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Martina Per me si può fare cosÏ



Martina Per me si può fare cosÏ


Chi sono?

dare una definizione di me non Belladomanda, è affatto facile: 22 anni, una tipa piuttosto chiacchierona ma non per questo poco attenta a quello che mi raccontano gli altri. Odio i ritardi e i ritardatari, ho un debole per la musica rock, amo gli animali e questa mia passione mi impegna in un canile come volontaria. Eccomi qua, io sono Martina detta “Smarti”. La mia carta vincente Una mattina leggevo il giornale e ho notato uno spot sul Servizio Civile. C’era una foto di due ragazzi identici e lo slogan diceva: «Sono gemelli, ma Giuseppe è più grande». Non l’ho capita subito, ma mi ha colpito. Mi sono incuriosita e sono andata sul sito del Servizio Civile per saperne di più. Vivevo a casa con i miei e stavo cercando lavoro, avendo finito le superiori e tentato l’Università non troppo convinta di voler continuare a vivere sui libri. Mi attirava di più l’idea di fare qualcosa di concreto. Sul sito c’erano i progetti a bando e molti riguardavano at2


tività con i bambini. Ho sempre fatto l’animatrice d’estate e ho pensato subito che quella potesse essere una buona opportunità. Il compenso: 433,80 euro mensili. È stato il primo specchietto per le allodole che mi ha convinto che dovessi inoltrare la domanda. 433,80 sono molti di più di ZERO! Servizio Civile uguale Lavoro. Era questa l’equazione. Era. Quando ho saputo che la mia domanda era stata accolta, dopo aver fatto il colloquio, mi sono sentita professionalmente realizzata. Avevo una posizione. Questo era il mio unico pensiero. Avevo un carattere forte e a tratti faticoso per chi doveva relazionarsi con me. Credo fosse la risposta al fatto che le mie potenzialità fossero fino ad allora sempre state sottovalutate, a volte addirittura prima che potessi di poter provare a fare qualcosa. Il Servizio Civile era la carta che potevo giocarmi per dimostrare il contrario: che valevo qualcosa anch’io. Il laboratorio ES.SER.CI. a teatro Ho partecipato a un laboratorio di teatro con altri compagni del Servizio Civile e insieme abbiamo scritto i testi e portato in scena uno spettacolo: “L’appartamento italiano: un’Odissea”. La storia di un gruppo di ragazzi completamente diversi tra loro che condividevano spazi e il desiderio (più o meno celato) di raggiungere sogni (più o meno 3


realizzabili). Il percorso mi è servito per capire di più chi sono, come gli altri mi percepiscono, cosa mi piacerebbe cambiare di me e su cosa non sono assolutamente disposta a scendere a compromessi. Il gioco di squadra? Ecco come funziona. Questi litigano un giorno sì e l’altro pure! Sapete che vi dico? Che sono giusto contenta di non far parte di nessuna squadra! Già da piccola nella mia squadra c’ero solo io, perché io VOLEVO far parte della squadra dei miei fratelli, ma loro mi tenevano sempre in panchina, come riserva. Sapete come facevano? Mi insegnavano ad allacciarmi le scarpe e mi chiedevano in cambio 1.500 lire! Oppure venivano in camera mia mentre stavo per addormentarmi nel buio e impersonavano la voce della mia coscienza: “Oggi non ti sei comportata bene con i tuoi fratelliii! Devi trattarli megliooo! Devi dividere con loro la tua merenda senza dire niente a mamma e papààà”. Io correvo in camera loro spaventata, terrorizzata da quella voce. E loro, infami, mi consolavano! E poi sapete il colmo? Per tutta la mia infanzia mi hanno fatto credere che fossi stata adottata! Prendevano il mio album delle fotografie di quando ero appena nata e mi dicevano: “Vedi? Questa non sei tu, siamo noi. Vedi questi vestitini? Sono i nostri, quindi siamo noi. I capelli della bimba nella foto sono 4


