francesca

Page 1

Francesca Tutte le Vite sono Storie 1



Francesca Tutte le Vite sono Storie


Credevo

che non tutte le Vite fossero già delle Storie. Credevo che questo accadesse solo alle persone che hanno nomi particolari e significativi, che hanno chiamato casa molti posti, che hanno preso decisioni forti, inaspettate, folli. Io non sono mai stata così. Mi chiamo Francesca, ho 24 anni e da sempre abito in Trentino. Dal dicembre 1987 la mia casa è stata Predazzo, in mezzo alle montagne della val di Fiemme. Niente grandi scossoni, una serena timida infanzia, un’adolescenza senza grandi “colpi di testa”, una famiglia che non cambierei con nessuna, il gruppetto delle amiche di sempre e i libri, tanti, onnipresenti. E poi l’università, i grandi progetti, la vita via da casa, mi iscrivo a Lettere “perché mi piace leggere” (beata ingenuità!). Ho imparato, all’università, poco sui libri e tanto dalle persone che ho incontrato. Ho imparato che la cultura limitata alla raccolta serrata e sistematica di crediti dà meno regali di quella dei punti dei supermercati. E allora Servizio Civile, meno pagine e più facce, meno pensiero e più azione, meno biblioteca e più realtà.Così ho capito anche che tutte le Vite sono Storie, e che ognuna 2


vale la pena di essere raccontata. Del Servizio Civile sapevo poco o niente. L’origine, in maniera vaga. I racconti di qualche conoscente. Mi sembrava un modo per mettere il naso nel mondo vero, per guardarmi attorno, per capire meglio come funzionano le cose fuori dall’”accademia”. Finita l’università senza grande passione, il Servizio Civile mi sembrava un ottimo modo per riprendermi i mesi impiegati in qualcosa che non mi piaceva, per impiegare il mio tempo in qualcosa che potesse darmi qualche soddisfazione. Senza contare che mi pesava farmi mantenere dai miei e così avrei avuto la possibilità di coprire un po’ delle mie spese. E poi il Servizio Civile è una cosa buona. Ho scoperto che viene giuridicamente definito come “difesa della patria con mezzi non armati e non violenti”. Difesa della patria! Mi sembra bellissimo. Non da nemici esterni, non dagli eserciti, ma dal “brutto”, in senso etico ed estetico. Volevo esserne parte e, dal 1°dicembre del 2010, lo sono stata. Ho guardato e riguardato tutti i progetti, in maniera minuziosa, non volevo fosse una scelta casuale. Avevo mille incertezze, prima di iniziare. Non volevo stravolgere la mia vita, la mia quotidianità. Non volevo farmi prendere troppo, ecco tutto. E poi avevo paura di trovarmi intrappolata in un volontariato poco stimolante, che fai per dovere e non lasci per senso di colpa. 3


E invece Ho scelto un progetto di animazione dal titolo 5 giovani per un team creAttivo: animazione e sensibilizzazione a misura di bambino, proposto dall’Ufficio per le Politiche Giovanili del Comune di Trento. La verità è che io non sono mai riuscita a pronunciarlo correttamente per intero, MAI. No, sul serio: è troppo lungo, e poi ogni volta mi confondo e dico cream creativo. Sarà che ho sempre fame. Mah. Questo per fortuna non mi ha impedito di presentare la mia candidatura al il progetto! Ho fatto il colloquio e mi hanno presa. È stata una bella soddisfazione. L’impatto con il progetto e con l’ente è stato semplice, molto positivo: il progetto esisteva già da qualche anno, non abbiamo avuto la necessità di ritagliarci uno spazio, di capire quale fosse il nostro posto, quali i nostri compiti e le nostre possibilità. Le prime settimane sono state intense: abbiamo fatto gran parte della prima formazione assieme a tutti i ragazzi in Servizio Civile del Comune, in tutto undici. Abbiamo formato un bel gruppo, da subito, c’era tanta voglia di conoscerci e gli Operatore locale di progetto ce ne hanno dato ampiamente l’occasione. Il ricordo più bello dei primi giorni è il pomeriggio che abbiamo passato assieme al Centro Teatro. Abbiamo condiviso aspettative, modi d’essere, usando non solo il cervello e le parole, ma il corpo, il movimento. È stata un’esperienza che ha abbattuto anche 4


