Kaire 21 anno III

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IL SETTIMANALE DI INFORMAZIONE DELLA CHIESA DI ISCHIA ANNO 3 | NUMERO 21 | 21 MAGGIO 2016 | E 1,00

“Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% Aut: 1025/ATSUD/NA”

PAPA FRANCESCO ALL’ASSEMBLEA DEI VESCOVI ITALIANI Il Papa ha aperto la 69ª assemblea generale dei vescovi italiani, dedicata al rinnovamento del clero. Francesco: “il sacerdote è Servo della vita, cammina con il cuore e il passo dei poveri; è reso ricco dalla loro frequentazione”. A pag 2 e 3 EDITORIALE DEL DIRETTORE

TU VENIVI A NOSTRO ONOR…

Lo sfruttamento La nostra Santa Patrona Restituta, esempio di umiltà. Martedì 17 maggio la solenne sul lavoro Messa in Basilica a Lacco Ameno con il Clero, i sindaci, le autorità. Lagnese: “Sogno è peccato mortale un nuovo umanesimo ischitano, un’Isola d’Ischia giovane, capace di essere ancora Di Lorenzo Russo

madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita”

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rmai è partita la “stagione turistica” sull’isola e mano a mano che si avvicina l’estate, riaprono tutte le attività turistiche (alberghi, negozi, balneari, etc etc). E con esse tanti ischitani ricominciano a lavorare. L’omelia di giovedì 19 maggio del Papa a Santa Marta (in Vaticano) mi ha fatto riflettere. Non posso non pensare ai miei amici e ai tanti ischitani che ritornano a lavorare in condizioni pessime. Spesso queste persone sono mal pagate, sfruttate, con contratti in regola ma al tempo stesso si ritrovano a dover firmare la lettera di licenziamento senza data, perché se sbagli, se ti comporti male, se non lavori 12 ore al giorno, se arriva una gravidanza, SEI FUORI! La prima lettura alla messa del Papa, tratta dalla lettera di San Giacomo, è un forte monito ai ricchi che accumulano denaro sfruttando la gente. “Le ricchezze in se stesse sono buone” – spiega il Papa – ma sono “relative, non sono una cosa assoluta”. La “teoria della prosperità” è sbagliata. Coloro che la seguono non sono nel giusto, credendo che “Dio ti fa vedere che tu sei giusto se ti dà tante ricchezze”. Il problema è non attaccare il cuore alle ricchezze, perché

Continua a pag. 2

VEGLIA DI PENTECOSTE E GIUBILEO AGGR. LAICALI

X CATECHESI SULLE OPERE DI MISERICORDIA

Sabato 14 maggio la Chiesa d’Ischia ha vissuto un momento di profonda unità. Lagnese: “Senza di voi la Chiesa d’Ischia sarebbe più povera”.

Il 23 maggio in Cattedrale con il teologo don Armando Matteo. In attesa dell’evento, pubblichiamo una parte del suo ultimo saggio.

CICLO RICICLO E RICREO Il progetto per il rispetto dell’ambiente e contro lo spreco che ha coinvolto i bambini della scuola per l’infanzia di Panza.

IL CASTELLO INVITA GLI ISCHITANI Domenica 29 maggio si ripete l’appuntamento di primavera. Si può visitare gratuitamente il castello con una prenotazione.


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Lo sfruttamento sul lavoro L è peccato mortale

Continua da pag. 1 – sottolinea il Papa – “non si può servire Dio e le ricchezze”. “Quando le ricchezze si fanno con lo sfruttamento della gente, quei ricchi che sfruttano, sfruttano il lavoro della gente e quella povera gente diviene schiava. – afferma Francesco - Ma pensiamo a oggi, pensiamo qui: ma in tutto il mondo accade lo stesso. ‘Voglio lavorare’ – ‘Bene: ti fanno un contratto. Da settembre a giugno’. Senza possibilità di pensione, senza assicurazione sanitaria … A giugno lo sospendono e luglio e agosto deve mangiare aria. E a settembre te lo ridanno. Questi che fanno questo sono vere sanguisughe e vivono dei salassi del sangue della gente che rendono schiavi del lavoro”. Lo sfruttamento del lavoro è peccato. Papa Francesco ricorda quanto gli ha detto una ragazza che aveva trovato un lavoro da 11 ore al giorno a 650 euro in nero. E le hanno detto: “Se ti piace, prendilo, se no, vattene. Ce ne sono altri”, dietro di te c’è la coda! Questi ricchi – osserva – “ingrassano in ricchezze” e l’apostolo

Il settimanale di informazione della Chiesa di Ischia Proprietario ed editore COOPERATIVA SOCIALE KAIROS ONLUS

dice: “Vi siete ingrassati per il giorno della strage”. “Il sangue di tutta questa gente che avete succhiato” e di cui “avete vissuto, è un grido al Signore, è un grido di giustizia. Lo sfruttamento della gente – afferma ancora il Papa - “oggi è una vera schiavitù”. “Noi - dice - pensavamo che gli schiavi non esistessero più: esistono. E’ vero, la gente non va a prenderli in Africa per venderli in America: no. Ma è nelle nostre città. E ci sono questi trafficanti, questi che trattano la gente con il lavoro senza giustizia”. Nell’udienza del mercoledì il Papa ha fatto una meditazione “sul ricco Epulone e Lazzaro. Ma, questo ricco era nel suo mondo, - continua il Papa - non si accorgeva che dall’altra parte della porta della sua casa c’era qualcuno che aveva fame. Ma questo è peggio. Quel ricco, almeno, non se ne accorgeva e lasciava che l’altro morisse di fame. Ma questo è peggio: questo è affamare la gente con il loro lavoro per il mio profitto! Vivere del sangue della gente. E questo è peccato mortale. E’ peccato mortale. E ci vuole tan-

Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia Codice fiscale e P.Iva: 04243591213 Rea CCIAA 680555 - Prefettura di Napoli nr.11219 del 05/03/2003 Albo Nazionale Società Cooperative Nr.A715936 del 24/03/05 Sezione Cooperative a Mutualità Prevalente Categoria Cooperative Sociali Tel. 0813334228 Fax 081981342 info@kairosonline.it pec: posta.kairos@pec.it Registrazione al Tribunale di Napoli con il n. 8 del 07/02/ 2014

ta penitenza, tanta restituzione per convertirsi di questo peccato”. Il funerale dell’avaro Il Papa ricorda la morte di un uomo avaro con la gente che scherzava: “Il funerale è stato rovinato” – dicevano - “non avevano potuto chiudere la bara”, perché “voleva prendere con sé tutto quello che aveva, e non poteva”. “Nessuno può portare con sé le proprie ricchezze”. Papa Francesco conclude: “Pensiamo a questo dramma di oggi: lo sfruttamento della gente, il sangue di questa gente che diventa schiava, i trafficanti di gente e non solo quelli che trafficano le prostitute e i bambini per il lavoro minorile, ma quel traffico più – diciamo – ‘civilizzato’: ‘Io ti pago fino a qua, senza vacanze, senza assicurazione sanitaria, senza … tutto in nero … Ma io divengo ricco!’. Che il Signore ci faccia capire oggi quella semplicità che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: è più importante un bicchiere d’acqua in nome di Cristo che tutte le ricchezze accumulate con lo sfruttamento della gente”.

Direttore responsabile: Dott. Lorenzo Russo direttorekaire@chiesaischia.it @russolorenzo Direttore Ufficio Diocesano di Ischia per le Comunicazioni Sociali: Don Carlo Candido direttoreucs@chiesaischia.it Progettazione e impaginazione: Gaetano Patalano per Cooperativa Sociale Kairos Onlus

unedì 16 maggio Papa Francesco ha pronunciato il suo terzo discorso di apertura dell’Assemblea della Cei, che quest’anno ha come tema “Il rinnovamento del clero”, nella volontà di sostenere la formazione lungo le diverse stagioni della vita. Il Santo Padre ci sorprende sempre. Questa volta con un “capovolgimento della prospettiva”. Invece di offrire “una riflessione sistematica sulla figura del sacerdote” ci invita a “metterci in ascolto”. Propone ai vescovi un atteggiamento contemplativo. Questa può essere una prima chiave di lettura: da una prospettiva moralista astratta a una prospettiva contemplativa concreta. Ascoltiamo, dunque, prima di tutto quello che dice: “Avviciniamoci, quasi in punta di piedi, a qualcuno dei tanti parroci che si spendono nelle nostre comunità; lasciamo che il volto di uno di loro passi davanti agli occhi del nostro cuore e chiediamoci con semplicità: che cosa ne rende saporita la vita? Per chi e per che cosa impegna il suo servizio? Qual è la ragione ultima del suo donarsi?”. Al centro, un’immagine: un parroco, un sacerdote comune. Non il sacerdote ideale, non una persona astratta. Soltanto un sacerdote “che si spende nelle nostre comunità”. Il Papa lo chiama più volte il “nostro sacerdote”, sottolineando “il nostro”. Richiama quell’immagine del sacerdote che tutti noi – preti e laici – abbiamo nei nostri cuori, perché ci ha fatto del bene in qualche momento della vita. Nel suo caso, sicuramente è tornato a evocare figure come quelle di don Enrique Pozzoli (salesiano), o di Roberto Iturrate (gesuita) e altri menzionati nei

CORPUS DOMINI DIOCESANO Giovedì 26 maggio alle ore 19.30 ci sarà la S. Messa nella chiesa di Portosalvo. Al termine partirà la processione fino alla Chiesa Cattedrale

Redazione: Via delle Terme 76/R - 80077 Ischia kaire@chiesaischia.it | @chiesaischia facebook.com/chiesaischia @lagnesepietro Tipografia: Centro Offset Meridionale srl Via Nuova Poggioreale nr.7 - 80100 Napoli (NA) Per inserzioni promozionali e contributi: Tel. 0813334228 Fax 081981342 oppure per e-mail: info@kairosonline.it

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IL COMMENTO

Il discorso di Papa Francesco alla Cei

Tre chiavi per leggere il discorso del Papa. La prima: da una prospettiva moralista astratta a una prospettiva contemplativa concreta. La seconda: il carattere trascendentale dell’impostazione. La terza: la conversione del nostro modo di ragionare. Padre Diego Fares* suoi libri. Rievocare queste immagini significa richiamare la vocazione sacerdotale, quello che uno pensa di un certo sacerdote: “Io voglio invecchiare come lui”. Vorrei essere come quel sacerdote (e non avere alcune cose di qualche altro…). Così, Papa Francisco va descrivendo questo “nostro sacerdote” e invita a compiere tre passi contemplativi. Il primo: “avvicinarsi” in punta di piedi scalzi (il nostro sacerdote è anche scalzo), con il pudore di chi si rende conto che lo stiamo guardando. Il secondo passo è “lasciare che il suo volto passi davanti agli occhi del nostro cuore”. Contemplare un sacerdote che si consuma per il suo popolo non è un bello spettacolo. È un’altra cosa, come quando si guarda qualcuno che sta lavorando sodo, scavando un pozzo o correndo avanti e indietro in un ristorante, o cambiando i pazienti in ospedale. Il lavoro usurante ci interpella. E il Papa vuole che i vescovi si lascino interpellare dal lavoro dei loro sacerdoti. Il terzo passo consiste nelle domande, perché la contemplazione degli Esercizi Spirituali si concretizza sempre in ciò che al Signore piace che io faccia qui e ora. La seconda chiave di lettura del discorso può essere il carattere tra-

