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Maurizio Fiume www.mauriziofiume.com
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giovedĂŹ 9 gennaio 2014
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SOMMARIO
Test: verifica metĂ corso Esercitazioni: verifiche. Soggetto di Livia Soggetti da pubblicare: temi assegnati
ideato e curato da Maurizio Fiume
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Napoli, 19 dicembre 2013
1.- Quante sono le fasi della produzione cinematografica? b) SEI
c) CINQUE
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a) TRE
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TEST
b) LAVORAZIONE c)
RIPRESE
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a) PRODUZIONE
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2.- Come si chiama quella in cui viene effettuato il girato?
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3.- Quali sono gli elementi fondamentali dell’idea cinematografica? ____________________________________________________________________
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4.- Indica e descrivi almeno 3 tagli dell’inquadratura. ____________________________________________________________________
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5.- Scrivi in un solo periodo un’idea cinematografica.
6.- Quale delle fasi della processo produttivo ti interessa e perché?
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7.- Racconta in 4 righe la storia di un film recente che avresti voluto fare.
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8.- Racconta in massimo 10 righe un corto che vorresti realizzare.
si prega di scrivere in stampatello: cognome ____________________________ nome _____________________________ luogo e data di nascita ____________________________________________________ e-mail _______________________________ cellulare per SMS ___________________ telefono ________________________________________________________________ cosa ti interessa diventare? ________________________________________________ CONSENSO AI SENSI DELLA LEGGE 675/96 2
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In esecuzione dell’art. 11 della L. 675/96, recante disposizione a tutela delle persone e degli altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, il partecipante alla presente selezione, fornisce il proprio consenso al trattamento dei propri dati personali, direttamente agli organizzatori del presente test.
FIRMA ___________________________ (I TEST NON FIRMATI SARANNO CESTINATI)
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Soggetto cinematografico di Livia Iannotta
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Dal finestrino del treno regionale delle 6.50 in partenza da Latina, il paesaggio scorre veloce. Gli alberi carichi di neve diventano un frullato di bianco, le case una pennellata di grigio. Laura Iuliano è seduta al posto accanto al finestrino. Fissa il mondo che si deforma dietro il movimento scomposto e traballante dei vagoni sui binari. Avvolta in un giaccone grigio, aperto quel tanto che basta a far intravedere le calze velate e il tailleur scuro che indossa da sotto. Ha i capelli perfettamente in ordine, raccolti a metà dietro la testa con un fermaglio a forma di fiore. I boccoli le cadono morbidi sulle spalle, elegantemente. Sul viso, un velo di trucco che non riesce a coprire due occhiaie marcate. Le danno un’aria di donna matura, saggia ed equilibrata. Nessuno dei passeggeri appiccicati l’uno all’altro in quel vagone troppo stretto sa che sono il segno di una notte durata meno di quattro ore, dello smartphone del lavoro che ha squillato all’impazzata fino alle due del mattino e di un padre ansioso che è riuscita a passare a trovare solo all’alba, l’unico ritaglio di tempo nella frenesia delle ventiquattro ore no stop che la aspettano, come ogni giorno, anche quel mercoledì. Ma niente, oltre agli occhi segnati, lascia trasparire la sua stanchezza. Composta, stacca lo sguardo dal vetro sporco, prende un libro dalla borsa che tiene sulle gambe. Lo apre, tagliandolo in due all’altezza indicata dal segnalibro incastrato tra le pagine. Appena sotto ai trenta, mangiata da un lavoro impegnativo che le ruba gioia ed entusiasmo, riserva l’ora di treno che la separa da Roma alle parole di altri. Sguardo basso, appoggia la mano piccola e curata alla guancia pallida; nell’altra una matita, con cui saccheggia le pagine stampate con avidità, sottolineando e sfogliando veloce. Precisa, puntuale, metodica. Nel complesso, è una nota stonata nello squallore di quel regionale sgangherato. Alza il volto ogni tanto. Guarda ancora fuori. Il treno rallenta, è entrato a Roma. Al di là dei binari, un manifesto le restituisce il mezzo busto di un uomo affascinante. Braccia incrociate all’altezza del petto gonfiato, occhi penetranti e un sorriso ammaliante. Sotto lo scatto di quello che dà l’idea di un Brad Pitt italiano in un completo scuro da uomo d’affari, poche parole, concise e d’impatto. Laura non