Bergamo Salute - 2021 - 58 - gennaio/febbraio

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numero

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Anno 10 Gennaio | Febbraio 2021

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1 0 AN NI

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Vaccinazioni Covid FACCIAMO IL PUNTO

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Frutta disidratata UN CONCENTRATO DI BENESSERE

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Coppia BUONI PROPOSITI: IN DUE È MEGLIO

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Training autogeno L’ARMA “DOLCE” CONTRO LO STRESS... E NON SOLO

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Luigi Oldani

La mia vita per l’arte. Tra Papi e Presidenti

Gennaio/Febbraio 2021 | Bergamo Salute | 1


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numero

58

) EDITORIALE 7 L’informazione ai tempi della pandemia ) ATTUALITÀ 8 Vaccinazioni Covid: facciamo il punto ) SPECIALITÀ A-Z 10 Covid-19 Perdita di gusto e olfatto. Uno dei primi campanelli d’allarme nell’infezione 12 Endocrinologia La triade dell’atleta femmina: cos’è e come riconoscerla 16 Ortopedia Quando la mano soffre per colpa del gomito. La compressione del nervo ulnare ) PERSONAGGIO 16 Luigi Oldani La mia vita per l’arte. Tra Papi e Presidenti ) IN SALUTE 20 Stili di vita Italiani ed emergenza Coronavirus. Vince la solidarietà 22 Alimentazione Benessere a tavola 24 Frutta disidratata: un concentrato di benessere

Anno 10 Gennaio | Febbraio 2021

) IN ARMONIA 26 Psicologia Gruppi di Auto Mutuo Aiuto. Quando l’unione fa (davvero) la forza 28 Coppia Buoni propositi: in due è meglio ) IN FAMIGLIA 30 Dolce attesa Gravidanza a rischio: come riconoscerla e cosa fare 32 Bambini Scarlattina. Perché non va sottovalutata 34 Ragazzi La consulenza psicologica in adolescenza 36 Anziani Perdita di memoria, quando preoccuparsi ) IN FORMA 40 Fitness Fitness a casa 42 Bellezza Filler dinamici ) RICETTA 50 Crespelle senza grano con patè di broccoli ) RUBRICHE 52 Altre terapie Training autogeno: l’arma “dolce” contro lo stress… E non solo 54 Guida esami Tomografia Computerizzata Cone Beam 56 Animali Sport a 6 zampe

) DAL TERRITORIO 58 News 60 Onlus Associazione Disabili Bergamaschi 63 Malattie rare Sindrome di Summit 64 Testimonianza E poi arriva Menny, ma io non mi arrendo! 66 Ho battuto la meningite con la canoa e un romanzo ) STRUTTURE 68 Cooperativa In cammino 70 Istituto Medico Polispecialistico Sant’Alessandro ) PROFESSIONI SANITARIE 72 Il Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica ) REALTÀ SALUTE 75 Clinica Dentale Pianeta Sorriso 77 Studio Magno 79 Ortopedia Medicalfarma 81 Farmacia San Nicolò

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Gennaio/Febbraio 2021 | Bergamo Salute | 3


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EDITORIALE

L’informazione ai tempi della pandemia “Il nuovo coronavirus è già mutato quindi il vaccino autorizzato non serve a niente”. “Assumere tanta vitamina C previene il contagio da nuovo coronavirus”. “Se si è stati a contatto con soggetti positivi al virus si possono prendere dei medicinali che prevengono l’infezione”. Sono solo alcune delle fake news, in italiano bufale, circolate in questo ultimo anno di emergenza sanitaria. Notizie volutamente false, ingannevoli, create per disinformare e diventare virali attraverso internet (social media soprattutto). Un fenomeno pericoloso da non sottovalutare - soprattutto quando le fake news riguardano temi di salute pubblica come nel caso della pandemia da Covid 19 - per arginare il quale sono scesi in campo le istituzioni e anche gli stessi colossi del web. Google, ad esempio, ha dato vita a un fondo da 3 milioni di euro per contrastare

la disinformazione sui vaccini, mentre la Commissione europea ha chiesto a Google, Facebook, Twitter e Microsoft di pubblicare resoconti mensili sugli sforzi per contrastare le fake news, in particolare sul Covid 19. Anche senza arrivare alle fake news, quello che negli ultimi mesi è risultato evidente è una costante e sempre più agguerrita caccia al click che ha portato a usare toni allarmisti, esasperati, catastrofici (non da parte di tutti ovviamente, la stampa bergamasca, ad esempio, ha dato prova di grande responsabilità anche sotto questo punto di vista). Toni che certo in diverse fasi di questa pandemia sono stati più che giustificati, ma in altre forse no. Il risultato è, in molti casi, una radicalizzazione dell’informazione, tra chi vede sempre tutto nero e chi al contrario minimizza, all’interno della quale il comune cittadino si è

trovato in diversi casi disorientato e smarrito. “Ma a chi devo credere?”, “Chi ha ragione?”. Certo non è compito nostro rispondere a queste domande e stabilire chi ha ragione e chi no, anche perché come dicevano gli antichi “in medio stat virtus” (“la virtù sta nel mezzo”). Quello che invece è certo - e i nostri lettori fedeli lo sanno - è che fin dall’inizio Bergamo Salute ha sempre cercato di offrire informazioni scientifiche affidabili, con un taglio non “sensazionalista” ma “equilibrato” nel quale ciascuno si potesse ritrovare. Un impegno che abbiamo mantenuto anche e soprattutto in questo anno così difficile, nella speranza di poter stare vicini - anche a distanza - ai nostri lettori.

Adriano Merigo Gennaio/Febbraio 2021 | Bergamo Salute | 7


ATTUALITÀ

Vaccinazioni Covid Facciamo il punto ∞  A CURA DI ATS BERGAMO

Il 21 dicembre 2020 l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha approvato Comirnaty, il primo vaccino “anti-Covid” autorizzato in Europa, sviluppato dalla Pfizer/Biontech. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha seguito a stretto giro, approvando già il giorno dopo la distribuzione su tutto il territorio nazionale e prevedendo allo stesso tempo la somministrazione gratuita a tutti i cittadini in Italia, su base volontaria. «La disponibilità di questi vaccini, meno di un anno dopo dalla scoperta del virus, rappresenta un grande successo, frutto di uno sforzo mai visto prima da parte della comunità scientifica

e delle istituzioni» osserva il dottor Arrigo Paciello, Direttore del Servizio Farmaceutico Territoriale di ATS Bergamo. «Perché questa corsa contro il tempo potesse al contempo garantire la sicurezza e l’efficacia del vaccino, è stato messo a disposizione un gran numero di risorse umane ed economiche, così da raggiungere questo traguardo senza saltare le normali fasi di studio e registrazione». Comirnaty, così come tutti i vaccini in studio, è progettato per indurre una risposta che blocca la proteina Spike, fondamentale per l’attività del virus SARS-CoV-2 perché gli permette di penetrare nelle cellule e di infettarle. «Co-

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DOTT. ARRIGO PACIELLO Direttore del Servizio Farmaceutico Territoriale ATS Bergamo

mirnaty rappresenta però una novità per la tecnologia utilizzata: racchiude al suo interno una molecola, chiamata RNA messaggero (mRNA), che contiene le istruzioni per produrre la proteina Spike. Le proteine prodotte stimolano il sistema immunitario, permettendogli di riconoscere la proteina Spike. Se, in un momento successivo, la persona vaccinata dovesse entrare nuovamente in contatto con il SARSCoV-2, il suo sistema immunitario identificherà il virus e sarà pronto a combatterlo. L’mRNA del vaccino


non resta nell’organismo, ma si degrada poco dopo la vaccinazione. Per poter essere efficace devono essere somministrate due dosi del vaccino, ad almeno 21 giorni l’una dall’altra. L’efficacia viene raggiunta una settimana dopo la somministrazione della seconda dose» spiega il dottor Paciello. Per organizzare la campagna vaccinale il Ministero della Salute ha definito delle priorità, sulla base della probabilità e delle possibili conseguenze in caso di contagio. Riguarda inizialmente gli operatori sanitari, il personale e gli ospiti delle residenze per anziani e la popolazione over 80. È prevista in un momento successivo (da aprile in poi) l’estensione ad altre fasce della popolazione, secondo gli stessi criteri, sino ad arrivare a una copertura totale entro l’anno. «Le vaccinazioni sono state avviate simbolicamente il 27 dicembre 2020 e hanno realmente avuto inizio con il nuovo anno. Con le sue oltre 900.000 somministrazioni di vaccino alla data del 14 gennaio 2021, somministrate due settimane dall’avvio della campagna, l’Italia è in vetta nella classifica tra i Paesi europei, per numero di vaccinazioni eseguite (fonte dato ourworldindata.org). Di queste, più di 132.000 dosi sono state effettuate in Regione Lombardia. In provincia di Bergamo, al 13/01/2021, sono state registrate quasi 10 mila somministrazioni del vaccino Comirnaty» continua il dottor Paciello. La campagna vaccinale in provin-

cia vede coinvolte in prima linea l’ATS di Bergamo, alla cabina di regia, e le tre ASST del territorio: ASST Papa Giovanni XXIII nella città di Bergamo, ASST Bergamo Ovest, con sedi a Treviglio e a Romano di Lombardia, e l’ASST Bergamo EST, con i suoi tre centri di Alzano Lombardo, Seriate e Piario. «Non sono però le uniche strutture in azione. Contemporaneamente sono state avviate le vaccinazioni anche nelle Case di Cura e strutture ospedaliere private accreditate del territorio e in tutte le 65 Residenze per Anziani della provincia. Verranno coinvolti anche i medici di medicina generale il cui contributo e la cui collaborazione saranno essenziali, come già avvenuto nella recente campagna di vaccinazione antinfluenzale che ha visto l’adesione e la partecipazione della quasi totalità dei MMG (Medici di Medicina Generale) e dei pediatri di libera scelta».

vaccino Comirnaty durante le fasi di sperimentazione sono state osservate reazioni di entità lieve o moderata che si sono risolte entro pochi giorni dalla vaccinazione. Ad esempio dolore e gonfiore nel sito di iniezione, stanchezza, mal di testa, dolore ai muscoli e alle articolazioni, brividi e febbre. L’ATS di Bergamo mette a disposizione dei cittadini e degli operatori sanitari operanti sul territorio la possibilità di segnalare eventuali sospetti di reazioni avverse. Sono attive due modalità: attraverso la comoda piattaforma online www.vigifarmaco.it o scrivendo alla casella di posta dedicata fv@ats-bg.it. Una campagna vaccinale così estesa rappresenta un grande impegno per tutta la comunità ed è importante che venga svolta garantendo l’accesso alle conoscenze e alle cure per tutti i cittadini, nella speranza di voltare presto pagina».

A breve si prevede la distribuzione sul territorio anche di un secondo vaccino, prodotto da Moderna, autorizzato da AIFA il 7 gennaio 2021. «Anche questo vaccino agisce in maniera sovrapponibile a Comirnaty, sfruttando la tecnologia dell’RNA messaggero» sottolinea il dotto Paciello. «Altri vaccini sono invece ancora in fase di studio, come quelli di Astra Zeneca, Curevac, Sanofi/GSK e Johnson&Johnson. Tutti i vaccini sono oggetto di studi estesi, al fine di garantirne la sicurezza ma, come tutti i farmaci, non sono completamente esenti da reazioni avverse. Nel caso del Gennaio/Febbraio 2021 | Bergamo Salute | 9


SPECIALITÀ A-Z

COVID-19

Perdita di gusto e olfatto Uno dei primi campanelli d’allarme nell’infezione da Covid 19 ∞  A CURA DI SERGIO SIGNORELLI

“Non sento né gusto né odori” era l’esclamazione riferita da molti pazienti bergamaschi colpiti dal nuovo Coronavirus (SARS-CoV-2) mentre operavo durante la prima ondata pandemica nell’ospedale da campo alla fiera di Bergamo. Questo fenomeno, osservato anche nella seconda ondata e in persone che sono risultate positive al tampone senza avere manifestato altri sintomi tipici dell’infezione da Covid 19 (raffreddore, mal di gola, tosse secca, febbre, difficoltà respiratorie etc.), secondo diversi studi potrebbe rappresentare un segnale precoce della malattia.

dell’80%. L’alterazione dell’olfatto non è insolita nelle forme virali. È caratteristica infatti anche del rhinovirus responsabile del raffreddore e di alcuni virus parainfluenzali e influenzali. Quella riscontrata nei pazienti Covid 19 però è diversa rispetto a quella causata dal raffreddore, perché è improvvisa e grave, colpisce più il sesso femminile e i giovani e soprattutto non si accompagna a naso che cola (rinorrea): il paziente è in grado di respirare senza difficoltà, avendo il naso libero con mucose secche.

NON SI SENTONO PIÙ GLI ODORI, MA IL NASO È “LIBERO”

I disturbi dell’olfatto insorgono come conseguenza di una reazione infiammatoria della mucosa nasale e in particolare del neuroepitelio olfattivo, tessuto epiteliale localizzato nella parte superiore delle cavità nasali, che contiene una struttura ordinata di cellule olfattive in grado di trasformare il segnale chimico in nervoso e quindi farlo arrivare alle strutture più nobili del cervello. Il danneggiamento della mucosa

La perdita dell’olfatto (anosmia) e del gusto (ageusia) sono presenti in molti pazienti colpiti in forma lieve-moderata da Covid19 ed erano già segnalati durante l’inverno 2019 nelle notizie provenienti dalla Cina e Corea del Sud con una frequenza di alterazione dell’olfatto e del gusto rispettivamente del 60% e

LA CAUSA? L’INFIAMMAZIONE DELLA MUSCOSA NASALE

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nasale può dare luogo ad anosmia (perdita dell’olfatto) o a disosmia, cioè un’erronea percezione di odori che risultano assenti o sgradevoli e in genere sono accompagnati da una perdita o alterazione del gusto, come naturale conseguenza della perdita dell’olfatto (olfatto e gusto sono strettamente legati), che si

IDENTIKIT DEL VIRUS Il Coronavirus - 2 o SARS-CoV-2 è un nuovo ceppo di coronavirus identificato nell’uomo circa un anno fa, avendo effettuato il cosiddetto salto di specie (in inglese spillover). Il Covid 19, il nome dato alla malattia causata dal virus, non si manifesta solo con sintomi respiratori, ma anche con sindrome sistemica di tipo infiammatorio.


evidenzia soprattutto con incapacità di distinguere l’amaro dal dolce.

SMELL TRAINING NEI CASI IN CUI I DISTURBI PERSISTONO

SINTOMI PRECOCI E IN GENERE TRANSITORI

Come detto, le disfunzioni olfattive e gustative sono transitorie nella gran parte dei pazienti, ma in alcune persone possono persistere anche per lungo tempo, dovute probabilmente a un’infiammazione più aggressiva sui neuroni olfattivi. Non vi è per altro un nesso fra deficit sensoriale e la persistenza dell’infezione, in altre parole avere un’anosmia non comporta un rischio maggiore di malattia. Per queste sindromi post infettive non esiste ancora un trattamento efficace. Sono certo sintomi minori, ma impattano sgradevolmente nelle vita di chi ne soffre. Pensiamo quanto possa essere ripugnante consumare cibo che sa di marcio o quanto possa essere pericoloso non avvertire la puzza di una fuga di gas. Si sono effettuati perciò numerosi tentativi terapeutici con cicli di steroidi topici (spray nasali), beta carotene per la rigenerazione dei nervi, zinco, vitamine, agopuntura, ottenendo nel breve riscontri parziali. Note di speranza sembra-

Uno studio multicentrico europeo di otorinolaringoiatria evidenzia che le disfunzioni dell’olfatto appaiono prima degli altri sintomi e sono transitori. Gli esperti sostengono che entro un mese il 50% dei pazienti recupera totalmente la sensibilità, il 40% riporta un miglioramento e solo il 10% lamenta condizioni invariate o peggiorate. Come sostiene il noto infettivologo Massimo Galli in uno studio dell’Università Statale di Milano da lui coordinato, questi disturbi, essendo presenti nelle prime fasi dell’infezione, possono rappresentare un precoce segnale, una sorta di spia della presenza del Covid 19. Il paziente, quindi, qualora avvertisse una riduzione severa di gusto e di olfatto a naso libero, dovrebbe riferirlo immediatamente al proprio medico di base affinché possa procedere celermente all’isolamento e alla richiesta del tampone.

no pervenire dallo “smell training”, una sorta di fisioterapia del naso, un allenamento olfattivo, che consiste nel sottoporre al paziente profumi noti e gradevoli come limone, rosa, eucalipto, chiodi di garofano per suscitare nell’interessato sensazioni e ricordi persi. Non conosciamo i tempi di guarigione di questo allenamento olfattivo, ma se alla fine potessimo ritrovare odori basilari e gusti fondamentali (dolce, salato, acido) sarebbe già un ottimo risultato.

DOTT. SERGIO SIGNORELLI Specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva, Medicina Interna Presso Politerapica Seriate

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SPECIALITÀ A-Z

ENDOCRINOLOGIA

La triade dell’atleta femmina: cos’è e come riconoscerla ∞  A CURA DI MASSIMO VALVERDE

Si chiama la triade dell’atleta e riguarda soprattutto, ma non solo, le giovani atlete ad alti livelli che si allenano eccessivamente senza alimentarsi in modo adeguato. Una condizione clinica caratterizzata da tre elementi: deficit energetico, spesso associato a disturbi dell’alimentazione;disturbi mestruali e amenorrea (assenza di mestruazioni); perdita di massa ossea e osteoporosi, ancora poco conosciuta e spesso sottovalutata che però può esporre a rischi di salute importanti e in alcuni casi irreversibili.

