NUOVA FINANZA 6 LUG/AGO

Page 1

BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO

Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013

Anno 2015 Numero 4 LUGLIO AGOSTO

ESTATE 2015 BOOM AL MARE COL FIATONE IN MONTAGNA (a pag. 4)

Foto di Giorgia Boitano

2

IL PUNTO Turismo poco amato

56

INTERVISTA Isabella Staino si confessa



INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 1

2 4 6 10 12 14 16 18 20

Il Punto Turismo poco amato Estate I conti tornano Unicef Figli della recessione Jobs Act Non si gioca sul lavoro Investimenti Tra vizi & virtù

UNICEF PIANGONO ANCHE I BIMBI “RICCHI” a pag 6

Rientro dei capitali Ultima chiamata Borsa Merci Sul palco dell’Expo Geo-economia La nuova guerra fredda Fincantieri L’incertezza del diritto

Nuova Finanza Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale

Francesco Carrassi Direttore Responsabile

Pietro Romano Direzione Marketing e Redazione

Katrin Bove Germana Loizzi

Editore Kage srl 00136 Roma - Via Romeo Romei, 23 Tel. e Fax +39 06 39736411 www.nuovafinanza.com - redazione@nuovafinanza.it Per la pubblicità: nuovafinanza@nuovafinanza.it

COSTUME & SOCIETA’

46 48 51 53 54 56 59 60

GUERRA INFORMATICA LA GRANDE MUSICA VINI AL SUD UN GELSO IN PARADISO VELA & CULTURA ISABELLA E LA PITTURA FONDAMENTALISMO PROTESTANTE E POI SCOPPIAVA L'ESTATE

Autorizzazione Tribunale di Roma n. 88/2010 del 16 marzo 2010 Iscrizione ROC n. 23306 Stampa STI - Società Tipografica Italia Via Sesto Celere, 3 - 00152 Roma Progetto Grafico Mauro Carlini Abbonamento annuo Euro 48,00 Hanno collaborato: Marco Barbonaglia, Elio Boncompagni, Katrin Bove, Valeria Caldelli, Ornella Cilona, Paolo Coccopalmerio, Paolo Galliani, Andrea Iacomini, Germana Loizzi, Maddalena Mazzeschi, Donatella Miliani, Renato Pedullà, Joselia Pisano, Gaia Romani, Alessandro Spolvi, Marco Toti, Raffaele Trivellini


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 2

IL PUNTO del direttore

TURISMO POCO AMATO di Pietro Romano

L

’Italia torna potenza nell’industria turistica mondiale. Il nostro Paese è balzato, infatti, all’ottavo posto nel “The travel & tourism competitiveness report 2015”, il Rapporto biennale sulla competitività dell’industria dei viaggi e del turismo redatto dal World economic forum di Ginevra. Lo stesso pensatoio, per intendersi, che organizza l’appuntamento annuale a Davos (dove si riunisce il gotha della finanza, dell’economia e della politica internazionale) e sforna il Rapporto sulla competitività nel mondo. L’Italia era 26esima appena due anni fa, nel 2013. La classifica globale per competitività turistica è guidata dalla Spagna, seguita da Francia, Germania, Stati Uniti d’America, Regno Unito, Svizzera, Australia, Italia. L’indagine mette in fila, complessivamente, 141 Paesi valutati sulla scorta di 14 indicatori. E l’Europa domina saldamente la top ten del Rapporto, con sei Paesi nei primi 10 posti. Una leadership continentale merito, secondo i curatori del Rapporto, dell’eccellente combinato disposto di infrastrutture, condizioni igienico-sa-

venienti dalle regioni di nuova ricchezza, rimuovendo gli ostacoli posti dalla burocrazia allo sviluppo delle attività economiche. Perfino un Paese a economia matura, come l’Italia, stimano i curatori del Rapporto, può migliorare la sua posizione, disponendo di potenzialità in grado di sviluppare ulteriormente l’industria dei viaggi e del turismo. Sono proprio gli attuali punti di debolezza (difficoltà nel “fare impresa” e prezzi elevati) a offrire al nostro Paese i margini di crescita più ampi. Nella facilità di “fare impresa”, l’Italia è solo 127esima, appena meglio di Paesi semi-falliti, come lo Yemen, dello Zimbabwe e del Venezuela, ultimo in graduatoria. Tirata a picco, addirittura al 140esimo posto della classifica, soprattutto dal livello della tassazione sugli investimenti e sul lavoro. Va poco meglio per l’impatto dei contributi e del costo del lavoro (138esima) e per le regole che frenano gli investimenti diretti dall’estero (135esima). Pessima aria tira anche sul fronte dei prezzi. Più cari dell’Italia (133esima in graduatoria) soltanto alcuni Paesi scandinavi e la Svizzera, dopo la rivalu-

nitarie, apertura alle merci e alle persone. Ma non è detto, avvertono, che i Paesi europei non possano fare di meglio, sfruttando in maniera più appropriata i beni culturali, attrezzando l’industria a rispondere alle esigenze dei viaggiatori pro-

tazione del franco diventata la meno economica destinazione del pianeta. Un caro prezzi che taglia le gambe prima di tutto al turismo interno, considerato che il potere d’acquisto nel nostro Paese viaggia a livelli bassi. Con questo catastrofico posizionamento, è il discorso che si fa a Ginevra, non si può che migliorare. Più facile a dirsi che a farsi. Nonostante i prezzi alti, è per esempio l’allarme lanciato pochi giorni fa da Federalberghi, il valore aggiunto dell’industria turistica va riducendosi e, nei primi sei mesi di quest’anno, nonostante un lieve incremento delle presenze, è diminuito il numero degli addetti nel settore. Il rischio è che persino una iniziativa come l’Expo, e la giusta sovraesposizione che ha garantito all’Italia, non sia capitalizzata a sufficienza. Un paradosso, perché quello che adesso cercano ai quattro capi del mondo le persone che hanno la sufficiente disponibilità economica è proprio quanto l’Italia può offrire al meglio: dal cibo al paesaggio, dalla qualità della vita alla proverbiale capacità di rallentare i ritmi frenetici (e spesso inconcludenti) dell’esi-

Alitalia è tornato a essere un atout dell'offerta turistica italiana

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 2


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 3

stenza 2.0. Che materie nuove c’è cosa accadrebbe se, abituata, ogni tot lavorando insieme anni cambia mesu progetti a lungo stiere. Come se termine, ma fatti non bastasse, uno di piccole cose (a dei due consiglieri esempio una magdi amministraziogiore pulizia dei ne è il country macentri urbani), tinager di Emirates, rassimo fuori quello compagnia aerea che c’è nel nostro direttamente conDna? Per ora non corrente di Alitalia lo abbiamo fatto. e del suo socio forE, come indica il te Etihad. Alla facWorld Tourism Bacia del sistema rometer più recente Paese. (aggiornato a tutto Eppure, è risaputo aprile scorso) menma va ricordato, tre il fatturato tuil turismo, con il Il turismo ha bisogno anche di piccole cose. A cominciare dalla pulizia e dalla sicurezza ristico mondiale cresuo effetto traino, sce mediamente a potrebbe essere provincializzato l’immagine internaun ritmo del 4,4 per cento, in Italia è davvero il toccasana per i mali italiani. zionale dell’Italia. Con una spesa annua quasi fermo e il nostro Paese rischia di Questa industria ha numeri da fare che però supera i 330 milioni. Al perdere ulteriori posizioni tra le mete invidia e prospettive da urlo. I viagcentro, invece, è rimasto un ente inutile preferite al mondo, dove ora è sesta, giatori sono aumentati di 51 milioni, la cui vita procede tra le polemiche alle spalle di Usa, Spagna, Cina, Francia toccando – secondo i dati dell’Agenzia come l’Enit, che pure ha un bilancio e Macao. Concorrenti come la Gerdel turismo delle Nazioni unite – il di circa 25 milioni perlopiù destinato mania e il Regno Unito incalzano. record di un miliardo e 14 milioni di a retribuzioni e fitti delle sedi. Nella I problemi di un comparto che copersone ad aver varcato in un anno i sua revisione di spesa, Carlo Cottarelli munque ha un giro d’affari di oltre confini nazionali per vacanza o per aveva proposto di chiuderlo, magari 162 miliardi l’anno, circa un decimo affari. Il settore vale il 9,5 per cento aggregandolo ad altri organismi pubblici del prodotto interno lordo nazionale, del prodotto interno lordo mondiale deputati a favorire il commercio con e dà lavoro a due milioni e mezzo di e garantisce 226 milioni di posti di lal’estero. Il governo ha invece deciso di persone non sono solo quelli tipici voro, cresciuti del 4 per cento in 12 confermare la fiducia all’ente, nomidell’economia e dell’impresa mesi, vale a dire un occupato ogni 11. nando come nuovo presidente Evelina italiani. Dalla riforma istiCon previsioni ancora più rosee, tali Christillin, presidente uscente del Mutuzionale in poi, per esemda condurre il comparto, nel giro di seo Egizio di Torino, che si è affretta a pio, l’Italia soffre una grave inpochi anni, a rappresentare un decimo dichiarare di non possedere una ricetta sufficienza di promozione rispetto alla della produzione globale di beni e per il turismo, anche perché per lei si concorrenza. Avere affidato alle regioni servizi e un decimo dell’occupazione tratta di una materia nuova, ma alle questo compito ha frammentato e mondiale.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 3


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 4

ESTATE: I CONTI TORNANO

UNA GRAN BELLA STAGIONE Paolo Galliani Le chiamano “intenzioni”, che poi sono orientamenti, decisioni nell’aria, scelte almeno teoriche che aspettano il confronto con la realtà. Ma i segnali sono evidenti, registrati dalla Doxa per conto dell’Osservatorio Europcar che ogni anno cerca di intercettare gli umori degli italiani in materia di “vacanze”. Ed ecco il botto tanto atteso: torneranno a viaggiare, tanti quanti non se ne vedevano dagli anni che hanno preceduto la crisi economica. E se non siamo ancora al pieno recupero, per l’industria turistica l’estate 2015 si preannuncia una gran bella stagione, complice anche Expo che sembra trainare – e non poco – l’interesse dei nostri connazionali verso le città e i poli urbani, voce non a caso in crescita, così come il mare che si conferma come il grande ”oggetto dei desideri”, mentre sembra destinato a soffrire il comparto “montagna”. La ripresa del turismo era nell’aria. Ma adesso c’è il responso Doxa a certificarlo, attraverso una ricerca che fotografa la

propensione al travel per i prossimi mesi: risposte affermative dal 54% degli intervistati, con un 8% in più rispetto al 2014 e un 11% in più nella comparazione col 2012. Con il 74% delle preferenze, la destinazione Italia stravince più che mai il confronto con l’estero (solo il 18%), dove sembrano in calo Spagna, Grecia, Croazia e Regno Unito mentre si aggiudica un +15% di interesse la Francia. E se la durata media resta abbastanza contenuta (1 sola settimana per il 36% del campione), sono i giovani di 15-29 anni quelli più decisi a staccare la spina, per lo più puntando verso il mare (68% degli intervistati) e in numero decisamente minore verso località di collina o montagna e comunque privilegiando alcune regioni rispetto ad altre: Puglia in testa e in forte crescita, proprio come la Sicilia. Ma il campione presentato a Milano dall’Osservatorio Europcar dice anche che le città d’arte sono in grande rispolvero e che tra loro spicca Milano con Expo, evento globale

Cala Goloritze - Sardegna

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 4

che sembra avere buon credito nel pubblico di casa nostra, se è vero che il 42% egli intervistati si dichiara “sicuramente o probabilmente” intenzionato a visitare l’Esposizione Universale entro l’estate, con punte di interesse fra i 1529enni (60%) e nel Nord-Ovest (58%). Certo, siamo nel campo delle previsioni, ma sono suffragate dall’autorevolezza della Doxa e da segnali che autorizzano un certo ottimismo, appunto anche grazie alla spinta propulsiva dell’Esposizione Universale. Resta il problema strutturale di una penisola che negli ultimi anni ha pagato dazio alla crisi internazionale, perdendo quote di mercato (per ben sette anni, secondo i l’Istituto Europa Asia IEA) che non potranno essere ovviamente recuperate in un battere di ciglia e nemmeno nel breve arco di una stagione. Dati alla mano – stavolta dell’Organizzazione Mondiale del Turismo – il turismo internazionale ha segnato nel 2014 un incremento del +4,7% rispetto all’anno