le legge. Le conosce a memoria. Sono il frutto di una settimana stacanovista in cui lei e gli altri nove membri dello staff di Lorenzo Ranieri si sono armati di inventiva e, a furia di brain storming e caffeina, hanno cacciato fuori slogan e comunicazione base per la sua campagna elettorale. Una scalata verso il Senato che ora, guardando quel sorriso compiaciuto che il manifesto le restituiva, le sembra un po’ meno in salita. Pensa che tutto sommato non è venuta male, ha il suo perché. E sorride soddisfatta. La stazione di Roma Termini è una Babele di gente di corsa, uomini in giacca e cravatta che si mischiano a venditori ambulanti e studenti fuorisede ritardatari, diretti alle Università cittadine. Laura cammina spedita. Conosce bene la stazione e i suoi labirinti: dove mettere i piedi, a chi non dare corda. 3
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Esce e una folata le scombina leggermente i capelli. Si stringe nel cappotto, poi si fa largo nel fiume di gente che straripa nelle strade della capitale. Barcolla leggermente sui tacchi che ha ai piedi e, dopo essere inciampata più volte, maledice di non vivere con un compagno che prima di uscire di casa la distolga dall’idea malsana di indossare scarpe così scomode per correre da un capo all’altro di Roma. Scaccia via il pensiero, immaginando di descrivere al fantomatico uomo della sua vita le griffes di cui sono coperte le frequentatrici abituali dei Palazzi del potere romani, in confronto alle quali i suoi stivaletti di seconda mano avrebbero sfigurato, immaginarsi un paio di Converse. Che però in quel momento le mancavano maledettamente. Nonostante la nevicata, la città è insolitamente calda. Il freddo di dicembre si scioglie di fronte alle vetrine illuminate già dalle prime ore del giorno. Roma è vestita a festa. E ogni centimetro della città sembra ricordare ossessivamente che Natale si avvicina. Infastidita, Laura allontana maleducatamente un ragazzetto con un buffo cappello, orecchie da elfo e un sorriso che taglia a metà il suo volto rotondo. Vuole rifilarle il solito volantino promozionale per qualche centro commerciale. Una perdita di tempo nella festa più ridicola, dice con una voce sottile e impercettibile. Continua a camminare, dà un’occhiata al telefono. 16 dicembre, le 8.15: è in perfetto orario. Arrivata fuori all’ufficio, Laura agita la mano in aria e fa un cenno con la testa per farsi notare da un collega. Andrea si volta di scatto, le corre incontro. Si salutano amichevolmente ed entrano insieme in ufficio dopo aver bevuto di corsa un caffè dalla macchinetta che campeggia all’ingresso. Lo buttano giù talmente veloce che quasi non c’è gusto. “Prima o poi ce lo andremo a prendere un caffè come si deve – scherza Andrea – lavoriamo insieme da quanto, tre mesi? E ancora a sorbirci ‘sta schifezza.” Su in ufficio, sulla scrivania di Laura i giornali appena arrivati. Ne prende uno e lo porta vicino al viso. Si interrompe appena sente la porta sbattere. “Ma che fai?” “Ah ciao Anna. No niente, manie. Caffè e odore della carta stampata, chiamami pure drogata!” “Sì, come no. È prima mattina e io già sono uno straccio. Ho già passato un’ora al telefono e a scrivere un po’ di comunicati stampa”. “Beh, più in alto sei, più hai da sgobbare no?”, risponde Laura. Anna apre uno dei giornali locali. “Scuole chiuse per neve, non capitava da anni. Che culo quegli studenti”. Pochi giorni a Natale. Il treno è sempre lo stesso, Laura no. Appoggia la testa al vetro, sul volto un’espressione malinconica. Il vagone è stracolmo di gente diretta verso la capitale. Poi un rumore. Un uomo maldestro e corpulento oltrepassa un ragazzino strattonandolo. Lui barcolla per la spinta, quel movimento scomposto gli fa cadere dalle mani una bambola di pezza rovinata. Un tonfo sordo a terra, sul pavimento lercio e sbiadito del regionale. Il ragazzo ha riccioli scuri che gli cadono scombinati sul volto olivastro. Da sotto i capelli brilla il verde di due occhi grandi e profondi. Una sola bretella appoggiata sulla spalla ossuta. Dal braccio pende una valigetta quadrata. Batte gli occhi velocemente. Laura raccoglie subito la bambola, quasi di scatto, e gliela porge delicatamente. Si ferma, lo osserva, lui continua a battere gli occhi, come spaventato. Gli offre il posto accanto a lei. Dice di 4
