Kaire 18 anno III

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Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia ANNO 3 | numero 18 | 30 aprile 2016 | E 1,00

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ARSENALI DI PACE La catechesi di Ernesto Olivero in Cattedrale di mercoledì scorso: un approfondimento sul tema “seppellire i morti”, come cioè i morti, grazie all’amore e all’impegno, invece di essere seppelliti, possano resuscitare a nuova vita A pag. 4 EDITORIALE DEL DIRETTORE ESEMPI DA IMPORTARE

AMORIS LAETITIA

Anche il PRESENTAZIONE DIOCESANA DELL’ESORTAZIONE APOSTOLICA Piemonte va Lunedì 2 maggio un grande evento diocesano: l’esortazione post-sinodale di Papa contro l’azzardo Francesco spiegata da Mons. Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio consiglio Di Lorenzo Russo

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così anche la regione Piemonte cerca di correre ai ripari dotandosi di una legge contro il gioco d’azzardo. L’Assemblea regionale ha infatti approvato all’unanimità il Testo unificato che prevede la stesura di un Piano triennale integrato, per coordinare tutti gli interventi per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d’azzardo patologico. Ogni anno l’azzardo muove un giro di soldi pari a 88 miliardi, ma solo 9 miliardi vanno allo Stato che però non ci guadagna vista la spesa sanitaria per chi soffre di questa patologia e/o dipendenza. Il Piemonte si impegna ora formalmente a favorire un approccio critico al gioco, puntando sulla consapevolezza. Un primo passo in avanti. Con il provvedimento, vengono vietate su tutto il territorio la collocazione di macchinette in locali troppo vicini ai luoghi sensibili (scuole, centri di formazione, luoghi di culto, impianti sportivi, ospedali, etc.), Regole ferree anche per la pubblicità delle sale slot e – forse una novità - saranno sensibilizzati anche i gestori e il personale delle sale da gioco: dovranno seguire corsi di formazione e aggiornamento, pena la chiusura dell’attività.

per la Famiglia, e don Antonio Sciortino direttore di Famiglia Cristiana. Paglia: “una svolta storica per la famiglia”. A pag 2 l’intervista

GIOVANI E GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

IL MESSAGGIO D’AMORE DI GIUSEPPE

SEGUIAMO FRANCESCO

Il racconto dei 55 ischitani a Roma per il giubileo dei giovani, insieme ad altri 70 mila ragazzi da Papa Francesco.

Il 19 aprile è volato al cielo il piccolo Giuseppe a soli 6 anni. Ma ci ha lasciato un grande messaggio d’unità.

Il Papa a sorpresa alla Mariapoli del movimento dei Focolari: voi trasformate il deserto in foresta.

K AMOR AIRE E IS LAE Questa TITIA se ttiman a a soli puoi ac € 2,50 quistar e il Ka u n a co ire e pia dell ’esorta zione aposto lica. No n p e rdere l’ of fe r t a


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Paglia L'intervista

Di Luciano Moia

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è un evidente cambio di passo e di stile che va a toccare la forma stessa della Chiesa. Sono parole, quelle di Francesco, che segnano un cambio di prospettive. Una svolta che non dobbiamo avere paura di definire storica». L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, ha seguito passo dopo passo da protagonista il percorso sinodale, è intervenuto in molte occasioni, ha orientato il dibattito rilasciando interviste e dichiarazioni ai media di tutto il mondo. Insomma, quasi inutile sottolinearlo, conosce a fondo gli argomenti dell’Esortazione e li ha visti nascere molto da “vicino”. Eccellenza, perché dobbiamo considerare l’“Amoris laetitia” un passo decisivo della Chiesa nell’incontro con le famiglie? La differenza fra l’atteggiamento notarile e la responsabilità morale nei confronti delle vicissitudini della famiglia, da parte della Chiesa stessa, è un punto d’onore iscritto nella sua stessa dottrina, non un adattamento imposto dalle trasformazioni mondane. Non solo. Nella logica che ispira la sintesi che il Papa offre della maturazione sinodale della coscienza ecclesiale. La stessa consacrazione del ministero ecclesiastico è per la vita di fede della famiglia, e non viceversa. La Chiesa, dunque, non potrà svolgere il compito che le è assegnato da Dio nei confronti della famiglia, se non coinvolgerà le famiglie in questo stesso compito, secondo lo stile di Dio. E pertanto, senza assumere essa stessa i tratti di una comunione familiare. Quali sono nel testo papale i passaggi concreti che evidenziano questa trasformazione? I segni forti di questo raddrizzamento di rotta sono almeno due. Il matrimonio è indissolubile, ma il legame della Chiesa con i figli e le figlie di Dio lo è ancora di più: perché è come quello che Cristo ha stabilito con la Chiesa, piena di peccatori che sono stati amati quando ancora lo erano. E non sono abbandonati, neppure quando ci ricascano. Questo, come

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Una svolta storica per la famiglia E ora la domanda che si fanno tutti è la stessa: dopo l’esortazione apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco, concretamente cosa cambia? Che conseguenze avrà questa Esortazione nella vita delle nostre comunità?

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dice l’apostolo Paolo, è proprio un mistero grande, che va decisamente oltre ogni romantica metafora d un amore che rimane in vita soltanto nell’idillio di “due cuori e una capanna”. Il secondo segno è la conseguente piena consegna al vescovo di questa responsabilità ecclesiale sapendo che il supremo principio è la salus animarum (un’affermazione solenne che chiude il Codice di Diritto Canonico, ma che spesso viene dimenticata). Il vescovo è giudice in quanto pastore. E il pastore riconosce le sue pecore anche quando hanno smarrito la strada. Il suo scopo ultimo è sempre quello di riportarle a casa, dove può curarle e guarirle, mentre non lo può fare se le lascia dove sono abbandonandole al suo destino perché “se lo sono cercato”. Oggi la Chiesa, i vescovi, i sacerdoti, i nostri uffici di pastorale familiare, sono in grado di accogliere questa trasformazione? C’è davvero da sperare che tutti, vescovi, sacerdoti, fedeli sappiano aiutare e accompagnare. Questa trasformazione, se è accolta con fede, è destinata a rivoluzionare decisamente lo sguardo con il quale deve essere percepita la Chiesa dei credenti nel passaggio dell’epoca. La chiave di questa trasformazione non si trova, come è sembrato, nell’equivoca disputa che ha polarizzato gli inizi di questo cammino sinodale, nel presunto conflitto (o alternativa) fra rigore della dottrina e condiscendenza pastorale. Infatti, in questi anni di cammino sinodale si è parlato spesso della presunta contrapposizione tra dottrina e pastorale. Ora si dice che questo testo rafforza l’unità dottrinale nella pluralità pastorale. Ma è davvero così? Sì, le novità che il Papa introduce non significano rinunciare ad illuminare la verità del cammino della fede e le forti esigenze della sequela del Signore. Al contrario, significa assumere lo sguardo di Gesù e lo stile di Dio che egli ha chiaramente espresso nelle sue parole, nei suoi gesti, nei suoi incontri. Bisogna avere più audacia nel proporre l’ideale. La verità del Vangelo di Gesù è per la conversione all’amore di Dio, e la conversione dell’amore di Dio è l’interpretazione più esatta della verità del Vangelo. La dimostrazione dell’amore di Dio nella pratica della Chiesa è il cuore della verità della fede. L’interpretazione della dottrina che non è capace di onorare questa testimonianza nell’azione pastorale allontana la tradizione della fede dalla fedeltà alla rivelazione. Ritiene che questa Esortazione ri-

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fletta davvero le indicazioni emerse dal “doppio” Sinodo 2014-2015? Il testo papale è il frutto di un lungo e articolato cammino della Chiesa, della quale registra un cambio di passo e di stile. Il caloroso invito di papa Francesco a un confronto franco e aperto sui temi reali, non sulle questioni di scuola, lo ha poi visto attento e partecipe della trasformazione di approccio che ne è infine scaturita. Il cammino è stato segnato da una progressione di inconsueta ampiezza e coinvolgimento: una riunione programmatica di

cardinali all’inizio, due assemblee sinodali a breve distanza – più volte il Papa sottolinea di aver «accolto» le indicazioni proposte dai vescovi –, un ciclo di catechesi papali di oltre un anno, due consultazioni universali sui temi della famiglia. L’interesse dell’opinione pubblica mondiale è stato di eccezionale vivacità e continuità, nell’ambito della storia dei Sinodi mondiali dei vescovi. Il testo non manca di accogliere gli insegnamenti del magistero in particolare di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.

Auguri al

Vescovo Pietro Il 1° maggio ricorre un doppio anniversario per il nostro vescovo: 30 anni dall’ordinazione sacerdotale e 3 anni da quella episcopale. Auguri di gioia e santità dalla redazione Kaire. Il disegno di fianco è stato realizzato da Elena, una bimba ischitana, qualche giorno prima dell’ordinazione episcopale di Padre Pietro Lagnese nel 2013.

Inutile negare che le attenzioni maggiori si concentreranno sul capitolo ottavo, quello sulla cura delle famigli ferite. Ci si attendeva un passo in avanti più concreto? Il Papa indica la pista di soluzione con tre verbi: accompagnare, discernere e integrare. In verità l’intero testo delinea un nuovo asse della vita pastorale della Chiesa che il Papa iscrive nell’orizzonte della Misericordia sulla scia della Evangelii gaudium: una Chiesa dedicata ad accompagnare e integrare tutti, nessuno escluso. Il discernimento deve scoprire ovunque ci sono i «segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio» (294) per «integrare tutti» (297). Ogni persona deve trovare posto nella Chiesa per crescere sino alla piena incorporazione a Cristo. E «nessuno può essere condannato per sempre» (297). Il Papa non ritiene necessaria pertanto una «nuova normativa generale di tipo canonico» (300), ma chiede un «responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari» (300). La parola d’ordine consegnata ai Vescovi è semplice e diretta: accompagnare, discernere, integrare nella comunità cristiana. Un compito non da poco. Ma concretamente a chi toccherà decidere la prassi del discernimento e dell’accompagnamento? E le modalità dell’integrazione? Il vescovo dovrà aiutare i confessori, i padri spirituali, perché si aprano alla misericordia, coniugando l’ideale con la pedagogia divina. Ma saranno poi confessore e fedele in dialogo a valutare serenamente i passi dell’integrazione, anche per ritessere una rete comunitaria. La salvezza non è mai “fai da te”. In questo itinerario, che dev’essere comunque sempre valutato caso per caso, si inserisce la via sacramentale. È questa la conversione pastorale auspicata dal Papa? La fede condivisa e l’amore fraterno possono fare miracoli, anche nelle situazioni più difficili. L’accesso alla grazia di Dio, che, accolta, genera la conversione del peccatore, è una cosa seria. La dottrina cattolica del giudizio morale, forse un po’ trascurata, è rimessa in onore: la qualità morale dei processi di conversione non coincide automaticamente con la definizione legale degli stati di vita. Non è un calcolo legale da applicare, né un processo da decidere ad arbitrio. Le indicazioni di Francesco sono chiare: «Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture»(307).


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IX CATECHESI GIUBILARE

Pregare Dio per i vivi e per i morti «State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.» (1Ts 5, 16-18)

Giovedì 5 maggio in Cattedrale, ore 20.30 Testimone-catechista: Salvatore Martinez Presidente Rinnovamento nello Spirito

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Arsenali di pace Fedeltà al Vangelo, bellezza di vita e amore per l’uomo. Con queste “armi disarmanti” e il sostegno quotidiano della preghiera, Ernesto Olivero, che invitato dal nostro Vescovo doveva tenere una catechesi sull’opera di misericordia corporale “seppellire i morti”, ci ha parlato paradossalmente di come i morti, grazie all’amore e all’impegno, invece di essere seppelliti, possano resuscitare a nuova vita. Di Filomena Sogliuzzo

Salvatore Martinez è il primo laico

alla presidenza nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo. Svolge un’intensa attività editoriale. Ha già pubblicato 25 libri; tra questi, edito da San Paolo: “Sospinti dallo Spirito”, nel maggio 2014, con larga diffusione editoriale in tutte le edicole d’Italia (è stato il secondo libro nelle classifiche di tutti i testi venduti nelle librerie cattoliche, e tra i primi 100 libri più venduti tra i cataloghi degli editori italiani). Il testo è ora in traduzione in spagnolo, inglese, portoghese e francese. Il suo ultimo libro edito da RnS “Papa Francesco e lo Spirito Santo, Novità, armonia, missione” è stato tra i testi di editoria religiosa più apprezzati al Salone Internazionale del libro di Francoforte. Alcuni dei testi pubblicati sono stati tradotti in lingua inglese, francese, spagnola, tedesca, portoghese, polacca, mandarina. Esperto di musica sacra, è compositore di brani in uso nel repertorio liturgico, incisi in oltre 20 produzioni musicali per coro ed orchestra, tradotti e diffusi in molti Paesi del mondo. Collabora con riviste italiane e straniere su temi di spiritualità. Fortemente impegnato nell’attività di conferenziere, ha relazionato in trentacinque Paesi dei cinque Continenti su temi di natura spirituale, con particolare riguardo ai giovani, alle famiglie, ai sacerdoti, alla promozione dei laici, al disagio sociale, alla dottrina sociale della Chiesa, invitato da Conferenze episcopali, da Istituzioni ed Enti culturali e sociali.

