Nuova Finanza 1/2016

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BIMESTRALE ECONOMICO FINANZIARIO

Poste Italiane Spa - Sped. abb. post. DL 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma1, C/RM/22/2013 del 19/06/2013

Anno 2016 Numero 1 GENNAIO FEBBRAIO

CARO RENZI TI SCRIVO PER IL 2016 (a pag. 2)

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SANITÀ Nuove frontiere Nuove sfide

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SICUREZZA Telecamere e prevenzione

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BARBANERA Patrimonio dell’umanità



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Il Punto Caro Renzi, ti scrivo L’intervista Patuelli, presidente dell’Abi Visentini (Ces) L’Ue abbandoni l’austerità Imprese Safe Bag Sicurezza/1 Videosorveglianza, ok Sicurezza/2 Eccellenze Made in Italy Sicurezza/3 La guerra silenziosa Sicurezza/4 Il Giubileo al tempo dell’Isis Diritto & quotate Il conflitto d’interessi Agroalimentare/1 Il futuro è del mare Agroalimentare/2 “Muscoli” risorgimentali Aziende leader Umbra Cuscinetti Scienze Le scoperte del 2015 Giovani imprese Enegan

PATUELLI LA RIPRESA È REALTÀ a pag 4 Nuova Finanza Bimestrale Economico - Finanziario Direttore Editoriale

Francesco Carrassi Direttore Responsabile

Pietro Romano

DOSSIER SANITA’

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Il Sottosegretario De Filippo Tutelare il cittadino

Katrin Bove Germana Loizzi

Nuove frontiere Le sfide della cardiologia Innovazione medica L’endoprotesi Nexus Tecniche endovascolari Al fianco del paziente Crediti sanitari Il modello Lazio

COSTUME & SOCIETA’

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Direzione Marketing e Redazione

UN ALMANACCO DA UNESCO IL BELLO DELLA GNAM AL TEMPO DEL JOBS ACT ABITI & EMOZIONI MONTMARTRE, LUCI E OMBRE AMORE A TEATRO KUWAIT PREMIATO PET THERAPY ZABRISKIE POINT

Editore Kage srl 00136 Roma - Via Romeo Romei, 23 Tel. e Fax +39 06 39736411 www.nuovafinanza.com - redazione@nuovafinanza.it Per la pubblicità: nuovafinanza@nuovafinanza.it Autorizzazione Tribunale di Roma n. 88/2010 del 16 marzo 2010 Iscrizione ROC n. 23306 Stampa STI - Stampa Tipolitografica Italiana Via Sesto Celere, 3 - 00152 Roma Progetto Grafico Mauro Carlini Abbonamento annuo Euro 48,00 Hanno collaborato: Gianpaolo Ansalone, Nicola Bartolini Carrassi, Katrin Bove, Valeria Caldelli, Giovanni Caselli, Ornella Cilona, Daniele Corradini, Vito De Filippo, Roberto Di Meo, Massimiliano Giua, Germana Loizzi, Raffaella Marcucci, Donatella Miliani, Sandro Neri, Francesco Romeo, Maddalena Santeroni, Marco Toti.


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IL PUNTO

CARO RENZI, ALCUNI SUGGE

C

aro presidente Renzi, prima di tutto buon anno. Gli auguri sono una questione di educazione e nel contempo una sorta di polizza assicurativa. Se il 2016 sarà buono per il presidente del Consiglio, in una democrazia, dovrebbe esserlo altrettanto per un cittadino. E’ per questo che non comprendo perché lei debba legare le sorti del suo governo, proprio quest’anno, a quelle di un referendum istituzionale che, in verità, lascerebbe sospesa la legge elettorale. Che cosa potrebbe fare, allora, il presidente Mattarella, al quale pure vanno i nostri auguri, avendo le mani legate? Il capo dello Stato, infatti, si troverebbe nell’impossibilità di sciogliere le Camere, considerato che la riforma, piaccia o meno il suo testo, è ultimata solo per i deputati. E per il Senato come si fa? Verrebbe meno, insomma, la strada delle urne e della potenziale legittimazione democratica della cui carenza o mancanza la accusano i suoi oppositori. Già che si parla di Senato, poi, mi permetta un’ulteriore osservazione. Ma non sarebbe stato meglio abolire del tutto l’assemblea di Palazzo Madama piuttosto che, come sua ferma intenzione, affidarla a quella che i cittadini considerano (in ogni sondaggio di opinione) la peggiore classe dirigente del Paese, gli amministratori regionali? Insomma, spero che avere vincolato il futuro del suo esecutivo al risultato del referendum sia stato solo il frutto di un momento oratorio. Quanto alle riforme, lei e il suo governo ne hanno portate a casa numerose. Uno sforzo titanico, in termini numerici, ma non sempre i contenitori hanno avuto un contenuto all’altezza delle attese che lei aveva contribuito a creare. I risultati, su diversi fronti, sembrano dare ragione a quanti si ostina a chiamare gufi. Se i dati di alcuni indicatori economici che il ministro Padoan continua a rendere noti sono esatti, e purtroppo nessuno li ha confutati, il peggior gufo sarebbe il titolare di uno dei ministeri chiave del governo, non le pare? Quindi, lasci stare i gufi. Tanto i numeri negativi non si discostano dallo zero e qualcosa per cento e lo stesso accade, purtroppo, anche sul versante positivo. Per cui le bocce possono essere considerate più o meno ferme. Magari, invece, metta un po’ di enfasi in meno nella sue promesse e anche nelle sue rivendicazioni di successi. Se ai

primi del 2015 le sue promesse fossero state meno cariche, ora l’italiano medio si sarebbe accontentato anche delle piccole variazioni in positivo. Lasci stare, inoltre, le presenze a ripetizione in sedi non ufficiali (è il caso della quotazione a Milano della Ferrari, dove sembrava volersi impossessare di un simbolo che appartiene a tutti noi e quindi non solo a una fazione, come in precedenza alla finale tennistica tutta italiana negli Usa) e i tagli di nastri a raffica. Perfino di opere, come la Variante di Valico, che lei aveva già “battezzato”, suppergiù con le stesse parole, un anno prima. Sarebbe sbagliato, però, e ingiusto, accorgersi solo del bicchiere mezzo vuoto. Il 2015 non è stato il 2008 né il 2011, benché i dati macroeconomici dell’anno in cui fu defenestrato Silvio Berlusconi rimangano quasi tutti sensibilmente migliori degli attuali. Ma lei ha invertito la tendenza negativa. E gliene hanno dato atto cittadini e imprese, basti guardare all’andamento dell’indice di fiducia. Anche se la curva negli ultimi mesi è tornata a inclinarsi, come non sarà sfuggito a un politico così attento e sensibile agli umori popolari quale giustamente è lei. Quindi, come si dice a Roma, in campana. Forse è arrivato il momento di ri-cambiare passo per evitare che la story-telling a lei tanto cara possa infrangersi sulle scogliere della realtà e soprattutto della disillu-

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del direttore

GERIMENTI NON RICHIESTI di Pietro Romano sione. Continuando in questi consigli non richiesti, il ricambio di passo, a mio modesto parere, dovrà mostrarsi proprio nei confronti del cambio di passo da lei finora vantato. La rottamazione, la disintermediazione, vanno bene fino a quando è tempo di pars destruens, ma ora sembra finalmente arrivato il tempo della pars construens in questo Paese frantumato dalla crisi. E’ indispensabile la pacificazione per affrontare le nuove sfide, tanto sul fronte della sicurezza, interna e internazionale, quanto, se non soprattutto, nel confronto con l’Europa. Ripacificazione non solo all’interno del Parlamento, ma molto di più fuori, per esempio con i corpi sociali intermedi. Se c’è un banco di prova per il suo governo è, infatti, il confronto con l’Europa. Se lei può portarsi dietro l’Italia, anche gli italiani che non hanno intenzione di votarla, può farlo sul necessario braccio di ferro a Bruxelles. Ma, per favore, in Italia ponga fine a quella sorta di calcio-mercato di terza serie in Parlamento a cui lei (non, forse, alcuni suoi collaboratori) sarà estraneo ma che amareggia, se non peggio, chi osserva

dall’esterno lo spettacolo. Inutile ricordarle, però, che per confrontarsi a Bruxelles sono necessari alleati internazionali decisi, non conquistati apparentemente da una pacca sulla spalla, e politiche interne inattaccabili. Evitando pasticci come quello sulle banche, che ha portato ai problemi rispetto ai quattro istituti commissariati. E se teste devono cadere per errori, ritardi, mancanze, le faccia cadere. Anche se sono suoi strettissimi collaboratori. I gigli magici, le amicizie consolidate, vanno bene quando si deve creare una squadra vincente. Ma per consolidare il successo è opportuno rifarsi alle forze migliori del Paese, che non sempre sono i sodali delle battaglie giovanili. Ci vogliono fusti per sfidare la Germania e i suoi alleati evitando di diventare una sorta di Grecia ben vestita, ruolo al quale appare sempre più evidente vogliono ridurci alcuni alleati-concorrenti Da ben prima che lei arrivasse a Palazzo Chigi. Meglio la sua tuta mimetica, insomma, anche se le sta un po’ stretta, che il loden di un Mario Monti. Quanto alla crescita che può servire all’Italia, perlomeno nel breve periodo, non le mancano i suggerimenti. A cavallo della fine dell’anno scorso ne abbiamo letti a decine sui giornali e sui siti più informati. Attenzione solo che non siano consigli per farla salire sul treno di quella sorta di Cassandra Crossing che periodicamente comincia a piacere all’establishment nazionale, quando comincia a sentirsi poco ripagato dell’appoggio concesso, richiesto o meno che sia. In fondo, anche Monti era commentatore di economia sul Corriere della Sera caro all’establishment, prima che Berlusconi lo lanciasse nell’arena politica, indicandolo come commissario europeo. E si è visto com’è andata. Si rifaccia, piuttosto, alle ricette di economisti meno cari all’establishment. Un nome tra tutti? Paolo Savona. Lo inviti a Palazzo Chigi per un faccia-a-faccia, a telefonini spenti. E’ l’ultimo suggerimento non richiesto che le invio. E di nuovo auguri. A lei e a tutti noi italiani.

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PATUELLI, PRESIDENTE ABI

“LA RIPRESA È UNA REALTÀ” Sandro Neri* Le novità rilevanti sono due: la ripresa è una realtà. E, dato assolutamente inaspettato fino a qualche mese fa, in regioni come la Lombardia si registrano «le premesse per un nuovo boom economico». È il biglietto da visita con cui Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, si è presentato a Brescia, per l’ultima giornata de «Gli incontri sul territorio», organizzati dall’associazione, tracciando qualche ottimistica previsione sull’anno che si apre. «Nel corso del 2015 - sottolinea Patuelli si è intrapresa una fase di recupero del ciclo economico della Lombardia, in particolare nel settore industriale, che registra un aumento della domanda. Specie quella proveniente dall’estero». Presidente, il leader di Confindustria, Giorgio Squinzi, dice però che la ripresa è a rischio per effetto dell’ondata di terrorismo. «Squinzi ha ragione nel constatare che dopo le fiammate terroristiche ci sono più pericoli per la ripresa. Ma è anche vero che possono esserci pure risultati imprevedibili, che io auspico. Per esempio l’intesa fra Occidente e Russia, la conseguente fine dell’embargo. E, ancora, una ripresa dei commerci, dei movimenti e degli investimenti fra Est e Ovest. Un’intesa fra Mosca e l’Occidente è fondamentale per sconfiggere il terrorismo, ma anche per salvaguardare la ripresa in Europa. E l’esempio

più vistoso in questo senso l’abbiamo visto proprio a Milano». In che senso? «L’Expo non è stata un successo solo per i 21 milioni di visitatori registrati. Lo è stata per il modello di sicurezza adottato, che ha garantito l’assenza di incidenti. E ha fatto sì che il turismo si rimettesse in moto, a beneficio di tutta l’Italia. La speranza è che questo modello dia uguali frutti anche con il Giubileo». L’Expo ha aiutato la ripresa in Italia e in Lombardia? «Le imprese lombarde hanno i n

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parte beneficiato delle commesse legate all’evento. Altre ricadute importanti si sono avute nel turismo e nel settore agroalimentare. Comparto che, a livello nazionale, ha registrato e sta ancora registrando numeri da record nella crescita delle esportazioni». Lei, mesi fa, fu tra i primi a parlare di «germogli di ripresa». Oggi il cambio di marcia può dirsi consolidato? «In Lombardia i finanziamenti delle banche sono stati più 345 miliardi. Quelli alle imprese lombarde hanno superato i 232,6 miliardi di euro in agosto. Alle famiglie consumatrici sono andati quasi 113 miliardi. Sono numeri da precrisi. Milano ha effettuato un vero decollo. E i grattacieli del suo nuovo skyline sono solo gli indicatori più vistosi di questo giro di boa». Quali settori risentono già degli effetti della ripresa? «La crescita, in questi ultimi mesi, ha interessato il comparto della gomma e della plastica, quello dei mezzi di trasporto, poi settori della carta e della meccanica». A Brescia, recentemente, ha parlato di «premesse per un nuovo boom». Che analogie ci sono con l’Italia del miracolo economico? «Negli Anni Cinquanta la rico-


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il nuovo Accordo per il Credito struzione postbellica impose 2015, tra l’Abi e tutte le altre una grande trasformazione associazioni d’impresa – iniziadell’industria e della tecnica. Oggi è la crisi che ci siamo tiva operativa da giugno 2015 lasciati alle spalle a imporre – le banche hanno sospeso, a fine settembre, già 3.115 dotrasformazioni di prodotto e mande di finanziamenti a livello di processo di uguale portata nazionale, pari a 1 miliardo di e potenziale. E le banche sono qui a fare la loro parte, debito residuo con una liquidità sostenendo la fiducia». liberata di 145 milioni». Gli italiani si confermano A questo riguardo, gli ingrandi risparmiatori? contri dell’Abi sul territorio servono, parole sue, a «spie«L’andamento dei depositi è buono, segno di una costante gare da vicino cosa fanno fiducia dei risparmiatori: comogni giorno le banche per plessivamente oltre 300,6 miil Paese». Il risultato? Giorgio Squinzi, Presidente Confindustria liardi di euro in Lombardia «Il consolidamento del rappari ad un incremento del 5 porto tra banche e imprese per cento, mentre a livello naha prodotto risultati imporzionale l'incremento dei nuovi mutui per l'acquisto di abitanti: l’Avviso comune per la sospensione dei mutui, per esempio, ha rappresentato la prova più tangibile di quanto tazioni si sta avvicinando al raddoppio». *Vicedirettore de Il Giorno le banche siano vicine alle imprese. Soltanto considerando

PRESTITI BANCARI Segnali positivi emergono per le nuove erogazioni di prestiti bancari: sulla base di un campione rappresentativo di banche (che rappresentano oltre l’80% del mercato) nei primi 11 mesi del 2015 le nuove erogazioni di mutui per l’acquisto di immobili da parte delle famiglie hanno registrato un incremento annuo del +97,4% rispetto al medesimo arco temporale dello scorso anno. Più in dettaglio,i dati relativi al periodo gennaio-novembre del 2015 evidenziano la forte ripresa del mercato dei finanziamenti alle famiglie per l’acquisto delle abitazioni. Nel periodo gennaio-novembre 2015 l’ammontare delle erogazioni di nuovi mutui è stato pari a 44,340 miliardi di euro rispetto ai 22,465 miliardi dello stesso periodo del 2014. L’incremento su base annua è, quindi, del 97,4%. L’incidenza delle surroghe sul totale dei nuovi finanziamenti è pari, nei primi 11 mesi del 2015, a circa il 32%. L’ammontare delle nuove erogazioni di mutui nel 2015 è anche superiore sia al dato dello stesso periodo del 2013, quando si attestarono sui 17,123 miliardi di euro, sia al valore dei primi undici mesi del 2012 (18,794 miliardi di euro). I mutui a tasso variabile rappresentano, nei primi undici mesi del 2015, il 43,7% delle nuove erogazioni complessive; nei mesi più recenti sono in forte incremento i mutui a tasso fisso che hanno raggiunto a novembre 2015 quasi il 65% delle nuove erogazioni, erano meno del 25% dodici mesi prima.

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VISENTINI, SEGRETARIO DEI SINDACATI UE

L’EUROPA ABBANDONI L’AUSTERITÀ Ornella Cilona

U

n piano di investimenti pubblici, una nuova visione e un ruolo meno passivo nei confronti della Cina. E’ questa l’Unione europea che piace al sindacato Ue, alla cui guida arriva un italiano. Luca Visentini, 46 anni, è, infatti, il nuovo segretario generale della Ces, la confederazione che rappresenta le organizzazioni dei lavoratori dei 28 Stati membri dell’Ue. Nell’intervista a “Nuova Finanza”, Visentini anticipa le sfide che lo attendono e i più importanti dossier economici aperti a Bruxelles, dalla tassa sulle transazioni finanziarie al negoziato in corso fra Unione europea e Cina. La sua elezione a segretario generale della Ces giunge in un momento molto difficile per l’Europa. Il protrarsi della recessione, soprattutto nei Paesi del Sud del continente, l’elevato tasso di disoccupazione, l’emergenza umanitaria dei rifugiati sono problemi molto gravi ai quali le istituzioni comunitarie stentano a trovare soluzioni adeguate. Lo stesso Piano Juncker, annunciato con enfasi dalla Commissione Ue pochi mesi fa, stenta a decollare. Quali sono le proposte del sindacato europeo per favorire la ripresa e creare nuova occupazione? Luca Visentini L’Europa sta vivendo una crisi economica, sociale, democratica. Tutto questo è frutto di un progetto politico che si sta sfaldando. Sono di nuovo gli Stati a decidere le strategie comunitarie e l’idea dell’Europa è ormai lontana dai cittadini. Da esempio e modello per il resto del mondo L’Unione si è trasformata un buco nero. La recessione, che ha incrementato le diseguaglianze sociali e la disoccupazione, è il problema principale. Perché, però, negli Stati Uniti, dove la crisi è cominciata, si parla ora di ripresa e in Europa ne siamo ancora lontani? La risposta a questa domanda è che le politiche di austerità imposte dalle istituzioni comunitarie non hanno funzionato.

Oggi nell’Ue la crescita economica è scarsa e limitata ad alcune aree, mentre si creano pochi posti di lavoro e, per di più, di scarsa qualità. Di fronte a questa situazione il sindacato europeo non rimane inerte, ma presenta proposte ben precise per fare ripartire l’Europa. Quali sono le principali? La prima è quella di puntare a una crescita economica fondata sugli investimenti pubblici e sullo stimolo alla domanda interna. Come proponiamo nel nostro documento “New Path for Europe” (“Un nuovo percorso per l’Europa”, ndr), il 2 per cento del Prodotto interno lordo comunitario dev’essere impiegato in investimenti pubblici per dieci anni, sull’esempio di quanto è avvenuto negli Usa. La seconda proposta che avanziamo è quella di riaffermare i diritti sociali e del lavoro in tutta Europa e in modo particolare in quei Paesi dove sono stati erosi dalla recessione e dalle politiche conservatrici dei governi. Gli attacchi alle organizzazioni sindacali e al diritto di sciopero, in particolare, sono per noi preoccupanti. Solo aumentando i salari, combattendo la precarietà e migliorando le condizioni di lavoro si potrà parlare di vera ripresa. I Paesi europei che vantano il migliore livello di dialogo sociale sono, non a caso, quelli che hanno meno sofferto la crisi e che oggi vantano una crescita più consistente. Agli inizi di dicembre, il Consiglio dei ministri europei delle finanze ha raggiunto un accordo sui principi che dovranno regolare la Ttf, la nuova tassa sulle transazioni finanziarie. Si tratta di un’intesa importante, nonostante riguardi solo dieci Paesi europei, fra i quali l’Italia, che stabilisce la tassazione di tutte le operazioni finanziarie. Secondo stime della Commissione europea, il ricavato mensile della Ttf potrebbe ammontare a circa 2,9 miliardi

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di euro al mese nel complesso degli Stati interessati. E in Italia si prevede un gettito fiscale oscillante dai tre ai sei miliardi di euro l’anno. Che posizione ha preso la Ces su questo tributo? Da alcuni anni la Ces sostiene con grande impegno l’introduzione della Ttf e quindi considera positivo l’accordo raggiunto a dicembre. Esistono due problemi di non poco conto, tuttavia, che vanno risolti. In primo luogo, questa tassa è stata annunciata, ma finora non abbiamo visto azioni concrete, né a livello comunitario né da parte dei dieci Stati interessati, in direzione della sua effettiva attuazione. Inoltre, nel caso in cui la Ttf sia concretamente introdotta, non è chiaro come se ne vogliono utilizzare i proventi. La Ces come propone di adoperarli? Chiediamo che confluiscano in un fondo comune europeo destinato a finanziare gli investimenti pubblici, per evitare che siano ripartiti fra gli Stati

membri al solo scopo di rimpinguare le casse statali dissanguate da anni di austerità. La Ttf deve fare da carburante alla ripresa economica e non servire a tappare buchi nei bilanci nazionali. Sono attualmente in corso i negoziati fra l’Unione europea e la Cina. Esiste la possibilità che al colosso asiatico sia riconosciuto lo status di economia di mercato. Che cosa ne pensa il sindacato europeo? Non solo la Ces, ma anche il sindacato mondiale e le organizzazioni nazionali dei lavoratori respingono la proposta di considerare la Cina un’economia di mercato. Le stesse associazioni imprenditoriali europee sono fondamentalmente contrarie, così come il governo statunitense. Non è possibile concedere questo status a un Paese che non rispetta le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro, non garantisce ai propri cittadini il diritto a ricevere una pensione, permette salari minimi e non difende l’ambiente. Il

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dumping sociale che fa la Cina è per noi inaccettabile. Il problema è che non esiste un negoziato vero e proprio fra l’Ue e la Cina, bensì un accordo in scadenza nei primi mesi di quest’anno, che gli Stati membri non vogliono discutere individualmente ma a livello comunitario. Finora questa intesa difendeva le imprese europee da un’inondazione di merci cinesi tenute artificiosamente a basso prezzo, ma alcuni membri della Commissione Ue ritengono che l’accordo debba essere rinegoziato, concedendo a Pechino lo status ambito di economia di mercato. Si tratta di un atteggiamento inspiegabile: gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di assecondare il governo cinese perché difendono la propria economia e noi per quale motivo non facciamo lo stesso? Sarebbe un suicidio per l’Europa far decadere l’accordo e negli ultimi mesi abbiamo avviato una serie di colloqui su questo tema con i Commissari Ue che seguono il dossier.


