Kaire 23 anno III

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IL SETTIMANALE DI INFORMAZIONE DELLA CHIESA DI ISCHIA ANNO 3 | NUMERO 23 | 4 GIUGNO 2016 | E 1,00

“Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% Aut: 1025/ATSUD/NA”

IN PELLEGRINAGGIO DA NAPOLI A POMPEI Sabato 28 maggio oltre 100 ischitani, accompagnati da padre Nunzio Ammirati e don Beato Scotti, hanno portato alla Vergine del Santo Rosario di Pompei l’abbraccio della nostra isola. A pag 12

La chiesa di S. Maria del Soccorso riabbraccia i suoi angioletti Di Federica e Rosa Amalfitano

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abato 28 maggio presso la Chiesa di Santa Maria del Soccorso a Forio, si è tenuta la presentazione del restauro dei putti in cartapesta a cui hanno partecipato: Sua Ecc. za Mons. Pietro Lagnese, la Dott.ssa Gina Carla Ascione-direttore storico dell’Arte e della Soprintendenza Belle Arti, la Dott.ssa Iozzi-restauratrice, Don Agostino Iovene, Don Pasquale Mattera e Don Emanuel Monte che ha coordinato l’evento. Il restauro dei putti in cartapesta faceva parte del progetto “Adotta un angelo” grazie al quale i fedeli si sono adoperati, consentendo così un intervento di restauro. I quindici putti, che ornano l’arco trionfale della Cappella del Crocifisso, sono disposti a ghirlanda: sette sul lato destro, sette su quello sinistro e uno al centro. Il putto collocato al centro regge una croce, i primi due angioletti alla sua destra e alla sua sinistra portano in mano altri simboli della Passione come la corona di spine, il flagello e il martello. Come comunità parrocchiale abbiamo avuto il piacere di intervistare la Dott.ssa Ascione e la Dott.ssa Iozzi che ringraziamo per la loro disponibilità. QUALE GENERE DI INTERVENTO SI E’ DOVUTO FARE PER OTTENERE QUESTO RESTAURO? DOTT.SSA ASCIONE:

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GLI ANGELI DEL SOCCORSO Restaurati e riposizionati i 15 angeli in cartapesta della chiesetta foriana del Soccorso. Un successo dovuto grazie alle istituzioni ma soprattutto a tanti foriani che hanno voluto partecipare al progetto “adotta un angelo” per le operazioni di restauro

DISAGIO SCOLASTICO

EMERGENZA AZZARDO

Un convegno per gli insegnanti all’“E. Ibsen” di Casamicciola per aiutarli ad intercettare i disagi dei nostri figli.

Dove lo Stato latita ci sono alcune Regioni e Comuni fai da te che dettano regole in difesa dei cittadini.

INCHIESTA DENATALITA’ Con 509 mila nati l’Italia ha raggiunto la crescita zero e si colloca tra le nazioni più anziane d’Europa

GOOD NEWS ISOLANE “Borsa Verde 3.0 scambi e baratti a cattiveria zero”, un gruppo facebook per scambiare e barattare prodotti dell’orto home made.


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Primo Piano 4 giugno 2016

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Una sinergia perfetta delle istituzioni

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Continua da pag. 1 “Ci trovammo di fronte a quindici pezzi di piccole dimensioni che raffigurano degli angioletti le cui condizioni suggerivano chiaramente di dover intervenire. L’iniziativa del restauro è stata del parroco don Pasquale Mattera, il quale si è preso a cuore la situazione. In realtà ha presentato alcuni anni fa due progetti. Prima è stato fatto quello del Crocifisso, presentato in una cerimonia nella Basilica di S.Maria di Loreto, e poi si è partiti con il restauro degli angioletti. Si tratta di manufatti molto diversi perché mentre il Crocifisso è un Crocifisso del ‘500 in legno, quindi un manufatto più antico e di grande importanza storico-artistica, gli angioletti sono degli inizi dell’ ‘800, probabilmente realizzati contemporaneamente all’arcata di ferro”. QUANTO TEMPO E’ STATO IMPIEGATO PER IL RESTAURO? DOTT.SSA IOZZI: “Dall’autunno 2014 alla primavera 2016 in diverse fasi perché il restauro ha significato montare e rimontare gli angioletti; c’è stato uno studio affinché il montaggio fosse consono alla materia e al restauro. Trattandosi di cartapesta non poteva essere fatto con qualcosa che fosse invasivo per gli angioletti”. IL TEMPO E’ QUINDI DOVUTO AL CATTIVO STATO DI CONSERVAZIONE? DOTT.SSA IOZZI: “Sì, erano completamente rovinati. Non si è trattato di un lavoro puramente artistico. È stato un lavoro di comprensione dell’oggetto che si ha davanti e di scelte coerenti che il restauratore non può mai fare da solo, ma ha bisogno di un supporto storico-artistico e anche della stessa comunità. È stato un lavoro di squadra: c’è chi conosce dal punto di vista storico-artistico il manufatto, chi tecnicamente, e chi ne conosce una storia diversa che è quella dell’affettività popolare”. DOTT.SSA ASCIONE: “Un’altra cosa che è stata fatta e che ha allungato i tempi sono state le analisi sui materiali. Non basta guardare un materiale per capire di cosa sia fatto; quindi sono stati mandati dei microframmenti nei laboratori che hanno fatto delle analisi e hanno spiegato meglio quello che a occhio avevamo già visto. Così pure delle radiografie fatte sul territorio in un laboratorio, ci hanno permesso di poter vedere l’interno e sapere quanti chiodi esistevano, quanti antichi erano e se ci sono state delle manomissioni. Si sono potute constatare, tramite le radiografie, delle macchie scure attorno agli occhi che ci hanno fatto capire che erano stati incollati tramite una lega di stagno e piombo; ci sono elementi nuovi e quindi molto particolari che spiegheremo durante la presentazione”. La serata di presentazione ha visto partecipare un buon numero di amanti dell’arte e di fedeli che si sono raccolti nella Chiesa e hanno seguito le spiegazioni sulle tecniche utilizzate per il restauro. Alla fine dell’evento Sua Ecc.za Mons. Pietro Lagnese ha espresso il Suo ringraziamento a chi ha operato per ottenere questo restauro. “La Chiesa”, ha detto Sua Ecc.za, “ha il ruolo di essere una madre, una madre che fa accomodare i suoi figli, dove tutti possono sentirsi accolti, amati, pensati e desiderati. Il restaurare le opere d’arte ha questo obiettivo; non solo un dovere nei confronti di chi ha sponsorizzato, di chi ha realizzato queste opere o per la storia che custodiamo, ma è anche un’occasione per annunciare il Vangelo”.

Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia Proprietario ed editore COOPERATIVA SOCIALE KAIROS ONLUS

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dotta un angelo è il progetto che ha interessato il restauro dei quindici puttini in cartapesta con i simboli della passione, che ornano l’arco trionfale della cappella del Crocifisso ligneo XVI secolo, nella Chiesa di S. Maria del Soccorso. Già il Crocifisso, simbolo di devozione da parte di tutta la comunità isolana è stato nel 2014 oggetto di restauro ad opera dell’Istituto Europeo del Restauro. Il tutto, frutto di un lavoro sinergico tra le istituzioni preposte sul territorio alla salvaguardia dei Beni Culturali, quali l’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali da me diretto, con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, l’Architetto Luciano Garella Soprintendente Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Napoli, il Direttore Storico dell’Arte della Soprintendenza Belle Arti e del Paesaggio per il Comune e la Provincia di Napoli nella persona della dottoressa Gina Carla Ascione e dal Rettore della chiesa Don Pasquale Mattera.Anche gli stessi puttini, di rilevata importanza artistica e devozionale, versavano in pessime condizioni e rischiavano di andare perduti completamente. Per tale motivo, si è pensato di porre all’attenzione di tutta la Comunità la necessità di restaurarli. Su piene disponibilità di Sua Ecc.za il Vescovo Mons. Lagnese, e di tutti gli organi preposti è stato tentato tale progetto, curato dall’architetto Antonio Nardelli, in collaborazione con la dott.ssa Maria Lauro e la dott.ssa Ernesta Mazzella. Grazie all’impegno del rettore don pasquale Mattera i fedeli si sono adoperati ad adottare un angelo, consentendo così il tempestivo intervento di restauro condotto dalla restauratrice Gianna Iozzi, supportata in alcune fasi dall’impresa “Stilla Costruzioni”. Il tutto sotto la costante supervisione della dott.ssa Gina Carla Ascione, alla quale va tutto il nostro doveroso ringraziamento. L’impegno profuso da parte di tutti ha consentito di ridare splendore a questi capolavori cari alla collettività. Don Agostino Iovene Direttore Ufficio BB.CC.EE. Diocesi di Ischia

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Primo Piano

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I tesori artistici della parrocchia

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uesto lavoro di restauro è una nuova tappa di un percorso di recupero dei tesori artistici presenti nella Chiesa del Soccorso e nel territorio della Parrocchia di S. Sebastiano Martire qui a Forio. L’iniziativa del restauro degli angeli che sono collocati sull’arco di trionfo nella Cappella del Crocifisso, altra opera di grande pregio devozionale e artistico, restaurata di recente, è stata diffusa come “Adozione di un angelo” per cui diversi offerenti da soli o a gruppi si sono impegnati a versare un contributo sul conto corrente intestato alla chiesa del Soccorso. Esprimo la mia compiacenza per questo traguardo raggiunto e ringrazio di cuore coloro che hanno appoggiato e reso possibile questo lavoro, che oggi possiamo ammirare nella sua semplicità e bellezza. Un grazie sincero ai devoti di Forio, dell’isola e di varie parti di Italia in visita a questo Santuario che con tanto sacrificio hanno collaborato. Ora altre opere ed iniziative da realizzare aspettano di essere “Adottate”, la gara di solidarietà continua ... Grazie! Dio benedica chi cura il suo tempio senza distogliere gli occhi dalla sua gente. Don Pasquale Mattera Parroco di San Sebastiano Martire Rettore della Chiesa del Soccorso

Lujan Albano, Roberto Pulicati, Federica e Rosa Amalfitano

DA SAPERE Di Gianna Iozzi - restauratrice

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Tecnica della cartapesta

a tecnica della cartapesta consiste nell’impregnare di colla pezzi di carta e nel sovrapporli a strati, fino ad ottenere lo spessore desiderato. Quello che in apparenza sembra banale, in realtà, necessita di conoscenze e competenze; lo dimostrano gli innumerevoli manufatti di pregio che si trovano nella storia dell’arte. Per realizzare un’opera di cartapesta l’artista doveva disporre di un modello di argilla, ragione per cui, sovente, doveva essere un ottimo scultore, in grado di realizzare sculture a tuttotondo; esempio notevole è il modello per il monumento funebre di suor Maria Raggi, di Gian Lorenzo Bernini, Napoli 1598 - Roma 1680, così come i quattro busti a tuttotondo in cartapesta ricoperta di fogli d’argento meccato, secolo XVIII, ritraenti: San Bartolomeo, San Giovanni, San Matteo e San Pietro che si trovano presso il Museo d’Arte Medioevale e Moderna a Matera. L’arista che si cimentava con la cartapesta, sovrapponeva sulla scultura in argilla ancora umida strati di gesso mescolato con acqua, avendo cura di aspettare che ogni strato raggiungesse il giusto punto di asciugatura, prima di passare al successivo. Alla fine si trovava davanti ad un blocco di gesso tutt’altro che facile da maneggiare che doveva aprire in sezione longitu-

dinale in modo da ottenere due metà, ciò avveniva forzando le lamelle in ferro che precedentemente ed opportunamente aveva inserito nell’argilla. Le due parti contenevano l’impronta esatta in negativo della scultura in argilla e quindi la possibilità di ricavare uno o più positivi in cartapesta, cioè in strati di carta imbibiti di colla e sovrapposti in più fasi. Le porzioni di manufatto una volta asciugatesi, venivano staccate dall’impronta e ricomposte in unico oggetto cavo all’interno. L’opera a questo punto, risultava maneggevole e si poteva andare avanti con la stuccatura, utile base per la policromia generalmente ad olio. I vantaggi che se ne traevano erano due: la possibilità di replicare il soggetto molte volte grazie al calco in gesso e la facilità di trasportare il manufatto dal committente che, poteva visionare il prototipo in cartapesta; opera che poteva essere ripetuta tale e quale, oltre che essere realizzata in bronzo, marmo, legno e persino nuovamente in gesso, utilizzando il calco. Esempio di grande abilità nel realizzare sculture in gesso da calchi in gesso è la produzione di Giovanni Maltese, artista foriano, 1852 - 1913. La cartapesta, per le sue caratteristiche, nel tempo si è diffusa tantissimo in ambito artigianale.