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o, non ha narrato prodigi o eventi miracolistici, ma del dono di se stesso,della responsabilità che si è assunto per amore, dell’impegno quotidiano e di azioni così luminose e trasparenti da diventare speranza per molti. Chi sono dunque, per Olivero, “i morti” da resuscitare? Tutti coloro i quali per molteplici vicende, non hanno il governo della propria vita, una folla di esseri umani senza voce,senza volto. Eppure questi “morti”grazie a lui e a tantissimi volontari nei Sermig hanno trovato casa, un luogo dove riposare il cuore. Quest’uomo santo non si stanca mai di abbracciare i nuovi crocifissi che il mondo indifferente ogni giorno abbandona lungo la strada troppo intento alla difesa del proprio benessere, egli li accoglie, da qualunque parte del mondo provengano, dai parchi dove si drogano, dalle stazioni dove trovano rifugio, dai barconi che li fanno approdare sulle nostre spiagge, le ultime per molti di loro. Quando parla di migranti, la voce di Ernesto Olivero assume un tono più accorato “ non lasciamoli nelle mani dei trafficanti ai quali debbono pagare un pedaggio salatissimo, andiamoli a prendere, non facciamoli morire in mare” Ci pensate? Andiamoli a prendere! Bellissimo. Per loro e non solo, ha creato l’Arsenale della Piazza e il Nido del Dia-

logo che accoglie bambini di diverse etnie e coinvolge le loro famiglie in un progetto di integrazione attraverso la formazione. E ancora si appassiona parlando di giovani “ oggi essi sono i più poveri tra i poveri, non hanno più speranza. Noi adulti dobbiamo smettere di accumulare, impariamo a vivere con sobrietà accontentandoci di quanto abbiamo guadagnato e lasciamo spazio a questi ragazzi, sosteniamo i loro talenti e, soprattutto impariamo a chiedere perdono. Che finalmente i figli si riconcilino coi padri, con coloro che non possono più riconoscere come maestri per i cattivi esempi che hanno dato” Per questi giovani gli Arsenali creati da Olivero sono diventati luoghi di spiritualità, di formazione e di servizio, ma anche luoghi in cui trovare disponibilità e ascolto. Dopo tanta bellezza si impone una considerazione riguardo la nostra Chiesa ischi tana; in fondo Ernesto Olivero ci ha narrato come, vivere il Vangelo, aderire ad Esso senza condizioni, permetta a Dio di compiere meraviglie, detto questo viene da chiedersi in quanti ci crediamo davvero a queste parole. Se ci crediamo, basta con i discorsi razzisti e le semplificazioni, apriamo il cuore e le porte all’accoglienza, inauguriamo un tempo nuovo, di resurrezione.


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L'intervista Di Gina Menegazzi

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o ogni giorno scrivo qualcosa; il 4 novembre 2000 scrissi questa preghiera, così, di getto: “Maria, è dai giovani che parte il futuro. I giovani possono prendere il buono del passato e renderlo presente; nei giovani sono seminati la santità, l’intraprendenza e il coraggio. Maria, madre dei giovani, coprili con il tuo manto, difendili, proteggili dal male, affidali a tuo figlio Gesù e poi mandali a dare speranza al mondo”. Pochi giorni dopo ero da Giovanni Paolo II e, siccome un mio amico mi aveva fatto un piccolo poster della preghiera, gliela porto. Il papa dice qualcosa in polacco al suo segretario e questi. “Che vergogna! Abbiamo fatto mille giubilei: dei militari, delle suore, dei bambini, dei vedovi, e ci siamo dimenticati di fare il giubileo della pace!” E guardavano me. E io “Se volete che portiamo qualche migliaio di giovani da Torino, non c’è problema!” Mancavano 20 giorni alla fine del Giubileo. “Eh no, bisogna fare una cosa grandissima: una diretta televisiva, la sala Nervi sarà piena: 10.000 giovani…”. Io chiudo gli occhi, dico un’Avemaria nella mia testa, perché organizzare un Giubileo della Pace in venti giorni…Ho regalato la preghiera al Papa, dicendogli: “Ci accompagna questa preghiera”. Il 22 dicembre il Papa me la restituisce firmata. Io poi mi vergognavo di dire che quella preghiera l’avevo scritta io! Come potevo mettere la mia firma vicino a quella del Papa? Come sono avvenuti gli incontri con Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI? Con Paolo VI, arrivo da Torino senza appuntamento e vado dalle guardie svizzere: “Voglio parlare col Papa”. Mi mandano da monsignor Monduzzi e io gli ripeto: “Sono Ernesto Olivero, devo parlare col Papa, devo dirgli una cosa importante!” E lui: “Caro ragazzo, oggi ci sono almeno 20.000 persone che vogliono parlare col Papa!” e io rispondo: “Con tutto il rispetto, degli altri non mi interessa!” “Lei non ha capito!” “LEI non ha capito! Io devo parlare col Papa!”. Ho parlato col Papa. Anche con Giovanni Paolo II sono andato a Roma senza appuntamento: il giorno dopo mi ha ricevuto. Con lui ci siamo visti 77 volte; al funerale, nella veglia notturna, ho parlato in San Pietro, perché c’era tra noi un’amicizia incredibile. Quando è diventato papa, sapendo che era polacco mi sono detto: “Poverino! Chissà se avrà mai un amico sincero in questo ambiente. Io diventerò

Ernesto e la Madonna Ci racconti come è nata la sua preghiera alla Madonna

amico del Papa, per proteggerlo!”. Quando viene eletto papa Benedetto XVI, i miei amici mi dicono: cosa farai con Ratzinger? E io: “Niente! Un giorno qualcuno mi prenderà per mano e mi porterà da lui.” A fine gennaio 2006 incontro monsignor Giovanni d’Ercole, mio amico, che

m’incoraggia a scrivere una lettera al Papa. Ci prego sopra, la scrivo, e il 3 febbraio la porto a monsignor Harvey, anche lì senza appuntamento. Lui mi riceve subito. Ero convinto che gli avrei dato la lettera e basta. Invece lui “Non vorrei sbilanciarmi, ma lei cosa fa stamattina?” Ho capi-

to che mi avrebbe portato dal Papa. Allora, per non arrivare a mani vuote, vado da Madre Ariberta, con cui avevo un rapporto madre-figlio e che custodiva alcuni libri miei, e lì trovo la preghiera alla Madonna che le avevo regalato. Così porto quella al Papa che la legge e dice “Che bella!” e poi la firma anche lui: “Dio ha scelto lei, signor Olivero, per chiamare la Madonna con un nome nuovo: Maria madre dei giovani”. E poi l’ha firmata anche papa Francesco: tre papi che firmano la preghiera di un povero cristo… E l’icona della Madre dei giovani? A Benedetto XVI ho chiesto un dono: un volto di Maria che potesse chiamarsi “Madre dei giovani”. Ci sono voluti anni, e a un certo punto io ho pensato a un’icona che arrivasse dalla Russia ortodossa, come segno di amicizia e di unità, e che un non credente dovesse aiutarmi. Massimo D’Alema, un amico con cui ho anche un rapporto spirituale, ha fatto giungere un’icona dal volto dolcissimo: la Madonna ha il Bambino in braccio e il dono originale di possedere tre mani. Quella terza mano è un segno di speranza: ci vogliono più di due mani per avvolgere i giovani stanchi e smarriti di oggi.


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lle 6.25 siamo partiti alla volta di Roma per prendere parte a due giorni ricchi di emozioni e belle esperienze. Già dal viaggio in bus si respirava tra noi tutti un’aria di festa e voglia di instaurare nuove amicizie. Alle 12.00 siamo arrivati a Roma e dopo un pranzo nei giardini di Castel Sant’Angelo ci siamo incamminati verso la prima Tenda della Misericordia. Sette piazze nel centro storico di Roma hanno ospitato sette tende che hanno raccontato ai tanti

Il Giubileo dei ragazzi Dal 23 al 24 Aprile si è tenuto a Roma il Giubileo dei ragazzi indetto da Papa Francesco. Da Ischia sono partiti in 55, giovani dai 12 ai 18 anni provenienti da molte delle nostre parrocchie. Il racconto della loro esperienza

Emozionante è stato vedere il Papa passare a poche metri da noi, le sue parole sulla libertà, il coraggio, la fatica, il sogno; mi è rimasto impresso quando ha detto di non “vivacchiare”, di non accontentarci della mediocrità e di chi ci fa credere che la vita è bella solo se abbiamo molte cose. Anna

giovani che vi passavano alcune testimonianze sulle opere di misericordia spirituale e corporale. Il nostro gruppo è riuscito a raggiungere solo due ma entrambe molto significative: nella tenda “Visitare i carcerati” abbiamo avuto la grazia di ascoltare l’esperienza di un ex tossicodipendente e malato di AIDS, Michelino, che ci ha raccontato con molta umiltà e forza la sua esperienza di morte e resurrezione; nella tenda “Visitare gli ignudi” un giovane volontario della Caritas Diocesana Romana ci ha raccontato

Mi riporto con me ad Ischia forti incoraggiamenti: quando si cade bisogna rialzarsi e camminare a testa alta ,” La felicità non ha prezzo e non si commercia; non è una “app” che si scarica sul telefonino: nemmeno la versione più aggiornata potrà aiutarvi a diventare liberi e grandi nell’amore”, l’amore è un dono libero. Rossella

Le tende della Misericordia sono state tappe significative e mi hanno portato a riflettere più a fondo su determinate situazioni, approfondendo temi quali il perdono e l’ essere disponibili sempre verso tutti, anche verso chi non dimostra di averne bisogno! Gaia

come essere accoglienti verso i lontani e verso i molti stranieri e profughi. Al termine della visita, insieme ai tantissimi giovani presenti (circa 70000), ci siamo messi in cammino da piazza San Pietro allo Stadio Olimpico, per la grande festa di musica e testimonianza, con l’esibizione di alcuni gruppi provenienti da varie diocesi e alcune popolari star L’omelia del Papa e le testimonianze ascoltate nelle tende e allo stadio Olimpico mi hanno fatto capire che il Signore dà sempre un’altra opportunità per rialzarci e lottare per realizzare i nostri sogni. “Un giovane senza sogni è come un giovane che va in pensione”. Raffaella

in sé stessi, hanno creato il proprio futuro. Emergeva forte dalle varie esperienze la voglia di non smettere di sognare, di puntare in alto e spendere al meglio il proprio tempo. La giornata di domenica si è svolta in piazza S. Pietro. Alle 10.30 la S. Messa col Santo Padre è stato un momento tanto atteso da tutti. Papa Francesco ha iniziato la sua omelia dicendo: “Il vero amico di Gesù si distingue essenzialmente per l’amore concreto; non l’amore “nelle nuvole. Amare è bello, è la via per essere felici.” Ci parla di libertà quella che tutti noi cerchiamo e ci dice: “Avvertite anche un grande desiderio di libertà. Molti vi diranno che essere liberi significa fare quello che si vuole. Libero è chi sa dire sì e sa dire no. E’ libero chi sceglie il bene, chi cerca quello che piace a Dio, anche se è faticoso. Ma io credo che voi giovani non abbiate paura delle fatiche, siete coraggiosi! Non accontentatevi della mediocrità, di “vivacchiare” stando co-

Quando siamo entrati in Basilica, quello è stato importantissimo perché prima di entrare ero cmq triste, mi stavo facendo prendere dallo sconforto e dalla stanchezza, ma entrando li mi sono ripresa, mi sono sentita accolta, abbracciata e al sicuro, sicura che entrando li, avrei comunque trovato delle risposte a quello a cui pensavo e così è stato. Piera

della musica, come Francesca Michielin, Moreno, Dear Jack, Lorenzo Fragola, Arisa, Rocco Hunt e tanti altri. Il concerto non poteva prendere il suo avvio senza il saluto di un

ospite speciale, il Santo Padre. Papa Francesco nel suo video-messaggio ha tenuto a dirci: “Ragazzi, quante volte mi capita di dover telefonare a degli amici, però succede che non riesco a mettermi in contatto perché non c’è campo. Sono certo che capita anche a voi, che il cellulare in alcuni posti non prenda... Bene, ricordate che se nella vostra vita non c’è Gesù è come se non ci fosse campo!” Il concerto, oltre i vari artisti ha visto la partecipazione anche di giovani che ci hanno raccontato come credendo nei propri sogni ed aspirazioni ed investendo

modi e seduti;” ci saluta dicendoci: “Il vostro programma quotidiano siano le opere di misericordia: allenatevi con entusiasmo in esse per diventare campioni di vita, campioni di amore!” Dopo aver pranzato, è iniziato per il nostro gruppo il pellegrinaggio verso la Porta Santa con la recita del Credo all’interno della Basilica. Un momento emozionante per tutti e di grande responsabilità dopo aver ascoltato le parole del Santo Padre. Alle 17.00 siamo ripartiti alla volta di Napoli con tanta gioia nel cuore, certi di aver fatto una bella esperienza, di aver aiutato concretamente chi tra di noi né aveva più bisogno e di aver instaurato vere amicizie. Il momento più emozionante, è stato quando ci siamo fermati alla tenda “visitare i carcerati” con la testimonianza di Michelino. Questa esperienza mi ha aperto un po di più gli occhi su quali sono i veri problemi che si posso incontrare nel corso della vita e che non bisogna abbattersi ma bisogna chiedere aiuto alle persone vicine, solo in questo modo si possono superare. Antonella