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 5

Il Golfo dei Poeti: Portovenere

precedente e il segno “+” ha confortato i consuntivi dell’Unione Europea, mentre l’Italia ha fatto registrare un calo del comparto, con il rischio sempre più verosimile di perdere posizioni nella classifica planetaria delle destinazioni più visitate: terzo posto in Europa (dopo Francia e Spagna), quinto a livello mondiale (alle spalle di Francia, Usa, Spagna e Cina). Troppi vizi cronici, troppe approcci sbagliati nella comunicazione: il Belpaese paga i fallimentari tentativi di intercettare i grandi e nuovi flussi dai Paesi emergenti (Cina, India, etc.), operazione – questa – che è invece riuscita a Francia e Germania, ma anche l’eccessiva stagionalità delle sue proposte (oltre il 50% degli arrivi dall’estero sono concentrati nei soli 3 mesi estivi), l’irregolare adeguamento degli alberghi alle nuove domande dei travellers (troppi hotel sono ancora privi di connessione gratuita a Internet nelle camere) e lo squilibrio tra la brillante industria turistica del Nord e quella più dimessa (con le dovute accezioni) del Sud, curioso ritardo di un Meridione

che pure avrebbe una vocazione naturale per il leisure e l’accoglienza. Tant’è. Sullo sfondo resta l’immagine ibrida di un penisola che deve farne di strada in tema di accoglienza ma che intanto sembra più disposta di un tempo a lavorare sull’ospitalità e che nel frattempo si è guadagnata un forte credito come destinazione di valore in materia di enogastronomia (primo posto assoluto, davanti a Francia e Giappone). Emblematica l’analisi dell’Associazione Italiana Alberghi della Confindustria, dopo un quadrimestre (gennaio-aprile 2015) abbastanza lusinghiero (+0,2% rispetto al 2014): certo, siamo sempre lontani dai risultati del nostri competitors d’Oltralpe ma il duo “bella stagione ed Expo” sembra annunciare buoni numeri, condizione essenziale per ridare tono a un’industria turistica in cerca di riscatti. Come una metafora: nel mondo dei viaggiatori, l’Italia non è più il Paese del Bengodi ma non è nemmeno diventata il retrobottega dell’umanità.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 5


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 6

DOSSI

ER

L’UNICEF TRA RECESSIONE E SVILUPPO

ANCHE I BAMBINI “RICCHI” PIANGONO Andrea Iacomini (Portavoce UNICEF Italia) nche i bambini dei paesi ricchi “piangono” come recitava in parte il titolo di una vecchia telenovela degli anni 80. La Grande Recessione di questi ultimi anni ha lasciato segni profondi all’interno del tessuto sociale dei cosiddetti paesi ricchi tanto da indurre l’UNICEF, da sempre impegnato in azioni a sostegno dei paesi poveri del mondo, ad accendere la luce sulle politiche di queste nazioni in materia di infanzia. Il quadro che ne esce è davvero sconvolgente, per il presente ma anche per il futuro, perché non solo oggi assistiamo ad un effetto di ricaduta della crisi sui minorenni, ma perché nel lungo periodo è la società nel suo insieme a pagarne le conseguenze, in termini di basso livello di capitale umano accumulato, di disoccupazione, bassa produttività e così via. Vi spiego brevemente perché. Non riuscire a proteggere i bambini e gli adolescenti dalla povertà è uno degli errori con conseguenze negative di più lunga durata che una società possa commettere. Una strategia di sviluppo vincente per un Paese come ad esempio l’Italia deve necessariamente basarsi sulla protezione dei minorenni dalla povertà. Ma così non è. Tutte le analisi comparate a livello internazionale confermano che la povertà infantile non è inevitabile, ma è legata alle scelte politiche. Alcuni Paesi stanno facendo meglio di altri per proteggere i bambini più vulnerabili, dimostrando che non solo è eticamente giusto, ma anche possibile ed economicamente vantaggioso. L’Innocenti Report Card 12 dell’UNI-

A

CEF classifica 41 paesi dell’OCSE e dell’Unione Europea a seconda dell’aumento e della diminuzione dei livelli di povertà infantile dal 2008. Il rapporto rileva anche la percentuale di giovani tra 15 e 24 anni che non studiano, non lavorano o non seguono corsi di formazioni (NEET) e include i dati del Gallup World Poll sulla percezione che i singoli individui hanno della loro condizione economica e sulle speranze per il futuro da quando è iniziata la recessione. UNICEF afferma nel rapporto

che dal 2008, 2,6 milioni di bambini nella gran parte dei Paesi ricchi del mondo sono scivolati sotto la soglia di povertà. Oggi la stima dei bambini che vivono in povertà in questa parte di mondo è di 76,5 milioni. Il tasso di povertà minorile è aumentato in 23 dei 41 Paesi analizzati. I maggiori aumenti si rilevano nei Paesi dell’Europa meridionale – soprattutto in Grecia, Spagna, Italia e Croazia – e nei tre Stati Baltici. Proprio in Italia 1 bambino su 3 vive in povertà, 2, 5 milioni di bambini per es-

IL GRANDE PASSO INDIET Grecia Irlanda Spagna Lussemburgo Islanda Italia Ungheria Portogallo Belgio Latvia Lituania Paesi Bassi Romania

14 10 10 10 9 8 8 8 6 6 5 4 4

#GrandePassoIndietro

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 6

Anni di

PROGR

perd dopo la

GRAND


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 7

2

sere precisi, con oltre 600.000 bambini poveri in più rispetto al 2008. Inoltre dal 2008 al 2012 l’Italia registra una riduzione del reddito dei nuclei familiari perdendo 8 anni di potenziali progressi economici. Il 16% dei bambini italiani è in condizioni di grave deprivazione materiale. La percentuale di ragazzi tra 15-24 anni del nostro Belpaese che non studia, non lavora e non segue corsi di formazione (NEET) è aumentata di quasi sei punti dal 2008, raggiungendo il 22,2%, il tasso più alto dell'Unione

ETRO

Europea, cioè oltre un milione di giovani che vivono in questo limbo. Ma non finisce qui. Dal 2008, la povertà infantile è aumentata in Irlanda, Croazia, Lettonia, Grecia e Islanda di oltre il 50%. Nel 2012 in Grecia il reddito mediano dei nuclei familiari con bambini è ritornato ai livelli del 1998 – l’equivalente di una perdita di 14 anni di progresso in termini di reddito e la situazione di questi giorni non fa che confermare questo trend. Secondo questa rilevazione l’Irlanda, il Lussemburgo

Report Card Innocenti 12 La condizione dell’infanzia nei paesi ricchi

Figli della recessione unicef-irc.org

di

GRESSO ECONOMICO

rduti a

NDE CRISI

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 7

e la Spagna hanno perso un decennio; l’Islanda ha perso 9 anni e l’Ungheria e il Portogallo, come l’Italia, hanno perso 8 anni. La recessione ha colpito duramente soprattutto i giovani tra i 15 e i 24 anni, con un numero di NEET cresciuto drammaticamente in molti paesi. Nell’Unione Europea, infatti, nel 2013, 7,5 milioni di giovani erano classificati come NEET, quasi l’equivalente della popolazione della Svizzera! Quanto agli Stati Uniti, dove l’estrema povertà infantile è cresciuta più durante questa recessione che durante quella verificatasi nel 1982, le misure per una rete di sicurezza sociale hanno garantito un supporto importante alle famiglie lavoratrici povere, ma sono state meno efficaci per i poveri senza lavoro. Dall’inizio della crisi la povertà infantile è aumentata in 34 stati su 50. Nel 2012, 24,2 milioni di bambini vivevano in povertà, con un incremento netto di 1,7 milioni dal 2008. Numeri che fanno venire i brividi anche oltreoceano. Ci sono poi i cosiddetti “paesi virtuosi”. In 18 paesi la povertà infantile è diminuita, talvolta in modo marcato. Australia, Cile, Finlandia, Norvegia, Polonia, Repubblica Slovacca hanno ridotto i livelli di circa il 30%. Viene quindi spontaneo chiedersi quali sono state le “lungimiranti” misure poste in atto dagli Stati nei primi mesi di “Grande Recessione”. Mentre all’inizio i programmi di incentivi in alcuni paesi sono stati efficaci per proteggere i bambini, dal 2010 una gran parte di paesi hanno capovolto i bilanci dagli incentivi ai tagli, con un impatto negativo proprio sui bambini, soprattutto nella regione


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 8

3

Report Card Innocenti 12 La condizione dell’infanzia nei paesi ricchi

LA POVERTÀ INFANTILE

Figli della recessione unicef-irc.org

Nei paesi RICCHI è cresciuta di

2,6 milioni

Dal 2008, l’inizio della GRANDE CRISI.

In questi paesi ci sono circa

76,5 milioni di bambiniChe vivono in povertà. #GrandePassoIndietro

del Mediterraneo. Molti paesi ricchi hanno fatto “un grande passo indietro” in termini di reddito e le conseguenze avranno ripercussioni a lungo termine per i bambini e le loro comunità” e il Report Card afferma che la forza delle politiche di protezione sociale sarebbe stata un fattore decisivo per prevenire la povertà. Tutti i paesi infatti hanno bisogno oggi più che mai di forti reti di sicurezza sociale per la protezione dei bambini sia durante congiunture negative sia positive – e i Paesi ricchi dovrebbero fare da esempio impegnandosi esplicitamente per eliminare la povertà infantile, sviluppando politiche per controbilanciare la regressione e facendo del benessere infantile la prima priorità, cosa che in questi ultimi anni non è avvenuta. Dall’analisi delle politiche messe in atto nei vari Paesi esaminati, emerge come a partire dal 2010, la maggioranza dei Paesi sia pas-

sata bruscamente da una politica di stimolo a una di austerità, con effetti devastanti sui bambini e sulle famiglie in tutta l’Unione Europea e i Paesi OCSE. Nella fase iniziale della recessione molti governi hanno adottato pacchetti di misure per stimolare l'economia, con conseguente aumento della spesa pubblica. Il perdurare della crisi ha provocato una riduzione delle entrate nazionali e un aumento del deficit pubblico. Su pressione dei mercati finanziari, molti governi si sono visti poi costretti a tagliare il proprio budget. L'inversione di rotta dell'eurozona è stata particolarmente repentina e ha implicato anche l'abbattimento della spesa sociale a favore di bambini e famiglie. La natura e l'entità dei successivi interventi di tutela sociale sono state estremamente varie. Quando i tagli di bilancio sono diventati inevitabili in determinati Paesi, in particolare come detto precedentemente nella re-

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 8

gione del Mediterraneo, il passaggio da una politica di incentivi economici a una di risanamento ha provocato un aumento della diseguaglianza, contribuendo al peggioramento delle condizioni di vita proprio dei bambini. Durante la seconda fase della recessione infine, l'efficacia degli sforzi volti a ridurre la povertà infantile ha subito un brusco declino in un terzo dei Paesi europei. Bisogna onestamente affermare che nessun governo dal 2008 ad oggi era preparato ad affrontare la portata e la profondità della recessione in atto, e non tutti hanno reagito nello stesso modo. Molti Paesi con livelli di vulnerabilità dell'infanzia più elevati avrebbero dovuto avere l'accortezza di rafforzare le proprie reti di sicurezza nel periodo precedente la recessione, caratterizzato da una crescita economica dinamica, accompagnata da un aumento del divario sociale


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 9

4

e della concentrazione della ricchezza. I governi che hanno sostenuto le azioni e i programmi pubblici esistenti hanno contribuito a proteggere innumerevoli bambini dalla crisi, una strategia che altri potrebbero oggi prendere ad esempio. Tutti i Paesi comunque si sono trovati a dover affrontare scelte difficili, budget limitati, mentre la situazione andava via via aggravandosi. L'enormità delle problematiche non va oggi certo sottovalutata ed è stato indubbiamente necessario fare dei compromessi. Ma se in precedenza si fossero implementate politiche di tutela più solide e se queste fossero state rafforzate durante la recessione, quanti bambini in più sarebbe stato possibile aiutare? Alla luce dell’esperienza maturata dall’UNICEF in tutto il mondo in tempi di pace e durante i conflitti, nei Paesi ricchi e in quelli poveri, è possibile affermare che lavorare per il benessere dell’infanzia deve essere una priorità in qualunque contesto e situazione. Perché tanto più si costruisce in tempi di stabilità e prosperità per la tutela dei bambini, tanto più si si riesce a creare un muro di protezione per i più vulnerabili durante le crisi, siano esse crisi economiche, sanitarie o di instabilità politica e sociale. Un quadro come quello emerso nel report solleva grossi dubbi sulla possibilità di raggiungere gli obiettivi della strategia Europea 20/20, “Strategia per una crescita inclusiva”. L’ambizioso obiettivo di assicurare una migliore condizione di vita per almeno 20 milioni di persone a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione e di aumentare l’occupazione tra i 20 e i 64 anni al 75% oggi sono difficilmente raggiungibili, considerando gli allarmanti dati sulla povertà minorile e sulla condizione dei giovani nel mercato del lavoro e nella scuola di questi giorni. I Paesi dell’Unione dovrebbero a parer mio in questo momento

storico seriamente prendere in considerazione le raccomandazioni del rapporto della Commissione Europea “Investire nell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale” che prevede le strategie necessarie, lo sviluppo di politiche universali, e il coinvolgimento degli attori sociali con una partecipazione diretta dei bambini e dei ragazzi rendendoli parte attiva nel percorso di elaborazione dei politiche di contrasto all’esclusione sociale. Quanto al nostro Governo, per chiudere, ritengo importante alla luce di quanto descritto e per il futuro dei nostri figli, dare alcuni piccoli consigli: destinare risorse stabili ed adeguate per le politiche di intervento a favore dell’infanzia e l’adolescenza, perché si possano elaborare azioni programmatiche sia a livello nazionale che locale, che possano avere continuità nel tempo e che producano effetti duraturi (quindi leggi di stabilità che investano sulle politiche per l’infanzia). Affrontare le diseguaglianze materiali, combinando politiche per il sostegno al reddito delle famiglie con figli (estese anche alle famiglie di origine straniera), promuovendo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e modalità di lavoro flessibili per entrambi i genitori, ampliando la disponibilità di servizi di qualità per la prima infanzia; Valutare per ogni misura politica considerata o introdotta (in particolare in questo momento di crisi economica), l'impatto e gli effetti sui bambini e gli adolescenti e sulle loro famiglie che tali misure possono avere; investire nelle generazioni più giovani perché non riuscire a proteggere i bambini e gli adolescenti oggi, influenzerà le loro condizioni di vita per tutta la loro infanzia, con conseguenze negative sulla loro capacità di recupero nella vita.

