NUOVA Finanza 2/2016

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BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO

Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013

Anno 2016 Numero 2 MARZO APRILE

L’OMICIDIO STRADALE È LEGGE (a pag. 4)

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IL PUNTO La "corsa" degli industriali

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MORRICONE Che musica maestro!



2 4 6 27 29 30 32 33 35

Il Punto La partita di Confindustria Il Viceministro Nencini Una legge giusta L’intervista Guerini, il vice Renzi del Pd Germania Immigrazione senza sviluppo Risparmio Tra rischi e tutele Mercati finanziari Le vere cause della crisi

OBIETTIVO SANITÀ pag 1025

Outlet Non solo moda Banche Attenzione alle imprese Confapi Matera Più Sud all’estero

DOSSIER SANITA’

10 12 15 17 19 23 25

L’intervista Scaccabarozzi (Farmindustria) Responsabilità medica Riformare il Servizio sanitario Policlinico Umberto I La sanità come eccellenza Nasce la Asl Roma 1 Una sfida capitale Disfunzioni maschili Come risolvere i problemi Estetica contro il tempo Specchio delle mie brame

Nuova Finanza Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale

Francesco Carrassi Direttore Responsabile

Pietro Romano Direzione Marketing e Redazione

Katrin Bove Germana Loizzi

Sicve Il decalogo della salute

COSTUME & SOCIETA’

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L’OSCAR A MORRICONE L’ITALIA SU MARTE FASCINOSE CINQUE TERRE AMBASCIATORI DEL CIBO CUORE ABRUZZESE “SPARAME ‘N PETTO” FENDI RIMANE A SPOLETO MODA FUTURA

Editore Kage srl 00136 Roma - Via Romeo Romei, 23 Tel. e Fax +39 06 39736411 www.nuovafinanza.com - redazione@nuovafinanza.it Per la pubblicità: nuovafinanza@nuovafinanza.it Autorizzazione Tribunale di Roma n. 88/2010 del 16 marzo 2010 Iscrizione ROC n. 23306 Stampa STI - Stampa Tipolitografica Italiana Via Sesto Celere, 3 - 00152 Roma Progetto Grafico Mauro Carlini Abbonamento annuo Euro 48,00 Hanno collaborato: Domenico Alessio, Franco Antola, Nicola Bartolini Carrassi, Katrin Bove, Valeria Caldelli, Giuseppe Chiné, Ornella Cilona, Allegra Contoli, Roberto Di Meo, Germana Loizzi, Donatella Miliani, Riccardo Nencini, Renato Pedullà, Felice Roberto Pizzuti, Giuseppe Sangiorgi, Angelo Tanese, Maurizio Valeriani


IL PUNTO del direttore

PARTITA CONFINDUSTRIALE di Pietro Romano

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a corsa è destinata a concludersi giovedì 26 maggio, quando il nuovo presidente di Confindustria, eletto il giorno precedente dall’assemblea della confederazione imprenditoriale riunita a porte chiuse, terrà il suo primo discorso pubblico in carica. Ma è a marzo che si decide la partita. Da giovedì 17 marzo, dopo che finalmente i candidati avranno potuto presentare i propri programmi, partiranno due settimane di fuoco, al termine delle quali il consiglio generale sceglierà il successore di Giorgio Squinzi. Il 28 aprile sarà poi votata la squadra. Una procedura complessa, forse arzigogolata, cominciata da diverse settimane, che in verità sembra cozzare con i discorsi degli industriali e degli imprenditori in genere: siamo gente pratica, poco ideologica, poco formale, che ama andare al sodo, che punta al risultato. Vero, in genere. Ma solo finquando anche gli imprenditori si riuniscono in associazione cdimostra il clima che si respira nel mondo confindustriale in questa fase elettorale. Mai la situazione a viale dell’Astronomia era apparsa così ingarbugliata all’esterno. Quattro (poi diventati tre, destinati Giorgio Squinzi magari a

ridursi a due) i candidati a contendersi il voto all’inizio della partita: Vincenzo Boccia, Marco Bonometti, Aurelio Regina, Alberto Vacchi, dato per favorito al momento in cui scriviamo con Boccia a tallonarlo. Ad aleggiare sul risultato finale l’ipotesi di un quinto incomodo chiamato a ricucire gli strappi sempre più profondi quanto più la campagna diventa incandescente. Il suo nome? Gianfelice Rocca, alla testa di un gruppo intercontinentale, attuale presidente dell’Assolombarda. Perché una campagna così sentita? Perché da un capo all’altro del Paese gli imprenditori stanno percependo il rischio (più che un rischio, ormai) di una Confindustria condannata al declino. Ma la reazione non è sempre, a sensazione di chi scrive, delle migliori: il sentore è che nella confederazione i m prenditoriale la confusio-

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ne regni sovrana. Una confusione, una debolezza reattiva che sono il frutto del disfacimento del vecchio sistema Paese, della fine di quel capitalismo relazionale definitivamente abbattuto, ma con poco sforzo, da Matteo Renzi e dalla sua politica di dis-intermediazione. Solo per inciso: paradosso vuole, però, che proprio Renzi si trovi a essere uno dei grandi elettori di Confindustria. Tra i pesi massimi della confederazione, infatti, spiccano diverse società a controllo pubblico, da Fs a Finmeccanica, dall’Enel all’Eni. Certo, è vero che si tratta di aziende autonome guidate da libere scelte imprenditoriali, tanto più se quotate. E’ vero anche che i loro vertici sono in teoria indicati dal Tesoro. Ma nessuno può negare, e con un decisionista come Renzi ancora di più, che queste società hanno sempre risposto a Palazzo Chigi. E non si vede perché debba accadere diversamente in questo marzo 2016. Non è sufficiente, però, buttarsi alle spalle passato e anche presente, senz’avere idee chiare per il futuro. A Palazzo Chigi come a viale dell’Astronomia, che in questa sede c’interessa temporaneamente di più. Ma pare che, per ora, nel brutto palazzone anni sessanta all’Eur non sia emersa quella necessaria idea forte di futuro in grado di evitare un panorama di macerie mentre i gioielli di famiglia fuggono all’estero. Una partita non solo confindustriale Non aiutano i


candidati, per tornare alla battaglia elettorale in Confindustria, le norme interne, in questa occasione applicate dai saggi in maniera ancora più stringente che nel recente passato, per esempio in occasione del confronto tra Squinzi e Alberto Bombassei di quattro anni fa. Il divieto di rendere pubblici i programmi fino allo sprint finale è incomprensibile e un controsenso per chi aspira a un ruolo di grande rilevanza civile, di per sé pubblico. Un controsenso rimarcato dal fatto che diversi candidati si sono fatti affiancare da società di comunicazione. Proprio questa opacità lascia spazio alla dietrologia e ai pettegolezzi cui, invece, andrebbe tolta anche la minima goccia di brodo di coltura. La partita presidenziale, come si sa, ma è non è superfluo ripeterlo, non riguarda solo l’alta carica. Ne dipende la nomina ai vertici delle controllate, dal polo comunicativo a quello universitario. Ne dipende la governance di un sistema che costa (e/o vale) 500 milioni l’anno. E che, come quel capitalismo relazionale apparentemente invincibile fino a pochi anni fa, potrebbe sfaldarsi con rapidità se non governato all’altezza dei tempi. Un caso estremo del quale, attenzione, non potrebbe gioire nessuno. Nemmeno i nemici acerrimi di Confindustria.

In questa fase storica, Confindustria è chiamata – anzi, dovrebbe tout court – contribuire a difendere quel che rimane, e non è punto poco, dell’apparato industriale italiano, soprattutto di quel manifatturiero che ha economicamente difeso il Paese, più della politica, negli anni della grande crisi e dal quale potrebbe partire un effettivo e robusto rilancio di un sistema produttivo, e sociale, più vicino al collasso di quanto la vulgata lasci credere. Per ora, l’assenza pluridecennale di una politica industriale degna di questo nome ostacola ogni progetto. Ma in questo dovrebbe stare la forza di una “nuova” Confindustria, nucleo di un’alleanza dei produttori della quale i lavoratori dipendenti dovrebbero costituire il fulcro, magari aggregati in “nuovi” sindacati. Per un progetto del genere, però, il prossimo presidente di Confindustria non potrà essere, e nemmeno solo sentirsi, il rappresentante di una piccola casta autoreferenziale. Ma farsi parte diligente e dirigente anche per quanti, adagiati su scranni ritenuti parimenti o più importanti, non si dimostrano adeguati al proprio ruolo. Ora vinca il migliore. Per Confindustria. E per l’Italia.

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OMICIDIO STRADALE

UNA LEGGE GIUSTA Riccardo Nencini*

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'omicidio stradale è legge. Una mento, non potranno più farlo: da navetta di alcuni mesi tra Caotto a dodici anni di prigione. Quamera e Senato, il voto di fidulora il colpevole cagioni la morte di cia e l'Italia ha una nuova legge. Più più persone, la pena può arrivare fino equa e in grado di potenziare la sicuai diciotto anni. Gravissimo darsi alla rezza sulle strade. fuga e non prestare soccorso, il nuovo Nell'ultimo decennio è stato dimezreato prevede è un’aggravante in quezato il numero dei morti sulle strade italiane eppure gli incidenti mortali provocati da chi guida ubriaco, sotto effetto di sostanze stupefacenti, oppure violando gravemente il codice - si pensi alle inversioni di marcia in autostrada! - sono aumentati e non marginalmente. A rischio soprattutto i pedoni e i ciclisti, nei centri delle città più che altrove. Fino ad oggi le pene applicate per chi provoca, guidando in quelle condizioni, la morte sulla strada, sono state decisamente troppo basse. Una media di poco superiore ai due anni. Le immagini restituite dalla Tv ricordo i recenti drammi di Arezzo e Genova, bambini e uomini falciati da auto condotte a velocità altissima da due ubriachi - sono fin troppo eloquenti. Con l'apRiccardo Nencini plicazione delle attenuanti, di rado i colpevoli hanno conosciuto le patrie galere. Spesso li trovi sti casi. Qualcuno ha definito questa alla guida appena qualche settimana legge troppo severa o ha sostenuto dopo aver generato un grande dolore. che si è dato adito al sentimento di Con la nuova legge, un nuovo reato vendetta delle associazioni delle vitinserito ad hoc nel nostro ordinatime della strada: insopportabile. C’è

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una differenza abissale tra giustizialismo e giustizia. Lo scopo di questa legge è la certezza della pena, che sia commisurata alla gravità del reato commesso, in questo non trovo nulla di vendicativo. Si chiama giustizia. L’impegno, però, non finisce qui. I prossimi obiettivi, a corredo di questa legge, sono vicinissimi e all’ordine del giorno di questo Governo. La formazione alla guida sicura nelle scuole, innanzitutto: è giusto che le ragazze e i ragazzi che stanno per mettersi alla guida di un automobile per la prima volta abbiano consapevolezza di ciò che rischiano ed è importantissimo che conoscano le regole da rispettare. Credo che una buona formazione possa servire da deterrente rispetto al comportamento che quei ragazzi assumeranno sulla strada e che possa dunque dissuaderli da un atteggiamento sbagliato che può mettere a repentaglio la propria sicurezza e quella degli altri. Poi, la manutenzione delle strade. Abbiamo aumentato il bilancio pluriennale di Anas, più alto rispetto a quello degli anni precedenti, che destinerà ben il 40% solo allo


scopo di rendere migliore e più efficiente la manutenzione delle nostre strade. Il nuovo codice della strada, su cui stiamo lavorando, va poi nella direzione giusta: quella di prestare attenzione, tutelare maggiormente, gli

utenti ‘deboli’, pedoni e ciclisti. Portare a compimento questa legge non è stato facile, ma ce l’abbiamo fatta. Ci abbiamo creduto anche quando eravamo in scarsa compagnia. Non ci siamo avviliti, anche grazie al so-

stegno costante delle associazioni delle vittime della strada. Non abbassiamo la guardia. Siamo solo a metà del lavoro. *Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.

POLITICOSCRITTORE VENUTO DA LONTANO

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iccardo Nencini è nato nell’ottobre del ’59 nel Mugello, a Barberino. Ha compiuto studi storici alla facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze e nel 2004 ho ricevuto la Laurea ad honorem in Lettere dall’Università di Leicester. E’ stato deputato al Parlamento italiano nella XI Legislatura e ha rinunciato, fin dal 1992, al doppio stipendio. Eletto al Parlamento Europeo nel 1994, dal 2008 è Segretario del Psi e dal 2013 Senatore della Repubblica. E’ stato Presidente del Consiglio regionale della Toscana per dieci anni e coordinatore della Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali e delle Province autonome; dal 2010 al 2013 ha assunto l’incarico di Assessore con deleghe al Bilancio e alle Riforme istituzionali. Dal 2014 assumo l’incarico di Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del Governo Renzi. Oltre ad aver collaborato con numerose riviste e scuole di formazione politica, ha scritto saggi romanzi storici: è autore di “Corrotti e corruttori nel tempo antico”, di “ Il trionfo del trasformismo”, de “Il giallo e il Rosa”, che ha vinto il premio selezione Bancarella Sport, del romanzo storico “La battaglia” di “Morirò in piedi – Oriana Fallaci”, di “L’imperfetto assoluto”, finalista al premio Acqui Storia, di ‘Omaggio alla Toscana’. Come ideatore dell’opera “Dizionario della Libertà” gli è stato assegnato il Premio letterario internazionale “Il Molinello” nel 2007 e, nel contesto del 25° Premio Firenze, il premio speciale Neva Bazzichi. E’ coautore della raccolta letteraria ‘Decameron 2013’ e di ‘Cento Volte Bartali – 1914-2014’. Collabora con l’Istituto Internazionale del Restauro e con la “Fondazione Spadolini” nel Dipartimento formazione docenti di Storia”.

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LORENZO GUERINI U FOC

S

UN POLITICO DI RAZZA

Germana Loizzi

L

orenzo Guerini, 49 anni, è portavoce e vice segretario del Partito Democratico da giugno 2014. Con Luca Lotti e Maria Elena Boschi, è uno degli uomini più vicini a Renzi. Di lui è nota la proverbiale discrezione e diplomazia. Poche interviste e apparizioni televisive, un politico di professione dal grande spessore umano. Come nasce la sua passione per la politica? Innanzitutto in famiglia: a casa mia si parlava quotidianamente di politica, i miei genitori erano simpatizzanti ed elettori del PCI. Poi a scuola, negli organismi di rappresentanza. Infine nella parrocchia che frequentavo il cui parroco invitava i giovani ad interessarsi alla politica e a studiare la dottrina sociale della Chiesa. Lei detiene un record ancora imbattuto: è stato il più giovane presidente di provincia eletto in Italia. Come nacque la sua candidatura alla presidenza? Effettivamente è così, sono stato eletto a soli 28 anni, detengo ancora il record.... Si voleva dare un’immagine di rinnovamento e di novità e così la scelta cadde su di me che univo alla giovane età anche alcuni anni di esperienza politica (ero segretario provinciale del Partito Popolare) e amministrativa maturata al Comune di Lodi. Poi è stato sindaco di Lodi. Quale delle due esperienze ricorda più sovente? E quale delle due ha inciso di più per la sua carriera? Quella della Provincia è stata un’esperienza bellissima: essere il primo pre-

sidente della nuova provincia è stato un grande onore e costruire dal nulla il nuovo Ente è stato impegnativo ma molto emozionante. Essere il sindaco della propria città, però, è un’esperienza unica soprattutto per il rapporto diretto con i tuoi concittadini che ti affidano attese e speranze per la comunità in cui vivono. Lei è stato in ANCI, come molti dei renziani della prima ora. È vero che fu in ANCI che è nata la scalata di Renzi al PD, e che lei ebbe un ruolo chiave? Dall’Anci è giunto un pezzo del “renzismo”, quello dei sindaci (oltre a me, citerei, tra gli altri, Delrio, Chiamparino

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e Reggi). Renzi si è affermato all’attenzione nazionale da sindaco di Firenze. Governare le città, con concretezza e innovazione, credo sia stato fondamentale per contribuire a dare autorevolezza e competenza al progetto politico di Matteo. Io ho semplicemente dato una mano... Ci racconta di quando sconfiggeste il candidato di D’Alema alla presidenza dell’ANCI? Non la metterei su questo piano. Al congresso c’erano due candidati: Delrio proposto da chi aveva lavorato in Anci durante la presidenza di Chiamparino e Emiliano proposto, è un po’ imposto, dalla segreteria Bersani. Noi spiegavamo


che Delrio aveva un ampio consenso tra i sindaci ma la segreteria del partito volle arrivare alla conta. Io coordinavo la campagna di Delrio che poi venne letto presidente. Credo che quella fu una tappa importante nell’ascesa di Renzi che sosteneva Graziano. Poi, l’elezione alla Camera nel 2013, e nel 2014 Renzi l’ha scelta come vice segretario. Se lo aspettava? Francamente no. E lo ringrazio per la fiducia...anche se qualche volta vorrei che avesse scelto un altro... Le ragioni che l’hanno spinta a entrare in politica sono rimaste le stesse oppure oggi ritiene che siano cambiate? E in che modo? Sono sempre quelle. È il modo per provare a realizzare i miei ideali ed essere utile alla mia comunità, sia essa locale o nazionale. Poterlo fare, in questo momento, partecipando alla sfida per il cambiamento dell’Italia lanciata da Renzi è entusiasmante.

Un gazebo per le primarie di coalizione

Come ritiene evolverà la governance del Pd? E per quanto tempo immagina che Renzi possa rimanere premier e leader di partito? In tutti i grandi partiti europei il leader al governo è anche il leader del proprio partito se si vuole giocare con forza ed efficacia la partita del governo del Paese. Tornare indietro significa tornare all’instabilità e debolezza dei governi del passato e non ce lo possiamo permettere. La coincidenza tra leadership e premiership è prevista nello statuto del PD, anzi è uno degli elementi costitutivi del nostro partito, e per quanto mi riguarda non sarà superata. Il percorso dal Pd all’eventuale Partito della nazione a suo parere potrà essere compiuto in tempi ragionevoli? Se per partito della nazione si intende un contenitore indistinto non ci interessa. Io voglio un partito saldamente di centrosinistra, con un chiaro impianto riformista, che abbia il coraggio di parlare a tutti gli italiani e non si rinchiuda nell’ambizione, forse rassicurante ma certamente angusta, di rappresentare solo gloriose tradizioni del passato. Se si vuole governare, cambiandola, l’Italia, bisogna avere il coraggio da uscire dalla sicurezza del porto e navigare in mare aperto. Certo, avendo ben chiara la rotta.... Dopo aver dato l’idea di guardare preferibilmente al centro, in parlamento il Pd sta dialogando anche con i pentastellati. Tattica o strategia? Quando i grillini, anche se avviene raramente, sono scesi dal tetto per confrontarsi, hanno trovato nel PD un interlocutore disponibile. Ma per confrontarsi con noi devono “riconoscerci”. E non lo fanno per calcolo elettorale: M5s per non perdere voti deve sempre mantenersi su una posizione demagogica ed antisistema, quando scelgono vanno in tilt. Nessuna tattica: il perimetro delle forze che sostengono il governo è molto chiaro, poi su alcune questioni come le unioni civili o sulle riforme costituzionali è giusto e doveroso confrontarsi in Parlamento con tutti. Ma anche in questi casi i 5stelle si sono dimostrati inaffidabili e calcolatori. Del 2xmille ai partiti il PD si è aggiudicato il 54% del totale: oltre 5,3 milioni. Gli altri partiti quasi all’asciutto. Certamente siete stati bravi, ma come è stato possibile? Siamo un partito radicato sul territorio. E siamo il partito che ha avuto il coraggio di eliminare il finanziamento

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pubblico dei partiti. Molti crescita, investimenti e occittadini lo hanno capito cupazione è un tassello deed apprezzato e hanno cisivo in questo percorso. voluto dare un sostegno Definirebbe il PD un parcon il 2x1000 a ciò che tito di sinistra? il PD sta realizzando al Basta guardare alle politiche governo del Paese. che stiamo portando avanti Senza più il finanziain Italia e, appunto, in Eumento pubblico i partiti ropa. Stiamo creando ocdovranno attingere foncupazione, stiamo aiutando di dalle donazioni dei la crescita, interveniamo sul privati. Non sarebbe opdisagio e la povertà, aiutiamo portuna una legge che le famiglie in difficoltà. Poi, disciplini seriamente certo, dipende che cosa si l’attività delle lobbies? intende per sinistra. Per alLa nuova legge sul financuni è accontentarsi di colziamento dei partiti pretivare il proprio giardino vede già regole trasparenti senza guardare mai oltre la e controlli rigorosi sui bisiepe. Io credo invece che lanci e gli statuti dei parsinistra è assumersi la retiti affidate ad autorità sponsabilità di governare il esterne e indipendenti. cambiamento per il bene di La prima applicazione ditutti. mostra che è una buona Ci fa una previsione sullegge. E’ necessario che l’esito del referendum per ad essa si aggiunga, per le riforme costituzionali? completare il processo, Il mio compito non è fare Lorenzo Guerini, vice segretario del PD una nuova legge sui partiti previsioni. Il nostro compito è che attui l’art 49 della costituzione. Il PD ha presentato un convincere i cittadini della bontà della nostra proposta e disegno di legge di cui sono primo firmatario su cui spero si dell’importanza della riforma costituzionale per l’Italia. Sono possa aprire un utile confronto in Parlamento perché riguarda convinto che le nostre idee saranno più forti di chi vuole un pezzo importante della qualità della nostra democrazia. solo la conservazione dello status quo. Sarà divertente vedere Cosa deve fare, secondo lei, il PD per diventare il partito Brunetta e Grillo, la Meloni e Vendola, intorno allo stesso leader della sinistra europea? tavolo per dire no a una riforma che rende le nostre istituzioni Alle ultime elezioni europee, il PD non solo è stato il partito in grado di rispondere con efficacia e tempismo ai mutamenti più votato della sinistra europea, ma il primo partito in sociali. assoluto. Anche in Europa le tradizionali famiglie politiche Gira voce di una sua possibile candidatura alla presidenza devono fare i conti con una realtà che è cambiata. La sinistra della regione Lombardia, è fondata? europea è ancora troppo ancorata al passato e ha bisogno di Sto facendo il Vicesegretario del PD, un lavoro gravoso e innovarsi. Il lavoro tenace che stiamo portando avanti perché carico di responsabilità. Siccome ho il senso del limite, conla UE cambi la sua politica di sola austerità e punti a centrarmi su questo impegno è più che sufficiente.