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Di Giuseppe Galano

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l momento di incontro e preghiera è stato molto bello e ricco di spunti di riflessione. Il nostro Vescovo ha donato ai presenti parole molto significative permettendo loro di aprire ancora una volta il cuore per accogliere la Parola di Dio. Quale atto preliminare della serata è stato intonato il canto d’invocazione dello Spirito Santo Invochiamo la Tua presenza. “E’ bello invocare la presenza dello Spirito Santo in mezzo a noi soprattutto quando ci mancano le forze, ci sentiamo deboli, quando non abbiamo motivazioni, quando ci sembra di capire poco e stiamo perdendo il senso delle cose, di ciò che stiamo facendo. Invochiamo la Tua presenza, Signore, perché Tu ci ridia la voglia di accogliere la Tua Parola e ci dia la forza di ricominciare a sognare ed amare”. Dopo aver pronunciato queste parole padre Pietro invita tutti ad ascoltare la Parola del Signore. Il passo scelto per l’occasione è tratto dal Vangelo di Marco (11, 15-19). L’Evangelista ci racconta un episodio alquanto significativo riguardo Gesù. Il racconto potrebbe lasciare interdetti perché ci mostra Gesù diverso rispetto a come siamo abituato a vederlo; non è docile, mansueto, delicato bensì arrabbiato. Egli prova un forte senso di indignazione per ciò che vede dinanzi a se. Si trova nel tempio e si mette a scacciare quelli che vendono e comprano, rovescia tavoli e sedie. “La rabbia è un sentimento da evitare, è pericoloso e figlio dell’orgoglio. Non è questo quello che abita nel cuore di Gesù facendolo diventare quasi violento nel tempio quando rovescia tutto in aria”. Il Vescovo afferma che molti studiosi ritengono che il comportamento di Gesù non sia rabbia bensì un gesto profetico, ad annunciare che è venuto un tempo nuovo e tutto il vecchio sparirà. La religione come commercio, compravendita scomparirà. “Gesù vede ridotto il rapporto degli uomini con Dio ad una compravendita ed è indignato. In Lui vi è una rabbia buona che dovrebbe abitare anche in noi cristiani, soprattutto nei più giovani. Questa rabbia è il contrario della rassegnazione e dell’indifferenza che dilaga sempre più nei nostri cuori”. E’ stato proposto un brano musicale molto bello e significativo, scritto ed interpretato da Roberto Vecchioni, vincitore del Festival di Sanremo nel 2011, Chiamami ancora amore . Il testo esprime un senso di indignazione da parte di chi vorrebbe gridare la propria scontentezza per un mondo fatto di ingiustizia, un

Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perchè saranno saziati Venerdì 22 aprile nella Chiesa Cattedrale di Ischia Ponte si è rinnovato l’incontro mensile tra i giovani isolani ed il nostro Vescovo Pietro

mondo brutto dove sembrano avere la meglio sempre i più potenti sulla povera gente. La canzone aiuta a riflettere su questa beatitudine, Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati.”Da un poco di tempo pensando a voi giovani mi viene la preoccupazione che vi stiamo proponendo un cristianesimo che non vi metta nel cuore fame e sete, un cristianesimo fatto di persone rassegnate, senza ideali, sogni e desideri. Mi preoccupa il fatto che nella Chiesa possiate trovare un guscio di protezione, un fortino e che, entrandovi, vi sentiate al sicuro. Anche questo deve fare la Chiesa, tuttavia occorre poi uscire ed essere come Gesù capaci di provare indignazione per quello che accade”. La canzone di Vecchioni è molto attuale, parla di cose e situazioni di oggi e di speranza. Il testo offre preziosi spunti di riflessione che possono essere riadattati alla beatitudine. “La canzone sembra esortare ad avere fame e sete di giustizia. La canzone, a partire dalla Parola ascoltata, ci invita a questo”. La chiave di lettura del testo di Vecchioni è un invito a partire, lanciarsi e diventare cristiani che provocano perché a loro volta sono stati provocati dal Signore. “Il cristiano è colui che vive un sentimento di indignazione e desideroso di costruire un mondo che sia più giusto, più bello, un mondo come piace al Signore”. Chiamami ancora amore è il ritornello di questa canzone.”Signore fa che non rinunciamo ad amare, che non smettiamo di credere nell’amore”. Mons. Lagnese ribadisce a più riprese che occorre avere fame e sete di giustizia. “L’amicizia con il Signore deve spingerci ad annunciare tutti i giorni questo amore con la nostra vita. Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, beati coloro che desiderano che si realizzi il progetto di Dio, che vivono del sogno di Dio. I cristiani sono coloro che condividono questo sogno”. Egli conclude affermando che Dio realizza questa beatitudine, ciò non vuol dire che tutto sarà messo a posto e nel mondo tutto andrà bene ma che questo continuare a lottare per la giustizia ci renderà persone giuste davanti al Signore. Quale risposta a queste riflessioni è stata proposta la lettura del Salmo 34. Prima della conclusione dell’incontro le belle voci della corale della Pastorale Giovanile hanno intonato il canto Sole di giustizia.


Società 30 aprile 2016

LA STORIA Di Luciana Coppa

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utti hanno pregato perché guarisse e rimanesse tra i suoi cari, ma Dio lo ha voluto aggiungere ai suoi angeli nel Paradiso. Il 21 aprile si sono svolti i suoi funerali, tra il dolore composto della famiglia e gli amici ancora increduli per quanto si stava vivendo in quel momento. Mamma Tina, prima della funzione, ha voluto omaggiare la figura del piccolo angelo Giuseppe ricordando a tutti com’era e in particolare volendo lanciare un suo messaggio d’amore: “Cari parenti, amici, colleghi, conoscenti vi ringrazio tutti di essere qui oggi con noi, in un giorno così triste. Chi mi conosce sicuramente penserà: Tina è impazzita, ma da dove la prende questa forza di stare qui davanti a noi a parlarci di Giuseppe? Beh io vi rispondo che è proprio lui a darmi la forza di stare qui, perché ho un messaggio da darvi da parte sua. E’ da giorni che ci penso, Giuseppe ultimamente mi chiedeva sempre: Mamma, ma tu mi vuoi bene? E io rispondevo: Giuseppe ma c’è bisogno di chiederlo? Certo che ti voglio bene. Infinitamente. E lui si rasserenava. Poi prendeva me e il papà e diceva: Mamma, papà, facciamo un abbraccio di gruppo? La nostra famiglia tutta insieme, sempre insieme. E ci abbracciavamo felici, non sapendo, oppure mi viene il dubbio che lui lo sapesse, che il tempo purtroppo su questa terra stava finendo e quindi ci voleva forti ed uniti per affrontare questo dolore. Io oggi vi chiedo da parte di Giuseppe di essere uniti nelle vostre famiglie e di volervi sempre bene, sempre, perché di tempo non ce n’è tanto e tutto ci sfugge tra le mani. Quindi facciamo un abbraccio di gruppo intorno a Giuseppe e stiamo sempre insieme.

Lo scorso 19 aprile un velo di tristezza è sceso sulla nostra isola, soprattutto sulla comunità foriana, dove abitava il piccolo Giuseppe di soli 6 anni, volato al cielo dopo una breve e intensa malattia.

Il messaggio d’amore di Giuseppe Questo è il messaggio che ci manda il mio piccolo grande Bambino, spero che le sue parole vi siano entrate dentro e vi facciano capire quanto può essere grande il cuore di un bambino, così piccolo. Giuseppe: io e papà siamo stati onorati di averti avuto in dono e di essere i tuoi genitori. Grazie angelo nostro, ti ameremo per sempre. ARRIVEDERCI CUCCIOLO”. Dopo queste profondi parole che toccano il cuore ha preso la parola don Pasquale Mattera, facendo notare all’assemblea come spesso i bambini sono i veri Pastori della Chiesa di Cristo per la loro purezza, la loro semplicità e concretezza, non per niente Gesù amava prendere un bambino e metterlo nel mezzo perché fosse di esempio a chi si crede di essere il grande di turno. Durante la celebrazione tutti i partecipanti sono stati onorati dalla presenza del nostro Vescovo Pietro, arrivato in punta di piedi per dare anche lui l’ultimo saluto al piccolo Giuseppe per il quale ha tanto pregato, mostrando la sua vicinanza alla famiglia e prendendo anche lui la parola prima della benedizione finale, volendo consolare i genitori, Tina e Massimo, donando loro la sua carezza e il suo affetto di Padre. Il tutto si è concluso sulle note della canzone “Vola-

re”, insieme al “Treno dei desideri”, che al piccolo tanto piaceva cantare. Giuseppe, ora sì che stai volando in quel cielo blu come i tuoi occhi, che erano sempre limpidi e sorridenti, chi ti ha conosciuto e visto anche una sola volta non potrà mai dimen-

ticarti. Eri speciale prima, lo sei ancora più ora. Prega per noi da lassù, piccolo angelo di Dio. Ringrazia Dio per noi di averti creato e donato a noi, anche se per così poco tempo. Ci rivedremo nel giorno che il Signore vorrà.

PRIMO MAGGIO

Messaggio CEI, “educare al lavoro”, sia di nuovo “luogo umanizzante”

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ggi più che mai” c’è “bisogno di educare al lavoro e la situazione è tale da richiedere una riscoperta delle relazioni fondamentali dell’uomo. Il lavoro deve tornare a essere luogo umanizzante”. Lo afferma la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, nel Messaggio per la giornata del primo maggio, dal titolo “Il lavoro: libertà e dignità dell’uomo in tempo di crisi economica e sociale”. Il lavoro “in Italia manca”, osservano i vescovi, e questa scarsità “porta sempre più persone, impaurite dalla prospettiva di perderlo o di non trovarlo, a condividere l’idea che nulla sia più come è stato finora: dignità, diritti, salute finiscono così in secondo piano”. Una “deriva preoccupante” legata alla perdurante crisi economica, ad una disoccupazione che colpisce in particolare giovani, donne e ultracinquantenni, e alla cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”. Di qui il richiamo del Papa alla “responsabilità degli imprenditori” formulato nell’Evangelii gaudium e ripreso nel Messaggio al Forum

economico mondiale di Davos; tuttavia, affermano i vescovi, “anche i lavoratori hanno una responsabilità”: il lavoro, che ci sia o meno, “tracima e invade le vite delle persone, appiattisce il senso dell’esistenza, così che chi non aderisce a questa logica viene scartato, rifiutato, espulso”. La responsabilità “che tutti ci troviamo a condividere” è “l’incapacità di fermarci e tendere la mano a chi è rimasto indietro”. Il lavoro – si legge ancora nel testo – deve essere sempre e comunque espressione della dignità dell’uomo, dono di Dio a ciascuno”. Di qui, ricordando anche il monito di Francesco nel discorso per il ventennale del Progetto Policoro, l’importanza di “percorsi educativi per le giovani generazioni da parte delle comunità cristiane”. L’esperienza universitaria “non può soggiacere unicamente” alla logica di mercato; la formazione culturale e l’elaborazione di “esperienze spirituali e morali che plasmino l’identità della persona e aprano ai valori della giustizia, della solidarietà e della cura per il creato costituiscono le condizioni di base per una corretta e completa educazione al lavoro stesso”.