PIÙ A RISCHIO LE GIOVANI GINNASTE La “Female Athlete Triad” (Triade dell’Atleta Femmina) è una pato-

logia diffusa fra chi pratica sport ad alto livello e in particolare in sport come la ginnastica artistica femminile e la ginnastica ritmica, in cui le giovani atlete sono sottoposte a regimi di allenamento inadeguati ed eccessivi per intensità e durata. Si tratta, come dice il nome, di una combinazione di tre fattori, strettamente interconnessi, che possono presentarsi singolarmente oppure associati a formare un quadro clinico che la ricerca scientifica ha individuato e delineato sempre più chiaramente solo in tempi recenti (Arch Pediatr Adolesc Med.2006;160:137-142). Oltre agli allenamenti particolarmente stressanti le giovani atlete subiscono spesso condizionamenti culturali e tecnico agonistici secondo i quali il

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rapporto peso-potenza e l’aspetto fisico sono ritenuti fondamentali. Sinteticamente e a grandi linee, alla base di questa patologia sono gli allenamenti troppo impegnativi e stressanti, la mancanza di adeguato riposo e un apporto calorico insufficiente, la cui concomitanza ha ripercussioni significative sull’organismo e può determinare alterazioni del normale profilo ormonale.

RITARDO O ASSENZA DEL CICLO MESTRUALE, IL SEGNALE PIÙ EVIDENTE Nell’atleta femmina la manifestazione più evidente è il ritardo nella comparsa del ciclo mestruale (ricordiamoci il caso di Nadia Comaneci) o, nel caso di soggetti già fertili, la comparsa di amenorrea


prolungata. Queste alterazioni hanno conseguenze meno evidenti ma non meno rilevanti, soprattutto in termini di salute. Infatti, gli ormoni estrogeni che inducono e regolano il ciclo hanno anche un ruolo fondamentale nella mineralizzazione delle ossa. Pertanto, una loro carenza nell’età dello sviluppo, dovuta a un’alimentazione insufficiente e/o a una condizione di stress prolungato, determina un apporto di calcio nelle ossa insufficiente e a volte irreversibile. Questo predispone allo sviluppo di una condizione di osteoporosi, unitamente ad altre e immediate manifestazioni patologiche a carico del sistema muscolo scheletrico, quali fratture da stress (quelle che intervengono in assenza di particolari eventi traumatici), lesioni muscolari etc.. Questo quadro, già di per sé preoccupante, può essere ulteriormente aggravato dal manifestarsi nell’atleta di alterazioni del comportamento alimentare. Alterazioni che costituiscono infatti la terza faccia della Female Athlete Triad. I disturbi del comportamento alimentare possono variare da forme leggere e reversibili fino ai casi più gravi e pericolosi di anoressia nervosa, i cui sintomi più evidenti sono una preoccupazione e un susseguente rifiuto nei confronti del cibo e del proprio peso corporeo, rituali psicologici che accompagnano i pasti, spesso associati a vomito auto-indotto, abuso di lassativi, perdita di peso etc.. Se a questi sintomi si aggiungono quelli relativi agli aspetti già considerati, ovvero assenza di ciclo mestruale, stato di affaticamento, ridotta ca-

pacità di concentrazione, fratture da stress e infortuni muscolari, si ha il quadro sintomatologico completo della Triade.

L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE Con riferimento a questa patologia, la più importante organizzazione mondiale di medicina dello sport e di scienza dell’allenamento, l’American College of Sports Medicine, raccomanda come prioritaria “l’azione preventiva basata sull’informazione e sull’educazione di atlete, genitori, allenatori, giudici e dirigenti”. Il caso della ginnastica sportiva femminile, artistica e ritmica è emblematico. Nel contesto di queste attività sportive, infatti, è facile riscontrare tutti gli elementi che predispongono a questa patologia. I programmi tecnici internazionali, su cui inevitabilmente vengono modellati i programmi tecnici delle singole Federazioni Nazionali, sono tali da favorire, soprattutto nella ginnastica artistica, una tipologia fisica in cui ogni etto di massa grassa è visto, e oggettivamente è, come un ostacolo in più, per il raggiungimento della performance ottimale. Ciò determina, da parte di atlete molto motivate e/o dei loro tecnici, un’attenzione particolare al profilo ponderale della ginnasta. A ciò si aggiungono almeno altri due fattori: il primo è la convinzione, per diversi aspetti discutibile, che la ginnastica sportiva di alto livello necessiti di molte ore giornaliere di duro allenamento. Contemporaneamente manca spesso il convincimento sull’assoluta necessità di adeguati e corrispon-

denti periodi di riposo, che invece rientrano, con pari importanza, nel processo di allenamento nel suo complesso. Il secondo fattore è l’aspetto fisico: un particolare tipo di fisico non di rado rientra addirittura nei criteri “occulti” di giudizio e, quindi, è in grado di influenzare il punteggio dell’atleta. Alla luce di queste semplici e incontrovertibili constatazioni appare in tutta la sua essenzialità la raccomandazione dell’American College of Sports Medicine. La ginnastica sportiva, anche quella di alto livello, può e deve essere uno strumento di salute, ma è assolutamente indispensabile che tutti, atlete, genitori, allenatori, giudici e dirigenti siano informati prima e protagonisti poi di quei cambiamenti tecnici e soprattutto culturali indispensabili a contrastare questa insidiosa e diffusa patologia.

PROF. MASSIMO VALVERDE Specialista in Patologia della Riproduzione Umana, Endocrinologia, Farmacologia e Tossicologia Direttore Sanitario Centro Medico MR Bergamo

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SPECIALITÀ A-Z

ORTOPEDIA

Quando la mano soffre per colpa del gomito La compressione del nervo ulnare ∞  A CURA DI DAVIDE SMARRELLI

Il formicolio, o in termine medico parestesia, è il modo con cui il nervo ci comunica un suo problema. I formicolii alle mani sono disturbi piuttosto frequenti e spesso fonte di preoccupazione nonché di varie interpretazioni. Una volta escluse cause acute cardiache e neurologiche o subcroniche degenerative legate alle patologie neurologica o neoplastica, laddove si evidenzi una causa ortopedica, prevalentemente formicolio è riconducibile a lesioni artrosiche delle articolazioni del rachide (colonna vertebrale) cervicale o a forme di compressione lungo il decorso dei nervi periferici dell’arto superiore.

NON SOLO TUNNEL CARPALE Nell’arto superiore i nervi principali che originano dalle radici nervose del rachide cervicale confluiscono in tre nervi maggiori che arrivano alla mano: mediano, radiale e ulnare. I formicolii non sono sempre causati da una sindrome del tunnel carpale. Una localizzazione molto frequente è al gomito e colpisce il nervo ulnare. Questo quadro è anche noto come sindrome del canale cubitale, ed è la seconda più comune neuropatia da compressione di un nervo periferico dopo la sindrome del tunnel carpale alla mano.

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DOTT. DAVIDE SMARRELLI Specialista in Ortopedia e Traumatologia Responsabile Chirurgia della mano Humanitas Gavazzeni Bergamo


LE CAUSE: DALLE POSTURE QUOTIDIANE ALLO SPORT, ALL’ARTROSI La compressione del nervo ulnare o sindrome del tunnel cubitale nella maggioranza dei casi è idiopatica, cioè senza causa apparente, e dovuta a un ispessimento del legamento di Osborne che costi-

IL NERVO ULNARE: COSA È E A COSA SERVE Il nervo ulnare è un nervo misto cioè motorio e sensitivo, che ha origine dal rachide (colonna vertebrale) cervicale, e precisamente dalle radici C7-C8-T1, e decorre lungo il braccio e l’avambraccio fino ad arrivare alla mano. Qui innerva il muscolo flessore ulnare del carpo, il flessore profondo del 4 e 5 dito, permettendo la flessione del polso e del 4 e 5 dito ma, soprattutto, controlla tutta la muscolatura intrinseca della mano cioè tutti i muscoli “interni” alla mano, che hanno origine e inserzione nella mano. Questa muscolatura intrinseca determina tutti i movimenti fini e delicati di precisione e coordinazione delle dita.

tuisce il tetto del canale cubitale in cui scorre. Non raramente può però essere correlata a cause meccaniche specifiche quali fattori occupazionali, microtraumatismi ripetuti (vibrazioni e compressioni ripetute), posture prolungate specialmente in flessione del gomito (ad esempio il gomito flesso e appoggiato su una superficie rigida a lungo); anche alcuni sport come tennis, pesistica, baseball che prevedono il gesto del lancio possono determinare la compressione del nervo ulnare al gomito. Possono esserci poi cause legate alla particolare struttura congenita del gomito come l’instabilità del nervo ulnare, deformità del gomito quale una deviazione in valgismo, oppure cause secondarie come l’artrosi di gomito, traumatismi diretti, fratture-lussazioni o loro esiti e neuriti legate a infiammazioni croniche articolari.

FORMICOLIO ALLE DITA E DOLORE AL GOMITO: I CAMPANELLI D’ALLARME CHE PEGGIORANO COL TEMPO Il formicolio al 4 e 5 dito e un dolore al gomito associato a disturbi della sensibilità alle ultime due dita della mano, che si esacerba col gomito in flessione forzata, rappresentano il campanello di allarme. I disturbi inizialmente sono spesso aspecifici e sottostimati, ma tendono a peggiorare gradualmente. I formicolii alla mano, sintomo principale, variano da un lieve intorpidimento (addormentamento) o lievi parestesie (alterazione della sensibilità) nell’anulare e nel mignolo della

mano, a un intenso bruciore. Possono essere notturni ma sovente sono continui nell’arco della giornata. I pazienti lamentano difficoltà a mantenere a lungo la posizione di flessione del gomito (telefonare, scrivere, guidare, quando distesi su un lettino appoggiando le braccia ai braccioli etc.), difficoltà nelle prese, nell’esecuzione di manovre che richiedono una forza di torsione della mano, talora anche una sensazione di freddo sul lato ulnare (interno) della mano. Il dolore, spesso associato, è localizzato sul versante mediale del gomito, dell’avambraccio e della mano. Più tardivamente compaiono deficit di forza (debolezza muscolare) e ipotrofia muscolare (cioè perdita della massa muscolare) a carico dei muscoli della mano innervati dal nervo ulnare (interossei, ipotenari, adduttore del pollice, lombricali del 4 e 5 dito, parte del flessore breve del pollice). Come conseguenze si può avere una più o meno evidente difficoltà nel tenere oggetti nella mano, perdere la funzione dei suddetti muscoli e può comparire un’evidente atrofia del primo muscolo interosseo della mano (tra pollice e indice) e dell’eminenza ipotenar (rilievo carnoso localizzato nella regione interna della faccia palmare della mano e alla base del mignolo). Nelle fasi più avanzate si arriva a perdere la possibilità di estendere le ultime due dita della mano e parzialmente anche le altre tre, con conseguente flessione obbligata del mignolo e anulare, determinando la cosiddetta mano benedicente o ad artiglio.

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SPECIALITÀ A-Z

ORTOPEDIA

LA DIAGNOSI? BASATA SU DATI CLINICI E ANAMNESI Dopo aver raccolto un’accurata anamnesi, è fondamentale eseguire una dettagliata analisi della mano per valutare l’eventuale presenza di alterazioni muscolari, seguita da un esame della funzione sensitiva e motoria e dalla ricerca di eventuali segni patologici mediante l’esecuzione di alcuni test clinici specifici. I principali test sono: il segno di Tinel, ossia la percussione con un dito in corrispondenza del decorso del nervo al gomito e il test d’iperflessione del gomito. Inoltre, si ricercano i segni di un’eventuale instabilità (sublussazione o lussazione) del nervo. La valutazione della forza di muscoli innervati dal nervo ulnare viene poi testata con altri test specifici. Per inquadrare il grado di sofferenza del nervo, è indicata anche l’elettromiografia che, mediante la stimolazione dei nervi dell’arto superiore in punti specifici, ne studia il funzionamento, identificando sede e natura e quantificando la gravità dell’even-

tuale sofferenza del nervo interessato. In casi particolari, inoltre, può essere anche utile una radiografia del gomito, specialmente se ci sono stati dei traumi. Meno frequentemente sono necessarie un’ecografia o una RMN.

IL TRATTAMENTO: DAL TUTORE ALL’INTERVENTO CHIRURGICO A SECONDA DELLA FASE DELLA MALATTIA I pazienti che presentano sintomi lievi o moderati a esordio recente, sono canditati a un trattamento conservativo che può includere una breve immobilizzazione con l’impiego di un tutore dedicato, che mette in “scarico” funzionale il gomito. Particolarmente interessante è l’uso di neurotrofici, cioè integratori specifici per il nervo a base di acido alfa lipoico e altri anti ossidanti plurivitaminici. Possono essere associati anche antiinfiammatori (FANS) ma i risultati sono controversi. Molto raccomandata, invece, è la fisioterapia associata alla rieducazione posturale con la

correzione di posizioni o posture che irritano la regione posteriore del gomito. Per le neuropatie resistenti al trattamento conservativo, croniche, soprattutto se associate a debolezza muscolare o nelle forme acute gravi, il trattamento è chirurgico e consiste nella liberazione del nervo (neurolisi) dalle compressioni esterne. Dopo l’intervento chirurgico si applica un bendaggio e si posiziona talvolta un tutore, soprattutto nei casi in cui il nervo è stato spostato sotto i muscoli epitrocleari. Successivamente si consente il recupero graduale del movimento. Sebbene i risultati del trattamento chirurgico siano meno soddisfacenti rispetto a quelli dei pazienti con sindrome del tunnel carpale, la semplice decompressione del nervo è associata a buoni risultati nell‘80-86% dei casi. Nei casi di pazienti con fasi più avanzate di malattia, la sintomatologia dolorosa e i disturbi della sensibilità regrediscono nella maggior parte dei casi, ma possono permanere eventuali deficit motori.

Attenzione all’uso prolungato di cellulari, tablet e pc Il gomito è un’articolazione molto mobile e il nervo ulnare in questo canale subisce continue sollecitazioni, compressioni, allungamenti e trazioni, legate anche al cambiamento delle dimensioni del tunnel in cui scorre. È stato dimostrato che la flessione del gomito determina sul nervo ulnare una maggior compressione, un aumento della pressione su di esso, un allungamento e un suo appiattimento quindi un maggior sovraccarico funzionale. Questo accade particolarmente in alcune posture lavorative ma anche della quotidianità sempre più spesso correlate all’uso di cellulari, tablet e altri device elettronici che comportano posizioni prolungate con gomito flesso talora appoggiato a superfici e quindi anche compresso meccanicamente. Proprio questo tipo di posizione legata all’uso prolungato dei device è stato dimostrato essere correlato a un aumento del tempo di conduzione dello stimolo nervoso al gomito a carico del nervo ulnare, determinando fastidi quali l’addormentamento delle ultime due dita o la difficoltà ad aprire e chiudere la mano e, soprattutto, l’esigenza di dover spesso cambiare posizione mentre si esegue una telefonata o si sta a lungo al pc.

16 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2021


LUIGI OLDANI

PERSONAGGIO

La mia vita per l’arte Tra Papi e Presidenti

∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Il suo curriculum, di grande spessore, parla per lui. Ha realizzato ritratti di Papi, del Presidente della Repubblica Mattarella, ha ideato centinaia di medaglie commemorative e dall’anno scorso collabora con il Governatorato della Città del Vaticano, realizzando i modelli per le monete celebrative. Luigi Oldani, 57 anni, bergamasco di Dalmine, è un famoso artista a tutto tondo, pittore, scultore, medaglista. Le sue opere sono in molti musei tra cui la Gamec di Bergamo. Ma ogni volta che progetta una medaglia il suo pensiero va a Vittorio Lorioli, suo maestro e vero luminare del settore, scomparso nove anni fa. «Devo ringraziare lui, se mi sono addentrato come autore nel campo delle medaglie e della scultura. Posso dire di essere stato il suo ultimo allievo». E ci mostra la medaglia che realizzò nel 2013 per gli eredi e che venne presentata in un convegno

su Vittorio Lorioli alla Galleria di arte moderna e contemporanea di Bergamo. Tra le ultime creazioni vi è la moneta commemorativa in argento emessa dalla Città del Vaticano e dedicata alla cinquantesima giornata mondiale della Terra. Raffigura una giovane donna incinta che accarezza il ventre a forma di mappamondo con in rilievo i continenti. «Un inno alla terra fertile e feconda come una giovane donna» dice Oldani. «Terra da proteggere come una donna in attesa di una nuova vita. Terra da rispettare come una mamma e il suo

bambino. Questo è quello che ho voluto esprimere nella mia realizzazione». La carriera artistica di Luigi Oldani comincia a vent’anni con la prima esposizione. È figlio di Angelo, un incisore, con laboratorio in Dalmine. Frequenta la scuola di pittura di Dalmine sotto la guida dei maestri Carlo Monzio Compagnoni e Antonio Paris. Del Paris, frequenta con assiduità anche lo studio. Contemporaneamente continua l’attività di incisore raccogliendo l’eredità paterna. Inizia


