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Il dono dell’amicizia, di Salvatore D’Ambrosio, pag

sofferenza (nella pelle ambrata), forza (segnata dal giallo che contorna Maria). E così legge Cristo attribuendo particolari stati fisici per associazione di colori e ombre, occhi aperti o chiusi, occhi sgranati o sguardo magnetico, ora con una goccia di sangue sulla fronte, ora con l’intera corona di spine. Mentre nelle rappresentazioni del corpo umano, il soggetto è visto ora di spalla, per significare che il messaggio vale indifferentemente per tutti; ora senza volto che è un modo per rimarcarne la universalità; ora nel corpo intero e nel corpo del solo busto. Quanto alla natura, ripetiamo, essa è rappresentata soprattutto dai pagliai lasciati a essiccare e i colori del paesaggio determinano le stagioni e quindi il tempo.

Ciò detto mi sembra che le due figure sacre (Madonna e Cristo) ricalchino la iconografia tramandata e che pure il corpo umano, vengano affidati a una lettura fisiognomica; mentre i pagliai rientrano nella tradizione contadina. In altri termini disponiamo di una chiave di lettura delle immagini. In ogni caso l’Autrice, con il saggio “Paolo Sommaripa pittore dell’Arte Immaginaria”, si unisce ai tanti estimatori che si sono espressi in appendice e rende omaggio ad un suo illustre concittadino diffondendone la conoscenza: promotore di incontri, propulsore per artisti giovani e meno giovani, e la Torre Civica di Pomezia è diventata polo culturale aperto al dialogo. L’opera meriterebbe di più, ma per quanto ho potuto spero sia stato utile, al pittore, all’autrice e ai lettori.

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Tito Cauchi

ISABELLA MICHELA AFFINITO

E LA LUNA BUSSÒ ALLA MIA PORTA

Genesi Editrice, Torino 2022, Pagg. 152, € 12,500

Isabella Michela Affinito è pittrice e scrittrice prolifica, dando prova, in questo caso, con la copertina della sua raccolta poetica E la luna bussò alla mia porta. Una costante delle opere della Frusinate è quella di cogliere occasione per intrattenersi e intrattenerci su argomenti culturali a lei particolarmente cari dell’Arte e della Classicità, essendo critica letteraria e d’arte. Si compiace di sostare per il gusto della compagnia e della gioia della conversazione, virtuale, facendo informazione. Si esalta, è il caso di dirlo, quando scopre di potersi accostare a grandi personaggi per via dello stesso suo segno zodiacale, il Cancro, a novembre. La silloge letta in superficie può sembrare ovvia, ma in profondità rivela il suo reale spirito serio e, quando se ne presenti la circostanza, pure giocoso; un aspetto, questo, della propria biografia raccontata in modo piacevole ed elegante. Naturalmente questo richiede una conoscenza di base da parte dei lettori, alla stessa maniera di chi, per leggere le parole, ha bisogno di conoscere le lettere dell’alfabeto.

La raccolta è scorrevole e di piacevole lettura, di quasi sessanta poesie e due recensioni cinematografiche, è preceduta dall’introduzione dell’Autrice, costituita da un saggio breve su Marc Chagall “al tempo della luna”, pittore sovietico nativo della Bielorussia (1887-1985), che nella sua vita quasi centennale, la luna è presenza costante delle sue rappresentazioni, quale “suo archetipo interiore”. Ebreo di famiglia povera, ha sempre voluto rivendicare la sua libertà di pensiero; nato sotto il segno del Cancro governato dalla Luna, è stato visionario e ha respinto ogni etichettatura.