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EMERGENZA PROFUGHI

Profughi a Ventimiglia: il vescovo Suetta, “la linea dura non è mai una soluzione” Di Maria Chiara Biagioni

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l suo fianco c’è il vescovo Antonio Suetta. “Se solo proviamo ad immedesimarci nella loro avventura… quello che mi colpisce profondamente, è che dopo aver viaggiato così tanto, cercando una sponda di speranza, noi li rimettiamo in moto. Credo che sia una grave insensibilità” “Questi poveri migranti vengono cacciati e noi li abbiamo accolti”. Usa parole semplici padre Francesco Marcoaldi, frate della congregazione Figli di Maria Immacolata, per spiegare la scelta di accogliere nella parrocchia di San Nicola da Tolentino a Ventimiglia un centinaio di migranti che erano accampati in città. Polizia, carabinieri e Guardia di finanza stanno mettendo in queste ore su dei bus alcune decine di migranti che da giorni erano accampati a Ventimiglia, chi in spiaggia chi sotto i ponti, in attesa di riuscire a passare il confine francese e raggiungere Mentone. Le forze dell’ordine stanno operando in rispetto all’ordinanza di sgombero emessa venerdì scorso dal sindaco Enrico Ioculano per motivi di igiene e sicurezza pubblica. I migranti hanno così trovato soccorso e accoglienza nella parrocchia di padre Francesco, sostenuto ed incoraggiato dal vescovo di Ventimiglia monsignor Antonio Suetta. Il parroco li accoglie nelle strutture della parrocchia, la Caritas provvede ai pasti. I ragazzi che accompagnano i migranti – i no borders – parlano di “retate in città” e che ci sono due aerei pronti a decollare da Genova per riportarli in Sicilia nei centri di raccolta dove devono essere registrati. Il clima in parrocchia è teso. “Ieri sono venuti due marescialli – racconta il parroco – e quando i profughi hanno visto i due carabinieri sono scappati. Se la polizia viene ed ha un ordine giudiziario della prefettura, nessuno si può opporre. Ma se la polizia mi dice: ‘vorremmo entrare’, io gli chiederò perché e se li vedo in assetto di sommossa con scudi e bastoni, io dico: ‘no, non vi permetto di entrare in questa forma’. Faranno quello che faranno”. Ha paura? “No – risponde padre Francesco – avrei avuto paura se avessi detto no a queste persone. Come le abbiamo accolte, io mi sono sentito sereno. Sono preoccupato. Preoccu-

La Chiesa di papa Francesco con le porte aperte e la solidarietà in azione. “Questi poveri migranti vengono cacciati e noi li abbiamo accolti”. Usa parole semplici padre Francesco Marcoaldi, frate della congregazione Figli di Maria Immacolata, per spiegare la scelta di accogliere nella parrocchia di San Nicola da Tolentino a Ventimiglia un centinaio di migranti

pato per quello che può succedere. Sono tutti ragazzi molto giovani. La speranza oggi è che tutto si risolva nel modo più pacifico possibile. Noi come chiesa li accogliamo e li difendiamo. L’appello alle autorità è che siano anche loro comprensive”. “Quello che mi stupisce e mi addolora è che con un po’ di buona volontà da parte di tutti noi potremmo egregiamente risolvere la situazione”. Sono parole che invitano alla calma e alla collaborazione tra tutte le istituzioni e gli enti interessati quelle pronunciate dal vescovo di Ventimiglia, monsignor Antonio Suetta. Nel giorno in cui la Chiesa celebrava la festa del Corpus Domini, la diocesi ha accolto 20 profughi in seminario. C’è anche il progetto che deve però avere l’ok della prefettura, di realiz-

zare una tendopoli in collaborazione con la Croce Rossa in un cortile del seminario per accogliere i profughi per “tutto il tempo sufficiente perché le istituzioni si organizzino meglio”. Il vescovo parla di una “situazione di grande confusione” e ricorda che la “linea dura non è mai risolutiva”. “Vi erano sicuramente dei disagi in quanto il campo della Croce Rossa era collocato in un centro nevralgico della città, la stazione”. Ma le soluzioni di sgombero non concorrono a risolvere la situazione: “Si provvede al trasferimento forzoso dei migranti – spiega il vescovo – poi per un difetto di sistema, dopo pochi giorni, vi sono altri migranti che arrivano. Per cui alla fine, per le istituzioni le decisione prese sono un costo, per i migranti una sofferenza

e per la città non sono la soluzione del problema”. Ma quanti sono i migranti a Ventimiglia? “Un dato di riferimento che noi abbiamo è che da circa un mese – risponde mons. Suetta – abbiamo una media di 250 passaggi al giorno al nostro Centro di ascolto di Ventimiglia gestito dalla Caritas, dove prevalentemente diamo un pasto. Poi compatibilmente con la disponibilità dei volontari, cerchiamo di dare la possibilità di una doccia. Ci sono anche medici volontari e si provvede anche alla distribuzione di vestiario. Le stime ultimamente parlano di circa 300 persone nei campi abusivi”. L’obiettivo finale di questi profughi è raggiungere la Francia e i metodi utilizzati dalla polizia francese – denuncia il vescovo – “non sono all’insegna della correttezza”. “Abbiamo soccorso persone mal menate dalla polizia francese che sono tornate indietro ferite e doloranti. Li hanno accolti i nostri medici volontari e volontari che li hanno portati al pronto soccorso. Abbiamo avuto anche queste situazioni”. Monsignor Suetta è stato nominato vescovo della diocesi di Ventimiglia da papa Francesco nel 2014. Ha alle spalle una storia di impegno nel sociale: dal ’92 al ’97 è stato cappellano della Casa Circondariale di Imperia ed ha concorso a fondare la Cooperativa Sociale “Il Cammino” per il reinserimento lavorativo di ex tossicodipendenti e detenuti. E’ stato parroco di alcune piccole chiese dell’entroterra, assistente spirituale dei “Cursillos de cristianidad” e direttore della Caritas Diocesana. “Ci sono problemi – dice oggi – che a mio avviso dovremmo affrontare con elasticità e con un uso delle norme dettato dall’umanità”. Riguardo a quanto sta avvenendo in questi giorni in Europa, il vescovo parla di “una grande sconfitta”. E spiega: “Se solo proviamo ad immedesimarci nella loro avventura… quello che mi colpisce profondamente, è che dopo aver viaggiato così tanto, cercando una sponda di speranza, noi li rimettiamo in moto. Credo che sia una grave insensibilità”. Il vescovo ricorda a questo proposito le parole di papa Francesco: “i poveri sono la carne di Cristo e i profughi non sono un pericolo ma sono in pericolo”.


Accoglienza & Integrazione

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DISCERNIMENTO

MIGRANTI: ci si chiede mai “perché” sono costretti a fuggire? Di Patrizia Caiffa

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Europa può accogliere tanti migranti? Questa la domanda posta dal quotidiano francese “La Croix” a Papa Francesco in una intervista pubblicata il 17 maggio. La risposta del Papa è stata semplice ed efficace: “E’ una domanda giusta e ragionevole perché non si possono aprire le porte in modo irrazionale. Ma la questione di fondo da porsi è: perché ci sono tanti migranti oggi?” Una questione spesso elusa dall’opinione pubblica, nei dibattiti o nelle opinioni sui media mainstream, relegata a nicchie di addetti ai lavori che operano nella cooperazione internazionale, nelle emergenze umanitarie, nell’accoglienza ai migranti e nelle varie iniziative di solidarietà. Nel mondo, secondo gli ultimi dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), alla fine del 2014 vi erano 59,5 milioni di migranti forzati rispetto ai 51,2 milioni di un anno prima e ai 37,5 milioni di dieci anni fa. L’incremento rispetto al 2013 è stato il più alto mai registrato in un solo anno. L’Europa, compresa la Turchia che ha accolto oltre 1 milione e mezzo di siriani, ha riportato il maggior incremento di migranti forzati, passando da 4,4 milioni di persone nel 2013 ai 6,7 milioni a fine anno. Nel 2014 si è registrata la quota record di 626mila richieste d’asilo. La media italiana è di un rifugiato ogni 1000 persone (1,2 la media europea). Nel 2015 ne sono arrivati circa 1 milione dalla rotta balcanica. Le domande giuste da porsi sono dunque: Perché le migrazioni sono in aumento? Quali sono le cause? L’Europa ha delle responsabilità? Conflitti e guerre. La maggioranza di coloro che tentano l’ingresso in Europa, come riferito dall’Unhcr, sono migranti in fuga da guerre, conflitti e persecuzioni: più dell’85% di quelli arrivati in Grecia vengono da Siria, Afghanistan, Iraq e Somalia, tutti Paesi che acquistano armi ed equipaggiamenti militari anche da Paesi dell’Unione europea. Qui è ben noto che gli occidentali hanno tentato di esportare la democrazia con effetti controproducenti. Le esportazioni di armi dai Paesi europei sono in crescita: secondo

In Europa si discute su come affrontare l’incremento di migranti senza trovare soluzioni stabili e a lungo termine, preferendo costruire muri e rafforzando le barriere esterne. Non ci si chiede mai “perché” le persone sono costrette a fuggire (sarebbe molto più comodo per chiunque restare a casa propria), né quali sono le cause e le responsabilità

il recente dossier di Caritas Europa “Migranti e rifugiati hanno diritti” ammontavano a 36 miliardi di euro nel 2013, pari al 30% del totale mondiale. Solo la Francia ha negoziato 15 miliardi di euro in commercio d’armi nella prima metà del 2015, compresa la vendita al Qatar e all’Egitto di jet da guerra. Inoltre i Paesi europei sono a volte direttamente coinvolti in azioni militari nel Medio Oriente, nel Nord Africa e nell’Africa sub-sahariana (la Francia in Mali e nella Repubblica Centroafricana). “La partecipazione alle azioni militari via terra e aria da parte delle forze armate degli Stati membri dell’Ue in Afghanistan, Libia ed Iraq – si legge nel dossier -, sembra aver inasprito i conflitti e radicalizzato la polarizzazione fra le forze contendenti” e “determinato seri effetti di radicalizzazione, fra cui l’espansione dello Stato islamico”. Le industrie statunitensi continuano a vendere armi all’Arabia saudita, che le usa per bombardare lo Yemen. Da non dimenticare anche la guerra in Ucraina, di cui non si parla più, che ha provocato altissimi numeri

di sfollati. Assenza di democrazia, regimi dittatoriali, persecuzioni. Sono ancora tanti nel mondo i Paesi dove non c’è libertà di espressione e le persone vengono perseguitate e non hanno alternative se non la fuga. In Italia arrivano moltissimi migranti dall’Eritrea, dove da decenni regna indiscusso Isaias Afewerki, condannato dall’Onu per crimini contro l’umanità a causa della sua politica repressiva. I giovani eritrei fuggono perché altrimenti sarebbero costretti al servizio militare a vita. Dimenticate sono anche le situazioni del Gambia, dove da vent’anni il regime viola i diritti umani con arresti arbitrari e torture, o della Guinea equatoriale, con derive autoritarie nei confronti della popolazione. Poco democratici, come dimostra la cronaca, sono anche la Turchia e l’Egitto, che le organizzazioni per i diritti umani chiedono di dichiarare “Paesi non sicuri”. Povertà e disuguaglianze sociali. Se viviamo in un mondo in cui l’80% delle ricchezze mondiali sono in mano al 16% della popolazione e solo 62 persone possiedono

quanto la metà dei più poveri è facile comprendere che il sistema economico e finanziario globale è concepito per produrre povertà, ingiustizia e disuguaglianze sociali. Le persone fuggono dai Paesi poveri – geograficamente identificati nel Sud del mondo ma oramai le povertà sono anche nelle periferie delle grandi città del Nord – perché non trovano opportunità lavorative. Anche le élite locali, spesso corrotte o conniventi con grandi imprese straniere, non investono nello sviluppo economico e sociale, non ci sono servizi sanitari, scuole, welfare. Chi non ha alternative per una vita degna non ha diritto a cercarne una migliore altrove? Cambiamenti climatici e disastri naturali. Siccità che provoca depauperamento del suolo e conseguente carestia; alluvioni e inondazioni in zone dove solitamente non piove mai; cicloni, tempeste, ondate di caldo o di freddo; fuoriuscite di petrolio o altri disastri che inquinano i mari e bloccano le attività produttive. Secondo quanto riporta l’ultimo dossier di Legambiente “Profughi ambientali: cambiamento climatico e migrazioni forzate” a causa del riscaldamento globale nel 2010 ci sono stati circa 385 catastrofi naturali con più di 297.000 vittime e oltre 42 milioni di persone nel mondo forzate a spostarsi. Nonostante ciò ancora non esiste uno status previsto da convenzioni internazionali o legislazioni nazionali per i “migranti ambientali”. In Europa solo Svezia e Finlandia li includono nelle politiche migratorie nazionali. Sfruttamento indiscriminato delle risorse. Lo sfruttamento della pesca in Senegal, le pipeline (oleodotti, metanodotti, gasdotti) in diversi Paesi africani, ad esempio nel Delta del Niger, la costruzione di dighe che deviano fiumi (in Brasile, in Cina), le attività minerarie estrattive che deturpano l’ambiente e ammalano le popolazioni: sono solo alcune situazioni che dimostrano come gli interessi economici, anche occidentali, impattino sui territori rompendo gli equilibri naturali e costringendo le persone a fuggire perché non riescono più a procurarsi la sussistenza o perché l’ambiente è inquinato e procura malanni gravi.