PERSONAGGIO

LUIGI OLDANI

una collaborazione con la ditta Lorioli, un’azienda leader in campo internazionale nella produzione di medaglie artistiche e placchette di qualità. Instaura così un rapporto di stima e fiducia con Vittorio Lorioli, imprenditore illuminato e studioso di medaglistica, conosciuto in Italia e all’estero. Nasce un’amicizia che porterà Oldani a perfezionarsi nella modellazione e nella scultura, ora la sua attività artistica preminente, nonché la coniazione di medaglie. E davvero ne ha ideate tante. Ma ce n’è una cui tiene di più? «Sono tutte care come i figli» dice Oldani che è sposato e ha due figlie. «Anche se qualcuna ha un’importanza affettiva maggiore. La recente moneta commemorativa fatta per il Vaticano, ad esempio, mi ha donato un’emozione intensa, oltre alla soddisfazione di essere il primo bergamasco a modellare una moneta per lo Stato Pontificio. Altri bergamaschi, come Manzù, per citare il più grande, hanno ideato medaglie ma non monete. Sono due cose diverse. Ricordo con piacere, per diversi motivi, anche le medaglie realizzate per la beatificazione di Caterina Cittadini, per il 400° anniversario dell’apparizione della Madonna in Borgo Santa Caterina a Bergamo, quella per il 400° anniversario dell’apparizione della Madonna del Bosco di Imbersago, oppure

quella dedicata a Giovanni XXIII nel cinquantesimo dell’apertura del Concilio Vaticano II. Posto di rilievo nella mia memoria, la collezione di formelle in bronzo Habemus Papam, bassorilievi dedicati ai pontefici dal Concilio Vaticano II a Papa Francesco. I Papi della mia vita. Presentata in occasione di un convegno promosso dalla Fondazione Papa Giovanni XXIII - con cui collaboro da tempo - e dall’Istituto Paolo VI di Brescia, presso il Centro congressi papa Giovanni XXIII di Bergamo. Ricordo ancora con emozione, quando la Diocesi di Bergamo mi commissionò le formelle di Giovanni XXIII e di Francesco, eletto da pochi mesi, da donare al nuovo pontefice durante la celebrazione tenuta in San Pietro

Vittorio Lorioli

18 | Bergamo Salute | Gennaio/Febbraio 2021

per il cinquantesimo della morte di papa Roncalli. Lì ho avuto l’onore di stringere la mano a papa Bergoglio. Al pensiero ancora mi emoziono». Un’altra medaglia cui Oldani tiene molto è quella ufficiale dell’Atalanta per la partecipazione alla Champions League 2019-2020. «Sono tifosissimo della Dea che ho rappresentato come una bellissima donna che entra danzando in Europa, cinta ai fianchi da un nastro con i colori nero e azzurro. Sono orgoglioso di quanto sta facendo la nostra squadra che seguo da quando ero bambino e andavo allo stadio con mio padre. Ora la vedo in televisione e non mi perdo una partita». Oldani è anche innamorato del ciclismo, al quale dedica su commissione dei comitati promotori di tappa del Giro d’Italia, medaglie e litografie d’arte. Le sue medaglie, quasi sempre coniate in proprio, partono dalla commissione del cliente, per il quale realizza i disegni preparatori a cui vengono sottoposti. Ad approvazione avvenuta, si procede con la modellazione vera e propria in plastilina del diametro di 25-30 cm, cui fanno seguito i calchi in gesso e successivamente la fusione del modello in bronzo. Da qui parte la fase “meccanica” della lavorazione per giungere


all’opera finale. La riduzione del modello alla misura stabilita sul punzone in acciaio. Altre numerosi fasi seguono prima di arrivare alla medaglia finita, che si può definire senza ombra di dubbio, un vero e proprio multiplo d’arte dello scultore. Altre opere, specialmente quelle a tutto tondo, vengono realizzate in fusione a cera persa, come ha fatto per la sua scultura Prince. Busto in bronzo di fanciullo, con tiratura di 99 esemplari per la sua l’iniziativa “Oldani for Haiti”, in occasione del devastante terremoto che distrusse nel 2010 l’isola caraibica. Con i fondi ricavati dalle vendite ha aiutato la Fondazione Rava nel sostentamento dell’Ospedale pediatrico Saint Damien ad Haiti. Oldani è anche un grande disegnatore e appassionato di ritrattistica «Sì, i ritratti mi piacciono molto. Alcuni li realizzo per “deformazione professionale” in occasione di anniversari particolari o di fatti di cronaca. Altri me li commissionano». Recentemente ha realizzato i ritratti di Leonardo Sciascia e Paolo Rossi. Quello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha una storia particolare. «Avendo saputo che, in occasione della “Messa da Requiem” di Donizetti, dello scorso 27 giugno celebrata in memoria dei nostri caduti da Covid 19, sarebbe stato presente il Signor Presidente

della Repubblica, Sergio Mattarella, mi sono attivato per cercare di fargli pervenire un mio dono. Ho contattato così la segreteria del Sindaco, Giorgio Gori, la quale con estrema gentilezza mi ha fatto contattare dalla Segreteria del Prefetto Enrico Ricci. Ho potuto così consegnare il mio dono, unitamente a una lettera di ringraziamento al Presidente per la vicinanza dimostrata a Bergamo e Provincia, in questi mesi drammatici. Una mia opera. Il ritratto che feci al tempo della sua elezione e che ha la “particolarità”, se così si può dire, di essere probabilmente il primo ritratto fatto a Sergio Mattarella da Presidente. Lo pubblicai infatti, un paio d’ore dopo la sua elezione sui miei social network, pur avendolo realizzato nei giorni precedenti, quando il Suo nome iniziava a circolare tra quelli dei possibili candidati. Successivamente, una graditissima sorpresa nella cassetta della posta; una lettera di ringraziamento vergata a mano da Sergio Mattarella. Non sono cose così scontate» racconta l‘artista. E con i Presidenti della Repubblica e i Pontefici Luigi Oldani sembra avere un certo feeling: il 2 giugno 2008 è stato insignito da Giorgio Napolitano dell’onorificenza di Cavaliere onore al merito della Repubblica Italiana. Un momento indimenticabile per l’artista, come

anche l’incontro con Giovanni Paolo II il 31 dicembre 1999. Una carriera tra Papi e Presidenti.

ARTE SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI Tra le opere pubbliche di Oldani il primo monumento dedicato a San Giovanni XXIII collocato presso la Parrocchia di Rova di Endine Gaiano, il medaglione da un metro di diametro, collocato presso la parrocchiale di Calcinate, sempre in onore di San Giovanni XXIII Papa. Inoltre, a Dalmine, il monumento al Bersagliere realizzato in occasione del decennale della locale sezione dei Bersaglieri, un monolite in bronzo alto 5 metri. Di prossima inaugurazione nel mese di febbraio, ma, al momento ancora “top secret”, un’importante scultura dedicata a un fatto tragico di cronaca.

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IN SALUTE

STILI DI VITA

Italiani ed emergenza Coronavirus Vince la solidarietà ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Hanno ragionato con il cuore e, in base alla disponibilità personale, hanno aperto il portafoglio: nel momento più critico della prima ondata della pandemia il 24% degli italiani ha dichiarato di aver fatto una donazione in ambito sanitario e ospedaliero, pari a circa 10 -12 milioni di Italiani. Un dato che supera del 30% il numero delle persone che donano ogni anno a fini di ricerca scientifica, sanitaria e servizi equivalenti. In totale nell’aprile scorso sono stati donati 631 milioni di euro per l’emergenza Coronavirus in Italia, a ospedali, enti no profit, famiglie in difficoltà, protezione civile. Una generosità che ha visto i Bergamaschi in prima linea nell’organizzare, in una vera e propria gara di solidarietà, raccolte fondi e donazioni in denaro ma anche in generi di prima necessità a favore di tutti gli ospedali della Provincia impegnati nella battaglia contro il Covid 19. D’altra parte i bergamaschi sono famosi per la loro generosità nelle tragedie nazionali: sono stati tra i primi nel terremoto del Friuli del 1976, poi in

Fare “testamento solidale”, in concreto, significa ricordare nel proprio testamento, in qualità di erede (eredità) o di legatario (lascito), una o più associazioni, organizzazioni, enti” quello dell’Irpinia del 1980, in Abruzzo, nella Marche. E la pandemia ha reso più sensibili gli italiani non solo nei confronti di donazioni occasionali, ma anche verso il testamento e il lascito solidale. Lo rivela una ricerca su “Gli italiani e la solidarietà dopo il Coronavirus” condotta da Walden Lab per il Comitato Testamento Solidale, di cui fanno parte 22 organizzazioni no profit con il patrocinio del Consiglio Nazionale dei Notai. L’indagine, che ha coinvolto un campione di 1.000 casi rappresen-

tativo dei circa 40 milioni di italiani di età compresa tra i 25 e i 75 anni, mostra che tra gli over 50 l’11% dichiara di aver pensato a un lascito solidale in seguito all’emergenza Covid-19, e sono 2 su 10 gli over 50 che hanno fatto o sono propensi a fare un lascito solidale in favore di un’organizzazione no profit, un totale di quasi 5 milioni e mezzo di persone. L’incremento rispetto al passato è importante: nel 2018 la percentuale di chi prendeva in considerazione l’idea di un lascito solidale era inferiore di ben 8 punti, al 12%. Come dire: la pandemia ha cambiato la nostra visione della vita, ma non in peggio, visto che aumenta l’attitudine a pensare al futuro “degli altri”. Parallelamente cresce in modo significativo la percentuale di chi dichiara di avere fatto testamento o di essere orientato a farlo: in 4 anni (dal 2016) si è passati dal 13% al 21%. Il 72% della popolazione italiana adulta (25-75 anni) sa cosa sia un lascito solidale. Tra gli over 50, il segmento di popolazione più

22 organizzazioni insieme per i più deboli Del Comitato Testamento Solidale fanno parte 22 organizzazioni no profit: ActionAid, AIL, AISM, Associazione Luca Coscioni, Fondazione Don Gnocchi, Lega del Filo d’Oro, Save the Children, Aiuto alla Chiesa che Soffre Onlus, Amnesty International, Amref, CBM, Greenpeace, Istituto Pasteur Italia, Fondazione Cenci Bolognetti, Operation Smile Italia Onlus, Fondazione Telethon, Fondazione Umberto Veronesi, Mission Bambini, Progetto Arca, Unicef, Università Campus BioMedico di Roma, UICI e Vidas. I principali obiettivi del Comitato sono: garantire cibo, salute e istruzione a milioni di bambini; aiutare le persone con disabilità a integrarsi; fornire servizi socio sanitari adeguati e sostenere la ricerca scientifica contro malattie come la leucemia e la sclerosi multipla.


orientato all’idea di fare testamento, la crescita è molto netta: nel 2020 ha raggiunto l’80% (nel 2016 la conoscenza del lascito era pari al 55% e nel 2018 al 58%), segno evidente dell’efficacia delle campagne portate avanti in questi ultimi anni dalle principali Onp e dal Comitato Testamento Solidale per colmare il gap culturale registrato nelle precedenti indagini. Peraltro la ricerca ribalta l’immaginario di una terza età distante dalla tecnologia e dalla rete mostrando una popolazione “silver” sempre più a suo agio con il web. Infatti, se aumenta la percentuale di quanti si dichiarano interessati a ricevere informazioni sul lascito solidale (un balzo di ben 6 punti rispetto al 2016 - dal 30% al 36%), internet e i siti delle organizzazioni risultano

i canali più “graditi” per saperne di più (14%, contro il 7% del 2016), seguiti da e-mail e newsletter (14%, contro il 5% del 2016). “Dal 2013, con il Comitato Testamento Solidale siamo impegnati nel fare cultura su questo importante strumento di donazione. L’emergenza coronavirus ha reso gli ambiti dei nostri interventi ancora più critici e il sostegno che le organizzazioni no profit possono dare a tante cause sociali dal contrasto della povertà alla lotta alla fame, dalla cura delle persone con malattie e degenerative e disabilità, alla ricerca scientifica, dalla salvaguardia dell’ambiente alla difesa dei diritti umani è oggi ancora più decisivo “dice Rossano Bartoli, portavoce del Comitato Testa-

MARCO GHEZZI

mento Solidale e Presidente della Lega del Filo d’Oro. “Predisporre un testamento solidale è una scelta di cui tante persone parlano apertamente con i propri familiari, non è necessario disporre di grandi patrimoni e si può valutare di destinare a un’organizzazione no profit anche una piccola somma per aiutare gli altri”. Ma come si può fare un lascito? Fare testamento solidale significa lasciare i propri beni, o anche solo una parte, a uno o più enti benefici. Non è necessario lasciare ingenti patrimoni, perché per sostenere il lavoro quotidiano di associazioni impegnate nelle più importanti cause umanitarie e scientifiche, anche un piccolo contributo può fare la differenza.

www.marcoghezzi.org

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Bergamo Per appuntamenti Gennaio/Febbraio 2021 | Bergamo Salute | 21 via Zambonate 58 Telefono 347 9194378 24122 Bergamo email: scrivi@marcoghezzi.org


IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

Benessere a tavola I cibi salutari che pensavi facessero male e quelli che dovresti inserire e (forse) non conosci ∞  A CURA GIULIA SAMMARCO

Siete tra quelli che dopo essersi concessi qualche peccato di gola si sentono in colpa? Ecco una buona notizia: alcuni cibi vengono spesso considerati poco salutari, in realtà non solo non fanno male, ma, inseriti nel modo corretto nella nostra alimentazione, possono essere alleati del nostro benessere e della forma fisica. «Fermo restando che ognuno dovrebbe adottare una dieta varia e bilanciata pensata in base alle proprie esigenze, e che, in caso di patologie o sensibilità alimentari, è sempre opportuno consultare il proprio medico, ci sono alcuni cibi e cotture da tempo “accusati” ingiustamente che andrebbero assolti» dice la dottoressa Chiara Manzi, nutrizionista esperta di Culinary Nutrition. «Recenti studi, infatti, hanno dimostrato come, abbinando in un certo modo gli ingredienti e seguendo determinate procedure per la cottura, possiamo mangiare tutto ciò che amiamo, senza privarci di nulla, compreso pizza, fritti e cioccolato».

1. SÌ A PASTA E PIZZA, ANCHE CON FARINA RAFFINATA, MA CON AGGIUNTA DI FIBRE SOLUBILI I carboidrati vengono spesso demonizzati, soprattutto quelli a base di farina raffinata. «Sebbene, in effetti, siano da preferire i prodotti integrali, più ricchi di fibre, non a tutti piacciono. La soluzione è aggiungere inulina a catena lunga, una fibra solubile non digeribile che potenzia la microflora e non altera

il sapore. Il piatto risulterà ricco di fibre, gustoso e con un minor impatto glicemico» suggerisce la dottoressa Manzi.

2. OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA, UN TOCCASANA A CRUDO, CHE PUÒ ESSERE USATO ANCHE IN COTTURA L’olio EVO è un grasso vegetale, ma, proprio come nel caso degli zuccheri, non ne esiste un tipo soltanto. «Questo olio nello specifico è ricco di acidi grassi monoinsaturi, che proteggono cuore e arterie, è ricco di vitamina E, un potente antiossidante che contrasta l’invecchiamento cellulare, e di polifenoli, che migliorano la microflora intestinale. Ricordate però che è pur sempre un grasso, e un consumo eccessivo è sconsigliabile. Inoltre, ogni cucchiaio apporta 90 kcal» osserva l’esperta.

3. SÌ ALLA COTTURA Non sempre i cibi crudi sono più salutari di quelli cotti. Se questo può essere vero per alcuni alimenti, che magari rischiano di perdere parte dei nutrienti durante la cottura, non vale per altri. «Alcuni alimenti, infatti, consumati crudi risultano essere meno nutrienti, come nel caso delle carote: i carotenoidi si assimilano solo al 5% se le consumiamo crude» dice la nutrizionista.

4. UOVA, ASSOLTE DAL “REATO DI COLESTEROLO” A sfatare il falso mito che facciano ingrassare e aumentino il colesterolo, ci hanno pensato di-

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versi ricercatori. In particolare, un gruppo dell’Università di Sidney ha appurato che, anche mangiando fino a 12 uova alla settimana, non si verificano aumenti né di peso, né di colesterolo. «Senza arrivare a queste quantità, le uova presentano proteine di alto valore biologico e importanti micronutrienti come


la vitamina A, la B12, acido folico (importante in gravidanza), ferro, calcio, fosforo e potassio. Infine, il tuorlo è ricco di lecitine, che riducono l’assorbimento intestinale del colesterolo» suggerisce la dottoressa Manzi.

5. CIOCCOLATO, UN PECCATO DI GOLA CHE CI SI PUÒ CONCEDERE SPESSO Il cioccolato fondente al 70% o più, è ricco di flavonoidi, in grado di regolare la microcircolazione sanguigna e linfatica, favorire la protezione dei piccoli vasi venosi, proteggere il fegato e rinforzare il sistema immunitario. «A patto di non assumerlo insieme ai latticini perché la caseina impedisce l’assorbimento intestinale dei flavonoidi» sottolinea l’esperta.

6. FRITTO, BUONO E SALUTARE SE SI FA COSÌ «Tutte le diete vietano la frittura, nonostante sia un metodo di cottura che conserva benissimo molte vitamine e che, se fatta nel modo giusto, può contenere meno grassi di un’insalatona» dice la nutrizionista. Seguendo questi accorgimenti 100 g di frittura infarinata con farina di riso assorbirà circa 4 g di olio. «L’olio deve essere abbondante (1L ogni 100g di prodotto) e a una temperatura costante di 170°C; prima di friggere l’alimento, mettetelo a raffreddare in freezer, assorbirà la metà del grasso; il fritto andrà scolato bene e poi tamponato tre

volte in carta assorbente; infine, è importante evitare la formazione di sostanze dannose come l’acrilammide, sostanza cancerogena che si forma quando le impanature passano da dorate a marroncine».

7. CURCUMA E PEPE NERO, LE SPEZIE CHE INSIEME RIDUCONO IL GIROVITA «La curcumina vanta molte proprietà positive, abbassa il colesterolo, inibisce la formazione di cellule grasse, aiuta l’umore, ma il suo assorbimento intestinale è molto basso se non viene accostata alla piperina del pepe nero, che stimola i villi intestinali e ne aumenta l’assimilazione fino a duemila volte» consiglia l’esperta.

8. MENO LATTOSIO, PIÙ BENESSERE «Per la preparazione di dolci, meglio scegliere prodotti delattosati. Pur mantenendo gli stessi valori nutrizionali di quelli con lattosio, sono molto più dolci e consentono di aggiungere meno zucchero» dice la dottoressa Manzi. Contengono, infatti, un mix di zuccheri, glucosio e galattosio, che ha un potere dolcificante doppio rispetto al lattosio.