scendentale dell’impostazione. Il Papa chiede semplicemente ciò che dà sapore alla vita del nostro sacerdote, da chi viene, qual è la ragione. Ma non si tratta di domande “specifiche”, bensì trascendentali, domande riguardo alla bellezza del sacerdozio, al suo bene ultimo, alla sua verità nel senso più ampio. La bellezza non è per gli occhi, come abbiamo detto. Il nostro sacerdote potrà essere stanco, un po’ trasandato, anche un po’ scontroso talvolta. Neppure lui “vede” la bellezza nell’intreccio del lavoro quotidiano. Però sente il sapore di Cristo in quello che fa… Affrontando la seconda domanda, “a favore di chi offre il suo servizio il nostro sacerdote”, il Papa inverte nuovamente la prospettiva. Prima di rivolgersi ai destinatari del suo servizio, ci fa “sentire ciò che sente il nostro sacerdote”: si sente parte della Chiesa, della sua comunità, del santo popolo di Dio, dei suoi fratelli sacerdoti. Prima di chiedere “per chi”, Francesco pone le domande su “con chi” e “in chi”. Fa gustare l’appartenenza alle persone e non alle cose. Si nota questo alla fine, quando parla della gestione delle strutture e dei beni economici: “Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di

carità del popolo di Dio”. Non una pastorale di conservazione delle cose, ma al servizio delle persone, che ci fanno uscire dalla nostra auto-referenzialità. La terza domanda riguarda la “ragione del donarsi” e questa ragione è il Regno. La visione – adesso sì – del Regno che propone Francesco ha un orizzonte ampio. È “la terra visitata ogni mattina dalla presenza di Dio”, è il cammino che “la storia umana percorre, nonostante tutti i ritardi, le oscurità e le contraddizioni”; è “la visione che ha di Gesù-uomo” e questo le dà una “gioia che consente di relativizzare tutto il resto”. Infine il Santo Padre spiega che ha “delineato” la triplice appartenenza che ci costituisce come sacerdoti: l’appartenenza al Signore che assaporiamo, l’appartenenza alla Chiesa, il nostro bene posseduto, e l’appartenenza al Regno, come orizzonte che ci illumina e ci attrae. Questa triplice appartenenza “è un tesoro in vasi di creta e va custodita e promossa”. La terza chiave di lettura del discorso mira a cercare la conversione del nostro modo di ragionare. Questa conversione, che porta a ragionare partendo dalla visione dell’uomo che ha Gesù, richiede un cambiamento nel protagonismo

piuttosto che nei concetti. Se torniamo all’inizio del discorso, vediamo che egli colloca il nostro sguardo “nella giusta luce” per contemplare la forma autentica del sacerdote: è lo Spirito, la cui forza deve essere custodita. Porsi in un atteggiamento di ascolto significa lasciare che lo Spirito, che è protagonista nella storia della Chiesa, sia anche protagonista del desiderato rinnovamento del clero. Un rinnovamento che ha anche una componente generazionale, come ha osservato il Santo Padre all’inizio, chiedendo, con gioia, il numero di quelli nuovi (più di 36), perché si sentiva nell’aula “il profumo di crisma” dei vescovi recentemente ordinati. *Padre Diego Fares, 60 anni, della provincia Argentina-Uruguayana dei gesuiti, fa parte del Collegio degli scrittori di «Civiltà Cattolica». Durante il volo da Roma a Rio de Janeiro per partecipare alla Giornata mondiale della Gioventù, al giornalista spagnolo Darío Menor Torres che gli chiedeva consigli di lettura per giovani della sua generazione, colpita dalla disoccupazione e dalla mancanza di opportunità, Papa Francesco aveva consigliato di leggere «i libri di padre Fares»


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ASSEMBLEA GENERALE CEI

Il cardinale Bagnasco sogna un paese “più sereno” e denuncia tre “fantasmi” Di M.Michela Nicolais

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orremmo poterlo vedere più sereno, occupato nel lavoro, proiettato con fiducia verso il futuro, incoraggiato dalle prospettive dei giovani, lieto nell’intreccio di generazioni che si guardano con simpatia, fiducia, solidarietà”. È il sogno della Chiesa italiana per il nostro Paese, nelle parole del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, all’apertura della seconda giornata di lavori della 69.ma Assemblea dei vescovi italiani, in corso in Vaticano fino al 19 maggio. Punto di partenza: il magistero di Papa Francesco – che ha aperto ieri i lavori – “continuo stimolo alla conversione della vita personale e pastorale”. Tre i fantasmi evocati tracciando un bilancio dello “stato di salute” dell’Italia: lavoro, natalità e gioco d’azzardo. Le unioni civili sono “una equiparazione al matrimonio e alla famiglia” e un preludio al “colpo finale”: l’utero in affitto. La teoria del “gender” è “sempre alle porte in modo strisciante”. “Non retrocedere dal fronte dell’accoglienza”. È l’impegno preso dai vescovi italiani, attraverso le parole del cardinale Bagnasco, che ha citato la “storica visita” del Papa a Lesbo e sul fronte interno ha riconosciuto “il permanente sforzo dell’Italia, sempre in prima linea per accogliere e salvare tante vite da ignobili mercanti di disperati”. “La Chiesa italiana continua ad offrire il suo contributo accogliendo, ad oggi, circa 23.000 migranti, con un aumento di 4.500 persone in questi primi mesi dell’anno”. “Il Sud del mondo si è messo in marcia sotto la spinta di circostanze difficili o tragiche: è un inarrestabile esodo”. Secondo il presidente della Cei, “È doveroso chiederci se non sia questo un banco di prova perché l’Europa del diritto, della democrazia e della libertà, culla e sorgente dell’umanesimo, irrorata dalla sorgente perenne del Vangelo, possa riscoprire se stessa”. Poi la citazione di Aldo Moro, che visitando Aquisgrana disse che era “il centro di un mondo unito che si regge su due pilastri fondamentali: l’ordinamento giuridico romano e la forza spiri-

Nella relazione di apertura della 69ma Assemblea della Cei il cardinale Angelo Bagnasco delinea lo “stato di salute” del Paese a partire dalla denuncia di tre fantasmi: lavoro, natalità e gioco azzardo. Il punto di partenza: il magistero di Papa Francesco, “continuo stimolo alla conversione”

tuale del cristianesimo”. “Possa l’Europa ritrovare la sua anima e così l’amore di popoli e nazioni”, l’auspicio, perché le persone “non sono pedine né sono apolidi” da far precipitare “nel limbo del pensiero unico”. “Le leggi e gli accordi sono necessari, ma non fanno lo spirito di un continente: lo presuppongono”. “Accanto alle vittime della persecuzione religiosa, ci sono quelle causate dal terrorismo, che continua a seminare morte, angoscia e rapimenti”. “Esiste qualcuno che possa fermare tanto oscurantismo politico, sociale, religioso, su cui prospera il commercio delle armi?”, la domanda. “Il benessere materiale è ricercato e spesso raggiunto; ma i beni di consumo da soli non sono sufficienti”, il monito di Bagnasco: “È necessaria una visione di valori e di ideali – favorita da un’alta istruzione e da un contesto di buone relazioni – per cui ognuno senta che vale la pena sacrificarsi”. “Cari sacerdoti, voi siete per noi

‘fratelli e amici’ come ricorda il Concilio: mentre diamo testimonianza della vostra quotidiana vicinanza alla gente, vi ringraziamo per quello che fate uniti a noi, vostri Vescovi e Padri”. Così il cardinale si è riferito al tema dell’assise in corso in Vaticano, il rinnovamento del clero. Tra gli appuntamenti ecclesiali imminenti, la Giornata mondiale della Gioventù, in programma a luglio a Cracovia, e il Congresso eucaristico nazionale, che si celebrerà a Genova dal 15 al 18 settembre. Un cenno anche ad una “novità di grande rilievo” dell’attuale pontificato: il Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus per la riforma dei processi di nullità matrimoniale. Coniugare “la vicinanza accogliente alle persone con le esigenze di assicurare sempre un rigoroso accertamento della verità del vincolo, per sua natura indissolubile ove validamente formato”, l’impegno della Cei. “Il peso della vita quotidiana, alla ricerca dei beni essenziali, di-

venta sempre più insostenibile, compreso il bene primario della casa”. È il grido d’allarme con cui comincia la parte della relazione dedicata all’Italia. Bagnasco cita i dati sul lavoro – “siamo i peggiori in Europa” – e sulla povertà, con le parrocchie “in prima fila” nel distribuire i pasti (12 milioni quelli distribuiti nel 2015) e le risorse dell’otto per mille a far fronte “alle enormi richieste della carità”. “I responsabili della cosa pubblica, i diversi attori del mondo del lavoro, che cosa stanno facendo che non sia episodico ma strutturale?”, la domanda esigente alla politica. “Si vedono segnali positivi di sostegno e promozione della famiglia”, ma vanno “incentivati” per “diventare strutturali”, la ricetta della Chiesa italiana per la famiglia. “Finalmente, dopo anni che lo richiamiamo, oggi perlomeno si parla di inverno demografico”, ma i dati Istat, “rimangono impietosi: quelli del 2015 sono i dati peggiori dall’unità d’Italia”.“Che cosa sta facendo lo Stato perché si possa invertire la tendenza?”. Di qui l’urgenza di “una manovra fiscale coraggiosa, che dia finalmente equità alle famiglie con figli a carico”. La messa in atto del cosiddetto “fattore famiglia”, per la Cei, “sarebbe già un passo concreto e significativo”. Il terzo fantasma che “sta crescendo nel Paese” è il gioco d’azzardo, con ricadute devastanti per i singoli e le famiglie, che arrivano fino al suicidio : bisogna “intervenire in modo radicale”. Last but non least, le unioni civili, che di fatto sono “una equiparazione al matrimonio e alla famiglia, anche se si afferma che sono cose diverse”. “In realtà – ha spiegato Bagnasco entrando nel dettaglio del dispositivo legislativo – le differenze sono solo dei piccoli espedienti nominalisti, o degli artifici giuridici facilmente aggirabili, in attesa del computo finale”: la pratica dell’utero in affitto. La teoria del gender, insomma, “è sempre presente in modo strisciante”. Nelle foto: - il vescovo Lagnese durante lo slotmob isolano, mentre firma la lettera contro l’azzardo al presidente della repubblica Mattarella. - La visita del vescovo al centro diocesano di prima accoglienza G.P.II di Forio


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RIASSETTI & FUSIONI

Editoria: un’era glaciale più che una tempesta Di Nicola Salvagnin

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i dice che il settore dell’editoria sia maturo: parola con accezione negativa, quando la si usa in economia. Significa: ha già dato tutto, ora è in declino. E i numeri non confortano: nel giro di pochi anni i principali quotidiani nazionali hanno perso la metà della loro tiratura, e conseguenti vendite. I settimanali hanno quasi tutti chiuso i battenti, i mensili o hanno detto addio o si sono ridimensionati di conseguenza. Un’era glaciale, più che una tempesta. Le aziende editrici hanno fatto fronte prepensionando un terzo della forza lavoro (mentre la categoria dei poligrafici è addirittura in via d’estinzione), tagliando il tagliabile, riducendo foliazioni e redazioni; ma la cosa all’esterno più “visibile” è il vero e proprio terremoto proprietario che ha coinvolto di recente i più grossi nomi dell’editoria italiana. Aveva cominciato Torino, cioè la famiglia Agnelli. La prima integrazione è stata quella tra La Stampa e il genovese Secolo XIX. Insomma, il grande gruppo del Nord Ovest, più o meno. Ma quelle sono state solo le prime scosse, rispetto a quanto è accaduto di recente. Gli Agnelli-Elkann – che invece hanno investito pesantemente oltreconfine nell’Economist – hanno deciso di smontare i loro investimenti editoriali in Italia, fonte sì di potere ma anche di grandi perdite economiche: dapprima hanno fatto un patto con l’altro grande editore nazionale (Carlo De Benedetti: gruppo Espresso-Repubblica, Finegil, tre radio…) che è stato visto come una vera e propria ritirata dal fronte. Ora il Gruppo Espresso ha in corpo pure La Stampa, e gli Agnelli-Elkann in cambio hanno ricevuto una quota (assai) minoritaria dell’Espresso stesso. Ma l’ex real famiglia torinese è (era) appunto anche l’azionista di riferimento della concorrenza: il gruppo Rcs che edita il Corriere della Sera e la rosea Gazzetta. Usiamo il passato perché la decisione presa in contemporanea è stata quella di disfarsi pure delle quote detenute in Rcs, sopportando una grande perdita in bilancio. La Rizzoli Corriere della Sera infatti è da tempo un malato grave: bilanci appesantiti da un debito colossale, la