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DOSS

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DOSSIER SULLE ECCELLENZE DELLA SANITÀ

LA TUTELA DELL’INDIVIDUO Con il 2016 Nuova Finanza, come già annunciato, dedicherà ampio spazio alla salute, tenendo come attore principale il cittadino. Di seguito l’intervento del Sottosegretario di Stato, Ministero della Salute, Vito De Filippo a cui seguiranno scritti di numerosi luminari della medicina. Vito De Filippo

“L

a Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. L’evoluzione normativa del Sistema Sanitario Nazionale Italiano ha come punto di riferimento l’art. 32 della Costituzione. Il Servizio Sanitario Nazionale, infatti, è stato istituito dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833 e benché nel tempo abbia subito numerosi interventi di riforma, l’impianto di base è rimasto il medesimo. Sin dalla sua istituzione, è stato caratterizzato dai principi di universalità ed eguaglianza, veri e propri assi portanti della riforma del 1978. Attraverso il principio dell’universalità veniva sostanzialmente riconosciuto il diritto ad un accesso generalizzato ai servizi sanitari da parte di tutti i cittadini, senza distinzione. La portata di tale principio ha subito nel tempo alcuni correttivi, determinando il passaggio da un Vito De Filippo concetto di universalità “forte” e incondizionata - rispondente al modello del “tutto a tutti a prescindere dai bisogni” ad un concetto di universalità “mitigata”, finalizzata a garantire prestazioni necessarie ed appropriate a chi ne ha effettivamente bisogno. Con il nuovo assetto costituzionale derivante dalla riforma del Titolo V avvenuta con la Legge n. 3 del 2001, i principi

di universalità ed uguaglianza caratterizzanti il Servizio Sanitario Nazionale sono stati correlati non tanto alla uniformità organizzativa sul territorio, quanto al concetto di uguaglianza rispetto ai livelli essenziali di assistenza. Nonostante il nostro sia un servizio dal punto di vista tecnico ritenuto tra i migliori in Europa, la percezione che i cittadini hanno del sistema sanitario, in termini di soddisfazione e di accesso alle cure, non è stata delle migliori. D’altro canto, gli effetti della compartecipazione in termini di equità complessiva del sistema e di uguaglianza delle opportunità nell’accesso alle prestazioni sanitarie, possono risultare davvero pesanti sino ad indurre i cittadini – utenti a decidere di rinunciare alle cure perché i ticket da pagare rappresentano un male peggiore della stessa malattia che è necessario curare. E paradossalmente, il ticket cresce proporzionalmente alla debolezza dell’utente: più l’utente è debole e ha bisogno di cure e più è elevato il contributo da sostenere. Sono proprio i cittadini che vivono in alcune “zone critiche” del nostro Paese, come ad esempio le Regioni sottoposte ai Piani di “riqualificazione” e di “rientro”, ad essere i più colpiti poiché, oltre a dover sostenere livelli di tassazione elevati e, comunque, superiori a quelli delle altre regioni, devono farsi

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carico anche dei ticket sanitari. Negli ultimi anni, i crescenti costi per garantire servizi di qualità elevata, le manovre di contenimento della spesa pubblica e la conseguente contrazione delle risorse finanziarie, il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie croniche, hanno posto al centro dell’attenzione il dibattito sulla sostenibilità del nostro sistema sanitario. Ebbene, se è vero che l’attuazione di un diritto rappresenta sempre un costo, è ancor più vero che la sua mancata attuazione può rappresentare nel lungo periodo un costo maggiore e un problema ulteriore per la sostenibilità del sistema. Così, il cittadino non esente che rinuncia a curarsi oggi, rappresenterà certamente un costo più elevato domani. Tutto ciò determinerà un aggravio del sistema: riduzione dell’accesso ai servizi; minori entrate per le casse delle ASL; spostamento su un

privato, ormai concorrenziale; rinuncia alle cure da parte di una componente cospicua di non esenti. Sicuramente il nostro servizio sanitario sta vivendo, come in realtà la gran parte dei Servizi Sanitari europei, un momento di difficoltà soprattutto dal punto di vista economico – finanziario e pur non essendoci ricette immediate capaci di rispondere universalmente a tutte le criticità e di risolverle, certamente l’assenza di interventi forti di riorganizzazione e di innovazione del sistema rischia di compromettere ulteriormente l’attuale livello di difficoltà. Questo stato di cose richiede un intervento tempestivo teso a rivedere il sistema. E’ necessario abbandonare l’idea di salute come voce di costo e concentrarsi invece sul concetto di salute come valore e occasione di investimento per il nostro Paese.

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Bisogna rigenerare e rivitalizzare in modo strategico il settore della sanità, anche come volano di sviluppo del sistema imprenditoriale italiano impegnato nell’innovazione tecnologica e nel campo della ricerca, anche in termini di PIL. La parola d’ordine è aumentare le capacità del sistema sanitario di convertire le risorse in valore, tenendo presente che l’investimento in salute è il presupposto per la crescita e lo sviluppo di un paese; gli investimenti nella prevenzione sono quelli che pagano nel medio e lungo periodo e così facendo rendono sostenibile l’assetto di spesa sanitaria nel futuro; perseguire la qualità e la sicurezza porta ad una riduzione dei costi oltre ad indubbi benefici per i pazienti; l’attuazione di una revisione complessiva del modello organizzativo e gestionale attuale, finalizzata a ridurre le inefficienze e le inappropriatezze, comporterà il recupero di


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una parte delle risorse da investire nel nuovo modello. Bisogna porre in essere ogni strategia utile al miglioramento della riduzione degli sprechi e alla sostenibilità economico-finanziaria del sistema sanitario in Italia. In un’ottica di spending review, resa necessaria dalla situazione in cui versa

attualmente il bilancio dello Stato italiano, occorre in primo luogo eliminare una serie di sprechi in molti casi evidenti, facendo rispettare ad ogni settore i costi standard ed individuando in modo consapevole e ragionato precise priorità nell’allocazione delle risorse. Affinché questo nuovo percorso possa

trovare una efficace implementazione, il Ministero della salute si è prefissato nel prossimo triennio numerosi obiettivi che saranno realizzati attraverso l’utilizzo di differenti strumenti, tutti però convergenti verso un unico scopo: la riforma della sanità e del suo modello organizzativo.

IL PATTO PER LA SALUTE Il Patto affronta argomenti rilevanti quali la programmazione del fabbisogno standard del Servizio Sanitario Nazionale e dei fabbisogni standard regionali, l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza, la razionalizzazione dell’assistenza territoriale e la promozione della domiciliarità del welfare di comunità etc.. E’ proprio il Patto lo strumento di garanzia per un uso razionale delle risorse nel settore sanitario e per l’eliminazione di sprechi del sistema.

IL PROGRAMMA DI REVISIONE DELLA SPESA Parallelamente il Ministero della salute è impegnato con il programma di revisione della spesa, così come delineato dal Commissario Cottarelli. Il Gruppo di coordinamento istituito presso il nostro Dicastero, sta lavorando alla formulazione di proposte e soluzioni che possano comportare risparmi di spesa distribuiti nel periodo 2014 – 2016 e all’individuazione, attraverso una specifica mappatura degli ambiti in cui è possibile intervenire per documentare oltre che un miglioramento dei conti, anche una concreta riqualificazione dei servizi a favore dei cittadini. Tra i principali ambiti presi in esame si riportano i seguenti: individuazione di standard qualitativi e di costo per i servizi appaltati; razionalizzazione degli acquisti; razionalizzazione scorte – logistica; razionalizzazione e sostenibilità consumi energetici; interventi su farmaci e dispositivi medici; valutazione delle tecnologie sanitarie per il governo dell'innovazione e il disinvestimento selettivo (HTA); appropriatezza d’uso delle apparecchiature; appropriatezza delle indagini diagnostiche e dei percorsi diagnostico-terapeutici; appropriatezza dei ricoveri ospedalieri e dell’accesso in Pronto Soccorso; revisione della struttura della governance del Ministero della salute e degli enti vigilati; prevenzione della corruzione e del conflitto di interessi. Il Patto per la salute e il programma di revisione della spesa vanno nella medesima direzione. In entrambi i casi la parola d’ordine è recupero dell’appropriatezza, eliminazione degli sprechi, e reinvestimento dei risparmi nel sistema, nel nostro caso, nel sistema sanitario. Allo stato attuale, costituiscono i due strumenti più importanti per realizzare una vera riforma del sistema, se interpretati e svolti correttamente e continuativamente insieme alle Regioni. Lo scopo è porre in essere ogni strategia utile all’utilizzo etico delle risorse e al miglioramento della riduzione degli sprechi attraverso un programma di revisione e aggiornamento della struttura gestionale e della governance degli ospedali così da consentire una riduzione complessiva della spesa senza pregiudicare il livello di qualità delle prestazioni e la competitività dell’industria del nostro Paese. L’accento è stato posto quindi sulle attività, le funzioni, la struttura, la regolamentazione interna, le modalità attraverso cui si svolgono i processi organizzativi e sul presupposto che l’inappropriatezza degli interventi clinici ed assistenziali costituisce l’indicatore dell’esistenza di una patologia, la spia della presenza di un difetto di organizzazione. E’necessario intervenire sui seguenti fattori: 1) Ricoveri inappropriati. 2) Sprechi da assenza o carenza di integrazione ospedale-territorio 3) Carenza di assistenza domiciliare e di welfare di comunità 4) Posti letto ospedalieri La sfida dei prossimi anni è garantire su tutto il territorio nazionale livelli di assistenza adeguati e uniformi in tutte le regioni alla popolazione, specialmente quella anziana e residente nelle aree interne più difficilmente raggiungibili dalla tradizionale rete di assistenza.

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LE FRONTIERE DELLA CARDIOLOGIA

LE GRANDI SFIDE DA VINCERE Francesco Romeo*

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o m e presidente della Società italiana di cardiologia vorrei fare alcune considerazioni sullo stato dell’arte della lotta alle malattie cardiovascolari. Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel mondo sia occidentale che in via di sviluppo. La loro incidenza non è diminuita nelle ultime decadi. La seconda riflessione è sull’aumento dell’aspettativa di vita che, negli ultimi trent’anni, è aumentata di circa sette anni, con l’Italia la primo posto al mondo in un rapporto di competitività con il Giappone con il quale ci alterniamo in questa virtuosa leadership. Questo allungamento dell’aspettativa di vita è dovuto per il 70 per cento a un miglior trattamento delle malattie cardiovascolari. I progressi compiuti nella cura delle malattie cardiovascolari dalla cardiopatia ischemica, alle valvulopatie, alle aritmie, allo scompenso sono stati davvero eccezionali e addirittura imprevedibili qualche decennio fa. Il 76esimo Congresso nazionale della Società italiana di cardiologia, la più antica società cardiologica italiana e una delle fondatrici della Società europea di cardiologia ha trattato i principali temi della Cardiologia, focalizzando l’attenzione sulle grandi sfide

ancora da vincere per ulteriori guadagni nell’aspettativa di vita e nella qualità della stessa. Questi temi sono stati affrontati in uno scenario di confronto internazionale con la presenza di oltre 50 relatori stranieri, rappresentati e spesso presidente delle Società scientifiche nazionali. Erano presenti i presidenti della Società europea di cardiologia, dell’American Heart Association, dell’American College of Cardiology, della Società cinese di cardiologia, della Società indiana di cardiologia, della Società russa, della Società giapponese, della Società serba e della Società maltese. Dopo il saluto del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca scientifica, onorevole Stefania Giannini, e del prefetto di Roma, Franco Gabrielli, il professor Eugene Branwald, Emerito di Cardiologia dell’Harward Medical School di Boston, ha tenuto la “lectio magistralis” intitolata al professor Attilio Reale, mio maestro e tra i fondatori sia della Società italiana di cardiologia che della Società europea di cardiologia. La lettura “The war against heart failure” ha tracciato le principali linee di ap-

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proccio alla ricerca e al trattamento dello scompenso cardiaco che viene considerato la vera epidemia di questo secolo. Ci sono state delle sessioni plenarie per affrontare il tema della prevenzione della cardiopatia ischemica, la cui patogenesi è stata trattata da uno dei maggiori esperti mondiali dell’argomento , il professor Jawahar L. Mehta, Professore di Cardiologia dell’Università dell’Arkansas. Lo state dell’arte del trattamento dell’infarto miocardico e dello shock cardiogeno è stato messo a punto in due sessioni plenarie da esperti nazionali e internazionali tra cui il professor Patrick T. O’Gara. La prevenzione della cardiopatia ische-


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mica e i nuovi farmaci che si affiancano alle statine nel trattamento dell’ipercolesterolemia, il principale “killer” delle nostre coronarie, cioè gli anticorpi monoclonali anti-PSCK9, sono stati presentati e discussi. Un’intera giornata è stata dedicata a una grande conquista della cardiologia interventistica: il trattamento delle valvulopatie degenerative aortiche e mitraliche per via percutanea. In un confronto con i principali esperti mondiali si è fatto il punto di questa innovazione tecnologica e terapeutica mettendo in evidenza come oggi unanimemente possiamo considerare la sostituzione percutanea della valvola aortica una tecnica consolidata. Abbiamo presentato come un grande successo della cardiologia interventistica e accademica italiana la prima sostituzione percutanea fatta al mondo nell’uomo di una valvola mitrale. Il 18 Giugno del 2015 presso la cattedra di Cardiologia dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata è stato fatto il “first in human” di una valvola mitrale percutanea. E’ stata aperta una nuova era per il trattamento della mitrale

seguendo di circa tredici anni il “first in human” fatto in Francia da Alain Cribier per la valvola aortica. Una lettura magistrale fatta dal professor Joseph Brugada sulla sindrome di “Brugada”, da lui stesso descritta e che costituisce una delle principali cause di morte improvvisa, è stata molto seguita. In occasione del Congresso non sono mancate riflessioni un po’ amare circa la discrepanza tra il fervore culturale della cardiologia con le sue potenzialità enormi nel combattere la malattie cardiovascolari e l’approccio da parte dell’Autorità sanitaria e forse ancora di più economiche che declinano tutto, anche i diritti fondamentali, con le regole dell’economia e della spending review , degna delle più conservative teorie del “mercantilismo” che metteva la centro della scena il mercato in altri secoli. Abbiamo rilanciato la campagna “one valve one life” per sensibilizzare l’opinione e le autorità sanitarie sul tema del diritto dei pazienti anziani con valvulopatie giudicate inoperabili dai cardiochirurghi per presenza di comorbilità che rendono il rischio operatorio inaccettabile, e che invece possono usufruire di una metodica, molto meno gravata di mortalità procedurale ad essere trattati e quindi avere un’opzione di vita altrimenti negata. L’Italia alcuni anni fa era tra le prime nazioni al mondo per competenza e trattamento di queste valvulopatie, oggi è scivolata al decimo posto in Europa. Nel campo della formazione con il contributo liberale di M.S.D. abbiamo assegnato 50 borse di studio da 25mila ciascuno per un anno a giovani cardiologi che ne usufruiranno nei centri italiani, ma soprattutto internazionali, per favorire lo scambio di conoscenza e per far conoscere al mondo scientifico internazionale la qualità la preparazione, la professionalità dei giovani usciti o che stanno per uscire dalla nostra Università che sono tra i più brillanti al mondo.

*Direttore Cattedra e Scuola di Specializzazione in Cardiologia Università degli Studi di Roma Tor Vergata Direttore UOC di Cardiologia e Cardiologia Interventistica UTIC Policlinico Tor Vergata Presidente Società Italiana di Cardiologia

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INNOVAZIONE TECNOLOGICA

L’ENDOPROTESI NEXUS li aneurismi e le dissezioni coinvolgenti l’aorta toracica, che è il tratto più vicino al cuore del principale vaso arterioso del nostro corpo, rappresentano una grave minaccia alla vita di sei persone su 100mila l’anno. Le pareti dell’aorta si dilatano e si fragilizzano con il passare del tempo e, sotto la silente azione della pressione sanguigna, l’aorta può rompersi con disastrose conseguenze. I fattori di rischio più importanti sono il fumo di sigaretta, il sesso maschile, l’ipertensione arteriosa, l’età sopra i 60

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mento dei materiali di costruzione, nonché la riduzione dei diametri degli strumenti che da diverso tempo ormai accompagna l’evoluzione della chirurgia vascolare (e che già si era resa nota con le protesi endovascolari per il trattamento dell’aorta addominale), hanno interessato anche questo tipo di intervento ed è ormai realtà quasi quotidiana per tali patologie la possibilità di un trattamento mini invasivo. La terapia consiste nel “foderare” dall’interno il tratto di aorta malata mediante speciali protesi endovascolari

tesi prevederebbe il loro rilascio davanti all’ origine dei vasi che portano il sangue agli organi nobili, quali il cervello e il midollo spinale, cioè in quello che si chiama l’arco dell’aorta, l’ evoluzione tecnologica risolve i problemi mediante l’ invenzione di endoprotesi, dotate di rami dedicati o di buchi, tali da permettere la copertura dell’aorta malata e, allo stesso tempo, assicurare il salvataggio delle arterie collaterali, che altrimenti andrebbero coperte. Si è alla fase iniziale di queste protesi speciali di ultima generazione con-

anni. Nella maggioranza dei casi, per queste patologie sarebbe indicato un trattamento chirurgico che, tradizionalmente, prevede l’apertura della gabbia toracica e, a cuore fermo, la sostituzione del tratto di aorta malata con un elevato rischio oltre che di esiti non favorevoli, di complicanze potenzialmente gravi e debilitanti, quali l’ictus cerebrale. Per fortuna, l’onda di innovazione tecnologica e il costante migliora-

che vengono condotte nel torace “navigando” all’interno dei vasi arteriosi da vie di introduzione che nella più parte dei casi sono sull’inguine del paziente, senza la necessità di grandi aperture del torace e/o dell’addome. Si può facilmente intuire il grande vantaggio per i pazienti, che vedono risolti i loro problemi con queste tecniche, quando possibile, al prezzo di piccolissime incisioni. Persino quando l’introduzione di queste pro-

cepite per trattare situazioni come quelle sopra descritte. E’ in questo contesto che è stata progettata una nuova endoprotesi toracica, di nome Nexus, prodotta dalla Endospan, un’industria israeliana che permette il trattamento delle dissezioni e degli aneurismi dell’arco aortico con interessamento anche delle arterie che originano da questo tratto. Il principio è quello di introdurre la protesi passando dall’inguine, posi-

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zionando una branca connessa all’endoprotesi aortica principale, dentro il principale vaso che porta il sangue al cervello, previa una chirurgia di bypass a livello del collo, certamente meno aggressiva di quella che sarebbe servita in chirurgia tradizionale. L’innovazione della Nexus è stata sperimentata per la prima volta in Italia, e per la terza volta nel mondo, presso l’Azienda Ospedaliera “San Filippo Neri” di Roma, nella Uoc di Chirurgia vascolare, diretta dal professor Nicola Mangialardi. L’equipe, esperta nell’uso delle tecnologie endovascolari di tutti i distretti arteriosi, ha trovato nella nuova endoprotesi una promettente soluzione per il trattamento “least invasive” di gravissime patologie estese all’arco aortico. Questo centro consoliderà la sua collaborazione con la Endospan, rappresentando l’Europa per il “First in Man Study” del nuovo dispositivo, insieme al centro di Chirurgia vascolare dell’Ospedale di Zurigo, diretto dal professor Mario Lachat, e regalando a pazienti altrimenti intrattabili in ragione della frequente età avanzata e inoperabili per le condizioni di salute, una possibilità di ricevere una cura definitiva per queste pericolose patologie. (Redazione NF)

RAPPRESENTAZIONE STEP BY STEP DI UN IMPANTO DI ENDOPROTESI NEXUS

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LE TECNICHE ENDOVASCOLARI

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ALTERAZIONE DEL CIRCOLO VENOSO Giovanni Caselli*

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n nuovo trattamento endovascolare della patologia varicosa degli arti inferiori (Endovascular Vein Steam Ablation EVSA). Decine di milioni di persone nel mondo risultano affette da sintomi correlati alla presenza di alterazioni del circolo venoso superficiale degli arti inferiori (varici arti inferiori) con le loro eventuali e non infrequenti complicazioni che peggiorano la qualità della vita personale e di relazione. I più recenti progressi nell’innovazione tecnologica nel campo dei trattamenti mini-invasivi hanno condotto a una revisione dei precedenti concetti e metodi nella cura della malattia varicosa e a un conseguente aumento del numero di pazienti interessati a tali trattamenti. Per decenni l’asportazione della vena Grande Safena mediante l’intervento chirurgico detto “Stripping” (con l’asportazione delle vena attraverso due incisioni principali, una all’inguine e l’altra a livello della coscia o della gamba) è stato l’unico tipo di trattamento proposto. Ma è un trattamento caratterizzato, oltre che dalla alta invasività, anche da un decorso postoperatorio relativamente lungo e fastidioso, da esiti estetici non proprio soddisfacenti e da costi sicuramente eccessivi. Dalla fine degli anni novanta si sono diffuse tecniche chirurgiche “ablative” per via endovascolare caratterizzate, soprattutto, da : assenza della ferita chirurgica inguinale e premalleolare, riduzione fino ad assenza del dolore, ripresa immediata della mobilità e bril-

lante risultato estetico (mini invasiva). Si tratta di tecniche ormai entrate a far parte del bagaglio tecnico-culturale dei chirurghi vascolari più attenti, pronti a recepire l’efficacia immediata e a lungo termine dell’avanguardia tecnologica. Le principali tecniche endovascolari (o endoluminali) correntemente in uso sono la metodica Laser (Evlt), la Radiofrequenza (Vnus) e la Termoablazione mediante vapore (Evsa), relativamente simili per quanto riguarda il concetto applicativo, differenti per

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il tipo di energia utilizzata e per il modo di erogarla. Le indicazioni, i vantaggi e gli eventuali svantaggi che caratterizzano le tre tecniche sono comunque stabiliti dallo specialista, sulla base della personale esperienza e in riferimento ai risultati ottenuti. Il sistema Evsa ( Cerma Sa, Archamps France) è costituito da un generatore, un erogatore a microimpulsi e un catetere che immette il vapore nella vena. Questa metodica sviluppa il principio proposto dal dottor Henri Mehier in Francia secondo cui il passaggio del-


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l’acqua dallo stato liquido a vapore avviene a una temperatura che è funzione della pressione del liquido: per emettere vapore a 150° l’acqua viene spinta ad alta pressione attraverso un tubo di diametro molto ridotto (0,1 mm) ad alta temperatura. Il catetere per l’erogazione del vapore è un finissimo tubo di acciaio rivestito di Teflon del diametro di 1,2 mm, introdotto attraverso una puntura sopra o sotto il ginocchio e portato fino all’inguine sotto controllo ecografico intraoperatorio.

La procedura si esegue in anestesia locale per tumescenza ecoguidata, utilizzando soluzione di Klein a 4°C, iniettata con pompa peristaltica nell’avventizia della vena Grande Safena. La più importante innovazione tecnologica è rappresentata dal piccolo catetere per ablazione denominato “FlexiVein”, in grado di navigare anche in vasi piccoli e tortuosi facilitando le manovre dell’operatore. La parte attiva del catetere, situata in prossimità della sua estremità distale, provoca la chiusura di un tratto ben preciso di vena in un intervallo di tempo altrettanto preciso (a una temperatura di 120 °C sotto controllo computerizzato per dieci secondi esercitando una potenza termica di 45 J per impulso). Completata l’erogazione, il generatore si blocca fino al posizionamento della sonda nella zona successiva da trattare, precisamente individuata con alcuni “marker” presenti sul catetere stesso. L’esatta esecuzione del procedimento richiede tuttavia esperienza chirurgica, soprattutto per la collocazione della punta del catetere alla “crosse” tra il sistema venoso superficiale e il sistema venoso profondo. L’emissione di vapore micropulsato all’interno della vena provoca la denaturazione delle componenti della parete e la fibrosi della stessa, fino alla chiusura completa e alla trasformazione in un cordone solido e compatto, all’interno dei tessuti sottocutanei. Non c’è limite al diametro massimo di safena da trattare.