9. ERITRITOLO, IL DOLCIFICANTE NATURALE A 0 CALORIE, PER NON RINUNCIARE AI DOLCI Questo dolcificante naturale appartiene al gruppo dei polioli e si ottiene dalla fermentazione di

DOTT.SSA CHIARA MANZI Nutrizionista Esperta di Culinary Nutrition, Presidente Associazione per la Sicurezza Nutrizionale in Cucina.

zuccheri naturalmente presenti in frutta e altri vegetale. «Al contrario degli altri polioli ha zero calorie e non ha effetti lassativi. Ha un potere dolcificante pari al 70% del comune zucchero da tavola e non presenta alcun retrogusto. Non influisce sui livelli di glucosio e di insulina nel sangue, rendendolo adatto anche a chi soffre di diabete, non causa carie e si può usare per preparare dolci» spiega la nutrizionista.

10. INULINA, L’AMICA DI OGNI PIATTO Si tratta di fibra di cicoria che, se a catena lunga, è in grado di abbassare l’indice glicemico delle ricette e ridurre l’assorbimento di grassi e carboidrati. «È un prebiotico in grado di aumentare la densità di bifidobatteri e lattobacilli nel nostro intestino, riducendo la carica di batteri nocivi» conclude l’esperta.

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IN SALUTE

ALIMENTAZIONE

Frutta disidratata Un concentrato di benessere ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Come snack, prima o dopo l’allenamento sportivo o per una colazione energetica. La frutta disidratata, sempre più diffusa negli ultimi anni anche sugli scaffali dei supermercati, può davvero diventare un alimento versatile da gustare in diversi momenti della giornata. Come ci spiega la dottoressa Emanuela Mosca, biologo nutrizionista. Dottoressa Mosca, cosa si intende per frutta disidratata? La frutta disidratata è la frutta a cui è stata estratta una grande quantità di acqua tramite tecniche di disidratazione ed essiccazione, tra i metodi più antichi di conservazione. Ma ha gli stessi valori nutrizionali della frutta fresca? Il processo di disidratazione provoca qualche cambiamento dal punto di vista nutrizionale. Nella frutta disidratata alcune vitamine, in particolare quelle termolabili (vitamine del gruppo B e la vitamina

C), sensibili alle temperature elevate, si degradano e la loro concentrazione si riduce notevolmente. Il contenuto di acqua diminuisce (ne resta il 10-15%), aumenta il contenuto calorico, si concentrano gli zuccheri e minerali: i frutti disidratati sono particolarmente ricchi di potassio e magnesio. Sono ricchi di fibre e hanno pochi grassi a differenza della frutta secca (frutta oleosa in guscio come mandorle, noci e nocciole). Quali sono i frutti più utilizzati? I frutti tradizionalmente usati sono: uvetta, datteri, prugne, fichi, albicocche, pesche, mele, banane e frutti esotici come ananas, mango, papaya e bacche di goji (vedi box). Come preparare la frutta disidratata in casa? Per preparare la frutta disidratata in casa dobbiamo prima di tutto scegliere frutta di qualità e non troppo ricca di acqua (melone, fragole e anguria). I frutti non devono essere né troppo maturi, né troppo

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acerbi. Una volta identificata la frutta più adatta bisogna tagliarla in fette sottili e uniformi in modo tale da ottenere una disidratazione

AL SUPERMERCATO... ATTENZIONE ALL’ETICHETTA! La frutta disidrata si può trovare in comodi sacchetti al supermercato. Bisogna prestare attenzione però all’etichetta nutrizionale. È bene evitare la frutta trattata con anidride solforosa, un prodotto che permette di allungare la conservazione ma che assunto in dosi elevate può essere dannoso per il nostro corpo. Inoltre nelle preparazioni industriali vengono aggiunti zuccheri, saccarina o dolcificanti artificiali quando vengono utilizzati frutti di scarsa qualità.


DOTT.SSA EMANUELA MOSCA Biologo Nutrizionista con Laurea in Alimentazione e Nutrizione Umana Brignano Gera d’Adda (BG)

omogenea. Per mantenere un bel colore e rallentare l’annerimento conviene immergere le fettine cinque minuti in una soluzione di limone e acqua, successivamente asciugarle e disporle su una teglia. Per quanto riguarda i frutti di pic-

cole dimensioni possono essere disposti direttamente sulla teglia. Una volta disposti in modo ordinato sulla teglia (i frutti non devono essere a contatto tra loro), devono essere infornati a 40°C per alcune ore. Durante i periodi estivi è possibile essiccare la frutta in un posto soleggiato e ventilato, coperta da un telo. Per questa tecnica sono necessari dai 4 ai 7 giorni. È bene poi conservare la frutta così trattata in contenitori di vetro ermetici in un luogo fresco e asciutto e al riparo dalla luce per un periodo massimo di 6 mesi.

zioni: per rendere più energetica una colazione o per completare un’insalata (ad esempio le bacche di goji). Si può consumare in sostituzione della frutta fresca nelle situazioni in cui consumare la frutta sarebbe complicato. È ideale per gli sportivi, prima e dopo l’allenamento, per avere energia pronta all’uso.

Quando conviene mangiarla? La frutta disidratata è un alimento genuino che può rientrare in un regime alimentare sano come spuntino di metà mattina o pomeriggio, uno spezza-fame ricco di fibre. Può essere aggiunto a diverse prepara-

Chi deve fare attenzione al consumo? Chi soffre di diabete e patologie infiammatorie dell’intestino dovrebbe limitarne il consumo. I diabetici devono prestare attenzione alla frutta disidratata perché ha un indice glicemico piuttosto elevato. Per evitare l’insorgenza di picchi glicemici si consiglia di consumare frutta disidratata assieme a una quota di frutta secca oleosa (noci, nocciole, mandorle, pistacchi etc.) che aggiungono allo spuntino grassi e proteine in grado di ridurne l’impatto glicemico. Ovviamente non tutta la frutta disidratata ha lo stesso indice glicemico: le prugne secche, ad esempio, hanno un indice glicemico piuttosto basso. I datteri invece sono tra i frutti con il più elevato contenuto zuccherino. Anche chi soffre di patologie infiammatorie dell’intestino non deve abusarne, perché l’elevato contenuto di zucchero e di fibre potrebbe irritarne ulteriormente le pareti.

Le proprietà dei frutti più comuni I datteri disidratati sono frutti molto energetici, apportano infatti circa 250 kcal per 100 grammi, ma sono anche ricchi di sali minerali, tra cui ferro, rame e zinco, magnesio e potassio, minerali importanti per il sistema muscolare e nervoso. Le prugne, invece, hanno un indice glicemico più basso e sono ricche di fibre (7/100g.) con azione lassativa. Per ottenere la stessa quantità di fibre dovremmo invece mangiare 500 grammi di prugne fresche. L’ananas disidratato è un frutto molto ricco di vitamina C e sali minerali ed è particolarmente adatto per gli sportivi per il suo contenuto di magnesio e potassio, oltre che di zuccheri. Le bacche di goji, note per le loro proprietà benefiche che si esplicano soprattutto nella versione disidratata, sono antinfiammatorie, supportano il sistema immunitario, aiutano l’apparato cardiovascolare grazie al loro contenuto di polifenoli e antocianine.

Qual è la porzione ideale? La porzione consigliata di frutta disidratata è di 35-40 grammi rispetto ai 150 grammi raccomandati per la frutta fresca. Non bisogna quindi esagerare con le quantità.

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IN ARMONIA

PSICOLOGIA

Gruppi di Auto Mutuo Aiuto Quando l’unione fa (davvero) la forza ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Condividere lo stesso problema, scambiarsi esperienze e darsi supporto a vicenda per imparare ad affrontarlo meglio. È questo l’obiettivo dei gruppi di Auto Mutuo Aiuto. Nati storicamente tra ex-consumatori di sostanze, come droghe o alcool, oggi sono sempre più diffusi in diverse situazioni di disagio e diffi-

DOTT.SSA SERENA BIROLINI Psicologa e Psicoterapeuta a Bergamo e Pradalunga

coltà. Ne parliamo con la dottoressa Serena Birolini, psicologa e psicoterapeuta. Dottoressa Birolini, cosa si intende per Auto Mutuo Aiuto? L’Auto Mutuo Aiuto è una modalità molto efficace che permette a persone che condividono un’esperienza o una problematica simile, di incontrarsi, confrontarsi e offrirsi supporto di diverso tipo così da gestire al meglio la situazione. Le persone in questo modo aiutano loro stesse (Auto) e allo stesso tempo gli altri (Mutuo) ad affrontare una situazione critica e difficile. Questo tipo di supporto non sostituisce ma in molti casi si affianca a un percorso individuale di sostegno psicologico. Per capire di cosa si sta parlando, nella pratica, un gruppo di Auto Mutuo Aiuto (“gruppo AMA”) è composto da 10-12 persone che s’incontrano settimanalmente oppure ogni

15 giorni per un paio d’ore, sedute in cerchio: ognuno può decidere di parlare della propria situazione agli altri. Il gruppo non è gestito da un professionista (anche se spesso viene attivato da un operatore del sociale, assistente sociale, educatore, psicologo etc.), ma da uno o più facilitatori, persone che condividono lo stesso problema del gruppo e si occupano del rispetto delle regole e del mantenimento di un clima di fiducia e accoglienza di ciò che viene condiviso. Perché è così efficace nel far sentire meglio le persone? I gruppi AMA sono strutturati secondo regole pensate per favorire l’espressione di ognuno e l’aiuto reciproco fra i partecipanti. Innanzitutto, la partecipazione è gratuita, così che tutti possano

Perchè partecipare a un gruppo AMA > Per ricevere un ascolto attento e non giudicante rispetto alla propria problematica, avere uno spazio per sé che a volte può mancare altrove ed essere quindi prezioso. > Per ascoltare l’esperienza di altre persone che vivono una problematica simile, così da poter guardare alla propria da un diverso punto di vista, ricavandone spunti di riflessione, di gestione pratica e anche di cambiamento. > Per avere un supporto attraverso l’ascolto attivo degli altri membri del gruppo, di tipo sia emotivo sia pratico: spesso nascono amicizie e legami che durano nel tempo e aiutano a scongiurare uno dei fattori di rischio primari per l’essere umano, ovvero la solitudine e l’isolamento.


usufruirne. In secondo luogo, la privacy è garantita: ciò che accade e viene raccontato al gruppo, rimane all’interno del gruppo stesso. I gruppi inoltre sono piccoli, massimo 12 persone, in modo che tutti abbiamo il tempo di raccontare quello che sentono come importante e abbiano la possibilità di conoscersi in modo approfondito, e hanno una cadenza frequente così da facilitare la costruzione di relazioni stabili e di fiducia. Infine, un gruppo che funziona bene spesso è composto da persone che stanno iniziando ad affrontare il loro problema o situazione, da altre che hanno iniziato a capire come gestirlo al meglio e da altre ancora che l’hanno in qualche modo risolto o che non si trovano più in una situazione critica: ognuno può trarre vantaggio dalla relazione con persone che

si trovano in un punto diverso del percorso di aiuto. Quali tipologie di gruppo AMA ci sono in Italia e a Bergamo? Nel mondo e in Italia i primi gruppi con una struttura di Auto Mutuo Aiuto a nascere e diffondersi sono stati quelli legati alla dipendenza da alcol. Una delle più famose associazioni di questo tipo sono gli Alcolisti Anonimi. Successivamente, si è cominciato a sperimentare la stessa modalità d’incontro e di supporto anche per altre problematiche. Sono nati così gruppi di supporto per chi condivideva una disabilità fisica o malattie croniche invalidanti (ad esempio diabete, morbo di Crohn, cardiopatie etc.), oppure problematiche psicologiche, come ansia, depressione, disturbi alimentari. Oggi esistono anche gruppi che nascono attorno

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a esperienze di vita difficili da affrontare e che richiedono il supporto e la comprensione di altre persone che “ci sono passate”: gruppi AMA per chi ha subito un lutto (anche tipologie di lutto specifiche, come i gruppi per chi ha perso un figlio o per lutti legati a suicidi), per chi convive con persone affette da patologie degenerative (ad esempio morbo di Alzheimer o Parkinson), per chi ha affrontato o vuole affrontare un coming out rispetto al proprio orientamento sessuale, per genitori di ragazzi autistici o con difficoltà di apprendimento, per fare solo alcuni esempi. A volte il gruppo è composto da chi vive in prima persona una situazione, a volte dai suoi familiari o amici che in qualche modo si trovano ad affrontarla in modo diverso, a volte sono gruppi misti in cui sono presenti entrambe le categorie. A Bergamo sono presenti attualmente numerosi gruppi per chi sta affrontando una dipendenza (da alcol, sostanze o gioco d’azzardo) identificabili attraverso il sito dell’ATS della propria zona, e alcuni gruppi a tema lutto, depressione, ansia, separazione e divorzio, familiari e caregiver di persone con demenza. L’Associazione Auto Mutuo Aiuto Bergamo da anni si occupa di formare i facilitatori dei gruppi, di farne nascere di nuovi e supportare quelli esistenti che decidono di associarsi nei loro momenti di difficoltà. Altri riferimenti ai gruppi disponibili nella propria zona si possono trovare sul sito www.amalo.it.

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IN ARMONIA

COPPIA

Buoni propositi in due è meglio

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Con l’arrivo del nuovo anno, spesso ci ripromettiamo di eliminare “vecchie” cattive abitudini e di adottarne di nuove. Solitamente le promesse che ci facciamo riguardano la nostra salute, il denaro e la forma fisica. Quante volte però ci siamo ritrovati a gettare la spugna dopo poco tempo (o ancor prima di cominciare)? Per i molti che si riconoscono in questa descrizione c’è però una buona notizia: da recenti studi è stato dimostrato che essere in una coppia aiuti il singolo a porsi obiettivi a lungo termine e solitamente a portarli a termine. La vita di coppia, infatti, grazie anche all’adozione di sane abitudini con il partner, allungherebbe la vita e ridurrebbe il rischio di malattie cardiovascolari e ictus. Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Francesca Crotti, psicologa e consulente sessuale.

Dottoressa Crotti, potremmo dire che anche quando si tratta di mantenere buoni propositi l’unione, in questo caso di coppia, fa la forza? Assolutamente sì, ovviamente purché il rapporto sia sano e non coppie in cui la relazione è fonte di disagi e sofferenze. Alcuni studi, in particolare, si sono concentrati sull’efficacia del lavoro di coppia per smettere di fumare, uno dei classici “buoni propositi” d’inizio anno. Una ricerca dell’University College di Londra di qualche anno fa, che ha coinvolto 3.700 coppie sposate o conviventi da tempo di età superiore a 50 anni il cui stile di vita era poco salutare, a distanza di quattro anni ha riscontrato che molte di queste persone, nel corso del periodo osservato, hanno preso decisioni drastiche riguardo il proprio stile di vita, smettendo ad esempio di fumare. Il successo,

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secondo i ricercatori, sarebbe da attribuire proprio al sostegno del partner e al fatto che condividere una direzione comune rende più facile liberarsi dei vizi e assumere abitudini più salutari. Ad esempio è emerso che un fumatore ha il doppio delle possibilità di successo nel tentativo di abbandonare la sigaretta se il partner non fuma, possibilità che addirittura decuplicano se il partner è un fumatore che riesce a smettere di fumare. In altre situazioni è la condivisione di una forte motivazione che riguarda entrambi alla base del successo: ad esempio si rivela particolarmente efficace nei casi in cui la coppia cerca un figlio, poiché abolire il fumo protegge da aborti e malformazioni fetali (Wagijo MA, Sheikh A, Duijts L, Been JV. Reducing tobacco smoking and smoke exposure to prevent preterm birth and its complica-


tions. Paediatr Respir Rev. 2017 Mar;22:3-10). Non bisogna poi dimenticare che impegnarsi in una relazione romantica attiva il circuito mesolimbico dopaminergico che è lo stesso responsabile degli effetti gratificanti della nicotina. In questi casi è coinvolto il meccanismo della self-expansion (espansione di sé) in cui vi è una crescita personale che si esprime attraverso il partner. L’espansione del sé, derivante dall’esperienza potente e coinvolgente dell’amore romantico e passionale, mitiga la sindrome astinenziale (Xu X, Wang J, Aron A, Lei W, Westmaas JL, Weng X: Intense passionate love attenuates cigarette cue-reactivity in nicotine-deprived smokers: an FMRI study. PLoS One. 2012;7(7): e 42235). Il controllo da parte dell’altro, l’incoraggiamento reciproco e la continua motivazione sono un perno che aiuta a centrare gli obiettivi che ci si è posti. Studi simili sono stati effettuati anche per

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migliorare l’efficacia dell’esercizio fisico e la sua costanza. In che modo aiuta in questi casi essere in due? Molte persone non si dedicano all’attività sportiva perché non amano fare sport in solitaria e avrebbero bisogno di qualcuno che le sproni. Infatti è stato dimostrato da uno studio della Kansas State University che allenarsi insieme rende l’esercizio meno faticoso, aumenta la regolazione dello stato ormonale e il controllo della glicemia. Molto consigliati in questi casi sono la corsa, il risveglio muscolare e gli esercizi di fitness da praticare con attrezzature a casa o in palestra. Lo sport inoltre libera endorfina, un ormone responsabile del buon umore e degli stati d’animo positivi. Il benessere che ne deriva fa sì che nel nostro cervello si rafforzi la connessione tra questo stato d’animo e il fatto che ciò sia avvenuto mentre praticavamo dell’attività con il part-

ner. Questa associazione alla lunga consolida il legame all’interno della coppia. Questi sono solo alcuni esempi di come un legame di coppia sano, in cui si condividono buone abitudini, possa, tra le altre cose, anche elevarci a un livello successivo di benessere psico-fisico, migliorando allo stesso tempo la qualità del tempo trascorso con il partner.