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chiamarsi Jamil, di avere dodici anni e prendere il treno ogni mattina per andare a trovare la nonna, aiutarla nelle faccende di casa perché è molto anziana e da sola non ce la fa più. Quella risposta non le sembra sincera, ma sta zitta. Il bambino ha qualche piccolo difetto di pronuncia: la “r” gli viene fuori in maniera innaturale e non azzecca sempre le vocali giuste. Laura gli chiede della scuola. Lui risponde che gli istituti sono chiuse per la neve, ma che anche normalmente non ci va spesso. Poi continua dicendo di non capire come mai tutti si esaltino per qualche fiocco di acqua congelata che cade a terra. Laura non risponde, ma sorride. Pensa che è insolito trovare un bambino che non vada su di giri per la neve. Ma condivide il pensiero di quello strano ragazzino. Arrivati a Roma scendono entrambi. Si salutano velocemente e si dividono. Laura si volta indietro e vede la piccola sagoma allontanarsi nel freddo di dicembre, leggermente piegato da un lato per il peso della valigia, la bambola scucita dall’altro. Al lavoro solita giornata piena, che si riempie tra giri di telefonate, email e comunicati stampa. Poi il capo, Lorenzo Ranieri, la chiama. “Dopo il lavoro c’è da passare in un posto- spiega senza troppa attenzione - Niente di complicato, incontri questo mio amico, prendi quello che ha da darti, consegni tutto al mio autista e dopo puoi andare a casa”. “Tutto chiaro”. Ranieri è un uomo affascinante e carismatico. Alto, asciutto, raffinato anche se a coprirlo ci sono un semplice pullover e un jeans. Parla con garbo e Laura ne è affascinata. Esce per svolgere il compito. Fuori la aspetta Al, l’autista personale di Ranieri. Le corse con lui sono una favola. Sfreccia per la città come una slitta su un sentiero ghiacciato, maledicendo con un accento romano strettissimo i motorini che gli tagliano la strada o i pedoni lenti ad attraversare sulle strisce. Conosce Roma come il palmo della sua mano e riesce a schivare il traffico congestionato attraversando le strade più impensabili. Complici fin dal primo giorno di lavoro, tra una corsa e l’altra, sono poi diventati amici. I taxisti sono un po’ come dei confessori, Al è ficcanaso come loro, ma con quel piglio di affetto che conquista. Dopo aver incontrato l’uomo per conto di Ranieri, Laura risale in macchina. Tra le mani una busta spessa e gialla, sopra un piccolo simbolo che sembra una corona e una scritta in penna: “Confidenziale”. “Dai aprila!”, urla Al. “Ma che sei pazzo? Non vedi che cosa c’è scritto? Confidenziale.” “Embè? Tu hai il diritto di sapere tutto, sei nel suo team, no? Come fai a convincere la gente a votarlo se non ne conosci vita e miracoli?” “Zitto e parti. Sono distrutta, voglio tornare a casa”. Sorride e pensa che in fondo Ranieri doveva conoscere bene la curiosità di Al per mandare lei a prendere la busta.
Il sole non è ancora alto nel cielo. È mattina presto, ma dal buio del cielo sembra ancora notte fonda. Jamil ha la testa bassa, accucciata tra le gambe che stringe con le braccia. Il vagone del treno è intriso di un odore cattivo. Laura è di fronte a lui, legge il solito libro. Jamil non alza la testa. Sembra assonnato, così Laura non lo disturba. L’incontro nel treno è diventato un appuntamento quotidiano, si piacciono. Gli chiede cosa legge con quell’accento 5
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imperfetto. Lei risponde che è “Il Piccolo Principe”, una specie di guida che porta sempre con sé. Glielo ha regalato la madre molti anni prima. Poi, con quella naturalezza che si ha con gli amici di una vita, gli racconta quello che non ha il coraggio di dire a nessuno: che odia il Natale perché molti anni prima si è portato via sua madre, che quelle luci non le ricordano altro che una debole lampada che si spegne dopo una lunga malattia. E una bambina che è cresciuta mano nelle mano con delusione, sogni spezzati, amarezza. Poi il bambino alza la testa. Un livido violaceo colora di scuro la parte bassa del’occhio. Laura gli corre vicino. “Ma che ti è successo?” Lui si scansa, risponde frettolosamente, come per chiudere subito la questione, dice che non è niente, è scivolato sul ghiaccio del vialetto fuori casa. Ma è sfuggente, non stacca gli occhi dal vetro, si muove nervosamente sul sedile. Nel vagone entra un ometto vestito da Babbo Natale. “È quasi Natale! Siate felici, è quasi Natale! E fate un’offerta a chi ne ha bisogno!”. Laura accarezza Jamil: “Buon Natale”. Poi inizia a leggere dalla prima pagina, a voce alta il suo libricino. “A volte gli adulti dimenticano di essere stati bambini anche loro e fanno cose brutte. Chiunque ti abbia procurato quel livido se n’è dimenticato troppo spesso”. Parte 2.
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La stanza è in penombra. Dalla sala principale arriva il rumore di un fitto vociare. Jamil si sta infilando i vestiti di scena. Sono appariscenti, ornati dappertutto di pailettes, veli e lustrini. Intorno a lui c’è gente più grande. Si preparano anche loro. Indossano quegli stessi abiti estrosi e si truccano pesantemente. Le chiamano drag queen, ma Jamil non sa bene cosa significhi. A lui i travestimenti non piacciono. Il tulle del vestito, poi, gli fa prurito e sul palco a volte è difficile stare concentrato e non distrarsi. Un uomo alto, con tacchi e calze a rete, gli si avvicina. Tra poco si va in scena e il bambino non è ancora pronto. Così prende a sporcargli il viso con colori fluorescenti. Dal buio delle quinte Jamil respira pesantemente. Gli gira la testa e ha un brutto sapore in bocca, non si sente bene. Sta per iniziare il suo numero, quando le forze gli vengono meno. Inciampa, è pallido. Lo rispediscono a casa.