qualche diffidenza, qualche reticenza a mettersi del tutto in gioco. Tutti i momenti di formazione ci hanno aiutato in questo senso. Abbiamo ragionato molto sul fare gruppo, sulla comunicazione, sulle relazioni, sulle differenze. Una manna per chi come me aveva cominciato questo percorso per vedere, incontrare, imparare a stare con le persone. Ho imparato... a contare fino a cento, ad attraversare nel giusto momento... Il progetto che ho scelto si articolava in tre parti: il progetto “Bambini a Piedi Sicuri”, l’animazione rivolta ai bambini presenti sul territorio comunale (in occasione di eventi particolari) e, quotidianamente, con le équipe dei centri Giocastudiamo. Che detto così non si capisce granché Andando per gradi: il progetto “Bambini a Piedi Sicuri” è il tentativo dell’Amministrazione comunale di lavorare assieme alle scuole per mettere in sicurezza l’entrata e l’uscita dei bambini e per porre le basi di una riflessione sull’ecologia e l’ecosostenibilità, con qualche cenno di educazione stradale. Questa cosa meravigliosamente seria si traduceva nella pratica in cinque babbei vestiti da Signor Semaforo e Zelda la Zebra-strisciapedonale che si aggiravano nei corridoi delle scuole trentine. Non so bene se a questo punto dovrei dire che abbiamo sviluppato dei pacchetti animativi tarati secondo l’età e il percorso formativo 5


oppure che il costume del signor Semaforo giustamente non prevedeva i buchi per gli occhi, per cui Egli doveva affidarsi per gli spostamenti al buon cuore dei suoi colleghi e infatti andava costantemente a sbattere contro ogni stipite di porta, tra l’ilarità delle folle. Non so se dovrei parlare delle serie riflessioni e dei bilanci puntuali sulle attività da proporre in classe o di tutte le volte in cui il signor Semaforo ha snocciolato importanti informazioni sull’attraversamento pedonale rivolto verso la finestra dando le spalle all’intera classe; delle mattinate passate a preparare i materiali o di come ci veniva da ridere quando qualcuno (Davide B.) si dimenticava la filastrocca finale e la inventava, senza rima, con una certa nonchalance. MARTI: Ho imparato a contare fino a cento ad attraversare nel giusto momento ELE: le paure si sa possono essere tante ma ad aiutarti c’è l’amico negoziante, DAVIDE: per passare dall’altra parte della strada hai certo più di un amico fidato IO: mmpfmfuhuah c’è auhauha il nonno vigile gihgihgihghhiihhi con la sua paletta... LARA: e Zelda mpfuauaauhauahah la zebra... Abbiamo portato avanti il progetto, tra il “molto serio” e il “moltissimo faceto”, fino alla fine della scuola, a ridosso delle vacanze estive, per poi ricominciare a settembre. Dopo la pausa abbiamo deciso di rilanciare, non proponendo a tutte le scuole il “pacchetto animativo base”, ma 6


lavorando assieme alle insegnanti su un piccolo percorso condiviso. È stata una bella soddisfazione, abbiamo lavorato ad un altro livello. Con qualche classe abbiamo fatto una passeggiata attiva nel quartiere attorno alla scuola. Meraviglioso. Al di là di ogni retorica, è fantastico camminare provando a vedere le cose dal punto di vista di un bambino. Abbiamo spiato i balconi, contato le strisce pedonali, cercato i colori. E, fermi ad un incrocio, in fila, abbiamo contato quante persone ci fossero in ogni macchina che passava. È stato un momento surreale: venti bambini che gridavano “UNOOOO, UNOOOO!” sul marciapiede, e i guidatori che sbigottiti si guardavano attorno, fermi al semaforo. In classe ci abbiamo poi riflettuto con calma, contando che quattro persone su una macchina fanno un fumo, mentre quattro persone su quattro macchine di “fumi” ne fanno quattro. Ecco spiegata l’utilità del carpooling. Oltre a questo progetto abbiamo fatto anche qualche esperienza di animazione sul territorio, in occasioni particolari. In agosto, per esempio, tutte le mattine, all’interno del progetto AnimaDante, abbiamo proposto dei momenti d’animazione per i bimbi delle colonie estive della città, che per me voleva dire, ancora una volta, travestirsi! Siamo stati pirati, indiani, esploratori, leoni, maghi e dantialighieri. Ogni mattina trasformavamo il parco di piazza Dante in una nave, una foresta, una savana. Io ci vivrei lì. In maschera. 7