DOTT.SSA FRANCESCA CROTTI Psicologa e consulente sessuale a Bergamo

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IN FAMIGLIA

DOLCE ATTESA

Gravidanza a rischio Come riconoscerla e cosa fare ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

«Il termine “rischio” in gravidanza è un concetto oggi di uso comune da parte delle donne soprattutto da quando Regione Lombardia ha deliberato l’istituzione del cosiddetto percorso BRO (Basso Rischio Ostetrico) negli ospedali lombardi. In pratica in tutti i punti nascita lombardi deve essere attivato un servizio di controllo della gravidanza a basso rischio e conseguentemente di assistenza al parto gestito esclusivamente dalle ostetriche e non dai medici specializzati in ostetricia i quali interverranno solo nelle gravidanze a rischio o quando la gravidanza e il parto si complicano». Chi parla è il dottor Claudio Crescini, ginecologo. Ci siamo rivolti a lui per approfondire il delicato tema della gravidanza a rischio, capire quando si può definire tale e cosa fare. Dottor Crescini, cosa significa “a rischio” in gravidanza? Il concetto di rischio è soltanto un calcolo statistico. In senso generale, soprattutto per i casi estremi,

il concetto di rischio è facilissimo da capire. Una ventenne sanissima, magra, con una gravidanza desiderata e insorta spontaneamente avrà sicuramente più probabilità di partorire senza problemi un bimbo normopeso e in buone condizioni rispetto alla ultraquarantenne primigravida sovrappeso con intolleranza al glucosio e con una gravidanza insorta con le tecniche di procreazione assistita. La prima donna potrà essere seguita tranquillamente da un’ostetrica, richiederà pochi esami e partorirà probabilmente senza “imprevisti” mentre la seconda dovrà essere seguita molto più attentamente da uno specialista in ostetricia, richiederà più esami e controlli e avrà più probabilità di partorire con un taglio cesareo, magari prima del termine. Parliamo invece di probabilità. Ciò non esclude che la nostra gravida ultraquarantenne possa invece avere una gravidanza perfetta con parto spontaneo, soltanto che avrà meno probabilità rispetto alla ventenne. È un po’ come la lotteria:

più biglietti compro, più probabilità (non certezza!) ho di vincere. Nel nostro caso purtroppo più fattori di rischio si hanno (età avanzata, sovrappeso, diabete gestazionale, gravidanza indotta etc.) più aumentano le probabilità di avere problemi. Quello che a noi interessa è calcolare per ogni singola gravida il rischio, cioè la probabilità, che possa accadere qualcosa di negativo o di pericoloso per lei e il suo bimbo. Quindi noi calcoleremo solo la probabilità statistica che questo possa avvenire e non la sicurezza che avvenga (per questo ci vorrebbe un indovino!). E come si calcola questa probabilità statistica? Vanno definiti i cosiddetti “fattori di rischio”, cioè quelle condizioni, quegli elementi che aumentano la probabilità che possa succedere qualcosa di negativo durante la gravidanza o il parto. I fattori di rischio per la gravidanza e il parto sono oggi ben conosciuti ed elen-

Inquadramento e controlli successivi per la sicurezza di mamma e bambino I fattori di rischio sono ben conosciuti dal personale sanitario che si prende cura della donna in gravidanza: durante il primo incontro si cerca proprio di verificare se sono presenti, quali sono e che peso possono avere sul decorso della gravidanza; nelle visite successive invece ci si accerta che non insorgano fattori di rischio come l’ipertensione arteriosa o l’aumento della glicemia o altri ancora e, nel caso si manifestassero, s’interviene con le conoscenze scientifiche di oggi. Questo è il motivo per cui oggi l’Italia ha i valori di mortalità materna e neonatale più bassi del mondo, addirittura un terzo di quelli degli USA e paragonabili alla Svezia e al Giappone. Naturalmente nessuno al mondo ha un valore uguale a zero come nessuno ha rischio zero di incidenti aerei.


cati in apposite tabelle grazie agli studi fatti su centinaia di migliaia di gravide in tutto il mondo. Quali sono i principali fattori di rischio? I fattori di rischio comprendono molte categorie. Alcuni sono ambientali: per esempio partorire in Sierra Leone è di per sé molto più rischioso che partorire in Italia. Altri sono sociali: partorire in età avanzata è più rischioso che in età giovanile e oggi in Italia l’età media è arrivata ai 32 anni e già questo di per sé rappresenta un fattore di rischio. Ci sono poi fattori di rischio personali come il sovrappeso, il fumo di sigaretta, l’assunzione di alcol, un lavoro faticoso o in un ambiente insano etc.. Anche la storia

ostetrica contiene dei fattori di rischio: per esempio avere avuto più tagli cesarei o aver avuto un’emorragia nel parto precedente. Inoltre, va sottolineato che alcuni fattori di rischio hanno un peso molto alto soprattutto se si associano tra loro (sovrappeso + età maggiore di 40 anni + diabete in trattamento con insulina). Ci sono poi, invece, fattori di rischio che possono insorgere inaspettatamente durante una gravidanza assolutamente normale e a basso rischio, come ad esempio la preeclampsia. Si tratta di una complicanza rara ed esclusiva delle donne alla prima gravidanza che si manifesta con un innalzamento della pressione arteriosa anche improvviso e molto elevato che insorge generalmente dopo la 20sima settimana. Per questo motivo chi segue una gravidanza insiste molto sui periodici controlli della pressione e, appena i valori superano i 140 mmHg per la massima e 90 per la minima, interviene

immediatamente con una terapia ipotensiva per evitare le gravissime conseguenze che possono derivare. In Italia le conseguenze della preeclampsia sono oggi molto limitate proprio per l’assistenza che viene garantita a tutte le gravide. Non così si può dire per i Paesi a basso reddito dove ancora si muore per le complicanze di questa “malattia” della gravidanza.

DOTT. CLAUDIO CRESCINI Specialista in Ostetricia e Ginecologia Vicepresidente AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani). Codirettore gruppo GEO (Gruppo emergenze ostetriche). Direttore Scientifico ASST BG Est


IN FAMIGLIA

BAMBINI FEBBRE

Scarlattina Perché non va sottovalutata

MAL DI GOLA

∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

È una delle malattie infettive del bambino cosiddette esantematiche, ovvero che provocano un’eruzione cutanea diffusa (esantema). Altamente contagiosa, di solito si presenta in forma non molto grave con sintomi che possono essere confusi con quelli di altre infezioni come morbillo, rosolia, quinta e sesta malattia. Parliamo della scarlattina, che è importante curare nel modo corretto per evitare complicazioni, come ci spiega il dottor Sergio Clarizia, pediatra. Dottor Clarizia, che tipo di malattia è la scarlattina? E da cosa è causata? La scarlattina è una malattia esantematica contagiosa causata da ceppi di Streptococco Beta Emolitico di gruppo A (SBEGA) che producono una tossina detta tossina pirogenica. La tossina pirogenica, nei bambini suscettibili, passa in circolo causando l’esantema e gli altri sintomi della malattia. Più frequente nei mesi invernali, colpisce in genere i bambini dopo il secondo anno di vita e non compare mai comunque prima del sesto mese. Come si trasmette? Per via aerea con le goccioline di saliva (tosse, starnuti etc.) da un bambino malato o portatore (emesse ad esempio con un colpo di tosse o semplicemente parlando). Il batterio penetra così attraverso le mucose delle vie aeree superiori e determina l’infezione, di solito a

LINGUA A LAMPONE

carico della faringe (faringite streptococcica). Quali sono i sintomi? Dopo una breve incubazione (2-5 giorni), la malattia compare in modo improvviso con febbre alta spesso accompagnata da brividi, nausea, vomito, mal di testa. Nell’arco di poche ore, compare l’esantema, inizialmente nella zona dell’inguine e delle ascelle per diffondersi poi rapidamente al tronco, alle braccia e alle gambe. Al volto, l’arrossamento delle guance contrasta con il pallore del naso e della zona intorno alla bocca. L’esantema da scarlattina, in particolare, è caratterizzato dalla comparsa di minuscole macchioline lievemente rilevate, di un colorito rosso acceso, che tendono a confluire tra loro conferendo alla pelle un colorito uniformemente arrossato (rosso vivo). La faringe e le tonsille risultano fortemente arrossate, mentre le linfoghiandole del collo sono tumefatte e dolenti. Dopo 24-48 ore la lingua assume l’aspetto della “lingua a lampone”: molto arrossata con papille gonfie. Infine, può essere presente essudato purulento (pus) peritonsillare. Dopo 3-4 giorni, l’eritema impallidisce, la febbre scompare e subentra una desquamazione della pelle a lamelle, soprattutto ai palmi di mani e piedi, che dura 10-20 giorni. Come si diagnostica, avendo sintomi simili ad altre malattie tipiche dell’infanzia?

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ESANTEMA

ERITEMA

La diagnosi della scarlattina è essenzialmente clinica. Gli esami di laboratorio dimostrano, come in tutti gli stati infiammatori, un aumento degli indici di flogosi (VES, PCR) e dei leucociti neutrofili. Altri batteri come stafilococchi e Yersinia enterocolitica, alcuni antibiotici e un gran numero di infezioni virali (mononucleosi, infezioni da Adenovirus, Enterovirus e Cytomegalovirus) possono dare talvolta manifestazioni cliniche simili a quelle della scarlattina. La diagnosi di scarlattina, quindi, viene confermata dal ritrovamento dello SBEGA nel tampone faringeo e dall’aumento degli anticorpi diretti contro lo streptococco (tipicamente il TAS). Risulta perciò di fondamentale importanza effettuare un tampone faringeo se c’è un dubbio diagnostico prima di iniziare una terapia antibiotica che potrebbe essere inutile considerando che una buona percentuale di tonsilliti sono di natura virale e l’antibiotico deve


esser dato solo quando realmente necessario. Come si cura? La cura della scarlattina, essenziale anche per prevenire le complicanze, va seguita per 10 giorni e consiste nella somministrazione di amoxicillina per bocca oppure di una singola iniezione di benzatin-penicillina. Il bambino può tornare a scuola dopo 24 ore di trattamento antibiotico. Quali possono essere le complicanze? Se non adeguatamente curata, la scarlattina può causare precocemente un quadro tossico generalizzato, per via dalla tossina pirogenica, che può coinvolgere il cuore, i reni, il fegato e le articolazioni. Come nelle più comuni infezioni da streptococco, si possono ma-

nifestare complicanze immunologiche tardive come la malattia reumatica e la glomerulonefrite acuta post-infettiva che richiedono poi una terapia antibiotica per diversi anni. Lo streptococco può anche causare ascessi tonsillari, otiti e sinusiti.

DOTT. SERGIO CLARIZIA Specialista in Pediatria Pediatra di famiglia a Bergamo e presso Politerapica Seriate


IN FAMIGLIA

RAGAZZI

La consulenza psicologica in adolescenza ∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

L’adolescenza è senza dubbio una tappa fondamentale nel processo di crescita, affascinante e ricca di grandi opportunità, ma al tempo stesso disorientante. È il momento delle inevitabili piccole e grandi crisi. A volte però i cambiamenti tipici di questa fase evolutiva portano con sé anche una certa dose di sofferenza che può manifestarsi in modi diversi, dal calo nel rendimento scolastico all’instabilità emotiva fino a comportamenti aggressivi verso gli altri ma anche verso se stessi. Ma come riconoscere situazioni di disagio? Cosa fare? E quando può essere utile farsi aiutare? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Elena Duchini, psicologa. Dottoressa Duchini, ma da quando e fino a che età si può parlare di adolescenza? La comunità scientifica concorda oggi nel collocare l’adolescenza

nella fascia d’età dai 12 ai 24 anni circa, un lasso di tempo molto più ampio rispetto al passato. Se in passato infatti l’uscita dall’adolescenza veniva fatta coincidere con il compimento della maggiore età o con il conseguimento del diploma di maturità, momento in cui ci si aspettava la “completa maturazione dell’individuo”, pronto ad affrontare una vita autonoma, oggi non è più così. L’evoluzione della società e la frequente prosecuzione degli studi e, quindi di uno stato di dipendenza dalla famiglia d’origine, fanno sì che la fase adolescenziale si prolunghi ben oltre il diciottesimo anno d’età. Che cosa succede in questa fase così impegnativa, sia per il ragazzo sia per chi gli sta vicino? L’adolescenza è un periodo di evoluzione e, in quanto tale, critico: ai cambiamenti fisici si associa

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il venire meno delle certezze e dell’equilibrio dell’età infantile, per affacciarsi verso una fase di transizione nel percorso di costruzione della propria identità. Per prima cosa è bene sfatare un “falso mito”: i cambiamenti comportamentali che si osservano nell’adolescente non sono legati alla cosiddetta “tempesta ormonale”, bensì allo

DOTT.SSA ELENA DUCHINI Psicologa Presso il Centro per l’Età Evolutiva di Bergamo


sviluppo del cervello del ragazzo. In adolescenza le emozioni possono emergere intensamente e repentinamente, senza l’effetto regolatore della corteccia prefrontale, quell’area del cervello deputata alla modulazione delle attivazioni emotive. I cambiamenti cerebrali che interessano la mente adolescente sono alla base di quattro caratteristiche che contraddistinguono gli adolescenti: la ricerca della novità, il coinvolgimento sociale, la maggiore intensità emotiva e l’esplorazione creativa. Quando può essere utile pertanto rivolgersi a uno specialista? La consulenza clinica può essere richiesta ogni volta che il ragazzo, o le figure adulte che lo circondano, percepisca un forte stato di disagio. Tale sofferenza può essere condivisa dall’adolescente, ma spesso si manifesta indirettamente, sotto

forma di ansia, scoppi di rabbia, calo del rendimento scolastico, apatia. La comparsa di cambiamenti significativi nella routine dell’adolescente nei diversi contesti di vita (scuola, famiglia, amici, sport) può rivelarsi un campanello d’allarme: le manifestazioni sintomatologiche possono essere molteplici, dall’incremento di conflitti intra o extra familiari al ritiro sociale, dalla messa in atto di comportamenti trasgressivi (atti auto o eterolesivi, uso di sostanze) fino a sintomatologie più specifiche (fobie, attacchi di panico, disturbi alimentari, ossessioni e compulsioni, dipendenza da internet). Cosa fare in queste situazioni o in caso di dubbio? Per i genitori di un adolescente è possibile richiedere una consulenza specialistica a un professionista, il quale procederà a un’attenta raccolta anamnestica e a un’accurata

analisi del problema, a partire dal punto di vista delle figure adulte che ruotano intorno al ragazzo. Successivamente, se ritenuto opportuno, si potrà effettuare insieme al giovane un percorso di valutazione psicodiagnostica, utile ad approfondire la tipologia e l’intensità del problema e stimare il livello di consapevolezza dell’adolescente in merito a tali difficoltà. Per i giovani maggiorenni è possibile invece richiedere direttamente un colloquio. Al termine del percorso psicodiagnostico il professionista condividerà con la famiglia gli esiti della valutazione e concorderà insieme alle figure coinvolte nella consulenza se proseguire con il percorso di presa in carico. In base al problema rilevato, verranno delineati e presentati gli interventi più idonei, al fine di aiutare il giovane a “disincagliarsi” dallo stato di crisi vissuto, valorizzando le risorse a sua disposizione.

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Perdita di memoria quando preoccuparsi ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Non è raro che il geriatra, durante una visita, senta pronunciare dai suoi pazienti frasi come: “dottore, inizio a non ricordare alcune cose”, oppure “dottore, sento che la memoria non è più quella di prima”. Il medico, a quel punto, deve valutare se la persona che ha di fronte presenti davvero problemi cognitivi oppure

se si tratti solamente di qualche dimenticanza correlata all’avanzare dell’età. «Il paziente vive con preoccupazione il momento della visita, poiché accettare di sottoporsi a una valutazione geriatrica con l’obiettivo di approfondire eventuali problemi a carico della memoria potrebbe significare il dover accettare un’eventuale diagnosi di de-

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menza» osserva la dottoressa Sara Zazzetta, geriatra. «Un paziente consapevole dei propri deficit è, tuttavia, una persona collaborante al percorso di cura, fattore che rappresenta un indubbio vantaggio sia per il paziente stesso sia per il medico. La consapevolezza delle proprie problematiche di memoria è, contrariamente a quanto si pos-


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questo disturbo può infatti negare il deficit, oppure può riconoscerne la presenza ma magari dargli poca importanza, disinteressarsene e non considerare le conseguenze che da questo potrebbero derivare. Quali sono le origini di questo disturbo? Attualmente vi sono diverse teorie neuropsicologiche per spiegare l’anosognosia: alcuni studi, attraverso l’utilizzo di diverse tecniche di neuroimmagine (risonanza magnetica o PET), hanno evidenziato l’esistenza di un’associazione tra l’anosognosia e la disfunzione di alcune aree del cervello situate nelle regioni frontali e temporali, soprattutto del lobo destro in seguito, appunto, a un danno come nei casi di ictus. Secondo altre teorie, invece, l’anosognosia sarebbe un meccanismo di difesa simile alla negazione, individuandone quindi la causa più su un piano neuropsicologico. Attualmente pare che la causa di questo disturbo sia multifattoriale, ovvero determinata dalla somma dei fattori descritti dalle diverse teorie a oggi esistenti. Quali sono le difficoltà nel prendersi cura e nello stare vicino a una persona che soffre di anosognosia? Quali le attenzioni da adottare? L’ anosognosia può essere un ostacolo all’attuazione di un adeguato percorso riabilitativo, oltre che un elemento di rischio oggettivo. La non coscienza dei propri limiti può infatti indurre questi pazienti a compiere azioni potenzialmente pericolose per se stessi e per chi li circonda. Un esempio molto frequente è il rifiuto, da parte del malato anosognosico, della presenza di una badante, perché ritiene di

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DOTT.SSA SARA ZAZZETTA Specialista in Geriatria Ospedale Briolini Gazzaniga ASST-Bergamo Est

potersi occupare della sua quotidianità pur non essendo, nei fatti, in grado di svolgere azioni semplici quali prendere le medicine, vestirsi in autonomia o cucinare un pasto. C’è, infine, un ulteriore aspetto da non sottovalutare: chi assiste un paziente anosognosico deve porre attenzione a non enfatizzarne i fallimenti, poiché la persona malata potrebbe sentirsi criticata irragionevolmente. In queste circostanze, a causa del declino cognitivo e della scarsa capacità di controllo emotivo, il paziente potrebbe essere turbato e aggressivo, anche fisicamente, peggiorando di conseguenza il clima assistenziale. Se dovesse presentarsi qualche incertezza sul piano cognitivo è importante consultare un geriatra o un neurologo. Questi specialisti sono in grado, attraverso un’attenta valutazione delle peculiarità di ogni singolo caso, di arrivare a un corretto inquadramento diagnostico del disturbo. Ricordandosi che, anche qualora lo specialista confermasse la presenza di un decadimento cognitivo, l’esserne consapevoli aiuta il paziente e la famiglia nell’impostare un adeguato percorso di cura.



