favore dei Paesi in via di sviluppo. Joselia Pisano

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IL SEGRETARIO DI STATO

IL RUOLO DI SAN MARINO

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uova Finanza ha incontrato Marco Arzilli, Segretario di Stato all’Industria, Arigianato e Commercio della Repubblica di San Marino, per approfondire il “ruolo” di San Marino alla vigilia dell’apertura della Borsa Merci Internazionale. Come è cambiata San Marino all'indomani dall'uscita dalla Black List? La Repubblica di San Marino ha iniziato a cambiare già da diversi anni. Con l’inizio della crisi internazionale e l’inizio delle difficoltà nei rapporti con l’Italia, il nostro Paese ha compreso la necessità di cambiare rotta e ha intrapreso un percorso molto impegnativo, ma che ha dato grandi risultati. E’ stato portato avanti un adeguamento normativo che ha messo San Marino in linea con gli standard internazionali e nel frattempo è avvenuto anche un grande cambiamento culturale, è maturata la consapevolezza che un’epoca era finita e la Repubblica di San Marino, per poter andare avanti, aveva bisogno di un’economia nuova e solida. Sono stati anni difficili, ma lo sforzo è stato riconosciuto e premiato dalla comunità internazionale e dall’Italia, che lo scorso febbraio ci ha fatti uscire dalla black list. Oggi San Marino è un paese che ha ritrovato la propria reputazione e ha scelto di basare il proprio sviluppo su asset completamente nuovi, come l’innovazione e la ricerca. Cosa si aspetta San Marino dalla Borsa Merci Internazionale? Abbiamo aderito con slancio al progetto della Borsa Merci perché per la Repubblica di San Marino rappresenta un’opportunità per rafforzare il proprio ruolo internazionale. Il nostro paese è sempre stato conosciuto a livello mondiale esclusivamente per le sue peculiarità a livello di storia, la particolarità di una piccola repubblica incastonata nel territorio italiano e la sua lunga tradizione di democrazia. Di fatto non abbiamo mai avuto invece

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un ruolo nell’economia internazionale. Ebbene, la BMI rappresenta per noi un’occasione per ritagliarci il nostro spazio nel mercato mondiale. La Borsa Merci è un progetto importante e il nostro paese non ha esitato a mettere a disposizione la propria rappresentatività: grazie a questa piattaforma la Repubblica di San Marino potrà anche rafforzare i propri legami con diversi paesi, o stringerne di nuovi. La Borsa Merci rafforzerà anche un altro progetto molto importante per il nostro paese, quello del Parco scientifico e tecnologico, che avrà sempre più la possibilità di affermarsi come hub internazionale per la ricerca e l’innovazione. Quale sarà, a suo avviso, il futuro del commercio internazionale? I modelli del commercio tradizionale non sono ovviamente più validi in un mondo che è sempre più globalizzato e conta sempre su nuove tecnologie e nuovi strumenti di comunicazione. La sfida per il futuro è far sì che si progredisca verso la globalizzazione preservando però le peculiarità dei singoli stati. Non è una sfida facile, nella quale un grande ruolo è giocato dalle organizzazioni internazionali, come il WTO, l’organizzazione mondiale del commercio, che devono trovare modalità di accesso più flessibili e meno ‘esclusive’: i piccoli stati e quelli in via di sviluppo non possono più essere messi in ombra dalle grandi economie. Da questo punto di vista la Borsa Merci Internazionale può rappresentare un modello nuovo, perché mette tutti sullo stesso piano, non ci sono economie di serie A e di serie B. Per un paese come il nostro, che basa la sua tradizione secolare sulla libertà e la democrazia, lo spirito della BMI è perfettamente in linea. E’ una sfida che spero verrà vista dalle grandi economie come un’opportunità e non una minaccia.

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IL PRESIDENTE UNIONCAMERE

LA “CASA DELLE IMPRESE” Sulla riforma della PA interviene il Presidente Unioncamere Ferruccio Dardanello. n questi giorni è in esame in Parlamento il disegno legge sulla Riforma della PA, destinato ad accelerare il processo di modernizzazione della macchina amministrativa pubblica. Una riforma che è urgente per il Paese e per le imprese. I dati che abbiamo ci dicono che c’è bisogno per le imprese di un’amministrazione dedicata e efficiente come sono le Camere di commercio. Se è vero, come è vero, che in Italia i tempi per l’avvio delle imprese si sono dimezzati rispetto al 2005, come risulta dai dati del Doing Business 2014, è infatti anche grazie al contributo che su questi temi ha dato negli anni il Sistema camerale. Un Sistema che ha dimostrato quindi di funzionare bene, ma che certo può essere ottimizzato ulteriormente. Per questo il provvedimento contempla anche il riordino delle Camere di commercio, i cui princìpi sono stabiliti all’articolo 9. Le Camere di commercio, lo voglio sottolineare, sono pronte a sostenere un progetto organico di riforma ma chiediamo chiarezza su compiti, funzioni e sistema di approvvigionamento delle risorse. Siamo infatti convinti che sia imprescindibile procedere ad una riforma che valorizzi le specificità del Sistema camerale, affinché possa diventare uno strumento di sviluppo ancora più efficace ed efficiente al servizio del Paese. Tanto è vero che abbiamo già avviato su base volontaria un cammino di riorganizzazione degli enti camerali e che auspichiamo possa essere rafforzato sulla

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base di provvedimenti legislativi. Per questo siamo disponibili a ridefinire le circoscrizioni territoriali coerentemente ai primi processi di accorpamento che porteranno a dimezzare il numero delle Camere. Un cammino che intendiamo percorrere nel rispetto dell’equilibrio economico e della salvaguardia del legame qualificante con i territori che tenga conto delle caratteristiche e delle specificità geoeconomiche territoriali. Tuttavia desta una forte preoccupazione la ipotizzata eliminazione del diritto annuale a carico delle imprese. Perché in assenza delle entrate legate al diritto annuale, gli enti camerali, diventerebbero – di fatto – quegli enti “inutili” che oggi non sono.

Ferruccio Dardanello, Presidente

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Vale la pena ricordare a questo proposito, che il Sistema camerale è già stato oggetto di un drastico taglio della sua principale fonte di finanziamento. Il diritto annuale infatti sarà dimezzato entro il 2017, ma già il prossimo anno verrà decurtato di più di un terzo come disposto dal decreto sulla PA dello scorso agosto. Un fatto che mette a rischio gli investimenti che le Camere di Commercio riversano per la promozione e sviluppo di imprese e territori e che stimiamo produrrà effetti recessivi sulle economie locali per 2.500 milioni di euro a partire dal 2017 e potenziali esuberi di personale per oltre 2.500 unità. Tutto questo a fronte di un esiguo risparmio effettivo per le imprese pari a circa 63 euro, ovvero poco più di 5,25 euro al mese. E’ proprio per schivare un simile pericolo che, pur condividendo la necessità di rivedere il modello di finanziamento, chiediamo un sistema che dia certezza dei criteri di approvvigionamento delle risorse. Prendendo spunto da alcuni sistemi camerali europei si potrebbe collegare parte delle entrate alle attività destinate alla collettività delle imprese e parte a servizi a domanda


Sede Unioncamere a Piazza Sallustio, Roma

individuale. Anche per questo siamo disponibili ad operare una revisione dei nostri compiti e funzioni. Ma per fare le cose nel verso giusto, occorrerà partire dalla valorizzazione del complesso delle competenze che sono già in capo alle Camere di commercio e che ci vedono in un ruolo trasversale di affiancamento, accompagnamento e supporto nei diversi ambiti della semplificazione, della regolazione e del sostegno alla competitività delle imprese. In questo senso appare del tutto ingiustificata la proposta di affidare al Mise il registro delle imprese che funziona benissimo e deve restare di competenza delle Camere di commercio. E’ infatti grazie a noi che oggi è divenuto un modello di eccellenza in Europa e costituisce l’architrave su cui si fonda tutto il complesso delle funzioni di certezza e rispetto delle regole per il mercato. In materia di semplificazione poi per esempio, prendendo le mosse dalle attività che già realizziamo per la gestione del portale impre-

sainungiorno.gov.it e, in caso di delega da parte dei comuni, del SUAP, le Camere possono diventare dei veri e propri agenti della semplificazione e, costituire, un punto unico di accesso alla PA da parte dei soggetti che svolgono attività economiche. Allo stesso tempo la riforma dovrebbe costituire un’occasione importante per rafforzare anche quegli ambiti di attività delle Camere in tema di orientamento al lavoro e di certificazione delle competenze, di promozione dei sistemi imprenditoriali e dei territori in Italia, e, all’estero come sportello di ingresso per le Pmi che vogliono esportare, evitando inutili sovrapposizioni. Noi siamo pronti a migliorare per essere una vera “Casa delle imprese” al fianco della “Casa del Governo” , così come è definito il nuovo ufficio territoriale dello Stato. All’Esecutivo e al Parlamento spetta ora non perdere questa occasione nell’interesse del Paese. (Re.NF)

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ITALIAEUROPA

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IL TERZO VALICO Germana Loizzi

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’ un progetto destinato a far crescere l’Italia e l’Europa. Mettendo in collegamento le attività del porto (e non solo) di Genova, inteso anche come terminale della dorsale tirrenica, delle Isole e dell’intero Nord-Ovest, con l’Europa centro-settentrionale. Il cosiddetto Terzo Valico si inserisce, infatti, nel corridoio Reno - Alpi, uno dei corridoi della rete strategica trans-europea di trasporto. Il suo tragitto collega le regioni più densamente popolate (in questo caso sono 110 milioni le persone che vivono nell’area interessata dall’opera), e a più spiccata vocazione industriale del Vecchio Continente: nella fattispecie, industria chimica, farmaceutica, energetica, dell’acciao, dell’automobile. Si tratta di un progetto di tale rilievo, insomma, da rientrare tra le opere strategiche di interesse nazionale. Nel recente Sblocca Italia, ha ottenuto 200 milioni sul lotto costruttivo del valore di 1,5 miliardi da finanziare. Il Terzo Valico è un’arteria sostenibile ed indispensabile per far ripartire il Paese. Perché è destinato a contribuire alla creazione di sviluppo e occupazione, agevolando il trasferimento di una consistente quota di traffico merci dalla strada alla ferrovia, modalità di trasporto molto più efficiente e rapida, con benefici enormi per l’Italia nel complesso e vantaggi innegabili per l’ambiente e la sicurezza in particolare. Tra le caratteristiche tecniche dell’infrastruttura, che attraversa le province di Genova e Alessandria, per poi collegarsi alla rete esistente, le più rilevanti

sono la lunghezza complessiva di 53 km, i 37 km di sviluppo in galleria, i 23 km di interconnessioni e una pendenza che arriva anche al 12,5%. Galleria di Valico (lunga oltre 27 km), Galleria Serravalle (più di 7 km in toIl porto di Genova tale) e Galleria Campasso (di quasi un km) sono considerate le opere più significative del Terzo Valico. Nel dettaglio, il Terzo Valico interessa 12 comuni. La nuova linea sarà collegata a sud, mediante l’interconnessione di Voltri e il Bivio Fegino, con gli impianti ferroviari del nodo di Genova, per i quali sono in corso importanti lavori di adeguamento funzionale e di potenziamento, nonché con i bacini portuali di Voltri e del Porto Storico. Sarà

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collegata a nord, dalla piana di Novi Ligure, alle linee esistenti Genova Torino (per i flussi di traffico in direzione Torino e Novara - Sempione) e alla linea Tortona - Piacenza per il


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traffico in direzione Milano – San Gottardo. Ma chi sono gli attori di quest’opera che può contribuire a cambiare la fisionomia socio-economica del Paese?