Nel giro di pochi anni i principali quotidiani nazionali hanno perso la metà della loro tiratura, e conseguenti vendite. I settimanali hanno quasi tutti chiuso i battenti, i mensili o hanno detto addio o si sono ridimensionati di conseguenza. Tuttavia, piangersi addosso non serve. Anche perché la cosa scioccante non è la disaffezione, ma quanto questa sia repentina. Se un giornale viene abbandonato in un amen, forse è anche perché era diventato più un’abitudine che un piacere o un bisogno. Per questo ora più che mai occorrono ottimi giornalisti. La mediocrità non paga più svendita di molti asset (tra cui i libri Rizzoli alla Mondadori e la sede di via Solferino a Milano), gestioni e scelte strategiche discusse e discutibili, una compagine azionaria frastagliata, divisa al suo interno, assai poco propensa a investire nuovi denari dopo aver perso buona parte di quelli iniziali. La mossa di John Elkann ha innescato insomma un terremoto. Un tempo la proprietà del Corrierone era affare di Stato: si muoveva (pesantemente) la politica, si agitavano i salotti buoni del capitalismo, si creavano cordate e fronti di potere. Un tempo. Oggi il rimescolamento della sua proprietà ha portato a movimenti di campo ben più modesti. Si è mosso per primo un azionista di Rcs, quell’Urbano Cairo che di mestiere fa appunto l’editore (settimanali popolari, riviste patinate, La7), con un’offerta non strabiliante, ma comunque vox clamans in deserto: ha offerto un concambio azionario, titoli della Cairo Communication in cambio di quelli – assai svalutati – di Rcs. Carta su carta, dicono gli esperti. Cairo ha alle spalle un’azienda editoriale sana e ben gestita; il valore aggiunto è dato soprattutto dalla

sua capacità di far fruttare i cactus. Il resto dei grandi azionisti Rcs ha dapprima abbozzato, poi – tramite la regia di Mediobanca – ha risposto nei giorni scorsi con una controfferta: soldi. Anche in questo caso non tantissimi, ma si tenga conto che chi si prende Rcs, si piglia pure i 400 e passa milioni di euro di debiti pregressi. La mossa del cavallo è stata possibile grazie al coinvolgimento di uno dei finanzieri più liquidi d’Italia, Andrea Bonomi: colui che effettivamente apporterà denari da offrire al mercato e non solo azioni. Si vedrà come andrà a finire, anche se la notizia che – ripetiamo – un giorno avrebbe scosso i palazzi del potere fin dalle fondamenta, oggi è trattata nelle pagine economiche come una qualsiasi scalata industriale. E qui si torna alla riga iniziale, al “maturo”. Mai come oggi informazione è potere. Mai come oggi, però, l’informazione ha così poco valore. Una contraddizione dovuta al cataclisma-internet e al cambiamento repentino delle abitudini dei cittadini occidentali (il fenomeno interessa mezzo mondo). Le quattro notizie-quattro più im-

portanti del momento, uno le sa pochi minuti dopo che sono accadute, compulsando uno smartphone alla fermata del bus. L’approfondimento? Non c’è tempo, non c’è voglia. Spesso non c’è proprio, con quotidiani quasi interscambiabili tra loro, che ormai sembrano la copia carbone delle cose apparse venti ore prima. Il problema di internet, come sanno perfettamente gli addetti al settore, è che non genera soldi (gli introiti pubblicitari sono esigui, i sistemi a pagamento scansati come la morte da lettori abituati ad avere tutto gratis). E senza incassi, non si pagano stipendi, non si fa editoria, non si fa giornalismo. Si ricalcano solo le famose quattro notizie-quattro, prese dai notiziari dei telegiornali che ormai vanno in onda 24 ore su 24. Qualche euro li dà certa informazione tecnica – come quella economica –, insomma “pregiata” e che per questo si fa pagare e ci riesce pure. Soffre meno l’editoria locale, chi racconta quelle cose che internet non riuscirà mai a fare. Ma sono isole, mentre i continenti si stanno riducendo. Piangersi addosso non fa che aumentare la marea che sommerge l’editoria. La carta rimarrà, così come sono rimasti i libri dopo la rivoluzione degli e-book. Ma, tra una lacrima e l’altra, comunque serve una profonda revisione del prodotto editoriale. La cosa scioccante non è la disaffezione, ma quanto questa sia repentina. Se un giornale viene abbandonato in un amen, forse è anche perché era diventato più un’abitudine che un piacere o un bisogno. E per fare buoni prodotti editoriali occorrono ottimi giornalisti con preparazione adeguata, cultura e idee valide. La mediocrità non paga più.


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Veglia di Pentecoste e Giubileo Sabato 14 maggio la Chiesa d’Ischia ha vissuto un momento di profonda unità. L’evento, molto bello e partecipato, è culminato con la celebrazione della Santa Messa presieduta dal nostro Vescovo Pietro nella Chiesa Cattedrale Di Giuseppe Galano

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omenica 15 maggio i Cristiani hanno vissuto una data molto importante, ossia il giorno di Pentecoste. Questa festività celebra un evento decisivo per la storia della fede cristiana: la discesa dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli riuniti nel cenacolo. La ricorrenza coincide con la domenica successiva ai quarantanove giorni dopo la Pasqua. L’importanza di questo avvenimento è da ricercare nel successivo inizio della missione degli Apostoli fra tutti i popoli della Terra, ossia l’annuncio del Vangelo e della Parola di Dio. Il termine Pentecoste letteralmente vuol dire cinquantesimo giorno, facendo riferimento ai cinquanta giorni successivi alla Pasqua. Simbolicamente la ricorrenza viene rappresentata con il colore liturgico rosso; questo colore fa riferimento allo Spirito Santo che, una volta passato sugli Apostoli, assume la forma di lingue di fuoco. Con la Pentecoste termina il periodo della Pasqua ed ha inizio la preparazione alla Solennità del Corpus Domini. Sabato 14 maggio la Chiesa d’Ischia ha vissuto un momento molto forte di profonda unità, la Veglia di Pentecoste con il Giubileo delle Associazioni Laicali. L’evento, molto bello e partecipato, è culminato con la celebrazione della Santa Messa presieduta dal nostro Vescovo Pietro nella Chiesa Cattedrale di Ischia Ponte. A partire dalle 20, in preparazione alla Celebrazione Eucaristica, ci si è ritrovati nella Chiesa dello Spirito Santo per dare inizio ad un momento di preghiera. Prima di intraprendere il cammino verso la Porta Santa si è ascoltato un passo del Vangelo di Luca (4,14-21). L’Inno del Giubileo della Misericordia ha accolto il corteo che giungeva in Cattedrale. Ai piedi dell’altare sono state deposte sette candele a rappresentare i doni dello Spirito Santo affinché potesse entrare come fuoco nel cuore dei partecipanti. La Liturgia della Parola è stata molto ricca, presentando ben cinque letture seguite da quattro

salmi. Le letture hanno permesso di meditare sull’opera dello Spirito che il Signore vuole per noi. Il brano del Vangelo, tratto dall’Evangelista Giovanni (7,37-39) “Sgorgheranno fiumi di acqua viva” è stato ricco di preziosi spunti di riflessione. L’omelia del Vescovo ha ripercorso più volte questo passo del Vangelo e le letture ascoltate in precedenza. “L’abbondante Parola di questa Liturgia ci permette di fare esperienza dello Spirito in questa Eucarestia nella veglia di Pentecoste, nella quale le Aggregazioni laicali della nostra Chiesa celebrano il loro giubileo. Siamo stati preparati dalla Parola perché possiamo veramente innalzare al Signore la preghiera: Vieni Spirito Santo! Noi siamo qui per questo, perché ci riconosciamo illuminati dalla Parola, bisognosi dello Spirito, di questo Spirito che è dono del Risorto”. Il brano del Vangelo ci riporta all’ultimo giorno della Festa delle Capanne, momento di ringraziamento per il dono del raccolto che il Signore permetteva al popolo d’Israele. Per sette giorni il popolo stava insieme, faceva festa ed invocava il dono della pioggia affinché vi potesse essere altro raccolto e ringraziava Dio. Gesù, racconta Giovanni, entra nel Tempio ed afferma: chi ha sete venga a me, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal mio seno. “Siamo venuti questa sera a fare quello che Gesù dice nel Vangelo, siamo venuti a bere alla fonte dell’acqua viva per ricevere lo Spirito Santo”. Il Vescovo si sofferma su un aspetto molto particolare. “Poche volte Gesù grida. Egli è umile, raramente grida e quando lo fa è solo per amore. Gesù sta facendo un annuncio, una dichiarazione. Ma il verbo gridare non può non farci pensare al grido di Gesù sulla croce! Là sulla croce Gesù ci ha ottenuto il dono dello Spirito! Per farci dono dello Spirito Egli ha dovuto sperimentare l’abbandono del Padre: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? D’altronde quel “ritto, in piedi”, a che cosa rimanda se non all’ora della croce? Siamo tutti


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delle associazioni laicali

Con la Pentecoste termina il periodo della Pasqua ed ha inizio la preparazione alla Solennità del Corpus Domini figli di questo grido”. Padre Pietro afferma che siamo chiamati ad entrare nel grido di Gesù per essere anche noi capaci di gridare, capaci di intercettare il grido di tanti nostri fratelli che gridano. “Lo Spirito ci viene in aiuto. Grazie a questo dono è nata la Chiesa. Senza lo Spirito Dio sarebbe lontano e la Chiesa diventerebbe semplice organizzazione. Nello Spirito Santo è presente Cristo Risorto. Grazie allo Spirito tante realtà sono nate nella Chiesa, tante realtà carismatiche, aggregazioni laicali, tutte frutto dello Spirito”. Il Vescovo ha invitato a più riprese a mettersi in atteggiamento di umiltà ed invocare il dono dello Spirito, affinché accogliendolo si possa permettere la realizzazione dei desideri del Signore. Al termine dell’omelia vi è stato il rinnovo delle promesse battesimali con accensione delle candele ed aspersione dell’assemblea con

acqua benedetta. Prima di concludere la Celebrazione il Vescovo ha rivolto un altro pensiero ai presenti. “Grazie carissimi fratelli e sorelle. Il Vescovo vi dice grazie perché ci siete, per quello che fate. Grazie perché provate ad essere cristiani e a testimoniare il Signore. Senza di voi la Chiesa d’Ischia sarebbe più povera. Con voi il Signore farà cose belle. Benedico tutte le realtà alle quali appartenete”. Mattia Rotondo


G Giubileo iubileo M Misericordia isericordia della della

21 maggio 2016

X CATECHESI sulle opere di Misericordia 23 maggio ore 20:30 in Cattedrale con don Armando Matteo, Teologo e docente di Teologia fondamentale alla Pontificia università Urbaniana di Roma. Titolo: Consigliare i dubbiosi. «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità.» (1Tm 2,4)

La vecchiaia è finita. Siamo tutti post-mortali In attesa della catechesi possiamo meditare su questo nuovo saggio di don Armando Matteo. Siamo portatori di un esagerato

giovanilismo,

occorre sempre essere in forma, guai a perdere un piacere... E aspettare il paradiso per avere la felicità non serve più