più chiari e tu invece ce li hai scuri. Nelle foto non hai gli occhiali...”. “Eh! Ma io gli occhiali li ho messi a un anno e mezzo....”, rispondevo. “No, questo te l’hanno fatto credere. In realtà tu sei nata con gli occhiali! Solo che non ci sono le foto nell’album, perché tu sei stata adottata quando avevi due anni...” Ecco il mio gioco di squadra quando ero in famiglia, e anche adesso, come vedete, con i miei coinquilini non va molto meglio. Ma sapete che vi dico? Io, me stessa e Martina formiamo un’ottima squadra: e decido che io in panchina non ci sto! Il mio personaggio cresce durante lo spettacolo. Da burbera esclusa e bistrattata, si rivela l’elemento fondamentale per il gruppo. Cambiando la mia prospettiva, cercando di non partire sempre all’attacco ma ascoltando e osservando gli altri e quello che fanno, ho imparato ad essere più razionale (non del tutto, ma sono a buon punto), a non prendere decisioni avventate, a non avere fretta. La mia famiglia Anche le cose perfette hanno i difetti. La mia scelta di fare Servizio Civile mi sembrava assolutamente perfetta. Peccato che mio padre la pensasse in modo diverso. Quando gliel’ho detto è riuscito a smontare l’entusiasmo per la mia nuova scelta e la gioia che provavo per questa nuova 5


esperienza in poche battute: «Guadagni poco. A cosa ti serve poi? Va bene fare volontariato, ma fino ad un certo punto! Con quei soldi a malapena riuscirai a pagarti l’abbonamento dei trasporti». Poi (e per fortuna) c’è stato il cambiamento. Dopo qualche settimana dall’inizio mi ha vista serena, impegnata, attiva e si è ricreduto. La sua visione sul volontariato come sfruttamento di forza lavoro giovanile non è cambiata del tutto, però gli ho aperto uno spiraglio. Mia madre e il mio ragazzo, per fortuna, erano contenti. Mi hanno incoraggiata, sapendo che il Servizio Civile mi avrebbe aiutata a crescere. Il progetto impegnativo Non dimenticherò mai l’esperienza delle colonie estive che mi teneva occupata dal lunedì al venerdì: non c’era un momento di calma, l’energia, la curiosità, la voglia di fare dei bambini si esprimeva nelle varie attività proposte. Si facevano giochi di squadra, laboratori ricreativi e gite. Ne avevamo organizzata una allo zoo: mi ricordo che riuscivo a meravigliarmi guardando gli animali e le loro buffe espressioni, scattavo foto a raffica, leggevo le varie descrizioni. Attorno a me un caldo torrido che infastidiva i presenti ma questo non importava: in quel momento ero la persona più felice al mondo perché tutto attorno a me, pur nella sua semplicità, aveva un non so chè di magico. Spesso gli adulti si dimenticano di ciò e delle piccole cose o 6


ancor peggio non sono più in grado di coglierle. Io invece, sono riuscita a dare il massimo di me, sentendomi nuovamente un po’ “bambina”e provando quel senso di stupore di fronte alla realtà che non sentivo da tempo. I limiti e le catastrofi naturali Se un anno fa avessi sbattuto la testa contro il muro di un palazzo, le crepe sarebbero arrivate fino all’ultimo piano. Avevo la testa dura come una palla da bowling. Ero il bastian contrario della società: ogni volta che qualcuno voleva farmi cambiare idea o aveva semplicemente un’idea diversa dalla mia era scontro. Tutto il mondo voleva fregarmi, tutto il mondo era contro di me. Ero cresciuta in terre straniere sempre sotto assedio, con i miei fratelli alleati contro di me e io da sola a combattere una guerra durissima. Testarda, permalosa, scettica, indurita da molte esperienze di socialità. Non ero proprio uno spasso, diciamocelo. Odiavo terribilmente l’ironia. Non ero per niente autoironica e ogni scherzo, pur palese, per me era un’offesa. E all’offesa io mi opponevo duramente. Ho fatto Servizio Civile con una squadra di coetanei: tanti ragazzi con storie diverse, percorsi diversi, prospettive a volte assurdamente opposte. Non si capiva come potessimo essere accomunati da un unico obiettivo. E soprattutto non avrei puntato un centesimo sul fatto che io, insieme a quelli là, avrei potuto fare qualcosa di buono. Quelli là sono diventati i miei amici, i miei più cari amici. 7