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Chiesa

30 aprile 2016

kaire@chiesaischia.it

Di don Carlo Candido

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l Sacramento della Cresima (o Confermazione) è stato definito spesso come il “sacramento dell’addio” o “sacramento della missione” nell’accezione negativa del termine, in quanto coloro che lo ricevono partono in missione e sembrano non tornare più, partono e danno l’addio alla comunità parrocchiale che li ha generati alla fede. Possiamo giustamente dire che la Cresima sia un sacramento che impregna la realtà quotidiana e sociale che viviamo, perché siccome dovrebbe essere il sacramento della maturità cristiana, essa dovrebbe comportare il passaggio da una fede infantile ad una fede adulta e questo spesse volte diventa un problema di non poco conto. Come infatti l’adolescenza è il “trasloco” della vita umana così la Cresima dovrebbe portarci alla maturità in senso spirituale. E come nella vita infantile siamo continuamente concentrati sulla mamma e sulle altre figure significative esterne a noi mentre nell’adolescenza ci si sgancia da esse, così dovrebbe verificarsi questo anche nel campo della vita spirituale, lasciando la fede “infantile”. Questo sempre più spesso non avviene. Quante volte incontro genitori che mi dicono: “Mio figlio prima pregava, frequentava la Chiesa e adesso non più”, io scherzando aggiungo: “menomale!”, perché finalmente quel figlio non sta rifiutando Dio ma sta vivendo la sua adolescenza nella fede, passando dall’idea di Dio che gli è stata trasmessa ad una esperienza diretta di fede. Deve crescere in noi allora il bisogno di accompagnare questi ragazzi e la pazienza di “perdere tempo” con loro. Quando parliamo di Cresima se non teniamo ben presente queste esigenze, allora stiamo parlando del nulla. Se non viviamo l’adolescenza della

Il sacramento dell’addio

fede saremo infantili anche a 50 – 60 anni sul piano spirituale. Ciò comporta dei problemi anche per la stessa comunità che si ritrova ad avere “adultescenti” incapaci di una fede salda nelle tribolazioni, perché essa resta sempre infantile e debole. La Cresima è stata ridotta per anni ad una sorta di “forche caudine”: bisognava passarci obbligatoriamente sotto per sposarsi. Con questa sorta di imposizione sono stati fatti dei

danni enormi e oggi ne paghiamo le conseguenze. Per troppo tempo siamo stati immersi in una Chiesa troppo “sacramentale” in cui la fede veniva vissuta “a tappe” come se bisognasse accumulare dei punti e ottenere dei premi: 2 – 3 anni per la Prima Comunione, 1 anno (se tutto va bene) per la Cresima, 8 incontri per sposarsi. Abbiamo ridotto la fede ad un master e non c’è più un cammino necessario da vivere, bensì solo ed unicamente tappe. Dun-

que stiamo lavorando a vuoto. Cosa fare? Bisogna iniziare sin da piccoli un percorso che non deve concludersi mai. Le nostre comunità spesso sono inabitabili dai nostri giovani cha fanno tanta fatica a starci; dobbiamo accettare anche questa nostra incapacità. Molti ragazzi quando vengono nelle nostre chiese che ambiente trovano? Che relazioni sono le nostre? Spesso asettiche e fredde, fatte di doppiezze e pettegolezzi, e tali realtà i ragazzi già le vivono quotidianamente a scuola, con gli amici, a lavoro. Quando si affacciano nelle nostre comunità si aspettano di trovare qualcosa di diverso ma così non è. Il vuoto educativo parte dalle loro stesse famiglie dove non si insegnano più i valori cristiani e dove non c’è più testimonianza di fede viva e concreta. Parlare del sacramento della Cresima come sacramento dell’addio è più che giusto ancora oggi. La giovinezza è un periodo ricco di domande esistenziali e noi le disattendiamo; le domande ridestano il cuore e la vita, mentre oggi ai ragazzi continuiamo a fornire solo nozioni e dottrine ma nessun incontro reale. Non dobbiamo dimenticare che cristiani non si nasce ma ci si diventa! Bisogna fare un serio percorso per mettersi in cammino o non lo si diventerà mai. Come amo dire: uomini si nasce ma lo si diventa, e cristiani non si nasce ma lo si diventa. La Cresima è una tappa da non vivere con fretta e sotto costrizione, perché rischiamo di avere cristiani che poco dopo si allontanano da Dio e navigano da soli nel mare tempestoso della vita. Giovan Giuseppe Lubrano


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Parrocchie 30 aprile 2016

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PARROCCHIA DI SANT’ANTONIO DA PADOVA – CASAMICCIOLA TERME

Dal corso di cresima è nata una forte amicizia L’esperienza di diciannove ragazzi che hanno ricevuto il sacramento della confermazione a Casamicciola Terme. All’inizio erano perfetti sconosciuti, poi attraverso il dialogo e la conoscenza reciproca è nata una profonda amicizia Di Sharon Galano & Angelo Soria a nome dei 19

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a Cresima è un passo importante. Ho vissuto a pieno l’intero percorso e alla fine di ogni incontro mi sentivo sempre in pace con me stessa e con gli altri”. “Tutto è iniziato con un ‘si deve fare? E facciamola’. Non ci avrei scommesso molto sul risultato ottenuto. Invece è stato un tripudio di emozioni e commozione”. Questi sono i pensieri di chi domenica 17 aprile ha confermato il proprio Sì al cospetto di Cristo e della Chiesa. Nell’immaginario collettivo il sacramento della Cresima è il “segno” più sottovalutato, l’antefatto del matrimonio. In realtà stiamo parlando di ciò che ci rende perfetti cristiani. Non a caso la definizione esatta è Confermazione, perché la Cresima conferma e rafforza la Grazia che abbiamo ricevuto nel battesimo. Una doverosa premessa questa che accresce l’effetto, ma soprattutto l’importanza e l’estasi ricevuta nella bellissima funzione tenutasi presso la Parrocchia di Sant’Antonio da Padova in Casamicciola. Eravamo in diciannove ad acco-

gliere lo Spirito Santo attraverso l’olio crismatico imposto dal Vescovo Pietro. Sei sono stati i mesi di corso. Numerose le testimonianze, da Chiara Luce ai racconti di quanti nella comunità hanno avuto l’onore di incontrare Cristo. Tutto è iniziato ad ottobre, con chi diceva “Si deve fare, se ci vogliamo sposare” e con chi “ma sì ci conviene, facciamola tutti insieme perché siamo una famiglia”. C’erano i due pasticceri, i proprietari di un B&B, le due sorelle, i due fratelli, la famiglia con papà, figlio e figlia, i diversi promessi sposi e una madonna di cognome, ma non di

LA LAVANDA DEI PIEDI DEL GIOVEDì SANTO

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ignificativa la partecipazione di alcuni cresimandi alla Lavanda dei piedi del Giovedì Santo, per la prima volta anche con donne. E’ stata un’altra esperienza del cammino fatto dai cresimandi e dalla comunità parrocchiale che ha gradito molto il gesto!

nome. Sembra il preludio di una storia corale, di quelle scritte a quattro mani da autori messi lì ad improvvisare su possibili colpi di scena. Questa invece è la realtà di diciannove sconosciuti che, pian piano, sono diventati amici. Forse sarebbe inutile aggiungere altro, perché in fondo la cresima c’è stata, tutto si è compiuto. Ma, in realtà, quella che poteva essere la fine è diventata uno splendido inizio. Ecco, abbiamo raccontato a grandi linee l’incipit e la fine di questa avventura. Ma a rendere veramente avvincente un racconto sono i det-

tagli. Perciò vi diremo di quella volta che una parrocchiana in dolce attesa trovò il tempo per parlarci del suo riavvicinamento alla chiesa. Vi racconteremo di quel carcerato proveniente dall’Asia che ha incontrato Cristo grazie al sorriso di un volontario. Vi diremo di come abbiamo imparato a soppesare con fede le parole del Vangelo e ad ascoltare i nostri reciproci silenzi. Vi diremo, vi diremo, ma forse non vi diremo mai abbastanza. Faremo, perché solo così vi diremo tutto davvero. Confidiamo nei gesti di ogni giorno, nella misericordia che era dentro di noi e che adesso riluce senza richiederci il minimo sforzo. Viviamo ora le parole del Papa e del Vescovo Pietro sulla nostra pelle: “Senza Cresima si è Cristiani a metà” ed è necessario “rafforzare il concetto di continuità Battesimo-Cresima, un percorso lungo, tortuoso ma illuminante”. I nostri talenti, rafforzati dai setti doni dello Spirito Santo, sono ora al servizio di un bene più grande. Un ringraziamento speciale a Don Gaetano, a Tonia, ad Anna, a Rosario, al coro e a quanti hanno reso speciale il corso e la cerimonia della cresima.


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Di Francesca Annunziata

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essuno, tra gli eventi periodicamente organizzati, riesce più di “Andar per sentieri” a riassumere perfettamente due concentrici aspetti dell’isola d’Ischia: il mare e la montagna. La macchia mediterranea ivi presente porta il visitatore a dimenticare che quel paesaggio verde, a tratti fitto, è circondato dal mare. E quegli stessi boschi, ancora così poco conosciuti anche a chi pensa di conoscere ogni angolo dell’isola, sono stazioni di molti uccelli migratori, che affiancano la già variegata fauna locale. Acqua, sorgenti, vegetazione, sono, tuttavia, anche agli occhi dei meno esperti una testimonianza delle diversità biologiche dell’isola, e “Andar per sentieri” vuole sottolineare l’unicità dell’isola: è in questo evento fatto di amore per la natura e per la propria isola, in cui converge l’impegno di ben otto diverse associazioni locali, ossia Associazione Amici di Piazza Maio, Epomeo in Sella, Pro Loco Panza, Cai Isola d’Ischia, Associazione PIDA, Federalberghi, e in particolare l’Associazione Nemo, impegnata socialmente per la salvaguardia della natura locale, e Strade del Vino e dei prodotti tipici, che si fa promotrice della gastronomia tradizionale dell’isola. Obiettivo di questo evento, che gode del patrocinio dei sei Comuni isolani e che si colloca in un ottica di turismo ecosostenibile, è quello di (ri)scoprire la biodiversità e la geodiversità di un territorio ricco di storia, che ancora adesso offre, letteralmente, nuovi sentieri. Piace definirlo evento, per l’attrazione e l’interesse che riesce a riscuotere tra i residenti appassionati di natura e i turisti alla ricerca di esperienze che poco abbiano a che fare con le terme, ma quella di ‘andar per sentieri’ è una manifestazione a tutti gli effetti, se si pensa al fatto che la comunità lavora e si impegna per promuovere il territorio, organizzando molte escursioni e distribuendole, quest’anno, nella settimana dal 24 aprile al 1° maggio, dove esperte e professionali guide accompagneranno i visitatori alla scoperta dei ‘vecchi’ sentieri e, magari, alla scoperta di nuovi, muovendosi nella natura incontaminata alla scoperta dello intima natura dell’isola, lontana materialmente e spiritualmente dalla folla cittadina. Ad inaugurare la manifestazione di quest’anno, domenica 24 aprile, è stata l’escursione da Serrara al Fango, che prevede la ‘traversata’ di ben tre comuni, che conduce al bosco di castagni della Falanga, dove è possibile appunto ritrovare le ‘case

territorio

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Andar per sentieri, un connubio di storia, natura, geologia e mito Sette giorni alla scoperta dei più affascinanti percorsi di Ischia. La manifestazione, che vede coinvolte diverse associazioni locali, ha come obiettivo promuovere il territorio attraverso percorsi geologici-culturali nuovi e alternativi

di pietra’, le ‘fosse della neve’, che niente altro sono che i rifugi scavati nei massi di tufo venuti giù dal monte Epomeo; si arriva fino al ‘Pizzone’, passando dal verde della pineta alla totale mancanza di vegetazione, dovuta alla presenza delle fumarole. A ruota, è il caso di dirlo vista la località della seconda escursione, è stata “Celario, Montecito e Crateca: la via dell’Allume”, nel comune di Lacco Ameno, lungo la via dei carri, così chiamata perché metteva in comunicazione i luoghi di estrazione dell’allume con quelle in cui questo veniva lavorato. Escursione, questa, ha una nota di gusto, in quanto alla fine della visita ad attendere gli escursionisti dopo la passeggiata tra alberi, piante e crateri, c’erano i migliori vini locali. Il 25 aprile, secondo giorno di tour, il percorso vedeva gli escursionisti andare da Casamicciola a Fiaiano attraverso il Bosco della Maddalena, sullo sfondo di un suggestivo scenario offerto da quello che è un antico sentiero vulcanico. La quarta escursione programmata, invece, il Sentiero dell’Eremo, che conduce al bosco dei Frassitelli, una macchia di acacie e licheni, nonché fino alla Punta di San Nicola, considerato il punto più alto dell’isola. Dopo tanta geo-ecologia, c’è stato spazio anche per l’archeologia nell’escursione del 27 aprile, Panza tra storia e

natura, alla scoperta della Baia della Pelara, un geosito circondato da boschi di querce, lecci e corbezzoli, che porta alla Baia di Sorgeto. Successivamente, l’escursione “Vatoliere- Campagnano”, che porta al versante sud/orientale dell’isola, da cui si vede il bellissimo panorama del golfo di Napoli, lungo la ‘Scarrupata’ di Barano, fino ai vigneti di Campagnano, dove si produce del buon vino locale, basti pensare al Biancolella. Tappe del percorso, il Monte Vezzi, e, appunto, Piano Liguori. Punto finale, la Baia di Cartaromana, dove sono ancora oggi visibli i resti dell’isola sommersa, la romana “Aenaria”. “Nella bocca di Tifeo”, escursione programmata nella giornata del 29 aprile, è invece caratterizzata dal mito: la partenza è da Monte Corvo, lungo un tratto di strada dove è possibile trovare, intorno ai vigneti, le parracine, il tipico impianto locale di muro a secco, oltre che antiche cisterne scavate nel tufo. La roccia caratterizza questo luogo, anche se man mano ci si immerge in una fitta vegetazione, che porta man mano alla scoperta del mito di Tifeo, che, come vuole la leggenda, giace al di sotto dell’isola, e le sue lacrime colano nelle acque termali. Penultima escursione è ‘Fiaiano-Nitrodi, tra sorgenti e vulcani’, che lungo i suoi 6 km, porta ad osservare i pa-

norami di Napoli e delle isole flegree da un punto di vista tutto nuovo, che ha il suo culmine nelle terme di Nitrodi, famose in ogni dove per i benefici poteri delle sue acque. A conclusione, “Da Serrara al Fango, attraverso le case di Pietra”, si chiude così come si è cominciato, anche per bene augurio per la seconda ‘edizione’ annuale della manifestazione, prevista ad ottobre. Tra l’altro, la novità di quest’anno è la festa a Tenuta Crateca, in località fango, con prelibatezze gastronomiche. Dopo questo giro di escursioni, la prospettiva con cui si guarda all’Isola di Ischia cambia radicalmente: “Andar Per Sentieri” porta alla scoperta e riscoperta di un territorio che mai smette di emozionare e meravigliare, e che in questo periodo, dopo l’autunno, ha il suo massimo splendore. “Andar per sentieri” è una manifestazione temporalmente giovane, ma che sembra già una istituzione, e questa grande considerazione di cui gode lo si deve al fatto che porta con se un ricchissimo bagaglio, offerto dalla stessa isola, che presenta delle strette connessioni tra geologia, archeologia e natura, che portano alla riscoperta del territorio. Per un esperienza che porta ad emozionarsi davanti agli stessi panorami, guardando però da un nuovo punto di vista.