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DOSS SANITIER À

1

A cura

di Kat

rin Bo ve

SCACCABAROZZI DI FARMINDUSTRIA

SETTORE CHE NON CONOSCE CRISI Pietro Romano

“S

e l’Italia fosse andata come il settore farmaceutico nazionale non avrebbe conosciuto la crisi. Anzi”. Parola di Massimo Scaccabarozzi, dal 2011 presidente di Farmindustria, l’associazione delle imprese farmaceutiche attive nel nostro Paese. Scaccabarozzi, 55 anni, laureato in Farmacia è amministratore delegato di Janssen-Cilag, controllata dal colosso americano Johnson & Johnson, un grande stabilimento in provincia di Latina sul quale sono programmati investimenti per 80 milioni nei prossimi tre anni. Presidente Scaccabarozzi, va bene che lei rappresenta le imprese farmaceutiche, ma non le sembra di essere troppo entusiasta? Tutt’altro. Sono contenuto. Per me, anzi per l’industria farmaceutica, parlano i numeri. E allora facciamoli parlare. Nel 2015 il valore della produzione nelle 174 industrie operanti in Italia è salito a 28,7 miliardi, euro più, euro meno. Segnando un più 6,3 per cento rispetto al 2014 e un più 10,6 per cento sul 2010, gli anni peggiori della crisi. Insomma, il settore ha galoppato mentre gli altri arrancavano, si fermavano, indietreggiavano. Nel suo insieme, il comparto manifatturiero l’anno scorso è cresciuto di poco più dell’uno per cento sull’anno

precedente e ha registrato un calo del sette per cento nei confronti del 2010. Il miglioramento della farmaceutica non ha riguardato solo il valore della produzione, ma anche le esportazioni, gli investimenti, soprattutto nell’innovazione, e l’occupazione. Andiamo per ordine. L’export è arrivato a 20 miliardi, che significa il 72 per cento del giro d’affari, crescendo del sei per cento rispetto al 2014 e di oltre il 50 per cento sul 2010. Ormai vale più del cinque per cento delle esportazioni manifatturiere complessive italiane. Gli investimenti, in totale, hanno registrato un incremento intorno al 10 per cento. Solo di spese per ricerca e sviluppo, a mio parere la chiave del nostro successo, si è arrivati a 2,5 miliardi con 6mila addetti impegnati direttamente. In due anni l’aumento è stato del 19 per cento. Ora destiniamo 1,3 miliardi alla ricerca pura e 1,2 alla ricerca in produzione. Il risultato è un andamento favorevole anche dell’occupazione. L’industria farmaceutica dà lavoro direttamente a 63mila persone, al 90 per cento diplomati o laureati, e nell’indotto ad altre 65mila. Con 20mila addetti la Lombardia è il più grande distretto farmaceutico d’Europa e con 15mila addetti il Lazio è al quinto posto. Una fetta rilevante di questo successo va riconosciuta

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agli investitori esteri, che controllano il 60 per cento dell’industria farmaceutica italiana. Il 2016 non è cominciato positivamente. Questo raffreddamento vale anche per la farmaceutica? A quanto mi risulta, no. Anche quest’anno, a meno di sconvolgimenti, la crescita del settore in Italia dovrebbe aggirarsi tra il quattro e il cinque per cento. Ma questo sfavillare di numeri non nasconde, forse, anche spese incontrollate nella sanità e prezzi dei farmaci più alti che all’estero? Si è letto anche di farmaci contrabbandati dall’estero proprio per lo sfavorevole gap… E’ una favola bell’e buona. Perlomeno se parliamo di farmaci di qualità, non contraffatti o roba del genere. In Italia non sono le imprese a fissare i prezzi. A deciderlo, al termine di una negoziazione serrata e lunga, è l’Aifa, l’Agenzia del farmaco. Comunque, proprio per sfatare ogni mito, tutte le indagini comparative hanno dimostrato che i farmaci in Italia costano mediamente tra il 20 e il 30 per cento al di sotto della media europea. Nel nostro Paese, inoltre, vale la regola del farmaco condizionato. Se funziona va pagato, se non funziona, anche quando è stato utilizzato, va rifuso. Ma non è finita qui. Che c’è in aggiunta? Che in Italia l’industria farmaceutica ha dovuto, e in parte deve ancora subire, una serie di ritardi e diseconomie sconosciute altrove. Cominciamo dai ritardi. Scontiamo un problema di frammentazione di competenze e poteri. Per in-

Massimo Scaccabarozzi

serire nel prontuario un farmaco non basta la negoziazione con l’Aifa perché, arrivati al culmine di questo processo, il via libera dell’Agenzia non significa molto per le regioni. Per arrivare alla commercializzazione del farmaco dopo il via libera dell’Aifa possono trascorrere anche 300 giorni, in quanto ci sono regioni tempestive e altre, diciamo così, meno pronte. Un problema grave per l’industria ma forse ancora maggiormente per i pazienti, che usufruiscono tardi delle innovazioni e sono penalizzati rispetto, magari, a un malato che vive a poche decine di chilometri. Per molti

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anni, inoltre, siamo stati costretti a cambiamenti di regole in corso d’opera, perfino più volte in un anno. Ora, perlomeno, mi sembra che ci sia una certa stabilità e i risultati, in termini di investimenti e di occupazione, si vedono. Quanto alle diseconomie? In una decina di anni abbiamo subito 44 manovre di tagli, fino a quando, era l’ultimo periodo del governo guidato da Enrico Letta, ci si è accorti finalmente che era rimasto poco da tagliare. Del resto, lo accertano i numeri: quando il mercato interno vale poco più di un quarto della produzione, vuol dire che l’industria è di qualità, ma la spesa è ridotta all’osso. Rimane, inoltre, il problema del ritardo nei pagamenti delle amministrazioni pubbliche. Il peggio, lentamente, sembra passato. Ma abbiamo ancora amministrazioni regionali che liquidano le forniture con 200 giorni di ritardo. Soprattutto, però, scontiamo il sistema dei tetti e del pay back che rischia di tagliare le gambe all’industria. Tetti? Pay back? Esiste un tetto di spesa prefissato, oltre il quale le aziende devono restituire la differenza. Ci sono aziende che hanno dovuto restituire 50, 60 anche 80 milioni. Complessivamente, nel 2015, le restituzioni sono ammontate a un miliardo. E’ un meccanismo, sono cifre, che frenano lo sviluppo del settore, tolgono ossigeno alle imprese che viene meno agli investimenti, alla ricerca, all’occupazione qualificata in un comparto ad alto valore aggiunto e ad altissima propensione all’export invece da valorizzare.


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RESPONSABILITÀ MEDICA

RIFORMARE IL SERVIZIO SANITARIO Giuseppe Chinè (Capo di Gabinetto - Ministero della salute)

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egli 0 anni si è assistito all’acuirsi dell’attenzione pubblica agli errori sanitari e al diffondersi in Italia, come in altri Paesi, di un orientamento diretto a disporre risarcimenti elevati per danni derivanti da responsabilità professionale del medico. All’allarmante incremento del contenzioso in ambito medico è conseguito il cospicuo elevarsi dei premi richiesti dalle compagnie di assicurazione, il circoscriversi delle proposte assicurative a specializzazioni mediche considerate “meno rischiose”, nonché il rifiuto da parte di alcune compagnie di assicurare professionisti precedentemente incorsi in sinistri. Tale percorso ha posto una rilevante pressione sulla classe medica, che ha progressivamente assunto posizioni sempre più “difensive”, erogando prestazioni inappropriate o, al contrario, omettendo interventi necessari, ma ad alto rischio, nel timore di dover rispondere, a titolo di risarcimento, per danni derivanti dalla propria attività. Le dimensioni del fenomeno della c.d. “medicina difensiva” sono state oggetto di diverse indagini scientifiche1, che hanno stimato che l’atteggiamento “difensivo” dei medici contribuisce a gonfiare la spesa sanitaria, nonché a sottrarre ingenti risorse umane, finanziarie e strumentali per esami e visite di reale necessità e urgenza. Più del 70% dei medici del campione esaminato ha dichiarato di prescrivere visite specialistiche, esami di laboratorio ed esami strumentali a titolo “difensivo”. Più del 50% degli interpellati,

sempre a titolo “difensivo”, ha prescritto farmaci non necessari. Circa il 50% ricoveri sono risultati non indispensabili. Inoltre, il 78,2% dei medici ritiene di correre un maggiore rischio di procedimenti giudiziari rispetto al passato e il 65,4% ritiene di subire una pressione indebita nella pratica clinica quotidiana a causa della possibilità di tale evenienza2. Diversi studi hanno altresì cercato di stimare il peso della medicina difensiva sulla spesa sanitaria, con esiti differenti. In assenza di stime affidabili sui costi della medicina difensiva cosiddetta “negativa” (omissione di interventi a maggior rischio), la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, nel 2013, ha valutato che la sola medicina difensiva “positiva” (intesa come comportamento cautelativo preventivo che determina il ricorso a servizi non necessari) pesa annualmente sul Servizio Sanitario Nazionale 10 miliardi di euro. Altre indagini stimano che l’incidenza della medicina difensiva arrivi a ben 13 miliardi

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di euro l’anno3. Vale a dire oltre il 10% della spesa sanitaria complessiva annuale4. Oltre a causare un dispendio di risorse, la medicina difensiva riduce la qualità dell’assistenza, in quanto aumenta i dubbi diagnostici e allunga le liste di attesa. Viene, così, vulnerato il rapporto tra medico e paziente, la cui salute finisce, in molti casi, per essere sacrificata, per scongiurare eventuali pretese risarcitorie. Per elaborare una proposta di riforma della disciplina vigente, idonea ad arginare il fenomeno della medicina difensiva, il Ministro della Salute, Bea-


trice Lorenzin, ha istituito un’apposita Commissione Consultiva5. La Commissione ha chiuso i propri lavori in pochi mesi ed ha elaborato una proposta organica di riforma della responsabilità penale e civile del medico. Il lavoro della Commissione ministeriale è quindi confluito nel disegno di legge sulla responsabilità medica, già approvato a larga maggioranza dalla commissione Affari sociali della Camera dei deputati e di prossima approvazione da parte dell’Aula di Montecitorio. Il nuovo quadro normativo rappresenta, a mio avviso, un punto di equi-

librio tra l’esigenza di tutela dei medici, che devono svolgere serenamente la propria professione, e il diritto dei cittadini a difendersi dinanzi ai casi di effettiva malasanità. Sul piano civilistico, la responsabilità dei professionisti che operano presso le strutture sanitarie si trasforma da “contrattuale” a “extracontrattuale”. Ne consegue, da un lato, la riduzione da 10 a 5 anni del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria per danni derivanti da errori medici, dall’altro, l’inversione dell’onere della prova. Ciò significa che mentre oggi è sempre il professionista a dover dimostrare di non avere colpa e, pertanto, di non aver cagionato l’evento dannoso, secondo le nuove disposizioni sarà il paziente che intenta la causa di risarcimento a dover dimostrare la responsabilità del sanitario. Cambia anche la disciplina della responsabilità penale: l’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, cagioni per imperizia la morte o la lesione personale del paziente, risponderà di omicidio colposo o lesioni personali colpose solo nei casi

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di colpa grave. La colpa grave sarà però esclusa quando, salve le rilevanti specificità del caso concreto, vengano rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida e le buone pratiche clinico-assistenziali. Le linee guida, recanti le predette raccomandazioni, saranno adottate dalle società scientifiche, iscritte in un apposito elenco istituito con decreto del Ministro della salute. L’obiettivo perseguito dal nuovo testo normativo è, quindi, ridurre il fenomeno della medicina difensiva, senza però incidere sul livello di tutela della salute dei cittadini, che viene anzi maggiormente garantita favorendo l’adozione di scelte terapeutiche più adeguate al trattamento del singolo. Continua, inoltre, ad essere pienamente garantito il diritto di azione e difesa dei pazienti. La struttura sanitaria, difatti, risponderà comunque e a titolo di responsabilità contrattuale (quindi con termine di prescrizione decennale e con onere della prova a suo carico) per le condotte dolose o colpose dei professionisti sanitari di cui si è avvalsa, compresi i danni derivanti da prestazioni sanitarie rese intramoenia. In altri termini, il cittadino che abbia subito un danno per le cure prestate da un professionista che operi presso una struttura sanitaria, potrà sempre agire nei confronti della struttura, che risponderà a titolo di responsabilità contrattuale. Sarà poi la struttura stessa ad esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del sanitario che abbia agito con dolo o colpa grave. Rivalsa che viene


limitata alla misura massima di un terzo della retribuzione lorda annuale del professionista sanitario. Al fine di porre un freno al proliferare del contenzioso, viene inoltre introdotto il tentativo obbligatorio di conciliazione: ogni soggetto che intenda domandare il risarcimento dei danni derivanti da responsabilità medica e sanitaria, dovrà, quindi, proporre un tentativo di conciliazione della lite, preliminare e necessario ai fini della procedibilità della domanda giudiziale. Inoltre, al fine di garantire un apporto tecnico-scientifico adeguato alla natura degli accertamenti giudiziali, nei giudizi di responsabilità sanitaria implicanti la valutazione di problemi tecnici complessi, l’autorità giudiziaria dovrà affidare l’espletamento di consulenze tecniche e perizie ad un medico legale e ad uno specialista nella disciplina oggetto del giudizio. A tal fine, negli albi dei consulenti e dei periti, da aggiornarsi con cadenza almeno quinquennale, dovranno essere indicate le specializzazioni degli iscritti esperti in Giuseppe Chinè medicina, l’esperienza da loro maturata, il numero degli incarichi conferiti e di quelli revocati. Viene, infine, prevista la possibilità per il paziente danneggiato di esperire un’azione diretta di risarcimento nei confronti della compagnia assicuratrice. Per ovviare ai casi in cui il danno da risarcire sia di importo eccedente rispetto ai massimali coperti dall’assicurazione del medico o della struttura sanitaria, o per i casi in cui la compagnia assicurativa sia in stato di insolvenza o liquidazione, viene altresì istituito un Fondo di garanzia, a cui il danneggiato potrà ricorrere per ottenere il risarcimento dovuto. Inoltre, al fine di potenziare le procedure finalizzate a prevenire i fenomeni di malasanità e le condizioni che possono contribuire a provocare gli errori medici, il disegno di legge, nella sua versione originaria, conteneva disposizioni volte a definire i compiti delle cosiddette unità di gestione del rischio sanitario (c.d. risk management).

Tali disposizioni sono di recente confluite nella legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), la quale ha previsto che le regioni e la province autonome provvedano affinché tutte le strutture sanitarie attivino un’adeguata funzione di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario, per l’esercizio dei seguenti compiti: studio dei processi interni e delle criticità più frequenti; rilevazione del rischio di inappropriatezza dei percorsi diagnostici e terapeutici e facilitazione dell’emersione di fenomeni di medicina difensiva; formazione continua del personale finalizzata alla prevenzione del rischio sanitario; assistenza tecnica verso gli uffici legali della struttura sanitaria in caso di contenzioso e per la stipula di copertura assicurative. Al fine di acquisire i dati regionali relativi agli errori sanitari, nonché alle cause, all’entità e alla frequenza e all’onere finanziario del contenzioso, il testo all’esame della Camera dei Deputati prevede altresì che sia istituito presso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza in sanità. Tale Osservatorio, con l’ausilio delle società scientifiche, predisporrà linee di indirizzo per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario, nonché per la formazione e l’aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie. 1 Indagine Centro Studi “Federico Stella” dell’Università Cattolica del S.C. di Milano; Indagine dell’Ordine provinciale dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma, 2010. 2 Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, 2013. 3 Indagine dell’Ordine provinciale dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma, 2010. 4 Dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, del 2013, emerge che l’incidenza percentuale dei costi della medicina difensiva sulla spesa sanitaria è del 10,5%, generata da tutti i medici, pubblici e privati, e così ripartita: farmaci 1,9%, visite 1,7%, esami di laboratorio 0,7%, esami strumentali 0,8%, ricoveri 4,6%. 5 La Commissione, denominata “Commissione Consultiva per le problematiche in materia di medicina difensiva e di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie” e istituita con decreto del Ministro della salute 26 marzo 2015, è presieduta dal Prof. Guido Alpa, Professore ordinario di Istituzioni di diritto privato presso l’Università di Roma “La Sapienza”.