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E’, comunque, propedeutico a un buon risulto: vuotare la vena mediante la posizione di Trendelemburg, eseguire una corretta tumescenza safenica (per ridurre il calibro della safena e il flusso sanguigno al suo interno), aumentare la potenza dei cicli extra con un più lento pullback, eseguire una buona compressione fredda a fine intervento. Punti fondamentali della procedura sono la puntura della vena Grande Safena al ginocchio secondo la tecnica di Seldingher e il posizionamento dell’estremità del catetere alla cross safenofemorale. Non viene eseguito alcun bendaggio compressivo a fine intervento. Si indossa una calza a compressione terapeutica, consentendo una immediata ripresa della deambulazione, anche per assenza di dolore postoperatorio. Il costo è certamente più basso rispetto alle tecniche endovascolari consorelle. Le complicanze sicuramente trascurabili e di breve durata. Il trattamento Evsa è stato approvato dall’Fda (l’agenzia federale americana di controllo sui farmaci) fin dal 2012 e da allora sono stati eseguiti più di 100mila trattamenti in tutto il mondo. La procedura si è dimostrata tanto valida da ricevere perfino il più elevato riconoscimento per verificabilità scientifica e consigliabilità (il “grado di evidenza A”) nelle “Direttive della Società Francese di Chirurgia” ed è considerata “Tecnica tra le migliori” dall’Fda per la chirurgia delle vene varicose. *Direttore UOC Chirurgia Vascolare Ospedale Sandro Pertini Roma.


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ASSOCIAZIONE FORNITORI OSPEDALIERI

CREDITI SANITARI, MODELLO LAZIO Katrin Bove Che quello dei pagamenti in ambito sanitario da parte della Pubblica amministrazione fosse un problema drammatico è un fatto noto. Che il fenomeno negli ultimi anni si sia via via alleggerito, lo è un po’ meno, soprattutto per i non addetti ai lavori. Il merito di questa inversione di rotta è principalmente dell’Asfo (Associazione Fornitori Ospedalieri di Beni e Servizi), nata come Asfo Lazio nel 1999, quando i tempi medi di pagamento erano a 500 giorni, e trasformatasi recentemente in Asfo tout court, per marcare la sua vocazione ormai nazionale. Dall’esordio l’associazione ne ha percorsa di strada - inizialmente in salita, in ripida salita - con grande soddisfazione soprattutto delle imprese associate, attualmente oltre 370 con più di 20 mila addetti e un volume d'affari che sfiora il miliardo. L’ambizione dell’Asfo è stata, ed è, quella di esportare il virtuoso “modello Lazio del sistema dei crediti sanitari” nel resto del territorio nazionale, mantenendo l’adesione storica a Confcommercio, l’organizzazione di categoria maggiormente rappresentativa nel settore dei servizi e del terziario. Attraverso una capillare azione di sensibilizzazione, inizialmente soprattutto mediatica, Asfo ha condotto con successo un’azione politica caratterizzata della neutralità nei confronti di qualsiasi interlocutore e amministratore con il quale ci fosse da dialogare. Nel periodo di governo della Giunta Storace (2000-05) Asfo Lazio ha avviato per prima procedure di cartolarizzazione su larga scala, mettendo in moto, con i veicoli finanziari al tempo disponibili, tre complesse operazioni: Atlantide 1 (marzo 2004), Atlantide 2 (giugno 2005), Atlantide 3 (aprile 2006). Consentendo ai fornitori associati di perpetuare la vocazione imprenditoriale e la presenza sul territorio, vedendosi riconoscere il corrispettivo delle prestazioni effettuate, sebbene a distanza di 18-20 mesi dalla erogazione. Quando, nel 2007, alla Regione Lazio si insediò la Giunta Marrazzo, la Legge finanziaria escluse le ipotesi di ricorso alla cartolarizzazione. Ha avuto inizio un biennio di intenso lavoro, nel corso del quale Asfo Lazio non ha mai lasciato il tavolo politico e tecnico apertosi, che ha prodotto accordi periodici (2007 e 2008) di non facile attuazione e gestione. Alla fine, tramite il ricorso a convenzioni di factoring per la

cessione pro soluto del credito, queste intese hanno consentito il sensibile abbattimento dei termini di pagamento a vantaggio dei fornitori, riducendoli rispettivamente a 12-15 mesi medi (nel 2007) e a 10-12 mesi medi (nel 2008). Proprio nel 2008 l’Asfo ha raggiunto il suo primo traguardo prestigioso: il Tar del Lazio, accogliendo un ricorso presentato dai fornitori ospedalieri associati, intimò alle Asl Regionali di applicare il decreto legislativo 231/02 ovvero di pagare le fatture ai fornitori entro trenta giorni dalla data di emissione o, in caso di ritardato pagamento, di corrispondere interessi moratori del 10%, come prevede la vigente normativa europea. Per l’Asfo questo successo ha rappresentato il coronamento di tanti sforzi al servizio di una causa giusta, che la sentenza del Tar ha pienamente confermato. Infine, con la delibera regionale 689/2008 si è definito che la partita relativa ai crediti dei fornitori ospedalieri venisse regolata una volta per tutte secondo criteri di continuità e rotatività, fino a eliminarne ogni effetto sul debito consolidato.

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L’accordo sui pagamenti raggiunto dall’Asfo con la Regione Lazio nell’aprile 2009, con l’introduzione “rivoluzionaria” dell’inserimento delle fatture dei fornitori per via telematica, ha sancito da un lato la coerenza dell’impegno della Regione e dei fornitori sui principi ispiratori del processo, dall’altro l’irreversibilità di un sistema che viaggia ormai verso la definitiva soluzione dell’annoso problema del pagamento dei crediti ai fornitori. Oggi Asfo si occupa di: Svolgere attività sindacale e di negoziazione nei confronti di enti locali, regionali, amministrazioni pubbliche e ministeri per risolvere i problemi specifici del comparto e promuovere iniziative a sostegno dell’attività economica delle imprese rappresentate. Organizzare attività di formazione e aggiornamento, promuovendo studi di settore su temi di principale interesse per la categoria. Garantire assi-

stenza tecnico-normativa alle imprese offrendo, tra gli altri, servizi di consulenza fiscale e legale. Promuovere periodiche operazioni di cessione dei crediti vantati nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni clienti, o di altri debitori privati, mettendo in piedi le necessarie azioni propedeutiche legali, di factoring e assicurative, a salvaguardia degli interessi delle imprese associate. Il motto di Asfo è <l’unione fa la forza……veramente!>, fedele specchio di un’associazione che riunisce imprese con problemi e interessi comuni e aspira a mettere insieme i piccoli decisi a diventare grandi. Solo così è possibile presentarsi sul mercato e, al cospetto degli interlocutori istituzionali, riuscire a far valere con autorevolezza e credibilità le ragioni degli associati, raggiungendo gli obiettivi desiderati. Le periodiche cessioni collettiva pro soluto del credito hanno consentito e consentono alle imprese

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– grazie al consistente anticipo dei tempi di pagamento rispetto a quelli transattivamente previsti - di garantirsi la liquidità necessaria al finanziamento della propria attività commerciale. Compito primario di Asfo è soprattutto quello di sostenere le imprese associate nel loro impegno professionale quotidiano, monitorando le istanze provenienti dal territorio e assicurando assistenza tecnica e consulenza nel quotidiano rapporto con la Pubblica amministrazione. Possono associarsi ad Asfo tutte le imprese – a prescindere dalla ubicazione geografica della propria sede - che esercitano sul territorio nazionale, anche non prevalentemente, attività commerciale per la fornitura di beni e servizi nel settore delle forniture ospedaliere. Quella di Asfo è oggi un’attività a 360 gradi che comprende la tutela degli interessi degli associati di fronte agli enti pubblici; la rassegna stampa quotidiana diffusa via mail e sul sito web www.asfo.it; una newsletter contenente gli aggiornamenti normativi e regolamentari che riguardano il settore; pareri gratuiti con risposta sintetica da parte di uno studio legale convenzionato e pareri più complessi a tariffa ridotta e prefissata per gli associati; convegni su temi specifici d’interesse associativo; seminari di aggiornamento su temi normativi e tributari relativi al settore sanitario; formazione gratuita del personale; convenzioni a condizioni di favore per servizi di interesse generale.


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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

La vita media della popolazione è aumentata di circa 10 anni nell’ultimo quarto di secolo e questo grazie anche al trattamento della patologia cardiovascolare. La migliore conoscenza e la possibile prevenzione dei fattori di rischio, i nuovi farmaci e soprattutto l’innovazione tecnologica in discipline, come la chirurgia vascolare, hanno trasformato in realtà scenari che sino a qualche tempo fa potevano solo essere immaginati. In passato i pazienti anziani e fragili con estese e pericolose patologie venivano esclusi dal trattamento chirurgico e sottoposti a terapia medica e sorveglianza. Oggi molti di questi pazienti possono essere trattati con tecniche mininvasive. D’altronde la sempre crescente longevità dei pazienti, con conseguente incremento delle patologie vascolari e la ricerca che offre nuove soluzioni tecnologiche, comportano un incremento di costi per il nostro sistema sanitario che è da sempre il più concretamente solidale. Da qui la necessità di nuove risorse che supportino l’aumento della spesa sanitaria e l opportunita’ della loro razionalizzazione. La SICVE si pone tra gli obiettivi principali, anche mediante la stesura di linee guida, la promozione dell’appropriatezza delle cure per l’ottimizzazione della spesa e la eliminazione degli sprechi. Innovazione Tecnologica e Sostenibilità nell’ambito della Chirurgia Vascolare saranno i temi principali dell’evento congiunto SICVE, Collegio degli Ordinari, Collegio dei Primari , che si terrà dal 18 al 20 Marzo a Matera, come preludio della posizione centrale che questa città occuperà a livello europeo, in quanto eletta capitale della cultura per l’anno 2019.

Pres. SICVE Nicola Mangialardi

Pres. Collegio Ordinari Carlo Setacci

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Pres. Collegio Primari Antonio Iannello


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BAGAGLI PIÙ SICURI

SAFE BAG

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a società fondata da Rudolph arrivare ad assumere il controllo di Gentile chiude un primo semeSafe Wrap che gestisce il servizio di stre più che soddisfacente con protezione bagagli all’aeroporto di un fatturato consolidato in crescita. Miami, il più importante a livello Ebit ed Ebitda sono, invece, in calo. mondiale per il servizio, con quasi 1 Tuttavia il gruppo è impegnato in immilione di bagagli avvolti ogni anno. portanti ristrutturazioni sul piano dei Rudolph Gentile, 43 anni e una laurea costi e delle attività non profittevoli, e in sociologia alla Sapienza di Roma, è in una intensa attività di sviluppo di nuovi prodotti e servizi, che mostreranno tutti i loro benefici già a partire dall’inizio del 2016. Quando ci aggiriamo per un aeroporto, in attesa di fare il checkin, certo non ci meraviglia il fatto di incontrare qualcuno che propone di avvolgere i nostri bagagli per renderne più sicuro il trasporto. E’ un servizio normale, all’interno degli scali di mezzo mondo, al quale siamo ormai abituati. Tuttavia è una pratica piuttosto recente e, a questo proposito, è utile ricordare che una delle prime società a proporlo è stata Safe Bag, fondata nel 1997 da Rudolph Gentile, ancora oggi Presidente del gruppo. Leader in Europa nel campo della protezione dei bagagli, Safe Bag rappresenta un modello per tutte le aziende di riferimento sia sul piano qualitativo che dell’innovazione. Non a Rudolph Gentile, P e Ad caso, sono loro ad avere introdotto il “concept store” del viaggiatore, il vero motore della crescita del gruppo il servizio di garanzia accessoria e la e della sua espansione oltre i confini tracciabilità del bagaglio. nazionali, fino alla scalata dei mercati Dopo anni di successi, dovuti anche d’oltreoceano. La decisione di operare alla capacità di creare liquidità senza negli Stati Uniti, in particolare, ha indebitarsi, nel 2013 Safe Bag si è landato nuovo slancio a Safe Bag, proietciata sul mercato americano, fino ad

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tandola ancora di più in una dimensione multinazionale, verso mercati ad elevatissimo potenziale di crescita. E i risultati senza dubbio danno ragione a Gentile, come dimostra l’andamento del primo semestre 2015. Un periodo che, seppure non interamente segnato da prestazioni positive, evidenzia il forte dinamismo del gruppo che ha dato l’avvio a molte azioni (ingresso in nuovi aeroporti, sviluppo di prodotti/servizi, razionalizzazione di costi di struttura), i cui risultati saranno visibili a partire dal prossimo anno. Nel semestre non mancano le performance brillanti, come, per esempio, quella dei ricavi che fanno segnare un +16,1% rispetto al dato di un anno prima. Un trend positivo che si spiega, in parte con l’espansione del perimetro degli aeroporti nei quali Safe Bag è presente con l’offerta di servizi per la protezione ed il rintracciamento dei bagagli e con la più ampia offerta di servizi per il confort del passeggero introdotta nel passato esercizio, e, in parte, con la rivalutazione del dollaro che, naturalmente, ha un impatto positivo sui ricavi che arrivano dal mercato americano. Inoltre bisogna tenere presente che nella seconda parte del passato esercizio, Safe Bag aveva operato un rafforzamento delle proprie attività in Italia, negli scali di Roma Fiumicino, Bari e Brindisi. E di queste nuove


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A CURA DELL’UFFICIO MARKETING

aperture ha beneficiato il primo semestre 2015. Da gennaio a giugno, inoltre, la società ha proseguito l’estensione della propria value proposition sulla rete vendita, soprattutto con l’introduzione di un servizio esclusivo di garanzia e rintracciabilità dei bagagli, unico nell’industria, che ha garantito ricavi per 0,8 milioni di euro contro gli 0,09 milioni di euro nel primo semestre 2014. Se, poi, analizziamo i ricavi per area geografica, troviamo conferma della forte vocazione internazionale del gruppo e osserviamo un’ampia diversificazione sui mercati. Gli Stati Uniti sono, ormai, il primo mercato del gruppo (48% circa dei ricavi), la Francia il secondo mercato con il 27% dei ricavi, quindi troviamo l’Italia con il 13% seguita da Portogallo (7%), Svizzera (5%) e, infine, Spagna (meno dell’1%). L’Ebitda del primo semestre 2015, invece, è negativo per 0,2 milioni contro gli 0,8 milioni dello stesso periodo del 2014. Una contrazione dovuta, soprattutto, alla minor performance dell’aeroporto di Miami (dovuta al perdurare del fenomeno dell’outside wrapping, ovvero l’avvolgimento non regolamentato dei bagagli fuori dall’aeroporto), oltre che dal roll over dei costi indiretti, oggetto del piano di ristrutturazione, che penalizza l’intero primo semestre dell’anno (se alcuni contratti passivi sono stati disdetti nel periodo, infatti, gli effetti positivi si vedranno soltanto dall’inizio del 2016). Due fenomeni sui quali il management della società si sta concentrando per ottenere un incremento della marginalità sull’Ebitda nei prossimi mesi. Anche l’Ebit del primo semestre 2015 è negativo per circa 1,9 milioni (contro i -0,7 milioni di un anno prima) ma il risultato è facilmente spiegabile con le quote di ammortamento calcolate su tre diverse voci di avviamento. La prima

generata dall’operazione di consolidamento delle attività e definita nel 2012, la seconda conseguente al consolidamento integrale della società Svizzera, a partire dal 1 luglio 2013 e la terza prodotta dal consolidamento del sovrapprezzo versato per l’acquisizione del 25,5% della JV di Miami, avvenuta a luglio 2014. Sul fronte del risultato netto del primo semestre 2015 si osserva una perdita di 1,9 milioni di euro (-1,2 milioni nei primi sei mesi del 2014), per effetto delle poste che incidono sull’Ebit. L’indebitamento finanziario netto consolidato di Safe Bag al 30 giugno 2015, infine, si ferma a quota -2 milioni di euro, rispetto agli 1,6 milioni del 2014 ma, anche in questo caso, la variazione è facilmente spiegabile e non evidenzia nulla di preoccupante per il gruppo. Il dato è, infatti, influenzato dalla stagionalità negativa del primo semestre rispetto all’ultima parte dell’anno e dagli investimenti su nuove linee di prodotto e nuovi punti vendita aperti dalla società. Da Gennaio 2016 i risultati economici sono attesi da subito in sensibile miglioramento, per effetto dei decisi interventi di razionalizzazione e rilancio avviati nel 2015. “Stiamo perfezionando la ristrutturazione dei costi generali e delle attività non profittevoli e ci apprestiamo a commercializzare una serie di nuove linee di business complementari e scalabili”. Ha spiegato Rudolph Gentile. “Prodotti e servizi che potranno essere venduti anche al di fuori dei network aeroportuali, e che ci daranno grandi soddisfazioni”. In conclusione, Safe Bag può guardare al futuro con ragionevole ottimismo, proseguendo con l’attitudine al dinamismo e la capacità di affrontare sempre nuove sfide che contraddistinguono il gruppo.

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ALLARME SICUREZZA

VIDEOSORVEGLIANZA, OK

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opo il barbaro, vile, terribile attentato terroristico sistemi di videosorveglianza sono una risorsa straordinaria per plurimo di Parigi del 13 novembre, è in atto un la sicurezza e per identificare i volti dei potenziali terroristi, un acceso dibattito sulla questione sicurezza, su cosa si preziosissimo ulteriore strumento è costituito dalle “telecamere può fare, in Italia ed in Europa, per provare a contrastare intelligenti”. questa escalation di violenza che sta coinvolgendo anche i Dopo una settimana dall’attentato terroristico di Parigi, il Presettori dell’economia. sidente del Consiglio, il 21 novembre intervenendo al primo Gli attentati terroristici islamici ci hanno fatto prendere consaItalian Digital Day alla Reggia di Venaria ha annunciato che, pevolezza che nessun paese è al riparo dalla piaga dell’estremismo per la lotta al terrorismo, il Governo sta valutando la fattibilità violento. Prima di Parigi il terrorismo di un progetto che scommette su aveva colpito New York, Londra, una svolta di tecnologica e inforMadrid, Tunisi e tanti altri luoghi matica. Ha parlato di Webcam indi continenti diversi. telligenti per identificare immediaMolti analisti hanno affermato che tamente per via telematica tutti i per contrastare l’estremismo in tutte volti dei potenziali terroristi che le sue forme, è necessario dotarsi di appaiono in una telecamera e già misure preventive forti, perché con noti a una grande banca dati interla sola militarizzazione del territorio nazionale. non si sconfigge il terrorismo. Sull’argomento di grandissima atUno dei massimi esperti italiani in tualità, che Nuova Finanza aveva materia di gestione della sicurezza, colto per tempo, abbiamo voluto il Prefetto Francesco Tagliente, da sentire nuovamente le valutazioni tempo va sostenendo che “contro del Prefetto Tagliente questa minaccia emergente servono “Io sono convinto – ha detto il una serie di misure e di nuovi struPrefetto - che il nostro Governo, i menti a livello locale, nazionale, eunostri servizi di Intelligence e di ropeo e internazionale”. investigazione antiterrorismo e le Nel mese di marzo scorso Nuova nostre forze dell’ordine si stiano Finanza ha affrontato la problematica muovendo nella direzione giusta della nuova minaccia terroristica con con altissimo profilo professionale Il Prefetto Francesco Tagliente un’ intervista di Germana Loizzi a e con forte determinazione a gaTagliente, già Questore di Firenze e rantire vivibilità e sicurezza sui Roma, che da direttore dell’Ufficio Ordine Pubblico del nostri territori. Intanto – ha proseguito Tagliente - condivido Ministero ha scritto il decreto interministeriale sulla videosorin pieno la strategia annunciata dal Presidente del Consiglio veglianza negli impianti sportivi e che da Prefetto a Pisa, nel Matteo Renzi. Aggiungo che nelle nostre istituzioni, deputate 2013, dopo aver censito tutti i sistemi di videosorveglianza alla sicurezza dei territori, abbiamo figure professionali di alto pubblici e privati che insistono sulle aree pubbliche, ha istituito profilo. “L’anagrafe delle telecamere”, la prima realizzata in Italia. La Faccio l’esempio della Capitale, dove a rappresentare il Governo sua esperienza rappresenta un valore aggiunto per la strategia sul territorio vi è il Prefetto Franco Gabrielli, conoscitore del di gestione della minaccia terroristica e per la sicurezza del territorio ma anche esperto di terrorismo, essendo stato nostro Paese. impegnato in prima linea e con risultati a dir poco lusinghieri In quella intervista di 10 mesi fa, Tagliente sostenne che “i nelle indagini contro le Nuove Brigate Rosse.

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Abbiamo un eccellente Questore, Nicolò D’Angelo, e un Capo di Gabinetto del Questore, Roberto Massucci, che ha pianificato e gestito molti grandi eventi che si sono tenuti nel nostro Paese: è stato peraltro il mio vice nella pianificazione della sicurezza del Giubileo del 2000 e delle Olimpiadi di Tori-

no del 2006. Abbiamo una DIGOS romana che conserva una grande eredità professionale lasciata da Lamberto Giannini, ora al vertice dell’Antiterrorismo Centrale. Abbiamo Ufficiali dei Carabinieri, Funzionari di Polizia ed operatori con un profilo professionale molto alto”. Invitato ad approfondire l’utilità delle Webcam intelligenti per identificare immediatamente per via telematica tutti i volti dei potenziali terroristi, l’ex Questore di Firenze e di Roma ha aggiunto che “Oggi tutte le metropolitane, le stazioni ferroviarie e aeroportuali, le banche, gli stadi, i supermercati e le gioiellerie dispongono di sistemi di videosorveglianza. Mettere in rete tutte queste telecamere e avere la possibilità di sapere in tempo reale quello che hanno ripreso è fondamentale; conoscere a priori la loro ubicazione, quante sono, quali angolazioni riprendono. Questo serve sia a ridurre i costi dell’attività investigativa, sia a velocizzare e, dunque rendere più efficace, la stessa. Evitando di mandare dopo un evento delittuoso, qualunque esso sia, a maggior ragione se atto di terrorismo, il carabiniere

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o il poliziotto a vedere se c’è una telecamera, dove sta, se funziona. L’anagrafe delle telecamere mette in condizioni di sapere a tavolino, anche nelle ore notturne di un giorno festivo, quando è tutto buio cosa accade e cosa è accaduto in una determinata strada. Il progetto, riduce il carico di lavoro degli operatori delle Forze di polizia a beneficio della sicurezza generale. Gli investimenti sulla sicurezza con i sistemi di videosorveglianza possono consentire di individuare gli estremisti sotto osservazione e seguirne così ogni movimento, per identificarli, bloccarli e neutralizzarli. In pratica questi sistemi di videosorveglianza intelligente, grazie all’impiego di telecamere ad alta risoluzione adatte all’utilizzo di software di video-analisi, possono consentire l’immediata identificazione per via telematica di tutti i volti dei potenziali terroristi, che appaiono appunto in una telecamera, se preventivamente caricati in una banca dati.” “E’ chiaro però - ha proseguito Tagliente - che con questo elevatissimo livello di attenzione, per contrastare l’estremismo in tutte le sue forme, sono necessarie misure preventive forti perché la sola video analisi non basta per sconfigge il terrorismo. Bisogna coniugare le logiche dell’investigazione e dell’attività informativa tradizionale con quella di nuova generazione. Serve una continua rimodulazione dei dispositivi di controllo del territorio per adeguarlo alle nuove conoscenze e risorse tecnologiche. È importante la proiezione esterna sul territorio, la conoscenza delle realtà di estrazione culturale islamica anche attraverso il ‘porta a porta’.