Il nucleo dell’iniziativa è rappresentato, ovviamente, dal Governo che, attraverso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha studiato e realizzato le misure necessarie a concentrare le risorse pubbliche, nazionali ed europee, su questa infrastruttura come su altre ritenute in grado di produrre sviluppo e competitività. Gli investimenti ferroviari sono a carico delle Ferrovie, che operano attraverso Rfi e Italferr, incaricata dell’alta sorveglianza sulla realizzazione del progetto. La progettazione e la costruzione sono affidate al consorzio Cociv, composto da tre primarie società di costruzione italiane: SaliniImpregilo (che ne detie-

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ne una quota del 64%), Società Italiana per Condotte d’Acqua (31%) e Civ (5%). Essendo un’opera di grande rilievo, la sorveglianza sull’esecuzione e l’impatto sull’ambiente è affidata al Ministero dell’Ambiente, che opera attraverso la Commissione speciale di verifica sull’impatto ambientale e l’Osservatorio ambientale. Quest’ultimo, in particolare, sovraintende alle attività di monitoraggio ambientale, un tema particolarmente sentito, che ha informato la progettazione dell’opera e ne sta permeando la realizzazione. Il Terzo Valico permetterà di ridurre i tempi di collegamento del tracciato dagli attuali 5/10 giorni a 3/5 giorni a regime. La consistente riduzione del numero di mezzi pesanti che attraversano l’Appennino avrà come conseguenza, inoltre, una significativa riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, valutabili in milioni di tonnellate, considerato che le emissioni del trasporto su ferro sono calcolate almeno tra le quattro e le cinque volte inferiori a quelle degli spostamenti su gomma. Le attività del Terzo Valico sono destinate ad avere un significativo effetto, diretto e indiretto, sul territorio in termini di servizi aggiuntivi per attività commerciali, servizi, terziario. L’esperienza maturata nella realizzazione di grandi opere analoghe in Italia ha già dimostrato, anche nel recente passato, la forte ricaduta sociale positiva dei lavori, determinata dagli addetti impegnati nella costruzione e dalle molteplici attività connesse sul territorio.


LE TESTIMONIANZE

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Il progetto sta suscitando consensi in particolar modo tra gli operatori economici della zona. Ecco alcune dichiarazioni raccolte. IVECAL Srl – Genova (carpenteria, automazioni, impianti elettrici e opere edili) Claudio La Rosa, AD “Per la nostra città di Genova ed in particolar modo per la Valpolcevera il Terzo Valico si presenta, come scrisse Erodoto, come “il fiume Nilo” che rese fertili le terre d’Egitto dando vita al territorio. La citazione è per evidenziare che ormai da qualche tempo, la crisi economica e finanziaria che ha colpito il nostro paese ed in particolar modo l’edilizia ha portato disoccupazione, chiusura di attività commerciali e di piccole e medie aziende, ecc soprattutto nella zona della Valpolcevera, vista la posizione. Da quando sono partiti i lavori della TAV per la nostra città è stato un rifiorire e la Ditta IVECAL e molte altre piccole e

medie imprese, hanno rimesso in attività le loro attrezzature e riassunto personale per affrontare le varie lavorazioni richieste. Le imprese coinvolte hanno fatto investimenti ed acquisti di nuovi mezzi ed attrezzature, dando lavoro a concessionari ed officine. E’ incrementato notevolmente il consumo di carburante e affini dando nuovamente vita a distributori e operatori del settore. Attività come bar, trattorie, rivenditori di materiali edili, ferramenta, abbigliamento da lavoro e tante altre attività hanno ripreso a lavorare.

MACCHINE EDILI REPETTO SRL Genova e Arquata Scrivia Aldo Arecco, AD “L'avvio di una grande opera pubblica come il "Terzo Valico" rappresenta un importante evento utile a riattivare, in questo difficile periodo, l'intero indotto economico. Opere di tale portata coinvolgono una rosa di settori talmente ampia che sostanzialmente l'intera comunità lavorativa ne risulta interessata, es-

sendo chiamate in gioco forniture di prodotti e servizi più disparati. La Macchine Edili REPETTO è strettamente legata al mondo dell’edilizia ed ha immediatamente risentito dei benefici portati dall’apertura dei diversi cantieri. Tali benefici, intesi come significativo incremento del fatturato, sono stati registrati grazie alle forniture di attrezzature e servizi effettuate al Consorzio Cociv ed alle Imprese Edili che da esso hanno acquisito commesse per la realizzazione anche di infrastrutture accessorie e funzionali all'opera principale. L'incremento registrato riguarda i volumi di fatturato ed in particolare la tipologia degli articoli richiesti.

Ticineto (AL) “Entrare a far parte delle aziende coinvolte nella costruzione del Terzo Valico ci ha permesso di confrontarci con una realtà organizzativa e operativa quale è quella di Cociv che riesce ad integrare al suo interno figure professionali di elevata specializzazione e provata esperienza sia in ambito tecnico che burocratico/amministrativo. Questo ci ha permesso di affinare e migliorare le nostre procedure di gestione ed ulteriormente aumentare il livello di consapevolezza ed attenzione all’interno della struttura. Il livello tecnico della progettazione, le specifiche in materia di Ambiente.

self service. Un inizio di lavori che coincide con una fase di crisi economica che ha investito tutto il nostro paese compreso la zona sopracitata che ha sempre vissuto attraverso l'indotto lavorativo delle aziende ivi ubicate, ma che oggi vede uno spiraglio di luce grazie a quello creatosi attorno alla costruzione di questa importante infrastruttura. Posso infatti essere testimone di questo per quanto riguarda la mia attività grazie all'incremento dei clienti quotidiani del Cociv e delle altre imprese appaltatrici che hanno compensato la perdita dei clienti storici.

Arquata Scrivia (Al) “Nei mesi scorsi sono iniziati i lavori per la realizzazione della Tav nella zona di Arquata Scrivia, zona in cui svolgo la mia attività di ristoratore da 10 anni e da poco tempo gestore di lavanderie

Carrosio (AL) “E’ innegabile che i lavori del Terzo Valico, per chi si trovi ad attraversare le nostre valli in questo periodo, possano creare qualche limitato disagio, causa traffico mezzi pesanti, rallentamenti per semafori, strettoie ecc…

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Però è altrettanto vero che si sta procedendo ad una razionalizzazione e ad un ammodernamento della viabilità, grazie ad allargamenti della sede stradale, alla messa in sicurezza di tratti franosi ecc., opere che sicuramente porteranno grandi benefici a breve ed a lungo termine per tutta la collettività. Si aggiunga inoltre che, grazie alla presenza di tecnici e manodopera delle stazioni appaltanti e delle imprese appaltatrici, le strutture ricettive (alberghi, appartamenti in locazione temporanea, ristoranti, esercizi commerciali, bar..) stanno, come si dice, “lavorando” a pieno ritmo, a fronte di una precedente condizione (da lungo tempo perdurante) di crisi profonda. Per entrare infine nello specifico della ns. azienda, stiamo producendo, per conto delle imprese appaltatrici, manufatti in c.a. prefabbricato quali muri contro terra, cunette e cunettoni, travi per ponti ed impalcati.


BOND TERRITORIALI

INSIEME PER RIPARTIRE

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nindustria e BCC Roma insieme per garantire l’accesso al credito nel Lazio. Attraverso i “bond territoriali”, prima iniziativa del genere nella nostra Regione, i fondi per erogare finanziamenti alle piccole e medie imprese Una risposta concreta al “credit crunch”: è questo il senso dell’iniziativa realizzata in tandem da Unindustria (l’unione degli industriali e delle imprese del Lazio) e Banca di Credito Cooperativo di Roma, presentata alla stampa dal Presidente BCC Roma Francesco Liberati, dal Presidente Unindustria Maurizio Stirpe e dal Presidente Piccola Industria e Vice Presidente Unindustria con Delega Credito e Finanza Angelo Camilli. Come è strutturata l’iniziativa? Le imprese associate a Unindustria, loro titolari, soci e dipendenti, hanno acquistato obbligazioni BCC Roma per un plafond complessivo di 10 milioni di euro, con una durata di 36 mesi. Le risorse raccolte con l’emissione di questi bond hanno permesso poi alla Banca di attivare finanziamenti fino al doppio della raccolta sottoscritta (con un massimo di 20 milioni), disponibili per le piccole e medie imprese laziali associate a Unindustria con mutui fino a 6 anni, per esigenze di nuovi investimenti materiali e/o immateriali, partecipazione a progetti di crescita, aggregazione e internazionalizzazione. I “bond territoriali” sono insomma strumenti creditizi innovativi, ispirati al principio della mutualità, con aziende che investono in obbligazioni per permettere poi ad altre imprese dello stesso territorio e che hanno bisogno di finanziamenti di accedere al credito. Si tratta del primo esperimento del

genere nel Lazio, con procedure semplificate che prevedono il completamento dell’istruttoria in 30 giorni. “La BCC di Roma - ha affermato il Presidente Francesco Liberati - ha aderito con entusiasmo a questa iniziativa che punta a mettere a disposizione degli operatori locali le risorse raccolte presso gli operatori stessi. Un’iniziativa di questo genere è assolutamente coerente con la filosofia di una banca localistica come la nostra. Una banca che investe le risorse raccolte esclusivamente nei propri territori di riferimento. Con Unindustria - ha continuato Liberati - c’è un rapporto di collaborazione crescente che confidiamo possa dare frutti concreti, indispensabili per sostenere le imprese in questa difficile fase di uscita dalla crisi”. Per Maurizio Stirpe l’iniziativa dei bond territoriali è un modo concreto per attivare canali alternativi in tema di accesso al credito, soprattutto in un momento in cui le condizioni di mercato non consentono alle banche di avere la stessa elasticità di un tempo, generando un inasprimento delle condizioni a cui si trova di fronte chi vuole fare impresa. Ha ringraziato quindi BCC Roma per aver fatto da apripista nel Lazio in questo esperimento innovativo. Angelo Camilli ha infine sottolineato lo spirito mutualistico che innerva l’idea dei bond territoriali, con una parte di associati Unindustria che sottoscrivono obbligazioni e altri che ne ricevono i benefici accedendo ai finanziamenti e scavalcando così – grazie all’impegno di BCC Roma - la barriera di una selettività nell’erogazione di credito che negli ultimi anni si è fatta troppo aspra. (ReNF)