Isabella Michela Affinito ricorda la conquista della Luna con la missione americana Apollo 11 del 20 luglio 1969, resa palpabile con il bel librointervista ai tre astronauti (Edwin Aldrin, Mike Collins, Neil Armstrong) fatta nel 1970 da Oriana Fallaci, della quale sottolinea il segno zodiacale d’appartenenza al Cancro, appunto come il suo. La luna è naturalmente l’elemento ispiratore per molti poeti e scrittori, cantanti e artisti, in parte citati. Un

nome per tutti è quello di Dante, ma anche del grande Giacomo Leopardi. In chiusura del suo prologo, sottolinea un pensiero: “colui che scrive versi, apparentemente chiuso nel suo volontario estraniamento, in realtà è guidato dalla luna”.

Desidero anticipare qui il riferimento alle due recensioni cinematografiche per lasciare il meglio a seguire. Una critica riguarda il film di Stanley Kubrick “2001: Odissea nello spazio” (GB 1968, Genere fantascienza, minuti 160) in cui in estrema sintesi iniziando dagli uomini-scimmia si giunge, dopo milioni di anni, ad una astronave in cui l’equipaggio si deve difendere dal computer di bordo che ne prendeva il controllo. L’altra critica riguarda il film di Gore Verbinski “La maledizione della prima luna” (USA 2003, Genere azione/avventura, minuti 143) riguardante storie di pirati, attore protagonista è Jonny Depp al quale valse vari riconoscimenti come l’Oscar.

Ebbene torniamo alla silloge. La luna mostra solo una faccia a noi terrestri, ma è presente in ogni componimento a dimostrazione dei suoi molteplici profili. La luna “bussò” alla porta della Nostra mentre nasceva instaurando un solido rapporto con lei, anche se di “soliloquio”. La Poetessa ha preferito allontanarsi dai “grattacieli” della sua città natale per scegliere un luogo più appartato immerso nella natura; ciò che le permette di sognare, di rievocare la Beatrice dantesca che il Poeta vide poco più che bambina e poi incontra quando il Poeta aveva diciotto anni rimanendone folgorato. Si chiede se “Beatrice fu del/ Sagittario? Come dire/ che opposto alla casa/ terza c’è la nona!” (p. 38); qui abbiamo un minimo giocoso (basta osservare le lancette dell’orologio: a quella che indica le tre, l’opposta indica le nove).

Isabella Michela Affinito ricuce vari riferimenti culturali, che poi sono il suo nutrimento, la sua ricchezza. Così man mano ci svela il suo mondo interiore richiamando artisti come Picasso, Kandinskij, Modigliani, come Raffaello con la sua Scuola di Atene, oppure rievoca l’antico Egitto e personaggi mitologici come Iside e Osiride, Horus e Seth quando “le donne/ innamorate del Nilo si/ immaginavano nereidi/ immortali fino alla/ riva del regno Superiore.” (p. 44). Richiama anche Rousseau e Ligabue; così pure lo scultore Brȃncuşi. La Nostra, appassionata di astrologia, si bea nella visione cosmica delle costellazioni immaginando di vedersi tra Castore e Polluce; oppure attingendo alla classicità assume le sembianze della luna trasportata da Chirone, il mitico cavallo dal busto di uomo; o anche, attingendo a un famosissimo romanzo, dice “la mente scavalcando/ sogni tempestosi come/ le ‘Cime’ di Emily Brontë.” (p. 47). Così parlando di coscienza, per associazione o per paronomasia, la accosta a Zeno, sul calco di un titolo di Italo Svevo.