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Oggi è necessaria una maggiore condivisione e cooperazione operativa di tutte le potenze mondiali: i Paesi devono sentirsi uniti come è stato in passato per noi, negli anni di piombo. E’ importante continuare a lavorare per il rafforzamento della collaborazione tra gli stati per tentare una soluzione diplomatica al conflitto siriano e libico. E’ importante concentrarsi sul monitoraggio dei siti. Anche le ultime operazioni antiterrorismo hanno confermato, qualora fosse necessario, quanto sia utilizzato il web come strumento di propaganda e proselitismo. E’ necessario identificare e bloccare gli individui che spingono le persone verso il terrorismo. La propaganda e i contenuti estremisti sono facilmente accessibili online. E’ importantissimo monitorare le attività delle reti, comprese wi-fi aperte e Deep Web (internet profondo), internet point, per prevenire la radicalizzazione dell’estremismo violento e il reclutamento via web, evitando che la rete internet e i siti jihadisti continuino ad essere un vettore di propaganda e di proselitismo di persone che risiedono in Europa. Gli atti di terrorismo e di estremismo violento sono perpetrati, come accaduto in Francia, anche da europei reclutati grazie a una propaganda online, che si recano all’estero per addestrarsi e combattere nelle zone di conflitto e al loro ritorno, costituiscono una minaccia per la nostra sicurezza. Occorre avvalersi delle nuove potenzialità della video analisi, per consentire l’immediata identificazione per via telematica di tutti i volti dei potenziali terroristi preventivamente caricati in una banca dati. Serve una continua e maggiore penetrazione delle agenzie di controllo sociale nelle periferie per prevenire il radicamento del fondamentalismo islamico. L’azione per sconfiggere l’Isis, va condotta anche sul piano culturale. E’ importante provare a

coinvolgere i predicatori ortodossi ostili alla violenza armata. Vanno rafforzati i controlli su tutti i viaggiatori anche alle frontiere. Serve il monitoraggio delle moschee esistenti sul territorio per assicurarsi che siano soltanto reali luoghi di preghiera, valutando l’opportunità della chiusura di quei siti privi delle caratteristiche proprie di luogo di culto. Servono perquisizioni nelle case e negli altri luoghi dove si sospetta possa annidarsi presenza di sostenitori e fiancheggiatori o la presenza di armi ed esplosivi. E’ importante rafforzare il monitoraggio delle carceri, per prevenire l’eventuale opera di proselitismo del fondamentalismo islamico nelle celle. Non si può trascurare la filiera carceraria dove, alcuni detenuti potrebbero sfruttare proprio quel contesto per veicolare il messaggio estremista. E’ necessario procedere ad espulsioni mirate nei confronti di chi incita all’odio, alla violenza, alla diffusione di idee o teorie che spingono a atti di terrorismo. Servono maggiori controlli sui droni potenziando il sistema di rilevamento e contrasto con inibizione al volo. Servono controlli preventivi, anche con metal detector fissi o portatili, per chi accede nei luoghi ad alta concentrazione di persone. Bisogna cominciare a riflettere sulla necessità di avere sempre più personale specializzato che conosca la lingua araba, perché numero delle persone da controllare sta aumentando continuamente con una varietà di lingue e di dialetti oltre che di culture”. (Redazione NF)

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ECCELLENZE ANTI-TERRORISMO

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LA SICUREZZA È MADE IN ITALY Pietro Romano

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i chiama Fly bag ed è una borsainvolucro per avvolgere la stiva o la cabina di un aereo con lo scopo di mitigare gli effetti di una bomba che esploda a bordo di un velivolo, di linea e non. E’ il più recente frutto dell’ingegno italiano nel settore della sicurezza, una storica eccellenza del Made in Italy più avanzato tecnologicamente che la guerra asimmetrica e il ritorno galoppante del terrorismo stanno mettendo sugli scudi. A studiare e certificare Fly bag (di cui si prevede l’entrata in produzione a breve, dopo due sperimentazioni su aerei dell’Alitalia) una società ingegneristica, D’Appolonia, controllata dal gruppo Rina, tra i principali operatori mondiali nella certificazione. Un’altra novità nel panorama dei prodotti italiani per la sicurezza è appena finita all’attenzione delle forze dell’ordine: il FlySecur, un mini-drone dall’apertura alare inferiore ai due metri e un chilo e mezzo di peso prodotto dall’azienda romana FlyTop. Con un’autonomia di circa un’ora, il FlySecur può volare anche di notte, si può comandare da uno smartphone o da un pc ma può avere una rotta preselezionata. Imbarca una serie di sensori ottici e a infrarosso in grado di trasmettere all’istante le immagini raccolte alla sala di controllo remota. Per il suo basso costo di esercizio potrebbe essere più conveniente, anche economicamente oltre che per il minore rischio, dei pattugliamenti umani. Un business in crescita Il mercato mondiale della sicurezza, rivela una ricerca presentata di recente

dal pensatoio francese “En tout securité”, vale oltre 500 miliardi di euro, di cui più di 70 relativi alla “homeland security”, la sicurezza interna, con una tendenza a incrementi molto forti, perfino in Occidente, dove le spese per la difesa e la sicurezza sono ridiventate prioritarie dopo i forti tagli negli anni della grande crisi. In Italia, il valore della sicurezza interna viene stimato tra i due e i tre miliardi. “La richiesta di sicurezza è in continua crescita”, spiega il presidente e amministratore delegato di Elettronica Elt, cavaliere del lavoro Enzo Benigni, “e c’è bisogno di ricerca sempre più spinta per fornire soluzioni alle nuove minacce e per tenere la concorrenza un passo indietro. Il mercato italiano è troppo ristretto per sostenere i livelli di investimento necessari nella competizione internazionale. Ma per fortuna siamo all’avanguardia in molti campi e indipendenti dalle tecnologie americane, che sono sottoposte a rigide regole di applicazione”. Elettronica Elt, 800 dipendenti in giro

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per il mondo, cuore e cervello nella Tiburtina Valley, a est di Roma, da anni lavora nelle tecnologie dell’autoprotezione infrarossa che, in sostanza, riescono a sviare i missili. Utilizzati perlopiù nell’aviazione militare ma in procinto di essere adoperati massicciamente anche all’aviazione civile, come da tempo fa la compagnia israeliana El Al, in particolare per evitare il pericolo costituito dai missili a spalla in fase di decollo e atterraggio. “E’ molto probabile”, anticipa una fonte che non vuole essere citata, uno dei più rispettati esperti mondiali di trasporto aereo, “che prossimamente la Iata (l’associazione mondiale delle compagnie aeree, ndr) avanzerà ai governi una richiesta ufficiale di riconoscere rimborsi o perlomeno sgravi, fiscali o di altra natura, agli operatori intenzionati a investire nella sicurezza. Le vicende degli ultimi anni, l’irruzione, riconosciuta o meno, del terrorismo nel trasporto civile tra il 2014 e il 2015 non possono rimanere senza risposta se si vuole garantire all’indu-


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stria dell’aria un futuro”. Elettronica Elt, però, non si limita a studiare deterrenti ai pericoli in aria. Un apparentemente semplice aggeggio elettrico permette di evitare l’esplosione di bombe quando un automezzo (o un civile) ci passa sopra. E il sistema Vedetta (vedere box) cerca di evitare i rischi provenienti dal mare con investimenti contenuti. Droni: emergenze e soluzioni Uno dei pericolo maggiori per la sicurezza interna - in vista di grandi eventi, a esempio il Giubileo, e di manifestazioni come le Olimpiadi, i Mondiali di calcio, gli spettacoli all’aperto, le iniziative politiche e religiose, le sfilate e le parate - è quello dei droni, i velivoli a pilotaggio remoto. Anche nei dispositivi anti-drone l’Italia non ha nulla da invidiare ai suoi concorrenti nella competizione globale. Ses, del gruppo Finmeccanica, ha di recente

presentato il Falcon Shield, un modello di drone destinato a neutralizzare i velivoliasenza piloti, perfino di dimensioni molto ridotte, con un sistema in grado di trovare, fissare, tracciare e sconfiggere minacce differenti, anche cyber. Una richiesta dell’Esercito italiano ha dato il via a una sorta di competizione sul filo dell’alta tecnologia per un sistema anti-drone che possa agire in aree ad alto rischio. La necessità più urgente è quella di un insieme in grado di evitare pericoli dove si ammassano le folle. Il culmine dell’intervento è nel trasporto del drone in un’area a scarsa o nulla popolazione: a Roma, per esempio, nel Tevere. Montando un cannone, in aree di interesse militare, sarebbe possibile eliminare il pericolo in volo. Secondo indiscrezioni, l’azienda in fase più avanzata nella realizzazione di un progetto de-

Il cavaliere del lavoro Enzo Benigni, Ad di Elt-Elettronica, con i figli Domitilla e Lorenzo

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stinato a soddisfare le richieste dei vertici militare sarebbe un altro gioiello dell’industria italiana: la Ids di Pisa. Nata nel 1980, Ids è un’azienda con capacità ingegneristiche altamente sofisticate. Presieduta e amministrata dall’ingegner Giovanni Bardelli, conta oltre 500 dipendenti nelle sei sedi localizzate in altrettanti Paesi e da sempre è un passo in avanti rispetto alla concorrenza internazionale. Tra gli altri punti di forza dell’azienda pisana emergono le tecnologie abilitanti alle intercomunicazioni fra droni con l’obiettivo di realizzare droni cooperanti, nell’ambito di sciami che rappresentano la punta avanzata nella tecnologia del controllo del volo di aerei a pilotaggio remoto con alto grado di complessità. Finmeccanica, che nella “domanda di sistemi da tutela da minacce asimmetriche” vede uno dei suoi futuri punti di forza, dispone anche di altre frecce nella sua faretra: i droni marittimi di Wass (per la difesa mobile di natanti e porti), i droni terrestri di Oto Melara (per neutralizzare ordigni esplosivi ma anche per esplorare aree a rischio terrorismo biologico), i sistemi laser anticollisioni, per individuare ostacoli improvvisi, della stessa Ses. Pericoli semplici, soluzioni sofisticate Le risposte italiane al rischio terrorismo sono molteplici. E’ un’industria italiana di Lecco, la Gilardoni, la leader mondiale nel campo della scansione, per esempio di bagagli negli aeroporti. Ma altri operatori di lunga tradizione (e altrettanto riconosciuti successi) sono attivi nel settore dei metal detector e, in genere, dei controlli all’in-


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terno di contenitori di ogni tipo. Si va dalla Prisma di Fidenza alla Ceia di Arezzo, che ha brevettato e prodotto il primo metal detector nel 1962. Operatori di fronte ai quali si apre, anche nel nostro Paese, un mercato molto vasto: da piazza San Pietro alla Scala di Milano sono innumerevoli le aree alle quali si accede attraverso varchi controllati ad alta sensibilità Un ruolo molto importante nel business della sicurezza lo gioca anche tutta una serie di micro, piccole e medie imprese che lavorano nella videosorveglianza (il cui giro d’affari in Italia è cresciuto nell’ultimo anno di oltre il 10 per cento) e nei segmenti anti-in-

trusione (a sua volta con un fatturato in aumento superiore al 7 per cento), sviluppano sistemi di lettura e classificazione (a esempio delle targhe) e realizzano il cosiddetto Dna sintetico, per marcare cose o persone. Anche su questo fronte, la forza del Made in Italy è nelle tecnologie, che consentono di essere sempre un passo in avanti rispetto ai concorrenti mondiali, perfino ai giganti statunitensi. E di poter partecipare ai progetti internazionali più avanzati. La società romana Almaviva partecipa con un ruolo guida al progetto europeo Forensor, mirato a sviluppare e validare una “telecamera intelligente”,

vale a dire un sensore miniaturizzato, senza fili, a basso consumo e a basso costo, in grado di lanciare allarmi immediati e raccogliere prove con validità forense. La sua fotocamera ultra sensibile, con intelligenza integrata, consentirà di operare in località remote, senza l’ausilio di luce diurna, identificando individui sospetti predefiniti e allertando le forze dell’ordine. Nello stesso tempo fornirà e memorizzerà video e immagini, con evidenza della data e dell’orario in cui sono state raccolte. E potrà operare autonomamente fino a due mesi senza necessità di interventi sulla infrastruttura. Tempo di realizzazione: tre anni.

UNA VEDETTA SUL MARE Si chiama Vedetta e, benché sia un acronimo, il nome rende quanto mai l’idea: Vessel enhanced detection and traffic acquisition, vale a dire scoperta e localizzazione migliorata delle imbarcazioni. E’ un sistema perfettamente duale (insomma a uso civile e militare) per la sorveglianza costiera nata dal felice connubio pubblico-privato di più eccellenze laziali. A favorire l’opportunità un bando emesso dalla regione Lazio che, attingendo ai contributi del Fondo europeo per lo sviluppo regionale, ha consentito di aggregare in un’associazione temporanea d’imprese un’azienda leader mondiale quale Elettronica, alcune piccole-medie imprese (Dep, Elmacon, Elman), l’Università di Tor Vergata, una serie di fornitori di componentistica accomunati dall’incidenza territoriale regionale. Da questo incontro è nata l’idea di valorizzare il know how trainante di Elettronica nella sorveglianza delle comunicazioni per realizzare un prodotto nel contempo altamente sofisticato e decisamente semplice. Un’idea scaturita e realizzata in tempi molto ristretti. Che, per spiegarla in breve, consiste nell’utilizzo ottimale di due radiogoniometri per individuare emissioni nella banda delle comunicazioni radio-telefoniche e rilevare, scegliere, caratterizzare e localizzare sorgenti di emissioni in modo automatico. Si tratta, in sostanza, di poter localizzare, attraverso basi distanti tra di loro fino a 20 chilometri, una imbarcazione altrimenti non individuabile con gli strumenti, anche più sofisticati, attualmente a disposizione. E’ il caso, quindi, dell’imbarcazione in difficoltà, dalla quale è possibile mettersi in contatto tramite, a esempio, un telefono cellulare che, però, di per sé non riesce a far localizzare il natante. Ed è il caso di un’imbarcazione impegnata in attività illegali (dal traffico di clandestini al contrabbando, dal traffico di armi alla preparazione/esecuzione di attività terroristiche) a bordo della quale sono stati disattivati gli strumenti di rilevazione e che procede in totale silenzio radio ma allo stesso tempo non si possono isolare del tutto rilevatori come il cellulare. L’uso di Vedetta, attualmente in fase di industrializzazione e commercializzazione, non si limita, però, agli interventi in mare. E’ altrettanto efficace, infatti, nella sorveglianza di infrastrutture critiche sul suolo terrestre, dalle centrali elettriche agli aeroporti.

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INFORMATICI E NON MILITARI

DRONI, TERRORE E MORTE Valeria Caldelli

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on so con quale arma si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta si combatterà con la clava”. Pensava alla potenza distruttiva della bomba atomica lo scienziato Albert Einstein, padre della teoria della relatività, immaginando un conflitto che avrebbe raso al suolo l'intero globo terrestre e decimato i suoi abitanti. Pur non essendo mai stato coinvolto nella costruzione dell'arma che distrusse Hiroshima e Nagasaki, Einstein era consapevole che il fondamento teorico della sua scoperta, cioè il principio di equivalenza massa -energia, con la possibilità di trasformare direttamente la materia in energia e viceversa, aveva aperto la strada ad applicazioni pratiche dalle conseguenze drammatiche, che avevano portato all'uccisione di 250.000 innocenti. Non sempre gli effetti del progresso scientifico sono positivi per l'uomo stesso che quel progresso ha creato e per questo, in tutta la sua vita, lo scienziato restò un convinto pacifista al punto di chiedere ai governi il disarmo delle nazioni e ai giovani il rifiuto del servizio militare. Ma soprattutto chiese agli scienziati di essere uomini e di ascoltare la coscienza, pena il rischio di un'estinzione totale. Allora, appunto, era la fissione nucleare a spaventarlo nel caso di un terzo conflitto mondiale. Non immaginava Albert Einstein che la scienza avrebbe creato altri mostri, pronti ad aggiungersi alla bomba atomica, forse ancora più subdoli perché non hanno più bisogno di soldati per portare la distruzione, ma solo di tecnici in giacca e cravatta. Sono loro, infatti, gli informatici e non i militari, le vestali dei temibili droni, quegli aerei comandati da migliaia di chilometri di distanza che seminano terrore e morte vera come se fosse un gioco della playstation: si va in ufficio, si premono i bottoni davanti a monitor lampeggianti, si assiste al turpe orrore della guerra

quasi fosse uno spettacolo e alla fine del turno si torna a casa. E' il nuovo warfare, non un romanzo di fantascienza, ma ormai cronaca quotidiana. Usa e Israele utilizzano massicciamente i droni; molti altri Stati stanno investendo in questo settore bellico, mentre gli scienziati si interrogano sull'ultimo 'prodotto' delle loro ricerche. <Tutti vittime, tutti colpevoli> è il titolo di un convegno svolto a Pisa subito dopo gli atti terroristici nel centro di Parigi e poco prima dell'annuncio del presidente nordcoreano Kim Jong-Un sulla realizzazione della 'bomba H' nel suo Paese, bomba micidiale che sarebbe pronto a far esplodere. Mentre la pace, dunque, resta per ora soltanto una bella parola e una speranza, gli scienziati italiani, settanta anni dopo Hiroshima e Nagasaki, si sono incontrati scambiando una serie di riflessioni sull'etica della ricerca pubblica e privata. E hanno scelto Pisa, città sede di uno dei dipartimenti di fisica di eccellenza in Italia e città in cui studiò Enrico Fermi, lo scienziato che insieme a Robert Oppenheimer costruì la bomba atomica, poi lanciata in Giappone. Perché proprio loro, gli scienziati, sono stretti tra fuochi incrociati. Da una parte la loro coscienza di uomini, dall'altra l'esplorazione delle nuove frontiere della conoscenza; da una parte l'insistente richiesta di sicurezza dei governi e delle popolazioni, dall'altra l'impegno a non spargere sangue innocente. Dov' è la risposta a queste esigenze? Come si conciliano la libertà della ricerca scientifica e le responsabilità morali e sociali degli scienziati? I droni e la nuova warfare sono davvero una risposta a queste domade o soltanto nuovi mostri che si aggiungono a quelli che già esistevano? Nati da un'idea di Nikola Tesla, che nel 1898 inventò un modello di nave telecomandata, e 'approfonditi' dall'ingegnere statunitense Charles Kettering che nel 1910 progettò il primo aereo a pilotaggio

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remoto, i droni sono entrati nei sogni americani dopo la disfatta del Vietnam, costata agli Stati Uniti migliaia di vite umane. Come esercitare un controllo senza mandare a morire i propri uomini? Si poteva fare la guerra da lontano evitando vittime dall'una e dall'altra parte? Il drone pilotato da casa che sgancia bombe 'intelligenti' contro obiettivi militari, salvando persino la popolazione civile, sembrava la soluzione esemplare. E dopo l'attentato alle Twin Towers il nuovo warfare si è imposto anno dopo anno, anche se non tutti i risultati sono stati quelli sperati. E' bastato spesso uno stupido errore di comunicazione tra il drone e la base da cui viene telecomandato per seminare panico e morte tra i civili, oppure è successo di non conoscere bene il territorio che si è andati a colpire per sbagliare obiettivi che apparivano certi. La guerra, dunque, è reale, ma silenziosa, solo l'immagine su uno schermo. Si muore, e si muore davvero, ma senza che chi toglie la vita sia emotivamente coinvolto dall' orrore provocato. <Qual

è l'unica giustificazione morale di un conflitto? Quella secondo cui se io non ti uccido, tu uccidi me. Proprio come ci racconta Fabrizio De Andrè nella sua 'Guerra di Piero' >. Guglielmo Tamburrini, professore di Logica e Filosofia della Scienza all'Università Federico II di Napoli ha spiegato che il paradosso della guerra senza rischi è proprio il venir meno di questa unica giustificazione morale. E non sono pochi i detrattori di Obama, il presidente democratico degli Stati Uniti che ha amplificato l'uso dei droni fin dai primi giorni del suo insediamento alla Casa Bianca. L'accusa è di aver spinto in questo modo anche l'Islam moderato verso il terrorismo, perché l'uccisione di un congiunto avvenuta per mano di robot e non di uomini amplifica la mortificazione del nemico e perché i combattimenti frutto di specializzate tecnologie belliche e non di strategie umane possono provocare reazioni rabbiose. Ma la scienza ha fatto altri passi avanti e un nuovo esercito è pronto a partire, un esercito che non ha più bisogno nemmeno dell'informatico in

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giacca e cravatta, perchè è formato da robot programmati per fare tutto da soli, per decidere come, dove e quando uccidere, indipendentemente dagli esseri umani che li hanno costruiti. E' etico o no percorrere questa strada? Tamburrini ha evidenziato come la maggior parte della comunità scientifica, oggi, non ritenga giusto, in coscienza, proseguire una ricerca che porta nuovi pericoli. Ma come reagiranno i politici? E in che modo potranno essere trovate regole condivise? E' possibile un dialogo consapevole tra ricercatori, industriali, politici e cittadini? Come può la scienza rispondere alle esigenze di sicurezza degli Stati e dei loro abitanti? Si può costruire un'etica della scienza universalmente accettata? <Sono tante le domande ancora irrisolte>, ha detto Francesco Forti, docente di fisica del dipartimento pisano, nel corso della discussione. <Oggi, nonostante siano trascorsi molti anni dalle bombe che hanno colpito Hiroshima e Nagasaki, le questioni legate alla libertà della scienza, all'etica del ricercatore e ai rapporti tra scienza e società, rimangono vive e problematiche. Anzi, in questi giorni così pieni di eventi drammatici e sconvolgenti, le questioni etiche sullo sviluppo e sull'uso di tecnologie con applicazioni militari appaiono più complesse ed intricate di sempre>. E ancora una volta gli scienziati sono sui carboni ardenti. <Il loro dovere è rendere edotta la popolazione, indicare dove la scarpa fa male. Poi sono i cittadini a dover decidere", ha commentato Pietro Greco, giornalista scienti-


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fico, sottolineando il ruolo fondamentale della divulgazione. Certo, non c'è dubbio che anche il pacifismo a tutti i costi non è sempre applicabile. Lo stesso Einstein lo ha sottolineato più volte: <Sono sempre stato un pacifista, cioè non riconosco la forza bruta come un mezzo per la soluzione dei conflitti internazionali. Nonostante ciò penso che non sia ragionevole mantenere questo principio incondizionatamente. Bisogna fare un'eccezione quando una potenza ostile minaccia la completa distruzione del proprio gruppo>. Lui, il pacifista Einstein, proponeva un governo mondiale che risolvesse i conflitti tra nazioni in via giudiziale, l' unico che potesse avere la disponibilità di armi offensive. Richiesta mai accolta, tanto che oggi, oltre alle armi atomiche e a quelle informatiche, corriamo il rischio anche delle armi chimiche o batteriologiche. E se il presidente nord coreano Kim Jong-Un si è vantato di avere adesso una superbomba, quello russo Vladimir Putin non ha pubblicamente escluso l'uso di ordigni nucleari nella guerra all'Isis. La pace è lontana per motivi più o meno inconfessabili che comunque niente hanno a che fare con i veri bisogni e

con la vita quotidiana dei cittadini dell'intero globo. Al convegno il professor Jack Steinberger, premio Nobel per la fisica nel 1988, cittadino americano di origine tedesca e attivo sostenitore del disarmo nucleare, ha inviato un messaggio agli scienziati del convegno pisano. E ha scritto così: <Le armi nucleari sono una evidente minaccia per l'umanità, date le grandi scorte rimanenti e la minaccia di un uso accidentale, senza possibilità di prevederne l'ampiezza. L'unico modo per risolvere questo problema è un disarmo nucleare globale. Questo è possibile, la maggior parte degli Stati dotati di arsenali nucleari lo vedrebbero con favore e il presidente Obama, appena eletto, dichiarò nel 2008 a Praga la disponibilità degli Stati Uniti a guidare questo processo. Data la dimensione delle sovrastrutture necessarie per mantenere anche un piccolissimo arsenale, ci si può convincere che non è possibile tenerne segreta l'esistenza. Ovvero, i controlli sono possibili. Il disarmo nucleare dunque è possibile seguendo la via indicata dagli Stati Uniti. Obama non è riuscito in questo intento. Perché?>

RIQUALIFICAZIONE ALBERGHIERA Pubblicati i primi dati sul Tax Credit Riqualificazione: solo per i mobili le richieste sono state pari a 27 milioni 118 mila euro, a fronte dei 2 milioni disponibili. Per migliorare la qualità dell'offerta ricettiva italiana e favorire le imprese dell’edilizia e dell’arredo, il governo ha previsto per il triennio 2014 - 2016, il riconoscimento di un credito d'imposta a favore delle imprese alberghiere che effettuino interventi di ristrutturazione della struttura. Dai dati che il MIBACT ha diffuso nei giorni scorsi è possibile avere un primo riscontro degli effetti positivi della misura: a fronte dei 20 milioni stanziati per l’anno 2014 sono pervenute domande per oltre 77 milioni di euro. Nei primi 4 minuti del “click day” (il via libera alle domande online previsto dal Ministero dei Beni Culturali e del Turismo) sono state inviate richieste pari all’86% dello stanziamento complessivo. Solo per i mobili le richieste sono state pari a 27 milioni 118 mila euro, a fronte dei 2 milioni disponibili, ovvero il 10% del plafond complessivo. Il bonus alberghi (riconoscimento del credito di imposta "Tax Credit" per la Riqualificazione Alberghiera, previsto dall’art. 10 D.L. 83/2014), è esito della richiesta congiunta di FederlegnoArredo e AICA – Associazione Italiana Confindustria Alberghi. Viene concesso per le spese complessivamente sostenute dal primo gennaio 2014 al 31 dicembre 2016. Il credito è ripartito in 3 quote annuali di pari importo ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione. Fra le spese agevolabili, la ristrutturazione edilizia e l’acquisto di mobili: componenti di arredo, cucine professionali, arredi outdoor, eccetera.

