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Rachele Zaza Padula: Come Pierrot, di Liliana Porro Andriuoli, pag

RACHELE ZAZA PADULA: COME PIERROT

di Liliana Porro Andriuoli

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COME Pierrot è il titolo del nuovo libro di poesie di Rachele Zaza Padula; un titolo con il quale, traendo lo spunto dalla prima di queste liriche, dove si legge: «Sarò come Pierrot / che piange e ride», l’autrice pare voler significare la duplicità della disposizione d’animo che traspare da questi testi, nei quali serenità e tristezza compiutamente si fondono.

È, questo che la Padula ci dona, un diario in versi, nel quale ella annota i pensieri e gli eventi che le nascono dalla sua quotidiana esperienza di vita, traducendoli in poesia. Così accade per una visita medica (Dal medico), che le offre l’occasione per scherzare sul ritmo talvolta un po’ pazzo del proprio cuore; così è del ritorno del «nipote amato» da Torino; un ritorno che la riempie di gioia e l’induce a sorridere a causa del suo precario equilibrio fisico (Swing); così è di un grave lutto che l’ha colpita, qual è quello della morte della sorella Rosalba, che rivede «bambina nella casa del padre» e della quale ella si prendeva cura, magari riparandole una bambola rotta (3 maggio 2017).

Ma anche l’osservazione attenta della natura fornisce l’ispirazione a queste poesie, come accade per Il grillo smeraldo, dove «Un grillo smeraldo / sotto il cappuccio rugoso / di un fungo marrone / si ripara dalla pioggia / che cade insistente», mentre «Il sole s’apre un esile varco / tra due nubi gugliate».

Né manca in questi versi la meditazione di tipo scientifico, come avviene in L’universo, che così inizia: «Miliardi di anni ci dividono / dalla nascita dell’universo / che continua a dilatarsi»; e dove lo stupore nascente dall’immensità del Creato porta la nostra poetessa a riflettere sul mistero in cui siamo immersi.

Si può scoprire in questi testi anche un richiamo mitologico (Le Nereidi) nonché la notazione paesistica (Castelmezzano). Ciò che più conta è però il rapporto umano, che emerge da poesie quali Un alunno di Lagopesole, da cui s’affaccia la figura di questo ragazzo che «non si univa ai giochi / dei compagni», ma che in un mattino di marzo va incontro alla sua professoressa per offrirle «un mazzetto di giunchiglie. Si legga anche A Maria Teresa, dalla quale affiora l’immagine di questa donna che «con l’ironia del suo sorriso / spesso ha consolato la sua tristezza».

Quanto alla forma, le poesie qui raccolte assumono quella del verso libero, non senza tuttavia qualche fioritura di versi classici emergenti dal contesto, quali «Non c’è passione che consoli il cuore» (Atarassia); «Non potrò più inseguire le parole» (La fine); «Una vampa di sole che risplende» (Noè); «Il cielo si colora di pervinca» (Chissà dove).

Sempre è comunque ben scandito il verso, dal ritmo suadente e armonioso; sempre ben pausato e felicemente compiuto, come avviene nella chiusa di Il mago pietoso: «Ahimè! Non per tutti / tornerà l’equinozio

di primavera, / che la notte fa pari al giorno / e le rondini hanno sulle ali / la sabbia d’oro di paesi lontani». E come avviene anche in Trasmigrazione: «Perché non finirla qui. / Trasmigrare / prima che le ombre nere / tolgano lo splendore al giorno».

Feste paesane, come quella in onore di San Gerardo (29 maggio) emergono pure da questo libro, così come emergono «i Cavalieri della Tavola Rotonda», «avvolti nei loro mantelli rosso carminio» (Re Artù) e i trionfi della primavera che «ogni anno ci riporta / i mandorli in fiore», così come emergono «i barattoli di caramelle / [situati] nella drogheria della signorina Satriani».

Assidua è pure in questo libro la meditazione sul dolore e sulla morte, che un po’ dovunque si riaffaccia, ma che più frequente si fa verso la sua fine, nei testi di Fragmenta. Il tutto è poi permeato dal sentimento profondo della solitudine che per la nostra poetessa domina i giorni e lo scorrere lento del tempo. Così è di Illusione: «Sono sola nella mia casa / e mi fingo voci amate» e così è di Fedeltà: «La solitudine è una compagna / fedele dall’alba al tramonto» o di Dove sei? «Giulio, oggi il vento / m’ha portato le tue parole. / Ma tu dove sei?» ecc.