Nella foto, Francesco Liberati, Maurizio Stirpe e Angelo Camilli

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CREDITO COOPERATIVO

BCC, PLUS PER IL PAESE

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ogni resoconto delle banche finite in amministrazione date per scontate, la “diversità” delle Bcc rimane un plus per controllata e commissariate dalla Vigilanza della il sistema Paese anche nel mondo della finanza globale, Banca d’Italia il titolo viene inesorabilmente tagliato Anzi, tanto più nel mondo della finanza globale, perché persul numero di Bcc presenti. Ci vuole poco: le Bcc sono di mette alle realtà di nicchia di essere valorizzate e alle Bcc gran lunga la maggioranza delle banche operanti sul territorio stesse, in quanto operatrici di nicchia, a valorizzarsi . Per nazionale. Inoltre, se si calcolasse l’entità monetaria di tutti i una grande banca talvolta è dis-economico già solo valutare problemi delle banche italiane sarebbe la situazione di piccole imprese start facile dimostrare, per la generalmente up, famiglie, terreno ideale invece piccola dimensione delle Bcc, che per una Bcc. Con la differenza, ril’insieme delle Bcc coinvolte rimane spetto a un altro tipo di piccola di gran lunga piccola cosa rispetto ai banca, che l’appartenenza alla galassia problemi del sistema creditizio nadelle Bcc fa comunque accedere ai zionale. Grazie, come ha sottolineato benefici in grande scala del sistema il responsabile Vigilanza di Bankitalia, associativo e imprenditoriale su scala Carmelo Barbagallo, ad alcune canazionale. La Bcc, insomma, non è ratteristiche specifiche “soprattutto un tributo fuori dal tempo al mito delle Bcc, un modello relazionale del “piccolo è bello”, uno slogan che che può concorrere a limitare le perpersonalmente non mi è mai piaciuto, dite sui crediti, in virtù del legame perché ritengo che un Paese maturo più intenso con la clientela e di un abbia bisogno del micro e del piccolo, più efficace controllo sociale”. del medio e del grande. Ma un modo Quanto ai numeri, le sofferenze delle di presidiare mercati altrimenti abBcc sono il linea con quelle del bandonati. In questi anni di una sistema bancario: a marzo erano crisi che sembra non finire più, le all’8,9%. Ma le Bcc fanno più banca. Bcc hanno svolto un ruolo non solo Secondo i dati della Banca d’Italia, economico ma anche sociale. Sarebbe al marzo scorso gli impieghi economici interessante conoscere i numeri deldel complesso delle Bcc italiane erano l’impegno delle Bcc dal 2007 al calati su base annua dell’1,1% contro 2013. Conoscere, a esempio, quanta il -3,3% del sistema creditizio, poroccupazione, autonoma o dipendente, tando così gli impieghi delle Bcc al siano state in grado di creare con il 7,3% del totale nazionale. Se si conloro modo diverso di fare banca. Un Carmelo Barbagallo, siderano anche i finanziamenti erogati modo diverso che, evidentemente, Responsabile Vigilanza di Bankitalia dalle Bcc di secondo livello questa non è anti-economico, altrimenti le quota sale all’8%. Alla stessa data, Bcc commissariate sarebbero state gli impieghi erogati alle imprese avecentinaia e non una decina. Un invano scontato un calo dell’1,7% su base annua contro il segnamento per executive e manager stra-pagati che hanno 2,7% dell’intero sistema, una quota del pari al 9,6% del affossato alcune delle più grandi banche italiane, privando il mercato nazionale che sale al 10,8% se si considerano i fiPaese di ricchezza e di storia. E anche per giornalisti auto-renanziamenti alle imprese erogati dalle Bcc di secondo livello. ferenziali. Insomma, polemiche speciose a parte e pressioni internazionali PI.RO.

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FONDAZIONE ROMA EUROPEA

I “SALOTTI” INTERNAZIONALI

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al dicembre 2001, su imzione e la città di Roma? pulso e per volontà del pro«Il bagaglio di esperienza maturato fessor Cesare San Mauro, i nel corso degli anni Novanta ha con«salotti» della Fondazione Roma Eutribuito indubbiamente alla maturaropea scandiscono, come un metrozione degli obiettivi della Fondazione nomo, gli appuntamenti della vita pur lasciando immutato lo spirito che politico-culturale della Capitale. ne ha caratterizzato la nascita: guar«L’obiettivo? Valorizzare, promuovere dare la città di Roma con occhio cried implementare il ruolo di Roma tico e costruttivo attraverso iniziative sulla scena europea, esaltandone i capaci di stimolare la riflessione e il pregi ma criticandone, allo stesso confronto per contribuire alla crescita tempo, in chiave costruttiva anche i socio-culturale della Capitale. La difetti», spiega il fondatore, oggi seFondazione Roma Europea coinvolge gretario generale della Fondazione alcune tra le più importanti realtà presieduta dal professor Giuseppe De imprenditoriali romane e nazionali: Rita, uno tra i più autorevoli studiosi aziende operanti in diversi settori, dei fenomeni sociali del Paese dal suo private, municipalizzate e public osservatorio del Censis. Dal 6 ottobre companies che hanno scommesso sul l’attività della Fondazione farà un salto di qualità. «Aprendosi ancora di più in campo internazionale», anticipa il fondatore di Roma Europea. Con un ciclo di appuntamenti che vedranno come ospite un ambasciatore di un Paese europeo e in platea imprenditori italiani che operano in quello Stato e colleghi di quella stessa nazione che, invece, gestiscono in Italia le rispettive attività. Professor San Mauro, un vecchio detto recita «in nomen omen». Come descriverebbe il Cesare San Mauro rapporto tra la Fonda-

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progetto dei fondatori, arricchito poi dai componenti della Fondazione». Ma di che cosa si è occupata e di cosa si occupa, nella pratica, Roma Europea? Insomma, qual’è la sua mission? «Le attività della Fondazione Roma Europea, nel corso degli ultimi anni, sono state numerose ed eterogenee: organizzazione di convegni, dibattiti, tavole rotonde e incontri su questioni complesse ed attuali come lo stato delle reti e delle infrastrutture romane, il disagevole quadro dei trasporti pubblici e privati della “città eterna”, i luoghi della ricerca scientifica e tecnologica di Roma, il dialogo tra le religioni, Internet e Roma virtuale o, ancora, il delicato tema della gestione del ciclo dei rifiuti. Senza tralasciare i temi della promozione culturale, dell’economia, dell’attualità e della politica. Il leit motiv è, come nella musica, ascoltare. Per poi elaborare e crescere. Insieme». Oltre alla Fondazione esiste anche un’Associazione che porta lo stesso nome. Che rapporto c’è tra le due realtà? «Se la Fondazione Roma Europea è aperta alla partecipazione delle persone giuridiche, l’omonima Associazione Amici di Roma Europea è in-


vece destinata ad accogliere le persone fisiche. Si tratta di un circolo a numero chiuso che si riunisce abitualmente nei prestigiosi saloni del Caffè Greco di Via dei Condotti, di solito, una volta al mese. Le riunioni dell’Associazione prevedono l’intervento di un interlocutore scelto tra i principali protagonisti della vita istituzionale del Paese, del mondo della cultura, della politica, dell’informazione, del-

l’industria romana e nazionale. Gli interventi degli speakers sono seguiti da un dibattito con la platea di Roma Europea». Ora, però, è il momento del salto di qualità. Il 6 ottobre parte il primo di un nuovo ciclo di appuntamenti decisamente più internazionali. Cosa bolle in pentola? «Il 6 ottobre, al Circolo del ministero degli Affari esteri, a Roma, ospiterete un incontro con l’ambasciatore della Germania in Italia, Reinhard Shäfers. Un appuntamento in linea con quella che, da sempre, è la mission stessa della Fondazione: tenere aperta la porta del dialogo e del con-

fronto fra la realtà di Roma e quella internazionale. Non a caso, già nel 2004, Roma Europea realizzò una significativa indagine sulla immagine che di Roma hanno i popoli di Europa raccogliendo attraverso un questionario le opinioni degli Ambasciatori dei Paesi dell’Unione Europea. Un’iniziativa risultata particolarmente utile per cogliere, attraverso il giudizio di qualificati osservatori stranieri, i punti di criticità di Roma sui quali intervenire oltre che gli aspetti positivi da valorizzare. Un’iniziativa che abbiamo deciso di ripetere anche recentemente». Quando? «Giusto qualche mese fa, a dieci anni di distanza, per valutare se, in che modo e perché il quadro emerso nel 2004 si fosse modificato». E cosa è emerso da questo nuovo “sondaggio”? «Una Roma in chiaroscuro, con qualche luce e più di qualche ombra. Emblematica la bocciatura da parte degli ambasciatori stranieri in Italia del sistema dei trasporti pubblici della Capitale. Promossa, ovviamente, sul fronte dei beni storici e culturali. Ma ci siamo ripromessi di tornare sui risultati dell’ultimo questionario». In che senso e in che modo? «Nel senso che ritengo che sui risultati di questa nuova indagine, raccolti in un Rapporto presentato il 7 luglio scorso nella sede del Circolo del Ministero degli Affari Esteri, sia opportuno avviare un più approfondito confronto con gli ambasciatori europei. Confronto che, riguardo all'appuntamento del 6 ottobre con l’ambasciatore tedesco, costituisce il significativo momento di avvio di questo nuovo ciclo di incontri programmato dalla Fondazione Roma Europea». Oltre all’ambasciatore Shäfers, però, è prevista la presenza di numerosi imprenditori italiani che operano in Germania e di loro colleghi tedeschi che, invece, hanno in Italia i rispettivi centri di interesse. Perché? «Perché penso sia un modo per avviare un confronto franco e aperto anche sulle problematiche di natura economica che l’Italia in particolare e l’Europa più in generale stanno attraversando in questo lungo periodo di crisi ancora in atto. Un’occasione anche per fare tesoro gli uni delle esperienze degli altri e, perché no, magari anche per dare vita a nuove partnership e sinergie». R.M.

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ITALIA GRANDE PAESE

IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA Donatella Miliani

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RTISTA, ARCHITETTO, giornalista, professionista eclettico, è art director, progettista di eventi culturali e iniziative editoriali, curatore di mostre e consulente in comunicazione e attività culturali. Angelo Bucarelli, un cognome che evoca subito il nome dell’amata zia Palma, prima donna in Italia a essere nominata direttrice di un museo e a segnare una svolta nella politica culturale del nostro paese aprendo le porte delle istituzioni museali, alle avanguardie e alle ricerche artistiche più contemporanee, è questo e mille altre cose ancora. Bucarelli, lei è davvero un eclettico oltre che un artista e un creativo. La sua esperienza e le sue frequentazioni internazionali le danno un punto di vista privilegiato. Che Paese è diventato il nostro, culturalmente parlando? «Il nostro Paese — dice —, bellissimo e ricchissimo, più di ogni altro paese al mondo, vive da sempre il contrasto tra la sua ricchezza, paesaggio, architetture e arte e il suo rovescio della medaglia: il troppo individualismo che mai gli hanno consentito di diventare un Paese maturo, una vera comunità. Questo direi da sempre. E’ come un peccato originale che ci portiamo dentro perché siamo nati in un Eden e come quello ce lo siamo fatti sfuggire per codardia e miopia, direi perché viziati da tanto privilegio». Il taglio netto della guerra non è riuscito a far nascere un Pese moderno, civile? «No. La nostra cultura nella ricostruzione non è riuscita ad affrancarsi da

quel peccato originale fino a farci verain opere culturali ed educative, come mente male: l’imbroglio, il privilegio, musei e università. E questo è già un la miopia, l’invidia, la gelosia del popolo fatto positivo. I Paesi che investono in italiano non sono mai guarite. Il macultura sono quelli veramente civili ma riuolo vincente con il sorriso alla Clarke ce ne sono pochi! E non si tratta di imGable è sempre stato il nostro modello. magine ma di reale ricchezza! Ha mai La gallina è sempre stata mangiata allepensato perché, malgrado la Cina sia gramente senza aspettare l’uovo di ogni diventata una potenza dinamica giorno. A forza di non pensare al futuro finanziariamente, non rietutto è diventato un grande sistema delsce ad andare oltre ai l’imbroglio e non c’ è nessuno, o davmercati di imitazione? vero pochi, che pensano con etica Perché non ha avuto umiltà al bene del Paese, e quei pochi Michelangelo, Carache lo pensano rimangono impaludati vaggio e Bernini! L’Italia dagli altri. La violenza delle parole, invece ha un patrimonio dell’insulto, della notizia, della immobiliare e mobiliare rapacità quotidiana è morstraordinario che si tificante come la mancanza rifiuta perdi progettualità. Tutto è asniciosaservito all’arricchimento permente sonale a scapito di quella vera di gericchezza che è il bene costire. mune. Un Paese fortemente H a maleducato! E credetemi la mai vibuona educazione è un sto a grande motore del vivere Po m insieme!». p e i Ci sono Paesi come la Turmanichia, che lei conosce avendo festafatto mostre di grande suczioni per cesso a Istanbul, che stanno denunciare investendo molto in cultura l’amministrae in tutto ciò che serve a cozione cittadina municare al mondo la proper mala gepria immagine. stione di quel «Non sono così convinto che pozzo di san la Turchia spenda in cultura. Patrizio che è Certo è che, contrariamente Pompei? No. alle grandi famiglie italiane, E’ un modo quelle turche sono impegnate in per essere Angelo Bucarelli investimenti privati consistenti conniventi