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Società 4 giugno 2016

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Lo Stato latita, regioni e comuni ‘fai da te’ Di Umberto Folena

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e lo Stato latita, molte regioni e molti comuni agiscono. Sempre più numerosi e agguerriti. Una legge nazionale che regoli la distribuzione delle slot machine e delle sale gioco, infatti, ancora non c’è. Il decreto Balduzzi (2012) aveva previsto una progressiva ricollocazione delle sale con gli apparecchi da gioco «che risultano territorialmente prossimi a istituti scolastici primari e secondari, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto». Ma un decreto attuativo dell’Agenzia delle dogane non è mai arrivato. Così il testimone è passato a regioni e comuni. Oggi sono 12 le regioni e 2 le province autonome a essersi dotate di leggi regionali e provinciali. Le regioni sono: Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria (per prima, quattro anni fa), Lombardia, Puglia, Toscana, Umbria e Valle d’Aosta; le province autonome sono Trento e Bolzano. Le leggi hanno sfumature diverse ma alcune caratteristiche comuni. Tutte stabiliscono una «distanza minima dai luoghi sensibili», che varia dai 300 ai 500 metri. Ma in molti casi viene lasciata ai sindaci la facoltà di individuare luoghi ulteriori, in base alle specifiche caratteristiche del territorio; e il Veneto non indica alcuna distanza minima, lasciando ai comuni il compito di determinarla. Con il caso limite di Caerano San Marco (Treviso) che ha stabilito una distanza minima di ben mille metri. Può accadere, dunque, che il comune di Genova abbia inserito tra i luoghi sensibili «attrezzature balneari e spiagge, giardini, parchi e spazi pubblici attrezzati e altri spazi verdi pubblici attrezzati»; ha inoltre introdotto il limite di 100 metri da «sportelli bancari, postali o bancomat, agenzie di prestiti di pegno o attività in cui si eserciti l’acquisto di oro, argento od oggetti preziosi». Provvedimenti simili sono stati assunti da Napoli. La motivazione è sempre la stessa: la salute pubblica. Ai sindaci le leggi regionali e provinciali danno la facoltà di decidere gli orari di apertura e chiusura delle sale e dell’accesso alle ‘macchinette’ proprio per tutelare gli interessi generali della comunità locale, in particolare per prevenire il fenomeno del Gap (gioco d’azzardo patologico) tra i minori e le fasce più deboli della popolazione. Gli esercenti si sono sempre opposti

Gioco d’ azzardo, orari d’apertura e distanze: regole in difesa dei cittadini

ad ogni misura che limitasse la loro libertà di azione e i Tribunali amministrativi hanno dato loro a volte ragione a volte torto. Una confu-

sione notevole e nessuna certezza, dunque. Fino alla sentenza 220 del 2014 della Corte Costituzionale, che ha considerato pienamente legitti-

mo l’utilizzo in questo campo dei poteri di ordinanza ex articolo 50, comma 7, del testo unico sugli enti locali per esigenza di salute, quiete pubblica e circolazione stradale. Da allora le sentenze sono favorevoli ai sindaci, con i casi emblematici di Schio (2015), che prevede, fuori della fascia oraria prevista, il non accesso alle slot ma non le restanti attività di bar e ristorazione; oppure di Faenza (2014), che prevede un prolungamento dell’orario solo per gli esercizi che forniscono un servizio di assistenza psicologica con la presenza in sala di uno psicologo, sospendono anticipatamente la vendita di alcolici e si dotano di un servizio di sorveglianza. Gli strumenti previsti, comunque, servono a contrastare l’apertura solo di nuove sale da gioco. L’eccezione è costituita dalle due province di Trento (2015) e Bolzano (2012), che consentono la rimozione degli apparecchi installati anche prima dell’entrata in vigore della normativa, che prevede la distanza minima di 300 metri dai luoghi ritenuti sensibili. L’inevitabile ricorso è stato respinto dal Tar. Un caso unico, a modo suo, è quello del piccolo comune di Anacapri, che dal primo gennaio scorso è il primo comune italiano totalmente slot free. La particolarità del territorio è venuta in aiuto alla giunta del sindaco Francesco Cerrotta. Il regolamento che stabilisce la distanza minima di ‘appena’ 150 metri dai luoghi sensibili (scuole, associazioni, bancomat, centri sportivi e stabilimenti balneari) ha di fatto provocato la totale cancellazione di ogni slot dal territorio comunale. Il regolamento è stato sottoposto a referendum popolare e i fatali ricorsi sono stati vinti sia davanti al Tar che al Consiglio di Stato. Capri però resiste: l’ isola non è ancora deslottizata.


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Baretta: via le macchinette da bar e tabacchi per tutelare soprattutto i più giovani

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ella relazione tenuta il 17 maggio all’Assemblea generale della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco aveva evocato «un fantasma» che «sta crescendo nel Paese: il gioco d’azzardo. La recente legge intima che il numero delle slot machine si riduca del 30% in quattro anni; in realtà è cresciuto del 10,6% in quattro mesi, salendo a 418.210. Negli ultimi sei anni, mentre fra la popolazione è salita la soglia della povertà, l’ affare-azzardo ha raggiunto il 350%, fino a 84 miliardi. A fronte di così cospicui interessi a diversi livelli, chi sarà in grado di resistere alle pressioni delle lobby e intervenire in modo radicale?». Venerdì 27 maggio è arriva-

ESEMPI DA IMPORTARE Di Marco Birolini

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er spezzare quello che definisce «un assedio» di sale giochi e simili, il sindaco Giorgio Gori, ex direttore di Canale 5 e ora a capo di una giunta di centrosinistra, ha deciso di vietare ogni tipo di puntata in denaro in un raggio di 500 metri dai luoghi sensibili in ben tre fasce orarie: 7.30-9.30, 12-14 e 1921. Ovvero i momenti della giornata in cui è più alta la frequentazione di bar, tabaccherie e altri locali pubblici. «Specialmente all’ora dell’aperitivo, la consumazione di alcol spinge a giocare di più» ha puntualizzato Gori nello spiegare il giro di vite deciso con i suoi assessori (il 6 giugno l’approvazione in consiglio comunale). Fondamentale, secondo Palazzo Frizzoni, spezzare il circolo vizioso che porta prima ad alzare il gomito e poi a sperperare stipendi e pensioni inseguendo le chimere delle lotterie. La messa al bando è assoluta. Non solo le slot machine si dovranno spegnere negli orari prestabiliti, ma non si potrà nemmeno effettuare scommesse sportive né comprare ‘gratta e vinci’. Si salvano solo bingo (prevale l’aspetto socializzante), oltre che totocalcio e lotto, considerati privi di spinte compulsive. L’altolà al ‘gratta e vinci’ stupisce fino ad un certo punto, visto che i tagliandi sono in vendita «praticamente dappertutto», come ha sottolineato lo stesso sindaco. «Vogliamo proteggere le categorie più fragili - ha chiarito Gori

to un segnale dal sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta che conferma il provvedimento che prevede una riduzione delle slot

machine. «I numeri sono almeno il 30% delle attuali macchine in distribuzione - ha detto Baretta - quindi si dovrebbe arrivare ad un totale di

250 mila rispetto alle 400.000 circa attuali e parte dal 1° gennaio 2017 e arriva fino al 2019, dobbiamo riuscire a fare questo passaggio. Diciamo la verità, negli ultimi anni si è un po’ esagerato». E sulla localizzazione delle macchinette aggiunge: «La mia personale opinione, ed è quella sulla quale sto muovendomi, è quella di una drastica riduzione fino quasi a togliere dai bar ai tabacchi qualsiasi macchinetta, perché è anche più difficile controllare per esempio il divieto ai minori». Baretta sottolinea però che «bisogna anche garantire un po’ che il mercato ci sia, allora forse la strada migliore è quella di avere delle sale giochi fortemente specializzate».

Bergamo chiude ai gratta e vinci Il sindaco Gori: basta con l’assedio, proteggere le categorie più fragili da questa piaga sociale. Bergamo alza il tiro nella lotta all’azzardo

-. Ci sono molte persone che non tornano a casa a pranzo prese dalla foga del gioco, altre che addirittura dimenticano di andare a prendere i figli a scuola. Si tratta di una piaga sociale e come tale va combattuta». Nel mirino anche i messaggi che incentivano le puntate: non si potranno più ostentare in vetrina le vincite. Stop anche a insegne luminose e altri lustrini, che rischiano di attirare come lucciole i giocatori. Al contrario, sarà obbligatorio esporre (in quattro lingue) il divieto di gioco per i minori e le informazioni che consentiranno alla clientela di sottopor-

si ad un test fai da te per scoprire in tempo i primi sintomi di ludopatia. I tabaccai sono già sul piede di guerra, ma Gori tira dritto e picchia duro sul tasto della prevenzione. Il nuovo regolamento anti azzardo, che rappresenta il culmine della campagna di dissuasione già in atto da un anno ‘La posta in gioco’ - portata avanti con l’ Ats (l’ ex Asl) - prevede anche il divieto di piazzare videopoker e altre diavolerie mangiasoldi a meno di 100 metri da bancomat, compro oro e sportelli postali. Le cifre, del resto, sono allarmanti. La giunta ha messo a punto un dos-

sier che dimostra come nel 2015 in tutta la provincia si siano dilapidati 1,8 miliardi per l’ azzardo. Nel capoluogo la spesa pro capite supera i 2.500 euro. Il 58% degli under 18 gioca nonostante sia vietato, il 15% addirittura una volta a settimana. Va forte anche l’ azzardo online: nel 2015 Internet ha risucchiato 200 milioni. In generale, negli ultimi tre anni le puntate sono aumentate del 4,65%. Un boom facilitato anche dalla capillarità dei punti gioco: «In città ce n’è uno ogni 0,31 km quadrati» specifica Gori. Un po’ troppi.


Famiglia 4 giugno 2016

L’INCHIESTA

Non è un paese per bimbi Di Maddalena Maltese

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n parcheggio con le strisce rosa delimita gli spazi riservati alle donne in gravidanza o con figli piccoli davanti agli uffici pubblici e agli ospedali di Rovigo e molte altre città italiane. A Savona invece con appena tre euro si possono frequentare corsi di yoga preparto offerti dal comune. L’associazione Città delle mamme a Roma ha ideato uno spazio di lavoro comune per famiglie con bimbi piccoli: la psicologa, il blogger informatico, l’amministratrice di condominio e l’organizzatore di viaggi svolgono la loro attività non perdendo di vista i figli o curandosene a turno mentre sono impegnati nei laboratori. In Parlamento è stato presentato un disegno di legge che introduce 15 giorni di congedo obbligatorio per i neo-papà, pagato all’80% dello stipendio come per le madri. Tra i vecchi d’Europa Si cerca di correre al riparo con misure quotidiane o straordinarie per incentivare o sostenere la genitorialità, in un Paese che i dati Eurostat sulla natalità classificano al penultimo posto in Europa, pari merito con Grecia ed Estonia e con il Portogallo come fanalino di coda. Con la media di 1,39 figli per donna e il 22% di ultra65enni, siamo diventati una delle nazioni più vecchie del nostro continente. Nel 2014 in Italia sono venuti alla luce 503 mila bambini a fronte di oltre 590 mila decessi con un saldo negativo di circa 100 mila unità, pari a quelle registrate tra il 1917 e il 1918, quando eravamo 40 milioni e affrontavamo le morti in trincea della Prima guerra mondiale. I dati Istat sono impietosi: 12 mila bimbi in meno rispetto allo scorso anno, un’età media di 44,4 anni, una popolazione femminile in diminuzione (- 4082), un’elevata componente migratoria di italiani verso l’estero ratifica che “il nostro Paese è arrivato alla crescita zero”. Nel 2015 il bilancio dei primi 6 mesi continua a restare negativo e c’è da aspettarsi il superamento del record dello scorso anno, che per alcuni demografi rappresenta un punto di non ritorno. Antonio Fazio, ex governatore della Banca d’Italia, nel suo libro Sviluppo e destino demografico dell’Europa (Marietti 1820), profetizza che nel corso di due generazioni gli italiani sono destinati a scomparire. Pur non schierandosi con le Cassandre di turno, bisogna prendere atto che la cifra