Mi hanno insegnato che si può scherzare, si deve scherzare. Mi hanno insegnato che ci sono dei momenti seri e delle situazioni più leggere. Mi hanno insegnato che la perfezione non esiste, che io non sono perfetta, che loro non sono perfetti, che nessuno è perfetto e che non per questo dobbiamo scannarci. Mi hanno insegnato che ho dei limiti e che l’unico modo per essere sereni è esserne consapevoli e cercare di superarli, senza aggredire chi me li fa notare. Non è stato facile. Il Servizio Civile (che in questo caso significa Francesca, Davide, Lara, Eleonora) mi ha migliorata, mi ha cambiata. E non è retorica. Con il mio ragazzo ero ossessiva: ogni minuto di ritardo, ogni chiamata a cui non mi rispondeva per me era un allarme, una catastrofe. Pensavo alla sua macchina che si cappottava giù per un burrone, andava a fuoco e robe da film americani. Le mie insicurezze venivano fuori sotto mentite spoglie, le riversavo sugli altri e soprattutto su di lui. Oggi, mi capita molto meno spesso di pensare che gli alieni l’abbiano rapito per sempre, che un’eruzione potentissima del Vesuvio l’ha seppellito vivo se torna a casa nostra un po’ più tardi del previsto. Sono serena. Più serena di prima. Le relazioni Mi piace parlare dei miei compagni di viaggio perché grazie a loro ho capito cosa posso fare per gli altri, oltre che 8


per me stessa. Davide era l’unico maschio del gruppo. Lui presidiava i materiali e sapeva dov’era ogni cosa. Anche quelle inutili. Francesca è l’autoironia fatta a persona. Non si arrabbiava mai, era sempre positiva, riusciva a non provare rancore e a vivere ogni momento della giornata senza portarsi dietro valigione di problemi o questioni irrisolte. Lei è stata il mio modello. Io mi sono ispirata alla sua leggerezza (che non è assolutamente superficialità) per affrontare certe situazioni difficili, dalle quali un anno fa sarei fuggita dopo aver buttato per aria tutte le carte in tavola. Lara è una persona schietta, le sue critiche non sono mai state polemiche. Esternava tutto ciò che pensava ed è stato bello collaborare con lei perché ero sicura che tutte le cose che mi diceva finissero lì, non continuassero nell’orecchio di qualcun altro, lontano da me. Io faccio molta fatica ad essere così diretta e allo stesso tempo diplomatica. E poi c’era Eleonora. Il suo spirito artistico la rendeva un po’ sopra le righe, come me. A capo di questo gruppo variegato c’era Rosanna, l’Operatore locale di progetto. Più che capo, però, la definirei una regista. Lei è stata per la maggior parte del tempo in regia, senza farsi vedere troppo. Dopo averci introdotto alle attività si è fidata di noi e dei meccanismi che avremmo messo in moto. La sua fiducia credo sia stata ricompensata, perché il gruppo è riuscito 9