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con chi trascura, con chi imbratta, con chi lascia crollare i muri ecc. Tutto il popolo italiano guarda allo Stato italiano come un’entità esterna che non gli appartiene». Insomma l’Italia deve rassegnarsi in futuro alla mediocrità nonostante il suo immenso patrimonio? «No, l’Italia si è già rassegnata alla mediocrità. Basta guardare alla classe politica, alla burocrazia e anche al settore privato, dove i lavoratori ritenuti inutili, se opportunamente rimotivati a fare qualcosa che gli piace, produrrebbero effetti molto positivi. Il problema è il non saper cogliere le opportunità, per mancanza di investimenti, per mancanza di buona educazione! Sa che cosa è la buona educazione? La capacità di condurre in modo efficiente e rispettoso degli altri la nostra vita e la nostra attività. Dunque se fossimo tutti educati l’Italia funzionerebbe come un orologio». Eppure Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo... «Non sono totalmente d’accordo. Neanche la bellezza, che è commovente e straordinario motore della vita, può salvare il mondo. In questa società la cattiveria, l’arroganza, la pacchianeria sembrano vincere sulla bellezza e sull’eleganza. Voglio davvero sperare comunque che Dostoevskij abbia ragione ed alla fine quella luce sia così potente da superare tutte le mediocrità. Vale in ogni caso la pena di combattere, di provarci!». Sì ma lei sembra parlare ad un ambiente elitario.... «La bellezza è appannaggio di tutti, il ceto o la ricchezza non contano. Il panorama è di tutti, una bella architettura, un opera d’arte, una poesia, una storia... un gesto. Ed è proprio per questo che il nostro Paese ha una marcia in più. Noi nasciamo in ambienti di una bellezza incomparabile. Gratuitamente i nostri occhi sono educati all’armonia tra natura e intervento dell’uomo, pensi a San Gimignano, Capri, Venezia e pensi a un poverino che nasce nella periferia di Detroit. Non è un caso

che noi abbiamo il celebre “Made in Italy” e che la nostra moda primeggia nel mondo. Dobbiamo stare bene attenti a non interrompere questa grazia!». Si può organizzare qualcosa di bello anche con poco? «Il bello e l’eleganza non sono legati all’alto costo. Una persona elegante è elegante anche quando ha indosso una t-shirt e un jeans. Certo i materiali di alta qualità che richiedono lavorazioni complesse, purtroppo non possono essere a buon mercato e lo spendere decisamente aiuta. D’altronde chi può negare che è più bella una Ferrari di una 500, senza togliere nulla a quest’ ultima. Però è anche vero che qualche volta presentarsi in Ferrari può essere meno elegante e appropriato del proporsi in 500. Tutto ciò che facciamo deve trovare una sintonia con la situazione in cui ci troviamo. Anche qui contano molto la buona educazione e il buon senso». Lei ha curato anche la parte coreografia decorativa di alcuni matrimoni importanti. «Non solo celebri e famosi. E’ molto bello! Si instaurano rapporti anche temporanei, ma profondi con chi vive quell’ evento che è unico nella vita, anche se il destino poi a volte può portare a conclusioni diverse da quelle progettate. La mia vita è dedicata alla comunicazione, che è un istinto primordiale dell’uomo esattamente come quello di conservazione. Aristotele dice che l’Uomo è un animale sociale. Vuole dire che per nascita l’uomo deve relazionarsi necessariamente con gli altri simili, se no, muore. La solitudine uccide. Sono sempre stato affascinato dal capire come poter comunicare meglio e quindi migliorare il nostro modo di vivere. E certe occasioni devono essere speciali. Sono felice quando mi capita di essere richiesto come “wedding planner”. Come sempre il poter trasformare, anche con non molto, ambienti e situazioni in qualche cosa di magico, beh... è una grande soddisfazione!».

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I PERICOLI DELLA RETORICA

INDUSTRIA MILITARE A RISCHIO Elena Saporiti

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ento milioni di tagli alle spese per la difesa in Europa significano una riduzione del prodotto interno lordo continentale di 150 milioni, 40 milioni di imposte in meno e la perdita di 3mila posti di lavoro, dei quali 800 altamente qualificati. A svelarlo è una recente ricerca condotta dalla società di consulenza britannica Europe Economics per conto dell’Eda, l’Agenzia europea per la difesa. Nello studio si sottolinea come gli investimenti pubblici nel settore abbiano un impatto tra le 12 e le 20 volte quello medio negli altri comparti in termini di occupazione qualificata, con enormi ricadute potenziali sulla crescita economica e sociale. L’indagine precisa, inoltre, che le ricadute degli investimenti nazionali sono minori dell’impatto dei progetti europei. E, a tal proposito, indica come caso di scuola il programma dell’aereo da caccia europeo Eurofighter, che sta permettendo di acquisire vantaggi competitivi anche nei velivoli commerciali e nei sistemi elettronici. Niente a che vedere, insomma, con il progetto dell’aereo caccia americano F35, il cui produttore Lockheed Martin ha affidato ai compratori europei – come l’Italia – il ruolo meramente esecutivo di assemblatore senza offrire la possibilità di intervenire e adoperare le nuove tecnologie per la propria industria né di realizzare le attività a più elevato valore aggiunto.

Investire nella difesa, insomma, non solo rafforza la sicurezza interna ed esterna, e quindi favorisce la pace, contribuisce alla stabilità e alla prosperità proteggendo i tradizionali modi di vivere, ma comporta anche benefici economici e sociali ragguardevoli. Senonché, il combinato disposto del rigorismo tecnocratico europeo e dell’ottusità pseudo-pacifista (aggravati dalla disinformazione dominante che accompagna il settore e dalla persistente presenza di oscuri interessi politico-economici nel procurement) rischia di mettere in crisi un comparto che dà lavoro in Europa direttamente a non meno di 400mila persone, con un indotto intorno al milione di addetti, e assicura un giro d’affari di circa 96 miliardi. Un

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comparto che da solo permette innovazione di processo e soprattutto di prodotto in aree (dalla medicina all’alimentazione) apparentemente molto lontane dal core business. I tagli alla spesa pubblica derivati dalla crisi del debito sovrano e dalla successiva, sostanziale, recessione hanno già provocato danni consistenti all’industria della difesa europea ma ora rischiano di creare disastri sul fronte socio-economico e gravi pericoli per la sicurezza e la sovranità del Vecchio Continente. Lo stesso rapporto della Commissione europea, dal quale sono stati estratti i precedenti dati sull’occupazione e il fatturato, rivela che in dieci anni la spesa per la difesa in Europa è calata del 23% e in cinque anni gli investimenti in ricerca & sviluppo del settore sono diminuiti del 14%. Eppure, Bruxelles stessa ha invitato a giugno - per bocca dell’ex vicepresidente della Commissione Ue e commissario all’Industria, l’italiano Antonio Tajani – a puntare di più sulla ricerca in ambito tecnologicomilitare. Per accrescere la competitività del sistema produttivo continentale, infatti, la Commissione suggeri-


sce di favorire le tecnologie duali che permetterebbero un enorme ritorno se indirizzate su micro e nano-elettronica, materiali avanzati, biotecnologie industriali, il cui mercato è destinato a crescere di oltre il 50% in pochi anni. I fondi europei non mancano, mancano piuttosto la capacità progettuale, soprattutto politica, e la volontà. I mancati investimenti nella ricerca & sviluppo stanno innescando un processo degenerativo sull’industria. Lo dimostrano i risultati di un altro studio, condotto dalla società di consulenza Deloitte, che confronta l’industria di aerospazio e difesa di Usa ed Europa. Da questa indagine risulta che l’industria americana rappresenta il 59% del fatturato globale mondiale, contro il 34,2% europeo, ma che il giro d’affari delle industrie europee è salito tra il 2012 e il 2013 del 5,4% contro l’1,3% americano. Senonché, a dispetto della crescita di ricavi, le industrie europee in un anno hanno perso il 3,6% di utili, mentre le concorrenti americane accrescevano i profitti dell’11,6%. Lo stesso andamento fa-

vorevole all’industria a stelle e strisce lo si riscontra nel ritorno sul capitale investito e sui flussi finanziari. Non è casuale, probabilmente, che i Paesi europei abbiano destinato complessivamente alle spese per ricerca & sviluppo un quinto degli investimenti americani (la cui spesa è “solo” il doppio di quella europea) e che la metà del bilancio europeo sia destinata al personale contro il 25% degli Usa, che evidentemente schierano meno uomini ma meglio equipaggiati. La situazione del mondo non è più quella di una volta. Sarebbe opportuno che l’Europa se ne accorgesse, una buona volta. E, in Europa, se ne accorgesse più di tutti l’Italia. Nel 2013 il controvalore delle autorizzazioni all’export di armamenti e sistemi di difesa prodotti in Italia è stato di 2,64 miliardi. Nel 2012 era a 5 mld, nel 2009 a 6,7 mld. Viceversa, nel 2013, il Regno Unito ha autorizzato vendite di armi all’estero per circa 12 mld (+11% in un anno), la Francia per 6,3 mld (+31%), la Germania per 5,8 mld (+24%). E la “pacifista” Svezia, con 40 euro pro capite

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di export, è terza nel mondo solo a Israele e Russia. Tanto per fornire un altro dato: l’export francese garantisce 40mila posti di lavoro. Non è certo la concorrenza estera ad aver fiaccato l’industria italiana. Al centro del sistema produttivo nazionale c’è Finmeccanica. E il tramonto del Made in Italy coincide con la crisi del gruppo cominciata con le dimissioni di Pier Francesco Guarguaglini e la stagione dei processi e con l’interminabile calo di credibilità politica dell’Italia. Ma questa crisi è anche il frutto avvelenato della disinformazione. L’Italia esporta sistemi di difesa non – tanto per fare un esempio concreto – armi antiuomo. Le armi più dannose, utilizzate nelle guerre che insanguinano l’Africa, per esempio, sono ormai costruite in loco o comunque in Paesi poco sviluppati, per il loro scarso contenuto tecnologico. Non solo. Le esportazioni italiane sono sottoposte a una rigida disciplina tanto sul versante dei prodotti quanto sul versante dei Paesi di destinazione. Ma la retorica continua a confondere, più o meno in buona fede, tra industria e mercanti di morte.