O

gni epoca offre alla Chiesa nuove opportunità e nuove sfide per l’annuncio del Vangelo, per la trasmissione della fede di generazione in generazione e per la testimonianza concreta delle istanze di carità e di giustizia provenienti dalla parola di Gesù. Anche la nostra non fa eccezione e ci pare che le questioni collegate all’allungamento della vita siano particolarmente rilevanti proprio in quanto vanno a toccare la prassi sacramentale spicciola, il rapporto tra cultura e fede e ancora il contributo della comunità cristiana alla costruzione di una società più giusta e semplicemente più umana. Ci affacciamo per esempio sul capitolo più delicato del confronto tra immaginari diffusi, rapidamente e radicalmente ridefiniti a causa della longevità di massa, e fede cristiana: il capitolo dedicato allo spazio rimasto per un annuncio possibile della parola della risurrezione. Questa immensa vita a nostra disposizione renderà ancora auspicabile altra vita dopo la morte? Più la medicina allontana la morte dalla vita quotidiana, in quanto si muore sempre di più tardi, cosa che potrebbe, almeno teoricamente, favorire una qualche riconciliazione degli umani con questo evento, più

la lingua diffusa tende a esorcizzarla e quasi ad annullarla, la morte. Sono, del resto, più che noti a tutti noi i numerosi sinonimi utilizzati per dire che qualcuno o qualcuna è morto o morta. Si va dal non esserci più allo spegnersi, dal venire a mancare allo scomparire, dal passare a una vita migliore al ricongiungersi, dal compiere l’ultimo viaggio all’accomiatarsi e congedarsi, dal cessare di soffrire al varcare le porte del cielo, dal finire i giorni all’addormentarsi: e qui, come si vede, è tutto un rosario di metafore che hanno come notazione comune la fatica ad accettare la condizione di passività che contraddistingue l’essere umano. Quando oggi si muore, si muore attivamente. Si fa qualcosa. Sì, è proprio paradossalmente così: non siamo mai proprio del tutto morti, neppure mentre moriamo! Per questo, da tempo, la studiosa francese Céline Lafontaine ha coniato l’espressione «post-mortale», per indicare la nostra società. Con le sue parole: «La nozione di post-mortalità si riferisce [...] alla volontà ostentata di vincere grazie alla tecnica la morte, di “vivere senza invecchiare”, di prolungare indefinitamente la vita». Insomma l’inedita speranza di vita media concessa ai


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cittadini occidentali e le insistenze della ricerca medico-scientifica, che tratta sempre più la morte come una sorta di malattia da provare a debellare, rendono oggi l’ascolto della parola della morte sempre più raro e difficile. E questo vale non solo nel senso elementare per cui questo termine e il verbo relativo non trovano più spazio neppure sui manifesti funebri! Più radicalmente vale per quella parola che la morte possiede, nell’offrire orientamento, contorno e contenuto all’esistenza umana. «Società post-mortale» significa esattamente questo: la morte non parla più e più nessuno ascolta la sua parola circa la finitezza e l’irripetibilità delle scelte umane. Al contrario, la cifra che contraddistingue il modo ordinario di stare al mondo, soprattutto quello della popolazione adulta, è un giovanilismo senza freni e senza regole, inzuppato di narcisismo, cinismo e individualismo. Siamo portatori di un vitalismo esagerato, che le dinamiche economiche hanno individuato e promosso quale vero mantra della felicità. Bisogna godere. Bisogna godere sempre. Bisogna godere tutto. Lo spazio per pensare ad altro e a dopo perde semplicemente consistenza. Inoltre una tale spinta vitale viene proposta e, grazie ai farmaci di ultima generazione e al perfezionamento costante delle tecniche chirurgiche, artificialmente prolungata sino a 70, 80 e 90 anni. Bisogna essere sempre in forma, sempre atletici, simpatici e pimpanti. Sempre fit! Guai a perdere qualcosa, a rinviare qualche piacere, a lasciarsi sfuggire

G Giubileo iubileo M Misericordia isericordia della della

una bella occasione! Di fronte a questo scenario, c’è ancora qualcuno che aspetta il paradiso per avere la felicità eterna? C’è ancora qualcuno che aspetta l’eternità per avere una vita duratura? C’è, insomma, ancora qualcuno che possa ascoltare, all’interno della sua dinamica esistenziale, l’inedito che la parola della risurrezione di

Gesù ha portato con sé? Al cuore del messaggio del Vangelo si trova, infatti, l’evento della risurrezione di Cristo: la morte che gli era stata inflitta dal potere romano, su sollecitazione delle autorità giudaiche, a causa del suo messaggio di amore e di giustizia a raggio universale, non ha avuto su di lui l’ultima parola. I cristiani credono che Dio stesso abbia agito in lui e tramite lui per

sconfiggere il vincolo drammatico della morte, rivelando altresì la natura ultimamente divina di Gesù e conferendo pertanto assoluta credibilità al suo messaggio. A coloro che ora credono in lui viene donata la speranza che la morte non rappresenti più un luogo di non ritorno, ma una soglia di passaggio e purificazione verso un’altra vita e una vita altra. La più che accertata remotezza dell’evento della morte personale, che toglie quasi ogni drammaticità all’antica sapienza del memento mori («Ricordati che devi morire»), la configurazione post-mortale degli immaginari condivisi, che comandano un godimento senza testa e soprattutto senza fine, la rappresentazione della vecchiaia come tempo sostanzialmente affidato alla cura delle malattie neurodegenerative, che in ogni caso ci esonereranno da ogni volontà e responsabilità dirette, sembrano indicare la perdita di antenne, nella popolazione occidentale, per l’ascolto della parola più esplosiva e originale che in essa sia stata mai pronunciata: la parola della risurrezione di Cristo. L’antica alleanza che il cristianesimo aveva pur in qualche misura favorito tra drammatica della morte e annuncio di una felicità possibile ha fatto pertanto il suo tempo. È fuori discussione che è almeno dall’epoca della peste nera, che raggiunse l’Europa sul finire del 1347, decimandone all’incirca un terzo della popolazione, che la Chiesa cattolica fa molto leva sulla paura della

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morte per sostenere la convenienza della fede. Quella paura non c’è più. È scomparsa, è venuta a mancare, si è spenta, si è congedata. È semplicemente morta. Sono necessarie altre antenne perché anche la parola della risurrezione non patisca un destino similare. Più la medicina allontana la morte, più la lingua l’esorcizza con un rosario di metafore: «spegnersi», «scomparire», «venire a mancare» «compiere l’ultimo viaggio», «cessare di soffrire», «congedarsi» La longevità di massa pone anche problemi teologici; per esempio: la lunga vita ora a nostra disposizione renderà ancora auspicabile una resurrezione nell’aldilà? La terza versione dell’”Isola dei morti” (1883) di Arnold Böcklin.

LA TERZA ETA’ E’ ENTRATA IN CHIESA «Tutti muoiono troppo giovani»: attinge a una frase dell’antopologo Marc Augé il titolo del nuovo saggio di don Armando Matteo, dedicato a «Come la longevità sta cambiando la nostra vita e la nostra fede» (Rubbettino, pp. 108, euro 10), di cui diamo un saggio in questa pagina. Dopo essersi occupato del mondo giovanile («La prima generazione incredula») e di quello femminile («La fuga delle quarantenni»), l’autore – docente di teologia all’Urbaniana – affronta con il consueto piglio appassionato un altro settore sociologico cruciale per la Chiesa e la pastorale odierna: la terza età. Tra aumento dell’età media dei fedeli e mito del giovanilismo perenne, come il cristianesimo (in specie italiano) sta reagendo alle sfide dell’invecchiamento della nostra società?


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Scuola 21 maggio 2016

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Gli oggetti che butti via

li trasformiamo con fantasia Delle Mamme

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ella scuola per l’infanzia del circolo didattico di Forio e Serrara Fontana, plesso di Panza, si è concluso da qualche settimana un progetto chiamato “Ciclo…riciclo e ricreo” nell’ambito del Progetto di Circolo “Cittadini in erba” a.s.2015/2016. Il progetto ha coinvolto i piccolissimi dai tre ai cinque anni in lavoretti mirati all’insegnamento del rispetto per l’ambiente, in una fase della vita in cui massimo è l’apprendimento. Guidati da due insegnanti, Maria Giuseppina Verrone e Rosa Giannetti, trentatré bambini di due sezioni si sono incontrati due pomeriggi a settimana dalle 14.30 alle 16.00 per sperimentare attraverso attività di laboratorio ed esperienze dirette quanto si possa ottenere dal riutilizzo in maniera creativa dei materiali. Aiutati dalle maestre i bambini hanno raccolto, tagliato, assemblato, incollato, colorato, ma soprattutto imparato moltissime cose, divertendosi e sviluppando fantasia manualità e creatività. Hanno imparato che alcune cose che non servono più, come dice un cartellone appeso nell’aula, non vanno buttate via ma possono diventare simpatici elementi per le loro camerette o le stanze della casa o per il giardino e che rispetto per la natura vuole dire anche differenziare, riutilizzare ed usare in modo diverso le cose, provando loro stessi a riutilizzare i materiali per dar vita a oggetti utili e vere e proprie opere d’arte. Così vecchie bottiglie di plastica sono diventate colorati vasi da riempire con acqua e fiori; rotoli di carta, simpatici e decorativi portapenne; vecchie cassette di legno sono diventati acquari al cui interno appendere conchiglie e pesciolini realizzati con tappi di bottiglia. E tappi di bottiglia sono stati utilizzati anche per decorare e personalizzare tante cannucce colorate; e ancora lattine di alluminio sono diventate vasi di terra con fiori e vecchi cd inutilizzati, elementi decorativi da appendere nelle camerette o alle finestre per creare magici riflessi di luce. Tanti lavoretti sono stati realizzati ma protagonista

Il progetto “ciclo riciclo e ricreo” che ha coinvolto i bambini della scuola per l’infanzia di Panza, per il rispetto dell’ambiente e contro lo spreco

della mostra dove il tutto è venuto esposto, è stato il grande albero realizzato dai bimbi di tre anni con carta riciclata, bagnata, compattata e colorata cui sono stati appesi fiori realizzati con bicchieri di plastica e fili di carta pendenti. In un angolo un alveare di carta a rendere ancora più caratteristico l’insieme. Un lavoro davvero straordinario! Il giorno dell’esposizione dei lavori maestre e bambini sorridenti e orgogliosi hanno accolto mamme e papà che sono rimasti davvero a bocca aperta. Complimenti a questi bimbi che si sono impegnati, alle maestre che li hanno ben guidati e alla Direttrice Giovanna Cuomo del Circolo Didattico Forio 2, che ha approvato questo Progetto che trasmette ai bambini l’amore e il rispetto per l’ambiente in cui vivono, valore fondamentale da insegnare fin dalla prima infanzia poiché concorre a sviluppare nei più piccoli un senso di appartenenza al pianeta.


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Società

21 maggio 2016

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LA STORIA

Il testamento del piccolo Giovanni Nei giorni di festa sull’isola per Santa Restituta, arriva in redazione questa “storia di santità”: i genitori del bambino siciliano hanno voluto esaudire il suo ultimo desiderio: donare i propri risparmi per aiutare l’ospedale che lo ha accudito nell’ultimo periodo della sua breve vita.

Di Marco Fatuzzo

G

iovanni Ignaccolo aveva appena tre anni, allorché precipitò nel vuoto dall’altezza di sei metri nel vano scale della sua abitazione di Ispica, paese di 16 mila abitanti in provincia di Ragusa, sulla costa sud-orientale siciliana. Era l’anno 2012. Nella caduta il piccolo riportò gravissime lesioni alla testa, con decompressione della massa ematica rilevante. Da quell’evento iniziò un lungo e doloroso calvario, per Giovanni e i suoi giovani genitori (mamma Valeria e papà Salvatore): quattro anni di continue visite, viaggi della speranza, interventi chirurgici, lunghe degenze ospedaliere. Sin dall’inizio di questa odissea, il piccolo Giovanni, sempre lucido e consapevole, ha stupito tutti affrontando interventi e degenze (non immuni da sofferenze), con la tempra di un adulto. L’ultimo periodo della sua breve vita l’ha trascorso presso la divisione di pediatria dell’ospedale Maggiore di Modica, poco distante dalla sua abitazione di Ispica, dove, a dire della mamma Valeria, «è stato curato da tutti – medici e infermieri – con un affetto non comune, che francamente non ho trovato in altre strutture super specializzate del Nord». Giovanni ha lottato con tutte le sue deboli forze fino alla fine. Non ce l’ha fatta a sopravvivere: è andato ad arricchire il Regno degli angeli alcuni giorni orsono, a sette anni. Prima di morire ha espresso un ultimo desiderio: donare tutti i suoi (pur esigui) risparmi per acquistare un’attrezzatura per l’ultimo ospedale che l’aveva ospitato e curato amorevolmente, e che potesse servire per alleviare le sofferenze di altri bambini in condizioni simili alle sue. In realtà – confida ancora la mamma Valeria – «il suo sogno era quello di com-

prare con i suoi risparmi addirittura l’intero ospedale! Pur così piccolo e nella sofferenza che ha patito ci ha dato emozioni uniche e irripetibili; oltre a una straordinaria lezione di bontà e altruismo». I genitori di Giovanni hanno voluto dare immediata attuazione al suo “testamento”, presentandosi al primario della divisione di pediatria dell’ospedale Maggiore di Modica, Ferdinando Zocco, per esaudire il desiderio di Giovanni. Gli hanno manifestato il proprio intento di contribuire all’acquisto di un oscillometro (strumento utilizzato per la misurazione dell’espansibilità delle pareti arteriose di un arto), che verrà donato alla divisione di pediatria dell’ospedale.