Con 509 mila nati l’Italia ha raggiunto la crescita zero e si colloca tra le nazioni più anziane d’Europa

dei nuovi nati è insufficiente a garantire la ricostruzione generazionale del nostro Paese, nonostante il supporto delle nascite di figli di immigrati: 72 mila nel 2014, ma anch’esse in calo di ben 8 mila neonati in due anni. Il livello di riferimento per una coppia che in qualche modo ricambi sé stessa è di due figli, ma è dal 1977 che siamo sotto questa cifra e oggi ci attestiamo su 1,39 figli per donna. Il ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin, in un’intervista al quotidiano inglese The Guardian ha espresso serie preoccupazioni a riguardo: «Siamo molto vicini alla soglia di “non sostituzione”, quella dove le persone che nascono non riescono a sostituire quelle che muoiono. Questo significa che siamo un Paese che sta morendo e questa situazione ha enormi ripercussioni per ogni settore: economia, sanità, pensioni, solo per dare pochi esempi». I nuovi italiani Anche se il censimento valuta la nostra popolazione intorno ai 60 milioni di abitanti i nuovi italiani sono in realtà importati in gran parte dall’estero e se inizialmente i ricongiungimenti familiari hanno consentito un incremento delle nascite, la decrescita dei nati stranieri testimonia che i problemi di coppie con figli sono gli stessi indipendentemente dal passaporto. I nostri concittadini possono ancora

usufruire dei nonni e della rete parentale come protezione e paracadute; non lo stesso può dirsi per gli immigrati che fanno i conti con redditi bassi, case piccole, tempi di lavoro difficili da conciliare con la cura dei bambini. In questo momento sono proprio loro a dare un supporto non indifferente al sistema sociale del nostro Paese, poiché solo nel 2014 hanno versato alle casse dell’Inps tra i 7 e gli 8 miliardi di contributi, lasciando in deposito circa 3 miliardi, poiché in tanti non avevano maturato il diritto alla pensione (dati Caritas). Inverno demografico al Sud I numeri del rapporto demografico dell’Istat ci restituiscono una fotografia interessante sulla composizione delle nostre famiglie. Se rispetto al 2014 si registra un incremento del 10% di chi mette su casa, dall’altra parte crescono le famiglie monogenitoriali e le coppie senza figli. Ogni nucleo è formato da una media di 2,34 componenti, che diventano 2,72 in Campania e 2,08 in Liguria, regione che detiene il primato di “anziana” d’Italia, con un’età media di 48,3 anni, seguita da Friuli e Toscana. La popolazione ultra65enne è pari al 21,7% nel nostro Paese, mentre i grandi vecchi, cioè gli ultra80enni, crescono ogni anno di un punto decimale fino a contare ben 19 mila ultracentenari. L’allungamento della

vita è frutto di un benessere diffuso da cui però si sentono tagliati fuori i giovani: fuggono in massa da un’Italia che offre poche prospettive per il futuro. L’Anagrafe degli italiani residenti all’estero ha registrato, nell’ultimo anno, più di 100 mila presenze oltre confine con un incremento del 7%. Sono persone in età fertile che difficilmente arricchiranno di capitale umano il nostro Paese. Se si scende a Sud, i dati del rapporto Svimez fanno gridare all’inverno demografico, con un milione e 667 mila meridionali in viaggio verso Nord, con un 70% di giovani che abbandonano il territorio di origine e ne contribuiranno allo spopolamento futuro. Il cambiamento del costume sociale e le preoccupazioni occupazionali hanno inciso persino sul primato di fecondità femminile detenuto dal Meridione. Nel 1980 il numero medio di figli per una donna del Sud era di 2,20 a fronte di 1,36 per il Centro Nord. Oggi ci si ferma all’1,31, mentre nel settentrione sale all’ 1,43 grazie proprio alle migrazioni interne. Intanto però la fascia di popolazione attiva (15-64 anni) sull’intero territorio nazionale è scesa al 64,5% nel 2014, e anche questo getta allarme sulla forza lavoro e sulla previdenza sociale, perché un Paese senza giovani è un Paese che non innova e non può provvedere alla terza fase della vita, quella della riscossione delle pensioni. E per quanto i paletti sulle età pensionabili varino, le soluzioni tampone non bastano più. L’implacabilità delle cifre non misura però la gioia di chi sulla famiglia ha investito come Noemi e Rami. Italiana lei, palestinese lui, hanno avuto 4 bambini e pur tra corse, malanni e agende fitte continuano a desiderarne altri perché «ci restituiscono il gusto della vita, delle cose semplici, dell’amore, del futuro che costruiranno, speriamo migliore». Già la crisi del dono Sulla famiglia e sulle donne occorre investire sul serio per cominciare a invertire la tendenza. La Chiesa lo ha cominciato a fare con determinazione, dedicandovi addirittura due Sinodi e non eludendo le domande scomode. Nel messaggio che papa Francesco ha scritto per la giornata della vita ha ribadito che «il preoccupante calo demografico in buona parte scaturisce da una carenza di autentiche politiche familiari. È la cura dell’altro nella famiglia, che fa crescere una società pienamente umana». È tempo di agire.


Famiglia

4 giugno 2016

kaire@chiesaischia.it

Di Luciano Moia

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uone prassi per la famiglia. Il Forum lancia a livello nazionale il modello Trentino. L’occasione è offerta dalla presentazione del ‘Dossier politiche familiari 2016’, dieci anni di iniziative modellate sulle esigenze della famiglia, che dimostra una verità semplice ma incontestabile: quanto più la famiglia viene aiutata e sostenuta, tanto più aumenta la natalità e diminuisce la conflittualità familiare, separazione e divorzi compresi. Non solo. La creazione di sistemi strutturali pensati a partire dalla famiglia e dai suoi bisogni determina una serie di ricadute positive che dal nucleo familiare si allarga a tutta la società, compresi giovani, scuola, cultura, sport, assistenza, sanità, terza età, economia e altro ancora. Conclusione: in Trentino si vive bene non solo perché ci sono magnifici paesaggi e un ambiente naturale amato e protetto. Ma soprattutto grazie alla scelta di porre le famiglie nelle condizioni di stare meglio sotto il profilo sociale e amministrativo. E il fatto che la provincia abbia il privilegio dello statuto autonomo non c’ entra nulla. La maggior parte delle iniziative ‘family friendly’ realizzate in Trentino in questi dieci anni sono state varate a costo zero per il bilancio, perché le risorse sono state recuperate da altre voci di spesa, ma hanno poi prodotto vantaggi per tutti: dalle famiglie stesse, alle amministrazioni, alle aziende, all’ associazionismo. I dati emersi martedì 24 maggio durante la presentazione del ‘Dossier’ nella sede milanese di ‘Famiglia Cristiana’, sono difficilmente contestabili. Quello trentino è un territorio ‘family friendly’ anche perché il 43,6 per cento si dice molto soddisfatto delle proprie relazioni familiari (media italiana 33,8 per cento); il 22,9 per cento dei bambini da 0 a 2 anni ha avuto modo di poter contare su servizi di qualità (in Italia il 13 per cento); il 21,4 per cento delle per-

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Famiglia, se la politica aiuta più natalità, meno conflitti Il ‘Dossier Trentino’: dieci anni di buone prassi

sone oltre i 14 anni è impegnato nel volontariato (in Italia il 10,1 per cento): l’ uso di Internet riguarda il 65 per cento dei trentini dai 14 ai 65 anni (in Italia il 59,5 per cento). Ma, soprattutto, l’ indice di fiducia generalizzata è del 32,9 in Trentino contro una media nazionale del 23,2. «Si

tratta della dimostrazione - ha fatto notare il presidente del Forum delle associazioni familiari, Gianluigi De Palo - che non solo è possibile investire sulla famiglia, ma che questo investimento produce benessere per tutta la società. Ecco perché il modello trentino dev’essere esportato

sul piano nazionale. Dev’essere presentato al governo. Mettere al centro i figli è una strategia premiante, che costruisce futuro buono per tutti». Ma attenzione alle parole. Non si tratta di ‘politiche sociali’ e neppure di ‘politiche assistenziali’. Solo di politiche per le famiglie. L’ha spiegato Luciano Malfer, responsabile dell’ Agenzia provinciale della famiglia, l’ organismo chiamato a coordinare tutte le iniziative a favore di genitori e figli. Tanti gli spunti originali inquadrati nella prospettiva della sussidiarietà familiare e della famiglia vista come risorsa e non come problema. Ecco il pacchetto amplissimo delle agevolazioni tariffarie, l’assegno regionale al nucleo familiare, i contributi alle famiglie numerose, i prestiti d’onore, gli assegni di mantenimento a favore dei minori, gli assegni di cura e i sostegni per l’acquisto dei testi scolastici, l’assegno di studio per chi decide di mandare i figli alle scuole paritarie, i contributi regionali per l’integrazione della pensione e per il canone d’affitto. Altri capitoli corposi riguardano i servizi alla prima infanzia, la conciliazione famiglia-lavoro, i servizi per i giovani, i distretti-famiglia (sistema famiglia come risorsa produttiva che finisce per orientare anche gli appalti pubblici). E poi tutta l’ area del tempo libero, dello sport, della cultura. Insomma, un complesso intreccio di iniziative a cui il Forum delle associazioni familiari del Trentino - come spiegato dal responsabile Paolo Rebecchi - ha contribuito in modo determinante. «Davvero un pacchetto organico e razionale - ha osservato don Antonio Sciortino, direttore di ‘Famiglia Cristiana’ - che è giunto il momento di esportare a livello nazionale ». Infine il direttore del Cisf, Francesco Belletti, ha annunciato uno studio per mettere a confronto le diverse politiche locali per la famiglia, con l’obiettivo di sollecitare una più attenta programmazione di lungo periodo.


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Scuola 4 giugno 2016

Questo il tema del Convegno tenutosi venerdì 27 maggio presso l’Auditorium dell’Istituto Comprensivo “E. Ibsen” di Casamicciola

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“Il disagio scolastico nell’infanzia e nell’adolescenza. La guida all’osservazione”

Di Iacono Restituta, insegnante di Religione Cattolica nella Scuola dell’Infanzia e Primaria.

L'

’incontro – promosso dal Dott. Cesare Romano Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza della Regione Campania, dal Centro Iniziativa Democratica Insegnanti Isola d’Ischia e dall’Istituto di Psicoterapia Relazionale (che ha realizzato la guida), in collaborazione con l’Azienda Autonoma Cura Soggiorno e Turismo di Ischia e Procida ed il Comune di Casamicciola Terme – è stato pensato soprattutto per gli insegnanti, per presentare loro uno strumento di supporto al proprio lavoro, per aiutarli ad intercettare i disagi e avere un linguaggio comune, condiviso, per il lavoro di equipe: ecco cos’è, in sintesi, la guida all’osservazione del disagio scolastico “Orientamenti relazionali”. Nella nostra Regione si registrano nel quotidiano molti grandi disagi: dipendenze, gioco d’azzardo minorile, baby gang, etc. Bisogna garantire ai nostri bambini e ragazzi il diritto di vivere in maniera serena la loro infanzia e adolescenza. Si è pensato di partire dalla scuola perché – ha ricordato la Dott.ssa Maria Landolfo (referente MIUR-USR Campania) – la scuola è un osservatorio privilegiato, oggi ancor di più per il fatto che i bambini vi trascorrono molto tempo e principalmente perché molte famiglie sono in difficoltà e non sono capaci di ascoltare i propri figli. Auspicabile è, soprattutto, una sinergia tra le istituzioni che renderebbe possibile il cambiamento. Siamo in una società dove l’unico corso di preparazione al matrimonio si fa in chiesa, al di fuori non vi è chi si assuma la responsabilità civile di una persona che mette al mondo un fi-

glio. Ma questi figli sono anche figli della società. Per questo dobbiamo allontanare l’ipocrisia: molte volte sappiamo che ci sono dei problemi, ma tacciamo perché non ci appartengono. I disagi dell’adolescente e dell’infante – secondo la dott.ssa De Giacomo (sociologa) – si innestano in un disagio molto più ampio caratterizzante la società occidentale: uomini e donne che si affannano per qualcosa che non sono i bisogni fondamentali dell’uomo non riescono più a guardare l’altro e ad accorgersi delle meraviglie della natura, pensano di poter bastare a se stessi. L’insegnante, dunque, agisce come “operatore di salute”, suggerisce la Dott.ssa Colella (psicoterapeuta): favorisce l’“equilibrio dinamico di benessere fisico, emozionale, sociale, spirituale e intellettuale”; è portatore di salvezza perché la cultura, l’educazione, salva la vita. Lo strumento da utilizzare è l’empatia, la capacità di comprendere lo stato d’animo di un’altra persona, senza identificarsi con il suo dolore. Un buon insegnante educa in virtù di ciò che è, non in virtù di ciò che fa; “il reciproco amore fra chi apprende e chi insegna è il primo e più importante gradino verso la conoscenza”, conclude, citando Erasmo da Rotterdam.