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Dall’altro lato della città, Lorenzo Ranieri è seduto al centro di un lungo tavolo rettangolare. Davanti a lui un microfono, con cui ricorda al pienone di gente che lo circonda i punti chiave della sua campagna elettorale. Parla con naturalezza, come se si rivolgesse direttamente a degli amici intimi. Laura lo ascolta rapita. Conosce ogni parola dell’intervento del candidato, ma quei concetti che lei stessa ha contribuito a mettere insieme ed articolare, pronunciati da lui si colorano di un fascino particolare. I gesti, la mimica facciale, fanno di quell’uomo un politico per eccellenza. La conferenza termina tardi e i commenti dei presenti sono per lo più positivi. Ranieri è il nuovo volto buono, pulito, della politica italiana. Laura e Jamil si rivedono sul treno di ritorno. Partenza da Roma Termini alle 22,30. Stavolta è un incontro inaspettato. “Jamil? Ma che ci fai qui, è tardi!”. Quando vede Laura i suoi occhi si illuminano. È come una boccata d’aria fresca. Le corre incontro e la abbraccia. Il treno, intanto, corre veloce. Lui si stende 6
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sul sedile rovinato del regionale, appoggia la testa sulle gambe della donna e si addormenta. Nei loro incontri parlano, si scrutano, quella sera semplicemente stanno in silenzio. Jamil con la sua piccola valigia e una bambola rovinata, lei con la stanchezza di una giornata spesa tra i palazzoni di Roma. Lo guarda riposare. Gli fa tenerezza e lo incuriosisce: perché un bambino così piccolo, che sembra smarrito anche quando percorre una strada abituale, come la tratta di quel regionale, le ricorda un po’ il piccolo principe protagonista delle sue letture di viaggio, ma ancora di più la bambina malinconica che ha dovuto abbandonare troppo in fretta per avvolgersi in un guscio da adulta. Vorrebbe abbracciarlo forte, come per ridargli quegli abbracci a lei negati. Vorrebbe chiedergli cosa nasconde in quel quadrato di pelle e il perché di quel giocattolo inusuale. Intuisce il suo dolore eppure non vi entra dentro, anzi si mantiene a distanza. Il misto di prudenza e riservatezza della sua indole, la distolgono dall’immischiarsi in faccende non sue. La fermata del bambino è prima della sua, così dopo una mezz’ora Laura lo sveglia. Il treno si stoppa. Il ragazzo è già fuori. Al suo posto, un foglio piegato in due. Laura lo prende: è un invito, stampato su un cartoncino di carta spessa, di qualità, ad una destinatario celato sotto uno pseudonimo per una serata organizzata da un locale di Roma che non aveva mai sentito nominare.
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Sabato pomeriggio. Due giorni a Natale. Micaela è stesa sul divano del suo appartamento. Andrea, il collega di lavoro con cui spesso trascorre i weekend, prepara due tazze di cioccolata calda. La tv è accesa su un programma di approfondimento che snocciola previsioni sull’andamento delle future elezioni, con le percentuali dei singoli partiti. Sul mobile della cucina, c’è il volantino colorato che aveva recuperato in treno, insieme alle chiavi di casa e alla borsa del lavoro. “E questo cos’è?”, chiede Andrea, appoggiando sul tavolino che separa il divano dalla tv il curioso volantino insieme al vassoio con le tazze e qualche biscotto in pieno stile natalizio. “Non ne ho idea, è caduto a un bambino in treno e l’ho raccolto”. “Sei sicura fosse un bambino?” “Certo. Si chiama Jamil, l’ho conosciuto pochi giorno fa. Perché?” “Lussuria Romae. Non sarà certo una ludoteca. Ha l’aria di un private club esclusivo. Se sono coinvolti dei bambini la faccenda è grossa”. “Prendi il giaccone. Ci andiamo ora”. Il locale è nella periferia di Roma. Un’area squallida, lontana dal trambusto e dagli occhi indiscreti della gente. Un luogo quasi dimenticato. All’entrata li accoglie un omone scuro, con occhiali da sole nonostante l’ora e auricolare nell’orecchio: il perfetto buttafuori. Si rivolge a Laura. “Sei la nuova king? Ci stai facendo dannare, dov’eri finita?”. Smarrita vista l’insolita situazione e facendo immediatamente caso all’associazione tra l’aggettivo al femminile e il sostantivo inglese maschile, Laura resta muta. “Allora? Se non sei tu l’uscita è da quella parte”. Il piglio e la curiosità della sua professione prendono il sopravvento. C’è puzza di affari sporchi. Guarda Andrea, che le rivolge un’occhiata complice. “Sì, sono io”. 7
