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Dietro la cattedra

di Martina Vincenzoni artwork e foto di Elena Vincenzoni

Qualche tempo fa – non poco: si andava ancora a scuola - una mia studentessa aveva il compito di spiegare un argomento alla classe. Poco dopo aver iniziato si è interrotta, perché aveva dimenticato un passaggio che nelle mie lezioni è immancabile. Ci ha chiesto: come state? Questo ricordo, già dolce di per sé, ha un che di struggente in questo momento in cui non so se li rivedrò di persona, i miei studenti. Nemmeno settembre appare un traguardo realistico per un precario. Chi può fare previsioni? In ogni caso un educatore è un educatore e non si perde d’animo, perché quell’animo è contagioso, è trasparente. Mi sono presto attrezzata testando diverse piattaforme digitali, ben sapendo che indicazioni ufficiali dalla scuola non sarebbero arrivate prima di settimane. Alcuni studenti sono intervenuti per darmi delle dritte, altri per chiedermi, a poche ore dal primo decreto, di continuare a fare in qualche modo lezione. Ampio è stato anche il confronto tra colleghi: si è creato un fronte spontaneo di volenterose cavie che si avventurassero in questo mondo e vi accompagnassero i colleghi meno digitalizzati. Un’attività febbrile che ha paradossalmente dovuto rallentare una volta che la scuola si è organizzata con nuove modalità didattiche e orarie: stavamo lavorando troppo. A posteriori, sono in grado di capire perché questo sia successo. Vedere comparire quei rettangolini con le loro facce sullo schermo, per quanto assonnate e struccate: un’emozione da scolaretti. La nostra frequentazione personale, umana, è stata tagliata da un giorno all’altro, in maniera traumatica, evidenziando quanto il succo di questo lavoro sia nell’essere in relazione. Mantenere viva questa rete è ciò di cui c’è bisogno, da entrambi i lati della cattedra. Dalla finestra della nostra aula noi abbiamo la fortuna di vedere Piazza Santa Croce. E questa piazza me l’ha fabbricata mia sorella in cartone, incorniciata da una finestra; un art attack pensato per farli sorridere, ma anche per farci sentire tutti un po’ più a casa.

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DIETRO IL BANCO

di Gabriele Giustini

Al momento della chiusura di queste righe, è passato poco più di un mese dalla chiusura delle scuole. In pratica sono pochi giorni, ma già solo questo mese sta pesando moltissimo ai bambini (o ragazzi), alle loro famiglie e agli insegnanti. Chi per un motivo, chi per un altro. I bambini stanno ovviamente soffrendo della situazione non potendo vivere la quotidianità con i loro compagni, le famiglie sono in difficoltà nel gestire il lavoro proprio e le attività dei ragazzi, mentre il corpo insegnanti si vede privato della possibilità del contatto giornaliero con i propri studenti. Un problema umano e professionale che coinvolge tanto chi insegna ai più piccoli - non solo alla primaria, ma anche ai nidi d’infanzia e alle materne - quanto chi ha a che fare con ragazzi un po’ più grandi. Già prima della chiusura il ministero parlava di didattica a distanza e video lezioni. Facile a parole, meno nei fatti, come ha spiegato Martina nell'articolo qui sopra. Tutti siamo rimasti in balia e alla fine era necessario un valore aggiunto, un tassello che legasse le belle parole del ministero, con la realtà dei fatti. E il valore aggiunto di questa storia è quello degli insegnanti e degli educatori che, pur in una situazione difficilissima come quella che stiamo vivendo, stanno facendo il possibile per tenere in vita l’anno scolastico e per proseguire il loro il loro percorso educativo, venendo incontro alle famiglie e a tutte le difficoltà che i genitori possano avere, dalla mancanza di un computer, ai problemi nello stampare o alla mancanza di spazi dove sistemarsi per le video lezioni. Lo stanno facendo con amore, nei confronti dei loro studenti, e passione, per il proprio lavoro. È ancor più bello, poi, vedere la tenerezza e l’emozione dei bambini nell’incontrarsi a distanza, i loro imbarazzi nei pochi silenzi, i mille ciao a caso, microfoni che entrano in pausa senza senso e concetti che, clamorosamente, vengono anche chiappati. A giudicare dai nostri comportamenti – dalla caccia a chi estende di venti metri il proprio raggio passeggiata alla schedatura del vicino del babbo che porta il bambino a fare il giro dell’isolato – no, non ne usciremo migliori. Anzi. Ma tra le poche cose da salvare ce n’è una in particolare e della quale sapevamo pochissimo finché non abbiamo avuto la fortuna di vederla: il legame invisibile tra maestri e bambini, tra educatori e studenti.