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La Storia

4 giugno 2016

kaire@chiesaischia.it

«Ho scritto al Papa e lui mi ha risposto» Alessio, 9 anni, di Catania ha inviato a Francesco una lettera. E il Papa gli ha risposto e lo ha incontrato. Di Pietro Scaglione

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l sogno del piccolo Alessio è diventato realtà. La sua lettera destinata a papa Francesco ha ricevuto l’autorevole risposta dal Santo Padre ed è stata pubblicata in un bel volume, L’amore prima del mondo, edito da Rizzoli. Un sogno coronato, insieme con la madre, dall’incontro in Vaticano con il Pontefice. Alessio Gulino, nove anni, originario di Catania, è l’unico italiano che si è visto pubblicare la lettera nel volume, curato da padre Antonio Spadaro, direttore di La Civiltà Cattolica. Alessio ha disegnato un bambino in abiti da chierichetto e ha scritto: «Caro papa Francesco, sei mai stato accanto al sacerdote come chierichetto?». Il Pontefice ha risposto così: «Caro Alessio, sì che sono stato chierichetto. E tu? Quello del disegno sei tu?». Nella prosecuzione della risposta, il Papa ha sottolineato la differenza notevole tra l’attività di chierichetto ai tempi della sua infanzia e la situazione attuale: «Ma, senti, adesso è più facile. Devi sapere che quando ero bambino io la Messa si celebrava in maniera differente da come si fa adesso. Il prete intanto guardava l’altare, che era accostato al muro, e non le persone. Poi il libro con il quale diceva la Messa, il messale, era messo sull’altare nella parte destra. Ma prima della lettura del Vangelo si spostava sempre sul lato sinistro. Questo era il mio compito: portarlo da destra a sinistra e da sinistra a destra. Ma che fatica! Era pesante! Io lo prendevo con tutta la mia energia, ma non ero robusto: lo sollevavo e mi cadeva, e così il prete mi doveva aiutare. Era un’impresa!». «MI PIACEVA SERVIRE MESSA». Un’altra difficoltà era rappresentata dalla liturgia in lingua latina. Come ricordato da papa Francesco, «la Messa non era in italiano. Il prete parlava ma io non capivo niente. E così anche i miei compagni. Allora poi per gioco imitavamo il prete storpiando un po’ le parole per fare strane frasi in spagnolo. Ci divertivamo. E ci piaceva tanto servire la Messa». Alessio Gulino è felice di essere uno dei protagonisti del nuovo libro del Papa. A lui rivolgiamo le stes-

se domande che gli ha formulato il Papa: sei stato mai chierichetto? E il bambino disegnato nel libro sei tu? «Sono chierichetto», risponde Alessio, «ma il bambino del disegno non sono io, è il Papa durante l’infanzia. Ho lavorato con la fantasia, l’ho immaginato bambino, perché non ho mai visto una sua foto dell’epoca. L’idea di scrivere al Pontefice e addirittura di disegnarlo mi è venuta durante il catechismo». Religione è la materia preferita da Alessio, insieme alla Storia e alla Geografia: «La vita di Cristo mi ha sempre incuriosito, non solo per i suoi aspetti spirituali di Figlio di Dio, ma anche come persona che si è sacrificata sulla Croce per salvare l’umanità». Alessio è affascinato anche dalla figura di papa Francesco: «Lo considero come un amico, come uno di noi, semplice e umano. Mi piace la sua idea del Giubileo della misericordia, perché Gesù insegnava la bontà e la gentilezza». A differenza di molti suoi coetanei, Alessio non è appassionato di calcio. Il padre Gaetano, invece, è accanito tifoso del

Catania (nonostante sia lontano dai fasti della Serie A e arranchi nella Lega Pro), e simpatizzante della Juventus. Gaetano Gulino è un fiume in piena: «Sono felice per mio figlio, sorpreso per l’evento ed entusiasta di papa Francesco, che lascerà un segno indelebile nella storia dell’umanità. Ha un carisma fuori dalla norma, ricorda a tutti il dovere dell’accoglienza nei confronti degli immigrati, soprattutto in una terra di sbarchi come la nostra Sicilia, e si dedica all’affermazione della pace nel mondo come una persona comune, come qualcuno che deve risolvere una lite tra amici o tra vicini di casa». Gaetano racconta l’avvicinamento alla religione: «Fino ad alcuni anni fa eravamo credenti, ma non praticanti. Ora, ogni domenica non manchiamo all’appuntamento della Messa nella chiesa del Crocifisso dei Miracoli». Il merito è anche del parroco, padre Gianni Notari, amatissimo gesuita di ampie vedute e attento al sociale. Quando nel 2010 fu trasferito da Palermo (dove era un punto di riferimento per molti)

a Catania, vi furono manifestazioni, non soltanto da parte dei fedeli, ma anche di centri sociali, comitati per la casa e associazioni. Maria Gulino, madre di Alessio, si dichiara orgogliosa di suo figlio: «La pubblicazione della sua lettera, la risposta del Papa e l’incontro in Vaticano nei giorni scorsi sono tre momenti storici che cambieranno per sempre la nostra famiglia e la nostra vita. Sono felice anche dell’occasione di scambio sociale, umano e culturale tra mio figlio e i bambini di nazioni ed etnie diverse. Perché non devono più esserci muri, confini, discordie tra i popoli» Anche Maria è entusiasta di Bergoglio: «È protagonista di un cambiamento in positivo della Chiesa. La sua semplicità e umiltà, la sua costante attenzione alla misericordia, al perdono, sono necessari in un contesto storico come quello attuale. Così come è fondamentale la sua costante ricerca del dialogo tra le religioni e con i non credenti. Tutti dovrebbero essere felici che il Papa sia Bergoglio».


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Chiesa 4 giugno 2016

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In pellegrinag

Sabato 28 maggio oltre 100 persone provenienti da varie pa rati e don Beato Scotti, hanno portato alla Vergine del Sant può essere definito un evento unico, forse irripetibile.

D Giuseppe Galano

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na giornata bellissima, con un sole brillante come non mai, ha fatto da cornice all’evento rendendo la giornata ancora più straordinaria. Il nutrito gruppo isolano si è ritrovato di buon mattino ad Ischia Porto desideroso di mettersi in cammino verso Pompei per pregare la Madonna ed affidarle le tante speranze e le attese portate nel cuore ed esprimerle gratitudine per le molteplici grazie ricevute. L’aliscafo, stracolmo di persone, ha accompagnato i fedeli isolani ed il loro carico di aspettative verso Napoli. Sul volto dei partecipanti si leggeva un senso di gioia e pace. E così la solita routine di tutti i giorni veniva interrotta da un qualcosa che possiamo tranquillamente definire speciale. Il desiderio di far visita alla Madonna era forte e vivo. Un clima di vera festa si respirava tra i pellegrini isolani, l’emozione diventava sempre più tangibile man mano che il battello si avvicinava alla terraferma. Giunta al molo Beverello, la comitiva si è rapidamente diretta a Piazza Mercato e dopo una breve ed intensa visita alla basilica del Carmine Maggiore per rendere omaggio alla Beata Vergine del Carmelo, ha intrapreso il percorso a piedi in direzione Pompei. La tradizionale marcia da Napoli alla città di Pompei è nata negli anni 60 ad opera dei giovani di Azione Cattolica di Napoli e si svolge l’ultimo sabato del mese di maggio. Oggi l’evento coinvolge migliaia di giovani e adulti provenienti da Napoli e dalle altre diocesi della Campania che, in cammino per le strade, esprimono una forte testimonianza di fede e devozione. I pellegrini isolani hanno portato in dono alla Madonna un rosario di 15 metri dal peso di 20 chilogrammi, realizzato con amore e passione dall’artista Vicente Schiano. Questo simbolo ha rappresentato la catena dolce che ha unito i cuori dei partecipanti per elevare a Dio la loro preghiera. Il gruppo isolano ha percorso circa 30 chilometri seguendo la linea del mare, stringendo forte la corona del Santo Rosario, il Vesuvio a fianco e tanta strada davanti. San Giovanni a Teduccio, Barra, Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, le strade si alternavano con l’avanzare dei passi e con esse palazzi malridotti e disabitati mescolati a lussuose abitazioni in un labirinto surreale che conduceva a Pompei. Con l’avanzare del cammino la preghiera, guidata dall’instancabile padre Nunzio, diventava sempre più forte ed incessante. Tra le persone incontrate lungo il cammino alcune osservavano stupite il pellegrinaggio isolano, altre con assoluta indifferenza, altre ancora si univano alla preghiera accompagnando idealmente alla meta i fedeli. Ognuno stava offrendo alla Madonna le sue fatiche. Si respirava tanta felicità nonostante i piedi facessero male; tuttavia non si avvertiva stanchezza bensì desiderio di arrivare


Chiesa kaire@chiesaischia.it

ggio a Pompei

arti dell’isola d’Ischia, accompagnati da padre Nunzio Ammito Rosario di Pompei l’abbraccio di tutta Ischia in quello che

prima possibile al Tempio Santo. Finalmente, alle 17 in punto, i pellegrini, sempre molto compatti, hanno fatto il loro ingresso in basilica depositando il grande rosario portato in dono alla Madonna ai piedi dell’altare. Per tanti è stato difficile trattenere le lacrime nel momento in cui hanno attraversato la Porta Santa della Misericordia. Molto toccante la partecipazione della Santa Messa insieme a centinaia di persone provenienti da varie parti della regione, una marea umana, un’unica grande famiglia desiderosa di pregare ed ascoltare la Parola di Dio. In serata vi è stato il rientro a casa con un bagaglio di emozioni e sensazioni che resteranno per sempre scolpite nel cuore e nella mente dei partecipanti. In conclusione ringraziamo padre Nunzio per aver organizzato al meglio questo pellegrinaggio e lasciamo spazio alle belle e toccanti testimonianze di due ragazze che hanno vissuto una meravigliosa esperienza. ROSANNA Molte volte nella nostra vita sul nostro cammino verso Gesù ci intoppiamo in discussioni futili e divisioni che i distolgono dalla grazia di Dio. Oggi ho voluto portare a Maria la mia povertà, il mio peccato e come offerta ho desiderato fare questa esperienza “risanatrice” di cammino sperando di incominciare un cammino nuovo verso Gesù attraverso la grazia e la protezione di Maria Regina del Rosario di Pompei FIORELLA Tutto é iniziato da una chiamata da parte della Madonna a partecipare a questo meraviglioso pellegrinaggio. Un pellegrinaggio durato ore di cammino, lungo le stradine e quartieri bisognosi di Napoli. Ci sono voluti ben 31 kilometri per capire quanto stavo donando alla Madonna. Stavo offrendo un cammino che fisicamente non ero neanche in grado di affrontare, ma qualcuno, dall’alto ha pensato a darmi la forza e la fede per proseguire senza abbattimenti e limiti. È stato impressionante vedere come molta gente che ha partecipato, stringeva forte tra le mani quella corona di rosario lunga 15 metri, stringendola tanto forte da dimenticarsi il dolore ai piedi e alle gambe lungo il tragitto. Man mano che si proseguiva nasceva la voglia di pregare il Santo Rosario e di cantare per la nostra Madre celeste. “Siamo la gente che loda il Signor” è la frase di un canto che ha sbalordito le persone che ci vedevano passare, vedendo tanta felicità, emozione e voglia di proseguire con quella forza che poteva venire solo dal cielo! Arrivati a destinazione e in tempo per la Santa Messa, mi sono lasciata coccolare completamente dalla Madonna e, pensare a tutti i kilometri percorsi, restava solo da testimoniare che “Nulla è impossibile a chi crede e nulla è impossibile a Dio”!!! Vicente Schiano

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La Storia siamo Noi 4 giugno 2016

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Il ROSOLIO, il liquore antico “fai da te” sull’isola Di Antonio Lubrano

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l rosolio, ovvero il liquore di casa, non è tanto conosciuto dalle nuove generazioni isolane (e non) anche se in famiglia ne hanno sentito parlare dalla nonna e da qualche vecchia zia che lo realizzavano con le proprie mani ed i propri gusti in base alle essenze scelte. Nemmeno i giovani genitori ne sono a conoscenza salvo chi l’ha scoperto al cinema seguendo film come La banda degli onesti, dove Totò offre un bicchiere di rosolio al maresciallo, capo del figlio finanziere, o nel film Miseria e nobiltà, dove dietro Totò, che cerca di scattare una foto a due turisti, si intravedono le insegne del bar che offrono Sorbetti e Rosoli. Anche nella letteratura si parla del Rosolio quale liquore offerto soprattutto alle signore per il basso tasso alcolico. Infatti nel romanzo Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello si legge che a Mattia Pascal viene offerto un bicchiere di rosolio dalla vedova Pescatore, al posto del vermouth offertogli da Romilda. E perfino in un passo del romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si legge che la principessa lascia un bicchiere di rosolio prima di una partenza e lo ritrova un anno dopo nello stesso posto in cui l’aveva lasciato. Ed ancora, si ha traccia del rosolio nel romanzo Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi del 1883, dove La Fata dai capelli turchini offre un confetto ripieno di rosolio a Pinocchio, scena rappresentata anche nello sceneggiato Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini del 1972. E’ in atto il rilancio di questo prodotto casareccio che poi, visti i risultati, tanto casareccio non è. Quindi non possiamo affermare che il rosolio sia scomparso del tutto nonostante stiano in campo sull’isola altri tipi di liquori come l’Amarischia e il Rucolino, il secondo più diffuso del primo, soprattutto nelle feste importanti dell’anno come il Natale e la Pasqua. Il Rosolio è tipico per i suoi colori e il tipo di bottiglie particolari che lo contengono. Ha il sapore e l’aspetto dell’antico con una presenza in passato dominante nelle case isolane. E’ detto anche “liquore

del passato”. Il suo nome deriva da ros solis, ossia, “rugiada del sole”; ha origini per l’appunto molto an-

tiche, risalenti al periodo che va tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700, momento in cui entra in commercio

lo zucchero raffinato. È ancora abbastanza diffuso soprattutto nel Sud Italia, in particolare in Sicilia dove, prodotto in casa, veniva offerto agli ospiti in segno di buon augurio. Ad Ischia insieme all’anice e allo Strega era il liquore maggiormente in uso nelle famiglie. Inizialmente sul continente veniva preparato dalle suore che lo servivano per accogliere ospiti importanti nei conventi. Successivamente però è diventato il liquore delle signore per eccellenza, grazie al suo grado alcolico moderato (generalmente tra 25 e 35% Vol). Era il più utilizzato per ogni tipo di festività familiare, dai battesimi ai fidanzamenti e soprattutto veniva offerto agli sposi novelli come buon augurio per una vita matrimoniale felice. Il rosolio classico è un tipo di liquore derivato dalla macerazione ed infusione alcolica di petali di rosa. Oggi, per chi non lo sapesse, e ci riferiamo ai giovani, che bevono altro tipo di drink, però, proprio seguendo il sistema di produzione originario, vengono prodotti innumerevoli tipi di rosoli, utilizzando erbe aromatiche o anche la frutta. In Sicilia da dove l’isola d’Ischia lo avrebbe importato, una particolare ricetta consigliava di prepararlo tenendo imbottigliati insieme per una settimana l’alcool (a cui erano stati precedentemente aggiunti le scorze di tre arance macerate per quaranta giorni e della vaniglia) e uno sciroppo realizzato semplicemente con zucchero e acqua. Sulla Murgia lucana e pugliese è possibile trovare moltissime varietà di erbe e piante selvatiche che danno origine a due differenti selezioni di rosoli: - Selezione Frutti speciali (gelso rosso, visciole e fico d’India), da servire sempre ghiacciati, anche da accompagnare ad un buon dolce, o a sorbetti e gelati bianchi; - Selezione Erbe aromatiche selvatiche (salvia e limone, alloro, basilico, mente selvatiche, malva e santoreggia, finocchietto selvatico), ottimi a temperatura ambiente, freschi, ghiacciati e, addirittura, caldissimi/brulé, dato che il caldo libera gli oli essenziali che contengono. I rosoli, quindi, sono ottimi digestivi artigianali, da gustare da soli o, meglio ancora, in momenti conviviali.