a far conciliare le differenze e le divergenze, sbagliando mille volte, a trasformare le difficoltà in possibili soluzioni e, soprattutto, ad agire comunque in maniera compatta. Una metafora Le api. Penso sempre agli alveari e alla miriade di apette piccole che fanno il loro lavoro, a modo loro, con un obiettivo condiviso. L’obiettivo è comune, il modo per raggiungerlo però non è identico. Le api non sono un esercito, non marciano, non sono ordinate, si accavallano, si raggruppano. Il risultato però è un dolcissimo miele. L’ape regina? Verrebbe da pensare che sia l’Olp. Secondo me invece è il motivo per cui ci siamo impegnati per 12 mesi. Il cuore dell’alveare, ciò che a tutti i costi abbiamo cercato di proteggere, era il nostro futuro. Alti e bassi Io ho riso tantissimo. Ho riso così tanto che a volte avevo mal di pancia. Francesca faceva le imitazioni e caricaturava chiunque. Le faceva così bene che io scoppiavo a ridere anche nei momenti meno opportuni. Questo non esclude che ci siano stati dei momenti difficili, in cui le incomprensioni sembravano veramente insuperabili. A volte ho temuto che il gruppo potesse sfaldarsi per i malintesi. Con il mio carattere probabilmente sarei fuggita, dopo essermi incazzata. Le parole invece hanno risolto tutto. Ciò che ci ha aiutati è stato lo sforzo di dirci il 10


non-detto. Siamo stati sinceri, ognuno in quel gruppo aveva delle responsabilità e se l’obiettivo non era raggiunto era sì, responsabilità del gruppo, ma chi aveva agito con negligenza, non poteva essere ignorato. Pazienza, amicizia, ascolto. Io e la pazienza siamo sempre stati nemici. Io mi innervosivo solo all’idea di aspettare qualcosa o qualcuno e mi infastidiva tantissimo trovarmi in situazioni di pura anarchia in cui ognuno fa quel che vuole. Sapevo solo essere autoritaria, dispotica, nevrotica. I bambini con cui ho fatto attività mi hanno messa alla prova più e più volte e oggi non posso dire di essere una donna paziente, di quelle che sorridono mentre aspettano un autobus in ritardo di 15 minuti sotto il sole cocente, ma ho fatto enormi passi avanti. Sono una persona attenta. Mi ha stupito che questa mia qualità sia stata da molti considerata un talento. Dopo poche settimane dall’inizio del Servizio Civile è arrivata la pausa natalizia. Io avevo pensato di regalare un pensierino ad ognuno dei miei compagni. Li conoscevo solo da un mese ma mi sembrava chiaro cosa potesse piacere ad ognuno di loro. Il giorno in cui sono arrivata in ufficio con i pacchetti loro mi hanno guardata sbalorditi. Non si sarebbero mai aspettati che una persona esuberante come me fosse anche un’attenta osservatrice. La gioia di quel momento la por11


terò sempre con me. Non si trattava di regali di lusso, ma dimostravano quanto io tenessi alla loro amicizia. Riscoprire gioia, soddisfazione e autostima Pittura, origami, disegni, girandole di carta, giochi di ruolo, indovinelli, piscina, parco: l’estate del mio Servizio Civile è stata stupenda e sfiancante. Eravamo impegnati tutti i giorni con i bambini che frequentavano le colonie in diverse zone di Trento. A differenza di quanto accadeva con loro in classe, in cui si sentiva la presenza/assenza dei maestri, all’aria aperta si scatenava l’inferno. E io in quel caos cominciavo a trovarmi bene, avevo proprio voglia di fare, di esserci, di metterci tutte le energie che potevo. Svegliarsi la mattina con la voglia di andare nel posto in cui vai tutti i giorni significa che ciò che fai ti piace. Io ero così, mi svegliavo con il sorriso, con la voglia di prendere la corriera e andare con i miei compagni e con i miei amici a fare le attività che avevamo in programma. Mi sentivo utile. Credo che in quelle settimane il fatto che qualcuno aspettasse me per fare qualcosa, che io potessi essere una parte, anche piccola e non indispensabile, di una macchina che si muoveva mi inorgogliva più di ogni altra cosa. Ho avuto diversi alti e bassi e credo che i momenti peggiori, quelli in cui l’autostima viaggiava più sottoterra di una talpa, siano stati legati alla mancata fiducia che io avevo in me stessa e soprattutto a quella che gli altri non mostrava12