Cerco un Centro di gravità permanente Per tutte queste attività abbiamo lavorato tutti e cinque assieme, in gruppo, o meglio, in cream. Nel pomeriggio invece ci spostavamo singolarmente su cinque diversi Centri Giocastudiamo in diverse zone della città, in supporto alle équipe di educatori. Sono tutti centri aperti e gratuiti, per bambini delle elementari e delle medie, gestiti da associazioni giovanili. Abbiamo avuto modo di conoscere un po’ tutte le realtà di diversi Giocastudiamo, che hanno tratti molto differenti a seconda della zona in cui si trovano, rispondendo a diversi bisogni del territorio. Quando è arrivato il momento in cui ognuno di noi doveva essere assegnato ad uno dei centri presenti sul territorio, ci hanno chiesto se avessimo necessità o richieste particolari. Le mie sono state: “Vorrei essere in un centro poco impegnativo, in cui la richiesta sia sostanzialmente animativa, dove i bambini non hanno particolari richieste educative, arrivano, danno due calci al pallone, giocano, disegnano, gridano e vanno a casa loro. Non ho testa per affrontare qualcosa che richieda di più”. E invece Con una certa lungimiranza (che quasi mi scoccia riconoscere a chi ha scelto, ‘ché già si vanta) sono stata spedita nel Centro di Canova di Gardolo, territorio non propriamente facile, la cui popolazione è portatrice spesso di fatiche e bisogni. 8


Ma sia benedetta la volta in cui le mie richieste non sono state ascoltate: il centro mi è subito piaciuto moltissimo. È sempre stato molto stimolante confrontarmi con quella realtà fortemente multiculturale (un buon novanta per cento dei bambini iscritti ha origini straniere) e con gli educatori. Ho imparato tanto da loro, davvero. Mi è piaciuto molto osservare come affrontavano le diverse situazioni, come si rapportavano con i bambini, come gestivano il lavoro d’equipe. Ogni minuto con loro è valso per me come un’ora di formazione. Ho adorato discutere su tutto, dall’interculturalità alla migliore modalità di distribuzione della merenda. Stare con loro mi ha aiutato a scavalcare i buonismi e ad intravedere il vero cuore del lavoro sociale. La bellezza del prendersi cura perché è giusto e non perché si è gentili. Conserverò in mente per un bel po’ l’immagine di noi quattro, sulla solita panchina, a goderci le sei e mezza, stanchi e felici, alla fine del pomeriggio. Intanto perdonatemi per la melensità delle ultime righe, ma sono cose che non avevo mai detto loro, e se le meritano. Inoltre, se trovate tutto ciò stucchevole tenetevi forte, perché c’è pure un lieto, lietissimo fine. Perché dopo l’anno da ranocchia serviziocivilista sono diventata una bellissima principessa operatrice del centro e vivrò a Canova felice e contenta. Fine. 9


Ecco, questo in breve (!) il mio progetto di Servizio Civile Senza contare le Feste dei Bambini Cittadini Attivi nelle scuole, il corso di formazione per le maestre sul progetto “Bambini a Piedi Sicuri”, le mostre sul progetto, la fiera Fa’ la cosa giusta, l’animazione per la giornata delle Serre Aperte, i laboratori in piazza Dante in collaborazione con l’APPA, Consolida e la Fondazione Galleria Civica e tutte le attività che mi sto scordando. Tutte le mie paure di cadere in una routine pesantissima si sono rivelate ampiamente infondate. Non c’è mai stato il pericolo di svegliarsi la mattina pensando “oddio, devo andare anche oggi”; al massimo il pensiero era “oddio, chissà cosa farò oggi!”. Un giorno semaforo e uno relatrice di un corso di formazione; un giorno decoratrice di vasi e il giorno dopo alle prese con un programma di grafica sul pc; la mattina scrittrice di storie per bambini, poi équipe educativa, poi MagoScegliforma.

Con i compagni? Che bel gruppo eravamo! Un meraviglioso gruppo mal assortito. Ci fossimo visti in un bar non ci saremmo nemmeno guardati, credo. Età differenti, interessi differenti, gusti differenti. E invece. Abbiamo lavorato benissimo assieme, c’era un bel confronto, un bel clima di lavoro. Siamo stati fortunati anche perché le nostre capacità si compensavano: ognuno trovava il suo posto. Ci sono stati degli scazzi, è chiaro, tanto 10