ANDREA IACOMINI Andrea Iacomini, giornalista, è nato a Roma nel 1974 dove ha frequentato il Liceo Ginnasio Statale Giulio Cesare, si è laureato in Scienze Politiche (indirizzo internazionale e comunitario) all’Università LUISS G. Carli e diplomato alla Scuola di giornalismo dell’Università di Tor Vergata. Dopo una lunga attività nel mondo dell’associazionismo politico e del volontariato è approdato nel 2008 all’UNICEF Italia prima come capo ufficio stampa e poi, dal 2012, come Portavoce Nazionale, carica che tutt’oggi ricopre. Autore del libro “Buona strada cronaca di una campagna elettorale”, nel settembre 2014 ha ricevuto dalla Fondazione “Riccardo Tanturri” il Premio Scanno per la categoria “Valori”.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 9


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 10

JOBS ACT

IL PING PONG DELL’OCCUPAZIONE Raffaele Trivellini

D

all’inizio dell’anno non si è ancora verificata una ripresa stabile dell’occupazione e la percentuale di disoccupati è rimasta pressoché invariata, anche se alcuni segnali positivi prefigurano andamenti più favorevoli nei prossimi mesi. Troppo presto per dire che il cosiddetto Jobs Act non funzioni. Ma non c’è dubbio che, così com’è, la riforma non sia una panacea. E la politica potrebb’essere costretta a re-intervenire a breve, eliminando quando e dove possibile comunicazioni e procedure ridondanti. Il che, però, non risolverebbe i problemi di fondo e anche la visione ristretta del legislatore. Qualunque riforma del diritto del lavoro che favorisca, di volta in volta e a seconda dei momenti storici, le imprese o i dipendenti rischia di essere fallimentare o, come i dati sull’occupazione dimostrano, per ora, di non produrre gli effetti sperati. Con il Decreto legislativo 23/2015, più conosciuto appunto come Jobs Act, è stato riformato e riscritto uno degli aspetti fondamentali del rapporto di lavoro, vale a dire la cessazione del rapporto stesso ad iniziativa del datore di lavoro.

La disciplina in esame riguarda solo quanti siano già stati o verranno assunti come lavoratori subordinati a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015 e, tra questi, solo gli operai, gli impiegati e quadri (con esclusione, quindi, dei dirigenti). E’ certamente apprezzabile che, in caso di licenziamento ingiustificato, il legislatore abbia stabilito a titolo di indennità un numero di mensilità parametrato agli anni di anzianità del lavoratore, la-

sciando poco margine alla discrezionalità del giudice. Ma, a mio parere, l’anzianità di servizio non è l'unico dei parametri che poteva essere adottato nello stabilire l’indennità. Penso, a esempio, alle condizioni economiche e familiari del lavoratore e al suo livello retributivo. Né va sottaciuto il fatto che la predeterminazione finisce per introdurre elementi

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 10

di rigidità che non favoriscono di certo soluzioni bonarie. Lascia, però, perplessi, innanzitutto il fatto che l’applicazione della nuova disciplina ai soli contratti stipulati a partire dal 7 marzo 2015 verrebbe a determinare una "anomala" (persino irragionevole, secondo alcuni giuslavoristi) coesistenza, per anni e nella medesima azienda, di "platee" di lavoratori con tutele differenziate. Così come suscita perplessità il ben più alto numero di mensilità spettanti (a parità di anzianità di servizio e in base ai vari contratti collettivi di settore applicabili) al dirigente che, almeno finora, era visto come il dipendente più "svantaggiato" in caso di licenziamento. La nuova disciplina di legge potrebbe, inoltre, addirittura indurre molti datori di lavoro a farne un uso arbitrario o comunque distorto. I lavoratori ai quali si applicano le precedenti (e più favorevoli) tutele previste dalla Riforma Fornero del 2012 potrebbero essere indotti (consenzienti o meno) ad abbandonare il lavoro, firmando una conciliazione, per poi essere ri-assunti, magari, dopo sei mesi, il lasso di tempo minimo, tra un contratto a tempo indeterminato e quello successivo, previsto dalla Legge di stabilità per poter


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 11

fruire dei benefici contributivi sulle assunzioni operate quest’anno, applicando eventualmente le nuove e meno convenienti tutele "crescenti". In ogni caso, sta di fatto che il lavoratore ora è più debole anche sul piano normativo sicché, perfino nelle imprese medio-grandi, potrebbe aumentare la paura (a volte persino "ossessiva" in un mercato del lavoro statico) del lavoratore di essere licenziato. Per di più, così come delineata, la nuova disciplina potrebbe anche creare, nei fatti, una sorta di generale "immobilismo" lavorativo, nel senso che i dipendenti ai quali si applicano le "vecchie" tutele sono poco propensi a cambiare lavoro e azienda per non vedersi applicare la nuova disciplina. Altro aspetto che non convince: il legislatore, dopo avere introdotto con la Riforma Fornero una procedura giudiziale rapida per i licenziamenti nelle imprese più grandi, è tornato sui suoi passi e ha stabilito che ai licenziamenti di dipendenti assunti a partire dal 7 marzo 2015 la procedura dinanzi al giudice del lavoro sia quella ordinaria, senza alcuna "corsia preferenziale". Esiste un equivoco di fondo. Per rilanciare l’occupazione si è

partiti dalla cessazione del rapporto di lavoro o dal sostegno ai disoccupati e non, com’era più logico, dalla costituzione del rapporto e, in particolare, dallo sviluppo delle condizioni per favorire politiche occupazionali espansive, agendo anche sul fronte della domanda interna, che nei sette anni di crisi ha perso molti punti. Si è persa l’occasione di introdurre efficaci e lungimiranti politiche del lavoro, abbandonando finalmente sterili logiche di "sperimentalità" e inutili provvedimenti "tampone”, per superare le rigidità esistenti. Mentre andava privilegiata la creazione di maggiori opportunità sul mercato e nel mercato anche attraverso l'accrescimento della professionalità dei lavoratori e degli inoccupati e la valorizzazione e la "globalizzazione" delle specializzazioni. Se la riduzione delle tutele in caso di licenziamento non si accompagnerà, oltre che a una stabile politica di investimenti e di maggiori incentivi alle imprese, a un forte e strutturale intervento sulle politiche attive del lavoro, potremmo assistere a una proliferazione di nuovi contratti a tempo indeterminato, ma non assisteremo di certo a una aumento strutturale ed effettivo dell’occupazione.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 11


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 12

INVESTIMENTI

TRA VIZI PASSATI E VIRTÙ FUTURE Ornella Cilona

E

ssere etici paga. Almeno nel mondo della finanza. Negli ultimi tre anni, secondo la società statunitense Lipper, fonte autorevole di informazione finanziaria, il patrimonio gestito dai venti migliori fondi sostenibili a livello mondiale è, infatti, aumentato a ritmi fra il 70% e il 100%. A tirare la volata è il fondo Jss Sustainable Equity, gestito dalla banca svizzera privata Safra Sarasin, che opera sui mercati azionari statunitensi e ha accresciuto in un triennio il proprio patrimonio gestito del 105,79%. Fanalino di coda, per così dire, è Pictet-European Sustainable Equities, della società svizzera di gestione patrimoniale Pictet, che ha aumentato il proprio portafoglio di “appena” il 73,03%. Nella classifica compare al quarto posto un fondo italiano, Etica azionario, gestito dalla Sgr Anima, il cui patrimonio è salito in tre anni dell'appetibile 86,60%. Queste cifre dimostrano che gli investimenti sostenibili non possono più essere considerati un fenomeno di nicchia da guardare quasi con sufficienza. Secondo un Rapporto pubblicato dalla Global sustainable investment alliance, la Gsia, i patrimoni investiti in modo etico sono passati in tutto il mondo dal 21,5% del totale degli asset nel 2012 al 30,2% nel 2014, raggiungendo quota 21,4 trilioni di dollari. Permangono, tuttavia, forti scostamenti fra le differenti regioni del pianeta: se in Europa questa percentuale schizza a poco meno del 60% (58,8%), negli Stati Uniti non arriva al 20% e in Asia addirittura rimane su percentuali da prefisso telefonico. GSIA è un osservatorio di tutto rispetto, perché raggruppa sotto un unico ombrello le sette maggiori associazioni

di finanza etica esistenti nel mondo e si pone l'obiettivo di favorire la diffusione degli investimenti attenti alla società e all'ambiente. “Il Rapporto 2014 - afferma sul sito di Gsia Lisa Woll, amministratore delegato di Sif, partner statunitense dell'alleanza - dimostra che l'investimento sostenibile a livello globale è una strategia di collocamento sempre più comune che promuove la responsabilità sociale d'impresa, costruisce valore di lungo termine per le aziende e le loro parti interessate e favorisce le società che tutelano e sostengono la comunità e l'ambiente”. Complici la recessione globale e la crescente incertezza degli scenari politici, la finanza etica non solo ha accresciuto il suo peso da un punto di vista quantitativo, ma ha anche aumentato la propria capacità di influenza sul totale degli investimenti finanziari. E', però, cambiato nel corso degli anni l'approccio seguito da chi vuole fare finanza etica. Nel passato, l'unica strada seguita era di tipo “negativo”, vale a dire disinvestire dal capitale di un fondo o di un'impresa che non rispettasse la sostenibilità in materia ambientale, sociale e di governance, noto con l'acronimo Esg, da “environmental, social and governance”. Un esempio sono i disinvestimenti da società specializzate nella costruzione di mine antiuomo o che operano nel settore dei giochi d'azzardo. Leggendo i dati di Gsia emerge che a questo approccio sono riconducibili 14,4 trilioni di dollari di investimenti sostenibili sui 21,4 complessivi. Alla strategia “contro il vizio” se ne contrappone ora una più innovativa che include i fattori Esg già al momento dell'analisi finanziaria consueta condotta dai gestori dei fondi. Questo secondo ap-