Per quanto riguarda poi l’avanzare dell’età e l’approssimarsi della morte, si legga Il girasole: «La malevole vecchiaia / mi è rotolata addosso» e Il tarlo: «Non c’è ruga del mio viso / che io non conosca».

Un libro vario, dunque, questo Come Pierrot di Rachele Zaza Padula, nato dal vario succedersi dei giorni e permeato da quella profonda saggezza del vivere che nobilita il verso e rende più profondi i pensieri.

Liliana Porro Andriuoli

RACHELE ZAZA PADULA: COME PIERROT, (Osanna Editore, Venosa, 2022)

CON GENNAIO 2023

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Pag. 46

CONCLUSIONE

In una notte tersa di novembre lento percorrerò le ultime scale col cuore freddo, vuoto più che mai e con la corda in mano. Poi aprirò il balcone, e legherò ben saldo un capo della corda alla ringhiera: e muto scruterò il frusciare della notte con l’altro estremo in pugno. Davanti intorno e sotto vedrò il buio, sereno e nero il cielo riempirà i miei occhi. Poi nella luce nera del silenzio saluterò il giardino solitario, i noccioli, il ciliegio, la pergola d’edera dove i ghiri camminano veloci, che farà ombra al mio corpo l’indomani. Mi volterò poi un attimo soltanto e vedrò la luce delle scale come sempre, e giù nella stanza che ho lasciato spierò Alex che legge Topolino; mi passerà un sorriso sulle labbra. Poi senza fare rumore annoderò un cappio come per un amo e me lo passerò intorno al collo; mi siederò un istante sulla balaustrata, chiuderò gli occhi e respirando fondo ascolterò lo sciacquio del torrente e la brezza che scivola sulla Valpolicella; ed i sussurri dolci della sera nasconderanno il tonfo del mio corpo.

Rudy De Cadaval

Da: Rudy De Cadaval una vita per la poesia, di Domenico Defelice, Istituto Editoriale Moderno, 2005.

IL DONO DELL’AMICIZIA AUTENTICA

di Salvatore D’Ambrosio

ECCO cari amici lettori di Pomezia Notizie, questa volta voglio, devo parlare di un uomo che mi è stato amico da subito senza pensarci, senza tentennamenti: Domenico Defelice, il direttore e il geniale inventore della nostra amatissima rivista.

Un giorno un grande amico appena scomparso -Brandisio Andolfi - mi passò il numero di una rivista che non conoscevo, invitandomi a mandargli dei miei scritti.

E aggiunse che potevo farlo tranquillamente, poiché il direttore era persona interessata essenzialmente a fare una rivista aperta a tutti, non disdegnando ovviamente la qualità.

Io lo feci da subito e da subito fui accolto nella grande casa che Domenico Defelice aveva tirato su per accogliere tutti quelli che avevano piacere di entrarci.

La sua casa letteraria la fonda nel 1973: anni complessi, difficili politicamente, ma vivi, innovativi, ricchi di nuove esperienze artistiche e letterarie.

Casa che era il suo punto di approdo, ma anche quello d’inizio. La rivista gli dava la possibilità di scrivere, di esprimere i suoi convincimenti senza sottomissioni, con grande trasparenza e libertà.

Scrive nel luglio del 2013, per i primi 40 anni della rivista: «una testata mai appiattita su un solo tema …, coraggiosa, senza peli, che i potenti non li ha certo lisciati, anzi!»

Si comprende che siamo di fronte a un uomo libero, che non cerca compromessi, ma amicizie le quali lo devono arricchire e nel contempo far crescere, anche in riferimento alla sua creatura letteraria. E così avviene.

Cerca, negli anni della giovinezza, quasi disperatamente di conoscere Francesco Pedrina, suo mito; ci riesce e dal grande maestro trae grandi insegnamenti per sé e la sua rivista.

Ma non sarà il solo dal quale apprenderà. Ne cito solo qualcuno come Maria Grazia Lenisa, Solange De Bressieux, Giorgio Barberi Squarotti, Peter Russell. Preziosissimi collaboratori e consiglieri che hanno portato prestigio e nome alla testata da lui diretta. Gli altri, tantissimi e non meno importanti, per

chi volesse approfondire, sono citati con precisione e dovizia di particolari in alcuni saggi scritti in questi ultimi tempi su di lui. Come quello di Tito Cauchi, di Aurora De Luca, di Claudia Trimarchi. Queste ultime due ne hanno fatto, del suo impegno letterario, studio approfondito fino a farne materia di tesi di laurea.