Isabella Michela Affinito, dalla molteplice sfaccettatura culturale, offre una visione di universalità in cui si rivolge a Giulietta, a Ofelia, ad Amleto. L’astro è anche la luna interiore di altri eroi leggendari della Grecia e così pure della Fenicia. “Io come la luna/ mostro i miei tanti/ profili fino a/ scomparire dietro/ un panneggio scuro” (p. 62); stabilisce la passione nell’alternanza tra Sole e Luna, Helio e Selene. Possiamo affermare che la poesia della Nostra è una elegia, è una esaltazione che la trasfonde, per esempio in Eleonora Duse, la divina attrice teatrale che visse a cavallo tra Ottocento e Novecento; oppure nella luna cantata da Leopardi e da altri poeti. E naturalmente nella luna di Chagall che fa sognare come fece sognare Domenico Modugno; la luna ammirata dal violinista sul tetto, rappresentato dal pittore bielorusso. La luna misteriosa, arcana, dai mille profili come si è detto, è rivestita con un abito che sa di “personaggio tra Romanticismo/ e il Barocco dalle linee/ serpeggianti e gigantismo interno” (p. 117) che, forse, allude all’immagine femminile raffigurata in copertina. Apprezzo il suo modo di congedarsi, e così fa pure il sottoscritto: “ci chiamano poeti/ ma siamo persone che/ vogliamo dare alle cose/ altri nomi. / (…) / diventiamo poeti in/ silenzio voltando le/ spalle persino a noi stessi.” (pp. -128-129).

Tito Cauchi

IMPERIA TOGNACCI

LA META È PARTIRE

Prefazione di Francesco D’Episcopo, Introduzione di Marina Caracciolo, in seconda bandella nota critica di Sandro Gros-Pietro – Genesi Editrice, 2022, pagg. 94, € 15.

Poemetto di undici capitoletti, con personaggi principali il Poeta e Psiche.

Potrebbe sembrare anacronistico, un’autentica contraddizione, in questo nostro tempo dominato dalla tecnologia e dalla velocità dei cambiamenti, rivolgersi al passato e continuare a trovare ispirazione nei miti, partire da essi per risalire alle nostre problematiche, farli rivivere coinvolgendoli nel vissuto nostro, nel nostro contesto. Invece è coerenza, giacché i miti sono alla base della nostra cultura. Non solo noi Italiani, ma tutta l’Europa è impastata di classicità; la cultura greco-romana, in noi e negli europei è il sangue che ci scorre nelle vene e ci tiene in vita; perfino il Cristianesimo ne è condizionato a tal punto da apparire, in certi suoi tratti, quasi una sovrapposizione del passato, con Dio al

posto di Giove e i Santi al posto degli Dei, ad ognuno dei quali assegniamo prerogative e compiti come i Greci e i Romani facevano con Minerva, con Apollo, Venere, Marte. Noi cristiani, per esempio, non invochiamo Santa Lucia per la vista, San Rocco per certi mali? Non riteniamo Santa Cecilia patrona della musica? Il nostro Paradiso assomiglia quasi all’antico Olimpo.

Nessun stupore, allora, se Imperia Tognacci faccia parlare e agire, oggi, personaggi come Calliope, seppure abbassata e impoverita per certi aspetti, resa vecchia e “mendicante,/col viso solcato da rughe”; Proserpina, che ritorna “al germogliar delle gemme ”; Psiche, “la vestale notturna” (p. 29); Orfeo; Cloto; Atropo; l’arcigno “Caronte/dai fiammeggianti occhi”, al quale, però, “l’ultimo libro di poesie”del Poeta protagonista fa distendere i lineamenti, lo commuove, riesce quasi a farlo sorridere, “schiarisce il suo viso”. Tutti, più o meno, vengono fatti partecipare al nostro presente di luci artificiali sfolgoranti più del sole, ma schiavizzato da una tecnologia sofisticata, da computer e da telefonini.

A un narrato del genere, non si confà l’elaborato breve, stiracchiato, traslucido, e la Tognacci, infatti, ricorre al poemetto, che le permette di dilatare le immagini entro la cornice di una Natura fascinosa, dalle “dita di acque e di fronde”, “l’estatico volo di farfalle”, la luna che si riposa “sul tenero cuscino di nuvole”. La poetessa, però, ci ricorda anche come noi, la Natura, la stiamo violentando e come, pertanto, essa vada perdendo, a poco a poco, il suo fascino ancestrale, verginale, con i drammi dei “viadotti crollati”, “il diamante di rugiada/che presto si fa opaco”, “il profumo della ginestra”che si confonde con la sterilità dell’ambiente stravolto.