La Storia siamo Noi

15 4 giugno 2016

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IL PUNTO

ROSOLIO la ricetta suggerita della nonna Di Michele Lubrano

I

l rosolio nell’isola d’Ischia faceva concorrenza al vermouth nei migliori festini che si organizzavano in casa. Se ne consumava tanto per la scorta che ciascuna famiglia isolana possedeva. Lo fabbricavano nei tempi giusti al tepore dei loro focolari e lo si sfoggiava nei battesimi, nelle prime comunioni, nei matrimoni. Veniva servito agli invitati in bicchierini colorati appena dopo le “passate” dei dolci distinti in vario tipo. Era il liquore di casa che meglio si gradiva, specie quello a menta che era ritenuto un toccasana per le signore affette da improvviso raffreddore. Erano gli anni poveri del periodo bellico, prima e appena dopo, allorquando tutto ciò che realizzava in casa per le provviste familiari dell’isola aveva valore immenso. Il rosolio non è stata una creazione ischitana, fu importato dalla Sicilia in epoca abbastanza antica e fatto proprio con diverse “manipolazioni” attraverso l’uso di varie erbe dei nostri boschi e sopratutto di particolari rose di maggio e giugno quando sbocciano flagranti nei vari roseti. Negli anni ‘30 e ‘40, quando i festini nuziali erano condotti e seguiti dai dolcieri locali, questi provvedevano anche ai liquori di produzione propria che erano rappresentati dagli unici vermouth e rosolio con qualche presa d’anice a richiesta. Ma tornando al liquore di casa del passato, rimangono storiche le classiche ricette della Nonna ossia della donna più vecchia di casa che attraverso il suo fiuto, la sua saggezza, la sua capacità di inventarsi lozioni e soluzioni da “laboratorio” e da cucina, lascia le sue ricette tramandate da madre in figlia, in nipote. Per il lavoro in casa e per ottenere un ottimo rosolio per fare concorrenza anche al Rucolino ed allo stesso Amarischia, la nonna…dall’aldilà suggerisce che serve un giardino proprio, dove le rose non vengono trattate con i crittogrammi. Il periodo migliore è il mese di giugno: le rose sono al massimo, e non ancora bruciate dal sole estivo, i petali sono ben carnosi. Ingredienti consigliati: 300gr

di petali di rose appena colte, 250 gr di alcol 90°, 250 gr di zucchero, 1/4 di acqua. La nonna consiglia di disporre i petali in un vaso di vetro a strati alternati con lo zucchero, lasciare risposare al sole fino a che lo zucchero non si è totalmente sciolto, aggiungere l’acqua e l’alcol, tappare di nuovo il vaso e far riposare in un luogo fresco e buio per 8 giorni. La nonna inoltre suggerisce di mettere al di sopra di una bottiglia da 1litro e mezzo un imbuto o un vecchio panno di cotone bianco per filtrare. Passare il contenuto del vaso, attraverso l’imbuto con filtro, chiudere la bottiglia con un tappo di sughero. Per sigillare alla perfezione la bottiglia, accendere una candela, e far colare la cera sul tappo e lungo il bordo della bottiglia, in modo che risulta alla fine perfettamente sigillata. Dopo sei mesi il prodotto, ossia il rosolio, è pronto per il primo consumo.


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Cronaca 4 giugno 2016

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MISSIONE A NAPOLI

Dentro la violenza, Di Padre Alex Zanotelli

A

Napoli stiamo assistendo ad una drammatica spirale di violenza: un morto ogni tre giorni. In questo periodo l’epicentro di questa violenza omicida è proprio il rione Sanità, periferia ‘interna’ di Napoli. E la ragione di tale violenza è che Napoli è diventata la più grande piazza di droga in Europa. Noi dal basso abbiamo tentato di rispondere a questa violenza con un “Popolo in cammino”, una realtà ancora fragile e in costruzione, nata dopo l’uccisione il 6 settembre di Genny, un ragazzino di 17 anni del rione Sanità. “Un popolo in cammino” riunisce sia i parroci delle zone a rischio di Napoli che le varie organizzazioni operanti sul territorio. In una lettera inviata lo scorso 5 dicembre a Renzi, “Un popolo in cammino” chiede per la Napoli ‘malamente’, ove regna una grave situazione sociale, tre cose: un intervento governativo strutturale e a lungo termine per le scuole, sicurezza sia territoriale come sociale, ed infine lavoro inedito per i giovani (al Sud la disoccupazione giovanile raggiunge il 70% !). Il portavoce di “Un popolo in cammino” era un giovane prete, don Enzo Liardo(45 anni), parroco di S. Giovanni a Teduccio. Ci è stato strappato da una cardiopatia il 25 gennaio 2015. “Siamo partiti dal dolore per la morte di Genny- scriveva pochi giorni prima di morire don Enzo in un editoriale del Mattino di Napoli- e ci auguriamo di generare speranza. Non vogliamo fare i politici, ma agire in modo politico, nel senso più profondo del termine, cioè cittadini attivi, in grado di condizionare la vita della nostra città, non in virtù del vile interesse, ma nella ricerca del bene comune. Scusatemi, mi correggo, vogliamo fare politica. Vogliamo ripristinare la politica perché la facciano tutti, perché tutti si sentano interessati al bene comune.” “Un popolo in cammino” ha continuato su questa strada. Dopo la manifestazione del 5 dicembre 2015, abbiamo dovuto aspettare due mesi, il 19 febbraio, prima di essere convocati dal Prefetto, che si è impegnato a convocare un Tavolo tecnico per affrontare il problema delle scuole. Ci è sembrato un po’ poco davanti alle nostre pressanti richieste. Il Tavolo

tecnico si è tenuto in Prefettura il 10 marzo con i vari rappresentanti istituzionali per le scuole, ma ne siamo usciti non molto soddisfatti. Infatti stavamo già pensando di alzare il tiro andando a maggio direttamente a Roma con una decina di pullman per portare le nostre istanze davanti al governo, che non può non ascoltare le nostre giuste rivendicazioni per rispondere al degrado sociale e alla violenza. Una violenza paurosa che ci è di nuovo esplosa fra le mani. Il 22 aprile nuovo sangue scorre per le vie del rione Sanità. Un comando entra verso sera al circolo Maria S.ma dell’Arco in via Fontanelle e uccide due uomini, Giuseppe Vastarella del clan omonimo e Salvatore Vigna (incensurato, cognato di Vastarella) e ne ferisce altri tre. Una strage a sangue freddo contro il clan Vastarella che con l’aiuto dei Lo Russo di Miano (nord di Napoli) stava emergendo vittorioso alla Sanità. Era stato infatti il clan Vastarella ad uccidere lo scorso anno, il 6 gennaio 2015, Ciro Esposito, ventisettenne e, poi il 14 novembre suo padre ‘Pierino’ Esposito, alleato dei Mallo di Scampia. Ricordo ancora con orrore quando in pieno giorno, un sabato, alle h 16,30 un commando freddò Pierino sulla sua moto. Quando udii le urla della gente, scesi in piazza e mi trovai davanti ‘Pierino’ con la faccia sull’asfalto. Lo rico-

prii con un lenzuolo. Rimasi a lungo a fianco del corpo di Pierino. Vicino a me c’era la moglie di Pierino, Addolorata Spina, che inveiva contro chi aveva ammazzato il marito. Rabbia che si è subito trasformata in voglia di vendetta quando il clan Vastarella, ‘vittorioso’, forzò tutta la famiglia Esposito ad andarsene dal rione, distruggendo le porte delle loro case. Sia Addolorata(‘Dora’) che Enza Esposito, la moglie di suo figlio Antonio Genidoni (avuto da un precedente matrimonio), sono state costrette a emigrare a Chiaiano (nord di Napoli). E lì meditano la vendetta, una vendetta spietata. “I maledetti devono pagare”, grida Dora. Il problema è trovare un killer. La mamma pensa al figlio Antonio, il quale però è agli arresti domiciliari a Milano. (I carabinieri avevano messo le cimici nella sua abitazione). Ma Antonio non si decide a compiere la strage. “Se tu mi metti a me cinquemila euro sulla tavola-gli dice Dora al telefono- io te lo faccio!” Antonio alla fine si convince. Con un permesso del Tribunale di sorveglianza, Antonio ritorna a Napoli ad organizzare la strage dei Vastarella e convince Emanuele Esposito di 22 anni (il fidanzato della nipote di Dora) a eseguire la strage. Il 22 aprile Emanuele, in via Fontanelle, porta a termine la strage, ma non riesce ad uccidere il boss, Patrizio Vastarel-

la. “Sfortunatamente non abbiamo preso il perno principale-Dora così lo rimprovera. Dovete colpire al cuore e fargli sentire lo stesso dolore che ho provato io.” Emanuele nel frattempo aveva raggiunto Antonio a Milano. Il 7 maggio saranno invece gli altri a rispondere uccidendo nella sua officina meccanica a Marano (nord di Napoli), Giuseppe Esposito insieme con suo figlio Filippo, padre e fratello di Emanuele, il killer delle Fontanelle. Quando Emanuele viene a sapere dell’eccidio, disperato urla: “Mò piglio le bombe e gliele butto in casa. Uccido pure i loro figli, ammazzo pure i bambini di quattro-cinque anni!” E’ il ciclo irrefrenabile della violenza, che domanda nuovo sangue. E dietro a questa guerra in atto, ci sono altri due clan a nord di Napoli che vogliono mettere le mani sul rione Sanità: i lo Russo (“capitoni” di Miano) e i Mallo ‘mergenti’ (Scampia). Particolarmente agguerrito è il boss dei ‘mergenti’ Walter Mallo di soli 26 anni, che era stato cacciato dalla Sanità dopo l’uccisione di Pierino Esposito ed ora vuole sconfiggere i Lo Russo. Il 26 aprile Walter subisce un agguato a Miano, quando sette uomini gli sparano addosso, ferendolo alle braccia e di striscio alla pancia. “Non sanno neanche sparare, questi mongoloidi”- commenta Walter.