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UMBERTO I - ROMA

LA SANITÀ DIVENTA ECCELLENZA Domenico Alessio*

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’attuale assetto giuridico del Policlinico Umberto I deriva dal Decreto Legge n. 341 dell’1 ottobre 1999- convertito con modificazioni dalla legge 3 dicembre 1999, norma che lo costituiva in azienda con “autonoma personalità giuridica di diritto pubblico, ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di assicurare una migliore funzionalità della relativa struttura ospedaliera”. Il già Policlinico universitario, articolazione organizzativa dell’Università La Sapienza, veniva così entificato attraverso la creazione di un soggetto di diritto pubblico autonomo e distinto dall’Università: l’attuale Azienda Policlinico Umberto I, dotata di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. Così, col distacco di una “costola” già appartenente all’Ente originario Università Sapienza, si è creato un soggetto nuovo ed autonomo, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico. Il Policlinico universitario cessava, quindi, con decorrenza 1.11.1999. Nella sua attuale configurazione, di Azienda ospedaliera-universitaria (art. 2 cc 1 e 3 D.lgs 517/1999) anche a seguito della sottoscrizione del vigente Proto-

collo d’Intesa tra Università Sapienza e Regione, il Policlinico Umberto I si caratterizza come strumento per la realizzazione, in forma integrata, delle finalità inerenti la tutela della salute della collettività. obiettivo istituzionale del S.S.N., e la funzione didattico-formativa e di ricerca propria dell’Università. L’Azienda Policlinico Umberto I, quale Ospedale di riferimento delle Facoltà di Medicina e Odontoiatria e di Farmacia e Medicina della Sapienza Università di Roma, è sede del Polo didattico che organizza cinque corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi Dentaria. Svolge altresì rilevanti funzioni formative per i Corsi di Laurea per le Professioni sanitarie e per le Scuole di Specializzazione. L’Azienda Policlinico Umberto I è un’azienda sanitaria di livello nazionale e di alta specializzazione nonché DEA di secondo livello. Nel contesto delle tradizioni di primato accademico-scientifico e di leadership clinica che ad esso sono riconosciute, l’Azienda contribuisce al progresso della ricerca e della formazione biomedica e sanitaria e insieme con queste, al progresso dell’arte professionale attraverso

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l’eccellenza nell’innovazione e nelle pratiche preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative destinate ai pazienti. Il nucleo centrale della missione dell’Azienda consiste nella realizzazione di pratiche cliniche e assistenziali e di attività scientifiche e didattiche sempre più avanzate e di sempre maggiore qualità orientate a rendere possibile l’identificazione della natura, delle cause, degli strumenti di prevenzione, terapia e recupero funzionale delle malattie umane, in un clima di coinvolgimento sociale e di impegno accademico. Il Policlinico Umberto I svolge in modo unitario le funzioni d’assistenza, didattica e ricerca e costituisce, al tempo stesso, elemento strutturale del Servizio Sanitario Nazionale, in particolar modo del Servizio Sanitario della Regione Lazio, nonché del Sistema Universitario. L’Azienda rende possibile la realizzazione integrata di tali funzioni attuando il rapporto di cooperazione e di leale collaborazione tra Regione e Università per la funzionalità delle facoltà di Medicina. L’integrazione e il supporto reciproco fra ricerca, didattica e clinica è l’elemento che consente all’Azienda di programmare ed erogare servizi sanitari basati su


prove scientificamente validate di efficacia e caratterizzati da alta qualità, requisito irrinunciabile per lo sviluppo di modelli di formazione dei professionisti sanitari orientati all’eccellenza. Mediamente il Policlinico assorbe da solo un quarto degli accessi ai DEA di II livello di tutta Roma: ogni anno si rivolgono al Pronto soccorso dell’ospedale circa 150.000 pazienti, ossia un numero complessivamente corrispondente a quello dell’Ospedale S. Camillo e dell’Ospedale S. Giovanni insieme. Il servizio di emergenza si articola tra il Pronto soccorso generale, quello pediatrico, ostetrico, ematologico, oculistico, ortopedico e dal 1/1/2016 si aggiunge quello odontoiatrico per l’effetto dell’annessione dell’Ospedale Eastman. Tutti i dati di attività dimostrano che il Policlinico Umberto I è un pilastro insostituibile del sistema di emergenza di Roma e del Lazio, sia perché è l’Ospedale della Capitale che ha il più elevato numero di accessi (dovuti anche alla presenza di tutte le specialità mediche e chirurgiche), sia perché la sua collocazione territoriale favorisce l’affluenza di utenti provenienti non solo dalle ASL limitrofe, ma anche da altre Province del Lazio e da altre Regioni. Ciò si evince chiaramente dai dati relativi alla provenienza dei pazienti che si rivolgono al Pronto Soccorso del Policlinico. Nonostante la riduzione dei posti letto indotta dalla programmazione regionale e la conversione di un elevato numero di ricoveri in percorsi diagnostico terapeutici assicurati in un contesto ambulatoriale complesso, il Policlinico ricovera annualmente circa 64.000 pazienti (41.000 in regime ordinario e 23.000 in day hospital), dei quali il 21,5% residenti fuori Roma, esercitando così una notevolissima attrattiva dal punto di vista delle professionalità. La percentuale di ricoveri relativi a patologie di alta complessità sul totale è pari al 49%: se si considera che il Policlinico, accanto a reparti di alta specializzazione, ha anche degenze per specialità di base (medicina generale, chirurgia generale, ostetricia, pediatria) questa percentuale testimonia che l’ospedale tratta frequentemente casi severi. Il 41% dei pazienti si ricovera per un intervento chirurgico. Tra

questi meritano una particolare menzione i trapianti, che complessivamente dal 1966 ad oggi sono stati circa 3.200. L’ospedale è il principale punto di riferimento della Regione Lazio per le malattie rare: sono funzionanti e accreditate 32 strutture specifiche, articolate in Centri e Presidi di riferimento regionali, Domenico Alessio che seguono attualmente 334 tipologie di malattie rare su 402 identificate dal Nomenclatore del Ministero della Salute. L’Ospedale svolge anche una elevata attività specialistica a livello ambulatoriale: ogni anno oltre 1 milione di prestazioni, tra diagnostica strumentale e visite, 900.000 esami di laboratorio, più di 200.000 indagini di anatomia patologica e altrettanti indagini radiologiche. Un crescente numero di casi viene gestito nell’ambito di percorsi diagnostici complessi. L’Azienda Policlinico Umberto I organizza la propria attività di assistenza secondo il modello ospedaliero per intensità di cure. Tale modello consente di superare la tradizionale organizzazione dell’assistenza basata sui Reparti, attraverso una articolazione delle attività di assistenza in aree omogenee, anche integrate medico-chirurgiche che ospitano i pazienti in base alla gravità del caso clinico e del livello di complessità assistenziale. L’adozione di tale modello di assistenza risponde ad una duplice esigenza: da un lato quella di consentire la valorizzazione del lavoro di equipe e di garantire la più completa integrazione delle diverse competenze professionali necessarie per trattare le patologie di pazienti con uguale livello di bisogno assistenziale; dall’altro quella di offrire al paziente un percorso di cura per livelli di assistenza differenziati, calibrato sull’intensità del proprio fabbisogno di salute, quindi più efficiente, efficace e di qualità per gli stessi assistiti. In tale modello il paziente è posto al centro dell’ospedale e viene indirizzato verso un percorso unico con riferimenti certi al fine di favorire l’appropriatezza nell’uso delle strutture ed un’assistenza continua e personalizzata. *Direttore Generale Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I

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NASCE LA ASL ROMA 1

NUOVA SFIDA NELLA CAPITALE Angelo Tanese*

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osa vuol dire trovarsi alla guida di una Azienda Sanitaria che nell’arco di dodici mesi triplica di fatto le proprie dimensioni? È quello che è successo nella Regione Lazio con la ASL Roma E, di cui sono stato nominato Direttore Generale nel febbraio 2014, che dal 1° gennaio 2015 ha incorporato il Presidio Ospedaliero San Filippo Neri e si è fusa dal 1° gennaio 2016 con la ASL Roma A, generando così la ASL Roma 1. Alcuni numeri di questa neo-istituita Azienda, che copre tutta l’area del centro storico e tutta la fascia settentrionale della città, corrispondente a 6 dei 15 Municipi di Roma Capitale: 540.000 kmq (quasi tre volte il Comune di Milano), 1.050.000 abitanti di cui 160.000 stranieri, circa 5.600 dipendenti, che uniti ad oltre ad 600 altri operatori impiegati nei servizi e circa 1.300 medici a convenzione tra MMG/PLS e SUMAI arrivano ad oltre 7.500 unità, un bilancio che supera i 2,5 miliardi di euro. Il territorio, oltre ad essere vasto, è caratterizzato da una concentrazione unica sul panorama nazionale di strutture sanitarie: 3 Policlinici universitari di cui due pubblici, 1 Azienda Ospedaliera, 5 Ospedali classificati, 1 IRCCS, oltre 30 Case di Cura per acuti e riabilitazione, per un numero complessivo di circa 7.000 posti letto, oltre alla presenza di decine di laboratori e centri diagnostici privati. Ogni giorno transitano per pendolarismo e turismo decine di migliaia di altri cittadini, per la presenza della Città del Vaticano, dello Stadio Olim-

pico, dei Tribunali, del Colosseo e centinaia di esercizi commerciali anche di grandi dimensioni. La nascita di questo grande soggetto pubblico, esito di una nuova programmazione regionale definita nei Programmi Operativi 2013-2015, segna dunque una svolta importante nell’assetto istituzionale della sanità romana. La ASL Roma 1 è chiamata a farsi carico della tutela di una popolazione significativa ma anche fortemente differenziata, dai quartieri residenziali del centro storico alle periferie urbane e sub-urbane. L’Azienda ha la gestione diretta di importanti strutture (il grande Ospedale San Filippo Neri, lo storico Ospedale Santo Spirito, l’Ospedale monospecialistico Oftalmico, il presidio Nuovo Regina Margherita di Trastevere, il Centro Sant’Anna per la donna e il bambino) ma anche di altri 150 punti di erogazione diretta. Affrontare questa sfida comporta alcun e scelt e

Angelo Tanese

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fondamentali: ripensare in modo forte la missione stessa dell’Azienda, che deve sia migliorare la qualità delle prestazioni direttamente erogate che sviluppare una funzione forte di “committenza” e di partnership con i tanti altri erogatori pubblici e privati che erogano una percentuale molto elevata di prestazioni ai propri residenti; rendere la presenza dell’Azienda sul territorio un riferimento per i cittadini, soprattutto per le persone e le famiglie che si trovano ad affrontare problemi sanitari e socio-sanitari complessi (come in caso di malattie oncologiche o patologie croniche invalidanti, disabilità, dipendenze, demenze), ma anche per promuovere la prevenzione e la promozione della salute; valorizzare le proprie strutture a gestione diretta, in particolare le eccellenze cliniche, anche attraverso l’innovazione tecnologica; coinvolgere sempre più medici di medicina generale e pediatri di libera scelta nella rete dei servizi aziendali, e con loro costruire percorsi di accesso ai servizi e ai processi assistenziali maggiormente integrati e orientati alla continuità assistenziale; condividere con i Municipi e le comunità locali politiche di rilocalizzazione e maggiore accessibilità ai servizi, migliorando


la comunicazione e la partecipazione dei cittadini stessi e delle organizzazioni civiche e di volontariato al processo programmatorio, incoraggiando così la costruzione di un nuovo rapporto di dialogo e di fiducia con la popolazione; sviluppare sistemi e strumenti di conoscenza e di utilizzo del patrimonio informativo, per analizzare i bisogni, monitorare l’offerta e l’appropriatezza dei comportamenti prescrittivi e delle prestazioni sanitarie, misurare e valutare costantemente i livelli di performance sotto il profilo della qualità, dell’efficacia, degli esiti e dell’efficienza; investire sullo sviluppo delle competenze professionali, con politiche di formazione, di attuazione degli istituti contrattuali, di valutazione e di crescita degli operatori propri di una grande azienda, che necessita di conoscere e valorizzare al meglio il proprio capitale umano; utilizzare al meglio le risorse disponibili per gli investimenti nelle infrastrutture e nelle tecnologie informatiche, sia per migliorare il grado di umanizzazione e la logistica dei servizi che per promuovere servizi on-line o di teleassistenza; porre tutta questa azione in un quadro di sostenibilità in base alle risorse disponibili, con un controllo accurato dei costi, un miglioramento delle entrate proprie, una gestione attenta dei budget degli erogatori privati e una valorizzazione del patrimonio e degli asset aziendali. Credo che la ASL Roma 1, questa grande ‘Azienda in Movi-

mento’ – come l’abbiamo definita – debba saper costruire una nuova identità del servizio pubblico sanitario in un contesto metropolitano così articolato come quello della capitale, e diventare un punto di riferimento nel dare risposta ai problemi di salute della popolazione. I cittadini devono trovare facilmente accoglienza, ascolto e interlocutori in grado di riconoscere i loro bisogni di salute e orientare la loro domanda. L’azienda sanitaria locale deve essere credibile e affidabile come principale soggetto in grado di “garantire” una presa in carico che non sia riconducibile solo all’erogazione di prestazioni sanitarie, ma alla gestione di processi assistenziali completi. Per fare questo occorre anche diventare una grande azienda, non solo in termini dimensionali, ma soprattutto in termini culturali e organizzativi: un’Azienda moderna e orientata all’innovazione, che riorganizza e consolida le funzioni e i servizi delle tre precedenti aziende in un nuovo assetto organizzativo e di governance, più solido ed efficiente. Ecco la grande sfida della ASL Roma 1 per i prossimi tre anni. Una grande opportunità per ridare slancio e motivazione ai professionisti e una giusta legittimazione del nostro servizio sanitario, nel momento in cui riesce a garantire risposte credibili che impattano in modo positivo sulla qualità di vita delle persone, delle famiglie, della comunità. *Commissario Straordinario ASL Roma 1

Dossier realizzato in concorso con

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DISFUNZIONE ERETTILE

COME RISOLVERE IL PROBLEMA Giuseppe Sangiorgi*

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hiamata impropriamente impotenza, la disfunzione erettile (DE) è un problema sessuale maschile caratterizzato dall'incapacità di raggiungere o mantenere un'erezione idonea a consentire un prestazione sessuale soddisfacente. La DE non è di per sé una malattia “grave”, ma il suo impatto sulla qualità della vita risulta estremamente rilevante, andando ad incidere anche sulle relazioni familiari e interpersonali. Depressione, vergogna, riduzione dell'autostima e problematiche di coppia sono sintomi ed esperienze comunemente riferiti da chi è affetto da disfunzione erettile. Ma quali sono i meccanismi alla base della disfunzione erettile? L’erezione maschile è un complesso meccanismo che involve risposte neuro-vasculo-tissutali controllate dal livello degli ormoni maschili. Normalmente, l'erezione è legata a stimoli visivi e tattili a partenza cerebrale che comportano un aumento del flusso sanguigno a livello delle arterie che vanno a riempire il tessuto dei corpi cavernosi del pene. Nello stesso momento, l'espansione dei corpi cavernosi legata all’aumento del flusso sanguigno, provoca uno schiacciamento delle vene che sono deputate a far defluire il sangue dal pene, garantendo in questo modo il mantenimento dell'erezione durante il rapporto. Se paragoniamo quindi il meccanismo dell'erezione ad una gomma di automobile che viene gonfiata, per avere un'erezione naturale abbiamo bisogno di: A) un sistema nervoso funzionante (qualcuno che attivi l'aria); B) un buon flusso arterioso (il

tubo del compressore); C) dei corpi cavernosi sani (una buona camera d'aria); D) la capacità di bloccare la fuoriuscita venosa di sangue (che non vi sia perdita nella camera d'aria). Oltre 300 milioni di uomini nel mondo e 35 milioni in Europa sono affetti da DE e nella maggior parte dei casi questi pazienti non ricercano in maniera esplicita un inquadramento medico e terapeutico, soprattutto per imbarazzo,

avere una DE, e di questi il 75% hanno problemi ad avere un’erezione ed il 67% a mantenerla. In linea generale, tra tutte le cause di disfunzione erettile, sono almeno cinque quelle maggiormente riscontrate: neurologiche, ormonali, vascolari, venose, e farmacologiche. Per quanto riguarda le cause vascolari, la maggior parte dei pazienti affetti da Disfunzione Erettile (»75%) presenta una stenosi del sistema

paura o per mancata conoscenza delle possibilità terapeutiche. In Italia il 12,8% degli uomini intervistati nel corso di un’indagine epidemiologica riferisce di avere una qualche forma di DE e, di questi, il 30% di tipo completo. La prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età: dal 1,7% nella fascia di età dai 20 ai 39 anni fino al 48% nei soggetti sopra i 70 anni (3). Inoltre si ritiene che la DE possa rappresentare la punta dell’iceberg di una malattia aterosclerotica coronarica e/o periferica. In particolare, il 46% dei soggetti affetti da cardiopatia ischemica risultano anche

arterioso ileo-pudendo-penieno, che è quello deputato all’irrorazione dell’organo genitale maschile. Questo fatto, insieme al dato che la Disfunzione Erettile riconosce gli stessi fattori di rischio della cardiopatia ischemica – che spesso coesiste con una patologia aterosclerotica coronarica e/o periferica – e che essa stessa un fattore di rischio indipendente per eventi cardiovascolari futuri, suggerisce come la causa vascolare possa giocare un ruolo dominante nella patogenesi della Disfunzione Erettile. La maggior parte dei pazienti affetti da Disfunzione Erettile sono proprio quelli

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quindi che noi Cardiologi vediamo quotidianamente per angina pectoris o dopo un infarto, per ipertensione arteriosa, diabete mellito, scompenso cardiaco, insufficienza renale cronica, o patologie più rare quali la sclerosi multipla. Cosa fare se ci si accorge che non si riesce più ad avere un’erezione o se questa non viene mantenuta durante il rapporto? La DE viene valutata durante la visita del paziente attraverso la compilazione di un questionario (IIEF-5, Indice Internazionale di Disfunzione Erettile) al fine di esplorare tutte le fasi della funzione sessuale (erezione, soddisfazione nel rapporto sessuale, funzione orgasmica, desiderio sessuale e soddisfazione in generale) e che si rileva uno strumento estremamente utile come parametro di riferimento basale da confrontare nei controlli successivi dopo che il paziente è stato sottoposto ad opportuna terapia. Solitamente il paziente viene sottoposto ad un Ecodoppler Basale e Dinamico, un esame che consiste nel misurare il

flusso basale nei corpi cavernosi attraverso una sonda ecografica poggiata in regione scrotale al di sopra dei vasi che irrorano l’organo genitale. Questo test viene solitamente associato ad iniezione di prostaglandine (PGE-1, sostanza che induce una vasodilatazione massiva) all’interno dei corpi cavernosi per valutare la risposta dopo stimolo. Se la causa dovesse essere vasculogenica (cioè legata ad una problematica vascolare), un altro test che viene oggi richiesto è un angio TAC dei vasi penieni per individuare cinque zone principali dove si sviluppa un’ostruzione aterosclerotica dell’asse iliaco-penieno. Inoltre vista la possibilità di rotazione sui tre assi dei piani di ricostruzione vascolare durante l’esame è molto semplice avere informazioni dettagliate circa l’anatomia della regione e l’origine dei diversi rami prima dell’effettuazione di un’eventuale angiografia selettiva. In considerazione del fatto che vi è una considerevole variabilità di origine dell’a. Pudenda interna e la possibilità (»10%) che questa nasca come vaso accessorio collegato diretta-

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mente con l’a. Dorsale del pene, nella nostra esperienza questa modalità di percorso diagnostico favorisce una chiara visualizzazione dell’origine dei vasi e fornisce la migliore proiezione per valutare al meglio le lesioni segmentarie nel vaso, facilitando quindi in maniera significativa il successivo compito del cardiologo interventista, e facendo risparmiare una notevole quantità di contrasto al paziente durante la procedura. E’ solo da poco che questo tipo di patologie è stata affrontata con angioplastica percutanea (come si usa oramai fare quando si ha un infarto e si procede all’angioplastica coronarica). In una prima esperienza si era pensato di trattare i restringimenti con impianto di stent in pazienti che presentano restringimenti dell’a.pudenda interna con risposta sub-ottimale all’assunzione orale di inibitori delle fosfodiesterasi-5 (Viagra, Cialis, Levitra). Sebbene la percentuale di successo del trattamento sia stata immediatamente molto elevata, a 6 mesi di distanza la maggior parte dei pazienti presentava un restringimento nel punto dove era stato posizionato lo stent. Questo problema è da riferire ad una diversa risposta tissutale dei vasi penieni all’impianto di stent e molto semplicemente legata al fatto che la grandezza dei vasi penieni è significativamente minore rispetto a quelli in cui solitamente si applica uno stent (cuore, carotide, vasi delle gambe). Si è capito quindi che questa non poteva essere la soluzione ideale ed oggi si è sostanzialmente “tornati indietro” trattando i pazienti unicamente con un semplice palloncino a


rilascio di farmaco. Viceversa, l’utilizzo del semplice pallone è risultato estremamente favorevole. Nella nostra esperienza è possibile ottenere un successo clinico superiore al 90% nei pazienti che presentano disfunzione erettile vasculogenica legata ad una stenosi dell’a. Pudenda interna. In conclusione, la patologia aterosclerotica delle arterie peniene può essere causa di disfunzione erettile in soggetti con fattori di Giuseppe Sangiorgi rischio cardiovascolari e questa dovrebbe essere sempre ricercata nei pazienti che sono affetti da cardiopatia ischemica e che presentano un profilo di rischio elevato (diabete non controllato, fumo di sigaretta, ipertensione non controllata, pregresse angioplastiche coronariche). Nei pazienti che riferiscono problemi di impotenza, un’attenta

raccolta anamnestica con effettuazione di un semplice test di screening come l’IIEF-5 e l’esecuzione di un doppler dinamico penieno può smascherare una patologia del circolo iliaco-penieno. In questi casi, l’esecuzione di un angioTAC può fornire una chiara identificazione dei segmenti interessati dalla patologia ateromasica e guidare il cardiologo interventista durante l’esecuzione di un’angioplastica con pallone medicato. Quest’ultima garantisce in un’altissima percentuale di casi una ripresa completa della funzione erettile. Professore del Dipartimento di Medicina dei Sistemi e Laboratorio di Cardiologia Interventistica, Università di Roma Tor Vergata

LAVORO AUTONOMO, IL MODELLO AURORA BIOFARMA

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n attesa dell’approvazione del decreto di legge sul lavoro autonomo, l’azienda farmaceutica lancia un innovativo piano di tutele assicurative e sanitarie con il 90% di adesioni volontarie Milano, 16/02/2016 – Aurora Biofarma è la prima azienda italiana del settore farmaceutico a lanciare un innovativo piano di tutele assicurative per i lavoratori autonomi che costituiscono la rete esterna di Informatori Medico Scientifici e Agenti di vendita dislocati in tutta Italia, equiparando i benefit sociali al pari dei lavoratori dipendenti interni che operano nella sede di Milano. Mentre si attende la discussione parlamentare del decreto di legge sul lavoro autonomo approvato dal Governo, il gruppo farmaceutico comunica il raggiungimento del 90% di adesioni su base volontaria al piano assicurativo/sanitario avviato ad inizio 2016 e rivolto agli oltre 170 Informatori Scientifici del farmaco ed Agenti impiegati in azienda. Copertura per gli infortuni sul lavoro, fino ai casi di invalidità permanente e decesso, oltre ad una polizza sanitaria volta a coprire diagnostica e ticket sanitari, fino ad un massimale di 2000 euro per prestazioni in alcuni casi limitate dal Sistema Sanitario Nazionale. È questa la formula adottata da Aurora Biofarma. La proposta, negoziata da azienda e assicurazione con le numeriche collettive, è stata rivolta all’intera squadra di Agenti con la possibilità di adesione su base volontaria, comprensiva di un contributo autonomo. L’adesione libera al pacchetto di tutele è stata accolta con entusiasmo dagli Isf del gruppo, avvicinandosi alla totalità dei riscontri positivi. A rendere possibile il modello Aurora l’accordo stabilito tra l’azienda e Axa, marchio mondiale leader nella protezione assicurativa. «La nostra iniziativa vuole essere una misura di giustizia sociale nei confronti di tutti quelle persone che oggi non sono garantite dai contratti collettivi e vengono considerate lavoratori di serie B» – dichiara l'amministratore delegato Nicola Di Trapani – «Il modello Aurora Biofarma è una risposta concreta a questa tematica e l’azienda, qualora fosse utile, si rende disponibile alla partecipazione a tavole rotonde e momenti di incontro con imprese, associazioni ed esperti di settore».