Nei passati cent'anni l'industria del tabacco ha fatto profitti molto ingenti

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 12


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 13

Wall Street: anche il tempio della finanza punta sulla sostenibilità

proccio ha avuto la maggiore crescita dal 2012 al 2014: secondo Gsia, il totale dei patrimoni sostenibili che hanno seguito tale criterio è, infatti, più che raddoppiato in soli due anni, passando da 5,9 a 12,9 trilioni di dollari. Questo approccio mira dunque a un intervento di tipo attivo degli investimenti etici ed appare più efficace del precedente. Come sottolinea, infatti, John Authers in un articolo comparso sul quotidiano britannico “Financial Times” il 26 giugno scorso, limitarsi a disinvestire dalle imprese di settori come il tabacco o gli armamenti porta paradossalmente solo vantaggi per queste ultime. Authers cita a questo proposito una ricerca compiuta dalla London Business School, secondo la quale i profitti delle multinazionali del tabacco sono cresciuti nel corso di oltre un secolo molto di più di quelli di altri comparti. Due leggere varianti di questa strategia attenta alle società “virtuose” prevedono l'utilizzo dei poteri degli azionisti per spingere imprese o fondi a considerare maggiormente gli aspetti ambientali, sociali e di governance e l'investimento cosiddetto premiante, che si rivolge solo alle società più attente ai fattori Esg rispetto ai loro concorrenti. Perfino gli hedge funds, da sempre considerati insensibili alle preoccupazioni sociali e ambientali, cominciano a sentire il nuovo vento. Una ricerca di Unigestion, un gestore di patrimoni svizzero, ha, infatti rivelato che almeno un quarto degli hedge funds oggi considera l'impatto delle proprie de-

cisioni sulla società e sull'ambiente. Alla base del mutato atteggiamento vi è non solo la consapevolezza che il tema della responsabilità sociale è divenuto centrale nel settore finanziario, ma anche una precisa richiesta da parte dei fondi pensione, che sempre più spesso subordinano i propri investimenti negli hedge funds a requisiti di sostenibilità. Pfzw, il fondo pensione olandese per i lavoratori della sanità, nel 2014 ha disinvestito oltre cinque miliardi e mezzo di euro dagli hedge funds, ritenendo le loro strategie prive di ogni considerazione di carattere etico. Simili le preoccupazioni del maggiore fondo pensione del mondo, quello dei dipendenti pubblici nipponici, il cui patrimonio ammonta a circa 1.200 miliardi di dollari. Il Government pension investment fund sceglie, infatti, dove investire, in Giappone e all'estero, in base a stringenti criteri di trasparenza ed eticità. Anche i fondi pensione italiani stanno del resto acquisendo una mentalità analoga. Cometa, creato per i dipendenti di società metalmeccaniche, è stato il primo fondo pensione ad aderire nel 2010 ai sei principi per l'investimento responsabile sanciti dalle Nazioni Unite e il suo esempio è stato ben presto seguito da altri fondi pensione come Pioneer investments (società di gestione del gruppo Unicredit), Etica Sgr e il gruppo generali. Alla fine di giugno, Cometa ha deliberato di escludere dal proprio portafoglio titoli ogni investimento in società che producono bombe a grappolo.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 13


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 14

RIENTRO DEI CAPITALI

È L’ULTIMA CHIAMATA Renato Pedullà

L’era del segreto bancario è terminata”, sembra uno slogan ma in realtà è il contenuto dell’ultimo G 20 che ha posto uno stop ai paradisi fiscali. Lo scenario mondiale è mutato cosichè diversi fattori concomitanti come, la crisi economica di livello mondiale, la necessità di una più rilevante sicurezza internazionale, la voglia concreta da parte di tutti gli Stati di una maggiore equità sociale, ed il proliferare di nuovi accordi e provvedimenti per lo scambio di informazioni fiscali, hanno fatto si che tutti gli Stati anche quelli, una volta, rientranti nella nota “black list”, abbiano deciso di fare cerchio, trovando una linea comune nei confronti della lotta all’evasione. Ebbene questi accordi bilaterali e multilaterali per lo scambio di informazioni, comporterà in futuro, per qualsiasi contribuente, la caduta del segreto bancario con la conseguenza che risulterà impossibile, per tutti detenere capitali all’estero che non risultino identificabili per le autorità competenti. In questo cambiamento di clima, si inserisce la voluntary disclosure , cioè la norma che disciplina la collaborazione volontaria del contribuente volta a regolarizzare i capitali costituiti o detenuti illegalmente all’estero. L’emanazione dei provvedimenti di attuazione della legge 186/2014 e la pubblicazione della prima circolare 10/E/2015 da parte dell’Agenzia delle Entrate, danno le dovute indicazioni a tutti coloro che vogliono mettersi in regola con le infrazioni fiscali commesse all’estero. La Voluntary Disclosure, consente agli italiani che detengono attività finanziarie o patrimoniali all’estero (ma anche in Italia- Voluntary “interna”) non dichiarate al Fisco di regolarizzare la loro posizione anche penale, pagando le relative imposte e le sanzioni in misura ridotta. I soggetti che possono aderire sono le persone fisiche, gli enti non commerciali, le società semplici ed equiparate residenti in Italia e la procedura serve a regolarizzare le violazioni agli obblighi di dichiarazione annuale dei capitali detenuti all’estero compiute fino al 30 settembre 2014. Il funzionamento risulterà costoso ma è molto semplice : sulla base delle informazioni e dei documenti prodotti dal contribuente , l’Agenzia delle entrate determina in maniera analitica le imposte dovute (Irpef, addizionali comunali e regionali, imposte sostitutive, Irap, Iva, ritenute e contributi previdenziali), maggiorate, ovviamente, degli interessi. La procedura riguarderà tutti i periodi di imposta per i quali, alla data di presentazione della domanda, non sono scaduti i ter-

mini ordinari per l’accertamento, unica causa ostativa alla procedura è soltanto nei confronti di chi sia sottoposto ad indagini tributarie o penali relative all’ambito oggettivo della voluntary disclosure. Sebbene i costi possono risultare elevati, l’adesione resta vantaggiosa in quanto nei confronti del contribuente che si avvale della voluntary è esclusa la punibilità per i reati di cui agli articoli 2,3,4,5,10-bis e 10 ter del d.lgs n. 74/2000 ( dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti o mediante artifici, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, omesso versamento delle ritenute certificate e omesso versamento dell’IVA). Esclusa anche dalle sanzioni penali i reati di riciclaggio ed au-

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 14


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 15

toriclaggio. Proprio su quest’ultimo porrei un’attenzione particolare, difatti l’introduzione del nuovo reato di auto riciclaggio, aggrava in modo significativo la reazione sanzionatoria ( art.648-ter 1 Cp) portando la pena della reclusione da un minimo di due a un massimo di otto anni e la multa da 5.000 a 25.000 euro. La Voluntay da un punto di vista più prettamente procedurale, si rende operativa attraverso la presentazione di una istanza per via telematica e di una relazione nei successivi 30 giorni. Il supporto documentale deve essere ben chiaro e completo in quanto eventuali “ furbizie o dimenticanze” volontarie di attività o di investimenti rischia di inficiare la procedura stessa, oltre ad esporre il contribuente a

sanzioni pesanti. Queste caratteristiche differenziano notevolmente la voluntary dal precedente “scudo”, in quanto in quest’ultimo la forma era rigorosamente riservata ( come anche in quelli del 2001 e 2003) e poteva riguardare anche solo una attività estera ( un immobile, un conto bancario, una polizza, etc.) nella voluntary bisogna autodenunciarsi ed è obbligatorio dichiarare tutto pena l’inammissibilità della stessa. Un ruolo fondamentale nella collaborazione volontaria, lo svolgeranno le società Fiduciarie in quanto è lecito aspettarsi un significativo ricorso al rimpatrio giuridico , dove il contribuente conferisce un mandato ad una società fiduciaria, mantenendo gli asset presso un intermediario estero o aprendo un nuovo rapporto presso un altro intermediario, chiedendo infine di trasferire le liquidità dal vecchio conto a lui intestato ad un “nuovo conto” corrente a nome della fiduciaria. Le società fiduciarie consentono di mantenere la totale riservatezza sul nominativo del cliente, posto comunque sempre gli obblighi che derivano dalle verifiche antiriciclaggio e si adoperano come sostituto d’imposta per i patrimoni depositati all’estero ( eliminando qualsiasi obbligo dichiarativo in capo al contribuente). Lo Stato punta molto sul rientro dei capitali dall’estero, in quanto una parte potrebbe entrare nel giro del mercato reale e secondo l’Esecutivo il gettito rientrate da questa sanatoria sarebbe stimabile in 6,5 miliardi di euro. Si tratta solo di ipotesi , è bene ribadirlo anche i precedenti Governi avevano ipotizzato degli imponenti gettiti in realtà lo “ scudo “ di Tremonti del 2009 è stato di 5 miliardi mentre quelli precedenti si sono assestati su circa 2 miliardi. Con gli accordi bilaterali firmati dall’Italia nel 2015 ( ricordiamo, soprattutto, il Tax Information Exchange Agreement – TIEA – con Svizzera, Linctenstein e Monaco), grandi passi avanti sono stati fatti, ma fin quando ci saranno gli “altri” Paradisi fiscali come Panama, le isole Cayman, le Isole Vergini britanniche - dove esiste solo una Convenzione contro la doppia imposizione - i soldi frutto di evasione riusciranno a girare ancora in grande quantità e con estrema facilità. Le società panamensi risulteranno, ancora, le migliori per celare i grandi investimenti immobiliari e per schermare la vera proprietà, mentre le holding lussemburghesi saranno sempre più delle speciali cassaforti amministrate da avvocati che con riservatezza e alta professionalità gestiranno società più o meno opache.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 15


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 16

LA BMI PRESENTATA ALL’EXPO

MATCHING TRA AZIENDE NEL MONDO Joselia Pisano

I

nternazionalizzazione, apertura a nuovi mercati, sviluppo dei rapporti commerciali: questi gli obiettivi del Progetto Borsa Merci Internazionale, l’innovativo sistema di matching tra aziende di tutto il mondo presentato a Expo Milano 2015. L’idea è semplice: la creazione di una piattaforma digitale nella quale le aziende dei paesi aderenti possono inserire le proprie proposte così da realizzare l’incontro tra “domanda” e “offerta” di merci, servizi e prodotti. Con particolare attenzione, in linea con la filosofia di Expo, rivolta ai prodotti agricoli, agroalimentari e ittici, sebbene la possibilità di vendere e comprare tramite la piattaforma è estesa ad ogni genere di merce o prodotto: dagli alimenti alla tecnologia, dalle materie prime all’abbigliamento, e così via. L’iniziativa si rivolge non solo ai paesi sviluppati, ma anche e soprattutto ai paesi emergenti o in via di sviluppo non dotati di applicazioni tecnologiche atte a pubblicizzare adeguatamente le proprie offerte o richieste commerciali: tutte le aziende partecipanti, infatti, avranno gli stessi diritti e le stesse prerogative, e godranno in ugual modo dei vantaggi che il sistema offre. “Il Progetto Borsa Merci Internazionale vuol essere un punto di riferimento per l’internazionalizzazione delle aziende, rivolgendosi sia a quelle che intendono affacciarsi sui mercati esteri e trovare così nuove opportunità di commercio sia a quelle già ben radicate sullo scenario internazionale ma che sono costantemente alla ricerca di nuovi partner e di nuove opportunità – spiega Giorgio Fiorenza,

ideatore del Progetto Borsa Merci Internazionale - I paesi in via di sviluppo, soprattutto, spesso non trovano uno spazio in cui far sentire la propria ‘voce’, intesa in questo contesto come ‘capacità commerciale’, rimanendo in posizioni di secondo piano rispetto ai paesi meglio attrezzati in termini di Enti e Agenzie di promozione commerciale; ciò compromette spesso la loro capacità di commercializzare i propri prodotti sul piano internazionale”. L’aspetto “etico” del Progetto Borsa Merci Internazionale si allarga poi alla gestione delle schede di domanda e offerta, analizzate costantemente dal sistema digitale in modo da impedire che si vengano a creare “cartelli” o monopoli di una determinata merce, in una volontà di trasparenza tale da rappresentare una vera novità nel settore. Una trasparenza, questa, che si rifletterà anche nel “rapporto” con le aziende, che riceveranno periodicamente un report riepilogativo sull’andamento delle rispettive offerte e richieste. Ma cosa differenzia, più di ogni altra cosa, il Progetto Borsa Merci Internazionale da altre realtà di matching commerciale telematico? L’innovazione introdotta dal Progetto Borsa Merci Internazionale, rispetto alle piattaforme di matching o ai siti di commercio libero tra aziende attualmente esistenti, riguarda l’internazionalizzazione del concetto e l’affidabilità delle imprese partecipanti: per aderire al Progetto Borsa Merci Internazionale, infatti, le imprese dovranno ottenere un “accredito” dall’Ente di promozione commerciale del proprio paese o da altre istituzioni similari. E come funziona, nello specifico, la piattaforma digitale? La “centralità” del Progetto Borsa Merci Internazionale è rap-

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 16


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 17

presentata dalle merci: queste vengono inserite in vendita o in acquisto nel database, da parte delle aziende abilitate ad operare all’interno del sistema digitale. Questo attribuisce immediatamente ad ogni merce un numero identificativo univoco, prendendo spunto da una codifica internazionale messa a punto dalle Nazioni Unite; ogni scheda commerciale conterrà inoltre fotografie, descrizione e caratteristiche esplicative, che verranno elaborate da un sofisticato algoritmo in grado di identificare, all’interno del database, tutte le schede commerciali corrispondenti, segnalando al tempo stesso la percentuale di match calcolata. In questo modo, anche le aziende di quei paesi del mondo che non operano abitualmente nel campo del commercio con l’estero, o che più in generale

hanno poca “dimestichezza” con le nomenclature merceologiche, potranno facilmente operare all’interno del sistema. Di particolare importanza è, inoltre, la gratuità di accesso : le aziende non dovranno sostenere alcun costo di adesione, così come per l’inserimento delle rispettive domande e offerte. Solo ed esclusivamente in caso di conclusione positiva dell’affare, al momento della stipula del contratto sarà dovuto, da parte del venditore e del compratore, un compenso contrattualmente predeterminato a favore del Progetto Borsa Merci Internazionale per l’attività prestata. Altro aspetto assolutamente da non sottovalutare riguarda, data la presenza di dati “sensibili” all’interno del database, l’elevato livello di sicurezza del sistema,

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 17

protetto contro eventuali attacchi esterni alla piattaforma e all’infrastruttura. “Semplice, etico, sicuro. Il Progetto Borsa Merci Internazionale è questo e molto altro – aggiunge Giorgio Fiorenza – Rappresenta un mondo di opportunità, ma anche e soprattutto un’opportunità per il mondo”. Sono già molti i Paesi interessati all’iniziativa, che hanno formalmente confermato l’adesione del loro network di aziende: dal Perù allo Zimbabwe, dal Cile alla Spagna, la notizia dell’imminente apertura delle trattative telematiche ha letteralmente fatto il giro del mondo, quasi a sottolineare la necessità di trovare una nuova “spinta” per riattivare quei rapporti commerciali internazionali che soffrono ormai da lungo tempo di un periodo di difficoltà.