TERNIENERGIA

PRIMA SMART ENERGY COMPANY

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are di TerniEnergia la prima primo semestre 2014, ha registrato un smart energy company italiana, fatturato di Euro 85 milioni, con un grazie all’acquisizione di Free Ebitda pari a 3,5 milioni. La società Energia, e aprire orizzonti internazioporterà in dote anche un consistente nali a Italeaf, la holding che si è quotata backlog commerciale. Free Energia al Nasdaq di Stoccolma. Per il Gruppo opera, infatti, come trader energetico industriale guidato da Stefano Neri si annuncia un periodo molto intenso sul versante energetico e su quello dello sviluppo internazionale. TERNIENERGIA - “Siamo impegnati su più fronti per rinnovare i contenuti di una storia di grande successo – afferma il presidente Neri – TerniEnergia, dopo aver internazionalizzato il proprio business nel settore fotovoltaico con un rilevante portafoglio ordini (circa 150 MWp) in grado di dare una ottima visibilità anche all'attività di EPC, sta lavorando a ritmi serrati sull’aumento di capitale per completare l’acquisizione di Free Energia. L’obiettivo strategico è quello di integrare a valle la catena del valore della filiera energetica. Aggiungeremo alle attività di power generation e di efficienza energetica di scala industriale, attraverso la subsidiary Lucos AlterProfessor Stefano Neri, Presidente TerniEnergia native Energies, anche i nuovi business del trading elettrico per clienti energivori e re-seller consolidati e degli smart energy services. TerniEnerinnovativo, con 1,3 TWh di energia gia, infine, entrerà nel promettente merfornita a clienti energivori e/o re-seller cato della gestione e vendita di servizi consolidati. Un business in grande crealle centrali ad olio vegetale, dove Free scita e con notevoli opportunità di sviEnergia intende conseguire una leaderluppo grazie alle possibilità di integraship nazionale”. zione tra il settore dei servizi elettrici e Free Energia nel 2013 ha conseguito riquello digitale. cavi per Euro 100 milioni circa e, nel ITALEAF – L’evoluzione strategica di

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TerniEnergia si inquadra in un più ampio disegno di sviluppo che Neri e il management del gruppo hanno promosso per l’intero Gruppo. La holding Italeaf, che controlla la società energetica quotata sul segmento Star di Borsa Italiana, è infatti sbarcata a settembre sul mercato First North di Nasdaq OMX Nordic di Stoccolma. “Italeaf è un’azienda innovativa – prosegue Stefano Neri - e, come tale, ha deciso di compiere un percorso pionieristico: siamo la prima società italiana a quotarsi a Stoccolma, un mercato sensibile all’innovazione e alla sostenibilità; la prima società ad approcciare il mercato borsistico con un modello di business da “company builder” a sostegno di startup tecnologiche; e infine ci rivolgiamo a investitori che credono in una asset class di investimento nel settore in grande crescita della green economy e dell’industria cleantech”. SMART TO RESTART INDUSTRY - Alcuni elementi qualitativi del nuovo piano industriale di TerniEnergia e gli obiettivi di sviluppo di Italeaf saranno illustrati alla business and financial community italiana e internazionale il prossimo 31 Ottobre in Borsa Italiana. A Palazzo Mezzanotte, nel workshop “Smart to restart industry”, i manager del Gruppo e alcuni prestigiosi relatori indipendenti presenteranno nuove iniziative, approcci strategici, ricerche e studi di settore nei comparti dell’energia, dell’efficienza, della finanza e delle startup. Maggiori informazioni su: www.italeaf.com e www.ternienergia.com.


REPORTAGE DALLA BASILICATA

TERRA DEI GRANDI CONTRASTI Katrin Bove

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a terra dei grandi contrasti, cosi è conosciuta la Basilicata. La regione delle due province, dei due mari e dal paesaggio prevalentemente collinare, fa parlare di se per le sue bellezze naturali, dai rintocchi incontaminati e selvaggi e per le sue grandi risorse ambientali. Risorse che oggi richiamano l’attenzione del Governo con il decreto “Sblocca Italia” che vede proprio nella Basilicata la sua protagonista. In Val d’Agri appunto è stato individuato il più grande giacimento su terra europeo da fare dell’Italia il terzo paese in Europa per riserve di petrolio. Il 20% dei consumi interni italiani potrebbe essere coperto sfruttando a pieno le riserve con progetti adeguati e limitando le importazioni. Il decreto modificherebbe il mercato delle estrazioni in tre punti, in primis il rilascio di un titolo concessionario unico, cioè un solo permesso per esplorare ed estrarre, poi un’autorizzazione mineraria concessa dallo Stato e non più dalle Regioni, ed infine un’attribuzione di una patente per la ricerca e coltivazione d’idrocarburi: “Attività di pubblica uti-

lità, urgenti ed indifferibili”. Certo è che il citato decreto “Sbocca Italia” tocca il Titolo V, con il rilascio dei permessi minerari centralizzato, e le Regioni potrebbero pensare ad un ricorso in Corte costituzionale, anche se il Governo manifesta l’importanza di un’intesa Stato-Regione. Questo per la Basilicata significa non poter più decidere sul petrolio estratto. “Scellerata politica energetica di Governo” cosi si pronuncia Legambiente, “un attacco frontale delle trivelle al territorio Lucano”. Si, l’Italia ha bisogno di quest’oro nero, ma l’Italia è anche la Basilicata con la sua bellezza oltre che la sua ricchezza mineraria. Preserviamone l’identità. Bisognerebbe parlare della sua storia, valorizzarne la sua cultura, gustarne i silenzi ed immergersi nei suoi colori: il verde dei suoi boschi, il blu del suo mare ed il grigio dei suoi calanchi per poi volgere lo sguardo al cielo stellato e alla luna che la tanto la rappresenta. Magnetismi che fanno della Basilicata una terra davvero

Basilicata, Calanchi nel territorio tra Ferrandina e Pisticci (MT)

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unica e speciale. Geograficamente si affaccia a sudovest sul mar Tirreno nello scenario naturale del Golfo di Policastro, e a sudest sul mar Jonio nel Golfo di Taranto. Maratea, regina incontrastata della costa tirrenica, Metaponto e Policoro, già importanti punti di riferimento nella Magna Grecia, dominano la costa ionica. Oggi riferimento del turismo lucano, le tre località puntano a conseguire sempre migliori risultati, contando soprattutto sulla rivalutazione dell'ambiente naturale e della loro millenaria storia. È un luogo di villeggiatura per eccellenza dove agli ampi arenili e spiagge dalla sabbia finissima sono riparate da grandi distese alberate prevalentemente formate da pini ed eucalipti. Sulle spiagge si trovano ancora le essenze tipiche della zona tra le quali il raro giglio di mare (Pancratium maritimum). Considerata una delle mete emergenti del turismo italiano la Basilicata conquista il viaggiatore, con i suoi paesaggi lunari propri dei calanchi, con le foreste ancora selvagge e in-

contaminate, con il mare che senti nell’aria anche quando non si vede. Questa «Palestina nel cuore del Mezzogiorno» è una incantevole frontiera dove riscoprire pensieri e ritmi della natura. La Basilicata si offre ai viaggiatori regalando il fascino della scoperta delle sue bellezze naturali, della preistoria e della storia, delle tradizioni che in alcune zone hanno conservato ancestrali ricordi delle origini dell'uomo, di una gastronomia semplice e genuina dal marcato carattere mediterraneo. Anche i turisti stranieri apprezzano la cortesia, le strutture e le pietanze lucane. Questo è quello che emerge dallo studio di Confesercenti-Ref , che ha voluto mettere a confronto tutte le regioni d’Italia secondo le pagelle dei turisti stranieri. La Basilicata, è seconda per “cortesia” solo alla Sardegna e terza alle altre regioni per cibo e strutture alberghiere. Lo studio è servito per fare una fotografia dell’Italia dal punto di vista del turista estero in Italia. Si esaminano anche aspettative future e valutazioni per risolvere la diminuzione di frequenza nel mezzogiorno che si attesta sul 13%. Ovviamente la buona cucina, la squisita ospitalità e strutture alberghiere

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di alto livello, conquistano i visitatori stranieri ma non basta. Purtroppo le mete privilegiate rimangono quelle del CentroNord. Mentre il Sud in generale viene penalizzato dalla cattiva informazione sul nostro patrimonio artistico, culturale e ambientale. La Basilicata infatti è richiesta, soprattutto per cultura e mare, ma purtroppo dallo studio si evince che per “arte” la Basilicata è al quindicesimo posto e per “ambiente” raggiunge, quasi alla pari con il Molise, la settima posizione. Questi dati fanno riflettere, poiché andrebbero riviste molto l’informazione e la fruibilità delle risorse perché se i turisti esteri scelgono meno la Basilicata e perché ha disatteso le loro aspettative. Infatti proprio il voto “sull’informazione” ci fa piazzare solo dodicesimi”. L’attenzione verso l’ospite e strutture adeguate, in ogni caso, fanno la differenza e si vede. Una politica corretta sull’informazione potrebbe essere la soluzione definitiva al problema, ma serve attenzione e visibilità anche a livello nazionale altrimenti rischiamo di far diventare il Sud un ripiego invece di una risorsa.

La spiaggia di Policoro (MT)

Aurelio Pace*

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POLITICA E CORAGGIO

a politica richiede coraggio, visione ed azione e rispetto ai numeri che le statistiche riportano ci accorgiamo quanto queste esigenze siano improcrastinabili. Il 92% delle imprese hanno meno di cinque dipendenti, registriamo il 50% di disoccupazione giovanile, il 17% dei quali sono laureati, in controtendenza nazionale in Basilicata si abortisce il 7% in più e le cause sono di natura economica, s’investe sul fotovoltaico e termodinamico pur contribuendo, con il petrolio, al fabbisogno del 20% della produzione nazionale, su 100 persone che scelgono di visitare il Mezzogiorno d’Italia solo 18 arrivano in Basilicata, nonostante gli sforzi economici legati alla promozione, alla presenza di una infrastrutturazione inadeguata ed insufficiente e l’incapacità di gestire i redditi derivati dalle compensazioni di risorse come acqua e petrolio ed ultimo, ma non meno importante, con la consapevolezza che la riforma del Titolo V, portando la materia energetica a livello nazionale, ha ridimensionato ogni possibilità di dialogo in termini di compensazione ambientale e di conseguenza di occupazione. Parametri ed indicatori sono impietosi e da quelli non si prescinde. In un orgoglio territoriale ferito la sola risposta, il solo

ammortizzatore sociale, è il lavoro. Emanuele Granturco diceva:"Ebbi umili natali e avversa la fortuna, ma questi vinsi e quelli nobilitai con la forza del lavoro" e la gente ci attende alla prova dell'azione. Il vantaggio competitivo non può più essere espresso in termini di salari bassi, che comportano una scarsa domanda di lavoro qualificato. Abbiamo perso la sfida della competitività, che ha la capacità di produrre ed impiegare specializzazioni, comprendendo, a caro prezzo, che non basta inserire la parola “talenti” all’interno di un programma regionale. La risposta è nella creazione di piattaforme logistiche, di impalcature del sapere, di valorizzazione di risorse ed eccellenze. Sono le città il patrimonio da cui ripartire, “Perché la persona umana è in qualche modo definita dalla città in cui si radica: come la pianta dal suo campo” diceva Giorgio La Pira, perché la prossimità geografica tra le imprese, il tessuto sociale e le istituzioni, aumenta la produttività e la qualità della vita, unici elementi in grado di rendere più attrattivo un territorio che necessita, oggi più che mai, di accogliere capitale umano e ospitare investimenti. *Consigliere Regionale di Basilicata