no di avere nei miei confronti. A volte sentirsi incoraggiati, supportati e spronati fa bene allo spirito, cambia l’umore. Tutte le volte che ci sono due situazioni, una felice e una triste, è sempre quella triste a dominare. In questi mesi ho provato a invertire la rotta. Anche i momenti felici devono avere la loro dignità! Non accettavo più neanche un “Come sei bella oggi!” detto dal mio ragazzo. Mi sembrava assurdo essere bella. Prendevo sul serio solo le mie frustrazioni e i miei limiti. Ho imparato a bilanciare un po’ le cose. Ieri mattina, per esempio, mi ha detto che sono bella. Passando dallo specchio, ho lanciato uno sguardo e ho pensato che non ero bella, ero un incanto. I cerchi si chiudono I miei cerchi non si chiudevano mai. Faticavo a portare a termine ogni cosa che cominciavo. Spesso mi arrendevo. E quasi tutte le volte il problema era legato alla comunicazione. Io non sono capace di mediare: se penso una cosa negativa e voglio fare una critica o lo faccio in maniera netta, mettendo in discussione tutti gli equilibri, oppure tengo tutto per me e subisco. Nell’ambito del Servizio Civile non è stato facile per me capire chi fosse aperto alle discussioni e pronto ad accettare suggerimenti e chi invece no. Il fatto che molti non capiscano quale sia il vero ruolo del giovane in Servizio Civile fa sì che ti possano trattare anche da scemo del villaggio. 13


Ci sono stati diversi momenti di incomprensione, in cui - fuori dai denti - avrei voluto dire quello che pensavo veramente. Quando non l’ho fatto quel piccolo sassolino è diventato un macigno grande e grosso e una situazione critica si è trasformata in un grande problema. Io e il mio gruppo abbiamo lavorato con maestre entusiaste delle nostre idee e con altre che durante le attività disturbavano più degli alunni. Questo perché alcune di loro erano consapevoli dell’importanza di ciò che stessimo facendo pur non essendo seduti dietro una cattedra col registro davanti. Loro si sentivano partecipi, coinvolte ed erano soddisfatte dell’alto livello di interesse che mostravano i bambini. Le altre non erano pronte a mettersi in discussione, erano distratte e disinteressate. Non voglio dare giudizi di merito sui docenti, però mi è sembrato che facessimo molta più fatica a trasmettere messaggi importanti ai bambini quando il docente non era dalla nostra parte. E avrei voluto dirglielo, ma non l’ho fatto. La stessa dinamica si è ripetuta più volte in altre situazioni. Coloro che non sono pronti ad aprirsi al confronto con gli altri, soprattutto se considerano gli altri in una posizione di “inferiorità”, sminuiscono le potenzialità di molte azioni di gruppo. Si potrebbe fare molto se tutti quanti collaborassimo a prescindere dal ruolo che ricopriamo, parlando, discutendo, accettando o rifiutando le idee non perché vengono da tal dottore o da tal sfigato. E la Martina di un anno fa era esattamente così: poco di14


sponibile ad accettare le critiche e sempre sulle difensive. La mia aggressività, che non è mai stata fisica ovviamente, era lo specchio delle mie frustrazioni. Il Servizio Civile ha messo in crisi tutto questo e ne sono venuta fuori completamente rinata. Penso di essere una donna con dignità, con delle idee rispettabili, interessanti, con un passato sia faticoso che buffo, con delle competenze che pochi documenti ufficiali testimoniano ma che sono convinta di avere e soprattutto con la consapevolezza che parlando si risolve tutto, che la comunicazione e l’umiltà siano al centro di una società sana in cui tutti fanno la loro parte. Il cerchio si è chiuso per una volta. Il Servizio Civile l’ho portato a termine e me n’è dispiaciuto non poco. Il mio percorso però mi ha portato dove non immaginavo nemmeno e a sentirmi pronta a dire la mia. Una foto Avevamo bisogno di sassi e foglie per organizzare un’attività didattica. Abbiamo pensato di fare una spedizione e siamo andati a Ravina, a pochi chilometri da Trento. Siamo finiti in un posto bellissimo, non so se perché c’eravamo letteralmente persi o perché in quel momento eravamo tutti felici. Dopo aver fatto il nostro dovere ci siamo presi un momento di relax: chi seduto, chi sdraiato, chi guardava il cielo. Avrei voluto una foto di quel momento! 15