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ESTESTICA CONTRO IL TEMPO

SPECCHIO DELLE MIE BRAME Maurizio Valeriani* Coco Chanel diceva “La natura ti dà “punturine” ai laser. E’ sempre più alta la faccia che hai a vent’anni, è compito la richiesta di filler di acido ialuronico, tuo meritarti quella che avrai a cinprodotto riassorbibile per andare a quanta” riempire le rughe del volto. Ormai sul La differenza tra le cinquantenni di mercato sono presenti prodotti sempre oggi e quelle di ieri è la sempre più più “morbidi” che hanno la caratterievidente ricerca di trattamenti o piccoli stica di rispristinare per quanto possiinterventi di estetica per ridurre l’inbile la giovinezza delle persone in modo vecchiamento, perché ormai la bellezza è un cardine in questo mondo, è diventato fondamentale rimanere seducenti anche dopo i 50 anni. Per combattere il crono-invecchiamento è necessaria anche una corretta alimentazione, cercare di mangiare cibo sano e soprattutto contenente integratori e antiossidanti, quali ad esempio frutta e verdura colorata. Anche l’esposizione al sole deve essere accompagnata sempre dall’utilizzo di creme protettive, ormai la moda della “abbronzatura selvaggia” degli anni 80 è passata. E’ vero che l’abbronzatura è sexy ma l’esposizione eccessiva al sole è deleteria per la pelle dal punto di vista estetico, inoltre è un fattore Maurizio Valeriani di rischio elevatissimo per alcuni tumori della pelle quali il melanaturale, senza più l’effetto di volti inenoma. spressivi e standardizzati. Anche l’utilizzo di creme idratanti aiuta La tossina botulinica, conosciutissima, molto, ma quando la paziente bussa permette di trattare le rughe d’espresalla porta del chirurgo plastico, quali sione del terzo superiore del volto. I sono i trattamenti e/o gli interventi più recentissimi fili di sospensione, fili barrichiesti per cercare di mantenersi sembati in polidiossanone, che permettono pre giovani? in casi selezionati di effettuare il coPartiamo dai trattamenti di medicina siddetto lifting non chirurgico, non estetica, ormai questo campo ha fatto solo del viso ma anche su gran parte passi da gigante e spazia dalle famose

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del corpo. Anche i laser hanno avuto una fantastica evoluzione: sono sempre più efficaci e con tempi di degenza sulla zona trattata praticamente inesistenti. Riescono a stimolare i fibroblasti quindi stimolano le fibre di collagene, permettendo di ridare elasticità e tonicità alla pelle, consentono di eliminare le macchie dell’età e riducono in modo eclatante le smagliature. Esistono apparecchi che integrano più funzioni: la radiofrequenza bipolare con tecnologia elos associata al vacuum. Tutto questo permette di ridurre ad esempio il girovita in associazione ad un recupero della tonicità cutanea. Dal punto di vista della chirurgia? Anche qui si cercano, sempre di più, approcci mininvasivi, con cicatrici minime e tempi di recupero più rapidi. L’intervento più richiesto rimane la liposcultura associata al lipofilling, cioè un trapianto di grasso per andare a recuperare le forme soprattutto degli arti inferiori ormai perse con l’età. La mastoplastica additiva, un seno prosperoso e florido è da sempre associato ad una persona giovane. In America si parla di soft mastoplastica: un aumento del seno con protesi posizionate sotto ghiandola. L’intervento effettuato in anestesia locale più sedazione permette tempi di recupero molto rapidi. Ricordiamo che bisogna sempre far effettuare i dovuti controlli pre operatori, con analisi del sangue e


visita cardiologica, perché parliamo sempre di un intervento. Possiamo dire che la ricerca dell’eterna giovinezza rimane sempre il cruccio di moltissime persone ma è fondamentale, in questo caso, dare i giusti consigli alle pazienti e dissuaderle da obbiettivi irraggiungibili, che potrebbero stravolgere in peggio il loro corpo, perché punto principale, sia della medicina che della chirurgia estetica, è migliorare mantenendo sempre la naturalezza. *Professore, specialistica in chirurgia plastica e chirurgia vascolare. Primario Ospedale San Filippo Neri, Roma

LE STATISTICHE

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n Italia nel 2014 sono stati eseguiti oltre un milione di interventi di chirurgia e di medicina a fine estetico (1.016.377 per la precisione). Di questi, il 76% è costituito da interventi non chirurgici di medicina estetica e il restante 24% di chirurgia plastica. • Rispetto al 2013, il numero totale degli interventi è aumentato del 6,2%. La medicina estetica è cresciuta del 7,3% mentre la chirurgia plastica è aumentata del 3%. • La procedura di chirurgia plastica più eseguita in Italia è la liposuzione. Nel 2013 sono stati eseguiti 48.015 interventi, mentre nel 2013 erano stati 44.464, con un aumento del 7.9% • Le 5 procedure di chirurgia a fine estetico eseguite in Italia sono: liposuzione (43.959 interventi, in calo dell’1% rispetto al 2013); mastoplastica additiva (33.532, +0.1%); blefaroplastica, il ringiovanimento dello sguardo (32.313 interventi, +1%%); trapianto di grasso autologo (26.640, +20%) e rinoplastica (27.024, + 13.1% rispetto al 2013). • L’intervento più eseguito di medicina estetica è la tossina botulinica (274.870 procedure, +22,9%), superando l’acido ialuronico (265.324, -8,3%). Seguono a distanza l’idrossiapatite di calcio, un filler di lunga durata (37.473, -8,3%); il peeling chimico (33.546, +8,1%) e la laser depilazione (31.620, +27,7). • Gli interventi più eseguiti dalle donne sono, nell’ordine, mastoplastica additiva, liposuzione, e rinoplastica. • Gli interventi preferiti dagli uomini sono, nell’ordine, liposuzione, blefaroplastica e rinoplastica. • I minorenni si confermano essere una rarità dai chirurghi estetici. I trattamenti eseguiti su pazienti con meno di 18 anni sono stati 4.598, lo 0,4% del totale. • Il 13,6% del totale delle operazioni di chirurgia estetica sono state secondarie, ossia eseguite dopo che la prima non è andato a buon fine. L’operazione è stata fatta nel 36,51% dei casi dallo stesso dottore della prima volta e il rimanente da colleghi. Fonte AICPE Presidente Prof. Pelle Ceravolo

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CARDIO CEREBRO VASCOLARE

IL DECALOGO DELLA SALUTE

L

e malattie cardio-cerebro-vascolari sono in costante aumento nel mondo e rappresentano la prima causa di mortalità e morbilità. Esse sono strettamente correlate ai fattori di rischio alimentari, ambientali e allo stile di vita. L’Esposizione Universale di Milano 2015 ha avuto come tema principale proprio l’alimentazione, lo sviluppo tecnologico legato alla qualità del cibo e dell’ambiente e la promozione della salute. Molto di più si può e si deve fare nel campo della sensibilizzazione, educazione, prevenzione, diagnosi precoce, innovazione tecnologica, terapia e controllo di tali malattie. Le Organizzazioni e le Istituzioni devono far tesoro dei criteri, delle indicazioni e dei suggerimenti provenienti dalle Associazioni Scientifiche al fine di condividere strategie e programmi di politica socio-sanitaria. Per questo le principali Società Scientifiche di Area Cardio-Cerebro-Vascolare, di concerto con Associazioni di Pazienti, sotto l’egida delle Istituzioni sottoscrivono la seguente Dichiarazione. 1. Le malattie cardio-cerebro-vascolari sono da considerarsi al pari delle principali epidemie che minacciano la popolazione. Come tali devono essere combattute di concerto dalle Organizzazioni, Istituzioni, Associazioni internazionali, nazionali e territoriali. 2. La corretta informazione, l’educazione, la prevenzione, la promozione di stili di vita salutari, l’alimentazione sana ed equilibrata, la tutela dell’am-

biente, la formazione del personale sono da considerarsi azioni importanti e prioritarie al pari della diagnosi, della cura e del controllo medico. 3. Ogni persona, senza alcuna discriminazione, indipendentemente da età, genere, professione, stato economico, sociale, politico, fede religiosa, ha pari dignità e pari diritto all’informazione sul proprio stato di salute, alla tutela della propria salute, alla libera scelta e all’accesso al miglior servizio sanitario per la miglior prevenzione, miglior diagnosi precoce, miglior cura, miglior assistenza, miglior controllo. 4. E’ compito della Comunità Scientifica offrire alle Istituzioni Sanitarie Linee Guida e modelli di prevenzione e assistenza e al mondo della Comunicazione il supporto necessario per un’informazione e educazione corretta nella popolazione. 5. E’ compito degli istituti universitari e degli ospedali di insegnamento provvedere affinchè ad ogni livello di base e specialistico vengano forniti opportuni spazi formativi ed educazionali. 6. E’ compito degli Enti preposti promuovere la Ricerca e la relativa allocazione delle risorse necessarie. 7. E’compito degli Organi d’Informazione sensibilizzare correttamente e opportunamente la popolazione, se-

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guendo le indicazioni e i pareri della comunità scientifica e utilizzando le più moderne tecnologie di Comunicazione. 8. E’ compito delle Istituzioni Sanitarie destinare e allocare in modo appropriato ed efficace le risorse per poter indicare ed offrire ad ogni cittadino modi e luoghi più idonei per l’informazione, l’educazione, la prevenzione, la diagnosi e cura, nel rispetto di linee guida valide. 9. E’ compito di ogni professionista sanitario promuovere e partecipare a programmi informativo-educazionali, indicando e/o offrendo le migliori pratiche sanitarie nei propri assistiti e nella popolazione in generale. 10. I soggetti firmatari della presente “Carta” s’impegnano a confrontarsi, cooperare, coordinarsi, integrarsi per promuovere, condividere, sostenere e diffondere dichiarazioni, linee guida, protocolli, iniziative, manifestazioni, campagne di sensibilizzazione e promozione, progetti di ricerca, programmi operativi, eventi scientifici e mediatici.



PERFINO IN GERMANIA

IMMIGRAZIONE SENZA SVILUPPO

“P

er motivi economici e demografici la Germania deve attirare lavoratori produttivi. Ma da tutto il mondo, non solo dalle zone di guerra. Questa sfida passa da un Immigration Act che, come in Australia e Canada, faccia combaciare la professionalità dei nuovi arrivati e le necessità della nazione”. A chiederlo è Klaus F. Zimmermann, direttore dell’Istituto per lo studio del lavoro di Bonn, molto cauto sull’automatismo “arrivo dei rifugiati, rilancio dell’economia tedesca”, oggi inchiodata a una crescita del prodotto interno lordo dello zero virgola qualcosa. Un allarme che riguarda tutta l’Europa e, ovviamente, anche l’Italia. Da più parti, infatti, nel nostro Paese si alza ricorrente, come un mantra, la formula immigrazione (anche incontrollata) uguale sviluppo. In Italia, in realtà, le prove per sfatare questo mito già esistono. Il nostro Paese (la fonte è l’Eurostat, l’istituto di statistica europeo) è il primo nella Ue per quota di stranieri occupati: il 7 per cento contro il 6,3 per cento della Angela Merkel Spagna, il 5,5 per cento della Grecia, il 4,7 per cento della Germania, il 3,9 per cento del Regno Unito, il 3,2 per cento della Francia. Questo primato non assicura all’Italia la prosperità. Merita di essere sottolineato che, se sul podio della più elevata percentuale di stranieri al lavoro salgono Italia, Spagna e Grecia, l’immigrazione incontrollata in genere non garantisce sviluppo. In Italia gli immigrati presentano tassi di occupazione inferiori a quelli dei nativi italiani e, in particolare, le donne nate all’estero hanno un livello di occupazione di gran lunga inferiore a quello delle italiane, che già sono tra le ultime in Europa per tasso di occupazione. Sempre più immigrati, inoltre, si dedicano all’attività imprenditoriale, è vero. Ma, nella stragrande maggioranza, le loro attività si limitano a due settori: commercio al dettaglio e costruzioni civili. Proprio due tra i settori che di più hanno sofferto la crisi e di più continuano a soffrirla. A dimostrazione che queste iniziative sono al ribasso e hanno scarsissimo tasso

di riuscita. Ma garantiscono quel minimo di reddito, posto al livello dell’assegno sociale, che assicurano la residenza, il ricongiungimento familiare, i benefici dello stato sociale, spesso molto più elevati del reddito minimo dichiarato dall’imprenditore immigrato. L’allarme di Zimmermann sintetizza un ragionamento che accomuna, ormai, i “middle aged working class white men” (i maschi bianchi di mezza età con un lavoro medio-basso) all’establishment economico. La Germania-che-conta, inizialmente convinta dalle rassicurazioni della cancelliera Angela Merkel, avrebbe aperto gli occhi grazie ad alcune indagini socio-economiche poco ottimistiche, oltre alla constatazione empirica delle difficoltà di inserimento nel tessuto sociale di tante persone senza lavoro, senza conoscenza della lingua, senza effettiva volontà di integrazione, come insegnano i fatti di Colonia e di molte altre località tedesche. Al momento, la Germania ha un milione di posti di lavoro vacanti, perlopiù nella filiera del sistema industriale manifatturiero ad alto tasso di innovazione, quello che traina l’apparato produttivo e le esportazioni tedesche. Viceversa, benché la disoccupazione sia ai minimi dalla riunificazione (il 6,3 per cento a gennaio) nel Paese ci sono due milioni e mezzo di senza lavoro, nella grande maggioranza poco qualificati. Un quinto dei lavoratori scarsamente qualificati è disoccupato, secondo l’Istituto per l’educazione di Monaco, e il ministro del Lavoro, Andrea Nahles, ha previsto che questa quota sia destinata a crescere in maniera consistente, soprattutto per l’arrivo dei rifugiati. Nonostante le speranze riposte dalla cancelliera Merkel, insomma, sembra difficile che gli attuali posti vacanti possano essere occupati dai rifugiati arrivati in Germania negli ultimi anni, mette in guardia l’Istituto tedesco sulla ricerca di occupazione. Meno del 15 per cento dei rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa, infatti, possiede una formazione

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professionale e/o un titolo di studio medio-alto. Anche tra quanti ne sono provvisti, però, la situazione sarebbe tutt’altro che soddisfacente. Secondo una ricerca a campione sulla scorta della classificazione Ocse, un titolo di ottavo livello posseduto da un rifugiato equivale a un titolo di terzo livello detenuto da un cittadino tedesco. Un problema sentito anche nell’artigianato. “Chi viene dall’Eritrea e asserisce di essere un elettricista potrebbe essersi limitato a riparare una radio o a posare un cavo, senz’avere mai visto un fusibile, com’è mediamente comune in Germania”, è l’opinione di Achim Dercks, vice direttore esecutivo dell’Associazione delle Camere di commercio tedesche. L’unica strada, quindi, è il tentativo di colmare questo divario con dosi massicce di preparazione scolastica, tecnica, professionale. “Un impegno non da poco: integrare un rifugiato può essere altamente costoso e richiedere molto tempo”, sottolinea Zimmermann. E ha bisogno di basi di partenza inderogabili, a cominciare dall’età. Un punto problematico, secondo le statistiche del ministero degli Interni di Berlino. Circa la metà dei

rifugiati in età dal lavoro ha oltre venticinque anni. Un’età che rende complicato perfino avviare il nuovo venuto a corsi minimi di qualificazione, che richiedono non meno di tre anni e una conoscenza della lingua di livello medio, sia colloquiale sia tecnico. Da Amburgo l’Agenzia federale del lavoro ha lanciato un altro avvertimento: perfino i rifugiati sotto i vent’anni si rifiutano di rimanere in un banco per alcuni anni (prima per il corso di lingue e poi per un triennio minimo di formazione professionale) senza la prospettiva di poter guadagnare rapidamente. Risultato? I più autorevoli economisti tedeschi si sono convinti che la formula immigrazione (anche incontrollata) uguale sviluppo fa acqua da tutte le parti. Solo il 23 per cento dei 220 studiosi interpellati dall’Ifo, l’Istituto di ricerca economica di Monaco, è convinto che i rifugiati costituiranno una risorsa per la Germania (e l’Europa). E oltre la metà degli economisti si dice contrario al riconoscimento del salario minimo ai nuovi venuti in aggiunta ai 12mila euro l’anno che già costano i rifugiati alle casse pubbliche tedesche. Pietro Romano