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territorio

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TRA ISCHIA IN 3P E

…Dacci oggi il nostr

Viaggio ideale nel variega simbolo per eccellenza d

Di Francesco Mattera

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i propongo un’immagine del passato: una tavola imbandita in maniera sobria, per non dire povera, intorno alla quale è riunita un’intera, numerosa famiglia: Il nonno patriarca a capotavola, i due genitori al suo fianco ed un nugolo di figli a scalare, grosso modo di due in due anni. Dell’età dai sei anni del più piccolino, letteralmente assiepato nel gruppo, ai 18- 20 anni del più grande. Uno o due gatti al pascolo sotto ed intorno al tavolo. Si mangia di gusto, anche se le pietanze sono semplici ed anche se qualcuno dei ragazzi non si lamenti per partito preso per un gradimento non in linea con i suoi gusti. Il papà, in piedi, taglia a fette una grossa pagnotta tenuta saldamente ferma tra il costato ed il braccio sinistro, non si da conto del bianco farinaceo che si deposita sulla camicia, e passa le belle fette, regolari e fragranti all’anziano nonno che distribuisce, in silenzio solenne secondo una ritualità antica, mistica e stratificata nel ricordo delle generazioni succedutesi nel tempo. Far-

fuglia l’anziano, con la bocca del tutto sdentata, una indecifrabile nenia e non si lascia distrarre dalle smanie dei più piccoli. Gli occhi bassi sul pane. Le parole quasi mute gonfiano alternativamente le stanche guance e muovono i bianchi mustacchi indorati dal fumo quotidiano di una pipa di terracotta, fedele sua compagna. Si segna infine con la croce. Ritorna infine l’allegria del desco, il parlare sovrapposto, incrociato, puerile più che mai perché non disturbato da niente. I battibecchi innocenti dei ragazzi. La mamma che andiriviene tra tavola e cucina e serena distribuisce. Le lamentele di quelli che reclamano una razione più abbondante. I piccoli trucchi del furbetto posto a metà della scala anagrafica per sottrarre di soppiatto qualcosa che suo non è, e cosi via. Poi succede qualcosa di imprevisto: finiscono le fette del pane ed uno dei ragazzi si alza in piedi, afferra la pagnotta e ne taglia una fetta. Ripone poi ciò che resta, ma distratto sbaglia il verso: sottosopra, al rovescio! La cosa non sfugge al nonno che rapido rimprovera il ragazzino e gli comanda di riparare il malfatto. E lo fa con autorevolezza, senza astio. Silenzio assoluto. Poi il ragazzetto che risolve a capo

chino e rimette il pezzo di pane nel modo giusto. Non ci sono spiegazioni, non c’è ombra di turbamento né rancore alcuno in nessuno. E’ solo una normalità ristabilita, che però nasconde sentimenti condivisi su un bene – il pane - rispettato nella sua essenza sacrale che da sempre accompagna la vicenda dell’umanità sulla madre terra. Ritorna infine il vociare interrotto solo dall’esercizio del gusto apprezzato all’unanimità per l’ultima pietanza distribuita. Ecco, care amiche ed amici di Kaire, ho voluto proporvi questa immaginetta che non so nemmeno io come definire. Vi dico però che non è frutto di fantasia. E questo basti. Del resto chi come me non è più giovanissimo, probabilmente potrà raccontarvi cose non molto dissimili che ha vissuto in prima persona. Posso aggiungere anche altre cose: come ad esempio il rispetto assoluto per il pane si spingesse (e spero che ancora oggi vi sia qualcuno che nutra gli stessi sentimenti e modi di fare!) al punto di raccogliere quello inavvertitamente caduto per terra di ripulirlo ben bene - quando fosse possibile - di baciarlo e poi comunque mangiarlo. Mentre in caso di impossibilità a farlo - perché troppo

imbrattato - di segnarsi con la croce, recitare un Pater e poi di destinarlo agli animali da cortile. E poi, briciole raccolte sistematicamente e diligentemente dalla donna di casa, il pezzetto dato al cane, inteso come aggregato al nucleo familiare, solo che si fosse certi del suo consumo. Il non negarlo a nessuno che lo chiedesse non avendone la possibilità, e quindi in piena e totale condivisione. Anzi dandolo senza clamore, non richiesto, con discrezione, quando si percepiva l’indigenza nel vicino di casa E così via. Ecco, le cose che vi ho narrate ci riportano ad un uso veramente etico e consapevole del pane. Bene primario per antonomasia per l’umanità. In quanto soddisfa una cosa che il primario – ovvero l’indispensabile – lo genera in prima istanza come bisogno. Voglio dirvi - cari amici - che non esiste un bene primario se alla fonte, alla base, non esiste un bisogno che sia tale. Nella scala dei valori per l’umanità questo tratto è - per così dire - fondamentale. Questa distinzione vi apparirà più logica e lineare nel seguito di questo ragionamento. E veniamo ai giorni nostri. Opulenza è la parola che mi salta in mente, pensando ad oggi.


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E MADE IN ISCHIA

ro pane quotidiano

ato mondo dell’alimento dell’umanità.

Da opulenza, come in un gioco per bambini, si può passare a sovrabbondante. Da questa poi a spreco. E da spreco a non uso. Ed il passo è breve per giungere alla parola sufficienza di comportamento, condita da negligenza. E tutte insieme, queste parole ed altre che non mi sono venute in mente, portano da un grande contenitore che io voglio chiamare egoismo. Il significato comune lo intuite bene. Ma se volete consultate pure un dizionario e avrete anche il senso più esteso di questa parola. Devo però, a questo punto, darvi e dirvi qualcosa di più. Qualcosa che dia una traccia della concretezza del ragionamento. E vengo subito al dunque: facciamo tutti – almeno lo spero - la raccolta differenziata. Nei giorni in cui si consegna l’umido – nel comune di Ischia lunedì, giovedì e sabato - non è raro vedere nei sacchetti trasparenti grossi pezzi di pane, in alcuni casi addirittura pagnotte intere ancora nelle pellicole di cellophan. C’è da riflettere di brutto! C’è da indignarsi ancora di più! E l’antitesi del consumo etico, è lo schiaffo cocente alla miseria, alla fame che serpeggia nel mondo, e non dico altro. Quando poi la scena si ripete più e più volte, ti andreb-

be di indagare, di sapere chi, come e perché lo fa. Se poi incroci la tua esperienza con quella di altri, ti accorgi che il fenomeno è diffuso. Io dico che è una piaga che dovrebbe indignare tutte le persone di buona volontà e far correre ai ripari. C’entra la psicologia, eccome! Una traccia potrebbe essere questa: la compulsione a comprare pane anche quando si è certi di non consumarlo interamente o niente affatto, è un retaggio ancestrale, antico deposito nella memoria dell’uomo. L’istinto della sopravvivenza richiama in maniera prepotente l’angoscia della fame e innesca irresistibile l’impulso ad avere la disponibilità di qualcosa decodificato come sempre necessario, di cui non si deve avere la percezione della mancanza o della insufficienza. Ecco che si compra anche sapendo che poi si butterà via nei rifiuti, in parte o in tutto. Oggi porto a casa e sono rassicurato. Domani butto via e non ho rimorsi, ma costituisco una provvista che già so che domani non sarà più tale. Dico domani, anche se qualcuno obbietterà : ma quando mai, io compro ogni due giorni! Ma non dice che ogni due giorni butta tuttavia qualcosa di non consumato. Poi

deve far riflettere una sfumatura sottile che non mi va di far passare per positiva. Ecco cosa è dato sentire da persone in perfetta buonafede, ma solo in parte, perché la distorsione di base - l’acquisto non necessarioc’è e rimane sempre: “… io il pane che avanza non lo butto, lo do in pasto a galline e conigli che cresco per uso familiare”. Altri ancora: “Io non ho né galline né conigli e né maiali, ma il pane che avanza (intere buste a settimana!) li do a tizio che in campagna ha gli allevamenti, e così faccio una cosa buona per lui e per me…, ogni tanto mi da delle uova!” Bene, vogliamo assolverle queste persone? Solo in parte! Riflettiamo e facciamo delle distinzioni: se si tratta di pezzettini di pane, che in totale rappresentano una parte molto piccola del totale acquistato, lo si accetta pure. Diversamente - pagnotte intere o quasi - per una quantità notevole e regolare nel tempo - è comunque un vero è proprio sacrilegio. E basta poco per dimostrarlo: Per gli animali esistono gli alimenti per gli animali, che sono diversi da quelli per il consumo umano. Pur nel dovuto e necessario rispetto per gli animali, le due cose non possono e non devono essere confuse. Vi do appuntamento, cari amici lettori, al prossimo numero di Kaire per continuare in questo ragionamento. Tenterò di inquadrare il problema nella traccia della Laudato si’ di papa Francesco. Di come un uso il più etico possibile del pane, possa tradursi in atti concreti di solidarietà verso i meno fortunati, gli affamati del mondo. Poi, se ne avrò la forza, daremo uno sguardo in quello che avviene ad Ischia, nell’universo nottambulo dei forni e panifici della nostra terra di Ischia.

CI SCRIVONO… Gentilissimo direttore, volevo ringraziarLa a nome degli amici del giardino dell’amicizia per lo splendido articolo pubblicato su Kaire del 23 aprile a firma di Franco Mattera. È stata con grande emozione che abbiamo comprato e letto l’articolo. Abbiamo guardato le foto che hanno colto la spontaneità e la felicità di una bella giornata, nel giardino dell’amicizia, all’insegna dell’integrazione e della multiculturalità, in uno scambio con gli alunni della scuola media di Barano accompagnati dalle docenti e dalla DS Maria Rosaria Mazzella. Grazie al nostro amico Franco Mattera che risponde sempre con allegria e professionalità ai nostri SOS. Con la sua sensibilità ha saputo cogliere lo spirito con cui abbiamo preparato questa giornata. Grazie per l’ospitalità e...arrivederci a un prossimo incontro. Erminia Della Corte


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La Storia siamo Noi 30 aprile 2016

Di Antonio Lubrano

I

l calzolaio sull’isola è un altro mestiere artigianale quasi del tutto estinto. C’è forse ancora una traccia a Sant’Angelo, ma solo per confezionare sandali estivi per i turisti. Oggi le scarpe, al primo segno di usura vengono buttate via e non più portate dal calzolaio. Per questo il ruolo del calzolaio di paese non ha più ragione di esistere. Si è perso il concetto della riparazione del proprio paio di scarpe perche si hanno mezzi per comprarne subito un altro paio fra i modelli a scelta, E’ l’effetto del progresso, della buona economia, dove la crisi c’è, ma in pochi l’avvertono. E’ l’effetto anche della cultura dello spreco, della baldanza di non curarsi della spesa, del piacere di apparire con le scarpe nuove, della vanità di ostentarle provando la soddisfazione di averle cambiate subito. Insomma, tanta roba per affondare una categoria, quella del calzolaio, che fino a ieri aveva fatto la storia di un mestiere apprezzato nella sua continuità e semplicità. Oggi le nuove generazioni dell’isola, si domandano chi è il calzolaio? Il calzolaio è un artigiano che realizza e ripara scarpe ed accessori quali borse, cinture ed abbigliamento in pelle. Il loro lavoro è per lo più concentrato nella riparazione. Si va dalla sostituzione del soprattacco fino alla risuolatura completa in cuoio nonché, grazie alle nuove tecniche di incollaggio, la sostituzione dei fondi completi delle scarpe da trekking (scarponi da campagna e da montagna) e delle calzature di tutti i giorni che hanno un fondo in gomma. I materiali che utilizzano di più sono il cuoio, la gomma e la pelle. La maggior parte dei calzolai che creano scarpe su misura utilizzano forme in legno o più comunemente in materiale plastico. Ricavano direttamente dalla forma il modello. Una volta estrapolato creano il modello in cartone di fibra per poi successivamente realizzare la tomaia. Ad Ischia, dagli anni ‘30 fino ad un decennio fa si è avuta una gamma di calzolai di tutto rispetto. L’ultimo dei calzolai ischitani che ha retto nel mestiere con servizio e passione è stato Ciro Ferrandino, della zona di San Ciro in via delle Terme a porto d’Ischia, scomparso di recente a 81 anni.“In tutta la mia vita ho riparato milioni di scarpe. Ma oggi il mio è un mestiere destinato a scomparire”, aveva dichiarato Ciro prima di chiudere un’attività che aveva amato tanto e con la quale

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I calzolai ischitani Un’altra categoria del buon artigianato che l’isola d’Ischia ripone nel libro della sua ricca storia.