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MASSIMA ALLERTA

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GIUBILEO, AL TEMPO DELL’ISIS Germana Loizzi

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’ l’anno della misericordia. Con l’apertura della Porta Santa alla Basilica di San Pietro l’8 dicembre scorso è iniziato il Giubileo Straordinario della Misericordia che proseguirà fino al 20 novembre 2016. «Sentire misericordia, questa parola cambia tutto. È il meglio che noi possiamo sentire: cambia il mondo. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo padre misericordioso che ha tanta pazienza». Il tema era già stato introdotto da Papa Francesco durante il suo primo Angelus e poi ampiamente chiarito nella Bolla pontificia Misericordiae Vultus. E’ un messaggio forte quello che Papa Bergoglio lancia all’umanità: «La misericordia è fonte di gioia, di serenità e di pace…E’ l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro….La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio». Un’occasione straordinaria per tutta la comunità cristiana a livello globale. E’ questa, infatti, la grande novità di questo Anno della Misericordia. «Il Giubi-

leo è in tutto il mondo, non soltanto a Roma» ha detto Papa Francesco e, per consentire a tutti di partecipare alla misericordia di Dio, ha deciso di moltiplicare il numero delle porte sante. Non è più obbligatoriamente richiesto di venire a Roma a varcare la Porta Santa per ottenere i benefici giubilari, questi si potranno invece raccogliere in tutte le diocesi del mondo e in ogni santuario della cristianità selezionato dai vescovi locali. A Roma Francesco

ha portato il numero delle porte sante da quattro a sei: oltre alle storiche basiliche “patriarcali” San Pietro in Vaticano, San Paolo fuori le Mura, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, si sono aggiunte quelle più “periferiche”, ma, in quanto tali, particolarmente care al nostro Papa, quelle del Santuario del Divino Amore e dell’Ostello della Caritas in via Marsala. Sono più di cinquanta gli eventi reli-

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giosi in programma per l’Anno Santo. Eventi che richiameranno talvolta anche centinaia di migliaia di persone. Un vero e proprio banco di prova per la nostra capitale. Il prefetto Gabrielli lo ha definito “il primo Giubileo ai tempi dell’Isis” e si potrebbe aggiungere “ai tempi della crisi”. Rispetto al Giubileo del 2000 che venne preparato con quattro anni di anticipo, questo Giubileo è stato annunciato solo pochi mesi prima del suo inizio, in una Roma che, dopo lo scorso 13 novembre, è letteralmente blindata e sottoposta a misure di sicurezza straordinarie. Oltre ai 24.000 operatori delle forze dell’ordine già in servizio a Roma, sono previsti altri 2.600 fra poliziotti, carabinieri e finanzieri, ai quali si aggiungono 2.000 militari dell’Esercito, piazzati davanti alle stazioni della metropolitana, ambasciate, ministeri e altri obiettivi sensibili. Sono circa 15.000 invece le telecamere per la videosorveglianza puntate sui luoghi maggiormente interessati dalla presenza di turisti e pellegrini, oltre a metal detector e strumenti tecnologici per monitorare qualsiasi situazione degna di sospetto. La grande macchina del Giubileo è ormai partita, ma si tratta solo di un fenomeno religioso? Papa Francesco, quale Vescovo di Roma, desidera trasferire l’idea di un Giubileo che deve


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essere percepito da tutti come fenomeno spirituale, non certamente economico. Tuttavia l’anno santo sarà una vera e propria benedizione anche per l’economia italiana o quanto meno questo è quello che si augurano tutti gli operatori economici coinvolti. Il Censis stima l’arrivo di circa 33 milioni di pellegrini contro i 25 milioni del Giubileo del 2000. Numeri importanti che fanno ben sperare, nonostante la disponibilità economica dei pellegrini e dei turisti non religiosi sia diminuita a causa della lunga crisi economica mondiale, nonostante il trend del turismo religioso sia in flessione a causa della crescente paura di attentati terroristici. Senza contare il fatto che lo sviluppo dell’alta velocità ferroviaria, dei voli low cost e della facilità di prenotazione offerta dai siti Internet, porta a una drastica riduzione dei pernottamenti nei luoghi di culto e a una conseguente, significativa riduzione della spesa realizzata da turisti cosiddetti “mordi e fuggi”. La spesa complessiva stimata a carico dei pellegrini è di circa 8 miliardi di Euro anche se il Campidoglio non incasserà direttamente alcuna quota dei soldi che arriveranno dai pellegrini, ad eccezione della tassa di soggiorno, che dovrebbe fruttare al massimo 40-50 milioni di euro. Le spese previste per gestire il flusso dei pellegrini invece saranno altissime, tanto che si giudicano insufficienti i 200 milioni stanziati dal Governo per mettere il bilancio in pareggio. Roma, la capitale d’Italia, dovrà dimostrare in questa occasione la sua capacità di accogliere e la sua volontà di trasmettere un’immagine positiva di se’, di-

nanzi ad una platea mondiale già molto critica nei suoi confronti. I problemi sono tanti, dall’allarme terrorismo, al sistema dei trasporti pubblici che minacciano il collasso e non all’altezza di una capitale europea, all’annosa questione della “nettezza urbana” sempre più ingestibile. L’impegno deve essere massimo da parte di tutti. Gli operatori del settore della ristorazione e alberghiero si preparano a far fronte alle richieste di migliaia di turisti più o meno disinvolti nello spendere, ma sicuramente tutti molto esigenti. Il settore alberghiero, in particolare, sta soffrendo a causa del recente ingresso nel mercato dei famigerati B&B, che propongono strutture di accoglienza spesso “non ufficiali”. I Bed&Breakfast spuntano, ogni giorno, come funghi soprattutto nei pressi del Vaticano, ma sono percepiti come una concorrenza sleale per chi svolge questa attività in modo regolare, sebbene rappresentino al contempo una fonte di guadagno per alcune famiglie, che così arrotondano a fine mese offrendo servizi di ospitalità occasionale. Il Presidente dell’ABI Antonio Patuelli ha dichiarato che “l'impatto sull'economia dipenderà da quale grado di sicurezza l'Italia dimostrerà di avere. Nei mesi scorsi il nostro Paese ha dato una grande prova con l'Expo, non c'è stato alcun incidente. Se anche attorno al Giubileo verrà realizzato lo stesso cordone di protezione e sin da ora sarà evidente che non ci saranno problemi, allora l'Italia diventerà calamita di turismo e investimenti». Dunque le parole chiave di questo Giubileo 2015-2016 sono: accoglienza, sicurezza e…misericordia!

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IL CONFLITTO DI INTERESSI

SOCIETÀ QUOTATE, LA TUTELA Massimiliano Giua Daniele Corradini

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ul conflitto di interessi dottrina e giurisprudenza hanno ampiamente dibattuto negli anni. La definizione e il concetto di conflitto di interessi vanno ricercati nel Codice Civile, in particolare all’articolo 2391, tanto nel testo precedente che in quello successivo alla riforma del 2003. Il nuovo testo impone all’amministratore di una Spa (Società per azioni) un obbligo di informazione basato su principi di trasparenza e correttezza, fondamentali per una buona corporate governance. Il conflitto di interessi nelle Società a responsabilità limitata è regolato invece dall’articolo 2475: assoluta novità rispetto al passato, quando erano previsti solo richiami alle disposizioni sulle Spa. Entrambe le norme concedono particolare importanza alla preventiva disclosure, inserendosi in un quadro mirato alla dimensione privatistica della società commerciale, nel quale la tutela degli interessi è affidata in particolare alla contrattazione e sono rilevanti i concetti di trasparenza e

correttezza. La ricchezza del dibattito, unitamente alla rilevanza delle pronunce giurisprudenziali, ha mantenuto vivo l’interesse sul tema, che si è trasfuso in due diversi interventi legislativi. Confrontando il vecchio testo e le norme post riforma, ci si chiede in che misura sia necessaria ed efficace una tutela penale così avanzata da

sanzionare tout court ogni scostamento dai precetti del diritto commerciale o se possano essere preferibili figure penali caratterizzate da un’offesa al patrimonio. In tal senso, le due nuove figure devono essere analizzate in contemporanea con la conseguente valutazione della ricostruzione del rapporto tra infedeltà patrimoniale e omessa comunicazione del conflitto

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in esame. Si tratta, infine, di evidenziare se le suddette disposizioni abbiano ancora lasciato vuoti di tutela significativi. Ci si chiede alla protezione di quale bene giuridico le singole disposizioni siano finalizzate. Aderendo alla tesi della tutela del “bene patrimonio” sembra, comunque, potersi ricorrere a una figura di reato comune (appropriazione indebita) che, facendo riferimento all’appropriazione di un bene altrui, ha visto un notevole sviluppo proprio nell’ambito della tutela della regolare gestione dei patrimoni e del conflitto di interessi interno alle società di capitali. Riguardo alle due fattispecie penali relative al conflitto di interessi, in merito al bene giuridico protetto, se non esistono dubbi circa il reato di infedeltà patrimoniale, ne sussistono alcuni in merito a quella di omessa comunicazione. Quando si cerca, cioè, di rilevare il bene tutelato da quest’ultima figura, benché nella struttura della fattispecie sembri mancare l’offesa immediata a un bene finale, potrebbe sussistere l’offesa immediata di un bene strumentale. In


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tal senso, infatti, l’articolo 2629-bis del Codice Civile non tutela direttamente l’interesse patrimoniale dei singoli risparmiatori ma il regolare e trasparente svolgimento dell’attività societaria: una tutela funzionale a interessi che stanno sullo sfondo, legata al regolare funzionamento degli organi societari. Sarebbero, dunque, tali beni strumentali a coniugare offensività e illecito. In tal senso, il bene protetto sarebbe bene strumentale e, se tale situazione di fatto sussiste, merita tutela e deve configurarsi come bene giuridico. Occorre, qui, insistere sulla necessità di ravvisare un disvalore nell’omessa comunicazione del conflitto di interessi, avendo a mente che la sanzione penale del mancato rispetto di una procedura non rende, di per sé, tale procedura un bene giuridico. L’infedeltà patrimoniale si fonda sull’esistenza di: interesse in conflitto con la società, quale presupposto della condotta; un atto di disposizione patrimoniale o, in alternativa, il concorso a deliberare atti dispositivi; conseguente causa di un

danno patrimoniale; dolo specifico dell’ingiusto profitto. Incriminata non è qualsiasi offesa al patrimonio della società, ma solo quella realizzata tramite un atto che contempla la disposizione di beni sociali, adottato con il concorso di uno dei soggetti attivi. In tal senso, quindi, ci si può ricollegare al discorso sul bene giuridico protetto che, qui, sembrerebbe essere il patrimonio della società. La ratio dell’incriminazione sarebbe riconducibile, allora, al genere dei tradizionali reati contro il patrimonio, mentre è solo l’ulteriore modalità, alternativa, della condotta (il concorso a deliberare atti di gestione contrari all’interesse sociale e pregiudizievoli per il patrimonio sociale) a presentarsi quale elemento di specialità. Si ritiene, però, che, con riguardo alla condotta, non possano essere inclusi nell’area di rilevanza penale gli atti di riorganizzazione societaria. L’elemento soggettivo richiesto dalla norma è quello del dolo specifico. Per quanto riguarda la seconda norma penale in esame, la legge 262/05 ha

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ampliato il novero delle disposizioni penali per società e consorzi. La norma dispone che l’amministratore oppure il membro del consiglio di gestione (di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante o sottoposta a vigilanza) che violi gli obblighi dell’articolo 2391 del Codice Civile, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi. La norma inserisce il nuovo reato nella categoria dei reati societari, presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti. Ma che cosa prevede l’articolo 2391? Il testo fa riferimento a “ogni interesse” che l’amministratore abbia in una determinata operazione della società e impone all’amministratore delegato gli obblighi non solo di rendere nota la presenza di un interesse, ma anche di astenersi dal compiere l’operazione. Il reato è strutturato come una violazione di precetti dalla quale derivano danni alla società o a terzi. Non si può, quindi, dire che l’obbligo per l’amministratore di dare notizia di qualsivoglia interesse assuma di per sé rilevanza penale con conseguente tutela penalistica della trasparenza da parte dell’amministratore nella sua veste di gestore di patrimoni altrui. Per configurare il delitto, è in altre parole necessaria l’esistenza di un danno patrimoniale, condizione questa che determina la natura non meramente sanzionatoria ovvero formalistica della norma.


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MITICULTURA E OSTRICHE

IL FUTURO È ASSICURATO

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li spezzini li amano molto nella versione “ripiena”, ma la cucina locale ha regalato ai buongustai, negli anni, molte altre golose interpretazioni, più o meno elaborate. È finita così che un prodotto tutto sommato povero, frutto di quella che i produttori amano definire agricoltura del mare, i muscoli - guai da queste parti a chiamarli cozze - hanno conquistato nel tempo la dignità di un nobile prodotto di nicchia e puntano a incrementare un business che già ora esprime, in provincia della Spezia, numeri più che significativi: una produzione annuale di seimila tonnellate, per un fatturato di sei milioni di euro. Una performance ottenuta con un’accorta politica produttiva e un’efficace strategia di marketing, in gran parte gestiti nel Golfo dalla Cooperativa dei mitilicoltori spezzini, che raccoglie 86 soci e controlla l’intera filiera, dalla “semina” nei vivai fino alla raccolta un ciclo di dodici mesi - con la fase finale della stabulazione, ovvero la depurazione dei “mitili” nell’impianto realizzato nell’ormai lontano 1983 a Santa Teresa di Lerici, sempre nel golfo spezzino. Una tradizione che vanta antiche origini, e che dalla “nicchia” punta al salto verso la produzione su larga scala, grazie a un mercato, che pur con qualche incertezza legata alla difficile congiuntura degli ultimi anni, sta imboccando la pista del definitivo decollo. I primi vivai comparvero sul finire dell’Ottocento, sulla scia dell’intuizione dell’ostricoltore tarantino Emanuele Albano, che nel golfo spezzino individuò il sito ideale per esportarvi dal Sud la coltivazione dei “muscoli”. Un impegno gravoso e pieno di sacrifici ma che diede i suoi frutti. Dopo la prima Guerra

mondiale i mitili conquistarono gli spezzini e il mercato si allargò, diventando presto un’importante fonte di crescita per l’economia locale. Un business che sarebbe cresciuto molto di più se le vicende legate all’epidemia di colera degli anni Settanta non avessero assestato al settore un terribile colpo. Alla Spezia i consumi crollarono. A livello nazionale fu imposta per legge la depurazione dei mitili e alla Spezia fu costruito lo stabulatore di Santa Teresa. I vivai si ridussero comunque alla metà. Bene o male la burrasca passò, grazie anche a un rinnovato impegno con investimenti che nel tempo hanno dato nuovo impulso al settore. Fra l’altro la Camera di commercio sostenne in questo contesto la creazione di un vivaio sperimentale di 600 metri quadrati nello specchio di mare fra Porto Venere e l’isola Palmaria destinato alla coltivazione delle ostriche, in commercio ormai da diversi anni. Lo sviluppo successivo dell’”industria” del mitile è stato possibile grazie alla modernizzazione degli impianti di produzione, i vivai appunto, che qui chiamano anche vigne del mare, a riprova di quel legame “culturale” con l’agricoltura in senso stretto. In questo caso i “vigneti” altro non sono che pali piantati nel fondo del mare, in apposite aree delimitate e attrezzate per questa funzione. I muscoli crescono sui pali costituenti il vivaio, conficcati per due metri nel fondo (una volta in castagno, oggi sostituiti con tubi di ferro zincato, per reggere più a lungo all’azione del mare), uniti a pelo d’acqua con un reticolo di funi un tempo realizzate con erbe palustri, poi sostituita da funi di nylon (per i pergolati, o reste, oggi trovano impiego reti di plastica a calza tubolare, a maglie

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più o meno larghe, a seconda della dimensione del muscolo). Oggi la cooperativa mitilicoltori spezzini può contare su concessioni demaniali marittime per 640mila metri quadrati, di cui 310mila all’interno della diga foranea, 46 mila a Porto Venere e altri 284 mila fuori diga. Gli 86 soci lavorano in proprio: d’estate pensano alla raccolta, alla sgranatura, al lavaggio e alla scelta del prodotto; d’inverno si occupano della manutenzione del vivaio. Ci sono realmente prospettive per un vero rilancio del settore, anche tenendo conto della crescita in atto del porto mercantile e di quello passeggeri, con la “scoperta” del business croceristico, che potrebbe ridisegnare il futuro del Golfo? Uno che ci crede fino in fondo, e non potrebbe essere diversamente, è Angelo Majoli, storico mitilicoltore, già al vertice della Cooperativa e tenace difensore del patrimonio ambientale del Golfo. Uno che di battaglie, su questo fronte, ne ha condotte davvero tante. “Eccome se la mitilicoltura e la produzione delle ostriche hanno un futuro - dice - . Sul tavolo ci sono piani di espansione e valorizzazione che aspettano di essere attuati

col contributo di tutti. Il nostro prodotto è di primissima qualità. Il fatto è che in convegni e simposi i politici si fanno belli, ma poi, in concreto, si fa poco o nulla”. Uno che nel futuro di mitili e ostriche ci crede per davvero è anche Gianfranco Bianchi, presidente della Camera di commercio della Spezia. La chiave di volta, a suo giudizio, è lo spostamento fuori della diga foranea dei vivai. “In questo contesto - chiarisce - si colloca un importante protocollo sottoscritto dall’ente camerale con Autorità portuale, Regione e Cooperativa dei mitilicoltori. Ci sono tutti i presupposti per una crescita del settore, anche perché la mitilicoltura si inserisce a pieno titolo nel contesto dell’economia del mare, rappresentando un momento importante della cosiddetta filiera corta”. Insomma, navi da crociera e business turistico ma anche riscoperta e valorizzazione di attività dal forte significato identitario per il territorio spezzino come, appunto, “muscoli” e prodotti lavorati di derivazione. Magari arricchiti da “perle” dal grande valore aggiunto come le ostriche made in La Spezia. F.A.

LE OSTRICHE

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a tradizione vuole che Giacomo Casanova ne fosse un vorace divoratore, soprattutto negli intervalli dei suoi leggendari tour de force amatori: una sorta di gustoso intermezzo oltre che un potente “ricostituente”. Si dice che lo scrittore-poeta-alchimista, avventuriero e sciupa femmine, fosse capace di ingurgitarne, dopo una torrida notte con l’amante di turno, anche cinquanta. Probabilmente non è a consumatori di questa voracità che i produttori spezzini intendono rivolgersi, anche perché la disponibilità di materia prima - arrivata in Liguria dal Giappone grazie alla diffusione in Francia - non basterebbe certo a saziare tutti. Più modestamente, i mitilicoltori spezzini si accontentano di dare solide basi commerciali ad una produzione di nicchia, ripresa poco più di un anno fa grazie a un progetto che ha visto impegnati, a fianco della cooperativa di produttori spezzini, l’Università di Genova e la Camera di commercio. Il risultato è stato un promettente sviluppo della produzione di ostriche made in La Spezia che ha riscosso l’apprezzamento anche dei palati più esigenti. Qualcuno dice che sono addirittura migliori delle mitiche “Belon”, più o meno “special”, o delle produzioni francesi altrettanto leggendarie di Marennes-Oleron, Cancale e Isigny, in Normandia. Roba da palati sopraffini, specie in abbinamento con champagne di alto rango. In realtà la produzione di ostriche in riva al golfo spezzino fu tentata già a fine Ottocento dal tarantino Emanuele Albano, ma il progetto fu poi abbandonato per privilegiare la meno impegnativa coltivazione di mitili. Più recentemente l’idea ha ripreso corpo, e la produzione di “ostrea edulis” e di “crassostrea gigas” - la prima già conosciuta dagli antichi romani - sta dando risultati confortanti, se è vero che le ostriche spezzine si trovano già da Eataly ma anche nei locali di tendenza della Liguria e della vicina Versilia oltre che, ovviamente, in molti ristoranti e pescherie spezzini. E il nome di Spezia compare ormai, con pari dignità, assieme a territori da tempo vocati alla produzione di ostriche come Taranto, il Fusaro o Rovigno, in Istria. Un futuro roseo, insomma, anche in chiave di integrazione con altre eccellenze locali, nel nome della sempre più invocata filiera corta. Chi l’ha detto che un buon vermentino dei colli di Luni, sposato con la Fin de claire spezzina, non regga il confronto con i più celebrati champagne d’Oltralpe? Questione di gusti, certo. Ma, a volte, anche di luoghi comuni duri a morire.