per confermarci che quando si stava bene non era ipocrisia. Facevamo quasi tutto assieme, ci piaceva. Anche quando s’era tutti stanchi e stufi, ci si mandava affanculo con cordialità. Siamo riusciti a gestire assieme anche le situazioni d’attrito, anche qualche momento un po’ più pesante. Ora dovrei parlare male di qualcuno, per dare un po’ di credibilità ai complimenti, bene. Li apostroferò uno ad uno, con l’articolo davanti, che dove vivo io crea subito una sgrammaticata aria di famiglia. La Martina non ascoltava mai i relatori e la volevo prendere a randellate, il Davide aveva la fissa dell’ordine e metteva a posto le cose mentre le stavo usando, l’Ele voleva sempre fare le cose troppo bene ed impiegava secoli per finire una cavolo di scritta, la Lara negava, con malfidente insistenza, la validità della colla Vinavil. Ecco, il punto è che loro queste cose le sanno già, perché potevamo dircele. Quanto ammore, quanto. Ci siamo sempre vantati di come abbiamo lavorato, in verità. Un meraviglioso gruppo mal assortito di spocchiosi. (Vi voglio bene) Si dovrebbe parlare qui anche delle ataviche lotte per i computer tra noi e i ragazzi del progetto sulla comunicazione, con cui condividevamo l’ufficio. E dei grandiosi pranzi comunitari, in cui si riuniva il nucleo iniziale di tutti i serviziocivilisti del Comune. E del corso per ecovolontari in cui quelli dell’ambiente ci hanno trascinato. E di tutta la bella gente che gravita attorno alle Politiche Giovanili, ma per questo paragrafo 11


ho esaurito il bonus dolcezze. (Grazie. A Tutti.) È stato tutto bellissimo! E invece Prima ero abituata ad avere tanto tempo. Per chi fa l’università è un po’ così, la si prende comoda. Pochi orari, tempi rallentati, infiniti momenti liberi per dedicarsi alle cose che ti fanno felice. Pensavo che potesse essere così anche durante il Servizio Civile. E invece Le cose da fare erano sempre tantissime, il tempo mai abbastanza, le giornate infinite e di mangiare a casa (cosa che continuerò per sempre a ritenere sacra) impensabile. A questo si aggiunga che sono un’eterna disorganizzata. Il tempo che riuscivo a dedicare alle persone a cui volevo bene (amici, famiglia, moroso, me medesima) era sempre meno di quello che meritavano. Il problema è che tenevo moltissimo anche alle attività che stavo portando avanti, alle esperienze che stavo facendo. Era difficile dire di no, quindi mi impegnavo, con passione. Però mi è rimasta indietro un po’ la vita. Come ne sei uscita? Realizzando che anche quello che stavo (e sto) facendo è vita. E partendo da questo presupposto cercare un equilibrio tra il dentro e il fuori, tra lo stare (con le persone della tua vita) e il fare. Con un po’ di calma per riuscire a 12


farci stare tutto l’Importante, in quelle ventiquattro ore che sembrano non essere mai abbastanza. E imparando a dire No. Sono sempre stata una perfezionista malfidente, con il bisogno di controllare tutto, di assicurarmi che tutto fosse a posto. Devo sempre esserci, sapere, fare, dare una mano. Se il lavoro è di gruppo mi risulta quasi impensabile non assistere a tutte le sue fasi. Riuscire a prendere un po’ le distanze per me ha significato imparare a fidarsi degli altri e saper ricorrere al mio istinto di autoconservazione. Mi fa sorridere, tirando le somme di un’esperienza come il Servizio Civile, affermare che “mi ha insegnato a tirarmi indietro”, ma tant’è. OLP L’Operatore locale di progetto del mio progetto era Rosanna. Rosanna, che pensa e agisce alla stessa folle velocità con cui parla. Rosanna, che mentre il tuo cervello elabora le sue indicazioni sul lavoro se n’è già andata, le domande rimandate alla prossima volta. Rosanna che ci fissava tremila appuntamenti alla settimana, contando sul fatto che tutto accadeva così in fretta che noi non ce ne rendevamo nemmeno conto. Rosanna che si fidava di noi, Rosanna che era sicura ce la facessimo e che quindi ci lasciava fare. Ci lasciava provare, ci lasciava sbagliare e ci correggeva all’ultimo, forse appena in tempo. Non ci stava con il fiato sul collo, decisamente no. Non ci ha coccolati e accompagnati per mano passo passo. 13