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 18

ECONOMIA GLOBALE

LA NUOVA GUERRA FREDDA Paolo Coccopalmerio

P

er commemorare la caduta del Muro, Mikhail Gorbaciov, presente lo scorso anno a Berlino per le Celebrazioni ufficiali, ha accusato l'Occidente, rispolverando lo spauracchio dei vecchi fantasmi e provocando tra gli analisti internazionali momenti severi di riflessione: "Siamo sull' orlo di una nuova guerra fredda. Alcuni dicono che è già iniziata". Già dal 1990, secondo il fautore della Glasnost, l'Occidente ha iniziato a seppellire la fiducia che la rivoluzione pacifica aveva reso possibile: ci sono molti esempi, ha elencato, "l'espansione della Nato, la Jugoslavia e soprattutto il Kosovo, il piano di difesa missilistico, e poi Iraq, Libia, Siria. E chi soffre di più di tutto questo? - ha aggiunto - L'Europa, la nostra casa comune". Parallelamente in un’intervista al Prof. Romano Prodi, già Presidente della Commissione Europea, l’intento del politico era quello di sottolineare la “debolezza strutturale” delle istituzioni comunitarie, vuoi per un’inveterata e consolidata tendenza a rimanere cauti di fronte ad eventi meramente “extra – europei”, dall’altra a causa dell’ormai ricoMikhail Gorbaciov nosciuta triarchia Francia – Germania – Gran Bretagna che, ai più, ha un sapore più strettamente legato ad interessi legati all’economia che alla politica. In questa sede l’intento è quello di proporre tre momenti salienti di quella che per cinquant’anni e forse più, hanno contrapposto due blocchi, due continenti. I tre momenti della guerra fredda (1945/1989 – 1990/2001 – 2001/2015). 1) duopolio (Usa – Urss)/forza/equilibrio 2)monopolio (Usa)/egemonia/espansione 3)neo - duopolio (Usa – Russia)/terrore/risorse energetiche,

come nuovo ago della bilancia. Analizzando il primo periodo storico, può essere interessante osservare la seguente teoria politologica. Il dilemma del prigioniero è un gioco ad informazione completa proposto negli anni cinquanta da Albert Tucker come problema di teoria dei giochi. Il corollario a questo dilemma, detto di Aie (dai nomi dei 3 professori universitari che lo teorizzarono nel 1988 Astegy, Inglot e Elghi) prevede sempre che uno dei due tradisca l'altro. Il dilemma in sé, anche se usa l'esempio dei due prigionieri per spiegare il fenomeno, può descrivere altrettanto bene la corsa agli armamenti, proprio degli anni cinquanta, da parte di USA e URSS (i due prigionieri) durante la guerra fredda. La miglior strategia di questo gioco non cooperativo è (confessa, confessa). Per ognuno dei due lo scopo è infatti di minimizzare la propria condanna. Se pensiamo agli Stati Uniti e all'URSS come ai due prigionieri, e alla confessione come l'armamento con l'atomica (per contro la negazione equivarrebbe al disarmo unilaterale), il dilemma descrive come per le due nazioni fosse inevitabile al tempo della guerra fredda la corsa agli armamenti, benché questo risultato finale fosse non ottimale per nessuna delle due superpotenze (e per l'intero mondo). La seconda fase, ovvero quella del cosiddetto multilateralismo viene ripresa dagli studi di un celebre politologo occidentale. Risultano efficaci queste due dichiarazioni del pensatore statunitense Noam Chomsky: “In questo mio giro in Europa mi ha colpito constatare quanto i media e gli intellettuali europei siano subordinati rispetto agli Usa. Se Bush, per puro cinismo politico, decide che il caso Schiavo è il problema più importante,

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 18


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 19

tutti i media europei sono inondati del caso Schiavo. Ma questo è solo un modo per far dimenticare alla gente quali sono i veri problemi”. E ancora:”I sistemi democratici procedono diversamente, perché devono controllare non solo ciò che il popolo fa, ma anche quello che pensa. Lo Stato non è in grado di garantire l'obbedienza con la forza e il pensiero può portare all'azione, perciò la minaccia all'ordine deve essere sradicata alla fonte. È quindi necessario creare una cornice che delimiti un pensiero accettabile, racchiuso entro i princìpi della religione di Stato. (vedasi La Fabbrica del consenso, in Libertà e linguaggio). Infine, un piccolo corollario a nome di A.J. Muste, pastore e politologo olandese ottocentesco :”Una società che è capace di produrre concetti come «antiamericano» e «peacenik» — di trasformare cioè «pace» in una parolaccia — si è spinta molto avanti sulla strada dell'immunizzazione degli individui da qualsiasi richiamo umano. La società americana ha raggiunto uno stadio di immersione pressoché totale nell'ideologia. L'impegno è sparito dalla coscienza: in quali valori può credere una persona sensata? Gli americani sono semplicemente «pragmatici» e sono convinti di dover condurre gli altri a questa felice condizione. (vedasi Il pacifismo rivoluzionario di A. J. Muste, p. 170)”. Quanto alla terza fase storica si veda Michael J. Sandel, un filosofo politico statunitense, riconosciuto come uno dei principali esponenti del comunitarismo, dottrina che può alle volte risultare faziosa nelle sue più profonde more nel

dibattito contrapposto soprattutto alle dottrine neoliberiste del secondo novecento, il quale scrive: “Quello che i soldi non possono comprare. I limiti morali del mercato, Feltrinelli, Milano 2013”. In questo saggio il Professore di Harvard

Vladimir Putin

delinea le tesi della sua dottrina sostenendo in prima battuta, in una recente intervista rilasciata al Washington Post: ”si ha la sensazione che i valori del Pil e del mercato da soli non bastino a creare la felicità, tanto meno una buona società”. Concludendo, in sintesi, sostengo che da queste poche citazioni, il futuro delle nostre società che appaiono non buone

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 19

secondo certi, migliori secondo altri, poggiano i loro fondamenti etici sul principio, è quasi un dogma oramai ovunque, del primato dell’economia sull’uomo o la tolleranza, il dialogo. Questo, a concludere, che la terza fase della nuova guerra fredda ha trovato nella Russia del sempiterno Presidente Putin, una nazione rinata. Un rinnovamento e rinforzamento ancora più evidente dal fatto che lo Stato che fu degli Zar può contare su un triplice fattore di forza. La quasi inesauribile possibilità di rifornirsi di materie prime di cui tutto il mondo ha continuo bisogno: protogenesi economica del potere (dipendenza del continente europeo) Un popolo che da secoli venera quasi religiosamente le proprie radici e il proprio sviluppo, il proprio sacro Onore, anche geopolitico: antropogenesi sociale del potere (la Crisi Ucraina). Essere comunque un continente che potrà sempre fare da cuscinetto tra la vecchia Europa e gli Stati Uniti, e il continente Arabo – Asiatico. metagenesi politica del potere. (l’influsso plurisecolare).


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 20

CASO FINCANTIERI

L’INCERTEZZA DEL DIRITTO

P

er Fincantieri l’ostacolo principale lungo la strada della competizione globale non sembra l’eccellenza del prodotto né il rapporto qualità-prezzo, dove ha pochi eguali, come dimostrano ordini, fatturato e utili dei suoi business. Rischia di esserlo, però, l’incertezza del diritto. Subire in un sito produttivo 394 ispezioni e controlli relativi alla sicurezza e all’ambiente nell’arco di due anni e mezzo rappresenta una diseconomia che nessun concorrente internazionale, francese, tedesco o coreano che sia, sarebbe in grado di affrontare. E, invece, onore e gloria al gruppo italiano che, nonostante questa autentica camicia di forza nella quale è costretto, è riuscito ad assicurarsi lavori fino al 2026, anche grazie agli ordini per naviglio militare polivalente dopo l’avvio del programma della Legge navale per l’ammodernamento della flotta della nostra Marina. Ma tutto ha un limite, anche in una proiezione futura. La domanda è: si può bloccare un’azienda con un sequestro preventivo respinto per due volte e alla fine accolto dalla Cassazione solo per una mera questione di forma, per dei “vizi motivazionali” non meglio, per ora, chiariti? In pochi sanno che cosa sia veramente capitato nelle scorse settimane a Monfalcone. La brevità dell’informazione nell’era di twitter, infatti, non lascia spazio per gli approfondimenti e le riflessioni. E, spesso, anche per le notizie vere e proprie. E’ accaduto in sostanza che, da tempo, i magistrati di Gorizia indagano Fincantieri per la procedura nello smaltimento dei rifiuti nel cantiere che realizza le navi da crociere, uno dei più ricchi business della cantieristica mondiale, in cui il gruppo italiano guidato da Giuseppe Bono è senz’altro uno dei leader intercontinentali. E alla fine sono riusciti a ottenere lo stop del sito produttivo friulano. Non, si badi bene, perché lo smaltimento

abbia arrecato danni all’ambiente, alla salute dei lavoratori o a quella dei cittadini che vivono nelle vicinanze del cantiere, come pure ha fatto trapelare qualche sindacalista. Il problema è tutto burocratico. Per la procura le aziende appaltatrici di Fincantieri dovrebbero smaltire i rifiuti creati. Fincantieri, invece, per una questione pratica e per le sua capacità di grande gruppo, finora si era assunta in proprio lo smaltimento, per favorire la fluidità del ciclo produttivo e risparmiare sui costi complessivi, evitando anche un poco ecologico trasporto a ritroso dei rifiuti dal proprio sito di lavorazione alla sede delle aziende appaltatrici. Anche grazie a un rapido intervento del Governo, la situazione si è sbloccata, con la perdita per il gruppo di alcuni milioni complessivamente (secondo fonti non ufficiali, il danno sarebbe stato di circa un milione al giorno), ma la spada di Damocle rimane. Dopo sette giorni di rimpalli e allarmi, denunce e proteste (e dopo il provvidenziale intervento dell’esecutivo) la magistratura non ha arrestato il suo cammino. Da un lato, il presidente del Tribunale di Gorizia ha ammesso che non tutti i giudici possono interessarsi di tutto, passando da episodi spiccioli di cronaca nera a complesse vicende imprenditoriali; dall’altro è arrivato al direttore dello stabilimento di Monfalcone un avviso di indagine relativo a un procedimento per asserite violazioni della disciplina in materia di Autorizzazione integrata ambientale. Fortuna che l’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, il suo staff e tutte le maestranze del gruppo e dell’indotto hanno le spalle solide e hanno la qualità del prodotto e la fiducia dei mercati dalla loro, altrimenti l’Italia si sarebbe giocato uno dei pochi player mondiali rimasti. Pi.Ro.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 20


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 45

COSTUME & SOCIETÀ

RETE TELEMATICA: IL NOSTRO PAESE FANALINO DI CODA (a pag. 46)