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Santi Patroni 21 maggio 2016

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Sogno un nuovo um

L’attualità del Vangelo nelle persecuzioni ai cristiani stra fin troppo “superficiale e di facciata”, il sogno

tanto altro nelle parole pronunciate da mons. Lagne

di Santa Restituta vergine e martire, patrona di Lacc Di Francesco Schiano

N

on usa giri di parole il vescovo di Ischia mons. Pietro Lagnese per esprimere la scarsa solidità della testimonianza cristiana dei nostri giorni, rapportandola alle sofferenze patite ieri e oggi da chi non ha avuto e non ha la possibilità di professare liberamente la propria fede nel Cristo: “Le parole di Gesù ascoltate nel Vangelo di oggi risuonano oggi tremendamente attuali! Solo qualche decennio fa, ascoltandole, pensavamo che esse si riferissero soprattutto ai primi tempi della Chiesa e fossero comunque destinate ad indicare un tempo ormai passato che quasi certamente non si sarebbe mai più ripresentato. Ed invece oggi assistiamo ad una nuova ondata di persecuzioni! I cristiani uccisi a causa della fede non si contano più e la religione cristiana, secondo le statistiche, è oggi nel mondo la più perseguitata”. Il nostro Vescovo, mentre da un lato ha invitato ad essere solidali con questi nostri fratelli ha focalizzato la sua attenzione su alcuni importanti interrogativi, riportando tutti a scoprire qual è la qualità della fede che viviamo oggi giorno dopo giorno:

“La testimonianza di tanti nostri fratelli perseguitati ci provoca e spinge a farci delle domande che sono per noi quanto mai necessarie: in un contesto sempre meno cristiano, qual è l’attuale, siamo noi capaci di testimoniare la nostra fede? Qual è la qualità della nostra vita cristiana? Chi tipo di cristiani stiamo generando? Già alla fine del secolo scorso qualcuno parlando del cattolicesimo italiano, lo definiva superficiale e “di facciata” e lo stesso papa Francesco più volte ha sottolineato il pericolo che anche noi, viviamo la nostra fede solo in apparenza, arrivando a parlare di “cristiani truccati”. Una fede che non incide nella vita dunque, ci ha ricordato mons. Lagnese, è una fede sterile, che non genera vita e non porta a frutti importanti di bene. L’Anno della Misericordia in particolare è quell’occasione imperdibile per riscoprirci testimoni autentici: “Noi non abbiamo bisogno di cristiani truccati, ma di testimoni veri di Cristo che, pur nella loro debolezza, vogliono seguire il Signore Gesù! Amare Santa Restituta significa imitarla e prendere sul serio la nostra fede perché riviva e


Santi Patroni

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manesimo ischitano

i del nostro tempo, una testimonianza da parte nodi un nuovo “umanesimo e ischitano”: c’è questo e

ese di martedì 17 maggio nell’omelia della Solennità

co Ameno e della nostra Diocesi di Ischia

sia capace di trasformare la nostra vita! Una fede capace di prendere sul serio il vangelo” L’ultima parte dell’omelia di mons. Lagnese ha ricalcato lo storico discorso tenuto da Papa Francesco lo scorso 6 maggio alla consegna del Premio Carlo Magno. Con esse mons. Lagnese ha chiesto agli ischitani la capacità non solo di sognare ad occhi aperti ma di vivere concretamente un cambiamento di vita negli atteggiamenti, nei pensieri, nelle azioni quotidiane. Sono parole che vale la pena trascrivere per intero perché racchiudono per davvero ciò che il nostro Vescovo porta nel proprio cuore: “Sogno un nuovo umanesimo ischitano, «un costante cammino di umanizzazione», cui servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia»[10]. Sogno un’Isola d’Ischia giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Isola d’Ischia che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché

non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Ischia che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Isola che sappia accogliere chi è migrante e sappia vedere nei migranti non una minaccia ma un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Ischia dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno per Ischia una nuova attenzione alle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Ischia che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Isola di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia!” Giovan Giuseppe Lubrano


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La Storia siamo Noi 21 maggio 2016

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I nostri FABBRI-FERRAI maestri sull’isola nell’arte del ferro battuto L’antico mestiere del fabbro ferraio ricordato per i suoi semplici ed utili forgiatori, alcuni dei quali diventati maniscalchi per ferrare muli e cavalli in largo uso tra Ischia, Barano e Forio

Di Antonio Lubrano

P

egli anni precedenti al boom dell’edilizia privata sull’intero territorio dell’isola d’Ischia, i nostri fabbri ferrai nelle loro botteghe avevano come “ferri” del mestiere solo un’incudine, il martello - detto mazzola e mazzolone - con cui battere, una forgia a carbone ardente chiamata fucina per rendere rovente un pezzo metallico prima e durante la lavorazione, un soffiatore a mantice ed infine - con l’avvento dell’energia elettrica - un flex e una saldatrice, oltre naturalmente ad altri piccoli arnesi del mestiere quali tenaglia, tronchese e lente protettiva contro le scintille delle saldature e del taglio del ferro. Per non andare troppo indietro nel tempo partiamo dal primo novecento per identificare, almeno sull’isola, una categoria che si faceva seguire per un tipo limitato di produzione che era utile per altri mestieri. Nascevano così dalle varie fucine sparse sul territorio fra Ischia e Forio, attrezzi tipo scalpelli, piedi di porco, pali di ferro acuminati, utensili per camini, palette per fornaci e mezzelune di ferro per ferrare muli e cavalli e attrezzi vari per l’agricoltura. Negli anni ‘20 e ‘30 molti dei nostri fabbro ferrai, pur rimanendo fabbri a tutti gli effetti, si videro costretti a fare i maniscalchi per la continua richiesta di cambio dei ferri sotto i piedi di muli e cavalli la cui presenza ed il loro utilizzo sull’isola erano notevoli. Storicamente, l’arte del maniscalco si sovrapponeva in parte a quella del fabbro; i ferri venivano infatti forgia-

ti al momento, e su misura, secondo le necessità dei cavalli. Attualmente l’ampia disponibilità commerciale di ferri di cavallo già pronti, rende inutile il loro confezionamento, ma è comunque richiesta una certa competenza nella lavorazione del ferro per i necessari adattamenti che vengono attuati a freddo o a caldo con i tradizionali attrezzi del fabbro, ossia, fucina, incudine, mazza. Dagli anni ‘60 in poi è cambiato tutto. Alla progressiva ed incessante richiesta del ferro lavorato è seguita l’immediata evoluzione del mestiere di fabbro ferraio. Tutti quelli che operavano nel settore hanno avvertito la necessita di migliorarsi. Così da semplici fabbri sono diventati esteti del ferro, artisti della tornitura, fantasisti del disegno, maghi del ferro battuto. Di quest’ultimo i nostri fabbri ferrai hanno incominciato a farne uso fin dagli anni ’60, allorquando sull’isola nascevano ville, alberghi e locali alla moda. Un processo di arricchimen-

to e di trasformazione inarrestabile in cui il ruolo del fabbro, era visto come determinante per la realizzazione di lavori sofisticati a balconi, cancelli, porte, letti, sedie e tavoli da giadino, scale interne ed esterne, lampadari e quant’altro potesse servire da decoro in ambienti vissuti e curati di un’isola che cresceva a vista d’occhio. Sul nostro territorio i fabbri ferrai sono espressioni di un mestiere ereditario di generazione in generazione. Ecco alcuni esempi di aziende: Aloi, Aversano, Rotolo, Ferrandino, Mazzella, Sasà, Mancusi, Trani, D’Abundo. Buonomano, Iacono, Cigliano. Costoro sono leader anche nella produzione di infissi in alluminio, Pvc e taglio termico per un diverso tipo di produzione sempre più al passo con i tempi. Infatti fin dall’antichità, la lavorazione del ferro veniva creduta opera diabolica. Il ferro e la figura del fabbro venivano quindi visti con non poche perplessità. L’idea del contributo del

diavolo, veniva dalla proprietà particolare del ferro che richiedeva grossi sforzi fisici e capacità particolari, ai tempi definiti da “extraumani”. Tra il 1200 ed il 1300, vengono realizzati ferri battuti di grandissimo pregio artistico in tutti i paesi europei. Artisti ed architetti, collaborano in fase di progetto con i fabbri con spirito di reciproco rispetto artistico, e nascono opere in ferro battuto che ancor oggi ammiriamo. Tra i più famosi artisti del ferro, si ricorda Nicolò Grosso, detto il Caparra vissuto sul finire del 400, che realizzò i ferri per palazzo Strozzi a Firenze. Ed è proprio in toscana che il ferro battuto ebbe una fioritura assai ricca e varia. Grazie alla sua versatilità artistica, il ferro fa la sua comparsa in ogni epoca, ed è nel 1600 che grazie allo stile Barocco compaiono, gli ornamenti più elaborati, con volute, foglie e ramificazioni imprevedibili e fantastiche. Nel 1700 si raggiunge l’apice dell’arte fabbrìle ed i disegni si arricchiscono di dorature ed i colori fanno la loro comparsa. Il neoclassicismo apparso nella seconda metà del 1700, fa contenere le opere in ferro,in schemi più convenzionali e la comparsa della ghisa alimenta il malcontento dei fabbri che si sentono meno realizzati. Ma già verso la fine del ‘800, tale arte si rivaluta con l’avvento di nuovi stili quali “Art Nouveau” e “Liberty” e l’arte fabbrile. E sarà proprio il periodo dell’arte fabbrile con lo stile “Liberty” che offrirà la possibilità a vari artisti del ferro, qui sull’isola d’Ischia, di eseguire, con le innovazioni tecnologiche a disposizione, lavori di straordinaria bellezza.