Ci ha buttati nell’acqua alta, ma infondo è il modo migliore per imparare a stare a galla, no? Rosanna, sempre sulla riva, con il costume da bagnina, pronta a lanciarci dei salvagente, quanto serviva. L’Operatore locale di progetto è importantissimo in un progetto di Servizio Civile. È la persona con cui ti puoi confrontare, assieme alla quale riesci a dare un senso a quello che fai. Deve sapere che se ci sono dei giovani che gli girano intorno c’è un motivo e che quel motivo, lui, ha scelto di condividerlo. È importante che abbia bene chiara l’idea del progetto, che abbia dei punti fissi, certi. È importante che la sua guida non sia una spinta verso l’obiettivo, ma un accompagnamento, onnisciente ma non onnipresente. In un progetto di Servizio Civile, la presenza della figura dell’Operatore locale di progetto non deve essere necessariamente fisica, opprimente, imponente, quanto tangibile in tutte le attività. Nel mio progetto avere dei paletti entro i quali mettere in piedi le mille attività che in 12 mesi ho potuto realizzare insieme ai miei compagni è stata la strategia vincente. La fantasia si sviluppa meglio quando ci sono dei limiti. I ragazzi che vogliono “fare” Servizio Civile hanno voglia di sentirsi utili, di fare qualcosa di concreto per la comunità. E se dall’altra parte c’è poca concretezza, la creatività e la spinta iniziale diventano frustrazione e noia.

14


Se ho una metafora? Per il mio SC non ho tanto una metafora, quanto un correlativo oggettivo reale (si vede che ho studiato lettere, eh?eh?); non un’immagine generale ma un oggetto particolare, la mia agenda 2011. Quell’agenda sempre piena zeppa di cose da fare, orari, persone, numeri di telefono, posti. Che mentre ci vivi dentro non riesci a vedere per intero, che ogni tanto odi, perché mancano delle belle pagine bianche da riempire come ti pare. Ma poi, quando ti volti indietro e puoi sfogliarne piano le pagine ti viene da sorridere, realizzi quante cose hai imparato e quanti ricordi ci sono dietro a quegli orari, e va bene così. Mi manca una foto Vorrei una foto con ogni singolo bambino del Giocastudiamo di Canova. Ogni singolo naso, ogni sopracciglio, ogni dente mancante. Perché so che un giorno mi mancheranno tutte quelle facce. La cittadinanza Sono arrivata a Trento nel 2006, per l’università. Ho vissuto la città in maniera superficiale, di passaggio, come molti studenti. I miei Luoghi sono stati la biblioteca, i bar per l’aperitivo, le case dei miei amici, il centro, poco altro. Non mi sono mai sentita veramente legata alla città, sono mi ci sono mai immischiata troppo. Dopo quattro anni però ho cominciato il Servizio Civile e il mio rapporto con 15


Trento è cambiato. Ho scoperto un mondo di persone che ogni giorno fanno azioni a beneficio di tutti. Ho scoperto associazioni, cooperative, gruppi, scuole, circoscrizioni, gente, gente attiva, propositiva, che si spende per la città. Ho camminato per Spini di Gardolo, per Martignano, che fino ad allora erano stati solamente luoghi leggendari testimoniati soltanto dalle destinazioni scritte sugli autobus. Ho percepito le varie anime della città, che non era più per me soltanto universitaria. Fare Servizio civile ha significato per me sentirsi cittadina del posto in cui abito. Ho allora cominciato a percepire concretamente ciò che prima era solo un’idea: una comunità fatta di persone, di tante persone, che vivono e fanno qualcosa per gli altri. Una comunità che non resta chiusa nei confini cittadini, che idealmente connette tutti coloro che non vivono chiusi in se stesse, che fanno la loro parte, che si spendono per, e non contro.

16



Note editoriali Francesca Tutte le Vite sono Storie

Grafica ed impaginazione Ufficio Servizio Civile Stampato da: Centro Duplicazioni della Provincia autonoma di Trento Finito di stampare agosto 2012 progetto ideato da Sara Guelmi per : ES.SER.CI. Esperienze Servizio Civile - Trento Provincia Autonoma di Trento

Volume non destinato alla vendita



ES.SER.CI. E RACCONTARSI Sorprende gli stessi autori la scoperta di essere protagonisti di una storia. Una storia che si rivela loro attraverso la lettura del proprio percorso di vita e nel suo racconto. Rievocare gli episodi, ricordare le emozioni, dare volto alle persone, gettare squarci di luce su momenti bui, ripercorrere momenti di gioia esaltante sono alcune delle innumerevoli tonalità che arricchiscono ed intrecciano la trama di una vita che nasconde, nell’ordito, l’unicità - oggi più consapevole - dei protagonisti. Ricco, ma prigioniero, di un presente che affonda le radici nella storia personale, ciascuno degli autori guarda le possibili, molteplici prospettive di viaggio che gli si aprono. Prospettive di viaggio che affronta con uno strumento in più: la consapevolezza di avere una storia, no solo da narrare e da ripercorrere, ma da proseguire. Comprendere il cammino e la natura di ciascuno aiuta a trovare il senso della propria storia e ad individuare la via migliore e più appropriata verso l’autorealizzazione.

Francesca Tutte le Vite sono Storie


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.