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 45


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 46

COSTUME & SOCIETÀ

LA GUERRA INFORMATICA di Valeria Caldelli

P

ORTOFERRAIO - Fanalino di coda. L'Italia è all'ultimo posto tra i 28 Paesi dell'Unione europea in fatto di rete telematica. Sette anni fa, nel 2008, eravamo a metà classifica, ma in poco tempo il gap è aumentato e siamo finiti in fondo. Un ritardo tecnologico che ci mette in posizione di inferiorità, allontanandoci da quegli standard necessari almeno a difenderci in quella moderna 'Guerra del web' attualmente in corso a livello mondiale. Una denuncia che viene dal 13° 'Pisa meeting on advanced detectors', il convegno sulle frontiere tecnologiche della fisica che ha visto riuniti per una settimana all’Isola d’Elba oltre 500 scienziati provenienti da tutto il mondo. "Soffriamo di Digital divide", ha detto Enzo Valente, fondatore della rete Garr, il sistema di comunicazione telematica delle università Italiane. "Se per quanto riguarda la ricerca siamo allineati con le reti più avanzate, sta invece avanzando sempre di più il divario del cittadino. Questo è un fatto molto grave perché le nostre generazioni di giovani sono bravissime a usare ciò che gli altri hanno già fatto, ma se devono inventare e programmare sono a zero. Ciò perché per anni è mancato l'ambiente di sviluppo, sono mancati finanziamenti per la ricerca, non sono stati stesi cavi. Ed ecco il risultato: oggi siamo gli ultimi. Dobbiamo assolutamente recuperare il tempo perduto". L'idea è quella di ricominciare dalla scuola, sostituendo la vecchia rete Adsl, ormai obsoleta, con una più moderna. "Con l'Adsl si possono ricevere tutte

le notizie che si vogliono, ma è molto più difficile inviarle. Ciò significa 'bersi' tutto ciò che dicono gli altri senza avere grosse possibilità di intervento". Per 'aggiornare' le giovani generazioni è comunque necessario molto tempo e il progetto dell'ex ministro Profumo, nato nel 2012, comincerà a mettere le gambe solo quest' anno. Alla fine del 2015 il primo gruppo di scuole sarà collegato alla rete Garr, quella avanzata della ricerca. In tutto saranno 470 (di cui 131 nelle regioni del Mezzogiorno) i fortunati istituti che potranno cominciare a dialogare una lingua ultramoderna. Ma è come una goccia nel mare: le scuole sono infatti 8.500 e i finanziamenti necessari estremamente onerosi. Si parla di un miliardo e 200mila euro chiesti alla Comunità econo-

Fabrizio Gagliardi

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 46

mica europea da adesso al 2020: ancora si attende una risposta. Ma c'è un altro problema sul fronte del web che non riguarda solo l'Italia, bensì l'Europa intera. "Siamo in piena guerra informatica", ha sottolineato Fabrizio Gagliardi, uno dei maggiori esperti europei in fatto di web, a capo di varie istituzioni, non solo europee. " Oggi, riuscendo a far saltare alcuni sistemi, si riesce anche a bloccare l’economia di intere zone oppure si intercettano le novità industriali. E' già accaduto e sta continuando ad accadere, tanto è vero che nazioni come gli Stati Uniti e il Giappone ormai non si fidano più dell'elettronica proveniente da Paesi stranieri e producono l'intero sistema a casa propria. Se infatti i server sono di origine straniera, chi ci dice che non ci sia dentro una porta di servizio che permette di spiare l'industria locale? In Europa c'è una grande indifferenza su questo problema, che invece è grave e che mette in pericolo non solo l'economia, ma la stessa sicurezza nazionale. L'Europa deve essere in grado quanto prima di produrre l'intera filiera informatica se non vuole ritrovarsi in guai". Nuove idee sul futuro della scienza e sulle strumentazioni all'avanguardia sono state discusse per una set-


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 47

COSTUME & SOCIETÀ

timana nel corso del convegno 'Frontier Detector for Frontier Physic" a La Biodola, nel comune di Portoferraio. Non solo le problematiche di Internet, ovviamente, ma una serie di snodi fondamentali a cui la ricerca deve dare una risposta a livello internazionale nei prossimi anni. “Le conoscenze hanno bisogno di circolare e non di essere settorializzate per ottimizzare

sempre di più i risultati”, spiega Marco Grassi, fisico sperimentale, tra gli organizzatori del congresso triennale che ha come sponsor l'Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare), le Università di Pisa e di Siena, Eps (European phisical society) e Sif (Società italiana di fisica). La prossima frontiera della fisica sarà quella di avere rivelatori sempre più veloci, sempre più piccoli

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 47

e sempre più sensibili. I nostri computer, così come i nostri cellulari e le apparecchiature per la diagnostica medica (dalla Tac alle tomografie) dipendono proprio dagli studi sulla strumentazione per la fisica delle particelle elementari. La scienza continua a fare grandi progressi. Ma tocca agli Stati stare al passo coi tempi.


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 48

COSTUME & SOCIETÀ

LA GRANDE MUSICA di Elio Boncompagni

G

li italiani non hanno mai avuto a disposizione un sistema pubblico di educazione simile a quello degli altri Paesi europei. Per il nostro Stato, la Musica, come produzione in suoni di testi musicali scritti, è solo un avvenimento estemporaneo. La Grande Musica ha un valore aggregante, invece, al contrario della musica “pop” che favorisce il culto dell’individuo. “Lo Stato considera l’attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale, in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale. Per la tutela e lo sviluppo di tali attività lo Stato interviene con idonee provvidenze”. Lo afferma il primo articolo della legge 800/67 che ha adottato un sistema di protezione finanziaria per coprire tutto il territorio nazionale, ma non ha portato ad uno sviluppo della “formazione musicale”, perché a questa deve provvedere la scuola, che invece considera la Musica una opzione. La Musica prodotta in suoni è in Italia “Musica dal vivo”, attività aggiuntiva ai Beni culturali, come le mostre, le conferenze, le pubblicazioni. Invece è un’Arte con due fasi interdipendenti. La prima: la Musica manoscritta o stampata, custodita nelle biblioteche come bene culturale, la cui lettura è affidata ai pochi che ne conoscono il linguaggio. La seconda: la Musica tradotta in suoni, affidata a Istituzioni liriche, sinfoniche, concertistiche, strumentisti solisti, gruppi da camera, cantanti, cori, con valore culturale, parte irrinunciabile della prima e che dev’essere trattata e gestita dalla Stato come bene culturale da proteggere. Sono elementi imprescindibili. Se una persona dispone di un paio di scarpe, deve usarle ambedue; con una sola scarpa non si va da nessuna parte. Il Mibac non solo esclude le istituzioni musicali dal mondo della cultura, ma inibisce a qualunque ministro di occuparsi della Musica, considerato l’enorme peso dei beni culturali, e demanda la “Musica dal vivo” ad alti funzionari che da anni agiscono dentro le ristrettezze della legge in vigore. Alla costituzione della Stato italiano, la Musica non entrò a far parte del mondo culturale: era ritenuta un’arte minore. E di questa mancanza nelle scuole ordinarie già si lamentava Giuseppe Verdi! Nell’elenco Istat delle professioni e mestieri non è incluso il musicista, una carenza che coinvolge e penalizza decine di mi-

gliaia di professionisti che pagano regolarmente le tasse: sconosciuti al ministero degli Interni, che cura l’elenco, ma conosciuti, invece, dall’Agenzia delle entrate? A sua volta, il dicastero dell’Istruzione, che non provvede adeguatamente all’educazione alla Musica nelle scuole ordinarie, è costretto ad operare, per i conservatori e i licei musicali, sulla scorta di una improvvida riforma degli anni settanta. All’epoca furono triplicate le scuole musicali e questo portò a un reclutamento forzato di personale docente e mise in moto un sistema involutivo. Un ministero crea musicisti e un altro, forzatamente, li disoccupa: 58 conservatori musicale e venti istituti pareggiati diplomano circa 5mila strumentisti ogni anno destinati per principio alla disoccupazione. L’Italia, infatti, conta solo 27 orchestre! Negli ultimi anni ne sono state chiuse sette. Esistono 28 teatri di tradizione, di cui solo due con orchestra residente, e 12 orchestre regionali, delle quali solo la metà lavora tutto l’anno. Negli altri Paesi europei la situazione è ben diversa. In Germania le orchestre stabili sono 160, in Francia 51, nel Regno Unito 83, in Olanda 26, in Svizzera 21, in Austria 35, in Spagna 40. La Musica è governata dal ministero della Cultura in Austria, Germania, Inghilterra, Francia.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 48


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 49

COSTUME & SOCIETÀ

Le Fondazioni liriche si trovano in una condizione giuridica che suscita perplessità: non hanno avuto in dotazione, infatti, un capitale iniziale i cui frutti avrebbero potuto generare prodotto. La

figura del sovrintendente riassume tutte le competenze di gestione, mentre quella del direttore artistico è praticamente sparita. La conseguenza? Un signore può rimanere per otto anni sovrintendente alla Scala di Milano senza essere capace di riconoscere nemmeno un’aria di opera famosa. Ma chi è posto al comando di queste istituzioni deve, oltre a essere onesto, avere la necessaria conoscenza tecnica dell’oggetto artistico che tratta sotto il profilo finanziario. Alla Staatsoper di Vienna, sul sovrintendente vigila il ministro della Cultura. Ma non si tratta di una vigilanza formale: se l’Opera non funziona, il ministro perde il posto. In Germania le orchestre collaborano con teatri d’opera ma sono dotate di uno stato giuridico e guidate da un direttore d’orchestra. Che fare, dunque, per cercare di risolvere la disastrosa situazione della Musica in Italia? I costi di produzione vanno rapportati al numero degli spettatori: solo in piccola parte, infatti, i costi sono assorbiti dall’incasso dei biglietti mentre, in gran parte, sono coperti da sovvenzioni pubbliche, per cui, paradossalmente, ogni spettatore pesa sulla spesa pubblica. Per aumentare il numero degli spettatori, si dovrebbe ricorrere alle coproduzioni: la moderna tecnica per gli allestimenti scenici le rende possibili. Un incremento notevole dei costi è parzialmente dovuto allo scarso numero di serate. Andrebbe introdotto anche in Italia il “sistema repertorio”, che permette a un titolo già prodotto di tornare in scena senza bisogno di prove d’orchestra e con direttori già esperti. Per tornare all’Opera di Stato di Vienna:

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 49

produce 300 serate l’anno, contro un numero molto inferiore a cento di un corrispondente teatro italiano. Andrebbe chiuso perlomeno un terzo delle Scuole superiori di musica, trasferendo gli insegnanti alla appropriata educazione di Musica nelle scuole ordinarie e aumentando il numero delle orchestre con giovani capaci per dare ad ogni Regione una orchestra. All’appello ne mancano sette (Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Sardegna, Basilicata, Molise, Calabria) che in compenso contano numerosi inutili conservatori. E’ auspicabile, inoltre, la defiscalizzazione per i donatori. E l’erogazione di fondi pubblici per lo svolgimento delle produzioni prima e non dopo l’allestimento, evitando così il ricorso delle istituzioni a onerosi prestiti bancari per cominciare a lavorare. Vanno coordinate le fondazioni lirico/sinfoniche col ministero competente allo scopo di condividere una strategia efficacemente produttiva. Si deve imporre, infine, il possesso di specifiche competenze a chi siede al vertice delle Fondazioni lirico/sinfoniche, precludendo la nomina a sovrintendente di chi è stato estromesso dal medesimo incarico per insufficienza amministrativa. Già in passato, invitato da due ministri, studiai il problema e risposi col mio contributo. Ho ricevuto complimenti e nient’altro. Da allora la situazione non è cambiata. Per molti, ciò che loro non conoscono, non esiste: impossibile far risolvere un problema a chi non sa che il problema esiste. Anche, e soprattutto per questo, possiamo solo sperare in un mutamento radicale


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 50


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 51

COSTUME & SOCIETÀ

VINI, LA RINASCITA DEL SUD di Maddalena Mazzeschi

N

ei primi anni settanta il mondo del vino italiano ha intrapreso quel cambiamento epocale che lo ha progressivamente trasformato. Le due regioni più lungimiranti furono Toscana e Piemonte, i cui produttori compresero che, diminuendo rapidamente il consumo pro capite e aumentando la sensibilità nei riguardi della qualità, al mercato internazionale (allora costituito principalmente da emigrati italiani più o meno benestanti) non sarebbe più bastato il tricolore in etichetta per decidere di acquistare una bottiglia. Fino ad allora, infatti, tra le motivazioni dell’acquisto, il concetto di “qualità” era stato del tutto secondario a favore di un nazionalismo nostalgico per qualunque prodotto fosse riconducibile alle proprie origini.