PELLEPIÙ, LE ECCELLENZE DELLA FILIERA DELLA PELLE A FIRENZE

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na rassegna inedita che porta a Firenze le eccellenze della filiera della pelle. Il capoluogo toscano ospiterà infatti la prima edizione di “PellePiù”, evento dedicato alla tecnologia del lusso nella pelle. L’appuntamento è dal 12 al 14 maggio, alla Fortezza da Basso. Organizzato e promosso dalla Rete Pelle+, alla quale appartengono aziende del settore della pelletteria, PellePiù offrirà un focus approfondito su quelli che sono i protagonisti della filiera. L’obbiettivo è quello di promuovere a livello internazionale il territorio e le capacità delle realtà aziendali. In Toscana le aziende del settore pelletteria e succedanei (escluse calzature e tessile) sono circa 14.500, mentre gli addetti occupati nel settore sono circa 96mila. Oltre cinquanta sono, invece, le aziende protagoniste di Pellepiù, che esporranno le proprie eccellenze e daranno vita a dei veri e propri laboratori dove verranno mostrate tutte le fasi della lavorazione della pelle per arrivare al prodotto finito. Durante i tre giorni dell’evento, verranno organizzati anche una serie di workshop e tavole rotonde, per la condivisione di contenuti legati alle strategie per lo sviluppo del territorio. Momenti dedicati alla condivisione di esperienze, fattori critici e di successo, in un’ottica di crescita per l’intero comparto. Pellepiù si annuncia quindi un’occasione dove le grandi maison internazionali, ma anche le piccole e medie imprese, possono conoscere e approfondire le competenze della filiera toscana. Una delle forme di artigianato più tipiche di questa regione, infatti, è senza dubbio quella legata alla lavorazione della pelle. In Toscana si trovano quei maestri che sono in stretto legame con le tradizioni, ma nello stesso tempo aperti alle innovazioni, che possono migliorare e rendere unici i loro prodotti. Le aziende che fanno parte del comitato organizzatore di PellePiù sono la BB Spa, B&G Srl, Colzi Srl, Daniele Orlandi, Del Vecchia Spa, Pelletterie Giancarlo, Pelletterie Happening, Toscoval Srl e Tripel Due Srl. Giuliana Cantini

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LA PAROLA ALL’ESPERTO

RISPARMIATORI, RISCHI E TUTELE Renato Pedullà*

L

a direttiva 2014/59/UE del Parlamento Europeo BRRD ( Bank Recovery and Resolution Directive) recepita nel 2016 dal nostro Consiglio dei Ministri introduce regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche divenute ormai sempre più frequenti. L'idea di questa direttiva nasce nell'estate del 2013, nei giorni successivi alla drammatica crisi bancaria di Cipro, al fine di introdurre in tutti i paesi europei uguali regole, per prevenire e gestire le crisi delle banche. Orbene, tale direttiva regolarizza in particolar modo il cosiddetto "Bail in ", il nuovo meccanismo di salvataggio interno, che di conseguenza non avverrà più con i soldi dello Stato o delle Banche Centrali ( Bail out ), bensì si attuerà internamente alla banca stessa, attraverso la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti e le loro conversioni in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà. Risulta fondamentale, con l'introduzione di questo nuovo procedimento di salvataggio bancario evitare di incutere incertezze e paure ai semplici correntisti che intravedono in questa nuova norma europea un elemento di rischio per i loro risparmi. Difatti bisogna subito precisare che dal Bail in sono escluse alcune passività come : i depositi di importo fino a 100.000 euro ( protetti dal sistema di garanzia dei depositi ); le passività garantite come i covered bonds e atri strumenti garantiti; passività derivati dalla deten-

zione di beni della clientela ( in sostanza tutto ciò che è contenuto nelle cassette di sicurezza); le passività interbancarie; le passività derivanti dalle partecipazioni ai sistemi di pagamento con una durata inferiore a 7

giorni; i debiti verso i dipendenti; i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare. Fatta questa doverosa premessa, è importante, quindi, far comprendere ai piccoli risparmiatori che (sempre ricordando che i conti correnti fino a 100.000 non verranno assolutamente intaccati) qualora subentrasse la crisi della loro banca , il Bail in segue un procedimento dove le perdite verranno assorbite seguendo una gerarchia prestabilita. A subire in modo immediato le conseguenze della crisi, i primi saranno gli azionisti cioè i proprietari della banca, e poi a scalare si andrà verso i detentori di di altri

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titoli di capitale, i proprietari di titoli di debito subordinati, i pronti contro termine, i creditori chirografari ed in fine le persone fisiche e le PMI titolari di depositi oltre i 100.000 euro. Quindi ne consegue che chi è possessore di un deposito di 150.000 euro, non dovrà temere che il suo deposito verrà immediatamente ridotto o convertito in azioni, prima si seguirà la procedura piramidale di recupero sopra elencata e poi solo alla fine qualora ce ne fosse ancora bisogno, potranno essere intaccati i risparmi sopra i 100.000 euro. Recepito quindi il regolamento del Bail in come può un correntista tutelarsi da eventuali rischi? Dal 1 gennaio 2016, innanzitutto, l'investitore o il correntista dovrà porre maggiore attenzione al raiting che ogni banca possiede. Il dato più importante da valutare nella fase di scelta tra i vari istituti bancari è recepire l'indice dì solidità bancaria che si individua nell'acronimo Cet1 ovvero il " Common Equity Tier 1" . Il Cet1 si ottiene mettendo a rapporto il capitale a disposizione della banca e le sue attività ponderate per il rischio, in parole semplici tale indice, è il parametro per valutare la solidità di una banca e rappresenta il rapporto tra capitale ordinario di una banca e le sue attività ponderate al rischio, più alto è il parametro, più l'istituto di credito è solido. La Banca centrale europea ha previsto una soglia minima per le banche italiane che è del 10,50%, più è alto il Cet1 è più la banca da sicurezza. *Dottore Commercialista in Roma


LE BORSE IN ALTALENA

LE VERE CAUSE DELLA CRISI Felice Roberto Pizzuti*

È

il persistere delle cause strutturali che hanno dato avvio alla crisi a far sì che i bilanci delle banche possono contare poco sui proventi derivanti dalle attività che rappresentano la loro ragion d’essere. L’accresciuta variabilità e il forte calo delle quotazioni delle Borse mondiali in atto da dicembre dello scorso anno (ma le turbolenze erano iniziate nell’estate, in corrispondenza alle novità che emergevano nell’economia cinese) tendono a essere valutate come una “nuova crisi finanziaria” (dopo quella iniziata nel 2007-2008, protrattasi con alterne vicende fino al 2014). In realtà la crisi in corso non è “nuova”: è dall’inizio del secolo che le Borse “ballano” in modo molto accentuato. D’altra parte, la loro volatilità si inserisce nella crisi strutturale che sta attanagliando il modello di economia afferFelice Roberto Pizzuti matosi nei Paesi occidentali a partire dalla fine degli anni settanta del novecento; cosicché anche la qualificazione di “finanziaria” è riduttiva e rischia di essere fuorviante per descrivere la crisi in atto da quasi un decennio. Naturalmente, nelle economie di mercato capitalistiche, ancor più dopo i processi d’intensa finanziarizzazione che le hanno caratterizzate dalla metà del secolo scorso, una situazione di crisi evidenzia inevitabilmente i suoi aspetti finanziari che, peraltro, tendono a manifestarsi con modalità particolarmente appariscenti. Anche per l’estemporaneità e il folclore modernista che le caratterizza, le oscillazioni di Borsa conquistano uno spazio negli organi d’informazione superiore – a esempio – a quella delle variazioni nei tassi d’occupazione.

In questo contesto politico-culturale, crescono le inversioni paradossali del rapporto di funzionalità che dovrebbe collegare la finanza all’economia reale. A esempio, è diffusa la posizione che, da un lato, valuta positivamente il contenimento dei salari in senso lato (delle retribuzioni e delle prestazioni sociali) poiché aumenterebbe la competitività (e l’apprezzamento delle Borse che condividono tale posizione); d’altro lato, teme le riduzioni dei tassi d’interesse e dei prezzi petroliferi (che spesso incidono maggiormente sui prezzi) per i possibili effetti negativi sui bilanci delle banche e sulle quotazioni di Borsa. Quando, nel 20072008, la crisi attuale esplose, l’attenzione si concentrò essenzialmente sui crolli delle Borse, che proseguirono fino alla primavera del 2009; l’analisi delle sue motivazioni previlegiò l’accresciuto ruolo dei debiti e della loro rischiosità (titoli “tossici”, bolle finanziarie e immobiliari ecc.). La successiva ripresa delle quotazioni, per quanto accompagnata da una elevata volatilità, fu interpretata come un recupero anche del ruolo assunto dalla finanza nei precedenti decenni e, più in generale, come un segnale positivo per la fuoriuscita dalla crisi generale. L’aspetto della crisi che rimaneva e rimane in secondo piano sono le sue cause strutturali radicate nell’economia reale. In estrema sintesi: il forte peggioramento della distribuzione del reddito, l’incertezza dei redditi connessa alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, il contenimento della spesa pubblica e le deregolamentazioni dei mercati hanno reso e rendono difficile l‘equilibrio tra la crescita delle potenzialità produttive

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e le complessive condizioni della domanda corredata di mezzi di pagamento. Nell’Unione europea, la crisi è stata aggravata dalle modalità istituzionali della sua costruzione e dall’austerità controproducente delle politiche economiche. Arrivati all’autunno scorso, sia i sussulti delle Borse diventati sempre più vistosi e con tendenze nettamente in calo dall’inizio di quest’anno sia le ennesime disillusioni sulle prospettive delle economie reali hanno confermato che il ricorrente ottimismo sulla fuoriuscita dalla crisi era (ed è) radicato nell’ostinata reiterazione di una visione economica e di politiche sempre più contraddette dai riscontri empirici. Gli andamenti attuali delle Borse ripropongono equivoci interpretativi sulla crisi simili a quelle sulle sue origini. L’attenzione è per lo più concentrata sulle difficoltà – presenti e attese – dei sistemi bancari che sembrano legate essenzialmente a problematiche proprie (che pure esistono). Tuttavia, proprio il persistere delle cause strutturali prima ricordate – che determinano lo squilibrio

tra la capacità d’offerta e la domanda effettiva nell’economia reale – fa sì che i bilanci delle banche possono contare poco sui proventi derivanti dal genere di attività che pure rappresenta la loro ragion d’essere originaria, cioè l’intermediazione del risparmio, per finanziare le attività produttive e di consumo. Le banche – anche per questo motivo, ma non solo – continuano a puntare sulla compravendita di titoli finanziari (sempre meno trasparenti per composizione e grado di rischio). D’altra parte, i loro bilanci sono già intasati da crediti scarsamente esigibili (accresciuti dalle difficoltà dell’economia reale), dai titoli “tossici” mai risanati generati dall’euforica finanziarizzazione dell’economia e da titoli pubblici che potrebbero essere degradati dal persistere della crisi e dalla mancanza di cooperazione tra le istituzioni economico-finanziarie nazionali e internazionali (tendenza che si sta pericolosamente accentuando). Si aggiunga che le banche sono spinte a risanare i loro bilanci mediante riforme tardive del settore che generano vincoli alle loro attività proprio mentre i tassi

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negativi le rendono più difficili. Nel frattempo, l’azione surrogata affidata alla politica monetaria sta mostrando sempre più i suoi limiti di strumento poco efficace per stimolare la crescita. Finora le misure di quantitative easing hanno apprezzabilmente attenuato i problemi, ma temporaneamente e come può fare una droga che se non è usata in modo terapeutico e affiancata dagli strumenti più conformi allo scopo, non risolve i problemi della crescita, ma, anzi, ne crea altri. Rimanendo gli squilibri dell’economia reale che ostacolano la crescita, il forte aumento della liquidità sta alimentando comportamenti speculativi che creano bolle destinate a scoppiare. Il ricorso pressoché esclusivo alla politica monetaria per contrastare la crisi è uno dei segni che quest’ultima è stata e continua ad essere interpretata con una visione parziale e controproducente che, tra l’altro, avvalla la subalternità dell’economia reale alla finanza. *Ordinario di Politica economica all’università Sapienza di Roma www.sbilanciamoci.info


OUTLET, NON SOLO MODA

4,5% DEL PIL DEL MUGELLO

I

naugurato nel 2006, Barberino Designer Outlet è immerso nel cuore verde della Toscana e ospita alcuni dei più importanti marchi della moda nazionale e internazionale. Il primo ampliamento ha portato, nel 2014, all’apertura di 30 nuovi punti vendita, con la quota complessiva di superficie commerciale salita a 27.000 mq ed il numero dei punti vendita a 130. Cifre importanti che testimoniano la sempre maggiore capacità attrattiva del Centro che, adesso, con l’apertura della Variante di Valico, è diventato decisamente più vicino e rapidamente raggiungibile da tutti i bolognesi e, più in generale, dai cittadini emiliani. Dal 2014, da quando cioè il centro ha ampliato il numero dei negozi, si è assistito ad un incremento di circa il 30% dei posti di lavoro, consentendo il superamento dei 1000 occupati, di cui il 75% con un contratto a tempo indeterminato ed il restante 25% con un contratto a tempo determinato. In termini di ricadute occupazionali, Barberino Designer Outlet è attualmente l’azienda più sviluppata sul territorio con una grande percentuale di lavoratori donne: dei 1000 dipendenti, infatti, l’80% sono donne. L’outlet ha anche fornito la risposta alla domanda di lavoro dell’area del Mugello: al 31 dicembre scorso il 70% degli occupati proviene, infatti, da questa area. Estremamente significativi anche i numeri relativi ai visitatori, che negli ultimi tre anni

hanno registrato una crescita a doppia cifra. In crescita anche i turisti, che per quanto riguarda le vendita extra Schengen hanno inciso per il 12% sul volume complessivo degli affari nel corso dell’anno. In termini di ricaduta economica a livello locale, Barberino Designer Outlet ha attivato in modalità diretta, indiretta e indotta, nel sistema economico locale del Mugello, un PIL pari a 45,5 milioni di euro, per una quota del 4,5% del corrispondente PIL dell’area e una quota pari a 7,8 milioni del PIL totale della Toscana. Il dato, reso noto nel 2014, è emerso da uno studio effettuato da Irpet, il cui obiettivo era proprio quello di stimare le ricadute economiche dirette e indirette derivanti dalla presenza e dall’attività del Centro nell’area del Mugello e, più in generale, della provincia di Firenze e della Toscana. “La crescita costante e continua del Centro, sia in termini occupazionali che in termini economici, è un risultato straordinario soprattutto se confrontato con la situazione economica generale” commenta Chiara Bellomo, Centre Manager di Barberino Designer Outlet. “Per il 2016 gli obiettivi che ci poniamo riguardano il consolidamento del centro sul mercato locale e internazionale, con particolare attenzione ai visitatori europei, che amano la Toscana e il Mugello, contribuendo significativamente alla crescita di tutta l’area metropolitana fiorentina”.

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IL PROFESSOR CAPUTO NASSETTI

BANCHE, ATTENZIONE ALLE IMPRESE Ornella Cilona

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e aggregazioni consentiranno nel tempo di ridurre i costi operativi delle banche. Ma ciò non basterà: se la congiuntura economica non muta e l’economia non produce ricchezza le banche non potranno a loro volta produrla. E, personalmente, ho diverse perplessità sulla capacità del nostro Paese di superare gli enormi problemi strutturali (quali il debito pubblico, l’incapacità di ridurre la spesa pubblica corrente, il sistema giudiziario e il livello di prelievo fiscale) e ripartire. Ma non possiamo attenderci aiuti dall’esterno perché esiste un generalizzato interesse a vederci in ginocchio per acquistare a prezzi stracciati le nostre aziende e i nostri asset”. Francesco Caputo Nassetti, una lunga esperienza maturata ai vertici bancari in Italia e all’estero, è professore di Diritto bancario all’Università di Ferrara e amministratore delegato della Swiss Merchant Corporation di Lugano specializzata, tra l’altro, in operazioni straordinarie d’impresa. Professor Caputo Nassetti, teme un’altra crisi in stile 2007? La combinazione di scarsa crescita, bassa inflazione e tassi reali pari a zero o addirittura negativi può portare diritto i Paesi di più antica industrializzazione a una stagnazione globale. Fino a non molto tempo fa i

mercati emergenti erano il contraltare dei Paesi sviluppati e consentivano opportunità di investimento ai capitali occidentali che non trovavano la possibilità di essere investiti nei Paesi di provenienza. I capitali occidentali investiti nei Paesi emergenti sono saliti da 240 miliardi di dollari nel 2004 a 1.100 miliardi nel 2014 e i prestiti erogati in divisa straniera al settore privato dei mercati emergenti sono passati da 1.700 miliardi di dollari nel 2008 a 4.300 miliardi nel 2014. Nel 2015 vi è stata la brusca inversione con una fuoriuscita di oltre mille miliardi di dollari dai Paesi emergenti. Insomma, è sbagliato credere che la scarsa crescita sia solo una conse-

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guenza temporanea della crisi cominciata nel 2007. Dobbiamo rassegnarci? Non si può invertire questa tendenza? L’attuale struttura dei tassi di interesse non consente più alle autorità di usare questo strumento come stimolo per la crescita. L’enorme liquidità nei mercati dei capitali mondiali non si traduce in sufficienti investimenti produttivi. L’attenzione al controllo dell’inflazione, insieme alla disciplina delle finanze pubbliche, rappresenta il tradizionale approccio delle autorità monetarie. Ma è un po’ come guidare guardando indietro: il Trattato di Maastricht è stato concepito in uno scenario di interessi passivi reali elevati e in tale contesto era sensato stabilire, ad esempio, il limite del 60 per cento del debito pubblico rispetto al prodotto interno lordo. Troppo debito con interessi elevati poteva portare alla rovina uno Stato. Ma oggi, e nel prossimo futuro, gli interessi sono e rimarranno in area molto bassa o negativa. Questo dovrebbe portarci a concepire regole diverse e, in particolare, a stimolare la crescita con politiche fiscali espansive, anche in deroga al limite debito pubblico/Pil fissato dalla Ue. Se tali politiche innescassero una ripresa inflazionistica basterebbe tornare alle vecchie regole per evitare problemi. Rischiamo altrimenti di affrontare una stagnazione infinita. In altre parole, ciò che si ritiene convenzionalmente imprudente, espandere il debito, sembra essere la sola cosa prudente da fare. In questo contesto che ruolo riveste il sistema bancario? Il sistema bancario vive il trauma della


crisi e l’attuale approccio al credito è caratterizzato da una scarsa propensione al rischio e, anzi, sembra contrario al rischio. La paura di sbagliare è prevalente e ciò comporta le difficoltà, vissute quotidianamente dalle imprese, a ottenere finanziamenti per impieghi produttivi. Il che si risolve a danno della crescita economica. Ridurre la propensione al rischio e minacciare di punire chi sbaglia ha creato un clima di paura. Il bravo banchiere deve sbagliare, e fintanto che l’errore è onesto questo è fisiologico. Cosa diversa sono gli errori commessi da quanti hanno infranto le regole. Il mestiere del banchiere è prendere rischi e finanziare coloro che prendono rischi imprenditoriali: senza rischi non si creano nuovi prodotti, non si aprono nuovi mercati, non si crea domanda; in altre parole, senza rischi non c’è crescita. Le banche hanno ridotto gli impieghi di decine di miliardi: ora è arrivato il tempo di essere più intrepidi altrimenti la stagnazione comporterà mali ben peggiori. Anche alle banche. Banche che già non se la passano bene. Che le sembra del nostro sistema del credito? Il Governo italiano ha preso tre importanti iniziative: la riforma della Banche popolari, la riforma delle Banche di credito cooperativo e la possibilità di cartolarizzare i “non performing loans” con la garanzia dello Stato. Le prime due

hanno una valenza storica molto importante. La prima è in fase di attuazione e consente una maggiore governabilità e contendibilità delle banche popolari che si trasformano in società per azioni e, conseguentemente, si possono più facilmente aggregare tra loro o con terze banche. Questo processo è sicuramente salutare. La riforma in fieri delle Banche di credito cooperativo dovrebbe consentire di consolidare l’ultima area del nostro sistema bancario che rappresenta la parte più frazionata in assoluto, ma ritengo prematuro giudicare tecnicamente la riforma. La garanzia pubblica per la cartolarizzazione dei Npl è un aiuto che, sebbene sia poca cosa rispetto ai massicci interventi effettuati per cassa dagli altri governi occidentali nei propri sistemi bancari, permetterà alle banche di disfarsi con minori costi dei propri Npl. Detto ciò il problema di fondo del nostro sistema bancario è proprio l’enorme massa di Npl: a differenza di altri sistemi bancari colpiti da errori, eccessi e patologie di natura non strettamente legata all’economia reale, le nostre banche hanno visto l’inesorabile deteriorarsi dei propri impieghi a causa della estrema lunghezza e severità della crisi economica che ha colpito il Paese. L’ammontare dei Npl ha raggiunto livelli tali che sono diventati difficilmente sostenibili senza operazioni straordinarie.