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Energico, l’uomo afferra il braccio sottile di Laura e la conduce all’interno, nella saletta dove sono già riunite attorno a tavoli e specchi altre ragazze. Molte di loro sono extracomunitarie appariscenti. Alcune già indossano abiti di scena: costumi maschili. Nei centimetri del corpo scoperti brillano accessori di ogni tipo. Laura le osserva, indaga i loro modi di fare troppo vistosi e a tratti un po’ rozzi. Si sente a disagio, fuori luogo. Ci si è ritrovata dentro inaspettatamente. Non è da lei, si muove timida e impacciata, quasi non ricorda perché si è buttata in una storia tanto stupida. Non sapendo in alcun modo come comportarsi, segue i gesti delle donne che a furia di pennellate e barbe finte si avvicinano sempre di più ai tratti da uomo. “Che fai così impalata? Muoviti, tra poco tocca a noi”. Si mette addosso gli abiti maschili, assume le fattezze di un uomo e segue le altre. Con gli occhi cerca ovunque la presenza di Jamil. Poi lo vede. Piccolo, un esserino dai riccioli neri e gli occhi che parlano. Magro, talmente sottile da sembrare trasparente. Jamil se ne sta così, seduto aspettando il suo turno in abiti estravaganti, con le gambe incrociate e un’espressione profondamente malinconica che gli attraversa il viso, il colorito di un angelo. Intorno a lui decine di altri bambini, pronti per esibirsi e soddisfare il piacere perverso di uomini grassi e vecchi. Laura è inorridita. È la prima volta che si trova immischiata in prima persona in giri loschi e tenta di reprimere la sensazione di disgusto che sente partire dallo stomaco. Poi tocca a lei, inserita in un gruppetto di cinque donne-uomini. Non c’è bisogno di preparazione, basta seguire la musica e ballare sinuosamente, accontentando il pubblico. È la sua prima sera, ma la pagano subito. Funziona così in questi giri, le spiegano. È per questo che è una calamita tanto potente per chi ha bisogno di soldi facili da intascare. Fuori la aspetta Andrea. Si accorge che è scossa, fuori di sé, tanto da non riuscire a trattenere lacrime di nervosismo mentre gli racconta ogni cosa. “Devi continuare. Dobbiamo incastrarli a questi pervertiti”. “Non ce la faccio, non puoi chiedermi questo”. “Laura, è il nostro lavoro. Devono sapere tutti la verità”. “Pensa ai bambini! Pensa a Jamil!” Quella sera torna a casa senza riconoscersi. Perché l’ha fatto? Sente la voglia di cancellare quell’assurdo pomeriggio. Nonostante i dubbi e le perplessità, attratta dalla voglia di scoprire e denunciare, ma soprattutto non riuscendo a dimenticare lo sguardo velato da un’ombra di tristezza di Jamil. La prima reazione è di liberarsi dei dettagli di quell’esperienza paradossale. Butta tutto di getto sulla pagina bianca che le restituisce il pc. Fresche, macabre impressioni. Nonostante si sia data subito dopo la laurea alla comunicazione politica, Laura Iuliano ha sempre avuto l’ambizione di fare la giornalista nel senso più autentico del termine. L’occasione perfetta gliel’ha presentata il caso su un piatto d’argento. L’orologio batte le 9 in punto. È un lunedì. La vigilia di Natale, in cui la neve ha deciso di ritirarsi e lasciare il posto a una pioggia sottile e fastidiosa. Le strade di Roma non brulicano di impiegati, dirigenti, uomini indistinti in giacca e cravatta. Ora ci sono famiglie e turisti. Laura, odiando il Natale, non ha problemi a lavorare anche quel giorno. Dall’alto del suo 8
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ufficio, apre distrattamente il giornale. Le pagine stampate sono arrivate, con la precisione di ogni giorno, alle 8.45 sulla sua scrivania perfettamente lucidata. Ma è altro a tenerle occupata la mente. È la valigetta di Jamil . È la sua storia. Al quartier generale di Ranieri è appena iniziata una riunione con i rappresentanti di alcune associazioni civiche. Laura corre alla postazione di Andrea. “Dobbiamo dirlo a Ranieri. Lui può sollevare un polverone. E immagina come schizzeranno alle stelle i consensi! È l’uomo giusto e ha agganci forti”. “Hai ragione. Ma raccogliamo altro materiale prima. Torniamo lì stasera”.