In questo poemetto, insomma, passato e presente si mescolano e immagini quasi primordiali si legano al nostro quotidiano: alle vecchie e “le nuove trame”, per esempio; al perenne, inquietante “urlo di Munch”, che attraversa “la terra, le galassie e gli universi”; all’opera ancora da finire sul cavalletto; alla tovaglia istoriata del tavolo in cucina; a “L’aroma del caffè”; allo spartito “sulla tastiera del pianoforte”; alla “telematica rete” .

Domenico Defelice

GABRIELLA FRENNA

MYOSOTIS

Magis Edizioni, 2021, Pagg 84, 10,00 €

Il volume Myosotis di Gabriella Frenna nasce in occasione del 190º anniversario della pubblicazione de Il sabato del villaggio.

Il myosotis è un fiore, il cui nome deriva dal greco e vuol dire “orecchio di topo”, infatti le sue corolle assomigliano proprio alle orecchie di questo animale. In Italia è conosciuto con il termine Nontiscordardime.

Nella presentazione Luigi Ruggieri scrive: “Nel suo incessante poetare, Ella si è occupata di analizzare il rapporto dell'uomo con la Natura e quindi con Dio. E, giorno dopo giorno, come Leopardi, prendendo coscienza del fatto che, a volte, il destino sembra infausto e ingiusto, non ha mai ceduto mai allo sconforto accettando le perdite di affetti con le quali deve convivere facendo sì che possano diventare occasioni di luce.”

E' presente la biografia del grande poeta, il pensiero filosofico, l'evoluzione poetica, ventiquattro mosaici di Michele Frenna, padre di Gabriella e quarantasei poesie.

Anche nei versi di Gabriella il notturno è vissuto quale momento di riconoscimento della verità nella condizione umana: “Con mirabile canzone/ il poeta recanatese/ svela amabile visione/ d'atmosfera serotina/del suo borgo natale/ raccontando la vita,/ attese sul dì festivo”.

“Come Leopardi, la Frenna – continua Ruggieri - nutre la stessa convinzione che non ci possa essere vita senza poesia. La poesia è l'erede della festa arcaica, cioè del momento in cui l'uomo respira al di sopra dell'oppressione del dolore della vita”.

La poesia e l'arte musiva rappresenta la costruzione di un percorso di pace e l'arte in generale riesce a far comunicare culture diverse grazie al rispetto e all'amore risvegliando una coscienza civile, sociale e culturale.

Chiude il volume la recensione di Giuseppe Pietroni che definisce lo studio di Ruggieri prolifico e stimolante, insieme a quello poetico di Gabriella e musivo di Michele: “ciò che scrivono ha senso e fa capire come i poeti e gli artisti siano votati al bene e cerchino i messaggi più importanti”.

Manuela Mazzola

ROBERTO MAGGI

SUITES DI FINE ANNO

Florestano edizioni, 2019, Pagg 131, € 10,00

È la ricerca personale di un senso che sfugge, la ricerca del motivo per il quale alcune cose accadono proprio in determinati momenti, come nell'ultimo giorno dell'anno, giorno carico di aspettative, che dovrebbe essere spensierato e leggero, eppure costringe il protagonista a un difficile confronto con se stesso.

“È un viaggio nell'interiorità, - scrive Sabino Caronia nell'introduzione - nei fantasmi della mente, quello a cui si assiste qui: un costante confronto con le fragilità del proprio essere, assiduamente manifestato da soliloqui dissonanti e nobilitato da preziosi slanci poetici”.

Suites di fine anno di Roberto Maggi è composto da: Preludio: Toccata, Primo movimento: Allemanda (Andante), Secondo movimento: Capriccio (Allegro), Terzo movimento: Sarabanda (Scherzo), Quarto movimento: Finale.