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UN PROGETTO PAESE

CRESCITA, RIFORME E EXPO Giuliano Noci*

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rescita, riforme e Expo sono le parole chiave del momento; non vi é talk show o consesso politico che in queste settimane non faccia riferimento a questi temi. E dunque la legge di stabilità che il Governo si appresta a varare dovrebbe contemperare e integrare, in un disegno unitario, tutti e tre queste parole-obiettivi. Non c'è crescita senza riforme e da questo punto di vista l'Expo é un volano molto importante, di breve periodo, grazie al quale poter far ripartire il percorso di rilancio del nostro sistema economico. In questa prospettiva é quindi fondamentale capire che cosa voglia dire definire un disegno unitario che non sia appunto la pura e semplice giustapposizione di micro-iniziative, destinate a vivere quasi di vita propria. A mio avviso, significa definire un "progetto Paese", che declini la nuova identità e le azioni conseguenti dello Stivale per i prossimi 50 anni: vogliamo andare nella direzione dei servizi (terziarizzazione dell'economia) - come ha fatto il Regno Unito - o intendiamo mantenere, rafforzandola, la nostra vocazione industriale? Serve una scelta, perché solo attraverso la scelta, e le decisioni che essa comporta, sarà possibile declinare puntualmente le azioni che possonome debbono essere compiute. Io non avrei dubbi: l'Italia deve puntare sulla sua identità storica di paese manifatturiero, dove la combinazione di creatività, multidisciplinaritá e Know how tecnico rappresentano il vero genius loci. Conseguentemente le riforme devono andare in una direzione chiara: regole sul lavoro di stampo europeo, riduzione della burocrazia per le imprese e riduzione del Cuneo fiscale. Solo in quesito modo possiamo pensare che le imprese (italiane e straniere) tornino a investire e quindi inneschino un'inerzia positiva verso la crescita della produzione e conseguentemente della domanda interna (grazie all'aumento dell'occupazione). Ma non basta ancora. Puntare sulla crescita richiede anche politiche selettive di incentivazione e soprattutto il superamento del paradigma dei fondi a pioggia; in altre parole, in stretta coerenza con il disegno industriale che si vuol dare all'Italia, servono incentivi che, a vario titolo, siano orientati, da un lato, alle dimen-

sioni di eccellenza industriale identificate e, dall'altro, puntino alla loro valorizzazione in chiave di marketing. A questo proposito, si dirà: sono appena stati stanziati 130 milioni di Euro per la promozione del Made in Italy; bene! Ma non é sufficiente: intendiamoci , non é che siano poche queste risorse, occorre piuttosto che siano indirizzate non, come al solito, in mille rivoli, ma appunto si concentrino selettivamente sui settori chiave. In tutto questo, l'Expo 2015 di Milano può rappresentare uno straordinario volano: un faro puntato sull'Italia per sei mesi. Occorre fare in modo che si sviluppi accanto al turismo tradizionale e al nuovo turismo digitale anche una sorta di turismo industriale : le numerosissime delegazioni industriali che verranno a visitare il mega evento devono avere cioè l'opportunità di visitare i nostri distretti industriali, le nostre fabbriche e apprezzarne le caratteristiche distintive. Non é una missione impossibile; tutt'altro. Occorre solo che il percorso verso il cambiamento parta da una consapevolezza di fondo: l'Italia, così come é, non può ambire a rimanere tra le prime economie del mondo; occorre cambiare essendo consapevoli che i cavalli della ripresa derivano dalle imprese: a queste dobbiamo dare fiato perché anche le famiglie tornino a respirare e a generare nuova domanda. Incentivare la domanda senza creare basi solide per l'industria rischia di essere un fuoco di paglia che non sortisce alcun effetto. Pensiamo dunque alla legge di stabilità in modo nuovo; se perfino i cinesi cambiano (in un periodo di crescita del PIL che é ancora del 7,5%) lo possiamo e lo dobbiamo fare anche noi. *Prorettore del Politecnico di Milano e Presidente Explora

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COSTUME & SOCIETĂ€

Mitoraj: angeli caduti dal cielo (a pag. 32)

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COSTUME & SOCIETÀ LA MOSTRA “DEI MIRACOLI” Valeria Caldelli

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ISA - Angeli caduti dal cielo nella piazza della torre più famosa del mondo. Un altro ‘miracolo’ che si aggiunge ai giganteschi monumenti di marmo, simbolo di fasti passati, per la prima volta a confronto con il presente. Un modo insolito di festeggiare un compleanno - 950 anni dall’inizio della costruzione della Cattedrale in un’area da sempre preser-

vata attentamente dalla ‘contaminazione’ moderna. Igor Mitoraj, scultore di fama internazionale, icona dell’arte contemporanea, ha superato il tabù, creando un ponte con il Medioevo, dove i suoi angeli di oggi lanciano il guanto di sfida ai miti secolari. <Fermiamoci e guardiamoci intorno>, invita il Maestro polacco, che non è nuovo ai confronti con i ‘mostri sacri’ dell’antichità. Le sue esposizioni ai Fori di Traiano a Roma, nella valle dei Templi di Agrigento e nella cittadina di Ravello, sulla costiera amalfitana, erano andate nella stessa direzione: trovare un

punto d’incontro tra passato e presente, ma soprattutto guardarci dentro per capire come i secoli di Storia ci hanno trasformati. Ecco perchè gli angeli caduti nella piazza dei Miracoli di Pisa hanno la testa o gli arti frantumati, hanno le ali spezzate e magari le mani legate o gli occhi coperti da una benda. <Vengono dall’antichità, ma per quanto feriti possono essere ancora un simbolo di libertà, quella libertà che oggi gli uomini hanno perso, sostituita dall’Impero della tecnologia>, ammonisce Mitoraj. Angeli come eroi, dunque, anche se eroi perdenti, destinati a scomparire nella vita quotidiana, ma portatori per un momento di un fascio di luce che illumina la strada. Quei giganti feriti, angeli-eroi sopravvissuti e simbolo della volontà di continuare a sognare anche in tempi difficili, resteranno fino al 15 gennaio n e l l a piazza d e i Mira-

Nella foto: Angelo in Piazza del Duomo a Pisa; nella pagina accanto, Igor Mitoraij

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coli, attori su un palcoscenico d’eccezione, sotto la Torre pendente, all’interno del grande museo delle Sinopie e in un nuovo spazio espositivo destinato a nuove mostre sull’arte sacra. <Ma fare arte sacra oggi è pressoché impossibile>, sostiene Mitoraj. <Bisogna riuscire a dargli un respiro diverso. Per quanto mi riguarda credo che non ci sia niente di sacro in quello che faccio. Il mio approccio all’arte è mistico, non religioso>. E mistici sono veramente quei volti bendati che non riescono o non vogliono più vedere, quelle Madonne trafitte nell’atto dell’Annunciazione, ma anche le ‘città perdute’, teatro di storie e drammi passati. Sono oltre 100 le opere esposte, tra sculture monu-

mentali, bronzi, disegni, fusioni in ghisa, gessi. Per la prima volta gli angeli neri, rossi o blu rilucono anche su fondi oro, immortalati su tele enormi, dove i colori sembrano rimpiazzare la terza dimensione della scultura. <In gioventù volevo essere pittore. Poi, invece, sono diventato scultore, ma ora sto tornando alla pittura>, raccont a . < H o cominciato a prendere i pennelli sette anni fa per liberarmi di certe immagini che sono sempre con me, come le teste bendate e i frammenti. E’un percorso artistico in divenire>. Non si sente ancora arrivato, Mitoraj, nonostante i suoi successi internazionali. E non si riterrà soddisfatto fino a quando non avrà fi-

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nalmente capito ciò che lo tormenta da sempre. <Come si fa a trovare l’anima di una scultura? Questa parola, anima, ce la siamo dimenticata....>. E allora lui, Igor, il cercatore dell’anima, attento ai minimi movimenti del mondo interiore, chiede aiuto al suo pubblico. <Non intendo mai mandare messaggi, né insegnare niente a nessuno. Vorrei che la mostra in piazza dei Miracoli fosse un incontro tra me e tutti coloro che guarderanno le mie opere perchè attraverso queste ognuno possa dialogare con se stesso, come se si trovasse davanti a uno specchio>. Ecco, forse e’ anche così che si può incontrare l’anima.


COSTUME & SOCIETÀ “TRADIRE” E ....ALTRO

di Donatella Miliani

U

N NUOVO significato per il più impuro degli atti. E’ in libreria l’ultimo libro dello psichiatra Luigi De Maio «Tradire» (alessioroberti editore.com). Una riflessione forte e brillante sul concetto di tradimento, pronta a scardinare molti dei nostri preconcetti. Cosa significa tradire? Quante forme di tradimento esistono? Perchè si tradisce? E soprattutto, chi tradisce? L’altro o noi stessi? Nell’analisi dell’autore e nei racconti di vita che De Maio propone al lettore, il tradi-

Il professor Luigi De Maio

mento diventa una possibile forma di affermazione di se stessi, un percorso di conquista della propria autonomia, un atto di salvaguardia della nostra identità. «Noi tradiamo in sostanza — dice l’autore, psichiatra, psicologo, neurologo e psicoterapeuta —, per non tradire noi stessi». Perché come sempre evolvere significa allargare la mappa dei nostri pensieri e mettere alla prova le nostre convinzioni, affrontando da nuovi punti di vista quello che abbiamo sempre osservato da una sola prospettiva. Un libro

che non vuole essere un inno al tradimento, ovviamente, parola che evoca immagini e sensazioni di confusione, dolore, senso di colpa, separazione, ma un’analisi libera di un fenomeno diffusissimo. «Tradire — per dirla con le parole della scrittrice Barbara Alberti che ha curato la prefazione —, è un manifesto di liberazione dal male del secolo, l’abdicazione alla scelta. Per quanti il letto è diventato una cintura di castità troppo stretta per essere sopportata? L’autore illustra, fra le altre, una situazione di coppia in cui si sta per svalutarsi a vicenda. Lui è in sovrappeso e sta mangiando. La moglie: “Smettila di ingozzarti, ti fa male”. E l’altro risponde: “Passami un pezzo di torta”. Oppure lui: “Ho pensato di portarti a cena fuori”. E lei: “Cosa devi farti perdonare?”. Chi sta tradendo? Entrambi.». Il libro di De Maio insomma non è un inno alla doppia vita, alla scappatella. «Tradire — conclude la Alberti — è un invito a vivere secondo inclinazione e coscienza. Un testo a favore del libero arbitrio, oggi che tutto è demandato ad altri, e addirittura prospera la figura del life-coach, pagato per dirti come vivere, muoverti, vestirti, lavorare... tutto pur di abolire la scelta. Tradire ci mette davanti a noi stessi...». Uno sguardo, a volte basta uno sguardo per accorgersi che chi amiamo si sta allontanando, non è più con noi. La sensazione che ci assale impedisce qualsiasi pensiero. Sembra quasi che le parole sfuggano dalla bocca, senza volerlo e, con una loro autonomia, si articolino in una domanda banale lanciata lì, per caso: «Cos’hai?». E la risposta che già conosciamo giunge di rimbalzo: «Niente, perché?». Un’affermazione e una domanda che troppo rapidamente irrompono nel silenzio di sguardi e di contatti evitati. Un parlare che, apparentemente, non ha senso, un «niente» che non ammette repliche e che attiva un percorso di distacco reciproco. Rispondere a una domanda con un’altra domanda significa ignorare la curiosità, la complicità, l’interesse di chi vorrebbe rompere l’angoscia del silenzio. Chi tradisce è animato da un senso di onnipotenza: ritiene che tutto dipenda dalle sue scelte e di essere quindi lui a far soffrire o a dare piacere. Ma è davvero così? «Tradire» vi aiuterà a trovare non una ma più risposte.

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COSTUME & SOCIETÀ LA VENDETTA IN UN LIBRO

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dedicato alla vendetta e ai suoi mille aspetti, il volume di Carlo Maria Grillo intitolato, appunto “Riflessioni anodine su vendetta… e dintorni” (Aracne Editrice, 80 pagine). Un libro scritto con saggezza e attenzione per i particolari, amore per le basi storiche

“Il magistrato Grillo offre un excursus incisivo sul legame tra vendetta e giustizia, idee per noi lontane ma intrecciate nel passato” scrive Vittorio Feltri nella prefazione del volume. Ecco infatti che l’autore parte proprio dai fondamenti storici della vendetta, dalle modalità con cui essa era prevista o regolamentata all’interno di clan, famiglie, società primordiali. Dalle origini al Medioevo, e ancora fino ai giorni nostri, Carlo Maria Grillo affronta l’argomento a 360 gradi, non mancando di riportare aspetti teologici e filosofici, fino ad una breve “carrel-

Le conclusioni? Non sono così scontate, come potrebbe sembrare ad un lettore frettoloso. Secondo l’autore, infatti, la migliore vendetta è, quasi paradossalmente, il perdono. Ma non un perdono divino o che trova comunque le sue radici negli insegnamenti religiosi. Piuttosto, un perdono inteso come “arma” contro chi ci ha colpito, e come elemento “pacificatore” di noi stessi. Perché, come scrive ancora Feltri nella prefazione, “il perdono, in effetti, è un’arma potente, e oltre a rendere la nostra vita migliore, funziona benissimo anche come vendetta […] Dimostrarsi magnanimi è un ottimo trucco per ridicolizzare l’avversario, facendone risaltare la piccineria”. Provare per credere. J.P.