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Parte 3
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Nel deserto della periferia romana, Laura tira un respiro profondo ed oltrepassa l’entrata del club privato “Luxuria Romae”. Stavolta si muove con la sicurezza di chi insegue un obiettivo più grande, più importante. Ricorda a se stessa che in gioco c’è Jamil da proteggere, ci sono i corrotti da incastrare, c’è Ranieri, l’uomo giusto, da far vincere. Indossa come la sera prima gli abiti di scena e si mischia per una notte ancora a quel bizzarro caos di piume e paillettes. Stavolta ha il coraggio, proprio nel bel mezzo dei balli sinuosi in cui si lascia trascinare, di buttare gli occhi sul pubblico. Uomini per lo più, ma non manca qualche donna. Gente all’apparenza perbene, con addosso abiti raffinati e sigari in bocca. Nota anche che ogni presente ha un segno o un indumento particolare che lo contraddistingue. Un bastone, un copricapo insolito, una spilla vistosa. Come in una setta segreta. I volti, invece, quasi del tutto coperti in modo da calere l’identità. Il piano lo ha concordato con Andrea prima di entrare. Avrebbe scattato fotografie senza dare nell’occhio da dietro le quinte del palchetto tra una performance e l’altra. Ora si rende conto, però, che con i volti coperti quegli scatti non sarebbero bastati né avrebbero aiutato a capire l’identità della mente a capo del giro. All’uscita chiama Andrea al cellulare. “È andata. Ma abbiamo un problema, sarà più difficile del previsto”. “E Jamil? Ti ha vista?” “No, per fortuna. In quel casino mi sarei stupita del contrario”.
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Ranieri dà le spalle a Laura e Andrea. È seduto alla scrivania del suo ufficio, sguardo fisso sulla vetrata che abbraccia una Roma baciata da un sole freddo. I due giovani hanno chiesto di incontrarlo per parlargli di una “cosa grossa”, così l’hanno definita. Sulle prime ha pensato si trattasse di andamenti, previsioni per le elezioni vicine, ma ora che li ha di fronte sembrano troppo agitati per voler parlare di dati. “Allora, cosa è successo?” Andrea prende la parola prima che Laura possa aprire bocca: “Siamo inciampati in qualcosa di grosso”. I due cominciano a snocciolare i dettagli sul “Luxuria Romae”, sul giro illegale, sullo sfruttamento dei minori. Ranieri, con la diplomazia e la cautela che lo contraddistinguono, tenta di calmare la visibile eccitazione dei giovani. Chiede se sono sicuri, avverte che non si può accusare della gente senza avere prove certe, ma concorda con i due che se la faccenda sta così si tratta di un vero e proprio scoop. Li invita a continuare la loro ricerca e li liquida con poche parole: “Avete il mio appoggio su tutto, ma state attenti”. 9
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Nel buio di una stanza elegante, un uomo tira fuori da un cassetto una busta. È un invito su carta spessa. Sul dorso le parole “Luxuria Romae” e un simbolo dorato, piccolo, quasi impercettibile: una coroncina stilizzata. La infila nella tasca della giacca ed esce.
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La sera successiva Andrea decide di accompagnare Laura al locale. Lei ha studiato il posto e sa che sul retro c’è un’entrata secondaria, una porta di servizio, che non viene quasi mai utilizzata. Da lì, poi, si sarebbe diretto negli uffici della direzione per tentare di acchiappare nomi e trovare prove. Il piano riesce senza problemi, e una volta dentro, il giovane rovista in mezzo alle centinaia di carte e documenti su cui erano registrati conti, bilanci e attività del locale. Cerca una minima traccia di nomi. Ma niente, tutto è sotto pseudonimi. Comincia a capire il sistema: il “rex”, così lo citano i documenti, è a capo del giro, da lui dipendono tutti i dipendenti, in una specie di organizzazione piramidale. “Dev’essere un pezzo grosso – dice a Laura al termine della serata – Ha un a lista di contatti enorme, ovviamente anche questi coperti”. “Chiamiamo la polizia Andrea, facciamola finita.” “No, se lo facciamo adesso mandiamo tutto in fumo. È tutto secretato là dentro! Sequestrerebbero il locale, ma non acciufferebbero nessuno”. “Faranno loro delle indagini”. “La verità”. “Come?” “La verità, Laura. È il nostro lavoro. Al diavolo i comunicati e le telefonate di interesse. Questo fa un giornalista. E poi Ranieri deve salire in Parlamento. Così farà centro”. “Sì, hai ragione, scusami”.