Esiste un forte legame tra i racconti e le forme musicali che danno il titolo all'opera e ai singoli episodi, non a caso definiti movimenti. Suites di fine anno, infatti, è un insieme di brani musicalnarrativi correlati e pensati per essere “suonati” in sequenza: l'opera scritta da Maggi diventa così metafora dello strumento solista che racconta le quattro storie una dopo l'altra seguendo un movimento crescente come in musica: andante, allegro, scherzo e finale. Dunque, da un movimento intermedio si arriva a un climax che si conclude abbandonando la punteggiatura classica. La velocità della narrazione aumenta, così come la libertà espressiva. Un continuo colloquio con se stesso attraverso eventi che possono accadere a qualsiasi persona, ma anche pensieri e stati d'animo che spesso si vivono nell'ultimo giorno dell'anno e che qui vengono spesso svelati con un dirompente flusso di coscienza: “Le fantasticherie ci fregano, le aspettative ci ingannano, però ti dò ragione. certi giorni fanno più male di altri, ti cadono addosso come tegole spaccate. Eccome. Scrosci di lacrime e grandine”.

Roberto Maggi, laureato in scienze biologiche, inizia a comporre poesie durante l'adolescenza. Nel 2014 pubblica la sua prima silloge Schegge liquide (Aletti Editore); nel 2015 pubblica il racconto breve Irish blues nell'antologia 1000 parole (2015, Ed. Montecovello).

Manuela Mazzola

TITO CAUCHI

ANTONIO ANGELONE Pastorello sognatore nel riscatto sociale

Editrice Totem, 2022, Pagg. 133, € 20,00

Antonio Angelone – pastorello sognatore nel riscatto sociale di Tito Cauchi analizza dodici opere, due saggi critici di Leonardo Selvaggi e Mario Landolfi e una presentazione dello scrittore avvenuta nel Chiostro del Comune di Forlì del Sannio il 2 agosto 2013.

L'autore era pittore, poeta in lingua e in dialetto, commediografo dialettale, studioso storiografo e narratore ed è stato candidato al Premio Nobel di Svezia per la letteratura nel 2018 e 2019.

“Senz'altro Angelone - scrive nella prefazione Cauchi - si sarà nutrito di tutti gli autori letti anche per via della sua formazione professionale e degli ambienti vissuti. Sono i semi che hanno dato i loro frutti. Perciò tutte le opere sono costruite secondo un substrato di base comune e di un registro lessicale che si conforma alle circostanze;[...] in esse si avverte un anelito di libertà e di giustizia. Antonio Angelone si erge a difesa della società disumanizzata, diventata insensibile a questi richiami. La sua biografia è un romanzo che ha meritato l'attenzione di molti estimatori ai quali si è aggiunto lo scrivente”.

Mentre Isabella Michela Affinito nella seconda prefazione afferma: “Essendo stato Egli una stupenda persona lineare, a modo, laboriosa e riservata, Antonio Angelone non poteva non meritarsi un'esistenza altrettanto bilanciata, seppure faticosissima maggiormente nei primi decenni di vita nascendo, appunto, in una famiglia dal ceto più basso del suo paese e nel periodo in cui stava per divampare il fuoco della Seconda guerra mondiale”. Purtroppo il poeta muore prima che Cauchi finisca il lavoro e secondo il saggista l'artista si è portato per tutta la vita un rammarico pesante e una tristezza struggente.

Ha vissuto un'esistenza difficile che, però, è riuscito a vivere pienamente grazie all'amore per sua moglie e a tutti i sogni che ha potuto realizzare. Si è dedicato, inoltre, con tutto se stesso alla scuola e alla cultura.

L'opera del prof. Cauchi va, come avevo già dichiarato, evidenziata poiché interessarsi di questi autori è un lavoro che richiede energie, fondi, tanta passione e amore verso la letteratura, ma direi anche verso il genere umano.