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e curiosità per i risvolti etici, psicologici, filosofici di una “pratica di ritorsione” tanto condannata quanto insita nella natura stessa dell’uomo e che per questo motivo si presta a profonde riflessioni. Le infinite variazioni sul tema portano il lettore ad approfondire la differenza, o forse sarebbe meglio dire il rapporto, tra vendetta e giustizia, anche alla luce del ruolo di magistrato che ricopre l’autore.

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COSTUME & SOCIETÀ IL MONDO IN UN PAESE

di Francesca Stirpe

Il mondo in un Paese”, questo è il termine con cui viene identificato il Sud Africa, una terra tra le più antiche del mondo lambita da 2 oceani, l’Atlantico e l’Indiano, luogo di ritrovamenti inestimabili come fossili e resti di dinosauri, di città modernissime e antichi villaggi tradizionali, ma soprattutto la patria della natura selvaggia e incontaminata. Il Sud Africa possiede i parchi tra i più famosi al mondo, dove a bordo delle jeep si possono ammirare i “Big 5”, i cinque grandi animali della savana: leoni, bufali, elefanti, leopardi e rinoceronti. L’origine della definizione viene dal safari inteso come battuta di caccia, e i big 5 erano le cinque prede più ambite dei cacciatori, i cinque trofei più prestigiosi. Ma non ci sono loro, tanti altri sono i mammiferi che si possono incontrare nel “bush” e a ridosso di pozze d’acqua, tra cui zebre, antilopi, giraffe, iene, facoceri e ippopotami. Una fauna dunque molto numerosa, che convive con una flora millenaria, e che può essere vissuta in modo unico e naturale grazie alle guide dei parchi nazionali, ranger esperti che in perfetta armonia con quanto li circonda guidano nel “bush”, avvistano ed inseguono “tracks” sino ad arrivare a pochi metri dal muso di un ghepardo o di un impala

intento a dissetarsi in una pozza d’acqua, seguono il lento percorso degli elefanti in branco, il tutto nel profondo rispetto che solo tanta perfezione è in grado di suscitare. Il Sud Africa possiede circa 300 parchi nazionali e riserve, il più famoso è il Parco Nazionale Kruger, la più grande riserva naturale del Paese. Si estende su di un’area di circa 20.000 km², a ovest e a sud del parco si trovano le due province sudafricane di Mpumalamga e Limpopo, a nord lo Zimbawe e a est Mozambico e Swaziland. Recentemente, il Kruger è entrato a far parte del Great Limpopo Transfrontier Park, che lo unisce al Gonarezehou National Park dello Zimbabwe e al Limpopo National Park del Mozambico. Il parco appartiene alla “Kruger to Canyons Biosphere” (“Biosfera dal Kruger ai Canyon”), una zona designata dall’Unesco come Riserva Internazionale dell’Uomo e della Biosfera. Il Kruger è una zona a basso rischio malarico, soprattutto nei mesi da tra maggio e settembre. Il periodo migliore è l’inverno australe, durante la stagione secca, che parte da maggio fino a ottobre, quando gli alberi sono spogli ed il “bush” basso e si possono scorgere gli animali con grande facilità. Nei mesi di novembre e dicembre il Kruger è colmo di cuccioli di animali ed è bellissimo vederli muovere i primi passi, oltre che essere il periodo migliore

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Una realtà del Sudafrica

per i carnivori. Ma la fauna che popola il Paese non si ferma qui, colonie di pinguini, foche e otarie sono avvistabili nelle vicinanze del Capo di Buona Speranza. Qui albe e tramonti infuocati tolgo-

no il respiro, il Mal d’Africa probabilmente è nato proprio qui… Convenzionalmente considerato il punto più a sud del continente africano e luogo d’incontro tra gli Oceani Atlantico e Indiano, il leggendario “Cape of Good Hope” non può che evocare le avventure di grandi navigatori che nei secoli, fino all’apertura del Canale di Suez, hanno coraggiosamente doppiato il Capo. Intorno solo cielo azzurro, acque tumultuose che si infrangono sugli scogli, vento e baie deserte che fanno pensare a quanto fosse appropriato il primo nome del Capo di Buona Speranza, Capo delle Tempeste, dato dal portoghese Bartolmeu D i a s

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quando lo scoprì nel 1487. Vi è mai capitato di pensare che il nord e il sud della terra siano solo delle convenzioni create da chi il mondo si è limitato a disegnarlo, piuttosto che esplorarlo? Se si, guardando l’orizzonte da Capo di Buona Speranza ne avrete la certezza. Visto da questo angolo, il mondo sembra proprio non avere né inizio né fine, dando la sensazione di spingersi così in là da oltrepassare il polo sud e toccare quello nord, in un’armoniosa continuità che non conosce confini e punti cardinali. Questo non è che un piccolo assaggio di quanto di meraviglioso il Sud Africa ha da offrire, non a caso è uno dei Paesi del continente che forse è il più suggestivo di tutti, quello che riesce attraverso i colori, i suoni e i profumi, a toccare le corde più in profondità dell’animo umano, quelle primitive e più vicine al centro del nostro essere.


COSTUME & SOCIETÀ SCARPE, LO SPECCHIO DELL’ANIMA

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ell’ideale collettivo, ciò che rappresenta, nella moda, il desiderio più profondo di una donna sono le scarpe. Alte, basse, con tacco a stiletto o raso terra, preziose come un gioiello o modeste come delle ballerine, le scarpe dicono molto di una donna. Parlano del suo essere, comunicano i suoi sentimenti, rappresentano il suo modo di affrontare la vita. Ecco perché Shari Fontani, giovane designer fiorentina, ha deciso di dedicare la sua prima collezione proprio a quelli che, a suo avviso, sono i desideri più profondi di una donna: le scarpe e i gioielli. Sono nate così le scarpe Shari Fontani, che rappresent a n o

l’ideale connubio di questi desideri, fusi in un unico prodotto dedicato alle donne che non temono di esprimere se stesse. Le particolarità delle scarpe disegnate dalla giovane Shari sono tante, a partire da quel tacco gioiello dietro il quale si nascondono emozioni, desideri, peccati. E proprio ai sette peccati capitali è stata dedicata la collezione: ad ogni peccato affianca un paio di scarpe e un tacco dal design unico. Ma è un tacco che può essere

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sostituito, in modo da creare un gioco di abbinamenti tra scarpe, colori e tacchi-peccato che rende il momento di indossarle intrigante e ricco di fascino. Il sistema di intercambiabilità dei tacchi fa sì che le scarpe “cambino” aspetto, e quindi significato, con pochi semplici gesti. Sette scarpe per sette tacchi; ma anche per sette peccati, e infinite combinazioni. “La donna che ama le scarpe che ho realizzato è una donna che ha voglia di giocare con se stessa e con gli altri - spiega Shari Fontani – È una donna che riesce a creare una sinergia tra il suo essere donna appunto, quindi adulta, con il suo lato ancora vivo di bambina. È una donna che ha piena fiducia in sé e vuole dimostrare chi è e non teme di osare nell’esprimere il suo essere”. Perché la moda, oggi e sempre di più, diventa appartenenza, comunicazione, espressione di un messaggio. È un mezzo attraverso il


quale comunicare il proprio modo di essere, le proprie emozioni, i desideri più profondi, i lati più oscuri. Ecco quindi che ognuno dei sette peccati capitali fa parte di noi; e solo noi possiamo decidere quale far prevalere. Ma attenzione: nessun richiamo ai peccati in termini religiosi. Nella moda i peccati diventano specchio dei sentimenti di una donna, che quotidianamente è chiamata a scegliere quello che vuole comunicare al mondo. La sensualità, la golosità, la voglia di dedicare del tempo a se stessa o la determinazione che può essere confusa con un carattere iroso: ecco che il confine tra peccato, sentimento e modo di essere si fa sempre più sottile, fino a scomparire e lasciare spazio ad una sorta di gioco di ruoli che “svecchia” il semplice concetto di scarpa-gioiello. Le scarpe, realizzate a mano da artigiani fiorentini e solo materie prime italiane, vogliono quindi essere una rappresentazione di ciò che di meglio il nostro Paese ha da offrire ai mercati internazionali: la qualità dei materiali, la maestria della realizzazione, l’esclusività del design, il coraggio dell’innovazione. La collezione, a riprova di ciò, ha registrato un profondo interesse da parte di Paesi attenti alle novità come la Russia e la Cina. “La Russia rappresenta un mercato pronto alle novità, al concetto di eleganza e lusso - aggiunge la designer - Le donne russe sono donne che hanno voglia di riconoscersi in uno status sociale di ricchezza ed esclusività. Questi sono aspetti che ritroviamo anche nei paesi orientali, dove è molto spiccato inoltre il concetto di ‘ornamento’, come simbolo che rappresenta qualcosa. Ma sicuramente ci sono donne, anche in Italia, che sanno osare e giocare con se stesse e con gli altri, con quel tocco di esclusività che sa fare la differenza”. J.P.

Shari Fontani

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COSTUME & SOCIETÀ QUALE GABRIELE D’ANNUNZIO?

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l Todi festival serata dannunziana in compagnia di Maddalena Santeroni e Donatella Miliani, e uno splendido attore che recitava e leggeva: Luigi Diberti. Ancora una volta il Vate é riuscito a catturare l’attenzione con le delicate e divertenti spiegazioni delle due autrici, sicuramente affascinante da Gabriel. Pubblico interessato e coinvolto agli aspetti più curiosi della vita del “dandy guerriero” e alla sua modernità. “Sono stato felice di tornare a Todi, città che mi porta fortuna». L’attore Luigi Diberti,voce recitante dell’appuntamento «Ma quale d’Annunzio? Gabriele dalla A di Alcyone alla V di Vittoriale” a Palazzo del Vignola, ha ricordato che dieci anni fa fece «un magnifico spettacolo con la regia di Memè Perlini che mi portò molto bene. E poi adoro D’Annunzio, che ho interpretato in tv recitando accanto

a Piera degli Esposti nei panni della Duse e Valentina Cortese in quelli di Sarah Bernhardt . Sono stato molto felice di lavorare con Maddalena e Donatella in quella serata agli aspetti meno conosciuti del ‘dandy guerriero’ come dicono loro». «D’Annunzio — spiega Maddalena Santeroni che con Angelo Bucarelli ha lavorato alla sezione museale del D’Annunzio Segreto al Vittoriale — è stato un vero anticipatore, un precursore che non è stato completamente capito. Faceva paura al potere. La carta del Carnaro è una delle cose più moderne che siano state scritte e poi era uno dei pochissimi, forse l’unico della sua epoca, che si occupava davvero di tutto: letteratura, poesia, giornalismo, cinema, teatro, pubblicità. Nella nostra epoca siamo abituati a artisti diciamo così poliedrici, a quei tempi invece questa modernità era vista come una cosa strana». «La conversazione — spiega la giornalista della Nazione Donatella Miliani — è stata costruita proprio per fornire, sia pure in pillole, delle diverse chiavi di lettura del personaggio, sicuramente molto diverso da quello studiato sui banchi di scuola». «Con Donatella — conclude la Santeroni — ci siamo conosciute proprio all’ombra di d’Annunzio tanto che sul Vate stiamo adesso scrivendo un libro molto particolare, ma questa è un’altra storia...».