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15 21 maggio 2016

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IL PUNTO

SASA' E L'INCUDINE

Dall’antichità ad oggi, l’arte fabbrile e lo stile Liberty Di Michele Lubrano

A

l tempo dei romani, quando i fabbri dirottarono sempre più la loro maestria dal settore militare, che fino ad allora era stato il preminente, a quello civile, accadde che il lavoro del fabbro era al primo posto su tutti gli altri e godeva dell’attenzione professionale di ingegneri ed architetto del tempo. Per completezza di informazione storica, Plinio il Vecchio ci fa addirittura sapere che al suo tempo ( I sec d.c. ) il ferro costava ed era ricercato addirittura più dell’argento e già a Roma nacque una prima corporazione di maestri fabbri. Dopo le invasioni barbariche, bisogna attendere il nuovo millennio e la rinascita culturale ed economica dell’Europa per ritrovare in grande stile i fabbri al lavoro. La storia di Aenaria sommersa, che nei dettagli stiamo conoscendo in questi mesi, ci porta con l’immaginazione a quel tempo per configurarci come i nostri fabbri ferrai dell’epoca forgiavano i propri lavori in ferro tramandandocene cosi il mestiere. Fin dall’antichità sull’isola il mestiere del fabbro si univa a quello del maniscalco per i tanti muli e cavalli presenti nelle campagne e nei centri rivieraschi. Ma il

futuro destino professionale del fabbro era di tutt’altra storia. Il rapido processo di sviluppo economico, sociale e culturale dell’isola d’Ischia già dagli anni ‘60 in avanti assegnò al fabbro ferraio locale un ruolo di primo piano nel panorama dei lavori artigianali richiesti. Nasce così anche per il fabbro ferraio ischitano l’arte febbrile accompagnata dallo stile liberty nell’uso del ferro battuto e particolarmente lavorato. Quindi l’affermarsi dello stile liberty con i suoi richiami al mondo naturale consacra definitivamente la produzione fabbrile nell’epoca moderna, ritagliando per i fabbri e i maestri di ferro battuto un nuovo spazio dove esercitare la propria creatività. Pertanto, realizzando frutti, fiori, animali, pesci, uccelli e altri ornamenti con i quali arricchire oggetti della vita di tutti i giorni, è accaduto che l’arte del ferro battuto è tornata in grande auge. I fabbri isolani hanno sposato in pieno la l’interessante tecnica, tanto che alcuni di essi sfoggiando l’innata creatività che gli era congeniale, sono riusciti ad imporsi sul mercato e farsi apprezzare quali richiesti straordinasri artisti artigiani.


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La Storia siamo Noi 21 maggio 2016

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Opportune precisazioni circa la cosiddetta “CASINA REALE”

Di prof. Nunzio Albanelli

L

a tradizione antiborbonica, affermatasi nell’isola soprattutto a seguito dell’efferata repressione della repubblica napoletana del 1799, non è scomparsa del tutto, nonostante le numerose smentite operate anche dal sottoscritto, circa la fantomatica donazione al sovrano Ferdinando IV di Borbone della casina reale da parte di Crescenzo Buonocore. Costui infatti era nipote del famoso Francesco Buonocore, protomedico della corte di Spagna, dove si era segnalato per meriti professionali, e, grato per i privilegi accordatigli, non avrebbe esitato a soddisfare il desiderio del re, che si era letteralmente invaghito del sito in occasione della sua visita all’isola, ricostruita dal parroco Antonio Moraldi. Né è valsa a correggere tale errata convinzione la scrupolosa ricerca, condotta dallo storico, avvocato e scrittore Nino D’Ambra, che è riuscito a reperire un documento firmato da Gioacchino Murat, re delle due Sicilie, dal quale si evince chiaramente che si è trattato di una permuta, non già di una donazione suggerita al citato Crescenzo dalla sua ben nota generosità. Il Casino in pratica veniva aggregato al reale demanio in cambio di fondi di “egual rendita”, siti in tenimento di Caserta presso la villa di S. Benedetto già appartenenti alla badia di S. Pietro ad Monte e nel territorio detto S. Salvatore. Da una parte per-

tanto è lecito chiedersi come mai i Buonocore abbiano accettato la permuta e abbandonato l’isola e, dall’altra, come mai il Borbone non sia intervenuto per evitare che il 10 giugno 1799, fosse impiccato a Procida proprio quel Francesco, pronipote di Crescenzo, capitano del castello d’Ischia, colpevole solo di avere aderito alla repubblica partenopea. Si consideri che Maria Giuseppa Corbera, madre di Francesco, perse definitivamente il senno e che la stessa casina venne poi saccheggiata dai Sanfedisti. L’unica spiegazione

plausibile del grave errore invalso e della citata tragedia può essere il desiderio collettivo di accrescere l’esecrazione nei confronti dei Borbone che avevano represso la rivoluzione del 1799 con particolare ferocia. Non mi sorprende d’altro canto l’accusa mossami dallo stesso D’Ambra di essere divenuto filoborbonico perché avrei evidenziato con particolare entusiasmo le elargizioni dei Borbone nei confronti della comunità isolana trascurando gli aspetti negativi di un regime divenuto sempre più oppressivo e poliziesco. In

realtà ribadisco che mi è sembrato doveroso puntualizzare le benemerenze inconfutabili dei Borbone pur non escludendo che un regime assolutista avesse il diritto di difendere la propria sopravvivenza ricorrendo a tutti gli strumenti compatibili nella circostanza. Tuttavia proprio perché l’isola ha offerto un grosso contributo di sangue alla causa dell’auspicata libertà, mi riservo di ricostruire le vicende che contrassegnarono il periodo e ricordare i martiri ai quali a ragione ha voluto dare risalto la toponomastica isolana.

La grande festa dei laboratori di Luca Appuntamento sabato 28 maggio nella sede di Via Iasolino Sarà una grande festa nella sede sociale sul Porto a concludere i laboratori dell’Associazione Luca Brandi. Tantissimi i giovani coinvolti quest’anno negli 11 laboratori nei quali hanno potuto mettere a frutto tutte le loro energie. A partire dalle 20:30 la sede aprirà ancora una volta al pubblico per festeggiare quest’anno trascorso insieme. «La crescente domanda da parte dei giovani – ha dichiarato Silvano Brandi che con la moglie Pina ha creato questa realtà - ci fa capire che siamo entrati nel tessuto sociale degli isolani. Siamo cresciuti talmente tanto che lo spazio a nostra disposizione è diventato insufficiente, dobbiamo trovare nuove aule dove poter dare sfogo alle

passioni dei nostri ragazzi. La nostra nuova sfida sarà questa. Un grazie speciale ai tutor che hanno reso possibile tutto ciò. Aspettiamo tutti Sabato 28 maggio dalle 20.30 presso la nostra sede per una festa speciale dove non mancheranno tante cose buone da mangiare». Durante la serata di sabato si esibiranno i ragazzi del laboratorio di canto e chitarra curato da Salvatore Ferraiuolo mentre all’interno della sede saranno esposti i lavori dei ragazzi dei laboratori di fotografia, ceramica, fumetto, pittura e scrittura creativa. Un momento importante, dunque, per i ragazzi che mostreranno a tutti quanto di bello è stato fatto durante quest’anno di Associazione.


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17 21 maggio 2016

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Don Salvatore Castiglione (1925-2009) In ricordo di un amico Di don Vincenzo Avallone

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uando nel 1925 nacque don Salvatore, l’astro della carità di Don Orione (1872-1940) era nel suo pieno splendore: lo avevano rivelato le miserie di due terremoti, quello di Messina (1908) con più di 100 000 morti, e quello della Marsica (1915) con 30000 morti; ma raggiungerà il suo top, dopo la piena prima guerra mondiale (1915-1918) che, oltre ai morti, lasciò tanti mutilati e la carità di don Orione si rivolse soprattutto sui ... mutilatini. Ed io credo che qualche ischitano avanti negli anni si ricorderà ancora dei tanti ragazzi con le grucce, che giravano per le vie dell’isola, accolti dalla carità della gente di Forio, di Lacco e di Casamicciola. Intanto don Orione si era circondato di sacerdoti e di suore che gestivano ed animavano i suoi “Piccoli Cottolengo”, una grande invenzione del cuore di don Orione. Li chiamò così a ricordo del famoso Cottolengo di Torino fondato da San Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842), che accoglieva minorati fisici e psichici. Nella mente di don Orione i Piccoli Cottolengo (ne sorsero a decine in Italia e all’estero) non dovevano tener presente nè razza né religione né politica ma solo gli impellenti bisogni umani: Ignazio Silone, grande ammiratore di don Orione, ne fu ospite dopo il terremoto della Marsica. E don Salvatore? ... Sì, fu proprio in quel periodo, 1937, che don Salvatore a 12 anni lasciò Forio per Tortona in Piemonte, dove incontrò don Orione in persona e ne fu calamitato e ne divenne un “fanatico” seguace. Fra parentesi dirò quello che mi ha sempre colpito nelle moderne Congregazioni religiose quali i salesiani, gli orionini, i vocazionisti, che cioè in esse non è solo il carisma che ti attira, ma anche e soprattutto la persona che per prima incarna quel carisma, cioè il fondatore della Congregazione. Ma, permettetemi ora un volo pindarico per planare a Villa Joseph in Casamicciola dove incontriamo Giuseppina Morgera, colei che ha costruito Villa Joseph (la chiesa di San Giuseppe e l’annesso spazio per vecchi soli e abbandonati). L’aveva costruita perché lo zio, il venerabile Giuseppe Morgera

(1844-1898), dopo il terremoto del 1883, aveva avuto il desiderio di costruire una casa per i vecchi, ma purtroppo la morte prematura a soli 54 anni gli aveva impedito di realizzare questo sogno. E lasciatemi dire che Villa Joseph (chiesa e ospizio) per quei tempi era una bella realizzazione tanto che il vescovo aveva creduto opportuno di dare all’opera

anche un cappellano nella persona del sacerdote Don Pasquale Polito. Ricordo che, quando nel 1942 noi seminaristi, accompagnati dal nostro prefetto di camerata, Don Livio Baldino, venimmo da Ischia a far visita e portare qualche dono ai vecchi, entrando nel loro dormitorio mi entrò nel naso tale un cattivo odore che mi sembra ancora di sentirlo. Al-

tro che igiene! Ma nonostante tutto, quello ospizio era meglio che niente! Ed ecco venirci incontro don Salvatore che dopo tanto girare per l’Italia viene assegnato a Villa Joseph. Ma lui, isolano e foriano, ha nella mente e nel cuore un ambizioso pensiero: fare di Villa Joseph una modernissima Casa di Riposo! E da quel momento – la lingua batte dove il dente duole – per don Salvatore tutto è orientato alla realizzazione di questo sogno! Nelle sue prediche ne parla con entusiasmo. Ci tiene ad attirarsi la simpatia dei vescovi e del clero. Si fa amica la scuola alberghiera per essere conosciuto nel turismo. Nelle grandi messe della Maddalena lui si autoinvita, perchè deve dire un pensiero in tedesco ai turisti, per interessarli al suo sogno. A Villa Joseph dava grande importanza alle zeppole di San Giuseppe con annessa lotteria. Va con il suo fucile e il suo cane “alla posta” delle beccacce, ma più che la caccia a lui interessa farsi amici i cacciatori. Per racimolare qualche soldo, chiede la collaborazione dei parroci nella raccolta di carta, cartoni e panni usati. Cappellano dell’ospedale Rizzoli, simpatizza del suo sogno medici e pazienti. Quando il cantante Claudio Villa si ferma con la sua barca al largo di Casamicciola, anche a lui chiede la carità per i suoi vecchi. E quante altre iniziative egli non prende finché i Responsabili della sua Congregazione non si convincono della bontà e dell’attualità di una moderna Casa di Riposo a Casamicciola. Ed eccoci finalmente alla posa della prima pietra. Sono presenti tutte le personalità dell’isola. Il ministro Amintore Fanfani, presente con la sua signora, regala a don Salvatore alcuni suoi quadri. Ma ricordo – lasciatemelo dire – che il parroco don Pasquale Sferratore, sempre originale nelle sue trovate, gli disse: “Don Salvatò, io ti auguro di completare presto questa Casa di Riposo, ma mi auguro che rimanga sempre vuota perché i vecchi non si devono allontanare dal loro focolare”. Caro Don Salvatore ho detto solo qualcosa di quello che hai fatto per la costruzione della Casa di Riposo di Casamicciola. Il resto lo sai tu e lo sa Dio e io sono sicuro che il buon Dio ti ha messo vicino a don Orione in Paradiso. A voi cari amici, lettori di Kaire, lasciate io dica il famoso augurio di don Orione: Ave Maria, e avanti!


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Attualità 21 maggio 2016

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PUNTI DI VISTA

Di Franco Iacono

1.

“Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti, ai cani, e poi lasciano senza aiuto il vicino… No, eh?”. Lo ha detto Papa Francesco sabato 14 maggio nella sua Catechesi giubilare. Senza entrare nei dottissimi commenti di teologi ed uomini di pensiero, ritengo, sommessamente, che questi due possibili oggetti della Carità non possano essere visti, e vissuti, come alternativi: si può essere”umani” con gli animali e generosi con chi ha bisogno. Allo stesso tempo. Senza voler giudicare, a volte il rapporto uomo-animale diventa paranoico, perché nell’uomo c’è il bisogno di…comunicare attenzione, sentimento, di avere l’impressione di essere ascoltato e corrisposto. Questo bisogno crea una intimità che non si realizza sempre nel rapporto generoso con coloro che vivono nella indigenza. Mi spiego: si può essere generosi con il vicino e con chi ha bisogno senza rapporto e calore umano, che, invece, si crea con il cane o con il gatto. In definitiva, posta così come l’ha posta Papa Francesco, appare troppo semplicistica la questione sul piano delle sensibilità: invece è molto più complessa. Mentre sul piano della”salvezza” dell’Anima resta il discorso che il Cristo ha “promesso” di farci ascoltare nel giorno del Guidizio: “perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” Solo questo Valore di Amore determinerà per tutti noi l’Inferno o il Paradiso. Forse soltanto a questo pensava Papa Francesco che, sicu-

ramente, avendo scelto il nome del Santo di Assisi, che ammansiva i cani, parlava agli uccelli e “lodava” il Signore per la Bellezza del Creato, non poteva immaginare un Mondo in cui cani e gatti muoiano di fame per l’indifferenza dell’uomo. La sua Enciclica - Laudato si’ - è dedicata proprio al tema della “Custodia del Creato” e propone, addirittura, una “conversione ecologica”. 2. Papa Francesco ha dato una sterzata, e sferzata, delle sue: ha disegnato l’identità, senza alternative, del Sacerdote ed ha messo sullo sfondo la ricchezza immobiliare ed economica, cui Santa Madre Chiesa

dovrebbe rinunciare. Ha esortato i Sacerdoti a “lasciare i beni non necessari” ed a “bruciare sul rogo le loro ambizioni”. Mentre nella omelia mattutina della Messa in Santa Marta, il giorno dopo il discorso davanti alla CEI, ha rincarato: “Soldi e potere sporcano la Chiesa. Basta arrampicatori”. Parole sante, ovviamente, sempre più coerenti con lo spirito e la lettera del Vangelo, di cui questo Papa è testimone straordinario. Epperò temo, ed i fatti sono sotto i nostri occhi, che questa autentica rigenerazione della Chiesa non possa realizzarsi su “questo” suo corpo, troppo legato

ad un sistema difficile da estirpare. Il Cardinale Tarcisio Bertone, ma non solo lui, è il prototipo di quel sistema, che vige in troppi livelli di Santa Madre Chiesa: la “testimonianza” concreta di questo grande Papa non provoca né contagio, né imitazione. E neppure vergogna. Continuo a temere che, se lo Spirito rigenerante non prenderà piede nella vita della Chiesa, Papa Bergoglio se ne tornerà in Argentina e sarà il secondo Papa “Emerito”. 3. In una suggestiva riflessione sulle origini, e sulla vita, della Natura e del Creato, Oscar Farinetti, sul Corriere della Sera di lunedì 16 maggio descrive lo scenario di un rincorrersi di “orgasmi ed eccidi”: l’orgasmo nel mangiare un pomodoro, che interrompe l’orgasmo del pomodoro stesso, strappato alla pianta mentre si stava godendo la linfa che veniva dalla terra. E sintetizza. “ Dunque, fra un orgasmo e l’altro, uccidiamo e ci riproduciamo. Eccidi ed alcove: ecco l’essenza primordiale della vita”. Preso atto che le decisioni che spettano all’Uomo sono davvero poche, Farinetti consiglia di scegliere, fra le poche decisioni consentite, quella di “avere dubbi”. Ed arriva a dire che “ il dubbio aiuta l’amore”. “Amore e dubbio, ben miscelati, possono dar vita alla migliore benzina che ci fa muovere in armonia con il Creato: il Rispetto.” Ed aggiunge: “Con il rispetto perfino noi laici potremo avere un rapporto di armonia con Lui, che ci ha creato e gettato in questo mondo, che ci confonde tra cinismo e bellezza”. Suggestivo , non c’è che dire: comunque sempre meglio riflettere su questi “assunti”, anche paradossali, che non sulle brutture che troppo spesso la vita ci propone. Anche perché tutta questa riflessione ruota attorno ad un Valore, di cui Oscar, con un occhio sempre attento agli investimenti creativi, è un sicuro cultore: la Bellezza.


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Attualità

21 maggio 2016

kaire@chiesaischia.it

ELEZIONI: SI VOTA SOLO IL 5 GIUGNO

Bollette della luce: ora si devono conservare per 10 anni e non più 5 L’obbligo di archiviazione delle bollette dell’energia elettrica raddoppia i tempi, nonostante la prescrizione di cinque anni per le fatture elettriche: la colpa è del canone Rai Di Marco Larastapa

C P

er le amministrative si voterà solo domenica 5 giugno, e così sarà anche per il referendum. Lo ha deciso il consiglio dei ministri che ha rigettato la proposta del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che voleva estendere il voto anche a lunedì 6. L’ipotesi di estendere il voto al lunedì era stata avanzata per ridurre i rischi della crescente astensione. Ha prevalso il buon senso, è stato il commentato dell’ex premier Enrico Letta che introdusse l’election day per risparmiare sui costi. Nel frattempo il premier Renzi ha annunciato che il via ufficiale alla campagna a sostegno del referendum costituzionale di ottobre si avrà sabato 21 maggio a Bergamo. Il Presidente del consiglio confida nel desiderio della stragrande maggioranza dei cittadini di rendere più semplice l’Italia come finalmente fa questa riforma costituzionale e di arrivare, dopo tanti annunci, al lungo atteso taglio dei costi della politica. Rispetto alla personalizzazione dello scontro, Renzi ha respinto le accuse al fronte del no, a suo dire in evidente disagio sui contenuti. Durissimo il commento di Brunetta, Forza Italia: Renzi ha una folle paura di perdere. La pensano così anche il M5S.

ambia l’obbligo di tenuta delle bollette della luce: per dimostrare infatti l’avvenuto pagamento e contrastare eventuali richieste di arretrati, fino a ieri ci si è basati sulla norma del codice civile che stabiliva la prescrizione in cinque anni per tutti i pagamenti di somministrazioni versati annualmente o mensilmente. Quindi, ogni consumatore poteva tranquillamente cestinare i bollettini a partire dal sesto anno in poi, dicendo addio a montagne di carte. Da oggi, invece, gli italiani dovranno conservare le bollette della luce per ben 10 anni, ossia per il doppio del tempo. La ragione di questa novità è perché, come noto, dal 2016, le fatture consegnate a casa degli utenti dalle società elettrica conterranno anche l’addebito del canone Rai che, come noto, sarà sommato alla normale bolletta della luce. Dunque, il contribuente-utente effettuerà un unico versamento, sia a titolo dell’utenza elettrica, sia a titolo di abbonamento TV. E qui sta il punto nodale: il canone Rai, a differenza dei pagamenti dovuti all’Enel o alle società private della luce, si prescrive in 10 anni e non in 5. Risultato: se la prova del pagamenti della bolletta verrà cestinata a partire dal sesto anno, il consumatore starebbe al sicuro solo dalla eventuale richiesta di arretrati della luce, ma non anche dell’imposta sulla televisione che, come detto, richiede invece la dimostrazione dell’adempimento fiscale per altri 5 anni.


Liturgia

20 21 maggio 2016

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COMMENTO AL VANGELO

Domenica 22 maggio 2016

SS.TRINITÀ Tutto quello che il Padre possiede è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà Di Don Angelo Sceppacerca

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utto il tempo che abbiamo ancora è per ascoltare, dallo Spirito, le molte cose che Gesù ha da dirci; occorre tutto il tempo perché sono cose che non siamo capaci di “portare” (il verbo della passione di morte e resurrezione nella quale dobbiamo entrare). È un giogo, sì, ma “dolce e soave” perché il peso non lo portiamo noi, ma lo Spirito Santo, il protagonista di questo Vangelo nella festa della Trinità, il soccorso di Dio alla nostra debolezza. Anche lo Spirito è discepolo, la sua sapienza ha origine nel Padre e nel Figlio e viene non di sua iniziativa, ma è mandato, chiesto dal Figlio al Padre. Anche il Figlio è modello di comunione e umiltà. Così deve essere per noi, consapevoli di piccolezza e povertà. “Molte cose ho ancora da dirvi”. Eppure la sua morte e resurrezione ci avevano già detto e dato tutto l’amore assoluto di Dio. Quello che manca è la nostra comprensione, la nostra risposta; per questo occorre lo Spirito a farci capire il non detto e a introdurci nell’indicibile. Perché capisce solo chi ama. Lo Spirito dice (ripete) quello che dice Gesù; ce lo ricorda, ce lo mette nel cuore, fino a quando diventiamo noi ricordo vivo di Cristo, figli del Padre e fratelli fra di noi. Alla tristezza

dei discepoli Gesù oppone l’invito alla gioia: siate contenti che me ne vado, perché voi diventate come me, diventate figli e ricevete lo Spirito. Lo si comprende davanti alla bellezza ispirata dell’arte, come la Trinità di Rublev. Il Padre è l’angelo seduto a destra (la sinistra per noi che guardiamo). Il suo mantello rosa lascia trasparire il blu della tunica. Dietro ha la casa, l’universo creato. È eretto rispetto agli altri due più inchinati, reclinati verso di Lui. Al centro è l’angelo immagine del Figlio, con la tunica regale di porpora listata d’oro. Dietro ha un albero, è la croce. Infine l’angelo alla nostra destra, lo Spirito vivificante con il mantello verde, il più inclinato e tenero di tutti: è il lato materno della Trinità poiché nella lingua di Gesù “ruach” è femminile, termine vicino al grembo materno e alla misericordia, alla compassione. Dietro a lui è la montagna, luogo d’incontro con la divinità, dove la terra tocca il cielo.In mezzo, sulla tavola, c’è una coppa con un agnello sgozzato. Il nostro Dio è amore capace fino al sacrificio della vita e che ci viene dato ogni volta nel pane eucaristico: ecco l’agnello di Dio! Il tavolo ha quattro lati, ma loro sono tre. Il quarto è libero, attende noi che guardiamo, è il nostro posto.