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Sul solito treno regionale diretto verso Roma, Laura è seduta accanto a Jamil. Il ragazzino è pensieroso quel giorno e non la smette di accarezzare nervosamente la solita bambola di pezza. “Ma mi spieghi perché porti sempre quella bambola con te?”, chiede Laura mossa da un’intrattenibile curiosità. Jamil resta muto per qualche secondo, poi prende coraggio. “È di mia sorella – confessa - Quando gli uomini cattivi l’hanno presa, lei ha dimenticato di portarla. Allora la tengo con me, così se un giorno torna la trova ed è felice”. Laura gli chiede dov’è sua sorella e il bambino dagli occhi intensi non risponde. “Presto sarà tutto finito”, lo rassicura. Non sa se Jamil ha capito il senso delle sue parole, ma non importa. Quando quella sera i due giovani tornano al locale, trovano la porta sbarrata. Fuori all’entrata, un gruppo di dipendenti infastiditi da cui si alza un fitto sciame di voci di accenti diversi e lontani. Non capiscono, nessuno è a conoscenza del motivo della chiusura ed elencano tra di loro ipotesi su cosa possa essere accaduto. Laura e Andrea si guardano, per loro non si tratta solo di una serata mancata, in cui avrebbero perso qualche centinaia di euro. Tornano le sere successive: stessa storia. Incappati in un vicolo cieco, Laura e Andrea decidono di abbandonare il piano. Non hanno prove, sono costretti a 10
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mettere una pietra sopra alla verità. Ritornano così alla vita di tutti i giorni, a buttarsi nel lavoro che prosegue a ritmi frenetici. La neve, intanto, ha lasciato Roma, il bianco è stato sostituito dal grigio spento e il marrone dei palazzi. Una strana malinconia sembra aver avvolto la città. Jamil non prende più il treno.
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Manca qualche giorno alla fine dell’anno. In ufficio Laura risponde a una telefonata. Non fa in tempo a sentire il nome dell’uomo dall’altro lato del filo, quando la voce di Ranieri la interrompe. “Ah scusami Laura, è una chiamata per me, ho risposto dal mio studio, puoi riagganciare”. Lei riattacca. Poi ci ripensa. Il numero apparso sul display indica che la telefonata proviene dallo stesso quartiere del “Luxuria Romae”, le sembra addirittura che alcune cifre siano identiche. Scaccia immediatamente gli strani pensieri che le erano piombati in mente. “Cosa c’entra?”, pensa Laura. Forse Ranieri ha deciso di continuare le ricerche da sé, forse è solo una coincidenza. Poi la curiosità vince, rialza la cornetta. In linea non c’è più nessuno.
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Il pensiero di quella telefonata la ossessione, così decide di muovere da sola la pedina sulla scacchiera. In ufficio cerca Anna, la collega che era solita incastrare tutti gli appuntamenti nell’agenda del politico e dividere i turni di lavoro per i vari eventi tra gli addetti stampa. “Anna, Ranieri stasera ha una cena di beneficenza al Hilton Hotel, giusto?”, chiede Laura, fingendo di non esserne sicura. “Mmm aspetta che controllo… Sì, ore 21,00 Hilton Hotel. Perché ti interessa?”. “Ho bisogno di un grande favore. Potresti fare un cambio di turno tra me e Giacchetti? Io vado alla cena, lui al convegno sulla sanità domani”. “Sì, penso non ci siano problemi”, risponde lei, per poi tuffarsi subito dopo in un mare di carte e post-it.
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Laura indossa un abito elegante che le fascia i fianchi dolcemente, volutamente provocante, in mano una borsetta, i capelli raccolti in uno chignon con il solito fermacapelli a forma di fiore della madre, le spalle leggermente scoperte. “Laura, sei incantevole”, esclama Ranieri non appena la giornalista fa capolino nella sua auto. “La ringrazio”, risponde lei, arrossendo leggermente. “Oh no, ti prego. Questo lei è odioso. Stiamo andando a cena insieme, diamoci del tu”, dice il politico sfoggiando un sorriso tenero. “Sai, ho apprezzato la tua intraprendenza, il tuo metterti in gioco. Non sei solo una buona assistente, hai qualcosa di più. Dovresti continuare anche a campagna elettorale terminata. Metti l’anima nel tuo lavoro, e saresti un ottimo elemento nel mio staff permanente”. “Sempre se vinciamo”, lo provoca Laura. La serata all’Hilton procede bene, i discorsi di Ranieri rivelano sensibilità e cultura con chiunque si intrattenga. Non trasmette l’impressione di un doppiogiochista e Laura mette da parte per qualche ora i suoi infondati pensieri. È lui stesso a tirare in ballo l’argomento durante la seconda portata del menu. “Peccato per la questione del locale. Devono aver capito che c’era qualche intruso e hanno levato le tende. Che stronzi, passami il linguaggio colorito. Ho anche provato a indagare ancora, ho contattato il proprietario 11
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dell’immobile, l’ho sentito al telefono proprio l’altro giorno dal mio ufficio, ma dice che lo dava in affitto e probabilmente questo tizio a sua volta in subaffitto a terzi, lui non era a conoscenza dell’uso che ne veniva fatto. Mi sembrava un poveraccio, uno a cui basta che i soldi a fine mese arrivinoi in tasca. Roba da matti”. Laura ride. “Che c’è di divertente?” “Niente niente, è che, sai per un momento ho pensato… Niente, che sciocca!” Ranieri non le stacca gli occhi di dosso per tutta la serata. Laura se ne accorge, e ricambia gli sguardi, maliziosa. Così dopo cena non ci vuole molto a convincerla a salire da lui. L’appartamento di Ranieri è ai Parioli, il quartiere benestante della capitale. Un attico curato ed elegante, come ci sarebbe aspettati da un uomo distinto come lui. Quella sera, di fronte ad un panorama di luci e stelle, Ranieri e Laura fanno l’amore.
