Padalo dunque sono

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che utilizzarla, o, peggio, sfiancarla. Il salvare la terra non la padroneggia e non l'assoggetta; da questi atteggiamenti, manca solo un passo perché si instauri uno sfruttamento senza limiti.”23 Questa attenzione, che è cura, non vuol dire solo non sfiancare la Terra (che è il significato più immediato, e su cui attualmente più si riflette, dello sfruttamento delle risorse24), ma anche risiedere vivendo ed esprimendo la propria essenza umana: rapportarsi in con-vivenza. E' qui che si innesta il discorso antropologico.25 In questo senso la crisi dell'abitare è legata alla nostra necessità di “imparare ad abitare”26. Portare l'abitare nella pienezza della sua essenza dev'essere uno dei compiti dei mortali: “essi compiono ciò quando costruiscono a partire dall'abitare e pensano per l'abitare” 27. Il pensare stesso rientra nell'abitare. “Quello che io propongo, perciò, è molto semplice: niente di più che pensare a ciò che facciamo.”28 Il punto di partenza della riflessione di Hannah Arendt – la condizione umana – è diverso da quello heideggeriano, tuttavia ci sono dei risvolti del suo pensiero che molto si avvicinano a questo problema dell'abitare. Per comprenderli conviene partire dal principio: la definizione delle attività umane a cui corrispondono le “condizioni di base in cui la vita sulla terra è stata data all'uomo”29, e cioè l'attività lavorativa, l'operare e l'agire. La prima è legata alle necessità della vita biologica, 23 24 25 26 27 28 29

Martin Heidegger, op. cit., p. 100. Vedi cap. 8 di questa tesi, “La questione ecologica”. Vedi cap. 3 e ss. Vedi cit. inizio cap., Martin Heidegger, op. cit., p. 108. Ibidem. Hannah Arendt, op. cit., p. 5. Ivi, p. 7.

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