TURISMO 2.0, ARRIVA L’APPLICAZIONE CHE FA DA GUIDA TURISTICA ino a non molti anni fa, l’organizzazione delle vacanze era contraddistinta da un rituale molto particolare. Individuata la meta ed il pacchetto, si passavano ore e ore all’interno delle librerie, magari specializzate, alla ricerca di una guida turistica che permettesse di pianificare adeguatamente il viaggio. Per fortuna, oggi, tutto questo è superato grazie soprattutto ad internet. Tuttavia c’è chi si è spinto oltre, sfruttando il boom di smartphone e tablet, per creare un’applicazione del tutto nuova, che permette all’utente di costruirsi una vacanza su misura. L’applicazione si chiama Weekend in Italy, ed è stata realizzata dall’omonima azienda di Firenze, leader in Italia nel commercio elettronico del turismo e di servizi di prenotazione. Disponibile per le più comuni piattaforme mobili (iOS e Android), l’applicazione è una vera e propria guida dinamica interattiva, che permette agli utenti di gestire indipendentemente il loro viaggio, prenotare e verificare in tempo reale la disponibilità dei biglietti nei musei, saltando le lunghe code all’ingresso. In sostanza, consente una visita meno caotica e non standardizzata della città. La piattaforma permette anche di visualizzare tutti gli eventi che si svolgono nella città che si sta visitando, il tutto personalizzato in base agli interessi e ai gusti degli utenti, oltre che ai suggerimenti del team di Weekend in Italy. Tutto viene veicolato tramite notifiche push sul proprio smartphone o tablet, che hanno la funzione di avvisare istantaneamente l’utente. I suggerimenti vengono personalizzati in base a fonti molto diverse: i gusti espressi dall’utente nel suo profilo, la sua posizione geografica, l’ora del giorno e quella di apertura o chiusura delle attrazioni. Per i più ‘pigri’ c’è poi la possibilità di affidarsi ad itinerari creati dagli esperti di Weekend in Italy, che includono vacanze romantiche, prime e seconde visite in una città, visite con bambini e molto altro ancora. Carolina Natoli

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CONFAPI MATERA

INTERNAZIONALIZZAZIONE

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’internazionalizzazione come volano dell’economia o come ancora di salvataggio delle imprese locali. Comunque la si veda, l’internazionalizzazione è una carta vincente su cui Confapi Matera e le sue imprese continuano a puntare, in mancanza di una ripresa consolidata della domanda interna, ma anche in via generale. L’argomento è stato oggetto di un incontro con l’avv. Maria Teresa Napolitano e il Direttore Generale di Confapi, Massimo Amorosini, esperti, tra l’altro, di internazionalizzazione delle imprese. Di fronte a circa 80 imprenditori si è discusso della possibilità per le imprese locali di acquisire lavori di costruzione di infrastrutture o di realizzare operazioni di business all’estero in diversi Paesi, tra cui Franco Stella spiccano i c.d. Paesi emergenti. Franco Stella, direttore di Confapi Matera e organizzatore dell’evento, punta sullo Studio Legale Napolitano per cogliere le opportunità di lavoro in ambito internazionale per le imprese associate. “L’internazionalizzazione è una leva strategica per molte piccole e medie imprese e i professionisti cui ci siamo rivolti sono in grado di esplorare il potenziale esistente sul mercato globale e creare sinergie di processi produttivi, di marketing e vendita, accedendo anche alle risorse finanziarie necessarie”, commenta Stella. “L’avv. Maria Teresa Napolitano, oltre a occuparsi di diritto societario e diritto penale, ha sviluppato una grande esperienza in materia di internazionalizzazione delle imprese, assistendo aziende italiane in operazioni all’estero e aziende estere che hanno deciso di investire in Italia”. “Nell’incontro organizzato a Matera – prosegue il direttore dell’Associazione - sono state quindi approfondite le opportunità di lavoro in ambito internazionale per le imprese di

Confapi cui sarà fornita assistenza e consulenza in relazione a investimenti esteri diretti (mediante acquisizione di società locali e joint-venture con partner locali) e, più in generale, in relazione a progetti di espansione commerciale in diverse aree geografiche, come gli Stati Uniti, il Sud Africa, la Turchia, il Bahrein, il Qatar, l’Oman, la Tunisia, l’Algeria, il Ghana, il Mozambico e il Kenia”. “Il piatto forte, tuttavia, consiste nella possibilità di acquisire commesse per partecipare alla costruzione di grandi opere infrastrutturali all’estero, con l’assistenza e la consulenza nelle varie fasi dell’investimento ad opera di Confapi e dello Studio Legale Napolitano”. Ma perché uno studio legale e non, per esempio, un export manager o simili? “In realtà – precisa il direttore di Confapi Matera – l’avv. Napolitano oltre a essere un consulente legale con conoscenza delle legislazioni di tanti Paesi, è n grado di sviluppare relazioni con interlocutori locali, istituzionali e privati, di realizzare accordi di cooperazione e stipulare contratti, di ottenere finanziamenti; in una parola, è una miniera di relazioni e di contatti. Ministri e capi di governo si affidano a lei per trovare imprese in grado di soddisfare le richieste dei loro Paesi, che si tratti di costruire opere o di fornire beni. E le nostre imprese sono in grado di farlo, anche se hanno bisogno di aggregarsi, di mettersi insieme per reggere il peso di commesse importanti”. “Ovviamente – conclude Franco Stella – non è sufficiente acquisire un lavoro, ma occorre anche fornire un’assistenza specifica sulle principali implicazioni che possono derivare dall’intrapresa di un percorso di internazionalizzazione, assistenza fiscale, contrattuale, doganale, eccetera. Qui interviene il professionista legale”. (Re.NF)

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COSTUME & SOCIETÀ MORRICONE MA CHE MUSICA MAESTRO (DA OSCAR) (a pag. 48)

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A VIST A R E INT LUSIV ESC

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MAESTRO...CHE EMOZIONE

nnio Morricone ha vinto l’Oscar. E a sentire le sue dichiarazioni, sempre precise e tipiche della sua attitude, siamo quasi più emozionati noi di lui… In realtà il Maestro è sempre molto pragmatico e concentrato sul presente. Vincere l’Oscar è stata per lui una sorpresa, bellissima e meritata; dedicarlo alla moglie… Un pensiero meraviglioso! Ma Morricone ha già dichiarato che, pur sentendosi onorato, ora è già al lavoro sul prossimo progetto. In un momento in cui si ripercorre la carriera del Maestro su riviste e durante trasmissioni tv in tutto il mondo, sentendo da più parti, più o meno le stesse domande, ho ritrovato la registrazione di una chiacchierata fatta con lui subito dopo il grande concerto tenuto a Venezia in Piazza San Marco, durante la quale abbiamo toccato ‘note’ inedite molto spontanee. Il frammento di conversazione che vi propongo, si colloca tra il post serata del concerto, e la giornata trascorsa con il Maestro alla Mondadori di Roma, dove, con l’amico, conduttore e giornalista Marco Liorni, presentammo il progetto, animando un intero, affascinante - e a tratti sorprendente pomeriggio con il Maestro, tra l’ese-

di Nicola Bartolini Carrassi cuzione delle sue opere, e la ricostruzione della sua carriera con giornalisti ed estimatori. Nicola Bartolini Carrassi: Maestro, buonasera! Come sta? Ennio Morricone: Bene grazie! NBC: Senta Maestro…Ero a Venezia per il suo concerto…è stato bellissimo, complimenti. EM: Grazie! NBC: Una curiosità… ma lei, quando è in tour, a Venezia per esempio, o in altre parti del mondo, si porta una “bacchetta scaramantica” o per esempio usa sempre la stessa, ne usa diverse? EM: No beh…! Non ho bacchette scaramantiche, uso sempre la stessa ma può capitare che mi arrabbi in concerto: in quel momento ne prendo un’altra! NBC: Spero di non farla arrabbiare io, altrimenti me la dà in testa! EM: (ride) NBC: Senta…ma è una bacchetta che ha da quanto tempo? EM: Beh, da tanti anni…ne ho anche altre, molte delle quali regalate, perché mi regalano molto spesso delle bacchette ma alla fine non le uso. Finché non si rompe questa! NBC: Interessante, questa storia della bacchetta! EM: Beh si, però mi ricordo che anni fa ne avevo un’altra che ho spezzato sul leggio, durante un momento di rabbia, ma anche perché era di legno, non di bambù!! E mi ricordo anche che continuai a dirigere con la bacchetta a metà, per un po’ di tempo! NBC: Ma come può capitare che ci si arrabbi ? Forse qualche musicista che

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non esegue alla perfezione, oppure fa errori? EM: Beh…è tutta una questione regolata dalla disciplina…e poi, non ci si arrabbia mai durante un’esecuzione dal vivo ma solo nelle prove, è bene specificarlo! NBC: Non so se si ricorda il film ‘Red Dragon’: il professor Hannibal Lecter ad una cena, cucina le ‘parti migliori’ di un musicista reo di sbagliare alcune note, compromettendo l’armonia finale… spero che lei non abbia le stesse reazioni! EM: (ride) Beh, di arrabbiarmi veramente capita solo qualche volta durante le prove, nel caso qualcuno non sia attento, o abbia un calo di concentrazione… oppure capita che durante le pause qualcuno parli col vicino, quando invece dovrebbero stare zitti! NBC: Sono d’accordo, la disciplina è uguale dappertutto! EM: Sempre! NBC: Ma senta… lei ha detto che la bacchetta è stato il primo regalo che si è fatto…quando? EM: Eeeeeeh! Tanti anni fa! Beh ma questa è carina come cosa, di parlare della bacchetta, perchè per tanti anni si è parlato delle solite cose, mentre questa è una bella novità! Io, al conservatorio, ho imparato a non voler fare il direttore d’orchestra…ma perché questo? Perché il mio maestro, Petrassi, fu una persona bravissima e buonissima che però trascurava molto i suoi studenti, che venivano a lezione al conservatorio per diplomarsi in composizione per poi passare alla direzione d’orchestra. Riteneva che il tempo che “sprecava” con loro, fosse veramente un tempo


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inutile. Ed allora io ho imparato a non amare la professione del direttore d’orchestra. NBC: E però ci è caduto lo stesso! EM: No, invece, perché per anni, ho comunque diretto senza la bacchetta, come se fosse questo, un espediente che mi calmasse la coscienza! Poi, comunque, ad un certo punto ho impugnato la bacchetta, in quanto l’orchestra vede meglio con la bacchetta, che senza. NBC: Abbiamo parlato di Piazza San marco a Venezia. Qual è secondo lei la giusta ambientazione per un suo concerto? EM: Beh, Venezia è un posto giusto! Adesso non posso dire naturalmente che preferisco Venezia a tutti i posti del mondo. E’ stata una bellissima situazione, dirigere due concerti in quella piazza. Bellissima Venezia, bellissimo è stato alla Scala, bellissimo a Santa Cecilia, tutti luoghi straordinari! NBC: E dove vorrebbe dirigere il prossimo? EM: Non penso mai al prossimo concerto! Però, d’altro canto, devo dire che non ho mai diretto al Comunale di Firenze! NBC: Ho capito… e senta, se dovesse scrivere o dirigere musica in un posto lontano dalla città, della civiltà moderna, un luogo che la ispira particolarmente… Mi viene in mente la Foresta Pluviale o l’Amazzonia? EM: Immerso nel verde, bellissimo! Scriverei una musica apposta. Mi viene in mente una situazione, nella quale ci sarebbero più orchestre, per esempio cinque, disposte lungo un cerchio nel verde che abbia come raggio 100-150 metri. Così la musica arriverebbe come un eco alla gente che si trova al centro, trasmessa tramite natura ed amplificazione. Ed il direttore (io) sarebbe visibile solamente tramite telecamere. NBC: Sicuramente la vegetazione e le piante ne godrebbero: le piante amano la musica. Per lei la musica può essere intesa come terapia? Per le piante e gli animali può essere prodigiosa, per i bambini certamente una terapia…ma per lei? EM: Un certo tipo di musica può esserlo, oppure può illuderci

che sia una terapia: ci vuole una musica che non abbia punte, che sia serena, che abbia veramente una sospensione astratta e quindi deve avere delle caratteristiche che non disturbino ma che tranquillizzino. NBC: Certo! C’è una sua musica che la tranquillizza, che quando l’ascolta la rilassa? EM: Allora guardi, ce ne sono molte… però ce n’è una che mi fu commissionata dalla regione Trentino che ho scritto per cinque quartetti, una voce di soprano. Questi cinque quartetti che suonano prima da soli poi in combinazione mi pare fino a 36 combinazioni sincrone, ed era dedicata al Lago di Garda (“Vidi Aquam”). Prima la registrammo in sala da concerto, ma quando venne eseguita direttamente sul lago, le assicuro che fu uno spettacolo. NBC: Posso immaginare! Si specchiava, sul lago! EM: Si! NBC: Senta maestro, lei da piccolo si immaginava a dirigere un’orchestra? EM: No, no. Pensavo di fare il medico. NBC: Il medico. Come mai? EM: Ma sa, io da piccolo avevo un pediatra che mio padre pagava bene ed allora era il pediatra dei figli di Mussolini… Era un professore romagnolo, si chiamava Ronchi e mi lasciava contento quando visitava me ed i miei fratelli, ed allora volevo fare il medico. NBC: E’ davvero importante essere precisi nella direzione di un’orchestra? E questa precisione si potrebbe paragonare alla precisione con la quale opera un medico? EM: Sa, ci vuole per entrambi una grande concentrazione e precisione! Solamente che se io sbaglio non muore nessuno e se ne accorgono in pochi…dirigendo, per fortuna, non si ha mai tra le mani la responsabilità della vita di una persona! Comunque io mi accorgo che qualche volta l’orchestra allenta un po’ la concentrazione, ma lo fa solamente anche quando io abbasso la guardia…ma poi me ne accorgo e mi riprendo immediatamente!

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NBC: Maestro, non voglio annoiarla oltre, ed è stato un piacere poter parlare con lei! EM: Non si preoccupi, non mi ha affatto annoiato! Abbiamo toccato dei punti come la bacchetta ecc, che non ho mai toccato con nessuno, quindi lei è stato originalissimo! NBC: Grazie. Ho amato la sua musica sin da bambino, quasi inconsapevolmente. La sua musica è sempre stata con me da quando avevo 5 anni…Allora la Rai, era il 1975, trasmise “Spazio 1999” una co-produzione tra Italia e UK. La Rai inserì alcuni dei suoi brani storici. A proposito, si nasce o no con la musica nel DNA? Si può divenire compositori, se non lo si è dentro? EM: Forse…non le so dire con sicurezza cose che non ho mai pensato, ma sicuramente quando mio padre, a 5 anni mi insegnò la chiave di violino, iniziai immediatamente a comporre…poi a 10 anni buttai tutto, ed ora non ce n’è più traccia… Comunque erano cose a 2 corni, questo faceva presupporre che io sia sempre stato adatto ai western. Mi piaceva l’Ouverture di “Il franco cacciatore” di C.M. Von Weber, oppure ascoltare alla radio “L’improvviso” di Giordano, però non pensavo di far il compositore. NBC: Le mancano i western? EM: No! Per nulla! Anzi, li rifiuto! (ridono entrambi). Dopo Leone, non posso più fare western. NBC: Ah, ok…quindi le manca (Sergio) Leone! EM: Certo, come amico e come persona… NBC: E se arrivasse un “nuovo” Leone, magari con le stesse intuizioni, lei farebbe di nuovo western? EM: Non credo, anche perché ho già rifiutato in via personale e non ufficiale, un grande film, che ha fatto un grande successo in America, ma lascio a voi cercare di capire il titolo, in quanto io non ne parlo più! NBC: Sto già cercando di indovinare! Senta, maestro è stata una bella chiacchierata, spero di poter venire al suo prossimo concerto, e magari scrutare un po’ da vicino la sua bacchetta! EM: Va bene! Allora a presto e grazie, arrivederci! NBC: Arrivederci e a presto! E grazie per tutte le emozioni che ci ha regalato e continua a regalarci. Da oggi sotto lo sguardo attento e divertito della statuetta d’oro che ora ha con se’ a casa.

Nelle foto: alcuni momenti del tour promozionale in occasione dell’uscita del concerto ‘Note di Pace’. Con il Maestro Ennio Morricone, il giornalista e produttore Nicola Bartolini Carrassi. Agli incontri con il pubblico presso Mondadori a Roma ha partecipato anche il giornalista, conduttore e scrittore Marco Liorni

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L’ITALIA CERCA LA VITA SU MARTE di Roberto Di Meo

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i chiama Exomars 2016. E’ la prima delle due missioni europee che tenteranno di trovare le prove dell’esistenza di forme di vita su Marte, il pianeta rosso. Una sfida molto ambiziosa che vede l’Italia protagonista. Infatti una sonda tutta italiana, dal nome Schiaparelli (dedicata al grande astronomo italiano famoso per i suoi studi sul pianeta rosso) scenderà su Marte e ne studierà l’atmosfera. Questa prima missione partirà a metà marzo dalla base spaziale russa di Baikonur, nella steppa kazaca. Exomars è stato concepito e realizzato per dimostrare che, non solo la Nasa, ma anche l’Europa è capace di eseguire un atterraggio controllato sulla superficie marziana, operare su quel terreno, e cercarne con sofisticati strumenti scientifici eventuali tracce di vita passata o presente. Ma andiamo con ordine. Questa prima missione partirà, come si diceva, a metà marzo (tra il 16 e 25) e porterà sul pianeta rosso due sonde: una navicella madre che si chiama Exomars Trace gas orbiter (Gto) che orbiterà intorno a Marte ad

una altezza di 400 km mentre la sonda Schiaparelli si sgancerà e scenderà sul pianeta. Poi nel 2018 sarà la volta di una seconda missione che porterà sul pianeta rosso un rover che studierà il sottosuolo. Il trapano, costruito interamente in Italia, arriverà alla profondità di due metri. Molto di più delle sonde

americane lanciate qualche anno fa. Ne abbiamo parlato con il professor Enrico Flamini, coordinatore scientifico dell’Agenzia spaziale italiana ed esperto di Marte. “Si tratta – sottolinea Flamini – di una missione importante che sta a dimostrare che anche noi europei possiamo essere protagonisti. La missione Exomars, per la quale l’Italia è in prima fila, porterà sul pianeta rosso una sonda che, non a caso si chiama Schiaparelli. E’ un modulo che si sgan-

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cerà dalla sonda madre Gto, presumibilmente entro il mese di ottobre ed entrerà nell’atmosfera marziana. Sarà una discesa programmata. Quando la sonda avrà raggiunto una certa altezza dal suolo marziano si aprirà un paracadute e, quando sarà a poca distanza dal terreno si accenderanno dei retrorazzi di frenata. La sonda, poi, si poserà espellendo una struttura deformabile e adattabile al suolo. Ed è a questo punto che inizierà la parte scientifica. A bordo c’è uno strumento che si chiana Dreams e che funge da stazione meteo. Misurerà la pressione atmosferica, l’umidità, l’elettricità dell’aria e le polveri sottili del pianeta rosso. Questa fase durerà pochissimo tempo, solo quattro giorni marziani, perché la sonda è alimentata a batterie. Ma i dati che trasmetterà sulla Terra saranno estremamente importanti. Mentre la sonda Schiaparelli lavora su Marte – continua il professor Flamini - il modulo orbitante Gto, continuerà la sua funzione scientifica effettuando misure più approfondite delle precedenti missioni effettuate sul pianeta rosso. Si analizzerà l’atmosfera


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di Marte, la percentuale di metano contenuta in essa e, sempre a bordo, ci sarà una camera ad alta definizione, a colori, costruita da aziende italiane e svizzere che effettuerà delle fotografie e una mappatura del suolo marziano in 3D per studiare con estrema precisione quali possono essere le eventuali basi di atterraggio di una missione umana. Questa sonda satellite servirà anche da ponte radio per l’invio di dati da Marte alla Terra e per preparare la seconda avventura che verrà effettuata nel 2018 quando una nuova navicella europea sgancerà sul pianeta rosso un Rover che studierà molto più approfonditamente il suolo e l’atmosfera marziana per capire se ci possono essere state o ci siano condizioni di vita. Il rover ha una specie di trapano costruito interamente in Italia che penetrerà nel suolo fino a due metri e mentre

compie questa operazione effettuerà delle analisi sugli strati del terreno stesso analizzandone la composizione chimicogeologica. L’Italia è il maggior contribuente per questa missione su Marte e, non a caso, il modulo che funge da stazione meteo è stato chiamato Schiaparelli in onore del grande scienziato italiano che per primo studiò Marte. Per quanto riguarda infine una missione umana su Marte – conclude Enrico Flamini - dovremo aspettare ancora qualche decennio nel senso che molti scienziati pensano che si possa realizzare tra il 2035 e il 2050. Ma se i paesi si mettessero insieme facendo un unico sforzo, non solo scientifico ma anche economico, è probabile che ci si possa fare prima del 2030. Magari potremo anche esserne testimoni diretti”.