Da allora, anche se meno rapidamente di altri prodotti alimentari,, il mercato è profondamente cambiato e il vino italiano è diventato in tutto il mondo sinonimo di qualità e prestigio. Pochi anni dopo Piemonte e Toscana, anche i produttori di altre regioni compirono una scelta analoga permettendo un rapido innalzamento della qualità anche in altra regioni: dal Friuli all’Alto Adige e al Veneto e via di questo passo. Con un “ma”: tutte le regioni coinvolte allora nella rinascita erano centro-settentrionali. Bisogna attendere gli anni novanta, infatti, per il risveglio della Sicilia e della Campania così che anche nel Mezzogiorno cominciò la rinascita vinicola. Secondo Mario di Lorenzo, titolare dell’azienda “Feudo Disisa” e presidente della Doc Monreale, “Negli anni ottanta/novanta c’è stata una prima grande rivoluzione che ha portato all’inserimento dei vitigni internazionali nel panorama enologico siciliano”. In effetti la scelta dell’uso dei vitigni internazionali e delle barrique, in sostituzione

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 51

delle tradizionali botti di Rovere di Slavonia di grandi dimensioni, è stato il primo segno di cambiamento al Sud. Prima, prosegue Di Lorenzo, “Il vino siciliano all’estero veniva visto come qualcosa di esotico, un prodotto che poteva suscitare simpatia o curiosità, ma per il quale non si nutrivano grandi aspettative”. Un’altra, in realtà, è la scelta che ha portato alla vera svolta. “A partire dal Duemila – riprende Di Lorenzo - c’è stato un ritorno al vitigno siciliano; l’identificazione territoriale questa volta ha portato la voglia di distinguersi per quei vitigni che si coltivano solo in Sicilia, non solo Nero d’Avola, ma Grillo e Cataratto, Nerello Mascalese e Frappato, Perricone e Nocera. Oggi i vini siciliani hanno un’identità ben definita, gli appassionati e gli esperti del settore sanno che ci si può aspettare


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 52

COSTUME & SOCIETÀ

da loro non solo struttura, ma carattere ed eleganza”. In ordine di tempo a intraprendere un percorso di qualità, e di successo, è stata la Puglia. Qui, in appena vent’anni, si è ampiamente recuperato il tempo perso trasformando completamente la realtà produttiva. Sebastiano De Corato è titolare della cantina “Rivera” che vanta una piccola, ma significativa, scorta di bottiglie dalla vendemmia 1955 ad oggi. Secondo De Corato, “Negli ultimi quindici/venti anni la percezione nel mondo dei vini pugliesi è cambiata almeno un paio di volte! Nel loro complesso hanno vissuto una prima fase di riscoperta e una successiva, la attuale, di maturità. A partire dai primi anni novanta, infatti, quando le cantine pugliesi di qualità erano ancora non più di venti e il resto della produzione era dominato da Cooperative o produttori di vino sfuso, è cominciata la scoperta dei vini rossi principalmente a base di Negroamaro, e in seguito anche di Primitivo, grazie alla loro grande caratterizzazione e all’ottimo rapporto qualità/prezzo. Negli ultimi dieci anni, a questa tipologia di vin, si sono affiancati vini dalla qualità più spinta e ricercata da parte di produttori che puntavano a far esprimere di più il rapporto tra vitigno e terroir. In parallelo emergevano vitigni meno

piacioni e carichi di sole, ma forse più eleganti come il Nero di Troia, cominciando a dimostrare al mondo, in particolare ai mercati e ai consumatorii più maturi ed esigenti, le tante sfaccettature di cui il vino pugliese è composto”. Sulla Calabria, che più di recente ha sposato la nuova stagione del vino al Sud, Paolo Librandi, titolare dell’omonima azienda unanimemente riconosciuta come la prima ad aver intrapreso il percorso della qualità, è convinto che “La percezione dei consumatori italiani ed esteri dei nostri vini sia cambiata molto. Ci siamo infatti affrancati da quell’idea di alcolicità e rusticità che dominava nei preconcetti di un tempo. La sfida, però, è quella di creare una vera identità che ci renda riconoscibili in modo abbastanza univoco. Ci sono infatti singole aziende che fanno degli ottimi exploit, ma la Calabria come area vinicola in sé non è ancora riconosciuta sul mercato in tutto il suo valore e la sua peculiarità”. Tanto rimane ancora da fare. Ma i vini del sud hanno un “plus” rispetto al resto d’Italia: il rapporto qualità/prezzo. Nella maggior parte dei casi, infatti, costano meno dei più blasonati del nord che si sono fatti pagare la primogenitura qualitativa. Attenti però … il sud avanza!

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 52


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 53

COSTUME & SOCIETÀ

PARADISO ALLE PORTE DI ROMA di Donatella Miliani

S

cappare dal caos del traffico romano e, dopo pochi chilometri, scoprire il Paradiso...E’ la sensazione che regala Gelso della Valchetta, situato all’interno del Parco di Veio, a Roma nord. Un’azienda agricola di circa sei ettari di terreno che, oltre a produrre degli ottimi vini), ospita anche animali come caprette, conigli, cani, polli e soprattutto asini con i quali si svolge un’attività di onoterapia per aiutare i bambini nella cura dei disturbi comportamentali. Creata nel 1997, questa azienda, immersa nella natura e dove la natura domina, è l’orgoglio della famiglia Caldani, un nome legato alla vivaistica internazionale che, non certo per gioco, ha mosso i primi passi nel settore vitivinicolo diciassette anni fa, diventando quindi abbastanza rapidamente, grazie a scelte gestionali che hanno sempre privilegiato la qualità e il rispetto dell’ambiente, un nome importante nel panorama italiano e non solo, tanto da guadagnare prestigiosi premi. “Tutto è nato – racconta Flaminia Caldani, bella e affascinante signora di 36 anni che oggi si occupa dell’azienda di famiglia –, nei primi anni ’90 quando mio padre Marco decide di dar forma alla sua passione piantando i primi vigneti di chardonnay, merlot e cabernet sauvignon che, in linea con la filosofia aziendale, non vengono trattati con alcun prodotto di sintesi. La costruzione della cantina ha dato poi vita al sogno che si è realizzato qualche anno più tardi, nel 2003, con la nascita di due vini di grande impatto emotivo: il Lilium ed il Gelso”. Raccontiamone la storia. “Il Lilium, chardonnay in purezza che fa solo acciaio, è dedicato a mia nonna che si chiama Liliana. E’ stata lei quando mio padre impiantò i primi vigneti di rosso a far notare, garbatamente ma altrettanto fermamente, che lei beveva solo bianco. Detto fatto, mio padre

ovviò subito. E direi, visti i risultati di oggi, che fece proprio bene. Lilium è un vino che presenta intensi profumi primaverili, si avvertono i fiori e la frutta bianca, non troppo matura che, assieme a percepibili sbuffi minerali, tipici di un terreno argilloso, sabbioso e in alcuni punti calcareo, insomma l’ideale per produrre vini di qualità, determinano una quadro aromatico generale di bella complessità”. Vogliamo suggerire l’abbinamento ideale? “Beh, un bel risotto all’astice” risponde senza indugi Flaminia, giornalista, che ad un certo punto ha deciso di seguire la vocazione di famiglia, che possiede anche un’altra azienda in Toscana, questa di 42 ettari che produce vini autoctoni, rossi e bianchi di rango come il Morellino di Scansano, uno dei quali si chiama Fabio Massimo, dal nome del nonno della signora Flaminia. Torniamo ai vini capitolini e parliamo stavolta del Gelso. “Il Grand Cru di Roma – sottolinea ancora Flaminia –, è un blend di merlot e cabernet che, come il Lilium, fa solo acciaio. E’ un vino di razza, intenso, se mettiamo il naso nel bicchiere riconosciamo senza problemi i profumi della visciola, della prugna, del ginepro, del pepe e della macchia mediterranea. Abbinamento? E’ il compagno ideale per una tagliata di manzo all’aceto balsamico”. Insomma, vini di eccellenza. Che è possibile trovare? “Per quanto riguarda la distribuzione cerchiamo sempre il miglior posizionamento possibile Intanto le nostre bottiglie finiscono nei migliori ristoranti di Roma e provincia, il resto negli Stati Uniti, Svizzera, Belgio, Cina, Canada e Australia. Siamo animati da uno spirito dinamico e giovanile e ci ripromettiamo - spiega - di posizionare il Vino di Roma in ogni capitale del mondo”.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 53


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 54

COSTUME & SOCIETÀ

LUCANIA, VELA & CULTURA di Katrin Bove

L

’Expo Milano 2015, al di là dei consuntivi che ci diranno se è stato un successo oppure no, un effetto traino lo sta già ottenendo in tutta Italia. Anche in aree lontane dalla sua sede di Rho. Da un capo all’altro del nostro Paese, infatti, si vanno registrando iniziative destinate a rilanciare le attrazioni locali: culturali, gastronomiche, paesaggistiche. Talvolta riferite direttamente all’esposizione universale, talaltra no, di certo giovano dell’humus Expo. Quanto ai risultati, anche in questo caso l’impegno profuso sembra deporre positivamente per il futuro. E dimostra il fermento di un’Italia troppo spesso descritta a tinte cupe e decliniste. E’ il caso, a esempio, della Lucania, dove nelle ultime settimane sono partite due iniziative destinate a rafforzare l’immagine di una regione che, seppure poco o punto conosciuta dall’opinione pubblica, per molti aspetti già si pone ai vertici italiani. In settori apparentemente impropri per una piccola regione dell’Europa meridionale (industria, ricerca, nuove tecnologie) e in settori tipicamente associati a un’area siffatta: mare, montagna, beni culturali e paesaggistici, mangiare & bere di qualità, ospitalità innata. In nome della “destagionalizzazione”, per allungare l’offerta dettata dall’attrazione marina, numerosi comuni lucani hanno deciso di puntare sulla cultura iniziando un percorso che naturalmente si muove in sinergia con “Matera 2019”, quando la Città dei

Sassi sarà capitale europea della cultura. Il progetto ruota intorno alla Magna Graecia, l’area geografica dell’Italia meridionale colonizzata da popolazioni di origine ellenica intorno all’ottavo secolo avanti Cristo che in Lucania ebbe uno dei suoi apici. L’idea è quella di istituire un Parco che comprenda al suo interno le Isole ioniche greche e il Golfo di Taranto e diventi, da sé, un marchio turistico riconoscibile anche e livello internazionale, un “brand” di valore economico e sociale. Questo Parco rappresenterebbe una pietra miliare al fine di salvaguardare le ricchezze storico-

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 54

culturali e le bellezze naturali del territorio incluso. Un patrimonio di identità necessario non tanto e non solo alle popolazioni residenti ma soprattutto all’idea di un’Europa, diversa da quella burocratica e finanziaria che abbiamo conosciuto, cui da più parti si anela. Il Parco avrebbe, però, anche una evidente ricaduta economica e occupazionale. E fin d’ora può godere di un punto di forza rispetto ad altre realtà: la vicinanza con l’aeroporto di Bari. Proprio uno scalo limitrofo ha costituito la fortuna di località di altri Paesi mediterranei che, in molti casi, hanno scalzato mete turistiche italiane.


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 55

COSTUME & SOCIETÀ

Direttamente collegato all’esposizione universale è, invece, un secondo progetto, lanciato dal Circolo Velico Lucano sul tema “Le autostrade del mare: sulla rotta per Expo” e scaturito dalla volontà di inserirsi nel tema fondante dell’Expo: il diritto a un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della terra. L’iniziativa si propone l’organizzazione, in partnership con le scuole, di una serie di mini crociere in barca a vela, destinate a costeggiare le regioni italiane allo scopo di permettere agli studenti di conoscere le tradizioni alimentari del nostro Paese. Un percorso didattico-formativo capace di favorire l’in-

terazione dei giovani con il mondo della ricerca e della produzione, per diffondere la consapevolezza del ruolo di scienza e tecnologia nel miglioramento della qualità della vita e lo sviluppo sociale sostenibile. La didattica è nel Dna del Circolo Velico Lucano. Sede a Policoro, in provincia di Matera, immerso nella Riserva del Bosco Pantano, ha alle spalle trent’anni di attività e costituisce un polo unico nell’avvicinamento dei giovani in età scolare a tutte le attività marinare, al fine di creare momenti di aggregazione con finalità educative, culturali, formative, professionali. Nel progetto del Circolo Velico Lu-

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 55

cano, insomma, lo sport, e in particolare la pratica velica, deve diventare il mezzo sostenibile attraverso il quale diffondere una sana cultura alimentare grazie alla creazione di laboratori didattici in movimento. Queste scuole a cielo aperto potranno favorire un approccio multidisciplinare che, partendo dall’importante approccio all’alimentazione, possa condurre all’approfondimento e alla promozione dei comportamenti mirati alla salvaguardia dell’ambiente terrestre e marino, con particolare attenzione al reperimento di prodotti alimentari. L’intento, insomma, è quello di fornire alle nuove generazioni una visione globale necessaria a comprendere la complessità e l’importanza della tutela e della gestione delle risorse naturali e il dovere di instaurare corretti stili di vita i cui cardini siano la sana alimentazione, la cultura alla legalità, l’educazione alla sostenibilità civile e ambientale. La memoria sensoriale del contatto con ambienti di elevato valore naturalistico e le conoscenze multiculturali che i ragazzi potranno acquisire vivendo questa affascinante esperienza andranno inevitabilmente a costituire il bagaglio invidiabile di futuri cittadini modello. In questo ambito, va segnalato il progetto “Sano è Lucano” (in collaborazione con il Miur, l’Azienda turistica, l’Apofil di Potenza, l’Ageforma di Matera) mirato a far raggiungere a duecento studenti italiani Milano e l’Expo su mezzi sostenibili quali le barche a velo.