CHIESA DI S. FRANCESCO D’ASSISI, FORIO DI ISCHIA MOVIMENTO SACERDOTALE MARIANO CENACOLO REGIONALE DELLA CAMPANIA

GIOVEDÌ 26 MAGGIO Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei Il cenacolo sarà presieduto dal Responsabile internazionale del movimento, Don Laurent Larroque, ed avrà il seguente programma: ore 7,10 partenza con aliscafo Alilauro da Ischia. A Napoli, Pullman dal Molo Beverello per il Santuario; ore: 10.30: S. Rosario meditato, con Adorazione eucaristica e meditazione; ore 12,00: concelebrazione eucaristica seguita dalla Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria; segue colazione a sacco; ore 14,30 ritornare al porto di Napoli per prendere aliscafo delle ore 15:30 per Ischia Quota di Partecipazione: 10 euro. PRENOTAZIONE: rivolgersi a P. Nunzio Ammirati, 3335854801

SABATO 28 MAGGIO Pellegrinaggio a piedi Napoli – Pompei PROGRAMMA: ore 7,10 partenza con aliscafo Alilauro da Ischia. E’ previsto l’arrivo a Pompei per le ore 16,00. Partecipazione alla Santa Messa. Un Rosario di circa 15 metri, dal peso di 20 Kg porteremo in dono alla Madonna! Sarà la catena dolce che unirà i nostri cuori per elevare a Dio una preghiera per la pace! La quota di partecipazione, che comprende la spesa del Pullman per il ritorno da Pompei a Napoli e un segno distintivo per il gruppo, è di 10 euro. Per le iscrizioni rivolgersi a P. Nunzio Ammirati 3335854801


Ecclesia

21 21 maggio 2016

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MISERICORDIA E PERDONO Di Ordine francescano secolare di Forio

“V

ogliamo riflettere oggi sulla parabola del Padre misericordioso. Essa parla di un padre e dei suoi due figli, e ci fa conoscere la misericordia infinita di Dio”. Così ha parlato Papa Francesco durante l’Udienza Generale dell’11 maggio e poi ha così proseguito dicendo “Partiamo dalla fine, cioè dalla gioia del cuore del Padre, che dice: «Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (vv. 23-24). Con queste parole il padre ha interrotto il figlio minore nel momento in cui stava confessando la sua colpa: «Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio…» (v. 19). Ma questa espressione è insopportabile per il cuore del padre, che invece si affretta a restituire al figlio i segni della sua dignità: il vestito bello, l’anello, i calzari. Gesù non descrive un padre offeso e risentito, un padre che, ad esempio, dice al figlio: “Me la pagherai”: no, il padre lo abbraccia, lo aspetta con amore. Al contrario, l’unica cosa che il padre ha a cuore

è che questo figlio sia davanti a lui sano e salvo e questo lo fa felice e fa festa”. Lo stato d’animo del figliol prodigo che torna a casa dopo aver sperperato tutto il patrimonio ricevuto dal padre ci fa capire in che cosa consisteva la misericordia divina. Il padre è fedele alla sua paternità, fedele all’amore che sempre elargiva al proprio figlio: « Commosso gli corse incontro, gli si buttò al collo e lo baciò». E’ un padre che corre in-

contro, non che corre dietro. Amare è correre incontro, offrendo fiducia, quella generosità che fa arrabbiare tanto il fratello maggiore… Egli agisce sotto l’influsso di un profondo affetto, e così può essere spiegata anche la sua generosità verso il figlio maggiore, che non vede un fratello da salvare, ma da punire. Perciò è incapace di condividere la gioia della festa. La misericordia, come traspare dalla parabola, ha la forma dell’amore vero. Tale amore è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana e, soprattutto, su ogni miseria morale, sul peccato. Quando ciò avviene, colui che è oggetto della misericordia non si sente umiliato, ma come «rivalutato» un figlio, anche se prodigo, non cessa di essere figlio reale di suo padre; con la comprensione ritrova finalmente anche la verità su se stesso. San Francesco volge lo sguardo a Dio e rimane estasiato dinanzi alla sua sconfinata bontà. Il contatto con la Sacra Scrittura gli fa scorgere la storia della salvezza tutta costellata di interventi divini che testimoniano la misericordia di Dio. Pieno di ammirazione per la misericordia del Signore, il Poverello dilata il cuore e grida di entusiasmo: «Ti loderò in mezzo a tutte le genti, Signore, perché la tua misericordia è grande come il cielo» (Uff I,10:284) San Francesco, rivestito di misericordia, a sua volta annuncia la mi-

sericordia di Dio con la parola e la testimonianza. Dopo la pubblica rinuncia del Poverello davanti al vescovo, il Signore lo ricolma di Spirito «ponendogli in bocca la parola di vita, affinché predicasse e annunziasse alle genti il giudizio e la misericordia» (Anp 8:1495). San Bonaventura (Leg M 8,5:1142) traccia un profilo molto convincente della «meravigliosa tenerezza e compassione» che animavano San Francesco nell’esercizio della misericordia. Fin da giovane, durante la convalescenza, aiuta un cavaliere decaduto, «commiserando con affettuosa pietà la sua miseria» (Leg M 1,2:1030). Dopo la conversione i gesti di misericordia si moltiplicano e scandiscono il ritmo della sua vita evangelica fino al glorioso transito. Egli seguiva con maggiore bontà quelli che sapeva turbati da tentazioni o che pensava più deboli, rifuggendo sempre da ogni asprezza. Il Poverello ricorda l’ammonimento del Vangelo: «perdonate e vi sarà perdonato». E prega con umiltà il Signore: «quello che noi non sappiamo perdonare, tu, Signore, fa che pienamente perdoniamo». L’uomo deve saper perdonare, come fa Dio che perdona sempre e ammanta di misericordia ogni creatura. San Francesco, che ha molta dimestichezza con la parola di Dio, canta ispirato: «laudato sì, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore»!


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Parrocchie 21 maggio 2016

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PARROCCHIA SANTA MARIA ASSUNTA NEL SANT.DIOC. DI S.G.GIUSEPPE DELLA CROCE

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Dulcis in Fundo

21 maggio 2016

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Il Castello invita gli ischitani Domenica 29 maggio si ripete l’appuntamento di primavera

ABBONAMENTO POSTALE

Di Isabella Marino per Quischia.it

È

familiare eppure non smette mai di sorprendere. Anche quando si pensa di conoscerlo, per averlo visitato tante volte, riserva sempre scorci, visioni, angoli mai visti. E la bellezza che vi si gode, mai scontata, sembra sempre troppa per poter essere catturata appieno dallo sguardo, dovunque si soffermi. Vale per chi viene da lontano a vederlo e spesso a rivederlo, perché non sarebbe un viaggio a Ischia senza essere passati per il suo monumento simbolo. E a maggior ragione vale per gli ischitani, che quando cominciano ad avvistarlo dal mare sanno di essere arrivati a casa. E proprio agli ischitani è riservato anche quest’anno l’invito speciale a visitare il Castello nell’ultima domenica di maggio. Un appuntamento che è già diventato una bella consuetudine per trascorrere qualche ora o l’intera giornata nell’oasi dell’Insula Minor. Dunque, domenica 29 maggio, il castello invita gli ischitani ad andare oltre l’ingresso davanti al quale si conclude di solito la consueta passeggiata sul Ponte Aragonese. La famiglia Mattera ha confermato per la terza volta l’iniziativa di riservare una giornata di primavera a rinsaldare l’antico legame fra gli abitanti dell’isola e l’isolotto fortificato che per secoli si è identificato con il centro abitato più importante e il fulcro di tutti i poteri, oltre che della vita economica e culturale di Ischia. E il grande interesse, trasformatosi in un’ampia partecipazione, dimostrato negli anni passati dagli ischitani, ha fatto sì che questo incontro non fosse occasionale, ma si consolidasse e replicasse nel tempo.

D’altra parte, ogni anno il Castello ha qualcosa in più del suo passato recuperato da mostrare agli isolani, un altro tassello della loro storia collettiva da conoscere e condividere. Quest’anno c’è la novità della CAPPELLA CALOSIRTO, con i suoi affreschi appena “riconsegnati” al loro pieno valore storico-artistico dal sapiente restauro e dalla ricostruzione storica curati dall’Istituto Europeo del Restauro. Che si accinge a mettere mano al delicato restauro degli stucchi della Cattedrale, con l’intrigante incognita di tutte le possibili scoperte che quest’impresa potrà riservare in corso d’opera. Perchè finora non c’è stato intervento di restauro compiuto sul Castello, compresi quelli già realizzati nelle cappelle laterali dell’antica Cattedrale dell’Assunta, che non abbia casualmente regalato qualche novità di grande valore artistico e, insieme, un’altra pagina della storia della rocca, dunque dell’isola d’Ischia.

Al fine di garantire la migliore qualità della fruizione degli spazi – le chiese, il convento, la bella mostra di Gabriele Mattera nella Chiesa dell’Immacolata, il carcere borbonico, le terrazze panoramiche, i percorsi nel verde – anche quest’anno si potrà accedere gratuitamente con una prenotazione, telefonando dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 18.00, al 342 96 18 566, o via mail a segreteria@castelloaragonese.it

L’abbonamento annuale ordinario al nostro settimanale costa € 45,00 e consente di ricevere con spedizione postale a casa propria (sul territorio italiano) i 52 numeri del giornale stampati nel corso di un anno solare più eventuali “Kaire speciali”. Per chi vive all’estero, è possibile abbonarsi on line al settimanale in modo da poterlo leggere in formato Pdf a partire dalle ore 7,00 del mattino (ora italiana) nel giorno di uscita (verrà inviato via mail) e poterlo archiviare comodamente. Il settimanale online è esattamente uguale - per contenuto e impaginazione - a quello stampato su carta. L'abbonamento online costa € 45,00. LE ALTRE TARIFFE ANNUALI: Abbonamento amico €.100,00 Abbonamento sostenitore €.200,00 Benemerito a partire da €.300,00 COME PAGARE L’ABBONAMENTO Per il pagamento in contanti contattate la segreteria di “Kaire” ai seguenti numeri di telefono 081981342 – 0813334228 oppure il pagamento può essere effettuato mezzo bonifico bancario intestato COOP. SOCIALE KAIROS ONLUS indicando quale causale ABBONAMENTO KAIRE sul seguente codice IBAN IT 06 J 03359 01600 1000 0000 8660 Banca Prossima SpA. Dopo aver effettuato il pagamento inviate una mail a kaire@kairosonline.it oppure inviando un fax al 0813334228 con i seguenti dati per la spedizione: Cognome e nome: ... | indirizzo (via/cap/comune/ provincia): ... |codice fiscale: ... | telefono: ... | mail: ... nel caso l’abbonamento sia da attivare a favore di altra persona, indicare anche: Cognome e nome del beneficiario dell’abbonamento: ... Indirizzo (via/cap/comune/provincia): ...

EDICOLE DOVE POTER ACQUISTARE

CONVENTO S. ANTONIO ISCHIA PONTE

IL SABATO DI MARIA Ogni sabato del mese di maggio nella Chiesa del Convento S. A N TO N I O (lato parcheggio) ore 21.00 recita del S. Rosario, canto delle Litanie e Consacrazione a Maria

COLLABORIAMO, INSIEME È PIÙ BELLO! Per inviare al nostro settimanale articoli o lettere (soltanto per quelle di cui si richiede la pubblicazione) si può utilizzare l’indirizzo di posta kaire@chiesaischia.it I file devono essere inviati in formato .doc e lo spazio a disposizione è di max 2500 battute spazi inclusi. Le fotografie (citare la fonte) in alta risoluzione devono pervenire sempre allegate via mail. La redazione si riserva la possibilità di pubblicare o meno tali articoli/lettere ovvero di pubblicarne degli estratti. Non sarà preso in considerazione il materiale cartaceo.

Comune di Ischia Edicola di Piazza degli Eroi; Edicola di Ischia Ponte; Edicola al Bar La Violetta; Edicola di San Michele da Odilia; Edicola di Portosalvo Comune di Lacco Ameno Edicola al Bar Triangolo Edicola Minopoli sul corso Comune di Casamicicola T. Edicola di Piazza Bagni; Edicola di Piazza Marina; Comune di Forio Edicola del Porto; Edicola di Monterone


MISSIONE DIOCESANA ANNO DELLA MISERICORDIA MISSIONE DIOCESANA Accogliendo l’invito del Santo Padre che chiede che si organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, ho la gioia di annunciare che in questo Anno della Misericordia si celebrerà nella nostra diocesi una Missione diocesana. Si terrà a conclusione dell’Anno della Misericordia, dal 4 al 13 novembre 2016 e coinvolgerà l’intero territorio diocesano. Ad animarla saranno i Frati Minori della Provincia umbra. Oltre alla presenza di numerosi frati minori, la missione vedrà coinvolti in qualità di missionari anche diverse religiose, coppie di sposi e giovani. La Missione mentre offrirà a tutta la Chiesa di Ischia l’opportunità di riascoltare l’annuncio della Misericordia di Dio, si rivolge soprattutto a quanti si sono di fatto allontanati dalla fede o non hanno ancora ricevuto l’annuncio liberante del Vangelo. Ad essi la Chiesa, come madre premurosa, tende la mano perché vivano una conversione che faccia nascere o «restituisca loro la gioia della fede e il desiderio di impegnarsi con il Vangelo» (Evangelii Gaudium, 14).

(dalla Notificazione del vescovo Pietro ai presbiteri, diaconi, consacrati e fedeli laici per il Giubileo Straordinario della Misericordia, n.33)


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