IN FORMA

FITNESS

∞  A CURA DI MARIA CASTELLANO

Fitness a casa I consigli per renderlo efficace e sicuro Con le palestre chiuse da mesi sono tanti gli italiani e le italiane che hanno iniziato a fare attività fisica a casa o all’aria aperta. Un’abitudine sicuramente salutare a patto di farla nel modo giusto. Alcuni si sono affidati a tutorial o corsi online, quelli più esperti invece hanno ricreato la loro routine di allenamento in versione domestica. Ma quali sono i vantaggi e gli svantaggi rispetto alla palestra? E come fare per rendere l’allenamento casalingo davvero efficace anche se si è sprovvisti di particolari attrezzature? Ce lo spiega Giacomo Strabla, personal trainer.

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di allenarsi a casa o all’aria aperta? I vantaggi sono: > non dover condividere spazi, attrezzi e momenti dedicati agli allenamenti con altri, situazione più riservata e per certi aspetti comoda; > non doversi spostare, con relativo risparmio di tempo ed economico. Gli svantaggi, invece: > nella maggior parte dei casi la mancanza di attrezzature o comunque il basso assortimento di attrezzi con conseguente ridotta possibilità

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LE REGOLE D’ORO, ANCHE A CASA Eseguire sempre un buon riscaldamento generale. Cercare di generare la giusta intensità in base alle tue condizioni fisiche e al tuo obiettivo nella parte allenante del training. Chiudere le sedute con un adeguato defaticamento. Mantenere, a seconda degli obiettivi, una frequenza media di tre sedute settimanali. Ricordarsi che, sempre a seconda degli obiettivi, i tempi medi richiesti per un buon allenamento variano da 30 a 90 minuti a sessione.


di eseguire esercizi e varianti di esercizi; > spazi ridotti spesso al minimo indispensabile; > rischio di essere disturbati durante l’allenamento da familiari, animali domestici, telefono etc. > mancanza di assistenza diretta di un trainer. Fatta questa premessa, quali sono le possibilità di praticare esercizio fisico tra le mura di casa? Iniziamo dalla situazione più comune alla maggioranza delle persone: nessun attrezzo a disposizione e magari anche poco spazio dove poter svolgere esercizio. Molti di voi pensano che in queste condizioni non sia possibile allenarsi. Sbagliato. L’esercizio a corpo libero è di estrema importanza soprattutto se non ci si è mai cimentati più di tanto in questo tipo di allenamenti. Un’altra possibilità si presenta per quelle persone che sono già in possesso di qualche attrezzo o hanno la disponibilità/volontà di acquistarne. Nella maggior parte dei casi questi attrezzi sono semplici cyclette, tapis roulant, macchinari ellittici, step, qualche coppia di manubri, bilancieri con dischi, panche per addominali etc.. Ci sono poi altri casi, inferiori numericamente, in cui si hanno a disposizione delle vere palestre da casa con tanto di attrezzature isotoniche. È ovvio che più attrezzi ci sono più aumenta la possibilità di eseguire varianti

L’aspetto motivazionale gioca un ruolo di estrema importanza, ancora di più quando si tratta di trovare la costanza per allenarsi da soli e a casa. Il primo punto per trovare la giusta motivazione può essere ricordarsi che il benessere psico-fisico si ottiene grazie a uno stile di vita sano che include inevitabilmente una pratica adeguata e costante dell’attività fisica. Altri punti chiave possono essere, ad esempio, porsi obiettivi ben definiti da raggiungere e imporsi delle scadenze per raggiungerli” di esercizi, combinazioni di esercizi e creare così degli allenamenti che possano stimolare il corpo in modo continuo e duraturo nel tempo. Il fattore chiave però non sono le attrezzature bensì il sapere come muoversi, come allenarsi. E come fare allora? Per lavorare correttamente e segui-

GIACOMO STRABLA Personal Trainer A Telgate (BG)

re un programma che vada bene per la propria situazione e condizione fisica il consiglio è affidarsi a persone qualificate. Non sempre questo però è possibile e così ci si deve “ingegnare”. Metodi molto utilizzati sono seguire dei video online senza un trainer che possa vedere quello che si sta facendo o seguire programmi d’allenamento tramite le varie app. Queste soluzioni sono delle armi a doppio taglio. Possono infatti essere valide solo per chi è già esperto nel settore e quindi è in grado di eseguire correttamente tutto quello che viene proposto proprio perché ha già superato diversi livelli di preparazione e ha assimilato correttamente almeno le basi degli esercizi fondamentali. A tutti gli altri invece questo approccio è sconsigliabile. Un esempio concreto che può rendere l’idea è lo squat a corpo libero: movimento base alla portata di tutti, è un esercizio importante e produttivo ma allo stesso tempo


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difficoltoso da imparare per molte persone, solitamente quelle che non hanno avuto molto feeling in precedenza con l’attività fisica. Queste persone quasi sempre iniziano l’esercizio di piegamento sulle gambe (squat a corpo libero) muovendo prima le ginocchia e poi le anche mentre la meccanica del movimento corretto è opposta, prima si muovono le anche e poi le ginocchia. Seguire un video che non mostra questi primi passaggi fondamentali eseguendo decine e decine di ripetizioni errate di questo esercizio porterà nel

breve-medio periodo molto probabilmente ad avere problematiche articolari che inevitabilmente porteranno il praticante a smettere di allenarsi. Risultato? Il fallimento del percorso con conseguente delusione e frustrazione. Un’ottima soluzione, soprattutto per chi ha qualche problema fisico e necessita di assistenza continua, invece è seguire lezioni online in cui l’allenatore/istruttore vede quello che si sta facendo. È come essere in palestra insieme solo che ci si trova a distanza. Basta una semplice videochiamata con una delle

molte piattaforme a disposizione e il gioco è fatto. In questo caso se si sbaglia qualche movimento il trainer interviene correggendo l’esecuzione: questo è un aspetto che può fare davvero la differenza. Un’altra alternativa valida per chi frequentava una palestra è farsi preparare un programma d’allenamento personalizzato dal trainer che già lo affiancava in palestra. Il trainer in questi casi, conoscendo la persona, proporrà esercizi appresi correttamente dal praticante che non necessiterà quindi di assistenza continua.

Programma di tonificazione total body Se gli obiettivi non sono incentrati solo sull’aumento della massa muscolare ma sulla tonificazione generale, l’ideale è dotarsi di un kettlebell e di un suspension trainer (fasce che permettono di allenarsi in sospensione). Con queste due attrezzature è possibile completare gli allenamenti a corpo libero e avere una palestra racchiusa in pochissimo spazio. Ecco allora un esempio di allenamento total body con frequenza trisettimanale. Lunedì e Venerdì Riscaldamento a corpo libero: 4’ mobilizzazione generale + 1’ di jumping jack. Ripetere 2 serie no stop. Squat (per i più allenati squat jump) 2x10 Affondi alternati (per i più allenati affondi jump o pistol squat) 2x10 (2x5+5x gamba) Swing con kettlebell 3x1’ Piegamenti braccia con Trx 3x10 Trazioni con Trx 3x10 Push press con Kettlebell 3x10x braccio Plank 2 braccia-braccio dx-braccio sx 3x30”-15”-15” Camminata/corsa 5’/10’ Defaticamento con mobilizzazione generale e stretching 5’/10’ Recuperi tra le serie da 30” per i più allenati fino a 90” per i meno allenati Tempo totale di allenamento, a seconda dei recuperi, da 50’ a 80’. Mercoledì Riscaldamento a corpo libero: 4’ mobilizzazione generale + 1’ di skip o camminata/corsa calciata sul posto. Ripetere 2 serie no stop. 30’ di camminata a ritmo sostenuto o corsa o pedalata Defaticamento con mobilizzazione generale e stretching 5’/10’ Tempo totale di allenamento 45’/50’.

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IN FORMA

BELLEZZA

Filler dinamici La nuova generazione di filler per risultati sempre più naturali ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

È stato anche nel 2020 il trattamento di medicina estetica più richiesto, nonostante l’emergenza sanitaria, il lockdown e lo smart working. Anzi, secondo gli esperti, proprio grazie alla forzata permanenza in casa, alle videocall, al continuo vedere i propri inestetismi riflessi non solo allo specchio ma anche attraverso la webcam. Parliamo deI filler, microiniezioni di sostanze riempitive riassorbibili, solitamente a base di acido ialuronico, per correggere inestetismi come rughe e linee di espressione, rendere le labbra più carnose e turgide, rimodellare il contorno del viso senza bisturi.«L’acido ialuronico è l’elemento chiave della cute, riempie gli spazi tra le cellule, nutre e contribuisce a mantenere il tur-

gore dei tessuti. Il passare degli anni però causa un graduale impoverimento di acido ialuronico, oltre che di elastina e fibre di collagene, con conseguente riduzione del tono e della luminosità della cute e la formazione di rughe. Ristabilire la giusta concentrazione di acido ialuronico oggi è possibile grazie a protocolli ben standardizzati, suddivisi in trattamenti di bioristrutturazione (cocktail di acido ialuronico, aminoacidi, vitamine), uniti a trattamenti con filler oggi definiti “dinamici”» osserva la dottoressa Concetta Borgh, chirurgo plastico e medico estetico. Dottoressa Borgh, cosa si intende per filler dinamici? I filler dinamici sono più elastici

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GLI EFFETTI DELL’INVECCHIAMENTO SULLA PELLE Il processo d’invecchiamento si basa su tre livelli a cui si associano tre effetti: > la cute si assottiglia, perdendo idratazione ed elasticità e quindi formazione di rughe; > la riduzione del grasso sottostante determina rilassamento dei tessuti con perdita di definizione dello zigomo; > lo scheletro osseo subisce un progressivo riassorbimento con conseguente perdita dei volumi, ridotta proiezione della regione mentoniera o dell’angolo mandibolare.

di quelli tradizionali, capaci di integrarsi nei tessuti, senza condizionarne i movimenti e salvaguardando l’espressività. Un filler deve avere caratteristiche ben precise: in primis essere coesivo, quindi capace di non dissociarsi ma anche di integrarsi bene nei tessuti. I risultati della medicina estetica oggi devono essere naturali ma visibili, nel


rispetto dei tratti naturali di ogni viso e della sua capacita mimica. Sempre maggiore attenzione, quindi, viene data alla funzione dinamica che il compartimento muscolare del viso produce sulla cute e sugli effetti che questo determina nel tempo. Ci può fare qualche esempio del loro utilizzo? A livello periorale “codice a barre”, perioculare “zampe di gallina”, zone di difficile trattamento a causa del sottile strato di cute e della notevole attività muscolare sottostante, il trattamento standard spesso può determinare un’ipercorrezione non desiderata, depositi cordoniformi (che al tatto danno la sensazione di cordocini), formazione di nodulini. Per questo in genere per le piccole rughe superficiali e dinamiche si preferisce un filler a base di acido ialuronico cosiddetto debolmente reticolato, che ha

un’azione più idratante e meno riempitiva, preservando la mimica facciale. E per le rughe meno superficiali? L’ideale sarebbe riempire la ruga e limitare l’azione del muscolo di riferimento: esistono filler che coniugano queste due proprietà, da un lato riempiono la ruga e dall’altro, con componenti aggiuntive, modulano l’azione dei muscoli sottostanti. Le caratteristiche funzionali e dinamiche del prodotto lo rendono specifico e selettivo per il trattamento del “codice a barre”, rughe radiali del labbro, che sono di natura sia dinamica sia statica. Si può dunque parlare di filler dinamico, in quanto s’integra perfettamente nei tessuti e si adatta agli stessi e al loro movimento non essendo percepito come un corpo estraneo. È inoltre un filler funzionale grazie all’azione miori-

DOTT.SSA CONCETTA BORGH Specialista in Chirurgia Plastica e Medico Estetico Centro Medico M.R. di Bergamo

lassante e di modulazione dell’attività muscolare che avviene nei giorni successivi al trattamento. La nuova concezione di filler apre, quindi, numerose possibilità sull’utilizzo di filler in aree difficili, sottoposte all’azione forte dei muscoli sottostanti.

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Crespelle senza grano Primo piatto con patè di broccoli Difficoltà di preparazione Facile

Tempo di preparazione 30 minuti

Calorie a persona

INGREDIENTI per 4 persone Per le crespelle: 120 g... Farina di riso (si può sostituire una parte con saraceno) 1............ Uovo 20 g..... Olio d’oliva qb......... Sale Per il patè: 400 g.. Broccoli cotti a vapore 1............ Cipolla dorata tagliata finemente 50 g..... Panna di soia o olio oliva 10......... Anacardi tostati qb......... Sale e pepe Per la salsa al prezzemolo 1............ Mazzetto di prezzemolo qb......... Sale e olio d’oliva

450 Kcal PREPARAZIONE

GIUSI PESENTI Cuoca Presso il Ristoro de Il Sole e la Terra di Bergamo

Crepes. Sbattere l‘ uovo con una frusta, aggiungere il sale, l‘acqua e l’olio, infine la farina facendola cadere a pioggia poco alla volta, rimestando con la frusta. Preparare oliata una padellina antiaderente e cominciare a preparare le crepes. Cuocerle un minuto e mezzo circa per lato. Lasciarle freddare prima di farcire. Patè. Cuocere i broccoli a vapore finché son morbidi ma non troppo cotti. Stufare la cipolla con dell’olio ed un pizzico di sale, tostare gli anacardi per 7/10 minuti in forno a 170 gradi e farli raffreddare. Frullare i broccoli con la cipolla aggiungendo la panna e gli anacardi, aggiustare di sale e pepe. Farcire ogni crespella con una cucchiaiata di patè e poi preparare una salsa. Salsa. Frullare le foglie di prezzemolo con sale e poco olio alla volta fino a creare una salsa, tenere i gambi , lessarli ed utilizzarli per chiudere le crepes farcite con il patè di broccoli. Riporre la crespella al centro del piatto e con l’aiuto di un cucchiaino o un dosatore decorare con la salsa.

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RUBRICHE

ALTRE TERAPIE

Training autogeno: l’arma “dolce” contro lo stress… E non solo ∞  A CURA DI VIOLA COMPOSTELLA

Contro lo stress, per migliorare la concentrazione, per recuperare le energie psico-fisiche. Sono questi solo alcuni dei benefici del training autogeno, tecnica di rilassamento ideata nella prima metà del Novecento dal neurologo e psichiatra austriaco Johannes Heinrich Schultz, oggi diffusa in tutto il mondo. Ma come si pratica? In cosa consiste? E quali benefici offre? Scopriamolo insieme alla dottoressa Mara Marini, psicologa e psicoterapeuta. Dottoressa Marini, che cosa è il training autogeno? È una tecnica di rilassamento che consiste in una serie di esercizi di concentrazione che si focalizzano su diverse zone corporee, allo scopo di ottenere un generale stato di rilassamento sia a livello fisico sia psichico. La caratteristica fondamentale di questo metodo è la possibilità di ottenere, attraverso esercizi “mentali”, delle reali modifiche corporee, che a loro volta sono in grado di influenzare la sfera psichica dell’individuo. Il training autogeno lavora su tre differenti

piani: fisico, psichico e fisiologico (sistema nervoso vegetativo ed endocrino). Come si svolge una sessione? Il training autogeno prevede l’insegnamento preliminare di alcune posizioni corporee, da sdraiati e da seduti, che possano facilitare la successiva acquisizione degli esercizi di rilassamento. È costituito da una serie di esercizi standard, che agiscono su sei distretti fisiologici: muscolare, vascolare, cardiaco, respiratorio, addominale e cefalico. Il training autogeno insegna la modalità della passività, dell’abbandono passivo, dell’ascolto del corpo e della mente. È sufficiente disporre la mente alla passività, perché il corpo riprenda a distendersi, recuperare energia e auto-rigenerarsi. Si può praticare da soli? L’obiettivo di Schultz era proprio quello di rendere la persona autore del proprio cambiamento e del proprio benessere. Come indica il nome stesso, il training autogeno è una tecnica di “allenamento” che “si genera da sé”: l’individuo la mette

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in pratica in prima persona sotto la guida di un esperto. Una volta appresi gli esercizi, possono essere praticati da soli. Può essere definito

COME FUNZIONA Il training autogeno è costituito da due serie di esercizi: > ciclo inferiore o somatico; > ciclo superiore o psichico. Il lavoro principale si focalizza sul ciclo inferiore, i cui esercizi sono sei (due fondamentali e quattro complementari) da eseguirsi dopo l’esercizio introduttivo, chiamato l’esercizio della calma: > esercizio della pesantezza; > esercizio del calore; > esercizio del cuore; > esercizio del respiro; > esercizio del plesso solare; > esercizio della fronte fresca.