Lo stile è sempre preciso, chiaro e si riconosce la delicatezza d'animo quando si sofferma nei suoi ragionamenti: “Quello che poeti e scrittori scrivono, credo che non debba ritenersi solo evasione, o solo

sfogo, ma può e deve ritenersi funzionale, tanto al dilettevole, quanto all'arricchimento interiore. Noi contemporanei, inquinati nei sentimenti, siamo portati a contrapporre i due stati d'animo, senza volerci sforzare di trovare un equilibrio, che invece il Poeta è riuscito a fare”.

Manuela Mazzola

50 ANNI DI VITA E DI SUCCESSI. POMEZIA-NOTIZIE DAL PROSSIMO GENNAIO RIPRENDE IL CARTACEO. RINNOVATE L’ABBONA-

MENTO! Pag. 46 DOMENICO DEFELICE

LE PAROLE A COMPRENDERE

(Genesi Editrice, Torino, 2019, € 14,50)

Poeta di molteplice vena Defelice sa toccare sia la nota lirica che quella satirica, con risultati di tutto rilievo, come dimostra ampiamente tutta la sua vasta produzione. E non va nemmeno dimenticato che da lunghi anni ha portato avanti una Rivista letteraria, “Pomezia Notizie”, di vasto seguito. Degne di nota sono specialmente di lui le poesie raccolte in un recente libro (Le parole a comprendere, Genesi, Torino), ricche di calda umanità, che ripercorrono le vicende di una vita spesa fruttuosamente nel culto delle Lettere e delle proprie origini; una vita sempre dedita ad un proficuo operare, come appare nelle poesie contenute nella prima parte del volume. Nella seconda parte invece troviamo poesie di sdegno e d’ira, talora percorse da un moto di feroce satira, generato dal comportamento di tanti che dapprima appaiono onesti e poi si rivelano corrotti e sfruttatori del prossimo, come quelle delle tre sezioni successive.

Tutto ciò emerge subito da testi quali Dormi serena, che Defelice dedica alla madre e che ha questo immediato incipit: «Alto, sul noce dell’orto, / s’era schiuso un nido di fringuelli. / L’annunciava il pigolio degli implumi, / della madre il frenetico svolìo» o L’allegrezza di mio padre: «Da lontano, neppure in sogno / potevo accarezzarti, verde terra / dono dell’amore di mio padre».

L’amore della casa e della famiglia è pertanto ciò che subito emerge da queste poesie; di una famiglia certo non agiata, ma molto unita, legata da forti sentimenti di affetto e di solidarietà, alla quale sempre torna il pensiero del poeta, come avviene in Ricordi d’infanzia: «A cena, pane e cicoria / cotti in acqua di fiume / per le nostre bocche avide. // Ognuno con la sua ciotola grigia / seduti in cerchio sotto il fico moro». Ma il forte sentire di Defelice investe anche le altrui vite, come accade nel caso della morte della piccola Elena Petrizzi, dimenticata dal padre in macchina al sole o quella dell’amico Giorgio Iannitto, grande amante della natura.

Ci sono poi le poesie-preghiera, come quella rivolta alla Vergine, Oggi che avrei bisogno di certezze, o quella rivolta a Dio, Dal panico mi salvi la Tua voce; e ci sono le poesie che celebrano fausti eventi familiari, come quella dedicata al figlio Luca e alla nuora Annachiara nel giorno del loro matrimonio (Oggi, nella mia casa è festa grande). Ci sono inoltre le poesie nelle quali più fortemente si manifesta l’amore di Defelice per la natura, quali Veliero fiorito, che così inizia: «Veliero fiorito il

mio balcone. / Chiudo gli occhi e mi stendo / sopra una fetta di sole / nel viola delle pervinche» o Aria tutta sorriso, che ha questo incipit: «Lungo il sentiero di trifoglio e gramigna / ho raddrizzato una lumaca rovesciata» e così termina: «Sole improvvisamente dolce, / aria tutta sorriso / e tra le canne di bambù / salmodiante l’usignolo in preghiera».