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ACCADEMIA DELLA CUCINA

“I MUSCOLI” RISORGIMENTALI

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“muscoli” spezzini? Un prodotto risorgimentale. A definirli così è Marinella Curre Caporuscio, Delegata spezzina dell’Accademia italiana della cucina, che alla storia, alla produzione e alla “cultura” dei mitili ha dedicato studi approfonditi. Dottoressa Curre, cosa hanno a che spartire i muscoli - o mitili - con Mazzini e Garibaldi? “Il motivo è che i muscoli hanno cominciato ad essere coltivati nel 1887, quindi nel periodo dopo l’unificazione dell’Italia ed in effetti, se si considera che è stato proprio un allevatore di Taranto a far sì che diventassero prodotto di eccellenza del Golfo della Spezia, si può proprio affermare che la cucina è l’elemento unificatore dell’Italia. L’allevatore si chiamava Emanuele Albano ed era il bisnonno materno dell’Accademico avvocato Paolo Barbanente. In seguito grazie all’apporto scientifico di due personaggi Issel e Carazzi si è potuto dar vita a quello che è diventato non solo il fondamento della economia ma anche della nostra cultura e tradizione”.

Alla Spezia i vivai dei mitili sono situati nel tratto di mare di Lerici e nella zona della Palmaria e Portovenere: perché proprio qui? “In questi specchi di mare pare esistano delle ‘polle’ sommerse di acqua dolce adatte alla mitilicoltura, che favoriscono l’aumento di nutrienti. L’acqua di quei pezzi di costa è ancora pulita e permette di produrre in qualità e sicurezza”. La coltivazione dei mitili viene spesso definita una voce della cosiddetta agricoltura del mare. Più faticoso coltivare i campi o i mitili?
 “Il lavoro dei muscolai è duro, anche se migliorato negli anni: 9 ore al giorno in estate e 8 in inverno. E’ richiesta la costante presenza e il controllo dei vivai, anche di notte, per arginare le incursioni dei pescatori da diporto in cerca di orate isolate, che entrano nei vivai con il rischio di rottura dei pali o di distruzione delle sementi, ma anche per evitare i furti, essendo il vivaio aperto. Le barche utilizzate prima erano in legno ora sono in resina: fino a qualche decennio fa si faceva un duro lavoro di pulizia dei muscoli che avveniva direttamente in barca al momento del prelievo; ora si puliscono in apposite ‘lavatrici’”.

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La mitilicoltura può essere un’opportunità per i giovani in cerca di occupazione? “L’età media dei pescatori oggi è di 30 anni; il più giovane ha 16 anni mentre il più vecchio ne ha 97, diminuendo decisamente la media degli ultimi anni che si aggirava intorno ai 50 anni: ci sono dunque buone possibilità che questa produzione possa ancora andare avanti e soprattutto bisogna far si che i muscoli del Golfo continuino ad essere ambasciatori di qualità, igiene e gusto speciale, autenticamente diverso rispetto ad altre produzioni italiane ed ovviamente da preservare e salvare. Questo risultato è stato raggiunto non solo per la qualità e igiene dei prodotti della pesca ma grazie anche al

nuovo e moderno impianto di depurazione”. Parliamo di muscoli e cucina. In quale stagione conviene mangiarli? “Il consumo dei muscoli è da preferirsi in estate, autunno e inverno perché più pieni e quindi più saporiti; da febbraio a maggio sono sconsigliati perché avendo emesso i prodotti sessuali contengono minor sostanza nutriente”. Qualche consiglio? “Le ricette sono numerosissime, alcune di queste codificate e depositate dalla Delegazione della Spezia presso un notaio della Spezia, tra le quali i muscoli ripieni, la zuppa di muscoli, i muscoli fritti”. F.A.

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LEADER MONDIALE DEL MERCATO

UMBRA CUSCINETTI CON MICROSOFT

È

la prima azienda al mondo ad essere stata scelta da Microsoft Dynamics AX 7 nel «cloud» su Azure con il supporto di Eos Solutions che verrà commercializzato nel 2016. Si tratta della Umbra Cuscinetti, leader mondiale del mercato delle viti a ricircolo di sfere e di componenti meccaniche di precisione che vengono applicate nel settore aeronautico (a multinazionale folignate è esclusivista della Boeing) e nella robotica industriale. Amministratori e dirigenti di Umbra Group sono stati ospiti d’onore al ‘Convergence Emea 2015’, di Barcellona, uno dei più importanti eventi Microsoft nel mondo, che consente a clienti e partner di tenersi aggiornati sulle ultime novità relative alle business solutions e di ascoltare le storie di aziende che hanno implementato con successo le tecnologie Microsoft. A dare l'annuncio ufficiale l’azienda attraverso i so-

cial network, in occasione della partecipazione alla conferenza annuale di Microsoft, avvenuta in Spagna, al FIRA Gran Via di Barcellona. Un evento importante, nel corso del quale Microsoft ha presentato nuove soluzioni per accelerare la crescita delle aziende italiane e del resto del

mondo. All’iniziativa hanno partecipato Antonio Baldaccini, amministratore delegato di UmbraGroup, e Giacomo Bonora, analyst and developer, che si sono presentati insieme a Marco Scotoni, responsabile della R&D in EOS solutions, azienda partner del gruppo umbro.

BRIVIDI E GRANDI EMOZIONI

U

mbraGroup – che conta circa mille collaboratori, 5 aziende tra Italia, Germania e Stati Uniti e un fatturato di circa 168 milioni di euro – a luglio 2015 è entrata a far parte di un programma di Early adoption (TAP program), la cui finalità è l’adozione di una versione non definitiva del software così da facilitare lo sviluppo di una piattaforma che verrà utilizzata a livello mondiale. «Brividi e grandi emozioni per UmbraGroup – hanno detto Baldaccini, Bonora e Scotoni – in un evento incredibilmente importante per noi che abbiamo così ricevuto il riconoscimento internazionale nel mondo degli affari. Il successo di questa operazione ha aperto la strada ad altre aziende nel mondo. L’implementazione centralizzata della piattaforma Microsoft Dynamics AX con tutti i suoi componenti ha impresso una forte spinta all’integrazione dei processi, rendendone più semplice il controllo a tutti i livelli. Tutto ciò ha prodotto la completa integrazione dei processi produttivi, commerciali e logistici, secondo la definizione del piano di change management finalizzato al miglioramento globale delle performance aziendali del gruppo. Il raggiungimento in tempi brevi dei risultati previsti ha soddisfatto le aspettative del management che oggi è in grado di contare su di un sistema organizzativo unitario e razionale.

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LE SCOPERTE DEGLI ULTIMI MESI

LA VITA DI UNO SCIENZIATO

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a scienza corre, supera in continuazione i confini del mondo conosciuto e apre nuove porte. Negli ultimi 30 anni ha rivoluzionato la nostra vita di tutti i giorni, dal cellulare al personal computer, dal navigatore satellitare alle nuove tecnologie mediche, per non contare i numerosi robot programmati sia per il mondo domestico che per quello industriale. Ma dove corre? Quali sono state le scoperte degli ultimi mesi e cosa ci aspettiamo per il futuro? E qual è la vita di uno scienziato continuamente alla ricerca di nuovi orizzonti? Lo abbiamo chiesto al professor Franco Cervelli, ricercatore dell’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare) e docente alla facoltà di fisica dell’ università di Pisa, dove insegna come si costruiscono gli acceleratori di particelle, vale a dire quei giganteschi strumenti grazie ai quali si riproducono gli scontri tra particelle che miliardi di anni fa dettero origine al nostro universo. E’ un potentissimo acceleratore quello con cui è stato scoperto il Bosone di Higgs al Cern di Ginevra e che è stato messo nuovamente in funzione nella primavera scorsa, ancora più potente, alla ricerca di nuove frontiere. Ed era un acceleratore di particelle lo strumento con cui nei laboratori di Fermilab, a Chicago, lo stesso professor Cervelli, insieme ad un gruppo di altri scienziati italiani, scoprì il Top Quark, il sesto e (forse) ultimo dei ‘mattoncini’ di cui è composto il nostro universo. -Professore, cosa si ricorda di quei giorni? Quali reazioni ha uno scienziato di fronte a una scoperta importante? <Non furono giorni, ma anni. Ci sono voluti più di 15 anni per ‘acciuffare’ la particella. Anni di cui sicuramente ricordo la fatica, ma anche la paura di non farcela, il timore di aver scelto il percorso sbagliato. Poi, ovviamente, c’è stata la gioia della scoperta che, nel nostro caso, è stata collettiva visto che lavoravamo in gruppo. Ma la soddisfazione dura un giorno

perché subito dopo si comincia a pensare come andare avanti. Non è possibile addormentarsi sugli allori>. - Fare lo scienziato è un lusso? <E’ un privilegio. Dobbiamo essere grati a tutti coloro che danno il contributo necessario perché la nostra attività possa essere svolta>. -Cos’è una scoperta? <E’ trovare qualcosa di cui prima non eravamo a conoscenza. Ne esistono di diversi tipi, però. Alcune scoperte sono attese, altre prevedibili, altre assolutamente inattese. E sono queste ultime che generano le rivoluzioni scientifiche>. -Ma la scienza pone questioni o dà risposte? <Se guardo il cielo e penso che l’uomo sa spiegare solo il 4 per cento di ciò che osserviamo, penso che siano in grande maggioranza le domande rispetto alle risposte>. -Ci dia una definizione di scienza e di scienziato... <La scienza è quell’impulso per cui Adamo mangia la mela nell’Eden. Evidentemente la voglia di sapere è qualcosa di innato, quasi una condanna per l’uomo, che non ce la fa a non sapere. Lo scienziato è colui che ha il coraggio di staccare la mela>. - Quali sono state le scoperte più importanti degli ultimi mesi? <Nel luglio scorso il team di ricercatori dell’esperiment LHCb del Cern di Ginevra ha comunicato di aver individuato una particella composta da 4 Quark e un’antiquark. Fino ad oggi si conoscevano solo particelle composte al massimo da 3 quark. Grazie alla scoperta della maxiparticella, chiamata Pentaquark, potremo capire la forza che tiene uniti i quark dentro un protone. Sempre nel luglio 2015 la Nasa ci ha ‘presentato’ un nuovo pianeta. Lo hanno chiamato Kepler-452 b e si trova nella nostra galassia a 1400 anni luce di distanza da noi: è il

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quinto pianeta extrasistema solare più simile alla Terra. Orbita nella zona abitabile di una stella, Kepler-452, molto simile al sole e impiega 385 giorni a compiere la rotazione intorno a lei. E’ più grande del nostro pianeta e si è formato prima, tanto che alla Nasa lo hanno chiamato ‘il cugino anziano della Terra’. Nessuno può dire se è abitato o no perchè è troppo lontano per poter comprendere anche solo come è geologicamente composto. Per raggiungerlo ci vorrebbero milioni di anni. Ma poiché la sua massa è 5 volte maggiore a quella della Terra e la forza di gravità è doppia rispetto alla nostra,si può dire che se ci fossero esseri viventi evoluti dovrebbero essere meno alti di noi oppure avere una struttura ossea più potente>. -Anche la medicina e la biologia stanno facendo passi da gigante... <Sì, anche nel 2015 la ricerca ha avuto risultati importantissimi. Un gruppo di ricercatori statunitensi ha infatti individuato un nuovo antibiotico, la teixobactina, che elimina patogeni particolarmente difficili da trattare. La resistenza dei batteri agli antibiotici rappresenta attualmente una seria minaccia per la salute e l’antibiotico appena individuato sembra essere molto promet-

tente. Nel campo della medicina di precisione è stata poi trovata una nuova soluzione per tagliare il Dna che serve a attivare, disattivare e sostituire geni. Infine a giugno, dal Karolinska Institutet, in Svezia, uno dei templi per la ricerca sul cervello, è arrivata la notizia della realizzazione di un neurone artificiale, fatto con un polimero nel quale possono scorrere segnali elettrici, che riproduce le funzioni compiute da quello umano>. -Invecchieremo di più e invecchieremo meglio. Qualche novità anche sul fronte del nostro modo di vivere? <C’ è un nuovo stato della materia, scoperto nel maggio scorso, che potrebbe rivoluzionare la nostra maniera di produrre e usare energia. Infatti il ‘JahnTeller metal’, così è stato chiamato, è un isolante che è insieme superconduttore, metallo e magnete. Ciò significa che può trasportare elettricità senza produrre calore e senza fare rumore. Potrebbe significare un bel risparmio per le nostre tasche perchè ci permetterebbe di consumare assai meno corrente ottenendo gli stessi risultati sia sul piano industriale che familiare. Si attendono altre conferme>. -Professore, scienziati si nasce? <Forse si nasce curiosi. Perché curiosità e meraviglia sono le caratteristiche principali per fare ricerca> -Lei perché è diventato uno scienziato? <Per caso. Per la verità mentre frequentavo il corso di fisica a Pisa pensavo che mi sarebbe piaciuto fare il giornalista. Ma al termine dell’ultimo esame il docente mi chiese se volevo fare una tesi al Cern di Ginevra e mi disse che dovevo

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dargli una risposta entro la giornata. Feci una passeggiata sui lungarni della città e poi gli detti quella risposta per la quale ho fatto questo mestiere>. -Rimpianti? <Assolutamente no. Oggi mi comporterei nello stesso modo. L’unico rimpianto è quello di non essere ancora riuscito a fare tutto quello che volevo. E più passa il tempo e vado avanti nella ricerca, più aumentano gli obiettivi che vorrei raggiungere. Ovviamente sono consapevole che non potrò mai raggiungerli tutti. E questo mi crea rimpianti permanenti>. -Paure? <Sul piano esistenziale lo scienziato è una persona qualunque, quindi ho le paure che hanno tutti. Sul fronte scientifico, invece, non parlerei di paura, nonostante i molti interrogativi che apre la scienza moderna, dalle biotecnologie all’intelligenza artificiale. Penso che alla fine a prevalere sarà sempre l’istinto collettivo di sopravvivenza, anche se la storia ci ha insegnato che questa fiducia non va mai data per scontata. Perciò ciascuno di noi è obbligato a stare sempre all’erta sugli obiettivi e sull’utilizzazione della sua ricerca>. -La scienza è libera? <Ad essere condizionato è l’uomo che fa ricerca, non la scienza. Certo, lo scienziato può avere molti condizionamenti, di ordine politico, economico, etico. Alcuni di questi condizionamenti sono legittimi, altri no>. -E quali sono quelli illegittimi? <Tutti quelli che portano la ricerca lontana dall’utilità di tutti>. -Ritiene legittimo il condizionamento


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della propria coscienza? <Ogni ricercatore entra in laboratorio con la sua etica. Nell’ottica di una scienza che deve essere al servizio di tutti questo tipo di condizionamento deve essere confrontato con il mondo esterno. Tutto il mondo esterno, non solo gli addetti ai lavori>. -Come reagisce quando, nel corso di un esperimento, si sente sconfitto? <L ‘importante è capire quando si è sconfitti. Averne la consapevolezza significa intravedere già i germi del passo successivo. Se non capisci quando sbagli non sarai mai un ricercatore>. Franco Cervelli -Le è mai successo di piangere? <Si può piangere per rabbia, perché non ci riesce fare qualcosa che riteniamo indispensabile, o comunque importante. Talvolta si può piangere anche per un obiettivo raggiunto che, però, ci è costato troppo>. -Lei partecipa all’esperimento Ams02, che è installato sulla Stazione Spaziale Internazionale e che è controllato dal Cern. L’esperimento cerca la materia oscura, uno dei grandi crucci dei fisici visto che si sa che esiste, ma non si riesce a capire che cosa sia. Siamo lontani o vicini dal risolvere questo enigma? <Diversamente da altri miei colleghi non credo che questa scoperta sia dietro l’angolo>. -Deluso? <Assolutamente no. E’ stato bello e interessante imparare a fare esperimenti nello spazio perché questo richiede conoscenze diverse sul piano tecnologico. E’ una sfida formidabile, affascinante. Sul piano della fisica, vedremo. Ancora non ci sono risultati definitivi>. -Il suo prossimo esperimento sarà di nuovo a Fermilab, negli Stati Uniti. Cosa cercherete e perché? <Cerchiamo un fenomeno per il quale un elettrone si trasforma in muone. Che sarebbe come se un uomo potesse trasformarsi in uno scimpanzé, due esseri diversi, ma non poi così distanti.

Noi pensiamo che in fisica questo possa accadere e se riusciamo a dimostrarlo sarà una conferma dell’esistenza di un’area della fisica completamente nuova, una porticina per entrare dentro quel 96 per cento dell’Universo che ancora non conosciamo. Adesso stiamo preparando l’apparato sperimentale che utilizzerà l’acceleratore di protoni di Fermilab. L’esperimento vero e proprio comincia nel 2020>. -Oggi sappiamo che il nostro Universo è nato da un puntino infinitamente piccolo e che ha 13,7 miliardi di anni. Abbiamo la certezza che esistono altri miliardi di galassie con cui non potremo mai interferire perchè troppo lontane. Abbiamo ‘scovato’ le particelle elementari di quel 4 per cento di materia che conosciamo. Cosa viene dopo? <Oltre le Colonne d’Ercole si intravede solo un oceano immenso, ma nessuno sa cosa c’è. La bellezza sta proprio nel non saperlo e nell’avere il coraggio e la forza di superare i confini della conoscenza per avventurarsi in terre ignote. Proprio come i pionieri. Non dimentichiamoci mai che le scoperte più belle e rivoluzionarie sono quelle inaspettate. E comunque le montagne sono fatte di granelli di sabbia. Ogni vero passo in avanti, anche se piccolo, è importante>. -Restando più vicino a noi, cosa ci prepara la scienza per il 2016? < Quasi certamente la ripetizione dell’esperimento sulla caduta dei gravi di Galileo, fatto, però, nello spazio. I ricercatori cercheranno di verificare se due cilindri di materiali diversi, titanio e platino-rodio, in caduta libera sono attratti dalla gravità esattamente nello stesso modo. L’eventuale differenza violerebbe il principio di equivalenza, secondo la quale massa gravitazionale e massa inerziale sono uguali. Questo principio si trova nel cuore della teoria generale della relatività di Einstein. Il 2016 potrebbe portarci anche le prime rivelazioni sul passaggio delle onde gravitazionali>. Valeria Caldelli

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GIOVANI AZIENDE ALLA RIBALTA

ENEGAN, GRANDI NUMERI Gianpaolo Ansalone

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na crescita esponenziale registrata in pochi anni. Questo è quanto si potrebbe dire, in poche parole, per Enegan, trader nazionale di gas e luce. La realtà, nata nel 2010, in 5 anni ha raggiunto dei livelli forse impensabili all’inizio, grazie ad una gestione professionale e di qualità del prodotto e ad un’attenzione verso i clienti che hanno aumentato continuamente le adesioni e le sottoscrizioni. Partita da un fatturato di circa 500 mila euro, oggi Enegan supera i 150 milioni, e può contare su un network ed una rete di centinaia di persone. L’azienda è, in termini temporali, molto giovane, ma anche i dipendenti hanno un’età media molto bassa. Basti pensare che il Responsabile Marketing Morad Giacomelli ha solamente 25 anni. Anche per quanto riguarda la sottoscrizione di nuovi contratti la crescita è notevole con i poco più di mille del 2010 agli oltre 20.000 del 2015. La sede principale si trova a Montelupo Fiorentino, in provincia di Firenze, ma la realtà è di respiro nazionale. Ovviamente sparsi in tutta Italia, si trovano sales manager, sales account ed agenti che vanno a creare quella folta rete che compone oggi Enegan. E contro tutte le consuete dinamiche aziendali che in questi periodi, alla luce della crisi, impediscono di poter formare ed assumere nuovo personale, Enegan è sempre attiva nella ricerca di nuove figure professionali.

Lo scorso gennaio, infatti, è partita un’importante campagna recruiting (che ha coinvolto 13 regioni) grazie alla quale sono state assunte circa 150 nuove figure; mentre proprio ad inizio ottobre, l’azienda ha avviato una nuova campagna di ricerca personale destinata a tutta l’Italia. Ma la dinamicità di Enegan non si concretizza solamente nella sua vertiginosa crescita o nell’età media dei suoi dipendenti, ma anche nei vari progetti promossi, sostenuti e ideati dalla realtà. Una delle attività in corso che ha coinvolto un gran numero di partecipanti è stato il concorso “Faces”, un progetto di portata nazionale rivolto ad artisti e finalizzato a promuovere i migliori talenti. Il concorso è stato promosso da Enegan, attraverso Ene-

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ganArt – che si occupa proprio dei progetti legati all’arte – ed in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Grazie a questo progetto gli artisti hanno avuto modo di presentare le loro opere incentrate sulle espressioni del volto umano attraverso le quali stimolare una riflessione sull’arte, la comunicazione e il linguaggio universale. Anche in campo pubblicitario Enegan riesce ad ideare campagne particolari e molto intuitive. È l’esempio della “Campagna facce”, pubblicità che ha toccato le principali città italiane ed ha messo al centro della comunicazione il cliente. Infatti sono stati proprio i clienti Enegan ad esporsi in prima persona e a diventare protagonisti dello spot. Ma Enegan ha anche una fortissima


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attenzione ai temi legati alla charity e alla beneficenza. L’azienda fa parte del Club Impresa amica del Meyer grazie alla cui sottoscrizione sostiene la Fondazione Meyer attraverso importanti progetti per la cura e l’accoglienza dei piccoli pazienti. Nel 2011, ad esempio, Enegan ha contribuito all’acquisizione di un ecografo per la Radiologia. Negli anni 2012 e 2013 il contributo dell’azienda è stato destinato alla Neurochirurgia ed ai principali progetti della Fondazione Meyer come ad esempio il progetto “Giovani Ricercatori”, teso a finanziare attività di ricerca di ricercatori, selezionati per merito, nelle più prestigiose strutture d’eccellenza europee e mondiali. Nell’ottobre 2015 ha invece avviato una campagna educativa sul risparmio energetico e la sostenibilità ambientale rivolta a tutti i bambini delle scuole elementari in 22 province italiane. Grazie ad una storia a fumetti dal titolo “Elio e i Cacciamostri”, l’intento di Enegan è di sensibilizzare gli uomini del futuro su temi legati all’ambiente, argomento molto caro all’azienda. E, anche in questo caso, ci sarà una parte destinata alla Fondazione Meyer con la realizzazione di

un’app che permetterà di giocare e accumulare crediti che Enegan “trasformerà”, in maniera interattiva, in donazioni alla Fondazione Meyer. Sono molto recenti anche le collaborazioni con Save the Children e, nello specifico, con la campagna “Illuminiamo il futuro”. La campagna ha come obiettivo quello di combattere la povertà educativa ed offrire prospettive migliori a quei bambini ed adolescenti – più di tre milioni – che in Italia vivono in povertà o ne sono a rischio. Save the Children vuole illuminare il futuro di questi ragazzi, aiutandoli nel percorso educativo e garantendo loro tutte le opportunità necessarie per la loro crescita. Enegan è tra i principali partner che supporteranno questo importante progetto. Infine, nello scorso agosto, l’azienda ha definito una collaborazione con la Onlus Tria Corda di Lecce. Tra i vari eventi, Enegan ha supportato il Locomotive Jazz Festival, durante il quale Tria Corda ha divulgato il suo progetto e realizzato un’importante raccolta di fondi destinati alla realizzazione di un istituto pediatrico.