DOTT.SSA MARA MARINI Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale Collabora con la Fondazione Angelo Custode presso i Consultori Familiari “Zelinda” di Trescore Balneario, “Basso Sebino” di Villongo e l’IDR Angelo Custode di Predore.

un metodo di “autorilassamento”. Essendo una tecnica, perché risulti efficace deve rispettare precise regole e applicazioni ripetute nel corso del tempo.

In quali casi può essere utile? La pratica del training autogeno ha tra le sue principali finalità un maggior controllo dello stress, dell’ansia, una riduzione generale della tensione emotiva e il recupero delle energie. È utile inoltre, in tutte quelle patologie in cui l’aspetto psicosomatico è rilevante come insonnia, emicrania, asma, ipertensione, malattie della pelle. Oltre a questo, può svolgere un ruolo positivo anche in molti altri contesti: > in campo sportivo, per gli atleti, poiché favorisce il recupero di energie, permettendo una migliore gestione delle proprie risorse; migliora la concentrazione e contribuisce al conseguimento di alte prestazioni; > in campo scolastico, per migliorare la memoria e la

tranquillità nel sostenere gli esami; > in campo lavorativo, per migliorare la capacità di prendere decisioni, gestire le pressioni o l’ansia da prestazione; > in campo artistico, soprattutto per migliorare l’attenzione e la sicurezza d’esecuzione. Ci sono controindicazioni? Pur essendo molto versatile, questa tecnica è sconsigliata in persone che soffrono di disturbi psicotici e depressivi. È inoltre controindicata in persone con problemi cardiaci, soprattutto se hanno avuto un infarto del miocardio negli ultimi sei mesi. Le donne in stato di gravidanza possono avvicinarsi alla tecnica adottando alcune modifiche nell’esecuzione di alcuni esercizi.

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RUBRICHE

GUIDA ESAMI

Tomografia Computerizzata Cone Beam Immagini 3D ad alta definizione per cure odontoiatriche sempre più precise

∞  A CURA DI GIULIA SAMMARCO

Ottenere immagini delle arcate dentarie precise e di altissima qualità, in brevissimo tempo ed esponendo il paziente a basse dosi di radiazioni. Oggi tutto questo è possibile grazie alla Tomografia Computerizzata Cone Beam, una tecnologia avanzata che, a differenza della TC tradizionale o dalla radiografia panoramica dentale, permette di ricostruire un’immagine tridimensionale del cranio fornendo maggiori e più dettagliate informazioni della struttura anatomica presa in esame. Ne parliamo con il dottor Federico Previtali, odontoiatra. Che tipo di esame è la Tomografia Computerizzata Cone Beam? La Tomografia Computerizzata Cone Beam (CBCT) è una tecnica di imaging medico che consiste nella realizzazione di una tomografia (ndr. rappresentazione a strati) computerizzata in cui la sorgente di raggi X emette un fascio di raggi a forma di cono. Dopo l’introduzione dell’ortopantomografia bidimensionale (panoramica) negli anni Sessanta, verso la fine

degli anni Settanta nasce il primo scanner tomografico volumetrico tridimensionale. I primi utilizzi in ambito di diagnosi dento-facciale risalgono alla metà degli anni Novanta, ma è solo dai primi anni del Duemila che se ne diffonde l’uso in odontoiatria. Come funziona? Lo scanner ruota intorno alla testa del paziente ottenendo 600 immagini che vengono inviate a un software che ricostruisce il tutto in forma tridimensionale e permette di analizzare i settori interessati del distretto cranio-facciale. Il fascio conico permette a ogni esposizione di coprire l’intero campo di vista (field of view) e di acquisire una serie di immagini bidimensionali in un unico giro. Il fascio di raggi è emesso in modo da ridurre l’esposizione del paziente. Il field of view può essere modulato a seconda del settore da analizzare (mascella, mandibola) modificando l’ampiezza del cono ed evitando esposizione inutile a radiazioni quando non necessario. Il software, poi, ricostruisce l’immagine attraverso un algoritmo detto di retroproiezione

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filtrata per risalire alla forma esatta dell’oggetto analizzato. È possibile visualizzare la parte anatomica esaminata su diversi piani, coronale, sagittale e assiale. Qual è il suo utilizzo nella diagnostica odontoiatrica? La CBCT è utile in molte situazioni poiché fornisce maggiori informazioni rispetto alle radiografie bidimensionali (ortopantomografia e teleradiografia), grazie a misure molto precise dell’anatomia.

DOTT. FEDERICO PREVITALI Odontoiatra A Bergamo e Zogno


Inoltre, le dosi di radiazioni sono minori rispetto alla TC tradizionale. Con la CBCT è possibile eseguire uno studio accurato delle componenti ossee e dell’articolazione temporo-mandibolare (erosioni, anchilosi, fratture, osteofiti, posizione dei condili articolari), dei seni paranasali, di traumi facciali, di patologie mascellari come cisti e tumori, la cui visualizzazione in un’immagine bidimensionale potrebbe essere limitata. In chirurgia estrattiva si utilizza per visualizzare precisamente forma e posizione di denti inclusi e semi-inclusi e la relazione con le strutture circostanti.

In ortodonzia può essere utile per la pianificazione del trattamento in casi di denti ectopici (situati, per anomalia congenita, in sede diversa da quella normale) e inclusi e di asimmetrie facciali. In endodonzia è indicata in casi di riassorbimento osseo da patologia parodontale e per la visualizzazione di parodontiti apicali e canali accessori in denti multiradicolari. Uno degli impieghi principali è poi la pianificazione in chirurgia implantologica. L’inserimento di impianti nell’osso deve rispettare le strutture anatomiche in prossimità dei siti implantari (nervo mandibolare, seni mascellari). Con immagini bidimensionali si possono verificare sovrapposizioni di immagini, mentre con immagini tridimensionali e la proiezione su asse sagittale, coronale e assiale viene fornita la localizzazione esatta delle strutture anatomiche, le misure precise di lunghezza e spessore dell’osso, oltre a indicazioni sulla densità ossea. Può essere, infine, un aiuto per interventi di recupero dell’altezza dell’osso in casi di osso insufficiente e di rialzo del seno mascellare, mentre è basilare per interventi di implantologia computer-guidati.

IL PRIMO PASSO PER PIANIFICARE INTERVENTI DI IMPLANTOLOGIA COMPUTER GUIDATA La Tomografia Computerizzata Cone Beam, associata a un software specifico per l’implantologia, può fornire le indicazioni necessarie per pianificare ogni tipo di intervento per poter scegliere tipo, diametro e lunghezza ideale degli impianti, grazie alla possibilità di valutare virtualmente l’inserimento di impianti di diverse dimensioni e posizionati a diverse angolazioni per osservare il risultato nei diversi piani dello spazio, predicendo anche le direzioni corrette da seguire.


RUBRICHE

ANIMALI

Sport a 6 zampe

PAOLO BOSATRA Istruttore cinofilo professionista

Dalle camminate al canicross: quando il cane diventa il compagno ideale per fare attività fisica ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Oltre a essere diventato sempre più un membro a tutti gli effetti delle nostre famiglie, il cane è oggigiorno sempre più “coinvolto” nelle nostre faccende. È sempre più frequente che ci accompagni in vacanza, al ristorante e perfino a fare la spesa. Un risvolto davvero interessante di tutto questo è il fiorire di nuove attività “outdoor” da svolgere insieme nel tempo libero, dalle camminate a sei zampe alle autentiche discipline sportive come il “canicross”. Anche nella nostra Provincia infatti vengono organizzate diverse camminate, con l’intento di promuovere il territorio ma anche favorire la socializzazione e l’interazione uomo-cane, oltre al benessere di entrambi. Ma tutti i

cani possono “prestarsi” a questo tipo di attività? E come prepararsi? Lo abbiamo chiesto a Paolo Bosatra, educatore cinofilo professionista. Come arrivare preparati a questi eventi? Innanzitutto il cane deve essere ben educato e socializzato, oltre che ovviamente un po’ allenato... In primis va ricordato che, ovviamente, in questi eventi si deve rispettare la legge, pertanto i cani vanno sempre tenuti al guinzaglio, e bisogna avere una buona condotta; “piede-passo” è basilare, a prescindere dall’andatura con cui decidiamo di effettuare il percorso: immaginatevi di fare otto chilometri di mulattiere con un cane di gros-

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sa taglia che tira in continuazione, povere le vostre spalle! Personalmente consiglio di utilizzare una pettorina, molto più confortevole del collare. In secondo luogo è importante che il cane tolleri bene la presenza costante di altri suoi simili, anche se in ogni caso va sempre tenuta una piccola distanza di sicurezza: alcuni cani quando sono al guinzaglio tendono a essere più nervosi, spesso perché protettivi nei confronti dei proprietari. Proprio per questi motivi, unitamente al fatto che il cane è ormai un membro rispettabile della nostra comunità, consiglio vivamente a chiunque accolga un nuovo amico a quattro zampe, di fare un buon percorso di educazione.


Il cane e l’attività sportiva: istruzioni per l’uso ∞  A CURA DI MARCO LORENZI E JACOPO RIVA, MEDICI VETERINARI

Cosa c’è di più bello per un cane che andare a passeggio e a correre con il proprio compagno bipede? Semplice: poterlo fare senza sofferenze! Il consiglio principe è comportarsi con il cane come per noi stessi, cioè valutare predisposizione, preparazione, allenamento, alimentazione, tempi di recupero ma, soprattutto, non esagerare. Non chiedete al vostro quattro zampe delle prestazioni “monstre” che potete chiedere a voi stessi in quanto il quattro zampe vi seguirà di corsa fino all’ultimo fiato, fino ad accasciarsi esausto e soffrendo della stessa stanchezza e degli stessi dolori muscolari che attanagliano noi dopo un’intensa attività fisica eseguita senza o con scarso allenamento. Valutiamo poi anche la tipologia del nostro quattro zampe: un carlino, un bouledogue francese o incroci di brachicefali potranno avere notevoli difficoltà respiratorie o colpi di calore mentre cani di grossa taglia spesso soffrono di patologie articolari. Non pretendiamo, inoltre, che uno yorkino o un bassetthound ci accompagnino “a rifugi” se non siamo poi pronti a prenderli e portarli in braccio per la parte mancante del tragitto. Altre regole importanti sono: fornire loro acqua razionata durante la salita, farli bere e dar loro uno spuntino leggero all’arrivo a destinazione (le corse vanno fatte a digiuno per evitare torsioni di stomaco). È comunque buona norma confrontarsi col veterinario curante - che ben conosce il vostro quattro zampe - prima di ogni inizio stagione per farvi consigliare qualche integratore o farmaco da portar con sé per eventuali punture di insetto o accidenti di percorso. Una volta fatto tutto questo vi auguriamo un buon divertimento a sei zampe!

Buona condotta al guinzaglio, pettorina e socializzazione: è quello che serve al nostro compagno peloso. Noi invece come dobbiamo essere attrezzati per affrontare al meglio

queste belle scampagnate? Con un abbigliamento pratico e comodo: scarpe da trekking, pantaloni con grandi tasche e zainetto. È importante inoltre ricordare di portare tutto l’occorrente con sé,

ovvero: sacchetti per la raccolta delle deiezioni, premietti, un collarino e un guinzaglietto di scorta, asciugamano, spazzola, ciotola e borraccia con acqua, oltre a ciò che può servire a noi.

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NEWS

NEWS Un video per parlare di endometriosi agli adolescenti “Non so cosa mi sta succedendo!” È la domanda che Aurora, 17 anni, si pone ogni volta che il dolore la sfinisce e non sa spiegare alla sua famiglia, né alle amiche, il perché di tanta sofferenza. Aurora si sente spesso stanca, ogni volta che ha il ciclo mestruale il dolore la opprime e non riesce neppure ad alzarsi dal letto, si sente sola, “un’aliena”. Aurora è una delle tante adolescenti affette da endometriosi, una malattia cronica che colpisce una donna su dieci, ed è la protagonista del cortometraggio animato “Ripart - Endo da me” realizzato da APE (Associazione Progetto Endometriosi), che unisce pazienti di tutta Italia, e destinato alla divulgazione nelle scuole, per far conoscere alle giovani donne (che frequentano le classi terza, quarta e quinta superiore) in modo semplice e coinvolgente, cosa accade alle persone che soffrono di endometriosi, una patologia ancora molto difficile da diagnosticare. Le storie di altre ragazze danno ad Aurora lo spunto per fare una visita da un ginecologo specializzato in endometriosi e di qui la scoperta della malattia. Aurora capisce qual è il suo male e grazie alla diagnosi riesce a farsi comprendere da chi le sta intorno, dalle amiche, dai genitori, si sente meno sola e può affrontare l’endometriosi. Gli insegnanti di tutti gli istituti scolastici possono richiedere il video e le informazioni necessarie scrivendo a: scuole@apendometriosi.it. Per informazioni: www.apendometriosi.it.

Emergency Center, un nuovo Pronto Soccorso per Bergamo Un dipartimento di emergenza di 4.000 metri quadrati, completo di Terapia Intensiva, stanze di degenza, blocco operatorio e area diagnostica con TC e Rx all’avanguardia, per essere pronti ad affrontare le emergenze presenti e future, assicurando percorsi separati ai malati con patologi infettive. È il nuovo Emergency Center di Humanitas Gavazzeni, un segno nella città simbolo della pandemia e un nuovo servizio che va a rafforzare la rete di servizi sanitari pubblici del territorio. Emergency Center nasce dall’esperienza fatta durante la primavera, quando l’ospedale si è trasformato in poche settimane in un centro totalmente dedicato ai pazienti Covid. Da qui il progetto di creare una struttura flessibile, gestibile “a fisarmonica”, in cui cioè è possibile aumentare i posti in Terapia Intensiva e sub-intensiva a seconda delle esigenze cliniche del momento. Realizzato in 3 mesi e mezzo con metodo fast track (in cui la costruzione va di pari passo con la progettazione), il dipartimento combina le competenze cliniche di Humanitas e quelle ingegneristiche di Techint, con il progetto architettonico dell’Architetto Filippo Taidelli.


Al Papa Giovanni XXIII la prima palestra per pazienti psichiatrici Una piccola palestra con attrezzi per il fitness, un grande schermo che trasmette musica e immagini e un tavolo da ping pong. Il nuovo volto del Servizio psichiatrico e di diagnosi e cura (SPDC) del Papa Giovanni XXIII passa anche da un potenziamento delle attività ricreative e sportive durante i ricoveri psichiatrici e più in generale dalla riabilitazione precoce. «La riabilitazione precoce rientra tra gli approcci più innovativi della moderna psichiatria e consiste nell’introdurre attività di intrattenimento e socializzazione, sport e sedute di psicoterapia già durante il ricovero ospedaliero» spiega Emi Bondi, direttore del Dipartimento di salute mentale del Papa Giovanni XXIII. «Sono

attività tradizionalmente eseguite negli ambulatori, nei centri diurni e nelle comunità residenziali e riabilitative, dove i pazienti vengono seguiti dopo il ricovero ospedaliero. Nell’ottica di anticipare sempre di più l’avvio del percorso riabilitativo, abbiamo progressivamente introdotto queste attività anche in reparto, all’interno di un progetto che in questi ultimi anni si è andato via via rafforzando». Se infatti la musicoterapia, la danza-movimento terapia erano già previsti da tempo, così come il supporto psicologico e la psicoterapia in corsia, Bergamo è oggi il primo ospedale lombardo a essere dotato di una piccola palestra per l’attività sportiva e di aree ricreative attrezzate e dedica-

Professione in famiglia è l’aiuto concreto che pone al centro “la persona”

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te ai pazienti psichiatrici. «Queste attività consentono ai pazienti di valorizzare il tempo trascorso in ospedale con attività che li aiutano a socializzare con gli altri degenti e a scaricare tensioni ed aggressività ed a conservare e recuperare le loro abilità cognitive e sociali ed a migliorare cosi il clima relazionale di tutto il reparto» prosegue Emi Bondi. «I pazienti sono sempre più giovani e coinvolgerli in attività che vanno oltre l’assistenza sanitaria è essenziale per il loro benessere psico-fisico e per il loro recupero». L’iniziativa è stata promossa da l’Interact Bergamo, il gruppo giovani del Rotary.