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COSTUME & SOCIETÀ MADRA, UN CENTRO PER LE DONNE

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i chiama “Madra women, life & care”, ed è uno dei centri medici più all’avanguardia di Firenze. Perché gode di una particolarità non frequente in Italia: si tratta infatti di un centro dedicato alle donne, e che offre alle pazienti più esigenti l’eccellenza di specialisti di fama nazionale, in un ambiente glamour e accattivante. Nato da un’idea di Sandra Conforti, ostetrica toscana, il centro rappresenta quindi una novità nel panorama medico privato del nostro paese: si configura non come un poliambulatorio o un luogo dove prenotare semplici visite mediche, ma come un complesso sistema multidisciplinare che affronta percorsi completi e dedicati alla donna in ogni fase della sua vita. “Il centro Madra ha come obiettivo primario la salute della donna dur a n t e tutto il suo ciclo rip ro duttivo, dall’adolescenza alla menopuasa, con particolare attenzione Sandra alla graConforti vidanza

– spiega l’ideatrice Sandra Conforti – E offre servizi e percorsi multidisciplinari che si avvalgono della collaborazione di professionisti altamente qualificati, di tecnologie all’avanguardia e laboratori di riferimento a livello italiano, con la possibilità, laddove si renda necessaria, di una continuità di assistenza con partner conosciuti a livello nazionale e non solo”. Sì, perché nel nostro paese la sanità è costretta sempre più a fronteggiare difficoltà importanti che si riflettono sul cittadino, che spesso si ritrova ad affrontare un sistema deficitario che da anni ormai non riesce più a rispondere alle sue necessità. “Il sistema sanitario toscano si è sempre basato quasi esclusivamente sulla sanità pubblica, visto che la privata accreditata è appena al 3%, a differenza di altri sistemi regionali, come quello lombardo, in cui si è assistito ad una sorta di parificazione tra pubblico e privato accreditato – aggiunge Conforti – Ma negli ultimi anni il modello toscano sta presentando non pochi problemi, in termini di gestione delle richieste per visite specialistiche o approfondimenti

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diagnostici, per i quali esistono liste d’attesa inaccettabili. Basti pensare che siamo arrivati a dover aspettare addirittura un anno per poter eseguire una mammografia in una struttura pubblica, e in alcuni casi limite vanno aggiunti da 3 a 6 mesi per ottenere la refertazione finale”. Un sistema del genere, quindi, impedisce al cittadino di seguire un percorso di prevenzione omogeneo o di trovare risposte immediate all’insorgere di un problema di salute. Ecco quindi che un centro medico che instaura con i pazienti un rapporto personalizzato, discreto e intimo, genera una nuova “cultura sanitaria” del privato. In un mondo globale che assiste ad una continua rincorsa al benessere, e che vede aumentare sempre più l’aspettativa di vita, poter trovare una struttura che si dedica alla salute, alla prevenzione e che sa ascoltare per rispondere prontamente ai bisogni delle pazienti con un trattamento personalizzato, può fare la differenza. E perché no, rappresentare un modello da seguire per la sanità privata del futuro.


COSTUME & SOCIETÀ LONDRA: TEA FOR TWO?

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ONDRA - Tea for two? Forse, ma parecchi anni fa quando Doris Day rese la canzone nota nel mondo. Oggi invece, anche se il té è rimasto una tradizione inglese radicata come l'edera, a quel numero sarà bene aggiungere qualche zero e magari togliere un po' del romanticismo tramandato dalla musica. Il fatto è che nella capitale britannica il tanto amato ‘afternoon tea’, cioè il tè delle 5 pomeridiane, è diventato un' attrazione turistica tale da aver bisogno di settimane, e qualche volta anche mesi, per ottenere una prenotazione. Tutti i maggiori hotel - e per la verità anche i minori- sono pronti a servirlo in belle tazze di porcellana e teiere d'argento, accompagnate da quei piccoli accessori necessari al rito e cari agli inglesi. La richiesta è così divampata da rendere necessari alcuni cambiamenti non proprio canonici, come, ad esempio il tipo di abito da indossare. Se negli hotel di maggiore tradizione si continua a chiedere un abbigliamento formale con giacca e cravatta, in molti altri, cioè ormai quasi tutti, vince la formula 'smart casual'. Che poi vuol dire non presentarsi in calzoni corti e scarpe da ginnastica: il resto è optional. Non solo. Per accontentare tutti, persino l'orario si è dilatato all’inverosimile. Nel senso che il tè delle 5 può essere servito anche all'ora di pranzo o subito dopo, con buona pace della duchessa Anna di Bedford, che inventò questa ‘merenda’ speciale intorno al 1840 per rendere più felice il suo spirito, nonostante le comprensibili conseguenze per la sua circonferenza di vita. D'altra parte i latini lo hanno insegnato a tutti: "Pecunia non olet". E gli inglesi imparano sempre in fretta, riuscendo a trarre vantaggi anche da ciò che è

loro più caro: dalle 30 alle 50 sterline a testa per respirare l'aria di un'antica aristocrazia e di uno storico Impero. Insomma un 'business', come direbbero loro. Sia chiaro, però, che non si tratta di un semplice tè. Al di là del servizio impeccabile di camerieri in livrea e delle fini argenterie, sulla tavola arriva una quantità di cibo da far ingrassare uno stecchino da denti. Si comincia con una serie di sandwiches , con il salmone, con l'uovo e soprattutto con il cetriolo, ortaggio poco nobile ma immancabile in qualsiasi raffinato 'afternoon tea'. Si continua con gli scones, con e senza uvetta, serviti con l'amatissima marmellata di fragole e la clotted cream (imperdibile). Il tutto a volontà. Si finisce, sempre che ci si riesca, con vassoi di dolci ricamati in cui emergono meringhe, frutti di bosco, cioccolata e creme varie. Da non sbagliare, per carità, con gli 'Hight tea' della Scozia e del Nord dell'Inghilterra, dove il menù è certamente più rozzo e , secondo i londinesi, non si conoscono lo stile e l’eleganza del Sud. Se gli hotel della capitale britannica si sono ormai aperti ai turisti, non si pensi che gli inventori di tante leggendarie e ‘brevettate’ finezze si tirino indietro. Per quanto un po’ infastiditi dall'eccessiva attenzione delle orde turistiche verso questa loro antica e nobile usanza, si accontentano di condividerla, magari mantenendo l’esclusività di alcuni club e ovviamente l’opportunità di privatissimi salotti. Comunque, per evitare che la tradizione possa scadere in ridicole approssimazioni, ogni anno viene stabilito un premio per il miglior ‘afternoon tea’ della

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capitale. E i giudici, inglesi con pedigree, non perdonano errori. Siamo nel Paese dove, senza troppi complimenti per la moderna globalizzazione, le misure si prendono in ‘feet’ e non in metri, dove le distanze si misurano in miglia, le persone pesano svariate ‘pietre’ (essendo il chilogrammo una misura pressochè sconosciuta e quasi impopolare) e sulle strade si viaggia in maniera opposta rispetto al resto del mondo. Figuriamoci allora se un inglese, aristocratico o no, potrebbe mai rinunciare al suo tè, quella tazzina misteriosa in cui affogano dispiaceri e discussioni, trasformati in piacevoli conversazioni condite da pettegolezzi. Un’altra cosa però è certa: dove le tradizioni sono più radicate, le trasgressioni abbondano. Così è successo che a Canary Wharf, ex molo delle Dockslands nell’East End di Londra, ora diventato un importante centro direzionale e finanziario, l’antico rito sia stato ‘profanato’ dall’evento ‘pop up’ dell’anno. Altro giro, altra corsa. Cioè altro business. Niente etichetta, niente bisbiglii né luci soffuse. Qui i pionieri dell’avventura possono mangiare su una piattaforma che si alza fino a 30 metri (pardon, 100 feet) e resterà sospesa nel cielo per tutta la durata del pranzo o della cena. In una giornata ci sono nove opportunità,

pioggia permettendo, a partire dalla colazione, fino all’ultimo champagne notturno. Il brivido c’è, la sicurezza viene assicurata, i clienti corrono, gli inglesi sorridono, sapendo che non c’è niente di meglio della disobbedienza per mantenere le consuetudini. Ma qualche volta può accadere che la

disobbedienza causi conseguenze indelebili. Lo aveva sottolineato per la prima volta il principe Carlo al Royal Institute of British Architects nella famosa ‘Carbuncle speech’, conferenza in cui denunciava, appunto, la nascita di troppi ‘furuncoli’ a Londra e in tutto il Paese. Insomma una critica senza precedenti alla moderna architettura che in molti casi ha seminato brutti edifici nel cuore della capitale. Perché dove le tradizioni

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sono più radicate, le trasgressioni sono certamente più forti e gli architetti da sempre hanno amato ‘profanare’ i templi. Basti pensare ai pesanti palazzi in vetro e metallo a Knightbridge, proprio tra Harrods e Hide Park, vero e inutile pugno in un occhio. Nel tentativo di ristabilire un po’ di rispetto per la città e con la proverbiale ironia è stata persino fondata la ‘Carbuncle Cup’ con cui la rivista ‘Building Design’ addita il ‘mostro’ dell’anno. Bene, ben quattro edifici spuntati a Londra hanno avuto quest’anno la sgradevole ‘nomination’ e infine la ‘Coppa Furuncolo’ è stato attribuita dal pubblico e da un gruppo di critici a un palazzo appena sorto nel quartiere di Woolwich . Ma il problema è tutt’altro che risolto perché una grande quantità di costruzioni è ora in atto nella capitale e in molti si chiedono se si terrà conto della qualità, oltre che del consueto business. La polemica non si placa e gli inglesi sono pronti a puntare il dito contro altri ‘furuncoli’. Senza mai dimenticare, però, quella che forse è la loro migliore abitudine, quel ‘sense of humor’ che non fa mai prendere tutto troppo sul serio. In fondo ogni giorno il Big Ben scocca le 5. E allora tutti a tavola, signori: il tè è servito. Valeria Caldelli


COSTUME & SOCIETÀ RELIGIONE E LETTERATURA

di Marco Toti

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.V. Tondelli (1955-1991) e C. Coccioli (19202003) sono due autori letterari contemporanei in cui la inesausta tensione religiosa – generalmente negletta, oggi, dalla letteratura à la page – ha assunto toni e motivi particolarmente sofferti. I due hanno anche intrattenuto una significativa amicizia a distanza, di cui alcune pagine di “Un weekend postmoderno” di Tondelli sono una testimonianza (pp. 478490; i due scritti qui considerati sono del 1987 e del 1990). In Tondelli, l’impegno politico degli anni ‘70 si trasforma in “scrittura interiore” ed “emotiva”: ma senza che il suo intimismo libertario si neghi alla dimensione religiosa, nella fattispecie cattolica (cfr. A. Spadaro, “Lontano dentro se stessi. L’attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli”, Milano 2002). Coccioli, da parte sua, è un autentico irregolare: partito a meno di 30 anni per Parigi perché non sopportava l’egemonia culturale di Moravia, poi definitivamente stabilitosi a Città del Messico nel 1953, è stato cattolico, ammiratore di Mons. M. Lefebvre, ebreo, indù e buddhista, oltre ad essere passato per varie esperienze di margine. Dopo aver “confrontato le proprie inquietudini vane con l’imperturbabilità del mondo” (p. 478), è tornato a una forma di Cristianesimo molto personale, esistenzialmente ed “ecologicamente” connotato, secondo cui “dare da mangiare a un animale affamato è praticare Dio” (Piccolo karma): confermando così, seppure da un punto di vista diverso, la tesi tondelliana del Cristianesimo come “unica religione praticabile”. Molto significativa è la chiosa del capitolo in oggetto: Coccioli afferma di “non saper pregare”, ma di “saper pensare”. Commenta Tondelli: “Anch’io forse non so pregare, se non nell’osservare, con pietà, il mondo e gli uomini”. In Coccioli – e in Tondelli - si specchiano molte inquietudini irrisolte dell’uomo occidentale, oltre che quei “vuoti radicali” che la Chiesa cattolica odierna si ostina a non voler colmare, preferendo riempire gli stadi.

Dall’alto: Carlo Coccioli e Pier Vittorio Tondelli

Nuova Finanza - settembre, ottobre 2014 - Pag. 45


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