L'UTIMO CALZOLAIO AD ISCHIA CIRO FERRANDINO NEL LA SUA BOTTEGA DI VIA DELLE TERME POCO PRIMA DI MORIRE

EMANUELE SPECIALIZZATO IN SANDALI PER TURISTI

aveva ridato vita a sandali e mocassini, imparando i trucchi del mestiere da Umberto De Luciano, altro storico calzolaio di Porto d’Ischia con bottega nella centralissima via Roma dove poi è nato l’accorsato negozio “Calzature Umberto” oggi rimodernato e rilanciato. Nella stessa strada negli anni ‘30 si ricorda il calzolaio Pilato detto ‘U Lupo, negli anni ‘40 il calzolaio Biagio Vottola personaggio intraprendente che trasformò il suo laboratorio in discreto calzaturificio dove si confezionarono i primi sandali e i primi mocassini per quel tempo. Biagio Vottola, amico di Vincenzo Telese, partecipò come candidato al consiglio comunale di Ischia nel ‘46 con successo. Infatti fu eletto consigliere mentre Telese vincendo le elezioni, divenne sindaco d’Ischia. Erano entrambi giovani: Telese continuò a fare il sindaco di Ischia per oltre venti anni, Biagio Vottola con la famiglia emigrò in Argentina sistemandosi a Mar del Plata, dove fondò la Federazione degli italiani col nome di “Casa d’Italia”. Ricordiamo ancora negli anni ‘50 e ’60 lungo via Roma e fino alla chiesa di San Pietro, altri tre calzolai: Aniello Messina, un altro Aniello e Mastu Pierino Corsi. Il primo Aniello era specializzato nella realizzazione di sandali, il secondo viene ricordato dedito al suo lavoro fino alla fine dei suoi anni; Mastu Pierino invece fece il salto di qualità con l’apertura di un nuovo negozio di scarpe, ancora oggi in piena attività e gestito dalla figlia maggiore. Ad Ischia Ponte, ricordiamo negli anni ‘40 e ‘50 Mastantunino con la sua bottega in via Luigi Mazzella nei pressi del vecchio piscinale, seguito da Mast’Andrea in via Giovan Battista Vico, da Tore ‘O Stuorto in via Luigi Mazzella, Peppino Buono in via Seminario, Ciccio Colonna in vico Marina e poi anch’egli in via luigi Mazzella. Un’altra trentina di Calzolai erano in quegli anni sparsi per il resto dell’isola, smettendo l’attività negli anni ’70. Chi ha raccolto il testimone, ma solo per dedicarsi al commercio delle scarpe, oggi si ritrova a gestire moderni magazzini di calzature per uomo-donna bambini con modelli di scarpe sofisticate e costose. antoniolubrano1941@gmail.com


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La Storia siamo Noi

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il punto

Anche i calzolai hanno i loro Santi Patroni:

San Crispino e San Crispiniano Di Michele Lubrano

N

ella storia si incontrano numerosi esempi di Santi e uomini illustri che esercitarono il mestiere del calzolaio: fra di loro il filosofo Simone d’Atene, allievo di Socrate; Giacomo Pantaleone, che fu prete e patriarca di Gerusalemme e Papa con il nome di Urbano IV, fece grandi riforme e istituì la festa del Corpus Domini; Michele Enrico Buch, detto il Buon Enrico; Sant’Aniene, che fu calzolaio in Alessandria d’Egitto e naturalmente i SS.Martiri Crispino e Crispiniano, patroni della categoria e nobili romani che predicarono la Religione Cristiana nelle Gallie subendo il martirio a Sousson nel 287 per ordine dell’Imperatore Diocleziano. Due calzolai intenti al loro lavoro: così sono raffigurati i Santi Crispino e Crispiniano, perchè la storia del martirio attribuisce loro questo mestiere. Da secoli, per questo, i calzolai li venerano come loro patroni in tante parti d’Europa e naturalmente anche ad Ischia, anche se in passato non tutti i calzolai ischitani conoscevano la vita di questi loro santi protettori. Ad esempio a Ischia Ponte il solo Mastantunino ne era a conoscenza, uno dei pochi che nel Centro Storico comprava e leggeva tutti i giorni il giornale. I Santi calzolai Crispino e Crispiniano vengono ridcordati dalla Chiesa il 25 ottobre. Essi erano due fratelli di origine romana appartenenti ad una famiglia aristocratica che, ad un certo punto della loro vita, si convertirono al cristianesimo e si dedicarono al Signore, diffondendo il Vangelo. Secondo la tradizione, di giorno predicavano e pregavano Gesù mentre di notte lavoravano come calzolai. Si narra che quando ormai l’impero romano stava crollando e i contadini fuggivano all’incalzare delle orde di Attila, San Crispino e San Crispiniano una notte di Natale, tremanti di freddo, bussarono alla porta di una misera casupola di Crespy en Valois. Comparve una donna in lacrime e con voce rotta dai singhiozzi narrò che pochi giorni prima suo marito era stato ucciso dai Vandali. Ora le rimaneva solo un bambino di due anni che piangeva in una culla. I due Santi, commossi, andarono ad ab-

Il miracolo dei due sandali trasformati in pepite d’oro – Il grande Totò calzolaio nel film San Giovanni decollato.

ANTICA FORMA PER LA CRERAZIONE DI SCARPE NUOVE

calzolaio aggiusta scarpa

SAN CRISPINIANO CALZOLAIO E PROTETTORE DELLA CSTEGORIA

VECCHIO BANCARIELLO

battere un albero nel bosco vicino e intagliarono due rozzi sandaletti che posarono davanti al focolare spento. Poi si inginocchiarono in preghiera. Ed ecco che miracolosamente i trucioli che avevano gettato nel camino si misero a danzare e a brillare.

Non erano più trucioli di legno, ma pepite d’oro. E così Crispino e Crispiniano furono proclamati patroni dei calzolai. Rimangono vivi tutt’oggi i festeggiamenti in onore di San Crispino con una Messa celebrata ogni anno il giorno 25 Ottobre nella

Chiesa di San Domenico ad Acquaviva delle Fonti dove è custodito il quadro del Santo. Nel Cinema il solo Totò ha interpretato la parte del calzolaio canterino nella vecchia pellicola “San Giovanni Decollato”.


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Seguiamo Francesco 30 aprile 2016

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ALLA MARIAPOLI ROMANA DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI Di Lorenzo Russo

U

na sorpresa gradita e speciale. Un pomeriggio storico per il Movimento dei Focolari di Roma che, insieme ad Earth Day Italia ha organizzato il villaggio per la Terra, costruito per quattro giorni nel cuore di Roma, per mostrare il volto nascosto della Città eterna, quello che ogni giorno tesse senza clamore reti di solidarietà, dialogo interreligioso, convivenza, con iniziative spesso troppo piccole per attirare l’occhio dei media ma che sono piccoli mattoni dell’edificio della civiltà. “Dopo le ferite di Roma Capitale, corruzione e inchieste varie, non potevamo stare a guardare e leccarci le ferite – commentano Antonia Testa e Donato Falmi, corresponsabili del Movimento dei focolari di Roma – ma sentivamo il bisogno di fare rete fra le varie associazioni di volontariato che ogni giorno lavorano per il Bene di questa città. Dovevamo far sentire al mondo che esiste una rete silenziosa di solidarietà che è la stragrande maggioranza dei romani, che usa misericordia, parsimonia, tenerezza, per costruire una città migliore”. Papa Francesco, che conosce bene le Mariapoli fin da quando era sa-

Il Papa: rendete il deserto una foresta È stata una visita a sorpresa quella che Papa Francesco ha compiuto domenica 24 aprile al “Villaggio per la terra”, la manifestazione in corso al Galoppatoio di Villa Borghese a Roma, organizzata da Earth Day Italia e dal Movimento dei Focolari di Roma. Vi ringrazio, ha detto il Papa alle migliaia di persone presenti, perché trasformate il deserto in foresta

cerdote in Argentina, aveva saputo dell’evento romano e ha deciso di fare un’incursione di misericordia. In questo Villaggio, Papa Francesco è arrivato poco prima delle 17 di domenica 24 aprile, immergendosi nella folla di circa 10.00 persone che lo ha accolto con affetto, sulle note del “Gen Verde”, la band dei Focolari, rappresentati dalla presidente, Maria Voce, e dal copresidente, Jesus Moran, oltre che dalle migliaia di persone che in questi giorni partecipano all’esperienza della Mariapoli. Sul palco anche padre Maurizio Patriciello, parroco di Caivano (Napoli) e paladino della lotta contro l’inquinamento del suolo nella Terra dei Fuochi. “Siete persone che fanno sì che il deserto diventi foresta”, ha detto il Papa, che ha ringraziato le persone

LA VISITA A LESBO

Il corridoio umanitario delle diocesi italiane

G

hi sono i 12 siriani musulmani che il Papa ha portato con sé a Roma dopo la giornata di dolore trascorsa a Lesbo? Sono persone come noi, fuggiti dalla propria terra con i bimbi, a causa della guerra. Sono tre famiglie, una di cinque, un’altra di quattro e infine una di tre componenti i 12 profughi siriani, di cui 6 minori, che il Papa ha fatto salire sul suo aereo per portarli a Roma. I loro nomi sono stati scelti dalla Comunità di Sant’Egidio, impegnato con la Chiesa valdese in Italia sul fronte dei corridoi umanitari, tra le migliaia di persone ospitate nel campo profughi di Kara Tepe a Militene (Lesbo). I 12 sono ospitati dalla Comunità di Sant’Egidio a Roma. Quando l’aereo è arrivato a Roma, sabato 16 aprile, il Papa ha aspettato che i siriani fossero scesi a terra e poi ha stretto la mano a ciascuno di loro. Hasan e Nour sono due sposi, entrambi ingegneri di Damasco, con

il figlio di 2 anni. Vivevano in una zona periferica della capitale, Al Zapatani, molto a rischio perché viene bombardata continuamente. Insieme al bambino sono fuggiti verso la Turchia, dove hanno preso un gommone per arrivare a Lesbo. Ramy e la moglie Suhila, entrambi cinquantenni, hanno tre figli. La famiglia viene da Deir Azzor, la zona conquistata dal Daesh. Lui era insegnante, lei sarta, e sono fuggiti perché la loro casa è stata distrutta. Sono arrivati in Grecia nel febbraio 2016 passando per la Turchia. La terza famiglia è quella di Osama e Wafaa e dei loro due figli. Vivevano in una frazione di Damasco, Zamalka, la loro casa è stata bombardata. La mamma ha raccontato che il bambino più piccolo si sveglia tutte le notti, è terrorizzato da qualsiasi cosa, e aveva smesso per un po’ di tempo anche di parlare. Ora stanno tutti bene. I bambini finalmente riescono a dormire la notte. La speranza

per il loro impegno espresso a vari livelli della società: dalla prossimità ai detenuti, alla lotta al gioco d’azzardo. Pierluigi Sassi, presidente di Earth day Italia, ha parlato delle attività incentrate sull’educazione ambientale, dialogo interreligioso e minori non accompagnati, e un’esperienza europea del Progetto Erasmus per studenti. “Una volta – ha ricordato Francesco – qualcuno mi ha detto che la parola ‘conflitto’ in cinese è formata da due segni: ‘rischio’ e ‘opportunità’”. Bisogna “correre il rischio” di avvicinarsi per conoscere la realtà, ha aggiunto il Papa, che ha insistito sull’importanza della gratuità. “Mai, mai, mai girarsi per non vedere”. Sembra, ha stigmatizzato, che in questo mondo “se non paghi non puoi vivere”: al centro del mondo

Il direttore Kaire, presente all’evento, porta i saluti della diocesi di Ischia

“c’è il dio denaro: chi non può avvicinarsi per adorarlo, finisce nella fame, nella malattia e nello sfruttamento”. Francesco ha poi messo in risalto l’importanza del perdono: il rammarico, il risentimento – ha ribadito – ci allontana. Bisogna sempre costruire, nella consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa da farci perdonare, tutti dobbiamo lavorare insieme, rispettarci, e così vedremo questo “miracolo”: di un deserto che diventa foresta. In ultimo ha ricordato il sorriso, che spesso contraddistingue i focolarini: “avete mai notato le persone quando camminate per strada? Sono cupe, piene di pensieri… manca la gioia, manca il sorriso. Andate, continuate, date gioia al mondo. Sono con voi!” ha concluso Francesco.

Dopo la visita del Papa a Lesbo a metà aprile, con il ritorno in Italia insieme a tre famiglie di siriani, è partita la gara di solidarietà dalle diocesi italiane – fra cui la diocesi di Ischia - per aiutare la comunità di Sant’Egidio nell’accogliere i profughi in difficoltà

L’impegno della chiesa italiana è ritornata ad essere un motivo in più per i grandi per affrontare le disavventure della vita. “Dopo il viaggio di ritorno da Lesbo del Papa con le tre famiglie di profughi, non potevamo rimanere a guardare senza fare nulla – ha affermato il vescovo di Ischia Lagnese – e così la diocesi di Ischia si è resa disponibile alla comunità di Sant’Egidio per poter dare accoglienza ad alcune famiglie di profughi”. E’ partita così una gara di solidarietà da tutta Italia che ha coinvolto le 192 diocesi, le migliaia di parrocchie e varie famiglie italiane per poter aiutare questi fratelli in difficoltà.