BASTA BUCHE SULLE STRADE Parte l’operazione “basta buche sulle strade”. Con un investimento di circa 300 milioni di euro in tre anni Anas avvia il suo grande progetto di manutenzione della rete stradale ed autostradale sull’intero territorio nazionale. Saranno pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, tra mercoledì 23 dicembre e lunedì 28 dicembre 2015, 53 gare d’appalto per l’affidamento in regime di accordo quadro dei lavori di manutenzione delle pavimentazioni e della segnaletica orizzontale su 25 mila chilometri di rete stradale Anas. I bandi riguardano 2 gare per un importo massimo lavori di 21 milioni di euro ciascuno e 51 gare per un importo massimo lavori di 5 milioni di euro ciascuno per un totale di 297 milioni di euro. “Basta buche sulle strade. Grazie a questi accordi quadro, Anas potrà intervenire su tutta la propria rete in modo rapido ed efficace senza dover ogni volta attendere i tempi di espletamento di nuove gare. Questo consentirà di poter programmare gli interventi di manutenzione delle pavimentazioni e della segnaletica sulla rete, superando la logica passata del rappezzo, oltre a poter intervenire tempestivamente in caso di urgenza. E’ una vera e propria rivoluzione per questo settore”, ha dichiarato il presidente di Anas Gianni Vittorio Armani. Con gli accordi quadro previsti dal Codice degli Appalti vengono infatti fissate le condizioni e le prescrizioni in base alle quali affidare in appalto i lavori di manutenzione delle pavimentazioni e della segnaletica orizzontale con particolare riguardo alle prestazioni affidabili, alla durata dell’accordo quadro, al tetto di spesa entro il quale potranno essere affidate le prestazioni e alle modalità di esecuzione dei singoli contratti applicativi con i quali verrà data esecuzione all’accordo quadro. Questa particolare procedura offre la possibilità di avviare i lavori con la massima tempestività nel momento in cui se ne manifesta la necessità e si concretizza la disponibilità del relativo finanziamento, senza dover espletare una nuova gara di appalto che richiederebbe tempi generalmente lunghi. L’economia di scala conseguibile sulle lavorazioni con l’Accordo Quadro consente inoltre risparmi di tempo e risorse nonché una maggiore efficienza complessiva nella gestione degli interventi.

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UNESCO “MEMORIA DEL MONDO E PATRIMONIO DELL’UMANITÀ” (a pag. 48)

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BARBANERA, CULTURA DI MASSA di Roberto Di Meo

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a Collezione di Almanacchi Lunari Barbanera di Foligno, costituita da 356 esemplari datati dal 1762 al 1962, la più completa al mondo, è stata dichiarata dall’Unesco ‘Memoria del mondo e patrimonio dell’umanità’. Il suo valore è universale – è detto nella motivazione - deriva dal suo essere simbolo di un genere letterario che ha contribuito a creare la cultura di massa e l’identità di intere nazioni fino all’avvento delle più moderne forme di comunicazione di massa”. Il che vuol dire che come l’alfabeto fenicio, la Sinfonia n° 9 di Beethoven, i film dei Fratelli Lumière e il Diario di Anna Frank – solo per fare qualche luminoso nome – è stato accolto nell’elenco che tutela, perché beni universali, documenti, biblioteche, archivi, tradizioni orali, divenuti patrimonio documentario dell’umanità, pietre miliari nel progresso delle nazioni e delle civiltà, espressioni di una cultura di pace. Il tempo, dunque, ha dato ragione a Gabriele D’Annunzio che definiva così il Barbanera di Foligno in una lettera indirizzata al parroco di Gardone il 27 febbraio 1934. “… La gente comune pensa che al mio capezzale io abbia l’Odissea o l’Iliade, o la Bibbia, o Flacco, o Dante, o l’Alcyone di Gabriele d’Annunzio. Il libro del mio capezzale è quello ove s’aduna il ‘fiore dei Tempi e la saggezza delle Nazioni’: il Barbanera... “ La bella notizia è giunta alla Fondazione Barbanera 1762 e all’Editoriale Campi, di cui è titolare il dottor Feliciano

Campi, a cui da più di un secolo l’edizione lega le sue sorti, proprio mentre l’Almanacco 2016 sta per andare in stampa. “Dopo un primo momento di grandissima emozione- dichiara l’editore Feliciano Campi - e, lo confesso, di incredulità per un Barbanera che ha conquistato l’attenzione del mondo, abbiamo ripreso con decisione il nostro cammino e i progetti, tanti, della Fondazione Barbanera. Anzi, proprio l’Almanacco 2016 è stato il primo colpito dalla notizia. Abbiamo rimandato di qualche ora la stampa per dedicare pagine all’evento. Per un editore fermare le macchine non è mai cosa positiva. Ma questa volta ne siamo stati felicissimi. Un cammino entusiasmante, che premia il lavoro di generazioni e generazioni di ‘facitori di almanacchi’ di cui noi oggi abbiamo raccolto l’eredità. Che mette in luce l’importante tradizione di un’arte della stampa per secoli fiore all’occhiello della nostra città e che intreccia la sua storia con quella della mia famiglia. Anche mio padre teneva molto a Barbanera, mi ha trasmesso questa passione, gli sono grato”. Il professor Tullio Seppilli, antropologo di chiara fama, presidente della Fondazione Angelo Celli, è stato tra i primi ad occuparsi di almanacchi dedicando i suoi studi già negli anni Settanta anche ai folignati Barbanera. Il commento “È un riconoscimento importante che premia il lavoro della Fondazione Barbanera 1762 e che condivido appieno. La Memory mette un punto fermo non solo nel ruolo svolto dagli

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almanacchi nella diffusione dei saperi, ma anche sulla loro funzione di elementi fondanti della società a cui mettevano a disposizione regole, previsioni sull’andamento delle stagioni, delle piogge, suggerivano pratiche, proverbi, modi di pensare. Quelle pagine erano tra l’altro uno dei pochi tramiti che funzionava nella comunicazione fra classi sociali: la colta che li produceva e il mondo contadino per lo più analfabeta. Venendo invece ad oggi, il successo che ancora accompagna questo storico Almanacco si deve al radicamento in un mondo tradizionale a fronte di una dimensione contemporanea che galleggia nell’eterno presente, instabile e molto insicura. La

tradizione dà certezza, il passato rassicura, che non vuol dire tornare indietro, ma necessità di radici.” Un traguardo che ha quindi reso davvero speciale il 254esimo anno di questa lunga tradizione e che ha conquistato il plauso del mondo alla Fondazione Barbanera, ma anche alla città di Foligno, dove l’Almanacco venne dato per la prima volta alle stampe nel 1762, alla regione dell’Umbria e all’Italia che il Barbanera ha avuto l’onore, L’editore Feliciano Campi insieme ad altri, di rappresentare.

Le foto originali del Barbanera

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ROMA, QUATTRO PASSI IN GALLERIA di Maddalena Santeroni

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ntrare, respirare ed immergersi nell’arte, questo il primo impatto con la Galleria Nazionale di Arte Moderna e contemporanea di Roma. I famosi 4 passi iniziano con scontri e incontri: grandi sacchi di Burri, il rivoluzionario Duchamps, i tagli di Fontana, Vedova, la scultura, tutto è arte al quadrato. Un’arte da studiare e vivere per arrivare ad immergersi nell’arte contemporanea, che come sappiamo ha dei percorsi a volti difficili da cogliere nell’immediato, ma che sempre riservano sorprese ed emozioni. Non dimentichiamo che nell’arte moderna è incluso l’800 che alla Gnam viene svelato in tutta la sua magnificenza. Dobbiamo per forza cercare nella sala 12 la tela “Gli emigranti” di Angelo Tommasi per riuscire così ancora una volta a ricordare le nostre radici. E’ del 1883 l’idea e la conseguente nascita di un’attenzione allo sviluppo e alla definizione museale di un’arte nazionale. La prima sede della nascente Galleria Nazionale di Arte Moderna e contemporanea sarà il Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale ma è dal 1915 che – sopraggiunti problemi di spazio – viene scelto il neonato edificio di Cesare Bazzani

(realizzato per l’esposizione celebrativa del cinquantenario dell’Unità d’Italia del 1911) di Valle Giulia. Attualmente sono circa 16.600 mq di interni e 8000 mq di esterno gli spazi utili della Galleria che rappresenta così il più grande Museo nazionale italiano di arte moderna e contemporanea. Gli anni d’oro della Gnam, che acquisì lo stato autonomo di Soprintendenza, partono con la direzione di Palma Bucarelli – direzione durata oltre trent’anni dalla guerra al 1975. La giovane e grintosa Bucarelli creerà una collezione innovativa di eccezionale rilievo ed altrettanto eccezionale attualità. Arriveranno in Galleria opere di Picasso, Mondrian, Pollock e via via acquisti di opere di maestri internazionali e artisti italiani a volte addirittura contestati quali Burri Colla Fontana Manzoni ecc. Un episodio in particolare va ricordato, e cioè il salvataggio di importanti opere da parte della giovane e intraprendente Bucarelli dalla furia della guerra e che nella notte fece trasportare alcuni pezzi prima a Palazzo Farnese a Caprarola (Viterbo) e poi a Castel Sant’Angelo. La riapertura della Gal-

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leria al pubblico è del 1944. La Bucarelli passò impavida attraverso difficoltà di ogni tipo, adoperandosi perché la Galleria fosse dotata dei più importanti servizi, a quel punto diventati indispensabili, tipo il bookshop, la caffetteria, il servizio didattica, gli incontri con gli artisti. Sono gli anni del boom economico e la mondanità va a braccetto con la cultura; saranno quindi le conferenze, le sfilate di moda il cinema ad entrare in Galleria e nel mondo economico italiano. Gli irripetibili e irriverenti anni 60 a Roma. Quando Roma era un centro di cultura ed un punto fermo per americani e francesi. La beat generation trova in Roma un momento aggregativo tra innovazione e tradizione. E sarà di nuovo la Gnam che con Palma Bucarelli scandalizzerà l’opinione pubblica esponendo – siamo nel 1971 – la famosa scatola “merda d’artista” di Piero Manzoni.

E sarà sempre Palma e la Gnam che riusciranno ad istituire i “premi di incoraggiamento” per i giovani artisti al di sotto dei 40 anni e la soprintendente si schiererà di fatto con i pittori di Piazza del Popolo, i belli e dannati alla Kerouac: i giovani Festa Schifano Angeli. Anni importanti per la formazione culturale di una generazione che vedrà poi la rivoluzione degli anni fine 60 e i successivi anni 70 come una pagina nuova della cultura mondiale, e saranno i successivi anni di piombo a firmare la svolta verso uno scenario totalmente diverso. E la Gnam è sempre al centro di tutte le guerre culturali e sociali di quegli anni. Attualmente in possesso di una straordinaria collezione costituita da circa 4500 opere di pittura e scultura e 13000 tra disegni e stampe d’artista, collezione che è possibile vedere a rotazione nelle 55 sale che formano un

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percorso magico attraverso gli anni della pittura moderna e contemporanea, non si ferma però davanti a nuove acquisizioni e a celebrare giovani artisti e artisti innovatori. Sarà del 2011 l’ultimo riallestimento della Gnam voluto da Maria Vittoria Marini Clarelli e che vede la grandiosa installazione di Alfredo Pirri “passi” il pavimento specchiante nell’atrio Sala delle Colonne come indicatore iniziale di una nuova grandezza che annulla lo spazio tra terra e cielo. E naturalmente ora si può visitare la Gnam tramite un giro online che fa venire la voglia di visitarla sempre; si può aiutare e collaborare e sentirsi parte del museo iscrivendosi all’Associazione Amici dell’arte moderna che da anni supporta le attività della Galleria, organizzare serate, pranzi, visite guidate e chi più ne ha più ne metta. Gnam, bella da mangiare!


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GENERAZIONE 30/40 AI

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ario Manca è un giornalista che ha firmato, nonostante la giovane età, gli ultimi anni della più innovativa e stimolante produzione giornalistica dedicata allo spettacolo. Un giovane barese nato con la vocazione dello show biz undercovered. Dalle poche informazioni che abbiamo, ma molto di lui ci parla il suo stile di scrittura brillante e intrigante, lette in minimal bio che internet ha secolarizzato, sappiamo che si è laureato in lettere con il massimo dei voti all’Università di Bari, specializzandosi poi in televisione, cinema e New media alla IULM di Milano. Ha scritto per Solferino 28 e la 27ora, i blog del Corriere sino al febbraio del 2014. Oggi firma interviste a personaggi internazionali da copertina su Vanity Fair, la versione italiana di una delle riviste più lette ed apprezzate al mondo, e non fa mancare la sua visione a 360gradi su blog e social. Mario Manca in un tweet: Non sono #cattivo, mi disegnano così. Che tipo di bambino sei stato? Con tanta voglia di fare, ma in fondo timidissimo. Mi davano addosso perché, anziché palleggiare in un campetto, controllavo i risultati Auditel

sulla pagina 533 di Televideo. Direi che, col senno di poi, mi è andata meglio che a loro. Dalla tua ultima bio: “sin da piccolo reputa i triangoli amorosi approfonditi dai rotocalchi e i contenuti trasmessi in tv ben più accattivanti dei canonici Hansel e Gretel e delle favole fedriane”. Diciamo che costringevo tutte le mie baby-sitter a guardarla con me. Paolo Bonolis esercitava su di me lo stesso potere delle sirene di Omero: aveva qualcosa di ipnotico. Il suo Bim Bum Bam è stato il colpo di fulmine. Da Bari a Milano. Da spettatore curioso a giovane voce del giornalismo che coniuga carta stampata e nuovi media. Come è accaduto? Tutto è venuto strada facendo. Sapevo che da grande mi sarei occupato di televisione e speravo di diventare autore, un giorno. La mia carriera da blogger, però, mi ha insegnato a guardare la tv con occhio diverso e a non essere troppo affrettato nei giudizi. Da lì ho capito che mi sarebbe piaciuto continuare a scrivere. Sei nato su internet per poi approdare alla carta stampata o viceversa? La carta stampata sarà ‘rottamata’ da internet? Sono nato su internet, senza la corsa forsennata alla carta stampata. È ovvio che i tempi stiano cambiando, ma sono sicuro che la carta sopravvivrà. Certo, le tirature diminuiranno, ma il fascino di sfogliare un giornale rimane impagabile, così come quello di leggere un libro senza avere i classici occhi rossi da e-book. Detto questo, il

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web è il nostro presente e sarà il nostro futuro: quello che può fare la rete è insieme straordinario e pericoloso. Volete mettere aggiornarsi in presa diretta sulla caduta di Madonna anzi-

Mario Manca, giornalista, blogger e… trend hunter ché aspettare il giornale il giorno dopo? Siamo un po’ la ‘generazione di


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TEMPI DEL JOBS ACT di Nicola Bartolini Carrassi mezzo’, a cavallo tra analogico e digitale. Tu usi nuovi media digitali per emozionare e intrigare i tuoi lettori, porti i giovani alla versione cartacea, o l’Italia che invecchia a digitalizzare la propria fruizione? I lettori sono pigri e, se s’informano sul sito anziché sul giornale, sono ugualmente contento. Siamo abituati ad avere tutto e ad averlo subito: non c’è tempo per le lunghe attese, figuriamoci per l’uscita di un numero in edicola. Ma la carta è la carta e, soprattutto in Italia, gode di quello che il web fa ancora fatica a conquistare: l’autorevolezza. La tua esperienza da blogger è stata premiata ed è premiata da un notevole seguito. Allo stesso tempo intervisti personaggi che finiscono in copertina su Vanity Fair… Odore della carta o tastiera touch? Entrambe. “Du gust is megl che one”. Sei giovane, come recenti sono le nuove leggi sull’impiego e sull’età pensionabile. Che cosa ne pensi? Penso che non ci sia tempo da perdere, che i giovani debbano uscire il prima possibile dall’Università e fare la gavetta di cui hanno bisogno. Ma penso anche che lo Stato dovrebbe rendersi conto che passare di stage in stage è più frustrante che mon-

tare e smontare un tendone da circo: occorre una fissa dimora. Cosa pensi del Jobs act e di ciò che sta accadendo nel mondo del lavoro: evoluzione o involuzione? Qualcosa si sta pian piano muovendo, ma occorrerà tempo per vedere dei risultati veri e propri. D’accordo le tutele sui contratti e sul licenziamento senza giusta causa, ma bisogna prima arrivare a quello step. È su quello che dovrebbero concentrarsi: la gavetta presso un’azienda, spesso non retribuita, non è sempre ripagata con l’assunzione, purtroppo. Il tuo primo giorno a scuola, il tuo primo articolo pubblicato, il giorno della laurea, il tuo primo servizio/intervista di copertina. Un aggettivo per ogni evento citato. Traumatico. Trascendentale. Liberatorio. “Campioni del mondo”. Quali sono i tuoi attuali impegni? Scrivo per Vanity Fair, sito e cartaceo, e Vogue.it, dove mi occupo di beauty. E per il futuro: a che cosa miri, chi e cosa sarà e farà Mario Manca tra vent’anni? Fra vent’anni spero di continuare a fare un lavoro che mi piaccia e mi faccia stare bene con me stesso. Non mi dispiacerebbe qualche incursione nell’editoria o in televisione. Chissà. Una cosa che nessuno sa di te. Ogni tanto canticchio “What do you mean” di Justin Bieber sotto la doccia. Una cosa che tutti pensano di sapere di te, ma non è vera. Non mi piacciono i macarons. Lapidatemi pure. Qualcuno che vorresti intervistare, ma per ora ti è ‘sfuggito’. Se dico Madonna miro troppo in alto? Allora rispondo Fedez: non mi è ancora capitato, ma m’incuriosisce perché non ho mai intervistato un ragazzo della mia età. (III continua) *Su www.nuovafinanza.com l’intervista completa, con ancora più domande, approfondimenti, notizie esclusive, file multimediali e molto altro. Potete leggere Mario Manca su Vanity Fair, VanityFair.it e Vogue.it

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ABITI COLMI DI EMOZIONI di Donatella Miliani

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SI E’ UN’OPERA d’arte o la si indossa». L’aforisma del dandy per eccellenza Oscar Wilde ben si addice alle creazioni di Vittorio Camaiani, raffinato creatore di abiti d’alta moda ispirati da eccezionali capacità visionarie ma anche da una sensibilità artistica che si traducono, grazie ad una eccellente manualità in autentiche opere d’arte. Capi unici e intramontabili perché come diceva Coco Chanel, «la moda passa, lo stile resta». Camaiani, originario di San Benedetto del Tronto, stilista che ha saputo varcare i confini regionali per collocarsi in settori nazionali di alto livello in cui ha saputo ricavarsi uno spazio particolare fatto di originalità unita ad una notevole e apprezzata capacità sartoriale. «Cerco da sempre – spiega lo stilista che ha un passato da modello – di trasferire le emozioni che viaggi e paesaggi nazionali e stranieri mi danno su abiti dal taglio sartoriale che evochino in chi li indossa tutta le bellezza di quei luoghi. E’ così – sottolinea – che è nata ad esempio la collezione Egitto d’Inverno, del 2015 presentata ad AltaRoma, o Lo Sguardo sulla Laguna ispirata a Venezia, con abiti su cui figurano espliciti riferimenti alla meravigliosa città lagunare». Tessuti, disegni, colori e forme per? «Per definire una sorta di rac-

conto da destinare a chi, indossando quegli abiti, è capace di coglierne non solo il significato ma anche il valore. La reale preziosità dei miei capi in fondo è questa». L’incontro con le arti non solo la bellezza dei luoghi ma anche letteratura, pittura e musica. «E’ vero. Sono nati in questo modo abiti ispirati a Leopardi e d’Annunzio ma anche alla pittura di Magritte o

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ascoltando musica diretta dal grande Maestro Toscanini». Quanto conta la sartorialità in tutto questo? La manualità insomma? «Direi che è indispensabile – dice – per garantire all’abito la sua singolarità. Quella forma che rende il vestito realmente unico. Un modo per superare lo steccato della pura visione. Per me conta ciò che si vede ovviamente ma anche se non soprattutto ciò che si tocca: la morbidezza dei tessuti, il calore delle lane e il fruscio della seta. Perché per me creare un abito è soprattutto un atto d’amore. Per questo curo con attenzione quasi maniacale anche l’interno degli abiti, sempre realizzati con fodere di materiali pregiati. Quelli che sono a contatto con il corpo, che nessuno vede dall’esterno ma che non per questo sono meno importanti». Lei veste attrici famose e personaggi del jet set nazionale e internazionale. «E’ vero ma curo tutti con lo stesso entusiasmo» Roma in particolare la apprezza. Ad Alta Roma ormai è un habitué ma non lascia anche i suoi Atelier per un giorno in giro per l’Italia. «Avvicinarsi alle clienti mi fa “Non Perdere, IL Quotidiano”. Lo faccio da anni con la formula AtelierPerUnGiorno, è un’idea che ho


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mutato dalle grandi Maison degli anni ’50, dove la cliente poteva esaminare con calma i capi indossati da modelle, e fare le sue scelte, chiedendo consigli al sarto». Ma la sua passione dove e quando è cominciata? «Da sempre, poi alla fine degli anni ’80, lavorando nell’atelier romano di un noto sarto marchigiano, Massimo Fioravanti ho avuto il privilegio di vivere e potare dentro me stesso l’esperienza e forse anche l’allure di quel tempo ormai lontano… Che ricordo ha, di quegli anni? «Erano gli anni della ‘Milano da bere’, anni d‘oro per il ‘su misura’, con quelle giacche così costruite, con le famose spalline». La sua più grande soddisfazione?

«Nel 2007 quando, in occasione del Cinquantenario della scomparsa di Arturo Toscanini, ho creato un foulard per celebrare l’evento. E se mi è concessa una seconda risposta…Quando un mio capo per narrativa non per l’etichetta viene riconosciuto. Chi apprezza, tra gli stilisti? «Non dimenticando i cugini francesi, apprezzo gli italiani, perché si portano dietro comunque un background culturale così importante, e raccontano attraverso le loro creazioni, la bellezza del nostro Paese. Anche se oggi trovo che non esistano più confini (nazionali) alla creatività». Cos’è, per lei, l’eleganza? «Se puoi, Togli. “E aggiungi Te stessa”».