Messaggio Il Servizio Civile non è solo volontariato, è un impegno che bisogna assicurare per 12 mesi. Questo aspetto mi ha responsabilizzata molto e credo che sia stato il motivo per cui non ho mollato. Negli ultimi anni abbiamo imparato a chiudere le conversazioni semplicemente con un clic sul computer, possiamo sempre scegliere se stare in contatto con una persona o meno, filtrando tutto tramite la rete. Il Servizio Civile vive ancora (per fortuna!) su rapporti reali tra persone che si incontrano, che condividono un’esperienza. Il Servizio Civile è tutti i giorni, include il pranzo, la cena, la birra con gli amici, i laboratori, le discussioni. Adesso che ho finito e mi capita di pranzare con alcuni miei ex compagni di viaggio; capisco quanto sia stato importante per la mia socialità. Mi ha tirata fuori dalla mia caverna, mi ha messa a disposizione degli altri e di me stessa. Io non mi sono sentita spettatrice delle mie giornate, ma protagonista e so che questo vale per molti ragazzi che hanno fatto la mia stessa esperienza. Essere protagonisti significa non avere motivi per lamentarsi se le cose vanno male, perché in mano si ha la possibilità per cambiarle in meglio. Grazie All’inizio volevo alternare ogni parola del mio racconto con un grazie, per essere riconoscente a tutte le persone 16


che in questo percorso mi hanno dato una mano, anche semplicemente standomi accanto. La gratitudine è fondamentale, è gratuita e fa bene sia a chi la riceve che a chi la prova. Poi ho pensato che qualcuno sarebbe rimasto inevitabilmente fuori dal mio elenco e forse ci sarebbe rimasto male. In questo GRAZIE! finale, perciò, vorrei si riconoscessero tutti, nessuno escluso. Nemmeno io.

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Note editoriali Martina Per me si può fare cosÏ

Grafica ed impaginazione Ufficio Servizio Civile Stampato da: Centro Duplicazioni della Provincia autonoma di Trento Finito di stampare agosto 2012 progetto ideato da Sara Guelmi per : ES.SER.CI. Esperienze Servizio Civile - Trento Provincia Autonoma di Trento

Volume non destinato alla vendita



ES.SER.CI. E RACCONTARSI Sorprende gli stessi autori la scoperta di essere protagonisti di una storia. Una storia che si rivela loro attraverso la lettura del proprio percorso di vita e nel suo racconto. Rievocare gli episodi, ricordare le emozioni, dare volto alle persone, gettare squarci di luce su momenti bui, ripercorrere momenti di gioia esaltante sono alcune delle innumerevoli tonalità che arricchiscono ed intrecciano la trama di una vita che nasconde, nell’ordito, l’unicità - oggi più consapevole - dei protagonisti. Ricco, ma prigioniero, di un presente che affonda le radici nella storia personale, ciascuno degli autori guarda le possibili, molteplici prospettive di viaggio che gli si aprono. Prospettive di viaggio che affronta con uno strumento in più: la consapevolezza di avere una storia, no solo da narrare e da ripercorrere, ma da proseguire. Comprendere il cammino e la natura di ciascuno aiuta a trovare il senso della propria storia e ad individuare la via migliore e più appropriata verso l’autorealizzazione.

Martina Per me si può fare così


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