22044 - I migranti, rifugiati e richiedenti asilo accolti oggi dalle 192 diocesi italiane 3477 - Gli stranieri ospitati direttamente nelle parrocchie (16% dei 22044) 491 - Gli stranieri che vivono nelle famiglie che hanno dato disponibilità di accoglienza (2% dei 22044) Fonte: Caritas Italiana


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Seguiamo Francesco

30 aprile 2016

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Maria voce: il primo Papa in Mariapoli «Così ogni Mariapoli che si svolge e si svolgerà nel mondo — e sono centinaia — si sentirà guardata e amata». L’intervista della Presidente dei Focolari all’Osservatore Romano all’indomani della visita di Francesco all’evento a Villa Borghese a Roma Di Maria Voce Presidente del Movimento dei Focolari

E'

stata la prima volta di un Papa a una Mariapoli e mi è tornato in mente quanto più volte ascoltato da Chiara Lubich per descrivere l’effetto che avevano in lei la visita e le parole di un vescovo alle Mariapoli. Vi riconosceva «un peso, un’unzione» che le diversificava da quelle di chiunque altro, anche teologo o santo, e la percezione che con la sua presenza la “città di Maria” raggiungesse il compimento: diventasse “città Chiesa”. Così è accaduto, nella pienezza, con la visita fuori programma di Papa Francesco al Villaggio per la Terra a Villa Borghese, dove, in collaborazione con l’evento di Earth Day Italia, si svolgeva la Mariapoli di Roma che però non si ferma nella capitale. Così ogni Mariapoli che si svolge e si svolgerà nel mondo — e sono centinaia — si sentirà guardata e amata alla stessa maniera. Quel suo parlare a braccio, mettendo fin dall’inizio da parte i fogli, era come dire: mi avete preso il cuore e devo rispondere a ciò che voi avete detto a me. E le sue parole nette, luminose, non erano solo riconoscimento per l’impegno e l’azione dei tanti che gli hanno parlato, ma avevano il sapore di un programma per il futuro: in esse ritornavano come idea forte il prodigio e la possibilità di trasformare il deserto in foresta. Mi ha fatto impressione il suo dire con forza che ciò che vale è portare la vita. Non fare programmi e rimanervi ingabbiati, ma andare incontro alla vita così com’è, con il suo disordine e i suoi conflitti, senza paura, affrontando i rischi e cogliendo le opportunità. Per conoscere la realtà col cuore bisogna avvicinarvisi. Avvengono così i miracoli: deserti, i più vari, che si trasformano in foreste. Papa Francesco possiede la forza della parola. Le sue immagini non si cancellano, né dalla mente né dal cuore. Insieme tra diversi: persone, gruppi, associazioni. Il Pontefice lo ha ripe-

tuto tante volte perché ci tiene e gli dà gioia. Lo spettacolo umano a Villa Borghese è nato da una domanda: perché non realizzare la Mariapoli nel cuore di Roma? Perché non provare a fare un innesto di fraternità, magari piccolo ma concreto, nelle strade della città? Roma — lo sappiamo — piange per le tante ferite e soffre per le molte fragilità, ma vive anche di una ricchezza incredibile: il tanto bene che vi si fa. Quando il Papa ha indetto l’anno della Misericordia abbiamo pensato alle tantissime associazioni che operano nella città, con o senza riferimento religioso, ma che “fanno misericordia”. Quasi un caso l’incontro con Earth Day, che si occupa della tutela del creato e lavora per quell’ecologia integrale cara a Francesco. Un percorso e un lavoro appassionanti, fuori dai propri schemi, su strade anche impensate. Non senza difficoltà, certo, perché non ci si conosceva e perché si è diversi. Ma la diversità è ricchezza, come l’incontro con oltre cento associazioni: sono così nate sinergie e si sono co-

Maria Voce saluta il Papa all’arrivo in Mariapoli a Roma

struiti ponti. Anche con realtà piccolissime: «Ma la mia associazione va avanti con la mia pensione, non abbiamo né loghi né cose del genere» ci ha detto un nuovo amico. E la Mariapoli ha voluto dare testimonianza del bene che anche lui fa. Sono così emerse le tante città sotterranee virtuose che Roma contiene. Un bene che si moltiplicherà e una rete che sembra dare ragione all’intuizione che Chiara Lubich scris-

se nel 1949 incontrando Roma e amandola: «molti occhi s’illuminerebbero della sua Luce: segno tangibile che Egli vi regna (...) a risuscitare i cristiani e a fare di quest’epoca, fredda perché atea, l’ep oca del Fuoco, l’epoca di Dio (...) Non è solo un fatto religioso (...) È questo separarlo dalla vita intera dell’uomo una pratica eresia dei tempi presenti, e un asservire l’uomo a qualcosa che è meno di lui e relegare Dio, che è Padre, lontano dai figli».


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Attualità 30 aprile 2016

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Punti di vista

Di Franco Iacono

1.

Una buona notizia: Federica Pellegrini sarà la portabandiera dell’Italia alle Olimpiadi di Rio. Un mix di sorriso e di civetteria: davvero sensuale e vincente. Il che non guasta. Avrà… spezzato un po’ di cuori, ma succede quando si ha la ventura di incontrare una donna così ambita. Sarà una bella immagine del nostro Paese, attraversato da troppe tragedie, che provocano insicurezza e danno poche ragioni di sorriso. L’augurio: che anche questo piccolo episodio possa alimentare, almeno,

la speranza di un tempo migliore. 2. I recenti episodi che riguardano esponenti del PD in Campania mi fanno tornare in mente un mio vecchio… consiglio a Matteo Renzi. Lasci la Presidenza del Consiglio, proponga al Presidente Mattarella Romano Prodi, l’unico che abbia peso e prestigio anche internazionale, come Presidente del Consiglio e si dedichi alla ricostruzione del Partito. In queste condizioni, e non solo da Roma in giù, con un Partito così ridotto non va da nessuna parte. Non sarà sufficiente la giaculatoria quotidiana sui successi del Governo a salvarlo. Né qualche mancia sulle pensioni minime. Chi ha fondato il suo successo sulla logica del… veni, vidi,

vici non può reggere in questa situazione, in cui tutto viene meno. Proprio sul piano dell’immagine, oltre che sulla sostanza concreta. Qualcuno lo aiuti a ragionare, ove mai fosse disposto ad ascoltarlo. 3. Sabato 30 aprile saranno cinquanta anni che Anna ed io ci siamo sposati. Approfitto della disponibilità di Kaire per ringraziare il Padre Eterno per i doni di cui ci ha colmati: sei figli, cinque nuore, quattordici nipoti, tanti amici, pazienti e generosi. In modo particolare vorrei ricordare la benedizione che ci fece il Papa durante la messa di domenica 27 dicembre nella basilica Vaticana: una gratificazione del tutto speciale! E ancora mi piace ricordare anche

alcuni Vescovi della nostra Diocesi: Antonio Cece, che mi incoraggiò ad andare all’Università Cattolica, a Dino Tammassini, che mi fu amico prezioso e comprensivo, fino ai carissimi Antonio Pagano e Filippo Strofaldi, che mi hanno onorato della loro bella amicizia così ricca di umanità. Nella Chiesa di Santa Lucia, Don Pasquale Sferratore, così come cinquanta anni fa, benedirà il nostro cinquantenario. Sarà anche l’occasione per raccogliere doni generosi di tanti amici in favore di una iniziativa bellissima del Cardinale Crescenzio Sepe: La Casa di Tonia per l’assistenza e ospitalità delle madri nubili. Un vero e proprio inno alla vita che sarà bello incoraggiare.


Bibbia & Misericordia

19 30 aprile 2016

kaire@chiesaischia.it

Di Di Gérard Rossé - Prof. ordinario di Teologia biblica (Docente IUS)

I

n questo scritto voglio soffermarmi brevemente sulla ricchezza della terminologia biblica riguardo al concetto di “misericordia”: ricchezza che non fa che confermare l’importanza che questo tema ha nell’Antico Testamento, sia come attributo divino, sia come esigenza rivolta all’uomo nei confronti dei suoi simili. Non dimentichiamo le immagini utilizzate per presentare la relazione d’amore tra Dio e il suo popolo: quella dello sposalizio, della paternità/maternità divina. Significative le affermazioni che parlano della gelosia del Signore: “Tu non devi adorare altro dio, perché il Signore ha nome Geloso: egli è un Dio geloso” (Es 34,14). Ed è geloso non perché egoisticamente possessivo, ma perché ama e vuole essere amato con un “cuore indiviso” (cf. Os 10,2)., e non può tollerare che Israele vada a prostituirsi con divinità fasulle, ingannatrici e impotenti, che degradano l’essere umano. Poichè geloso, Dio è pronto a castigare: la punizione fa parte della sua cura paterna e sponsale. Il castigo più grave inflitto al popolo infedele sarà “nascondere la sua faccia”, cioè lasciare Israele in balia di se stessa e dei suoi nemici. Ma lo stesso Dio che, di fronte alla “dura cervice” del popolo ha nascosto il suo volto, è anche Colui che poi inculca fiducia, coraggio e speranza. Ecco come Dio parla per bocca del profeta Isaia: “Si ripudia forse la donna della giovinezza ? dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonato, ma ti riprenderò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto, ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il Signore, il tuo redentore” (Is 54, 7-8). Rivolgiamo ora un rapido sguardo a qualche parola del ricco vocabolario per parlare della misericordia, presente nella Bibbia ebraica così come nella sua traduzione greca detta la Settanta utilizzata dagli evangelisti. Frequenti sono i vocaboli greci della famiglia éleos, a sua volta traduzione di diverse parole ebraiche con varie sfumature: provare misericordia, compassione, avere pietà, affetto, commuoversi.( Il verbo è presente nel “Kyrie, eleison” della Messa.) Come sempre si tratta di termini in uso nel campo profano e assunti per dire qualche cosa di Dio. Il significato originale indica un sentimento di pietà nei confronti di chi è colpito da un male, con l’intento di aiutare.

I molti significati della parola “misericordia” Nel contesto dell’alleanza, esprime spesso la fedeltà divina a perdonare e salvare. Un vocabolo altrettanto frequente è il greco charis normalmente tradotto con “grazia”, anche esso con significati vari: favore, benevolenza, gentilezza, bellezza. In senso proprio è un chinarsi verso qualcuno e

la conseguente gratitudine. Riguardo a Dio, esso mette in valore la gratuità del Suo rivolgersi all’uomo con benevolenza, e il riconoscimento che ne consegue. Vorrei portare l’attenzione in particolare al verbo greco splagchnizesthai, forse difficile a pronunciare, ma altamente significativo! Nella

Bibbia ebraica, il sostantivo corrispondete, piuttosto frequente, significa “viscere”, in particolare il “seno materno”, visto come sede dei sentimenti forti (l’equivalente del “cuore”, per noi): una commozione viscerale. Come verbo, ha questo di singolare: si legge soltanto una volta in tutta la Bibbia (cioè in Prov. 17,5); e nel Nuovo Testamento, soltanto nei vangeli sinottici per parlare della misericordia di Gesù come un commuoversi nelle viscere, sentimento di profonda solidarietà (4 volte in Matteo; 4 volte in Marco; 2 volte in Luca); a queste occorrenze bisogna aggiungere il sentimento di misericordia del re nella parabola del servo spietato in Mt 18,27, e del padre del figlio prodigo in Lc 15,20 che tutti i due rappresentano Dio; e infine, nella parabola del buon samaritano esprime la compassione appunto del samaritano. Il verbo caratterizza dunque essenzialmente la solidarietà salvifica di Gesù nei confronti di una umanità sofferente, a sua volta rivelazione dell’amore di Dio definitivamente in atto nel comportamento di Cristo. La misericordia espressa nel verbo in questione esprime più di un semplice sentimento, implica un essere coinvolto con tutto l’essere. Attribuito inoltre ad un uomo, un samaritano presentato come modello di comportamento, la misericordia appare come una vera del ri-creazione cuore dell’uomo esistenzialmente aperto e aperto alla misericordia. Una tale “nuova creazione” che coinvolge tutto l’essere, a sua volta, presuppone una esperienza nuova di incontro con Dio, il Dio di Gesù.