Cronaca

17 4 giugno 2016

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generando speranza

Il 28 aprile i Mallo uccidono a Miano Aniello Di Napoli, uomo dei Lo Russo. E’ guerra spietata. La Polizia arresta il 5 maggio Walter Mallo, scovato in un casa, occupata abusivamente, al rione Don Guanella, dove viveva assieme ai suoi fedelissimi e ad un pitone. “Stanno facendo grossi guai- si sfoga la madre di Walter (intercettata dalla polizia) -, una bambina di 4 anni stavano colpendo… Loro sono boss, tutto comandano…” Walter è un eroe nella “camorra social”. E il 9 maggio la Polizia interviene ancora arrestando a Milano Antonio Genidoni e Emanuele Esposito. Ma allo stesso tempo arresta a Chiaiano anche le due donne boss: Addolorata Spina e Enza Esposito. L’eruzione di una così spaventosa violenza in questi quartieri ci ha profondamente interpellati. E ci ha spinti ad un maggior impegno per risolvere il dramma sociale dei nostri quartieri. Per questo quando abbiamo saputo che il presidente del Consiglio Renzi sarebbe stato a Napoli il 24 aprile, abbiamo deciso di incontrarlo per chiedergli una risposta alle tre richieste contenute nella lettera che gli avevamo inviato tramite la Prefettura. Due parroci, don Antonio Loffredo, parroco della Sanità e don Angelo Berselli, parroco di Forcella, nuovo portavoce di “Un popolo in cammino”,

sono andati a parlargli. (Non potevo partecipare all’incontro perché non potevo parlare a Renzi, il privatizzatore dell’acqua!) Renzi ha promesso un pronto intervento sulle scuole di Napoli, promettendo quattro milioni di euro per tenere aperte le scuole d’estate nelle zone più a rischio

della città, ma anche un intervento a lungo termine. Siamo grati per questo regalo, ma siamo ben lontani da quanto stiamo chiedendo. Per me sono ‘noccioline americane’. Per ora abbiamo deciso di sospendere le nostre iniziative pubbliche perché siamo in piena campagna elettorale

per l’elezione del sindaco. Abbiamo però già deciso che a fine giugno terremo tre assemblee popolari, una a Scampia, una a Ponticelli (Napoli est) e una al centro di Napoli. Abbiamo bisogno di riprendere il dialogo con il popolo. Il nostro deve essere un movimento popolare. In autunno riprenderemo la pressione sul governo perché metta in atto un intervento strutturale a lungo termine sulla scuola, sicurezza e lavoro giovani. Chiediamo un massiccio intervento per rispondere alla drammatica bomba sociale e alla spaventosa violenza in crescendo a Napoli. “E’ bene ricordare la frammentazione dei clan napoletani-afferma il professore Isaia Sales- e si accompagna ad un potenziale di violenza ancora maggiore rispetto ai più strutturati clan mafiosi o dei casalesi, perché è una violenza non sottoposta a nessuna disciplina, a nessuna strategia, a nessuna mitigazione.” E ammonisce: “Che i clan della camorra napoletana non abbiano strategie unitarie non vuol dire che non possono alzare il tiro come è avvenuto nella sparatoria contro la caserma dei carabinieri di Secondigliano. La conflittualità interna potrebbe scaricarsi contro le istituzioni repressive.” E che i clan stiano alzando il tiro non è evidenziato solo dalla sparatoria contro la caserma dei carabinieri di Secondigliano, ma dalla recente notizia che i clan di Scampia avevano preparato mezzo chilo di tritolo per far saltare in aria il procuratore generale di Napoli, Giovanni Colangelo. E per chi avrebbe eseguito la strage, trecentomila euro come ricompensa. Anche noi “Popolo in cammino” dobbiamo alzare il tiro premendo sullo Stato per un Piano Marshall per Napoli e il Sud, ma anche sulle istituzioni regionali, provinciali e comunali perché si impegnino di più per i settori impoveriti ed emarginati. La nostra piccola comunità del campanile (Felicetta, p.Arcadio e il sottoscritto) è decisa a camminare con la gente della Sanità che vive questo momento di grande violenza. (Sono molti che mi fermano per strada esortandomi a stare attento, a non espormi troppo!). E continueremo a impegnarci, pur dentro la violenza, a “ generare speranza.” Napoli, 27 maggio 2016


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Attualità 4 giugno 2016

Di Franco Iacono

1.

Sono letteralmente ammirato di quanto riesce a fare Santa Madre Chiesa ed il suo Cardinale di Napoli. È stata una gioia partecipare a questo corteo di preghiera il 30 di maggio, che partiva dalla Chiesa di Sant’Agrippino, nel cuore di Forcella, diretto al Duomo e guidato dal Cardinale Sepe. In un tempo di silenzio delle Istituzioni, degli uomini del Sapere e della Scuola, la Chiesa si pone il problema della criminalità organizzata e delle conseguenze nefaste sulla qualità del tessuto sociale, intriso di violenza, assuefazione, fino alla rassegnazione ed alla indifferenza: vogliamo immaginare se il Sindaco di Napoli (mi scuso se lo rinomino: avevo promesso di non parlarne più!) avesse messo nel suo comizio iniziale la stessa carica di violenza e di volgarità nei confronti dei camorristi, che invece ha messo contro Renzi, che effetto avrebbe prodotto?!. Vi immaginate se avesse detto: “Camorristi, vi dovete c……..sotto dalla paura, perché vi sconfiggerò, portando nella città lavoro, perché spenderò le risorse europee che finora non ho neppure appaltato, porterò nuovi investimenti, creerò nuove strutture. Camorristi¸ non avete speranze, tornate indietro ed io vi accoglierò con il lavoro ed una nuova qualità delle periferie!” Non ci ha proprio pensato il Sindaco, anche perché una cosa è dire a Renzi quelle parole, un’altra è dirle agli uomini della camorra. Ma non ci hanno pensato neppure gli altri candidati a Sindaco che vanno per la maggiore; anche per loro pare che la tragedia della criminalità organizzata con generazioni di giovani bruciati in quella esperienza sempre più ….attraente non “abiti” a Napoli. Poteva essere un terreno di attacco vero al Sindaco, ma anche di proposta concreta: sono mancati l’uno e l’altra. Senza entrare in alcuna di quelle miserie di cui a questa drammaticamente povera campagna elettorale, ci ha pensato il Cardinale, con la sua iniziativa opportuna, facendo balzare in tutta evidenza quel silenzio colpevole. Un ruolo, il suo, ancora una volta di supplenza, vero e proprio, che va incontro alle attese di tanta gente, che almeno vuole alimentare la speranza. Imperiosamente a quei giovani disgraziati ha gridato: “Deponete le armi, state sbagliando, state distruggendo il vostro futuro…in questa Città che è sinonimo di vita, di gioia, di civiltà”. C’era tanta gente, tanti giovani, tante donne, tutti “arroccati” attorno ai loro parroci, alle loro

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PUNTI DI VISTA

parrocchie. Una bella ora di gioia e di speranza. A Napoli. A Forcella. 2. “Sono un non credente, come Kafka”, ha detto di sé Giorgio Albertazzi. Non so nostro Signore come giudicherà i “non credenti”, ma se invece di guardare alle “definizioni” guarderà alla Bellezza, allora Giorgio Albertazzi sarà lì,

nell’Empireo, come lui stesso definiva il dopo della Morte, a “cantare” ancora Dante, Shakespeare, Leopardi”. Sì, perché Giorgio era, ed è, una meraviglia del Creato, che viene da Dio. Ho avuto l’onore di essergli amico e di averlo più volte ospite di casa nostra: la nostra gastronomia, per le mani di Anna, lo rendeva fe-

lice e bastava per una lieta serata insieme. Con lui e con la moglie Pia de Tolomei. I suoi novant’anni li festeggiammo spegnendo le candeline su di un grande 90 “costruito” da Anna con il torrone-croccante, quello della nostra tradizione antica. Se ce la farò, organizzerò una piccola “retrospettiva” delle sue meravigliose serate a Villa Arbusto, nell’ambito delle iniziative che organizzavo per conto del Comune di Lacco Ameno. Ma una serata resta ineguagliabile: nel plenilunio di luglio sul Belvedere di Serrara Fontana, la Luna adagiata su Capri e Giorgio che la interrogava, come Giacomo Leopardi nel “Canto de il pastore errante per l’Asia” : “Che fai tu Luna in ciel, dimmi che fai, silenziosa Luna?!” Mille volta era stato l’Imperatore Adriano per la regia di Maurizio Scaparro, che mi aveva introdotto a lui. Immagino che, nel momento della sua morte, cosciente come Adriano, si sia avviato ripetendo, per l’ultima volta: “ …ed ora andiamo incontro alla morte ad occhi aperti”. Grazie, Giorgio!


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Giubileo Misericordia della

19 4 giugno 2016

APPROFONDIMENTI

“L’anno di grazia del Signore” (LC 4,19)

Di Gérard Rossé - Prof. ordinario di Teologia biblica (Docente IUS)

I

n questo breve scritto portiamo la nostra attenzione a Gesù stesso. Come capiva la sua attività? Notiamo subito, per rimanere in continuità con i commenti precedenti, che ciò non implica l’abbandono dell’Antico Testamento, quasi che Gesù sia un fenomeno extraterrestre caduto nel nostro mondo. Già la comune espressione per qualificare la Bibbia come “Antico Testamento” è del tutto impropria. Non è un “testamento” come se vi leggessimo le ultime volontà di un morente; conviene tradurre “alleanza”, in conformità col senso originale; e non è “antico” nel senso di vecchio quindi senza valore. In realtà l’Antico Testamento – manteniamo per comodità quest’espressione – non è superato ma compiuto con l’arrivo del Messia atteso; e ciò significa che egli è incluso nel nuovo, portato a termine e superato. Paolo lo scrive in questi termini: “Tutte le promesse di Dio in (Cristo) sono diventate Sì”. Gesù si inserisce interamente nella storia d’Israele che è la sua storia, e quindi nella rivelazione in essa di Dio. Non a caso quindi Gesù, per caratterizzare il significato della sua attività fa appello ai profeti, in modo speciale a Isaia. Nel vangelo di Luca egli lo fa in due occasioni. La prima, quando inaugura la sua predicazione nella sinagoga di Nazareth, una scena propria di Luca. Egli riceve il rotolo di Isaia e legge: “Lo Spirito del Signore è su di me; perciò mi ha unto per annunciare la buona novella ai poveri, ma ha mandato a proclamare la liberazione ai prigionieri

e la vista ai ciechi, a inviare gli oppressi alla liberazione, a proclamare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19), testo che combina diverse citazione del profeta (Is 61,1-2 e 58,6). Un’altra occasione si presenta quando inviati del Battista gli chiedono se egli è il Messia atteso. La risposta, simile alla precedente, si

legge anche nel vangelo di Matteo, sempre con citazioni di Isaia (Mt 11,4-6). Notiamo due caratteristiche: il ricorso al profeta Isaia non dice soltanto che Gesù si situa in continuità con l’attesa del profeta, ma che egli ha coscienza di portare tale attesa al suo compimento, la coscienza di

una sua funzione unica, definitiva, detta escatologica. Gesù dunque non si pone nella linea dei profeti per ricordare ad Israele che Dio è un Dio misericordioso, ma egli proclama l’inizio di un tempo qualitativamente nuovo nel quale questa misericordia divina, già in atto nell’agire di Gesù, acquista il suo volto insuperabile e definitivo. L’altra caratteristica sta proprio nel fatto che Gesù vede la sua missione come rivelazione e attuazione della misericordia divina rivolta a tutti, alle soglie dell’intervento potente, finale di Dio che pone fine al male nel mondo, e che Gesù annuncia come imminente venuta del Regno di Dio. Insomma, la proclamazione della vicinanza del Regno di Dio si concretizza nell’esperienza di un Dio che vuole instaurare il suo Regno, la sua Sovranità, come Padre dei perduti. Con Gesù, il Dio di misericordia si è messo in cammino alla ricerca dell’uomo, di ogni essere umano senza eccezione, in modo speciale degli emarginati, dei poveri, sofferenti, dei senza-speranza, di tutti coloro che per motivi vari sono scartati dal sistema religioso dominante nel giudaismo, e quindi considerati lontani da Dio e dal suo amore. E di conseguenza, a differenza di Giovanni Battista, Gesù non rimane confinato in un determinato luogo in attesa dell’arrivo delle persone, ma egli si mette in cammino, percorre i villaggi, va in mezzo alla gente, nei posti dove vive, lavora, ama e soffre l’uomo. E in questo camminare, c’è anche l’incontro con Zaccheo.


Liturgia

20 4 giugno 2016

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COMMENTO AL VANGELO

Domenica 5 GIUGNO 2016

Dai vita alle piccole cose di ogni giorno! Di Don Cristian Solmonese

C

arissimi, il vangelo di questa domenica ci presenta un racconto di risurrezione molto bello e profondo. Nel piccolo paesino di Naim giunge Gesù accompagnato dai discepoli e da una folla numerosa, che canta e loda Dio con gioia. Mentre Egli sta per entrare attraverso la porta cittadina, ecco uscirne un corteo funebre. S’incontrano dunque due processioni: la processione “della morte”, che esce dalla città ed accompagna la vedova che porta il suo unico figlio verso il sepolcro, e la processione “della vita”, che entra in città ed accompagna Gesù. Il Vangelo racconta con straziante semplicità che il giovanetto era l’unico figlio di una madre rimasta vedova. Su quel figlio la povera madre aveva concentrato tutto il suo amore e le sue speranze. Come possiamo immaginare un dolore più grande? Una madre vedova che seppellisce il figlio unico. Luca presenta Gesù come l’unico che ridona vita alla nostra quotidianità. Il testo mette in evidenza due aspetti stupendi di Gesù. Dio visita il suo popolo. Davanti al miracolo della resurrezione del figlio unico della madre vedova a Naim, davanti al volto di un Dio che non punisce ma si commuove e salva, la folla si lascia andare a questo giudizio entusiasta: sì, davvero il Signore è venuto a visitare il suo popolo. Non capiamo la ragione ultima della morte, tanto meno della morte che, ai nostri occhi, appare ingiusta e orribile, come quella di un giovane. Ma il vangelo ci invita a superare lo sconcerto: nonostante ci siano delle cose che non capiamo, Dio è buono e misericordioso. Ogni volta che compiamo un gesto che ridona vita, la folla si accorge che Dio visita il suo popolo. Un secondo tratto del racconto è descritto dalla compassione

di Gesù. Riferisce il Vangelo: «Vedutala, il Signore ebbe pietà di lei». Dicevamo che Gesù si sentì fortemente commosso. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”. Queste due parole erano state certamente ripetute centinaia o migliaia di volte in quella giornata alla povera donna, ma rimanevano soltanto parole e non avevano su di lei lo stesso effetto di quando le ha pronunciate Gesù. Non chiese e non pretese dalla poveretta nulla che costituisse un atto di fede nei suoi riguardi. Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. “Ragazzo, dico a te, àlzati!” Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. E lo restituì a sua madre. Gesù non conosceva questa donna, quindi la compassione che Gesù chiede a noi, da questo momento in poi, non è solo per le persone che amiamo, ma anche per le persone che non conosciamo e soprattutto per quelle che ci fanno soffrire. Gesù ci chiede di avere compassione per chiunque. Se siamo realmente cristiani e soprattutto se percorriamo un cammino che debba portarci alla santità, dobbiamo soffrire con tutti. Egli ci chiede come credenti che compiamo gesti profetici di luce, rendiamo testimonianza all’azione salvifica di Dio. Dare vita nelle piccole cose, nel quotidiano, nell’accoglienza dei ragazzi al catechismo, nella preghiera gioiosa e piena di fede, nell’affrontare la vita con onestà e trasparenza, con fede cristallina. Tutto ci porta a testimoniare che siamo pieni di vita perché Dio ci ha ridato vita in Gesù Cristo. Che le nostre comunità, radunate oggi nel proclamare la propria fede, siano continuamente capaci di ridare vita a chi incontrano. Buona domenica!