Ma io non voglio fare in questo spazio che mi viene concesso ogni mese, ciò che altri hanno già fatto molto bene e con grande professionalità.

Voglio parlare dell’uomo Defelice, che lascia consapevolmente la sua amata Calabria: aspra, a tratti inospitale, difficile per un uomo che è attratto fortemente dalla voglia di dire, di fare, di mettere alle sue azioni future, poi lo si comprenderà nel tempo, l’etichetta di una terra che lo ha generato.

Per potere realizzare i suoi desideri non fa altro che assecondare la sua natura di uomo del sud: caloroso, intelligente, per nulla perditempo, come spesso ancora oggi una certa mentalità nordista etichetta il sud e i suoi figli.

Parte coraggiosamente alla volta della Capitale d’Italia con un programma già ben definito in mente, che con pazienza e dedizione concretizza, perché è in questo modo che sente di realizzare se stesso. La sua natura generosa, curiosa, non ne fa un uomo limitato nel genere. Infatti la sua penna non si limita a scrivere versi, saggi, articoli per la testata Pomezia che inizialmente è un giornale di cronaca locale, come si usa dire di certa stampa. La sua penna traccia anche profili, linee, alberi, cose, volti. L’arte che è in lui irrompe e si deve manifestare. Conosciamo tutti i sui lavori a penna che impreziosiscono ogni numero della rivista. Si nota subito in questi lavori il legame alle sue origini. Perché i temi principali sono la natura: disegna spesso infatti alberi, e in modo particolare le radici. Che dell’albero è la parte forte, legata, immersa nella terra alla quale si vincola, in modo che ciò che cresce sopra alla generosa natura sia in perfetta interdipendenza con quello che c’è sotto.

Ma spesso appaiono tra tronchi e rami presenze femminili, le quali come gli alberi sono le artefici della sconfitta della morte, essendo continue creatrici di vita. Ecco il suo ben vedere sulla preziosità del genere umano femminile. Ecco quello che mi è sempre piaciuto in lui: l’uomo che non fa misteri di sentimenti e affetti. Ma anche l’uomo dalla forte e sottile vena sarcastica, quando è rivolta soprattutto alla classe dirigente di questo nostro stupendo paese, che spessissimo deve accontentarsi di mediocri intrallazzatori di parole, dette ogni giorno e per di più anche in modo sconnesso e sconclusionato.

Però anche di fronte alla certezza che sta denunciando grandi verità, non perde di vista la cristallinità del suo animo scrivendo: Bassa ombra e sole alto/Prima che mi aggredisca/decapito l’orgoglio appena nato.

All’apparenza pochi semplici versi della poesia Aforisma, presente nella raccolta ”Le parole a comprendere”, che ci parlano della

sua umiltà, della consapevolezza di sé, della sua natura umana che non è infallibile, ma che cerca di perseguire la ricerca di quel soffio divino che esiste in ognuno di noi, rifiutando la vanità nella ricerca della verità.

Il desiderio di Dio che è bellezza e che non desidera altro che fondersi con essa, lo pongono su un piano di ricerca di «armoniosi presagi che ci incantano e ci fanno sognare», come nota sapientemente Sandro Gros-Pietro nella prefazione a Le parole a comprendere.

Un’altra cosa presente in Defelice, è la natura generosa, che come ogni figlio del sud possiede. Se avesse difettato in questo, non mi avrebbe subito accettato con i miei scritti.

E la stessa cosa probabilmente sarebbe accaduta anche agli altri poeti, scrittori e artisti ospitati nel mensile Pomezia Notizie.

Le alte vette da lui raggiunte sono frutto di grandi sacrifici di uomo che si è fatto da solo. Di uomo che sa cosa vuole dire avere fame, ma che non molla mai. Anzi quella sua precondizione lo rendono uomo di grande impegno civile. Per questo mi piace la sua voce che si alza forte contro le sopraffazioni.