MIZUNO: NUOVA CAMPAGNA Mizuno – uno dei più longevi marchi sportivi mondiali fondato in Giappone nel 1906 – lancia la nuova campagna 2016 “Never stop pushing”. Un messaggio semplice ma molto incisivo che punta sull’impegno costante del brand nella continua ricerca della perfezione. Sfida ambiziosa che si traduce in articoli sportivi di alta qualità che aiutano a migliorare le performance degli atleti. Mizuno nel 2016 festeggia anche il suo 110° anniversario, raccontando al consumatore i suoi traguardi in materia d’innovazione ed eccellenza produttiva in diverse discipline sportive. Il running è la categoria più importante, qui Mizuno offre prodotti di qualità sia per calzature sia per l’abbigliamento per la corsa su strada, il trail running e le competizioni. In Europa altri sport chiave per il marchio sono la Pallavolo, il Calcio, il Rugby e la Pallamano, dove il brand giapponese fornisce scarpe e outfit ad alcuni dei giocatori e dei team più importanti al mondo. Nel 2016 Mizuno sarà inoltre di nuovo sui campi da tennis internazionali. Un rientro in grande stile.

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LUCI E OMBRE DI MONTMARTRE di Valeria Caldelli

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ra elegante Valentin le Desossé, dendy di professione che si esibiva al Moulin Rouge in ‘molleggiate’ contorsioni insieme alla Goulou, sfrenata ballerina di una sorta di Can Can, con il piedino erotico con cui sfiorava i cilindri dei signori in prima fila mostrando i pizzi della sottana e anche altro. Lui, il ‘Disossato’ e lei, la ‘Golosa’, ‘stelline’ del varietà solo lo spazio di un mattino. Poi lui scomparirà senza lasciare tracce appena si spensero le luci della ribalta; lei, invece, a forza di mangiare dolci e scolare i bicchierini dei clienti, si ritroverà con diversi chili di troppo e senza più sex appeal nel carrozzone di un Luna Park a ballare la danza del ventre. Eppure entrambi sono passati alla storia, quella di Parigi e di Montmartre dei primi anni del Novecento, grazie ad uno strano personaggio con la barbetta, alto appena un metro e mezzo, che girava nei locali della capitale con il pennello in mano. <Ci ha tramandato il segno di un mondo trasformando la cronaca in storia>, spiega Maria Teresa Benedetti, curatrice della mostra ‘Toulouse -Lautrec. Luci e ombre di Montmartre’, in corso a Palazzo Blu di Pisa fino al 18 febbraio. Più di 180 opere - manifesti, disegni, incisioni, litografie e alcuni dipinti a olio su cartone - per raccontare l’avventura umana e artistica di uno dei giganti

dell’arte europea, lignaggio nobile e fisico deforme, arrivato dai castelli familiari nel sud della Francia alle case di piacere parigine, passato dalla vita elitaria all’ alcolismo. Un’artista scomodo, Toulouse -Lautrec, implacabile

nell’ esasperare i difetti dei suoi protagonisti, che cerca nei volti e nei gesti i segreti dell’animo umano. Non i paesaggi, non la frenetica vita cittadina sono i temi dei suoi dipinti, ma il mondo degli uomini, le miserie di un

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universo popolare e la tragica e patetica esistenza dei suoi interpreti reali nella commedia della ‘Belle Epoque’. Eccoli, dunque, i protagonisti di Montmartre, vivaci e colorati, quasi fossero i compagni anche delle nostre serate. Non solo Valentin le Desossé e la Goulou, che ci apaiono nel primo manifesto firmato dall’artista, uno dei più famosi, mentre si esibiscono davanti ad una corona di spettatori trasformati in ombre cinesi, secondo il gusto orientale che imperava all’epoca e da cui lo stesso Lautrec non era immune. E poi incontriamo Caudieux, l’Uomo cannone’, e Aristide Bruant, cantante della mala, sciarpa rossa, cappello nero, fisico potente. Che mondo, quello parigino di fine Ottocento, fatto di personaggi stravaganti e grotteschi, di borghesi piccoli piccoli, di lacché e prostitute, sogni e miserie. Sono tutti lì, nelle immagini che ToulouseLautrec, conte di Albi giunto a Parigi a conoscere la vita, ci ha lasciato in eredità, aprendoci la porta di un pezzo di storia. C’è l’irlandese May Belfort, anche lei soubrette di spettacoli notturni, insieme all’ immancabile gattino con cui si presentava sul palcoscenico ostentando un aspetto ingenuo, per cantare, invece, canzoni oscene. C’è Jane Avril, amica di Tolouse-Lautrec, malinconica e mai volgare, sulla quale il pennello ironico dell’artista non si è mai accanito. Era


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eccentrico, infatti, il contino di Albi, e anche capriccioso, tanto che qualche volta si ‘vendicava’ con i soggetti che osavano non apprezzare il suo lavoro. Così si vendicò con la bella Marcelle Lender che danzava il Bolerò al Theatre des Varietes, mostrando una schiena nuda da capogiro. Lautrec andrà ad ammirarla estasiato nel suo spettacolo per 20 sere di seguito, ma poi si indignerà quando lei le fece capire di non amare i suoi ritratti. Il suo tratto era infatti sempre, o quasi dissacante. Come dimostrano le immagini della ‘stellina’ Ivette Guilbert, che lui rappresentava in continuazione con un ridicolo naso a Pinocchio. Ma a lei, l’elegante Ivette, sempre munita di lunghi guanti neri non piaceva essere ridotta così e non accettò che quel nano col pennello le facesse il ritratto. Ahimé non poteva ancora sapere l’orgogliosa Ivette che la pubblicità è l’anima del commercio e quando lui, per

vendicarsi, la abandonò al suo destino, senza più farne l’oggetto dei suoi dipinti e manifesti, finì con il cadere velocemente nell’oblio. Perché l’artista era sì irriverente, ma anche capace di captare i segni della nuova epoca che lo portarono, primo tra tutti, a modificare l’idea dell’arte, anzi a rivoluzionarla, unendo l’avanguardia al popolare, fino a diventare l’inventore della moderna pubblicità. Programmi, locandine, scenografie, manifesti davano fama ai piccoli artisti. E anche riviste letterarie, prodotti commerciali, novità editoriali, come dimostra una parte della mostra, usarono il suo segno graffiante per cercare attenzione. Così ne parla la curatrice dell’ esposizione: <L’ aspetto fondamentale della sua arte è il segno, la linea, grazie alla quale raggiunge quell’originalità creativa, quella sintesi e stilizzazione che rappresentano i dati fondamentali della sua modernità>. L’ironia pungente che contraddistingue il suo tratto, spesso caricaturale, di dissolve, però, quando il suo sguardo si ferma sulle case di tolleranza e sulle loro miserabili abitanti, venditrici di piaceri e di sogni ad esse negati. Lui, malaticcio e storpio da sempre, sapeva bene cosa significava vivere ai limiti, sentirsi esclusi dalla società. Forse per questo volle vivere un periodo con loro, dentro quei bordelli malfamati, senza mai dipingere scene orgiastriche o pruriginose. Ci mostra, invece, il backstage, la loro stanchezza, i momenti di relax, quando si lavavano o si spazzolavano i capelli, oppure dormivano abbracciate

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regalandosi quelle carezze negate dallo statuto sociale. E la serie Elles che dipinse all’interno delle ‘case chiuse’, fu un vero fiasco: nessuno acquistò quelle litografie così poco scandalose.... <Sono immagini di piccole donne disgraziate, che lui ha voluto rispettare>, spiega Maria Teresa Benedetti. <Infatti non ebbero successo perché non solleticavano le curiosità degli abituali collezionisti di stampe pornografiche>. Toulouse- Lautrec se ne andò a soli 37 anni, contagiato dall’alcol e dalla sifilide, per aver sfidato la società ‘rispettabile’ e non aver tenuto nascosto e separato quel mondo di ombre umane che ci ha lasciato nel suo testamento. La mostra ‘Toulouse -Lautre. Luci e ombre di Montmarte’ è organizzata da Mondomostre. Il catalogo, edito da Skira, raccoglie per la prima vola in lingua italiana l’opera grafica completa dell’artista.


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STORIA D’AMORE CON IL TEATRO

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’aspetto e l'aplomb di un autentico gentleman inglese, una dizione perfetta e sulla scena la capacità di trasmettere tutte le emozioni che solo il teatro ma più in generale la recitazione possono dare. Francesco Carrassi, è originario di Bari, dove è cominciata la sua carriera di attore sotto la direzione del professor Corrado Veneziano, docente dell’Accademia d’arte drammatica S.D’Amico e di Elvira Maizzani. Poi il salto alla scuola internazionale dell’attore di Reggio Emilia diretta da Antonio Fava con Maestri di scena personaggi del calibro di Giorgio Albertazzi, Giancarlo Sepe, Eros Pagni, Sergio Fantoni, Leo Gullotta, Piera Degli Esposti, Annette Sachs, Yyes Lebreton, Lindsey Kemp, Fura dels Baus. "Ho sempre saputo - dice - che quella dell'attore sarebbe stata la mia professione e così è stato". Lunghissima la serie delle performance teatrali a cominciare da "Notizie dell'altro mondo" di Riccardo Reim, di cui cura regia e impianto scenico insieme allo stesso Reim. Impossibile elencare tutte le tournée che lo vedono nel corso degli anni cimentarsi con testi di Pirandello, Shakespeare, Sartre ma anche (in tempi recenti) Sepulveda con la romantica, tenera storia della Gabbiella e il Gatto. E poi? "E poi c'è stata anche la passione per la lirica, raccontata ovviamente - dice -. La Traviata di Giuseppe Verdi, la Madama Butterfly di Puccini e altro". E il cinema? "Solo piccole parti in l''Estate di Bobby Charlton di Guglielmi, Lora di Amoruso, Gran Magic Circus di C. Veneziani e altri... E poi cortometraggi, doppiaggio e naturalmente TV. Ho partecipato a diverse fiction: Vivere, Ama il tuo nemico, Un posto al sole, Incantesimo, Il Maresciallo Rocca, Il Giudice Ma-

strangelo, La Squadra, Gente di Mare, Orgoglio, Questa è la mia Terra". Ma la sua passione principale qual’ è? “Resta il teatro - spiega Carrassi -, il contatto diretto con il pubblico è adrenalina pura. L'odore del palcoscenico e l'ingresso al momento giusto, il ritmo della battuta e anche l'improvvisazione, tutto questo per me è fonte di energia, vita". Quanto è difficile oggi fare teatro al tempo della crisi? "Moltissimo. Ora direi che è quasi impossibile. Ormai le Produzioni fanno al massimo una decina di spettacoli. Non esistono più le tournée di una volta, quella che duravano dieci mesi, su è giù per l'Italia..." Le mancano? "Sì, mi manca l'idea di quella famiglia teatrale che si veniva a creare con i colleghi in quei lunghi periodi. Non credo che si potrà mai tornare a quei tempi a meno che non si cambi drasticamente indirizzo politico". Progetti futuri? "Sto lavorando a due spettacoli che debutteranno in Primavera. Il primo, a Roma nello Spazio Veneziano al quartiere Coppedé: sarò Caravaggio, mia anche la regia. Porterò alla luce il lato più umano dell'artista. Il secondo, sempre in Primavera, debutterà nella mia Bari nel magico contesto dell'antica chiesa del '200 della città vecchia. Lì porterò la mia Medea, protagonista Arianna Ninchi. Sarà una Medea molto particolare, spogliata di tutta la parte mitologica. Sarà molto contemporanea, così come quelle donne che in Italia anche di recente, sono state le carnefici dei propri bambini . Stavolta la storia non sarà più vista solo dal punto di vista femminile. Entreranno in scena anche le riflessioni profonde di un Giasone molto speciale...". Donatella Miliani

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FIRENZE PREMIA IL KUWAIT di Raffaella Marcucci

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ome sempre nel segno del binomio cultura/libertà, il Premio Firenze, organizzato dal Centro Culturale Firenze-Europa “Mario Conti”, è giunto quest’anno alla sua 33a edizione. Fra i numerosi riconoscimenti, un premio speciale è stato assegnato a Sheikh Ali Kaled Al Sabah, Ambasciatore del Kuwait in Italia, rappresentante di uno Stato particolarmente caro a Firenze, la cui capitale Kuwait City nel 2005 è stata omaggiata dal Centro Firenze-Europa con un gemellaggio culturale. In un gremito Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio il presidente del Premio, Marco Cellai, ha motivato tale riconoscimento per l'importante contributo che l'Ambasciatore del Kuwait a Roma sta dando per sempre maggiori rapporti di collaborazione e di amicizia fra Italia e Kuwait e per una importante serie di eventi culturali promossi quest’anno; in modo particolare per l’alto supporto fornito alla conoscenza ed alla diffusione della cultura kuwaitiana in Italia espressi, tra l’altro, in modo significativo nel padiglione del Kuwait all’Expo 2015 a Milano e nella mostra sull’Arte della Civiltà Islamica tenutasi a Roma presso le Scuderie del Quirinale. Un premio che a Firenze trova un suo particolare significato anche perché la città ospita dal 1990 la sede originaria e legale dell’Associazione Nazionale Italia-Kuwait. A commento della cerimonia il

presidente dell’Associazione Italia-Kuwait, Pierandrea Vanni, si è detto lieto per l’importante riconoscimento attribuito all’Ambasciatore, aggiungendo che “Firenze si è subito schierata dalla parte della giusta causa kuwaitiana all’indomani dell’invasione del Kuwait e non a caso proprio qui è nata e cresciuta l’Associazione che continua a svolgere la sua opera di vicinanza e sostegno allo Stato del Kuwait”. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, presente alla cerimonia, nel suo intervento di saluto ha espresso soddisfazione per il conferimento del premio speciale all'Ambasciatore, sottolineando l'impegno di Firenze a favore della libertà della cultura e della cultura della libertà. Il Sindaco ha ringraziato l'Ambasciatore per i rapporti che ha stabilito con Firenze fin dal suo arrivo a Roma e si è detto certo che questi rapporti si amplieranno ancora anche con il contributo dell'Associazione Italia-Kuwait. Nel suo intervento, il presidente Cellai ha infine ricordato che i trentatre anni del Premio intitolato a Mario Conti, “l’uomo che amava la poesia della vita”, hanno lasciato un’impronta importante nel panorama culturale fiorentino, un “segno di speranza nel futuro” anche in anni difficili come “questo 2015 che ci chiama a nuove drammatiche sfide a cui il tradizionale binomio cultura/libertà che anima il Premio Firenze cerca di rispondere”.

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3 1 Una veduta del Salone dei Cinquecento durante la consegna del Premio Firenze 2 Il Sindaco di Firenze, Dario Nardella, si congratula con l'Ambasciatore del Kuwait in Italia 3 La calorosa stretta di mano fra l'Ambasciatore e il Presidente dell'Associazione Italia-Kuwait 4 L'Ambasciatore del Kuwait rivolge parole di ringraziamento e di saluto

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PET THERAPY, ANIMALE PER AMICO

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ella pacatezza dello sguardo degli animali parla ancora la saggezza della natura (A. Schopenhauer). Gli animali trasmettono con un linguaggio semplice e diretto emozioni, stimolano il sorriso, invitano al gioco e incontrano l’uomo con gioia e genuinità. Questa l’essenza della pet therapy. Tale espressione inglese venne utilizzata per la prima volta negli anni sessanta dal neuropsichiatra infantile Boris Levinson per indicare l’impiego dell’animale da compagnia per scopi terapeutici. Levinson intuì che la presenza di un animale all’interno di uno schema terapeutico classico poteva, in certi casi, favorire il processo di guarigione. Il feeling emotivo che instaura la presenza dell’animale crea il contesto ideale, fatto di fiducia e serenità, che agevola l'intervento terapeutico. La pet therapy integra gli effetti benefici delle cure tradizionali, crea quel clima collaborativo che allontana l'idea dell'approccio asettico tradizionale con numerosi benefici sul benessere psicologico e fisico di chi ne giova. Risveglia gli affetti più profondi perché gli animali hanno la naturale vocazione di trasmettere affettività ed empatia. Un esempio di tale terapia riabilitativa arriva dal sud Italia con la Società cooperativa sociale Genesis. La Genesis, che ha sede a Policoro, in provincia di Matera, opera nel Metapontino dal 2006. Da un decennio predispone interventi assistiti dagli

animali per disabili e minori. Propone attività didattico ricreative, educative, rieducative e riabilitative attraverso progetti predisposti da una equipe specializzata. I laboratori di pet therapy si svolgono negli accoglienti spazi della cooperativa o nelle sedi degli enti che richiedano il servizio. La pet therapy è indicata per pazienti psichiatrici, minori a rischio, adolescenti ma anche adulti, anziani e disabili e a coloro che soffrono di Alzheimer. Gli animali normalmente impiegati sono addestrati e seguiti periodicamente nel loro sviluppo dai veterinari. La pet therapy si distingue in Aaa (Attività assistite con gli animali ) e Taa (Terapie assistite con gli animali). Le prime consistono in interventi di tipo ricreativo e/o educativo, con l’obiettivo primario di migliorare la qualità della vita. Le seconde sono una terapia di supporto che utilizza la “relazione” con l’animale per integrare, facilitare e rafforzare le terapie normalmente utilizzate per il tipo di patologia considerata. La Taa, come ha espressamente riconosciuto il decreto Sirchia dell'aprile 2003, è “attività di appoggio” in quanto è un potente strumento per facilitare i risultati attesi. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità “gli animali da compagnia se correttamente accuditi portano immensi benefici ai loro proprietari e alla società e non costituiscono pericolo per nessuno”. Dal 2015 la Genesis ha attivato la Fattoria sociale “Paddy”, dove svolge Iaa e propone attività didattico/ri-

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creative e co-terapeutiche che facilitano il raggiungimento di obiettivi didattici, psicopedagogici, socioriabilitativi e terapeutici attraverso il contatto con la Natura. Il recupero dei valori rurali e la conoscenza del mondo animale e vegetale, se ben strutturato, è di notevole supporto a un corretto sviluppo della sfera socio affettiva, promuovendo le competenze relazionali e di gestione emotiva. Gli Iaa sono realizzati attraverso un lavoro di equipe composto da figure specializzate presenti nella cooperativa: operatore di pet therapy, psicologo, educatore professionale, assistente relazionale, sociologo. Degna di nota l’adesione della cooperativa, tramite la fattoria sociale Paddy, al progetto “in campo per la vita”, finanziato dalla Fondazione con il Sud e partito nei primi mesi del 2015, che si espleterà nell’arco di due anni. Il progetto intende potenziare una rete attiva di volontariato stratificata che agisca in diversi ambiti, sia nel territorio geografico di appartenenza (dalla realtà marina a quella montana) come promozione, valorizzazione, tutela e salvaguardia dell’ ambiente, sia nel contesto sociale come potenziamento delle diverse forme di associazionismo attraverso l'ampliamento e la qualificazione dei servizi socioassistenziali offerti: formativi, educativi, rieducativi e riabilitativi. Sono previste azioni sinergiche di protezione civile e di educazione permanente, di potenziamento di servizi

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integrati di forte impatto sociale, con valenza anche riabilitativa, mirati a facilitare il benessere psicofisico della persona, migliorandone le condizioni di vita, soprattutto in situazioni di disagio. Altra caratteristica del progetto è la promozione nelle scuole dell’ educazione ambientale, come amore per la natura, che si identifica nell’amore per le sorti del genere umano e per il rispetto del territorio, conoscendone soprattutto la vulnerabilità. Fondamentale è un cambio di rotta ideologico che può avvenire solo con l’ interiorizzazione di principi inestimabili da parte delle giovani generazioni durante il loro percorso educativo e di crescita. In un periodo storico dove i bambini subiscono più di tutti i “mali dell’ urbanizzazione”, fondamentale risulta l’esperienza sul campo, dove autodeterminarsi concretamente nella pet therapy, nelle attività didattiche all’aperto e in fattoria dove esperire sulla propria pelle l’amore per la vita. La finalità sociale che sottende il progetto “In Campo per la vita…”, oltre agli obiettivi ambientalistici e di protezione civile, è da ricercare nella “filosofia della corresponsabilità” che prevede la promozione di un benessere globale, di cui tutti potrebbero beneficiare e alla cui realizzazione tutti vengono chiamati a prescindere dalle contingenze individuali: svantaggio sociale, povertà, limiti psicofisici. Katrin Bove


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“ZABRISKIE POINT” E LA CRITICA di Marco Toti

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ella critica dell’universo ideologico-culturale statunitense (prima soggiacente e, successivamente, più esplicita), che è connessa a quel processo di “smitizzazione” operato dalla cultura e dalla cinematografia italiana fin dalla seconda metà degli anni cinquanta, “Zabriskie Point” (M. Antonioni, 1970, compartecipazione Italia-USA) costituirà in un certo senso l’apice. La scena dell’”apocalisse” finale, con la deflagrazione immaginata della villa e degli oggetti-simbolo della “civiltà del benessere”, può essere considerata il limite estremo di una tale critica (qui non più politico-ideologica, ma secondo alcuni persino religiosa in senso lato, “profetica”): la distruzione degli oggetti implica la radicale (impolitica, o “metapolitica”) negazione di un modo di vita che, considerato alienante, ha prodotto, per la prima volta nella storia dell’uomo, quei particolari oggetti, direttamente connessi alla “civiltà dei consumi”. Questa deflagrazione, rappresentata in modo così compiaciuto, costituirebbe la punizione della hybris della civiltà statunitense, che “implode” in quanto ha preferito la concezione utilitaria della vita a quella “ludica”: e nella prima rientra la stessa contestazione giovanile, cui lo stesso protagonista Mark si oppone! Quello di Antonioni sarebbe dunque un giudizio morale, che attinge alla Bibbia, a Marx e a Freud (tradizioni che convergerebbero, in maniera inedita, in Antonioni!). A. Moravia, che considerò il lavoro di Antonioni come “una profezia di tipo biblico in forma di film”, ha affermato che “il punto di forza [del film] è pur sempre la catastrofe finale immaginata da Daria nel momento in cui, come le donne di Lot, si volta indietro a riguardare la villa del suo boss e la vede esplodere, disintegrarsi”. Antonioni recupererebbe quindi un genere estinto, quello della profezia, allontanandosi dalla sociologia e dai moduli narrativi della cinematografia “classica”, ambientando il suo lavoro nel punto di massima depressione degli USA, Zabriskie Point appunto (nella Death Valley californiana), simbolo degli USA come negazione della vita. Anche se, credo, nella critica anche più virulenta e radicale spesso è da intravedere

un interesse, una fascinazione, una attrazione profonda, che infatti operano, oltre che nei registi sopra menzionati, anche in intellettuali del periodo non certo, dal punto di vista politico-ideologico, “filoamericani”: si pensi, a questo riguardo, allo stesso Pavese, che apprezzava, soprattutto da un punto di vista letterario, la vitalità “immaginativa” del “nuovo mondo”, di contro alla “decadenza” del continente europeo. Il carattere americano poteva quindi essere inteso sia come negativamente “ignorante” – grossolanamente ignaro delle glorie della civiltà europea - che come positivamente “ingenuo”, quasi “puro” nella sua relativa mancanza di storia: se, quindi, è necessario rilevare una contraddittorietà della società statunitense, che si divide tra un radicato modo di vita “pragmatico”, frutto dell’utilitarismo anglosassone, e una certa “ingenuità infantile” di fondo, che si può facilmente rintracciare in alcune abitudini dell’”americano medio”, altrettanto si deve dire della cultura e della società europea, che si dibatte, almeno fino a un certo periodo della sua storia contemporanea, tra rifiuto politico dell’”americanismo” e attrazione estetica che il “mito americano” esercita su di esse.

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