Ecclesia kaire@chiesaischia.it

21 4 giugno 2016

Pregate sempre senza stancarvi Di Ordine francescano secolare di Forio

D

urante l’Udienza generale di mercoledì 25 maggio, Papa Francesco ci da un insegnamento importante: «La necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai». “Dunque, non si tratta di pregare qualche volta, quando mi sento. No, Gesù dice che bisogna «pregare sempre, senza stancarsi». E porta l’esempio della vedova e del giudice. Questo giudice «non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno» (v. 2). Era un giudice iniquo, senza scrupoli, che non teneva conto della Legge ma faceva quello che voleva, secondo il suo interesse. A lui si rivolge una vedova per avere giustizia… Il giudice, a un certo punto la esaudisce, non perché è mosso da misericordia, né perché la coscienza glielo impone; semplicemente ammette: «Dato che questa vedova mi dà fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi»” (v. 5). Il Vangelo ci parla dell’efficacia della preghiera: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe? Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che glielo domandano?» (Lc 11,912). Leggendo il brano della vedova importuna (Lc 18, 1-8) sembra che sia importante l’insistenza con cui si prega. Nel Vangelo di Matteo, Gesù ci insegna: «non sprecate parole come i pagani i quali credono di venire ascoltati a forza di parole… perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno». (Mt 6,7-8). Questo brano ci insegna innanzitutto che se la preghiera viene considerata un colloquio con Dio, non si può pensare di porre i due dialoganti allo stesso livello, né si può avere la pretesa di spiegare a Dio che cosa vorremmo o che cosa è meglio, che Lui conceda. E allora che cosa gli possiamo chiedere? Il dono più grande che Dio ci può fare è lo «Spirito Santo». Ma noi comprendiamo l’importanza di essere dimora dello Spirito Santo? E’ Lui che ci consente di sentirci peccatori e che risponde così alla domanda insistente di San Francesco: «Chi se’ tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?

(FF1915)». San Francesco, dopo aver preso consapevolezza di essere un grande peccatore, ritirato in un luogo adatto alla preghiera, vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra,ripensando con amarezza agli anni passati malamente e ripetendo: «O Dio, sii propizio a me peccatore»! A poco a poco si sentì inondare nell’intimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l’angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell’animo per timore del peccato,scomparvero, ed ebbe la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi, rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente poté contemplare liberamente il futuro, Quando quella luce e quella dolcezza dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro» (FF363).


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Good News 4 giugno 2016

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Scambi e baratti a cattiveria zero Avete un’insalata dell’orto di troppo? Volete scambiare la vostra bicicletta con barattoli di pomodoro? Volete mangiare cibo genuino senza pesticidi e coltivato con cura e amore ma non avete l’orto? Nell’isola verde basta iscriversi al gruppo della “Borsa Verde 3.0 scambi e baratti a cattiveria zero” per scambiare e barattare prodotti dell’orto, prodotti fermentati e lievitati rigorosamente HOME MADE.

Di Luciana Morgera

L'

iniziativa, nata su Facebook nel 2014, procede con grande entusiasmo e gli incontri sono anche occasioni per fare amicizia e scoprire interessi in comune, come l’amore per la terra, lo stile di vita sano e l’attenzione all’alimentazione e all’ecologia. Sulla pagina del social network si legge: “Se coltivate un piccolo orto o un giardino, se allevate galline, papere e tacchinelle, se siete “i Masti” della lievitazione, della fermentazione e della germogliazione, se per voi, preparare yogurt, lievito madre, germogli, pane speciale, torte e marmellate è un piacere... siete pronti a barattarli con altri prodotti?”. Lo scambio è facilissimo, basta postare una foto di ciò che si vuole barattare e indicare cosa si vuole in cambio. Poi si fissa un giorno e il luogo dello scambio. Un’idea che ha ispirato anche altre comunità. La borsa verde infatti ha due gruppi gemelli, S-CAMBIA-


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Good News

4 giugno 2016

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MENTO a Roma, con il quale organizziamo scambi culturali, laboratori di panificazione, orti in cassetta e corsi di permacultura e uno a Playa del Carmen, in Messico, OM garage, dove si scambiano lezioni di yoga e meditazione. Sulla BORSA VERDE professionisti mostrano il loro Green Side. Insospettabili avvocati, architetti, biologi marini, impiegati, ingegneri, consulenti, aprono, orgogliosi, i loro orti, giardini e pollai e barattano i prodotti della terra. Mamme che svezzano bambini barattando i prodotti coltivati con metodi naturali rinunciando agli acquisti nei supermercati. Arance, verze, piselli, cicoria, insalate e fiori di zucca e frutta di stagione appena raccolti, vengono barattati con pane fatto in casa, yogurt, e persino prodotti gluten free, cibi senza glutine per i celiaci preparati in casa. Si barattano cene, pranzi e pic-nic a spesa zero. Si organizzano matrimoni e tantissime feste di compleanno, solo ed esclusivamente con prodotti barattati, dall’abito nuziale, alle bomboniere al buffet. Ischia attraverso il baratto svela la sua vocazione agricola e si scopre piena di contadini della domenica. E non solo. C’è chi invita nel suo uliveto secolare e organizza giornate di raccolta collettiva di olive per la produzione dell’olio “a cattiveria zero”. Si aprono orti e giardini nascosti negli angoli più suggestivi dell’isola, luoghi ideali per scambiare prodotti, semi e competenze. La Borsa Verde ha già varcato i confini nazionali grazie a Ischia Review, un sito di promozione turistica destinato al mercato anglosassone e nordeuropeo, che ha promos-

so l’iniziativa come esperienza turistica fuori dagli schemi: in buona sostanza si propone ai turisti che verranno in vacanza a Ischia di portare prodotti dai loro paesi e scambiarli con i locali. Gli incontri e gli scambi si tengono negli orti più sperduti e panoramici dell’isola. Una piccola rivoluzione silenziosa prende forma tra le pieghe della Borsa Verde 3.0, una realtà virtuosa sempre più affollata che raccoglie gli ischitani col pollice verde, famiglie, bambini, amici e sconosciuti che hanno scelto di vivere healthy e a cattiveria zero. Siamo abituati a eventi passivi,

che ci costringono a un ruolo passivo; sulla Borsa Verde sono tutti protagonisti, hanno un ruolo attivo ed è una cosa magnifica, uno stimolo magnifico, un eccellente rimedio contro l’appiattimento. La Borsa Verde ha avuto il merito di favorire una riconversione dell’ischitano medio al baratto, alla valorizzazione dei prodotti dell’orto, alla ricerca del bio. Non male, in tempi in cui dall’OMS arrivano allarmi d’ogni tipo. Storie dell’isola contadina. Storie di terra. Di passato, ma anche di presente. E, si spera, di futuro.

Gli articoli di Francesco Mattera: un patrimonio prezioso! Carissimo direttore, leggo con piacere tutti gli articoli dell’agronomo Francesco Mattera. Sono davvero un patrimonio prezioso per noi ischitani. Quando leggo i suoi articoli, mi dico: ma è proprio così! Lo sperimento anche io ogni giorno nel mio pezzettino di terra. E spesso ricorro alla memoria nel passato (ormai ho ben superato i 70 anni) quando ero giovane e andavo nella terra con i miei fratelli. Poi, la storia del coniglio Rabbit mi ha fatto davvero sorridere e non vedevo l’ora che arrivasse il sabato successivo per poter leggere il continuo. Ormai, quando cucino il coniglio all’ischitana per i miei nipoti, spiego loro che il coniglio che mangeranno si chiamava Rabbit, come stava scritto nel Kaire. A parte gli scherzi, vorrei chiedervi di non fermarvi con le rubriche di Franco Mattera. Sono un tocca sana per l’anima, uno sprone anche per vivere l’enciclica del Papa Laudato sì. Grazie di cuore, Giuseppe

COLLABORIAMO, INSIEME È PIÙ BELLO! Per inviare al nostro settimanale articoli o lettere (soltanto per quelle di cui si richiede la pubblicazione) si può utilizzare l’indirizzo di posta kaire@chiesaischia.it I file devono essere inviati in formato .doc e lo spazio a disposizione è di max 2500 battute spazi inclusi. Le fotografie (citare la fonte) in alta risoluzione devono pervenire sempre allegate via mail. La redazione si riserva la possibilità di pubblicare o meno tali articoli/lettere ovvero di pubblicarne degli estratti. Non sarà preso in considerazione il materiale cartaceo.

L’abbonamento annuale ordinario al nostro settimanale costa € 45,00 e consente di ricevere con spedizione postale a casa propria (sul territorio italiano) i 52 numeri del giornale stampati nel corso di un anno solare più eventuali “Kaire speciali”. Per chi vive all’estero, è possibile abbonarsi on line al settimanale in modo da poterlo leggere in formato Pdf a partire dalle ore 7,00 del mattino (ora italiana) nel giorno di uscita (verrà inviato via mail) e poterlo archiviare comodamente. Il settimanale online è esattamente uguale - per contenuto e impaginazione - a quello stampato su carta. L'abbonamento online costa € 45,00. LE ALTRE TARIFFE ANNUALI: Abbonamento amico €.100,00 Abbonamento sostenitore €.200,00 Benemerito a partire da €.300,00 COME PAGARE L’ABBONAMENTO Per il pagamento in contanti contattate la segreteria di “Kaire” ai seguenti numeri di telefono 081981342 – 0813334228 oppure il pagamento può essere effettuato mezzo bonifico bancario intestato COOP. SOCIALE KAIROS ONLUS indicando quale causale ABBONAMENTO KAIRE sul seguente codice IBAN IT 06 J 03359 01600 1000 0000 8660 Banca Prossima SpA. Dopo aver effettuato il pagamento inviate una mail a kaire@kairosonline.it oppure inviando un fax al 0813334228 con i seguenti dati per la spedizione: Cognome e nome: ... | indirizzo (via/cap/comune/ provincia): ... |codice fiscale: ... | telefono: ... | mail: ... nel caso l’abbonamento sia da attivare a favore di altra persona, indicare anche: Cognome e nome del beneficiario dell’abbonamento: ... Indirizzo (via/cap/comune/provincia): ...

EDICOLE DOVE POTER ACQUISTARE

Comune di Ischia Edicola di Piazza degli Eroi; Edicola di Ischia Ponte; Edicola al Bar La Violetta; Edicola di San Michele da Odilia; Edicola di Portosalvo Comune di Lacco Ameno Edicola al Bar Triangolo Edicola Minopoli sul corso Comune di Casamicicola T. Edicola di Piazza Bagni; Edicola di Piazza Marina; Comune di Forio Edicola del Porto; Edicola di Monterone


La GIORNATA REGIONALE DELLA GIOVENTÙ avrà luogo a Pozzuoli e si articolerà in diversi momenti in altrettanti luoghi caratteristici della città nella quale approdò Paolo, “l’apostolo delle genti”. È un appuntamento rivolto a tutti i giovani che desiderano trascorrere un pomeriggio all’insegna della gioia e della Misericordia e per quelli che si preparano a partire per Cracovia, che dal 25 luglio al 2 agosto di quest’anno accoglierà giovani da tutto il mondo per la Giornata Mondiale della Gioventù con Papà Francesco.

Allora, domenica 12 giugno vuoi venire anche tu?

Partiremo con la nave Medmar delle 15,05 da Ischia porto per Pozzuoli e rientreremo con la nave Caremar delle 21,55 da Napoli Porta di Massa. Per info e iscrizioni chiama i numeri sotto indicati o invia una email a: giovani@chiesaischia.it Teresa: 3774246426 | Restituta: 3479143074 | Francesco: 3331853081


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