Liturgia

20 30 aprile 2016

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Commento al Vangelo

Domenica 1 maggio 2016 VI Domenica di Pasqua

Quale pace

Gesù? Di Don Cristian Solmonese

C

arissimi amici, siamo quasi al termine del cammino pasquale. Dopo questa domenica vivremo la festa dell’Ascensione del Signore. La pagina di vangelo propostaci dalla liturgia è abbastanza complessa. Percorre nuovamente alcuni versetti del discorso che Gesù tiene ai suoi discepoli prima della Passione. Questi versetti ci sono consegnati nuovamente alla luce della Pasqua e come dono pasquale. Due sono i poli del racconto: la Pace e la promessa dello Spirito. «Vi do la mia pace, non come la dà il mondo»: I cristiani, spesso, quando parlano di pace... pensano al cimitero! La pace, secondo la Parola di Gesù, è il primo dono che egli fa, risorto, apparendo agli impauriti discepoli. Consegna ai suoi un cuore pacificato. Un cuore pacificato è un cuore saldo, irremovibile, che ha capito il suo posto nel mondo, che non si spaventa nelle avversità, non si dispera nel dolore, non si scoraggia nella fatica. La scoperta di Dio, nella propria vita, l’incontro gioioso con lui, la percezione della sua bellezza, la conversione al Signore Gesù riconosciuto come Dio, suscita nel cuore delle persone una gioia profonda, sconosciuta, diversa da ogni altra gioia. È la gioia del sapersi conosciuti, amati, preziosi. E la scoperta dell’amore di Dio ci apre a scenari nuovi, inattesi: il mondo ha un destino di bene, un amorevole disegno che, malgrado la fatica della storia e dell’umanità, confluisce verso Dio. E in questo progetto io, se voglio, ho un ruolo determinante. Infatti il confine del male e del bene è nel nostro cuore, il nemico è dentro di noi, non fuori, e la prima autentica pacificazione deve avvenire nel nostro intimo con noi stessi e la nostra violenza. Questa pace è frutto dell’incontro con il Risorto. Credere in Gesù risorto è un’adesione alla fede quasi sempre tormentata e sofferta, non immediata e leggera, ma che dona la pace al cuore. Pace profonda, salda, pace irremovibile, ben diversa dalla pace del mondo, quella che è venduta come assenza di guerra, o peggio ancora... come guerra, ritenuta necessaria per imporre la pace. Chiediamoci se abbiamo fatto questo incontro. Per capire tutto questo abbiamo bisogno di un’altra persona che è lo Spirito Paraclito come ci dice Gesù nel Vangelo. Egli ci farà comprendere la verità e anche la vera pace. La missione del Paraclito non è solo quella

di far comprendere la verità ma è anche quella di riattualizzare la vicenda di Cristo Signore attraverso le nostre azioni, purificate e rinnovate nella sua sequela. Dietro di Lui, la comunità può impegnarsi a farsi prossima alle vicende umane. Farsi prossimi agli altri significa vivere nell’annuncio di una persona e non di un’idea: il Salvatore, che dona se stesso, la pace (v.27), a quanti vogliono ascoltare la Sua parola (v.23). Certo, vivere una persona, Gesù Signore, non è facile, innanzitutto, perché non lo vediamo con gli occhi. Ma nella prassi (la rilettura e la pratica del Suo esempio) il cristiano manifesta agli altri un nuovo costume: le meraviglie compiute dal Padre nel Figlio per l’uomo. Per cui, nei sacramenti, che fanno la Chiesa, attuano e fondano la prassi ecclesiale, perché celebrandoli si fa memoria, nello Spirito, della sequela della croce, i cristiani riescono ad esprimere nella loro vita la storia di Dio, divengono l’unico (l’unità fra di essi) popolo di Dio, segno nel mondo della relazione d’amore della Trinità. Ora, nell’unità, ogni cristiano scopre la molteplicità dei doni dello Spirito. Lo Spirito che rinnova continuamente la Chiesa, chiama ogni battezzato a mettere a disposizione all’interno della comunità il dono ricevuto. Allora, la nostra missione all’interno della chiesa non è quella di ricercare ruoli importanti nelle parrocchie, o sforzarsi di fare qualcosa a tutti i costi, lo Spirito compie splendori indipendentemente da noi, perché sempre e comunque ci ama; ma, contribuire a rendere la Chiesa luogo di pace e riconciliazione: testimoniare l’Amore. In altre parole, mostrare il volto di Dio al mondo: il servizio nella carità. Questa missione mi interessa! Buona domenica!


Ecclesia

30 aprile 2016

kaire@chiesaischia.it

Di Ordine francescano secolare di Forio

L'

ipocrisia è un aspetto importante che papa Francesco ha sottolineato, ad un certo punto, nella catechesi del 20 aprile scorso. Il fariseo Simone ha invitato Gesù a casa sua ma non gli presta le stesse attenzioni della peccatrice che, al contrario, gli lava i piedi con le sue lacrime di pentimento e li asciuga con i suoi capelli, trasportata da sentimenti di amore e devozione. Simone crede di essere giusto per il solo fatto di essere dottore della legge, giudicando la peccatrice e Gesù in fondo al suo cuore per il solo fatto di essere stato misericordioso con lei. In questo modo è venuto meno al comandamento principale, il comandamento dell’amore: “Da una parte quell’ipocrisia del dottore della legge, dall’altra parte la sincerità, l’umiltà e la fede della donna. Tutti noi siamo peccatori, ma tante volte cadiamo nella tentazione dell’ipocrisia, di crederci migliori degli altri e diciamo: “Guarda il tuo peccato…”. Tutti noi dobbiamo invece guardare il nostro peccato, le nostre cadute, i nostri sbagli e guardare al Signore. Questa è la linea di salvezza: il rapporto tra “io” peccatore e il Signore. Se io mi sento giusto, questo rapporto di salvezza non si dà”. I santi hanno l’animo trasparente come gli angeli del cielo, la loro umiltà è tale da non riuscire a nascondere quello che hanno nel profondo del loro cuore, divenendo per gli altri un libro aperto, dove tutto è leggibile. San Francesco d’Assisi è stato maestro anche in questo, non amava insegnare a parole, con eloquenza convincente, ma preferiva

L’IPOCRISIA

vivere in prima persona quello che avrebbe voluto dai suoi frati, odiava l’ipocrisia con tutte le sue forze, come fosse un cancro dell’anima: “…fece la quaresima di san Martino in un romitaggio. Siccome l’olio riusciva nocivo a Francesco nelle sue malattie, i fratelli condivano con lardo i cibi che

Accogliere è amare

Di Antonio Magaldi

A

ccogliere è essere disposti ad ascoltare, a mettere da parte i propri impegni, le proprie preoccupazioni per la persona che ci sta accanto. L’accoglienza fa parte dell’amore, significa mettere a proprio agio e dare la possibilità all’altro di essere quello che è. Chi accoglie rende partecipe l’altro di qualcosa di proprio, si offre, si apre verso l’altro diventando tutt’uno con lui. Come l’accettazione della croce è condizione essenziale per seguire il Signore, così accogliere l’altro senza riserve è segno di fedeltà al comandamento nuovo dell’amore fraterno senza frontiere.

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Non solo l’accoglienza del familiare, dell’amico, ma quella del forestiero, del lontano, del povero, di colui che non può ricambiare. Occorre vedere in ogni ospite il divino Forestiero che non ha una pietra dove posare il capo (Mt 8,20). Occorre avere un atteggiamento, una disposizione di saper accogliere senza animo diffidente e sospettoso, ma con attenzione e amore, di ascolto e di rispetto verso l’altro. Papa Francesco si sta battendo affinché le varie Diocesi ospitino delle famiglie di immigrati. Mi domando, come si fa a perseverare su questo cammino, quando si sentono notizie come delle stragi in corso nel mondo, che ascoltiamo attra-

gli preparavano. Finita la quaresima, esordì con queste parole una predica alla folla riunita non lontana da quell’eremo: « Voi siete venuti da me con gran devozione e mi credete un santo uomo. Ma io confesso a Dio e a voi che, durante questa quaresima, ho mangiato cibi conditi con lardo ». Succedeva di frequente che, se i frati o amici dei frati, mentre Francesco mangiava con loro, gli offrissero qualche portata speciale per riguardo al suo stato di salute, egli si affrettava a dichiarare, in casa o nell’uscire, davanti ai frati e alla gente che non conosceva quel particolare: «Ho mangiato questi cibi». Non voleva restasse nascosto agli uomini, ciò che era noto agli occhi di Dio. In qualunque luogo si trovasse, in compagnia di religiosi o secolari, se gli avveniva di avere lo spirito turbato da vanagloria, superbia o altro vizio, all’istante se ne confessava dinanzi a loro, crudamente, senza cercare attenuanti. A questo proposito, un giorno confidò ai suoi compagni: «Io voglio vivere nell’intimità con Dio negli eremi e negli altri luoghi dove soggiorno, come se fossi sotto lo sguardo degli uomini. Se la gente mi ritiene un santo e non conducessi la vita che a un santo si addice, sarei un ipocrita».

verso i mass media? Ci troviamo difronte ad un bivio, in cui viene una sensazione di chiusura: invece non deve essere così, perché è l’amore che vince l’odio, e a noi uomini non spetta il potere e neanche la presunzione di poter giudicare: “non lasciarti vincere dal male ma vinci il male con il bene”. A noi uomini è chiesto “solo” di amare! “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Occorre superare le barriere, i sospetti e le paure. Accogliere non è imprudenza, ma è saper interpretare quel grido, quel silenzio come richiesta di aiuto, non come mancanza di rispetto e non come indifferenza. Molti credono che chi ha bisogno di aiuto sia lontano, dove mancano cibo e acqua o strutture che diano cure e sostentamento ai bisognosi; no, non è solo in quelle terre che c’è bisogno, ma possiamo essere di aiuto, anche nel nostro quotidiano, basta guardarci intorno ed ogni istante incontreremo il volto di Gesù nel fratello accanto a noi. È la paura del diverso che ci spinge molto spesso ad abbandonare l’accoglienza, a considerarla come pericolo, non dobbiamo generalizzare e non lasciarci vincere dal male. È ora, oggi, che devo accogliere colui che bussa alla mia porta, è ora che devo amare Cristo sofferente, noi non siamo padroni del tempo, ma Dio è padrone di tutto. «Tommaso d’Aquino ha spiegato che “è proprio della carità voler amare che voler essere amati” e che, in effetti, ”le madri, che sono quelle che amano di più, cercano più di amare che di essere amate.” Perciò l’amore può spingersi oltre la giustizia e straripare gratuitamente, “senza sperare nulla” (Lc 6,35), fino ad arrivare all’amore più grande, che è “dare la vita” per gli altri (Gv 15,13)» (Amoris Laetitia nr 102) A.M.



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Teatro

30 aprile 2016

kaire@chiesaischia.it

Di Gina Menegazzi

O

ttimo il primo atto, in cui gli attori hanno tenuto un buon ritmo e hanno recitato bene e con misura anche nelle vesti dei personaggi più esagerati. E proprio aver visto le loro qualità nel primo atto ha reso forse ancora più pesanti gli altri due atti, in un calando continuo. Quelle macchiette gradevoli e ben costruite sono diventate insopportabili quando i loro gesti si sono fatti ripetitivi e inutili, accompagnati da una recitazione troppo urlata, come non si era vista prima. Il primo atto si svolge nella casa di Amalia e Felice Sciosciammocca, da poco sposi, i quali, a seguito di continui litigi che coinvolgono anche i loro camerieri Michele e Rosella, decidono di separarsi convocando i loro avvocati, Anselmo e Antonio. Nella lite viene coinvolto anche il malcapitato Gaetano Papocchia, uomo curioso, che vorrebbe prendere in affitto dai coniugi una casa di loro proprietà nella quale sistemare la sua giovane amante, la ballerina Emma Carcioff. Il secondo atto è ambientato dietro le quinte del teatro dove lavora Emma e dove si ritrovano - oltre ad altri personaggi minori - don Gaetano, Felice e Amalia, questi due per cercare di convincere Gaetano a far loro da testimone nella causa di separazione. Nella confusione generale si inserisce CONVENTO S. ANTONIO ISCHIA PONTE

IL SABATO DI MARIA Ogni sabato del mese di maggio nella Chiesa del Convento S. A N TO N I O (lato parcheggio) ore 21.00 recita del S. Rosario, canto delle Litanie e Consacrazione a Maria

‘O scarfalietto Ultimo spettacolo della Rassegna del Teatro Isolano, venerdì, sabato e domenica scorsi al Polifunzionale. In scena ‘O scarfalietto, commedia di Eduardo Scarpetta presentata dalla compagnia Quarta Parete.

anche Dorotea, moglie di Gaetano, personaggio decisamente sui generis e sopra le righe. Il terzo atto è ambientato in un’aula di tribunale, dove convengono tutti i personaggi della commedia e la giuria dovrebbe proclamare il verdetto finale. Ma è tutta la storia, e non solo il colpo di scena finale, a snodarsi in un’atmosfera esagerata e inverosimile, debitrice del vaudeville e della pochade, generi tra i più frequentati a fine ottocento. So di non esprimere solo il mio parere suggerendo, a questa come alle altre compagnie, di accorciare gli spettacoli, di avere il coraggio di tagliare, a man bassa, soprattutto nelle farse ormai datate.

Quanto agli attori, li ho trovati bravi, con una buona presenza scenica, soprattutto Alessandro Guerra – Felice Sciosciammocca, Andrea Costantini – Amalia, Pamela Barbato – Rusella, Marco Verde – l’avv. Anselmo Raganelli, come l’ho potuto apprezzare nel primo atto; mi è piaciuto anche Stanislao Morgera e l’ecclettico Filippo Pesce Costa, ma poi il troppo urlare, il ripetersi dei tormentoni e la prevedibilità di ogni scena mi hanno tolto ogni piacere. Speriamo che le compagnie che si presenteranno l’anno prossimo sappiano trovare tutte dei testi vivaci, divertenti e coinvolgenti e… non troppo lunghi!

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