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 56

COSTUME & SOCIETÀ

ISABELLA E LA PITTURA

E

’ nata a Firenze, ma nella sua giovane vita ha già vissuto in molte zone della Toscana, dalla Garfagnana, all’isola di Capraia, da un paesino nell’entroterra costiero, Gabbro, a Livorno, dove adesso ha sede il suo atelier. Non mette mai le radici in un luogo Isabella Staino, artista emergente, sempre in bilico tra realtà e fantasia, perchè lei, più che cittadina del mondo è cittadina dei sogni. E i sogni, si sa, vivono dappertutto. Nel suo passato ci sono state mostre a Firenze e a La Spezia, a Pisa, a Parigi e ad Amburgo, oltre al festival “Hai paura del buio?” in cui lei, tra i 35 artisti invitati, ha rappresentato la pittura. Nel futuro ci sono la Provenza e la Costa Azzurra e poi a settembre un ritorno in Italia con Castiglioncello (galleria Comunale) e, a dicembre, Livorno (Villa Fabbricotti). Nipote di Sergio Staino, autore delle note vignette di Bobo, Isabella ha anche ispirato un racconto di Antonio Tabucchi, uno dei più famosi scrittori italiani, recentemente scomparso. ‘Isabella e l’ombra’ è il titolo della fiaba che Tabucchi ha voluto dedicarle, identificandola con una bambina che pensava attraverso i colori. Cioè lei, appunto, che ha tenuto per sé alcuni anni questo regalo prezioso e ora l’ha pubblicato e illustrato. Ovviamente con tanti colori. -Isabella, quando è nata la voglia di dipingere? “Ci sono cresciuta. Ho sempre voluto fare la pittrice. D’altra parte in casa mia siamo tutti artisti. Non solo mio zio, ma anche mio padre, mia madre

e mio fratello”. -Nei tuoi quadri c’è spesso una protagonista, una ragazza che sembra arrivare da altri tempi. Sei tu? “La pittura è tutta me stessa e non riesco a finire un’opera se prima non

sonaggi? “Un’epoca indefinita che non è né passato, né futuro. Però non è nemmeno presente. E’ qualcosa che mi viene da un godimento interno, luoghi e spazi in cui amerei vivere. Forse

Isabella Staino

ci ho messo tutto di me. Allora si può dire che ognuno dei miei quadri è un autoritratto, ma non perché volessi dipingere me stessa, ma perché dentro ci sono io. Le figure che dipingo vivono in un ambiente che mi piace, che mi rappresenta. Qualche volta amerei tanto entrare dentro il quadro e fermarmi lì...” -In quale epoca vivono i tuoi per-

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 56

dovevo nascere in un’altra epoca?” - Ti senti un po’ demodé’? “Se questo vuol dire che vedere una foto in bianco e nero mi riempie di nostalgia perché io non ho conosciuto quei tempi, allora sì, sono demodé. Però nei miei quadri si rimanda anche ad un futuro possibile, un futuro in cui si possa recuperare la bellezza e la raffinatezza primitiva.”


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 57

COSTUME & SOCIETÀ

-Dunque l’obiettivo è la bellezza...E qual è il mezzo attraverso il quale vuoi raggiungerla? “Comincio sempre il quadro con un’idea e questa si trasforma in una sorta di disegno, che poi però cancello perché con il colore dò vita ad una forma di paesaggio astratto. Pennellate di verde, giallo, rosso, senza neanche guardare la tavolozza, senza neanche sceglierli i colori, quasi come fosse un rito liberatorio. Solo alla fine riprendo il disegno e lo completo coniugandolo con il colore”. -Quando sai che un quadro è finito? “Semplicemente lo so, ed è il momento più bello. Insieme a quello iniziale, quando ho davanti a me una tela bianca. E’ un momento di sublime, di grazia perché so che si trasformerà e che ci saranno personaggi che entreranno e che usciranno. Fino all’ultima pennellata” -Cosa è dipingere per te? “La vita” -E che cosa è l’arte? “Mi viene da citare Balthus che si faceva chiamare artigiano e non artista. Arte è una parola che si è sciupata. Ormai viene definita ‘opera artistica’ anche ciò che non lo è affatto. Per questo io mi sento più artigiana che artista” -Chi ha fatto questa confusione? “Credo che la cosiddetta Pop Art sia stata l’inizio della catastrofe” -Cos’ è per te il successo? “Poter dipingere tutto il tempo possibile. Ciò significa vendere molti quadri....” Valeria Caldelli

Meriggio

La Strada (particolare) Interno (particolare)

La partita

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 57

Altrove


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 58


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.45 Pagina 59

COSTUME & SOCIETÀ

FONDAMENTALISMO PROTESTANTE di Marco Toti

G

li avvenimenti succedutisi dopo gli attentati dell’11/9/2001 hanno sensibilmente accresciuto l’interesse dei media sulla questione delle relazioni tra USA ed Europa e tra il cosiddetto “Occidente” – che queste rappresenterebbero – e il mondo islamico. Tenuto conto che le vaghe nozioni di “Occidente” e di “Islam”, come è stato a lungo ripetuto, non possono sic et simpliciter rimandare a blocchi culturalmente monolitici, è lecito, da europei, chiedersi se il primo dei due concetti possa correttamente indicare la sostanziale unità di “visioni del mondo” – e quindi di intenti geopolitici – tra gli Stati Uniti d’America e l’Europa (un’Europa che, peraltro, consiste attualmente solo in un moloch burocratico privo di una politica e di un esercito comuni, senza considerare gli enormi squilibri economici che la caratterizzano al suo interno). Prendiamo le mosse dalla storia religiosa, a nostro parere punto di osservazione privilegiato per tentare di comprendere le dinamiche culturali sottese alla formazione dell’identità americana, che, senza menzionare altri influssi certamente determinanti ma posteriori, può essere a ragione ritenuta un’identità “religiosa”, nello specifico fondata sul protestantesimo di orientamento congregazionalista. Come è noto, la società statunitense si costituì a partire da una frattura con quella europea; per i Pilgrim Fathers, i poco più di 100 puritani inglesi che nel 1620, sbarcati dal Mayflower, fondarono la colonia di Plymouth (Massachussets), l’Europa costituiva una realtà oppressiva da cui separarsi per inaugurare una nuova civiltà (se si dà uno sguardo ai biglietti americani da un dollaro, vi si legge l’inequivocabile motto Novus Ordo Seclorum)1: in questo senso, gli USA possono essere considerati da un lato come il prodotto storico-culturale del rifiuto europeo di una Weltanschauung calvinista radicale, dall’altro come il tentativo di formazione, per l’appunto, di un nuovo ordine, fondato su

principi etico-religiosi incompatibili con quelli del vecchio continente. Attualmente, il camaleontico panorama religioso a stelle e strisce è caratterizzato dalla presenza di un crogiolo di fedi e credenze nel quale non è sempre facile districarsi: ad una robusta dose di cattolicesimo non del tutto romano si giustappongono – per citare due forme di espressione del “sacro” tipicamente statunitensi – le evasioni neo-gnostiche del New Age e la più inquietante deriva satanica, nelle sue declinazioni “acida” ovvero “occulta”; oltre, ovviamente, alla galassia delle denominazioni protestanti, che vanno dalle Chiese liberal che ammettono il sacerdozio femminile e sdoganano l’omosessualità alle apparentemente sedate milizie antigovernative: il pluralismo, si dirà, è l’anima della democrazia (in particolare statunitense). Ora, i principi informatori del congregazionalismo seicentesco costituiscono il punto di partenza di un iter che, sulla base del minimo comune denominatore del ritorno ai fundamentals della fede e di una ermeneutica biblica rigidamente letterale – ciò che inevitabilmente produce una prospettiva di stampo apocalittico-millenaristico –, ha condotto alla nascita del cosiddetto “fondamentalismo”, venuto alla luce per l’appunto in contesto protestante statunitense nei primi decenni del XX secolo. Oggi una tale tendenza si concentra per lo più nell’ambito delle denominazioni pentecostali, battiste ed evangelical, riscuotendo particolare successo fra i ceti medio-borghesi e nelle aree rurali della Bible belt; ma non risulta essere assente neanche negli stati a forte maggioranza liberal, motori dell’economia e della cultura americana, quali New York e California. 1

D. Fennell, La fragilità della civiltà postoccidentale, Trasgressioni, 28, maggio-agosto 1999, 68-69.

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 59


INTERNO NUOVA FINANZA N 4-2015 15/07/15 07.46 Pagina 60

COSTUME & SOCIETÀ

E POI SCOPPIAVA L'ESTATE di Alessandro Spolvi (Scrittore)

E

poi scoppiava l’estate e la voglia di mare. La domenica mio padre ci portava in macchina ad Ostia, sul litorale romano, con la sua Fiat 1100 grigia. Nella macchina ci entravamo in sette neanche fossimo un’attrazione del circo! In totale eravamo quattro figli, mia zia Simona, mio padre e mia madre. Il carico però non era di certo finito lì… mancavano infatti tutte le pietanze per il pranzo in spiaggia. Si partiva dalla pasta al forno poi si passava alle fettine impanate, ai pomodori, all’insalata e per finire acqua e vino rigorosamente a temperatura ambiente, le pesche con il vino e l’immancabile cocomero da sotterrare vicino al bagnasciuga così da mantenerlo bello fresco! Una volta arrivati in spiaggia mia madre ci avvolgeva con un telo da mare uno alla volta così da poterci cambiare e mettere i costumi da bagno. La procedura, studiata nei minimi particolari, era sempre la stessa: Partivano le mie due sorelle, Giuliana e Rossana, in seconda posizione mio fratello Giancarlo ed in ultimo io. Una volta messi i costumi ci sentivamo liberi ed eravamo pronti per fare il bagno. Ultimo accorgimento era quello di gonfiare le ciambelle una alla volta con la bocca ( sembrava più che altro una manovra di rianimazione) metterle intorno alla vita ed era fatta! Un ricordo indelebile è quello legato al mio costume. Era fatto di un materiale simile alla lana bordeaux e come entrava a contatto con l’acqua si bagnava assumendo la consistenza del cemento armato ( avrà pesato come minimo 3 kg) e quello, infausto anch’esso, legato alla mia ciambella, che era l’unica maledetta con il collo da cigno ( che poi me so sempre chiesto che c’entrava il cigno col mare? Mica stavamo sul lago de Garda…) Ricordo che giocavamo ore in acqua, improvvisando giochi

simpatici di una pericolosità incalcolabile: si passava dalla “ mitragliata” ad altezza occhi con la sabbia, al classico tentativo di annegamento di mia sorella Giuliana ( le mettevamo la testa sott’acqua spingendola al limite del grande Harry Houdini!). Lo scherzo più bello me lo fece mio fratello Giancarlo però, quando prese una medusa di un paio di chili ed al grido “ tiè, becchete questa” ma la tirò simpaticamente in pieno volto. Dopo l’impatti uscii dall’acqua con le sembianze di Elephant man ed oltre al danno, attendevo anche la beffa,visto che mio padre una volta accortosi delle mie sembianze si sarebbe incazzato visto che il pranzo era imminente! Ed ora arriviamo al pezzo forte della giornata: IL PRANZO. Immaginate il banchetto nuziale più ricco di ogni leccornia possibile e moltiplicatelo all’ennesima potenza e forse, a quel punto, potreste avere l’idea di quello che io e la mia famiglia riuscimmo ad ingurgitare quel giorno ( ad essere onesti mancavano gli sposi, altrimenti se saremmo magnati pure loro). Finito di “mangiare” era l’ora di riposare sotto l’ombrellone, ma era un’impresa ardua riuscire a mettese in sette sotto un metro quadro di ombra, infatti finiva sempre che se stavi co la testa all’ombra, le chiappe stavano al sole e viceversa e finito il riposino dovevi correre a mare a sbollentare le natiche arroventate dal sole cocente! Finito il bagno mia madre ci riavvolgeva nuovamente nel telo da mare per farci rivestire e tornare a Roma, a casa. In cuor mio manterrò sempre vivo il meraviglioso ricordo di quelle domeniche senza tempo, anche se de quella un pochino meno perché grazie alla “medusata” di mio fratello Giancarlo ho finito di passarla al pronto soccorso…

Nuova Finanza - luglio, agosto 2015 - Pag. 60




Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.