“L’INDUSTRIA ITALIANA AVAMPOSTO NELLO SPAZIO” “L’Europa sta per andare su Marte, una missione molto ambiziosa e molto complessa. E in questa missione c’è molta Italia”. Il professor Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia spaziale italiana, commenta così la prossima missione che partirà da Baikonur, nel Kazakistan a metà marzo. “Il nostro Paese – prosegue Battiston - ha sostenuto Exomars con il massimo sforzo e in tutte le sedi. Dal punto di vista scientifico, nelle due spedizioni del 2016 e del 2018, Exomars cercherà tracce di vita nel sottosuolo del Pianeta Rosso e forse potrà dare una risposta al mistero della vita nell’Universo. Dal punto di vista tecnologico è un grande programma europeo dove l’Italia mette a disposizione le sue migliori eccellenze industriali, ricordo che Thales Alenia Space Italia, joint venture tra Finmeccanica e Thales, è Prime Contractor, e poi c’è il ruolo di Altec, la partecipata dell’Agenzia Spaziale Italiana e di Roberto Battiston Thales Alenia Space Italia, che realizzerà e gestirà il Centro di Controllo del Rover di Exomars 2018 a Torino.Exomars ha una carica evocativa enorme, se pensiamo al progetto di mandare, tra 25 o 30 anni una missione umana su Marte, un’impresa che si realizzerà solo mettendo assieme il meglio della tecnologia, della scienza che abbiamo in tutto il mondo. Ricordiamoci si va nello spazio collaborando, la Stazione Spaziale Internazionale ne è l’esempio più importante. Lo spazio è però anche una grande occasione di sviluppo sociale ed economico. Fino ad oggi la Space Economy ha mosso un fatturato di circa 250 miliardi di dollari l’anno, ma è un conto che riguarda sostanzialmente le imprese della filiera, per capirci, chi fa satelliti, razzi e quant’altro. Tutto questo sta cambiando velocemente, e si sta muovendo verso la scoperta del grande valore nascosto nell’impressionante mole di dati che ci arrivano dall’osservazione della terra. Non solo le telecomunicazioni e i sistemi GPS, senza i quali oggi non potremmo fare a meno, ma la meteorologia avanzata, l’analisi raffinata dell’agricoltura e dell’industria, la prevenzione e gestione dei disastri naturali e causati dall’uomo, il climatechange, e innumerevoli altre applicazioni. Si tratta di far lavorare la mente e tirare fuori le idee giuste, come in molti paesi del mondo, tra cui l’Italia, si sta facendo”.

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CINQUE TERRE MON AMOUR di Franco Antola

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’ultimo, prestigioso riconoscimento è arrivato da Crea Traveller Japan, la più accreditata e glamour fra le riviste di viaggio del Giappone. Una sorta di Bibbia per i turisti di fascia alta (ma non solo) a caccia di eccellenze naturalistiche e di specialità enogastronomiche. Una consacrazione delle vocazioni delle Cinque Terre, che del resto vantano da tempo fra i giramondo del Sol Levante un consolidato apprezzamento, come testimoniato dal numero degli arrivi nel comprensorio della Liguria di levante. Corredata da bellissime foto d’autore, Crea Traveller dipinge con toni entusiastici gli scorci mozzafiato delle Cinque Terre, corredando il tutto con una guida ragionata su soggiorni, servizi, itinerari, eccellenze enogastronomiche e quant’altro possa solleticare la voglia di vacanza outdoor dei turisti made

in Japan. Insomma le Cinque Terre continuano a tirare, confermandosi la vera locomotiva del turismo provinciale e regionale, a dispetto di una congiuntura economica internazionale non del tutto favorevole, che pesa non poco sulle prospettive del settore. Ma tant’è: Monterosso, Corniglia, Manarola, Riomaggiore e Vernazza continuano ad affascinare con i loro panorami ineguagliabili i viaggiatori di mezzo mondo. Il problema non è dunque la ricerca di nuovi turisti ma la capacità di dare risposte adeguate in termini ricettivi e di servizi a flussi imponenti di visitatori che, senza un’organizzazione all’altezza, rischierebbero di danneggiare un delicatissimo ecosistema come quello delle Cinque Terre. In questo contesto si colloca, così, il problema dell’efficienza del sistema

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dei collegamenti ferroviari, considerato di gran lunga il mezzo più adatto per convogliare visitatori nei borghi delle Cinque Terre, oltre al trasporto via mare (peraltro limitato alla stagione estiva) e a quello via terra. Nervo scoperto, a livello locale, quello dei convogli per le Cinque Terre che in primavera-estate denunciano molti dei loro limiti a causa di vetture sovraffollate e non sempre in orario, spesso riserva di caccia di ladri e borseggiatori. Un tema a cui il Parco Nazionale Cinque Terre non è ovviamente insensibile, facendo pesare il problema nella trattativa per la convenzione con Trenitalia assieme ai comuni interessati. Ma qual è il turista tipo che sbarca alle Cinque Terre? I flussi di visitatori sono diversificati, sia con riferimento all’età che alla nazione di provenienza. Così, ci sono i cultori delle offerte eno-


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gastronomiche; gli amanti del turismo esperienziale (area marina protetta) e di quello culturale, per quanto siano ben pochi i monumenti da visitare, a parte i bellissimi santuari arroccati praticamente in ogni borgo. Negli ultimi tempi si è imposto poi il turismo di massa, favorito dallo sviluppo del movimento crocieristico, soprattutto quello con scalo nel porto della Spezia. Una rapporto complesso quello con le navi da crociera, fortemente sostenuto da alcuni operatori, per via del suo forte valore aggiunto in termini di consumo in loco (bar, ristoranti, produzione enogastronomica, souvenir, eccetera) e tenacemente osteggiato da altri, preoccupati per la sostenibilità ambientale dei massicci sbarchi dalle super navi da crociera. Resta il fatto che il traffico crocieristico è una delle voci più

“pesanti” nella micro economia locale, se solo si pensa che nel 2015 hanno fatto scalo alla Spezia 179 navi, più del doppio rispetto al 2013 e in sensibile crescita rispetto al 2014. Circa 650 mila i visitatori sbarcati in porto (nel 2014 erano stati 468 mila), molti dei quali hanno scelto proprio le Cinque Terre come meta delle loro escursioni. Un bel contributo all’economia locale, visto che un crocierista spende in media 20 euro a testa nel territorio. Il 2016 si annuncia anche più ricco, considerato il trend che porterà alla Spezia, dal 7 giugno, anche la regina del mare Harmony off the Seas, terza gemella della classe di navi più grandi del mondo con i suoi 362 metri di lunghezza. Un bene o un male per le Cinque Terre? Questione di punti di vista, come sempre.

PARLA IL PRESIDENTE DEL PARCO

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ittorio Alessandro, sessant’anni, siciliano di Porto Empedocle, già ufficiale della Marina militare col grado di contrammiraglio, importanti incarichi nelle Capitanerie (è stato anche comandante del Reparto ambientale), volto noto al grande pubblico per essere stato portavoce della Guardia Costiera all’epoca del naufragio della Concordia, è dal 2012 al vertice del Parco Nazionale delle Cinque Terre - Area marina protetta, prima come commissario, poi come presidente. Dottor Alessandro, cosa c’è nel futuro del Parco? “L’obiettivo che ci siamo dati, partendo dalla considerazione che visitatori e presenze sono in costante crescita, è quello di alzare l’asticella della qualità. La strada è migliorare l’accoglienza e qualificarla, anche in rela-

zione alla particolare fragilità del territorio in cui il Parco insiste. I residenti pagano un prezzo molto alto da questo punto di vista. Ed è una parti-

Vittorio Alessandro

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colarità che segna il Parco delle Cinque Terre molto di più rispetto agli altri, essendo il più piccolo, il più densamente abitato, il più raggiunto dai turisti, non solo quelli che si fermano ma anche quelli che fanno tappa giornaliera. Il rischio è la perdita della sua identità. L’obiettivo è quello di un turismo sostenibile da promuovere con una strategia europea che Europarc ha già testato da anni in altre analoghe realtà. La nostra strategia della qualità ambientale, attraverso il marchio, cerca di qualificare sia l’accoglienza alberghiera che quella della ristorazione in modo da poter veicolare messaggi di identità, usando le strutture tipiche del parco”. Cinque Terre un modello sempre valido? “Certo. Si tratta di un modello valido ed esportabile. Le nostre particolari


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caratteristiche sono un elemento che ci accomuna anche ad altre realtà. In Italia, per esempio, abbiamo molte cose in comune con Venezia, proprio per la sua fragilità. Ma ci sono elementi di somiglianza anche altrove. Il Parco, vero laboratorio di bellezze, però da solo non può farcela, ha bisogno della collaborazione di comuni e istituzioni”. C’è un limite alla sostenibilità? “Il limite non superabile è quello della percorribilità dei sentieri. Su questo aspetto abbiamo avviato con l’Università di Venezia strategie che consentiranno di stimare il numero massimo di passaggio sui sentieri, realizzati a suo tempo per i contadini. L’idea è di andare se non verso il numero chiuso, quantomeno verso la selezione e l’indirizzo dei flussi. Una possibile strategia è quella della pre-

notazione. La nostra Card, con il suo pacchetto di servizi, è un modello inedito e ci consentirà di razionalizzare gli ingressi. Purtroppo stiamo lavorando a treno in corsa e una stagione turistica già in cantiere. Non si tratta di alzare steccati ma di migliorare e razionalizzare le visite”. Le Crociere, col loro carico di turisti, sono un bene o un male per il Parco delle Cinque Terre? “La crociera, considerato l’attuale flusso, valutato in 400 mila turisti l’anno su un totale di circa due milioni e mezzo, è oggettivamente un elemento di criticità. I crocieristi arrivano in grossi gruppi e tempi contingentati. Visite brevi e massicce rappresentano una filosofia turistica contraria a quella del Parco. Vorremmo che l’Autorità portuale in questo ci aiutasse meglio. Fin qui abbiamo aperto solo un nostro

ufficio alla stazione marittima, ma non serve solo informazione. Occorre un lavoro concertato con tutte le istituzioni: se con Trenitalia, e battellieri si lavorerà proficuamente, anche le crociere diventeranno un volano positivo di sviluppo”. Dici Cinque Terre e pensi alla via dell’Amore, che però è ancora chiusa dopo la frana. A che punto siamo? “Aspettiamo dal Comune il progetto per la riapertura. Il comune ha gelosamente custodito per sé questa competenza per via di vecchie questioni che ancora oggi ci portiamo dietro. Allo stato non è quindi possibile stimare costi e tempi. Abbiamo la piena consapevolezza che non si possa aprire indiscriminatamente il percorso, per questo abbiamo puntato e stiamo puntando sul resto della sentieristica”. Franco Antola

I NUMERI E I SERVIZI

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l movimento turistico annuale nel comprensorio delle Cinque Terre, è imponente, calcolato in oltre due milioni e mezzo di visitatori. Attualmente sono disponibili circa 450 strutture ricettive, per la maggior parte, extra alberghiere le quali ( 90,6%, contro il 9,4degli alberghi). Lo strumento più comodo per accedere al Parco è la carta dei servizi, introdotta fin dal 2001 con la Cinque Terre Card e la Cinque Terre Card Treno MS frutto della convezione con Trenitalia. La prima consente l’accesso ai dei servizi erogati dall’Ente Parco e costituisce una sorta di autofinanziamento. Il ricavato è finalizzato infatti al mantenimento e al recupero del territorio nonché all’erogazione dei servizi di mobilità all’interno del Territorio. In particoolare, la Carta Parco “Trekking Card” consente: l’accesso all’area Parco; visite guidate secondo programmazione; l’utilizzo del servizio bus gestito da ATC all’interno dei paesi; l’uso dei servizi igienici a pagamento; la partecipazione ai laboratori del Centro di Educazione Ambientale del Parco; la navigazione ad internet WI-FI negli Hot Spot del Parco e l’ingresso con tariffa ridotta ai musei spezzini. Fra i servizi offerti dalla Carta Treno MS, l’accesso in seconda classe ai treni regionali e regionali veloci (esclusi i treni IC/ICN/FB) nella tratta Levanto - La Spezia (e viceversa), l’accesso all’area Parco. I prezzi variano a seconda della tipologia (servizi, gruppi, eccetera) dai 5 ai 120 euro.

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GLI AMBASCIATORI DEL CIBO di Donatella Miliani

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ono tra i migliori ambasciatori dell’italian style a Londra. I grandi chef che attraverso il cibo promuovono l’eccellenza tutta tricolore a tavola. E se in TV siamo abituati a vedere format con i volti di personaggi celebri, che collaborano al buon andamento del programma sfidandosi però poi nelle cucine dei rispettivi ristoranti, nella capitale inglese capita invece di ritrovarli addirittura tutti riuniti intorno allo stesso tavolo (grazie a un'iniziativa della Delitalia società di Brescia che si occupa da anni di import di prodotti alimentari e vini italiani d'eccellenza nel Regno Unito), alla prestigiosissima Locanda Locatelli, nell’elegante Seymour Street, con uno dei pionieri della ristorazione italiana a Londra Franco Taruschio (approdato nel Galles negli anni ’70 in uno sperduto paesino

per proporre in un pub i piatti della cucina marchigiana!) che, insieme allo stellato Giorgio Locatelli prepara un menù nel segno delle Marche da abbinare ai vini della cantina Santa Barbara di Stefano Antonucci, uno dei produttori di vino già apprezzati nei migliori ristoranti inglesi dagli anni ‘90. È così che ti ritrovi ad ascoltare aneddoti che solo chi lavora nel ‘dietro le quinte’ di cucine così importanti, conosce. Che siano di origini abruzzesi, come Aldo Zilli da Alba Adriatica, o calabresi come Francesco Mazzei da Cosenza (volto celebre quest’ultimo anche della Bbc dove protagonista di un programma del sabato mattina molto seguito dal pubblico inglese), lombardi come Giorgio Locatelli da Corgeno, Varese, o marchigiani come appunto Franco Taruschio poco importa. Questi

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grandi chef a Londra non solo riescono a sfoderare il meglio della cucina italiana di eccellenza ma anche a essere amici, sinceri, tra di loro. Del resto clienti come Madonna, i Beckham, Colin Firth e signora ma anche Glenn Close, Robert Wyatt, Robin Williams o Johnny Depp e tanti altri siedono e apprezzano la cucina degli uni e degli altri. Insomma, nessuna concorrenza in una città dove il fatturato di certi ristoranti viaggia sui cinque, sei milioni di sterline l’anno, cifre inimmaginabili per chiunque in Italia. La clientela sofistica e internazionale londinese apprezza sapori, profumi e creatività degli italiani ma anche l’eleganza di locali dove la parola d’ordine è qualità, sempre. Il vero italian style. «E in questo senso - ammette Mazzei 41 anni, autentico mago della n’duja che ha espor-


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Il gruppo nella cucina della Locanda Locatelli da sinistra: Franco Taruschio, Stefano Antonucci, Giorgio Locatelli, Francesco Mazzei). Nell'altra foto l'interno del ristorante Locatelli a Londra

tato e fatto conoscere nell’alta cucina – siamo dei veri e proprio ambasciatori del nostro Paese». «Ormai si viaggia sempre di più. L’Italia è una delle mete preferite e chi gusta certi piatti poi al ritorno, qui a Londra,ricerca quei sapori. Sempre più inglesi ormai riconoscono la qualità di un autentico piatto italiano da uno ’taroccato’ e cominciano anche a distinguere e apprezzare la regionalitá. E’ finita l’epoca in cui nell’immaginario collettivo il ristorante italiano era comunque pizza, spaghetti e mandolino». Gli fa eco Locatelli il più famoso cuoco italiano fuori dai nostri confini. Basti dire che affascinava le platee televisive inglesi quando

Cracco lavorava ancora per Peck e Barbieri spadellava nella sua Romagna. Dal 2002 chef-patron di Locanda Locatelli a Londra, una stella Michelin. Come mai invece di crescere nel locale di famiglia (sul lago di Comabbio), ha scelto di trasferirsi a Londra? «Comabbio mi andava stretta – dice –. Londra mi è sempre piaciuta, perciò...». Ma come è riuscito a ottenere e soprattutto mantenere nel tempo tanto successo? «Credendoci e lavorando sodo. Prima allo Zafferano e poi qui. Come restare ad alti livelli? Con un team di gran qualità. L’errore da non fare invece è pensare che il cliente non sappia. Oggi, la conoscenza della cucina italiana

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ovunque nel mondo non è più prerogativa di pochi. Anche i non gourmet hanno un’infarinatura base. A fare la differenza perciò sono la qualità dei piatti e del servizio. Gli inglesi apprezzano». Mai pensato di tornare in Italia? «No, sarebbe sciocco lasciare una posizione così importante costruita in più di venti anni di lavoro. Magari fra tanti anni...». Tornerebbe sul lago di Comabbio? «Non credo, piuttosto mi trasferirei in Sicilia: terra ricca di sapori e con una cucina che adoro, ma soprattutto con tanto sole e caldo che qui e anche dalle mie parti nel nord Italia sono invece cose rare...».