Adesso che la sua creatura è diventata grande la lascia andare da sola, mentre lui finalmente a riposo su di una comoda poltrona la guarda procedere con le sue gambe. Di ciò ne è orgoglioso e felice, ma come tutti i padri, anche se anziani, si riserva la prerogativa di consigliare, di indicare quale è la strada da seguire. Che poi non può che essere sempre la stessa. Non si può deragliare da ciò che si è imparato lavorando con lui. Il percorso “i figli”, anche se in autonomia e con le proprie gambe, devono continuarlo seguendo la traccia che il padre ha segnato. Per questo quando mi ha detto: io lascio perché l’età mi rende adesso tutto più faticoso, mi si è raccomandato affinché non facessi mancare ancora il mio supporto alla sua creatura. In quel momento mi sono sentito solo, perso come in una grande piazza nella quale all’improvviso ti vengono a mancare riferimenti.

Poi invece ho compreso che è così che il buon padre agisce, affinché ai posteri si lasci qualcosa che faccia capire il valore e l’importanza di un percorso di vita.

Non perde anche in questa occasione il contatto con la realtà che è certamente mutata, ma fa appello a chi rimane raccomandandolo di non dimenticare che il suo è stato un servizio di interprete delle cose del mondo, e che per questo chi continua il suo percorso deve essere una penna a disposizione di tutti.

Domenico fin da bambino sa che per portare avanti le cose del mondo deve sporcarsi le mani, sudare, alzarsi all’alba, abituarsi all’odore e alla cura degli animali che hanno bisogno dell’uomo come egli di loro.

Un vissuto che lascia maturare in lui un’etica sociale, una intolleranza verso chi emargina, chi umilia, chi si pone con indifferenza verso i propri fratelli, fino alla derisione.

E raccomanda, per questo suo vissuto, di seguire purezza di linguaggio, onestà, sincerità, coraggio, amore essenzialmente, e umiltà senza la quale anche il più bello degli hortus non darà nessun frutto: seccherà.

La promessa che gli ho fatto, avendo il demone della scrittura in me fin da tenerissima età: ricordo che già a 10- 11 anni scrivevo raccontini che passavo sotto banco ai miei compagni per farglieli leggere, è che fino a quando Iddio me lo consentirà scriverò e soprattutto lo farò anche per Pomezia Notizie.

Perché un padre non abbandona mai suo figlio, e io come gli altri, ne sono sicuro, sentiamo di essere tutti padri della rivista: perché questo è stato il suo insegnamento, la sua volontà.

Spesso mi ha ripetuto che senza le firme dei suoi amici collaboratori, la rivista non avrebbe avuto il riscontro certificato e premiato che nel tempo gli è stato riconosciuto.

L’alto profilo che ha sempre ricercato nella realizzazione delle sue idee, non sono rimaste mai assolutamente sue avendole condivise e cercate in tutti coloro che sono stati a lui vicino: cominciando dalla sua bella famiglia.

L’età avanza e con essa qualche acciacco, ma come tu ci hai insegnato, caro Domenico, l’orto del poeta è pieno di spini e di tratti di terra che hanno sempre bisogno di essere dissodati.

La cosa importante, quando non ce la faremo più, è però quella di sapere in quali mani dobbiamo lasciare la zappa, per essere certi che ci sarà la continuità necessaria per fare sempre un ottimo lavoro.

Un grazie di cuore ti faccio: sincero non di facciata, sentito, come piace a te. Ma quello che ti dico, stanne certo, è che non sarà mai abbastanza.

Salvatore D’Ambrosio

CON PAZIENZA ASPETTANDO

Mia madre mi diceva di sorridere sempre e di essere paziente nella vita. E poi …, che anche se la strada scelta è quella giusta, si può sapere quello che si lascia dietro mai quello che si troverà davanti. Potresti incontrare, aggiungeva, un bel prato verde con i gambi d’erba che ti avvolgono, mentre lei ti fa impazzire col suo profumo intanto che disteso guardi il cielo e conti solo le piccole rare nuvole bianche. Ti serve però la pazienza per i suoi cambi improvvisi, e il sorriso alle cose della vita, aspettando sempre che qualche volta sorrida anche lei a te.

Salvatore D’Ambrosio

Caserta

SONO ENTRATO

Sono entrato nel tuo silenzio ed ho ascoltato i pensieri che ti agitavano. Era azzurra la loro voce. Correvano verso la foce del tempo, ma non avevano impazienza né attese. Tutte avevano apprese le sofferte fatiche dei giorni che fuggono senza ritorni, ciascuno con la sua croce.

Elio Andriuoli

Napoli

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