Si legga anche a tale proposito Padre da padre a padre, nella quale la vista della propria immagine allo specchio offre al poeta l’occasione per una profonda meditazione sul succedersi delle generazioni e sul rapporto tra padre e figlio, che bene esprimono i seguenti versi: «Senti come ribisbigliano il noce e l’olmo, / come confabula il pioppo. / Forse, fra noi, riprenderà l’intesa».

Né mancano in questo libro dai vari contenuti i ricordi di guerra, come quello che emerge da Ridevo allo spettacolo, dove leggiamo: «Arrivarono da dietro la collina / gli aerei come falchi / in picchiata sull’allodola. // E fu l’Apocalisse».

Una poesia di stampo sociale è invece, Solo la primavera le consola, dove compaiono le strade lasciate nell’incuria e nell’abbandono, per le quali il poeta dice: «Solo la primavera le consola / con qualche fiore effimero / che sempre indossa splendidi velluti / e leggera la brezza le percorre / come una carezza».

Tutto ciò è compreso nella prima parte del libro, intitolata Le parole a comprendere, dove si trova la poesia eponima, dove si legge: «Singolarmente o in prosa / sempre inadeguate sono / le parole a comprendere / il senso della vita e delle cose».

Come si può facilmente constatare dalle citazioni precedentemente riportate, nella prima sezione di questo libro predomina la poesia di carattere intimistico-meditativo, nella quale la voce del poeta si fa sovente più lieve e commossa si fa la sua parola. Completamente differente è invece il tono del verso delle tre parti successive, nelle quali, abbandonato l’andamento lirico e a volte nostalgico, si passa a quello mordace e sferzante, dove predominano l’ironia e lo sberleffo.

Nelle poesie di Defelice infatti, come dice lo stesso autore, compaiono addirittura «quintali di sarcasmo e d’ironia». Ed è ciò che troviamo nella seconda sezione del libro, Ridere (per non piangere), che rappresenta, come dice Emerico Giachery nella sua illuminante postfazione, «il rovescio della medaglia, sia nei temi d’attualità sia nel linguaggio, che è lontano come più non si potrebbe da quello della prima parte», essenzialmente effusiva». Giachery poi così prosegue: «Facit indignatio versum, diceva Giovenale, e la sua affermazione si attaglia a queste pagine in cui il poeta affronta polemicamente e con viva partecipazione, nel corso degli anni, temi di politica quotidiana».

Proseguendo il nostro discorso vorrei citare, a tale proposito, qualche verso dalla seconda parte del libro, a titolo di esemplificazione: «Il Ministro della Pubblica Istruzione / ci ha dato una lezione / in merito al «Quizzone». / La prova – disse – / “strutturata nazionale” / dev’esser maniacale, / possibilmente demente …».

Nelle altre parti della raccolta: Epigrammi e Recensioni prosegue la poesia satirica, come ad esempio avviene con A un borioso, che suona: «Tutta la tua sostanza è una targhetta / appiccicata sopra il tuo portone; / una carta intestata; un’etichetta / che un giorno finiranno in un bidone».

Per ciò che concerne le Recensioni (quarta parte) si veda invece Ti leggo e ti rileggo, dedicata ad un uomo di Lettere, che termina con questi versi: «Ti leggo e ti rileggo / nella perplessità più vuota / ed or ne scrivo. / L’aria mi si assottiglia / e si dirada. / Sento insistente un maglio / che prende a pugni e schiaffi il congiuntivo».

Questo recentemente apparso di Domenico Defelice è indubbiamente un libro dai molteplici spunti e dalla varia ispirazione, ma sempre improntato da un linguaggio netto e da un verseggiare sicuro e franco che costituiscono da sempre le caratteristiche proprie del nostro autore.

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