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È notte fonda. Laura non riesce a chiudere occhio, il politico accanto a lei invece dorme pesantemente. Si alza, va in cucina a prendere un bicchiere d’acqua, poi, incuriosita, fa un giro della casa. Entra nell’ufficio di Ranieri e si siede alla scrivania. Ha addosso solo una sua camicia stropicciata. Comincia a girare sulla sedia con le rotelle come faceva da bambina. Sorride, già si immagina, ingenuamente, ad abitare in quell’ampio appartamento con lui. Poi si ferma. Sul tavolo un tagliacarte in argento con una corona alla punta. Le torna in mente il “Luxuria Romae” e quanto avrebbe voluto cogliere con le mani nel sacco quei bastardi, quanto avrebbe voluto salvare Jamil. Poi, quasi impercettibile sotto una pila scombinata di fogli, nota la busta che aveva prelevato per Ranieri giorni prima, accompagnata dal suo autista. La prende. Sul dorso, stesso simbolo del fermacarte. Una corona da rex, pensa. Non possono essere solo coincidenze. La apre. Una dopo l’altra tira fuori documenti, ricevute, bilanci del “Luxuria Romae”, stavolta senza censure. C’è tutto nelle carte che ha tra le mani: nomi, luoghi, cifre. “Merda…”. Stando attenta a fare meno rumore possibile, Laura prende il cellulare dalla tasca del cappotto. Fotografa tutto, si riveste e scappa via, portandosi dietro, nel chiudere la porta alle sue spalle, soltanto amarezza e delusione. I giorni seguenti Laura e Andrea si fingono malati. Non vanno in ufficio, ma si barricano dentro casa a scrivere l’inchiesta per incastrare il politico su cui loro per primi avevano scommesso. La notizia, come previsto, finisce sulle prime pagine dei giornali. A Roma non si parla d’altro. Il “Luxuria Romae” viene sequestrato e 15 persone arrestate. Il volto di Ranieri, quello che Laura, Andrea, Anna e tanti altri stavano presentando all’Italia come una speranza, simbolo di una politica sana e non corrotta, campeggia in apertura di tutti i tg, colto mentre viene scortato dai carabinieri in commissariato. Stazione di Cisterna di Latina, è l’alba. Il sole cerca di ritagliarsi brandelli di cielo e riscaldare le prime ore di un giorno gelido di metà gennaio. Sotto la luce timida e fredda, Laura osserva da lontano una sagoma scura, sottile, quasi trasparente. Jamil ha con sé la solita valigetta consumata, appoggiata a terra accanto a lui, e la bambola di pezza sfilacciata tra le mani. Aspetta il prossimo treno, forse. Laura sorride, poi gli si avvicina. “Ehi piccolo principe”. Al suono della sua voce Jamil sussulta leggermente nelle spalle strette e ossute. “Perché sei qui?”, le chiede con quel suo accento sbilenco. 12
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Silenzio, che viene rotto dopo qualche secondo dalle parole di Laura: Laura lo ascolta attenta, si stringe nel petto. “Piccolo principe, ti va di prendere un treno?” Jamil alza gli occhi profondi su di lei, confuso. “Uno qualsiasi”, continua lei. “Ma, ma… Dove andiamo?” Laura sorride. “Avanti”. Il rumore delle rotaie sui binari suona stridulo nel silenzio della stazione. Dal finestrino di un treno regionale diretto ovunque un arcobaleno disordinato di abiti, uno spazzolino malconcio e qualche maglia sgualcita piovono da una vecchia valigetta di pelle rovinata, accarezzano il fianco del vagone e, disegnando vortici di luce, si poggiano a terra.
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Temi assegnati per scrittura soggetti originali da pubblicare (eventualmente)
1. Livia: Tema: La verità vince sulla criminalità. Soggetto: Falene e
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camorristi
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2. Caterina: Tema: Scuro come il cioccolato. Soggetto: Ester e Carla
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3. Valentina: Tema: Sensi sottili. Soggetto: Interrogativo 4. Ornella: Tema: Il lavoro dà inizio a una nuova vita? Soggetto: Il lavoro
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dà nuova vita
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5. Paolo: Tema: La vita in un ambiente inquinato. Soggetto: Tre mesi. 6. Mariarosaria: Tema: Infinite sfumature del rosso. Soggetto: Rosso sangue
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7. Ciro: Tema: Solitudine e isolamento. Soggetto: Un centro strano
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