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MASCIARELLI, CUORE ABRUZZESE di Katrin Bove

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uno dei simboli della rinascita dei vigneti autoctoni e dell’enologia meridionale. Il suo fondatore, Gianni Masciarelli, ha seminato bene negli anni. E lasciato nelle mani della moglie, Marina Cvetic, un patrimonio di eccellenza, onestà, rispetto per la terra e i suoi frutti. L’azienda nasce nel 1978 dalla visione appunto di Gianni Masciarelli, figura simbolo del panorama enologico italiano, e dalla sua volontà di fare dai vitigni autoctoni abruzzesi dei grandi vini. Centro vitale e cuore pulsante della cantina è San Martino sulla Marrucina, un piccolo e antico borgo in provincia di Chieti, a 420 metri di altezza sulle colline a metà strada tra l’Adriatico e le cime spesso innevate della Majella. Le condizioni pedo-climatiche di questo luogo si caratterizzano per una combinazione unica di calde brezze provenienti dal mare e venti freddi dell’Appennino che, “accarezzando” le uve per tutto l’anno, le arricchiscono di eleganza e contribuiscono alla loro salute. Le radici nel territorio E’ qui che Gianni Masciarelli si è dedicato a coltivare la vite per produrre vini di altissimo livello. Lo ha fatto con amore, passione e sapere, frutti non solo dell’esperienza, ereditata dal nonno Giovannino, o maturata con il lavoro sul campo, ma anche di studio e ricerca. Amore per la terra e per la famiglia, la sua grande forza. Insieme alla moglie Marina Cvetic, alla quale ha dedicato alcune delle sue più importanti etichette, Gianni Masciarelli ha valorizzato

e promosso i vitigni autoctoni, facendo diventare la sua azienda il simbolo del rinnovamento e dell’affermazione dell’enologia abruzzese e contribuendo a far entrare il Montepulciano d’Abruzzo nella mappa mondiale della viticoltura di eccellenza. Il territorio abruzzese è molto vario, un paesaggio aspro e talvolta ancora selvaggio che degrada dalle montagne alle colline che scendono dolci fino al mare. I vigneti Masciarelli si estendono in tredici comuni di tutte le quattro province abruzzesi. In gran parte coltivati a Montepulciano d’Abruzzo e Trebbiano, vi trovano posto anche il Cabernet Sauvignon, nelle tenute di San Martino sulla Marrucina e di Ripa Teatina, vicino Chieti, o il Merlot e il Cabernet Franc nei poderi di Ofena nei pressi dell’Aquila. La straordinaria varietà di terroirs permette di ottenere una lettura unica dei vari vitigni e di interpretare tutta la ricchezza del territorio

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regionale. La missione Diceva Gianni Masciarelli che “Il vino è lavoro, passione, amor di natura, intuizione. Poi socialità e convivialità. E qualche volta rara e preziosa, anche profonda amicizia”. I principi ispiratori dell’azienda rimangono quelli del suo geniale fondatore, il cui lavoro dal 2008 è condotto con passione e determinazione dalla moglie: massima qualità dei vini, tutela del territorio, costante ricerca, capacità d’innovazione. Ulteriore testimonianza di questa filosofia produttiva è vinificare il Montepulciano in purezza per conferirgli


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un carattere proprio e il nuovo Trebbiano, anch’esso in purezza, denominato “Castello di Semivicoli” in onore dell’antica dimora baronale trasformata in uno dei più accoglienti relais-chateaux d’Abruzzo. La produzione vinicola, a cui si affianca anche una piccola quantità di olio extravergine

Marina Cvetic Masciarelli

di oliva, è suddivisa in diciotto etichette e cinque linee: Linea Classica, Gianni Masciarelli, Villa Gemma, Marina Cvetic e Castello di Semivicoli, per un totale di 2,5 milioni di bottiglie prodotte nel 2015. Marina Cvetic

Masciarelli ha particolarmente contribuito all’internazionalizzazione dell’azienda dedicandosi all’apertura di nuovi mercati e alla crescita delle esportazioni che in pochi anni hanno raggiunto oltre 55 Paesi. Ospitalità La famiglia Masciarelli si dedica anche alla promozione dell’enoturismo grazie all’acquisizione e al restauro conservativo - durato cinque anni, dal 2004 al 2009 - del Castello di Semivicoli, palazzo baronale del XVII secolo a pochi chilometri dal borgo di San Martino sulla Marruccina. Un “Relais de Charme” tra i vigneti, diventato anche ambientazione di film, dov’è possibile soggiornare e apprezzare, nel rispetto dell’ambiente e della tradizione gastronomica abruzzese, i migliori abbinamenti tra i vini di produzione e i gustosi piatti della cucina regionale a base di carne e pesce a “chilometro zero”, anche in occasione di eventi musicali e mostre d’arte. “Accogliere e guidare i visitatori alla scoperta del nostro mondo e del mistero senza tempo che è il vino, è parte del nostro lavoro - dichiara Marina Cvetic – Per questo, la cantina Masciarelli è aperta al pubblico tutti i giorni lavorativi e su appuntamento è possibile prenotare una visita guidata, individuale o di

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gruppo. Accompagnati dal nostro personale, si possono visitare gli ambienti in cui l’uva arriva e inizia la sua trasformazione, la sala dei tini dove riposa il Villa Gemma Rosso, la Bottaia dei Rossi con oltre mille barrique di rovere francese avvolte dalla musica classica in filodiffusione, la Bottaia dei Bianchi che accompagna la maturazione di Trebbiano e Chardonnay, la sala dei tonneaux da 500 litri, dedicata ai genitori del fondatore, Amedeo e Liberata. Dopo la visita, nel negozio adiacente la cantina, si può trascorrere una piccola pausa di piacere per degustare e acquistare i vini della casa, quelli della Masciarelli Selection e i più caratteristici prodotti gastronomici della linea Masciarelli Food, realizzati in co-marketing con aziende d’eccellenza del territorio. All’interno del negozio è stata creata la Masciarelli Wine School che ospita corsi di avvicinamento al vino, e degustazioni di gruppo, tenuti da personale esperto e sommelier. Dotata di 25 banchi singoli per gli assaggi, desk per lezioni frontali e videoproiezione, la struttura può essere usata anche per eventi privati, corsi di formazione, “incentive” aziendali. “Ieri come oggi – conclude Marina Cvetic – il successo della cantina non sarebbe possibile se a fare da sprone non ci fossero una grande passione per la terra d’Abruzzo e i valori del cosiddetto Codice Masciarelli, nel quale si legge che <le cose da realizzare sono state pensate da Gianni a suo tempo, sulla base di principi etici basilari: eccellenza, onestà e rispetto>”.


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“SPARAME ‘N PETTO” di Valeria Caldelli

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i è sempre buttato in tutto: in politica, con le donne e nel lavoro. Lo riconosce lui stesso e racconta che da ragazzo, proprio per questa sua irruenza e generosità a Roma lo chiamavano “Sparame ‘n petto”. E si domanda: <Ma mi sarà convenuto buttarmi dappertutto o no?>. A giudicare dalla sua popolarità si direbbe proprio di sì. Massimo Ghini è oggi uno degli attori pop del cinema italiano, e non solo. Anche la televisione e il teatro lo vedono raccogliere un successo dopo l’altro. Ha dato il suo volto a Enrico Mattei, Antonio Meucci, al giovane Papa Giovanni, a Galeazzo Ciano e al dottor Manson nel ‘remake’ della Cittadella; ha al suo attivo film con Franco Zeffirelli, Paolo Benvenuti, Cristina Comencini, Francesco Rosi e Paolo Virzì, ma non disdegna i cinepanettoni, di cui è un interpete (quasi) fisso, come nel recentissimo ‘Vacanze ai Caraibi’; il teatro lo appassiona da sempre, tanto che ha debuttato con Strehler, ha lavorato con Lavia e ha affiancato Gassman nell’Otello. Della piece teatrale che adesso sta portando in tour, ‘Un’ora di tranquillità’, è non solo l’interprete istrionesco, ma anche il regista. Tre volte sposato, quattro figli, ha una passione mai sopita per la politica, ereditata dal padre ex partigiano, che l’ha portato a ri-

coprire incarichi di responsabilità prima nel Pds e poi nel Pd. Insomma Massimo Ghini la vita la prende di punta e non si lascia sopraffare dalle avversità. -Tra le molte attività a cui si è dedicato, compresa la pallanuoto, quando ha capito che voleva fare l’ attore? <Credo di averlo sempre saputo. Mia madre mi raccontava che da piccolo dicevo di voler diventare pianista, o direttore di orchestra. In realtà, però, io dentro di me ho sempre avuto la consapevolezza di voler diventare un attore. Però ho dovuto faticare molto per raggiungere l’obiettivo. All’inizio volevo frequentare l’Accademia di arte drammatica, ma mi bocciarono. Così io mi presentai ad un provino di Strehler, e lui mi prese subito, tanto che mi fece debuttare all’Odeon di Parigi quando avevo solo 22 anni>. -Perché lei la vita la prende a schiaffi.... <Veramente all’inizio gli schiaffi in faccia li ho presi io. E guardi che dopo decine di film e di interpretazioni, non solo al cinema, ma anche al teatro, non ho avuto mai un David, né un Nastro d’argento. Eppure io, nel Paese

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del posto fisso e delle specializzazioni, ho scelto una strada diversa e più difficile: quella di non evitare mai niente, dal grande teatro alla commedia comica. Certo, non sono un genio, ma un professionista sì. D’altronde se mi chiamano ci sarà pure una ragione.... Solo adesso, ai limiti della pensione, si è cominciato ad avere più attenzione nei miei confronti. Ma quanta fatica!> -Provi a fare un bilancio: più gioie o più dolori? <Più gioie, ma gioie sudate, appunto. Mi sono sempre sentito un piccolo accettato alla tavola dei grandi. Ma ora basta con il trauma del figlio abbandonato. Per supeMassimo Ghini rarlo scriverò un libro sulla mia vita>. -Anche lei? <Beh, lo fanno tutti! Ho già deciso il titolo: ‘Potevo mancare?’> -Sta recitando? <La verità è che mi è stato chiesto un libro sulla mia vita e io ci sto pensando. Comunque non voglio raccontare quello che ho fatto e chi ho conosciuto. Invece mi piacerebbe parlare della storia di una generazione che sta ancora cercando di dare un senso alla propria vita. Perchè sono successe così tante cose... Sto aspettando a scrivere perché non voglio l’aiuto di qualche giornalista, voglio fare tutto da solo. Ma anch’io, come il protagonista della commedia che interpreto adesso, ho bisogno di un’ora di tranquillità>. -Lei è un attore anche nella vita o solo sul palcoscenico? <Non mescolo mai la vita professionale e quella privata. E non fingo di essere quello che non sono>. -Chi è un attore? <Prima di tutto un bugiardo: altrimenti non potrebbe vivere la vita di altri. Nell’arte la menzogna diventa produzione artistica e la bugia è qualcosa di sublime>. -Lei è bravo, amato dal pubblico, ma anche bello. Che ruolo ha giocato l’aspetto fisico nella sua carriera? <Non voglio essere ipocrita: essere basso e avere gli occhi torti sarebbe peggio. Ma sia io che Fabrizio Bentivoglio, con cui di-

videvo l’appartamento all’inizio della carriera, soffrivamo un po’ della nostra ‘bellezza’. Sapevo che avrei fatto contente molte persone se avessi accettato ruoli da ‘bagnino’, ma io non ne volevo sapere e preferivo Sakespeare>. -Dunque l’aspetto fisico è stato un peso? <No, certamente mi ha aiutato perché la fisicità è una delle colonne del nostro mestiere, anche se non è l’unica. Il fascino, ad esempio, ha un grosso peso. Comunque io volevo confrontarmi con l’interpretazione dei ruoli>. -Ad un bello fanno paura gli anni che passano? <Come a tutti, né di più, né di meno. In ogni modo io non ho mai avuto un buon rapporto con la mia immagine, neanche quando ero giovane>. -Mai avuto paura? <Non per me, ma per i miei figli sì. Con loro ti crescono le responsabilità e le paure per il futuro, anche perchè siamo di fronte a una generazione che sta tardando a svegliarsi>. -Lei ha 4 figli: cosa vorrebbe che imparassero? <La lealtà e la coerenza. Diciamo pure che su questo sono un po’ ‘tignoso’. Loro vivono la loro gioventù in una dimensione molto diversa dalla nostra e l’esempio deve aiutarli a crescere>. -Il teatro, così come il cinema, deve farci pensare, riflettere, oppure soltanto divertire? < Ciò che è importante è avere rispetto nei confronti del pubblico e prendersi la responsabilità di essere un comunicatore artistico. Purtroppo si è voluto sconfiggere politicamente il teatro, senza regalare più niente al pubblico. Oggi la gente sta cercando disperatamente qualcuno che gli dia un sorriso, una lacrima, un’emozione. La nostra missione è quella di fare intrattenimento, che ovviamente non vuol dire soltanto ridere. Io, infatti, cerco di riuscire a fare tutto...> -Ha rimpianti? <Certo, come tutti. Ma quelli non si raccontano. Stanno lì e sono tutti miei>

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FENDI NON LASCERÀ SPOLETO

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arla Fendi è da sempre molto può andare a discapito delle tutele vicina al Festival dei Due sopra ricordate, in particolare la sicuMondi di Spoleto. Prima con rezza personale. Sarebbe utile se fosse il Maestro Giancarlo Menotti e ora creata una corretta simmetria per tutte (dopo un periodo di ‘garbata’ distanza le persone che vogliono contribuire a dalla precedente gestione), fianco a sostenere il patrimonio culturale itafianco del direttore artistico Giorgio liano». Ferrara. Firma grandi eventi ma anche importanti interventi strutturali. L’ultimo, in ordine di tempo, il restyling del Teatro Caio Melisso, realizzato grazie al finanziamento di un milione e 200 mila euro assicurato dalla Fondazione Carla Fendi. Non una sponsorizzazione, dunque, perché non ci sono scopi promozionali e non sono possibili ritorni pubblicitari di alcun tipo (il marchio Fendi è ormai un’altra realtà internazionale, ma puro Mecenatismo: si tratta di risorse personali). Da pochi giorni però Carla Fendi ha deciso di dimettersi dal Cda del Festival dei Due Mondi. Dimissioni apertamente legate alla vigente legge sulla trasparenza. «Preciso – spiega – che le mie dimissioni riguardano solo la partecipazione a detto consiglio di amministrazione, ruolo ricoperto a titolo completamente gratuito, e non il mio supporto al Festival, Carla Fendi poiché, come è noto, con la mia Fondazione da anni sostengo in Insomma, norma ‘imperfetta’? maniera rilevante il Festival, cosa che «Ritengo che la legge, pur giusta in continuerò a fare. Per me è prioritario via generale, dovrebbe, al più presto, salvaguardare in primo luogo esigenze essere integrata con la previsione di di sicurezza e tutela della privacy. Caalcune deroghe che ne permettano pisco la necessità che incarichi di inl’applicazione in concreto a tutte le teresse pubblico debbano seguire le persone che abbiano necessità come normative in materia, questo però non

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quelle da me rappresentate, così da contemperare anche queste nostre ripeto “indispensabili esigenze”». Mecenatismo culturale in Italia: tale norma è un ostacolo visto che lei lascia il Cda. «Guardi, appena saranno presi provvedimenti in merito alla legge, sarò felicissima di rientrare a far parte del Consiglio di amministrazione, ma ora devo salvaguardare e tutelare la mia persona. Rimango, comunque, Presidente Onorario del Festival nonché main partner dello stesso con tutto il mio impegno». Parliamo di Art bonus. «Purtroppo non tutti possono goderne. Bisognerebbe adeguarsi alle norme di altri Paesi con defiscalizzazioni che facilitano e siano un incentivo per il mecenatismo anche per chi non ha direttamente redditi da impresa. Vorrei a questo proposito sottolineare che io opero attraverso la ‘FCF’ con atti di puro mecenatismo, e non di sponsorizzazione. Vuol dire che impegno le mie risorse a sostegno della cultura senza avere nulla in cambio ma purtroppo senza poter beneficiare dei vantaggi fiscali previsti in fattispecie simili. Ho più volte evidenziato in passato – conclude –, come alcune normative in materia di defiscalizzazione non aiutino chi, come me, vuole fare del mecenatismo personalmente senza avere un’attività che generi redditi da impresa». Donatella Miliani


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MODA, CON LO SGUARDO AL FUTURO di Allegra Contoli

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ilano sta attraversando un periodo estremamente positivo sulla scia del dopo Expo. E anche l’ultima edizione della Settimana della Moda, dedicata alle collezioni dell’autunno/inverno 2015-2016, non è stata da meno. Tanto per iniziare: 73 sfilate (di cui 4 doppie), 69 collezioni, 90 presentazioni, 16 designer emergenti che hanno sfilato al Fashion Hub, l’headquarter della stampa durante la manifestazione con sede all’Unicredit Pavillon, il ritorno sulle passerelle italiane di Diesel Black Gold e il fatturato lordo dei settori abbigliamento e accessori in Italia che, dall’inizio dell’anno, segna + 41%. Un inizio con il botto, corredato dall’intervento del Presidente del Consiglio Renzi che, per la prima volta, ha inaugurato la settimana della Moda di Milano con un intervento ed un pranzo a Palazzo Reale. «Viva la Moda, Viva Milano, Viva l’Italia!» ha dichiarato il premier «…sono il primo ma non sarò l’ultimo presidente del Consiglio a venire a Milano per questa inaugurazione che deve diventare una tradizione.» Un inno alla M o d a vera,

quella della creatività, all’insegna del Made in Italy. Gucci rende omaggio al Rinascimento di Firenze con abiti di corte, giacche intarsiate e spalline importanti. «Ho voluto ripercorrere il viaggio di Caterina de’Medici» ha affermato lo stilista Alessandro Michele, proponendo una collezione apparentemente vintage ma rivisitato in chiave moderna. Di grande impatto il tocco del dj e artista Trouble Andrew che con la sua bomboletta spray ha “marchiato” alcuni capispalla con le due G, da sempre logo della maison. Un inno alla femminilità, invece, da Alberta Ferretti che propone capi dall’allure senza tempo, che siano pajamas in seta o morbidi abiti di pizzo e chiffon, in una tavolozza di colori che celebra i colori della terra, uniti a due grandi ritorni: il celeste ed il rosa. Intramontabile il nero mentre si nota l’assenza del bianco. Prada porta in passerella il broccato, declinato su capispalla strutturati, sapientemente mixato allo stile marinière evocato anche dal cappellino bianco, e ancora corsetti-cintura che stringono giacche blu e stivali da cui sbucano calzettoni colorati. La griffe ha anche presentato due modelli di borsa, Cahier e Pionnière, in vendita già il giorno successivo alla sfilata con la formula “see now, buy now”. Max Mara conferma la tendenza over soprattutto nei cappotti, da sempre pezzo forte della maison bolognese. Rivisitati grazie ad una palette di colori nuova e più vivace, che si accosta alla classica tonalità cammello, e all’utilizzo delle righe. Così si accende una collezione già molto shining, con tessuti lucidi e paillettes. Splendide le creazioni firmate Marco De Vincenzo, stilista che ha vestito Virginia Raffaele all’ultimo Festival di Sanremo e che per la prima volta ha presentato, oltre all’abbigliamento, anche la sua linea di borse. Una collezione coloratissima e vivacissima, illuminata dagli accostamenti di verde e rosa e di giallo e turchese. Due i temi principali da Stella Jean: il ritratto e la maschera, due espressioni iconografiche storiche che

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la stilista racconta attraverso una collezione in parallelo. Da un lato, il vecchio continente, simbolo di uno status aristocratico, dall’altro le rappresentazioni degli antenati, narrate attraverso le maschere dell’Africa e di grandi artisti come Picasso. Cappotti, mantelle, pantaloni e gonne lunghe che seguono la scia della collezione estiva, tutti rigorosamente con stampe e ricami per un effetto mix and match di grande eleganza, accompagnato dalle note del coro gospel “Soul Voices”. Ermanno Scervino, invece, celebra l’esclusività del made in Italy e della lavorazione artigianale. Pizzo plissè (brevetto esclusivo della maison toscana), cappotti-divisa con colli di volpe, abiti leggerissimi ed estremamente femminili in toni metallici (oro, argento, bronzo), con un tocco di gotico nei look total black. Dolce&Gabbana fanno sognare omaggiando le fiabe con una passerella da sogno che spazia da Alice a Biancaneve, solcata però da donne decise, che lottano per la loro indipendenza. Un sapiente mix tra la dolcezza di Cenerentola e la forza di Elsa di Frozen su capi cosparsi di gattini, candelabri e specchi con la scritta “Chi è la più bella del reame?” che ha fatto sognare milioni di bambine. Bellissimo il finale “scintillante” con le modelle ricoperte di abiti in paillettes rosse, rosa, dorate, argentate che illuminano la passerella.

Silvia Venturini Fendi e Karl Lagerfeld tornano in passerella con un omaggio alla femminilità, tra volant e colore. Pellicce coloratissime, in tinta unita o in leopardato, su abiti e camicie ricche di ruches e fiori. Deliziosa la Dotcom, borsa iconica della maison in versione mignon. In una parola, sensuale. Così si potrebbe descrivere la collezione di Versace per l’autunno/inverno 2017. Un’armonia di pelle, paillettes e pellicce. Una donna decisa che non teme di indossare colori dinamici, né cappotti o completi in pieno stile militare o dal taglio sporty. Per la sera, invece, abiti con profonde scollature sulla schiena e tagli inaspettati.

Nuova Finanza - marzo, aprile 2016 - Pag. 64

Bentornato a Diesel Black Gold che presenta una collezione piena di contrasti. Denim e pelle sono immancabili ma è interessante come il designer Andreas Melbostad è in grado di accostarli a materiali più nobili, quali il lurex, il velluto o il macramè. Nascono così il chiodo ricoperto di paillettes o i jeans con inserti in pizzo o ancora le minigonne plissettate in lurex. Nel colore, invece, nessun eccesso: blu, grigio, bianco e nero dominano incontrastati. Chiusura in bellezza con la (doppia) sfilata di Giorgio Armani, Black Velvet. Protagonista assoluto il velluto nero, elegante e profondo. Declinato su tailleur pantalone e abiti, alternato all’intramontabile grigio e a stampe floreali, da portare con scarpe basse ed affusolate. Per la sera, magnifici abiti ricamati che lasciano le spalle scoperte. Nei giorni della Fashion Week, però, Milano si è riempita anche di tanti eventi, culturali e non solo, accompagnati dalla presenza di importanti saloni, quali Mipap, a FieraMilano, White, in zona Tortona con quasi 500 espositori, Super organizzata da Pitti Immagine e Fiera Milano in P.zza VI Febbraio ed infine Mido, a Rho-Pero, con le ultime novità e tendenze in fatto di occhiali, da vista e da sole.




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