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DAL TERRITORIO

ONLUS

La disabilità? Non esiste grazie a volontà e sport ∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

Ogni anno 20-25 bergamaschi diventano paraplegici o tetraplegici in seguito a un incidente: spesso si tratta di infortuni stradali, ma negli ultimi tempi sono aumentati anche i casi di lesioni midollari da virus, per tumori o incidenti domestici causando una forte disabilità. Tra coloro che si danno da fare per rendere meno drammatica la situazione per i malati e le loro famiglie da 32 anni c’è l’Associazione disabili bergamaschi (ADB) che ha sede in via Borgo Palazzo, nell’ex manicomio. “Il nostro motto è la disabilità non esiste, i nostri servizi invece sì” dice Claudio Tombolini, presidente dell’Associazione, che ha fatto parte della Nazionale di basket in carrozzina, ha vinto un campionato del mondo, ha partecipato a due Paralimpiadi e ha vinto due scudetti. È diventato paraplegico a sei anni dopo uno scontro in auto ed è costretto a vivere in carrozzina. Ma non si è mai perso d’animo, non ha mai mollato grazie anche ai familiari e agli amici. Anzi è riuscito con la forza di volontà, l’impegno costante nello sport a considerare la sua carrozzina solo una protesi, un prolungamento del suo corpo, e a non lamentarsi. “Ecco perché sosteniamo che la disabilità non esiste” dice. “Sì, bisogna fare tanti sacrifici, imparare a guidare la carrozzina su ogni percorso, dedicarsi allo sport come terapia sia fisica che mentale. Tanti sono riusciti a rifarsi una vita proprio con lo sport. Un metodo ria-

bilitativo inventato in Inghilterra ed esportato in tutto il mondo”. Ed è all’UOC (Unità Operativa Complessa) di Mozzo, struttura dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, diretta dal professor Guido Molinero che per tanti comincia una seconda vita con un’intensa riabilitazione motoria associata alla “Sport Terapia”. “Devo dire soltanto grazie ai medici e ai fisioterapisti di Mozzo e ai volontari dell’Associazione disabili bergamaschi”, ci aveva confessato in un’intervista a “Bergamo Salute” Giampaolo Cancelli, consigliere dell’ADB dopo la sua partecipazione alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro nel tiro con l’arco. “Facevo esercizi per 5,6 ore al giorno con tanto impegno e piano piano sono riuscito a muovere le gambe distrutte in un incidente stradale a pochi metri della mia casa di Stezzano. Sembrava impossibile, invece ci sono riuscito. I piedi purtroppo sono insensibili, non riesco a camminare. Tutti sono stati fantastici, mi hanno sostenuto dal punto di vista fisico e da quello psicologico. Lì ho cominciato a tirare con l’arco e sono stato convocato per le Olimpiadi e i mondiali. A Rio mi sono classificato nono, ma il risultato conta fino a un certo punto. Ho fatto amicizia con tanti

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atleti disabili che non si sentono rivali. Forse chi ha una disabilità è più consapevole dei propri limiti e paziente con gli altri”. “L’Associazione ha voluto fermamente l’Unità Spinale di Mozzo con la quale collaboriamo assiduamente, sia adoperandoci con il Trasporto Sociale, sia con donazioni di materiale riabilitativo che borse di studio a sostegno degli psicologi” commenta il presidente Tombolini. “Recentemente abbiamo portato dei televisori, mascherine e altro. L’obiettivo dell’Associazione è ridare al paziente la sua indipendenza personale, sociale e professionale, aiutare psicologicamente le famiglie, fornendo consulenza gratuita per l’abbattimento delle barriere architettoniche nelle abitazioni, un servizio di disbrigo delle pratiche per richiedere le varie agevolazioni statali (pensione etc..). In una para -tetraplegia la carrozzina è solo la

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legati alla sfera sessuale etc.. Ogni persona è un caso a sé. Come per l’acquisto delle carrozzine. Ad alcuni van bene quella base da duemila euro, per altri invece che fanno una vita più attiva dal punto di vista del lavoro e usano l’auto c’è invece bisogno di carrozzine più leggere che costano il triplo”.

dimostrazione della disabilità esterna. La vera problematica è altro, parliamo di una vescica neurologica, piaghe da decubito, problemi

Nata nel 1988 per iniziativa di alcuni ex pazienti e operatori sanitari del Centro fisioterapico di Mozzo, l’Associazione si poneva tre obiettivi: sostenere le persone che, colpite da lesione spinale, si trovano a vivere una condizione di disabilità permanente, favorire la creazione di una struttura sanitaria ad alta specialità per la cura e la riabilitazione delle mielolesioni, operare per ampliare una cultura della disabilità. Gli obiettivi, nel corso degli anni, sono cambiati, con altri progetti e servizi:

consulenza fiscale, pensionistica, legale, corsi professionali, supporto psicologico ai pazienti e alle loro famiglie, informazioni sui percorsi sanitari, corsi di nuoto, di fotografia, di lingue, di informatica, trasporto dei pazienti. L’Associazione ha inoltre aperto le sue porte a tutti coloro che soffrono di disabilità motoria in generale, come le persone colpite da ictus o amputate. Insomma l’ADB cerca di rendere meno amara e problematica la vita ai suoi iscritti aiutati da quasi duecento volontari e dal consiglio direttivo. Nel 2019 ha fatto oltre 4.000 servizi quasi sempre gratuiti. “Riusciamo a sostenere le spese grazie alle donazioni, alla vendita natalizia dei panettoni del panificio Marchesi e alle feste come quella di Comun Nuovo che purtroppo l’anno scorso non abbiamo potuto realizzare a causa del Covid” conclude il presidente.

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A.R.M.R.

Associazione Ricerca Malattie Rare

COSA ABBIAMO FATTO NEL 2020 Anche se bloccati dalla pandemia che ha ridotto a zero le nostre manifestazioni pubbliche, abbiamo continuato i nostri contatti nel campo dell’informazione dedicati a malati di malattie rare indirizzandoli, a chi ce lo chiedeva, nei centri migliori per la loro cura; sostenendo i nostri ricercatori nei loro studi (vedi Casa Federico); continuando nella ricerca dei nuovi vincitori del nostro bando di concorso che, nel mese di ottobre, ha consacrato i nuovi ricercatori che studieranno per noi e per tutti le malattie rare nel corso dell’anno 2021. Le nostre Delegazioni sparse in tutta Italia hanno rispettato i decreti legislativi e hanno fermato anche loro le attività pubbliche pur continuando a tenere attivi i loro contatti con i rispettivi sostenitori che hanno continuato a «donare» in nostro favore. Tutto ciò ha permesso di far sì che la Commissione Scientifica della A.R.M.R., con l’approvazione del Consiglio Direttivo, abbia potuto investire anche quest’anno ben 220.000 euro nella ricerca. Abbiamo infine identificato la Vincitrice del Premio A.R.M.R. per l’anno 2020 assegnandolo alla Dott.ssa Ariela Benigni, già capo del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Istituto Mario Negri e ora Segretario Scientifico, Coordinatore Ricerche Bergamo e Ranica. Per quest’anno ci stiamo organizzando per trovare soluzioni alternative per continuare, anche con l’aiuto di tutti, a sostenere la Ricerca. Anche “a distanza”.

Tel. 035 79.85.18 Mob. 338 445 8526 segreteriapresidenza@armr.it WWW.ARMR.IT

SINDROME DI SUMMITT Codice di Esenzione. RN1450 Categoria. Malformazioni congenite. Definizione. La sindrome di Summitt è una condizione caratterizzata principalmente da craniosinostosi (anomalia del cranio, dovuta alla fusione prematura di una o più suture craniche), anomalia a carico delle mani e/o dei piedi e obesità. Epidemiologia. La precisa incidenza della patologia è tuttora sconosciuta. Maschi e femmine sono affetti in eguale misura Segni e sintomi.Le caratteristiche fondamentali includono: acrocefalia (cranio stretto e allungato), sindattilia di vario grado (fusione di una o più dita), brachimesofalangia (riduzione della lunghezza della falange delle dita intermedie), anomalie delle falangi, clinodattilia (curvatura permanente di un dito), obesità. Sono inoltre presenti epicanto (piega cutanea che si trova sopra l’occhio davanti alla palpebra), ritardo nell’eruzione dentaria, palato ogivale, coxa valga (anomalia dell’anca), ginocchio valgo. I pazienti di sesso maschile possono presentare ginecomastia (anomalo sviluppo delle dimensioni delle mammelle nell’uomo). Eziologia. Genetica. È stata proposta una modalità di trasmissione autosomica recessiva. Diagnosi. È esclusivamente clinica, essendo sconosciuto il difetto di base. Entra in diagnosi differenziale con tutte le patologie caratterizzate da craniosinostosi, e in particolare con le sindromi di Carpenter, di Goodman, di Pfeiffer e di Antley-Bixler. Terapia. La terapia consiste essenzialmente nella precoce correzione chirurgica delle anomalie cranio-facciali. È consigliabile l’esecuzione di una consulenza genetica da parte dei genitori e della persona che ne a affetta. Non è disponibile una terapia risolutiva del quadro clinico. Dottor Angelo Serraglio Vice Presidente ARMR

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DAL TERRITORIO

TESTIMONIANZA

Ma io non mi arrendo! ∞  A CURA DI GIOVANNA GIANOLLI

Riportiamo la testimonianza scritta da Giovanna Gianolli, attrice che da dieci anni convive con la “Sindrome di Meniére per idrope endolinfatica”. La sua storia presto diventerà un cortometraggio dal titolo “E poi arriva Menny” pensato per sensibilizzare su questa malattia ancora poco conosciuta e dare speranza e forza a chi ne soffre. Tra i malati è conosciuta con il nomignolo Menny, ma il suo vero nome è “Sindrome di Meniére per idrope endolinfatica”. «Non c’è un motivo scatenante per cui Menny compaia. Semplicemente all’improvviso si presenta con prepotenza nella tua vita, senza che tu abbia fatto nulla per invitarla. Arriva e te la sconvolge. Inizialmente non capisci. La scambi per influenza, per cervicale, per periodo di stress. Ma la frequenza delle crisi aumenta fino a renderti la vita impossibile. Poi la diagnosi. E non importa quanto tu corra lontano, lei ti raggiunge sempre». Questo è un pezzo del mio cortometraggio. Come ci sono arrivata? Andiamo per ordine.

Le prime crisi sono arrivate qualche anno dopo la nascita di mio figlio che oggi ha 13 anni. Inizialmente erano davvero sporadiche, circa una volta all’anno. Poi sono apparsi i primi acufeni che non mi hanno mai più lasciata e da lì è stata una lenta e progressiva discesa. Lo scorso anno ho perso l’udito all’orecchio sinistro di circa il 70% e le crisi sono diventate più aggressive e frequenti, circa una volta a settimana. Parliamo di crisi vertiginose che sono delle vere e proprie allucinazioni visive. Il malato di Meniére vede l’ambiente attorno a sé girare vorticosamente, perde l’equilibrio, cade e inizia a vomitare. Una crisi può durare anche 12 o 14 ore. E l’unica cosa da fare è restare fermi, immobili aspettando che passi. Io di solito mi rannicchio nel letto, girata verso l’orecchio sano (ancora per poco purtroppo) con una bacinella di fianco. All’inizio la cosa più difficile è accettare una malattia così infima perché agisce quando meno te l’aspetti e non hai alcun segnale che indichi l’arrivo di una crisi. Può arrivare mentre sei a lavoro, nei giorni più importanti della tua vita o mentre

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stai guidando. È una malattia poco conosciuta e considerata inguaribile. Ad oggi, i malati non godono dei dritti riservati a chi soffre di una malattia cronica invalidante. Perché questo che è Menny. Ci sono diverse terapie. Anche alcuni interventi di natura diversa… perché diverse sono le ipotesi su ciò che potrebbe generare la malattia. E come tanti malati mi sono trovata per circa 10 anni a vagare tra ospedali, otorini, neurologi e terapie di ogni tipo. Ognuno ti dice una cosa diversa, una cura diversa, una soluzione che però non arriva mai. Ho provato davvero di tutto, ma la malattia è strana. Fa quello che vuole e reagisce in ognuno di noi in modo completamente diverso. Una cosa che può dar beneficio a me, non è detto che possa avere lo stesso risultato su un altro malato. Da qui nasce lo sgomento, la paura e in molti casi la depressione. Ho scritto il mio corto, basandomi principalmente sulla mia esperienza. È una storia romanzata, ma che veste i miei panni molto da vicino. E che vuole invitare i malati a non smettere di sperare in una


cura definitiva e nel frattempo a non smettere di vivere. La malattia regala anche diversi periodi di “remissione spontanea”. Attualmente sono da alcuni mesi in remissione e ho deciso di rimboccarmi le maniche e di produrre il cortometraggio dal titolo “E poi arriva Menny”. Non so quanto tempo avrò prima che le crisi ricompaiano, ma non voglio stare qui ad aspettarle. Voglio che il mondo sappia cos’è questa sindrome e che se un malato di Meniére è in giro per strada e ha un attacco, le persone possano aiutarlo e non ignorarlo. E lo faccio a modo mio, con ciò che so fare, perché nella vita sono un’attrice. Viviamo in un’epoca visiva e questo sarà il mio personale contributo alla

battaglia contro la malattia, ma in generale verso tutte le storie di coloro che soffrono in solitudine e non si sentono capiti. Se vorrete vedere il film, seguiteci sulla pagina di Facebook “E poi arriva Menny” al link: https://www. facebook.com/epoiarrivamenny/ Abbiamo lanciato una raccolta fondi su Eppela, nella speranza che nonostante il periodo buio che stiamo vivendo, si possa comunque porre attenzione anche su altro e chi abbia voglia di far parte della famiglia di Menny e supportarci, possa farlo. Se tutto va bene e i fondi arriveranno, dovremmo girare il corto tra gennaio e febbraio per essere pronti per l’inizio di questa estate. Vedremo. Nel frattempo, incrocia-

te le dita per me affinché Menny non mi fermi ancora. Io non mi arrendo!

In questa rubrica pubblichiamo la storia di una persona che ha superato un incidente, un trauma, una malattia e con il suo racconto può dare speranza agli altri. Vuoi raccontare la tua storia su Bergamo Salute?

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DAL TERRITORIO

TESTIMONIANZA

Ho battuto la meningite con la canoa e un romanzo

∞  A CURA DI LUCIO BUONANNO

A tu per tu con la campionessa paralimpica di Palazzolo che si prepara alle Olimpiadi di Tokyo dopo le tante medaglie italiane, europee e una Coppa del Mondo «La meningite ha cambiato il mio corpo: mi ha lasciato tante cicatrici ma, come dico nel mio romanzo, la bellezza di ognuno di noi consiste proprio nella diversità. E io mi sento unica. Non ho vergogna. Sono sempre la stessa Veronica di prima. Nel 2011 ho avuto la meningite batterica fulminante di tipo C, che sono riuscita a sconfiggere. È stata un’esperienza traumatica: tutti mi chiedono

quanto abbia cambiato la mia vita e io dico sempre che ho avuto la fortuna di essere rimasta Veronica e di affrontare tutto a modo mio. A 15 anni non è stato facile trovarsi con un corpo trasformato: sicuramente ho vissuto alti e bassi ma nei momenti difficili avere la speranza che arriveranno tempi migliori aiuta a superare le difficoltà. Sono riuscita a prendere in mano la mia vita attraverso lo sport che mi ha

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portato a scoprire possibilità incredibili di cui non avevo minimamente idea». Allo sport Veronica Yoko Plebani, residente a Palazzolo sull’Oglio, deve molto della sua rinascita. Pochi mesi dopo essere tornata a casa dall’ospedale si è dedicata alla canoa sul fiume Oglio, poco distante da casa e ha strabiliato tutti: dal 2012 ha vinto 14 titoli ita-


liani di paracanoa, un campionato europeo, 2 ori nel paratriatlhon (bici, nuoto e corsa) una coppa del mondo; ha collezionato anche 2 argenti e tre bronzi agli Europei e due partecipazioni con ottimi risultati alle Paralimpiadi. Una vera campionessa anche se a causa della malattia ha cicatrici in tutto il corpo e l’amputazione delle falangi delle mani e delle dita dei piedi. «La meningite ha lasciato il segno ma non mi ha fermato» racconta. «È successo il giorno di Pasquetta, il 27 aprile del 2011, avevo appena salutato i miei amici. Ho sentito una strana fitta, mi sono messa a letto e un fuoco ha cominciato a bruciarmi il viso e tutto il corpo. Avevo la febbre a 40. Mi hanno portato al pronto soccorso, ma c’è voluto un po’ di tempo per capire che era meningite. Non è facile diagnosticarla subito. Sono stata in ospedale da aprile a settembre, per salvarmi mi hanno dovuto amputare le falangi di mani e piedi. Il sangue non circola più, compaiono emorragie cutanee disseminate, le estremità diventano fredde e violacee, la respirazione diviene estremamente difficoltosa e lo stato di coscienza peggiora nel giro di poche ore. Le cicatrici sono una conseguenza delle mie ustioni interne, come se

fossi sopravvissuta a un incendio». «Non è stato facile per una ragazza di 15 anni» continua Veronica Yoko che significa “figlia del Sole”. «Non è stata una passeggiata, ho avuto alti e bassi. Ma lo sport e soprattutto la mia famiglia, mia mamma Viviana e mio padre Max, mi hanno aiutato a superare ogni crisi. Anzi Max, come chiamiamo in casa papà, mi ha spinto a provare con la canoa. Stavamo tornando in aereo da New York dove avevamo partecipato alla maratona, io in carrozzina spinta da un gruppo di amici, a propormi la nuova sfida. Ed è stato subito amore con il fiume e la canoa nonostante le remore iniziali di Renato, l’allenatore. E subito sono arrivati i risultati. Anche se è diventato quasi un lavoro perché mi alleno ogni giorno in vista delle Paralimpiadi di Tokio». E adesso il romanzo “Fiori affamati di vita”, scritto con la sua cara amica Francesca Lorusso ed edito da Mondadori. «Mi avevano contattato per scrivere una biografia, ma abbiamo pensato che sarebbe stato meglio un romanzo che inizia prima di ammalarmi e guardandomi indietro analizzo diversamente quello che ho vissuto, come mi sentivo. Ho imparato a conoscere il mio corpo, l’ho studiato ma non

l’ho mai ripudiato. I segni sulla mia pelle sono evidenti e a qualcuno fanno impressione. Quando sono uscita dall’ospedale avevo paura di rivedere i miei amici, avevo paura di vedere nei loro occhi la reazione di chi prova pena e tristezza, ma poi ho cominciato a vedere in maniera diversa quegli sguardi, adesso faccio un gran sorriso e non mi feriscono più di tanto. E soprattutto ho scoperto quante cose straordinarie fossi ancora capace di fare praticando sport come avevo fatto prima fin dall’infanzia come danza, ginnastica artistica, snowboard e pallavolo. Spero che molti, soprattutto quelli che non hanno una famiglia spronante come la mia, leggendo il mio romanzo trovino la forza per reagire come ho fatto io». E questo non è l’unico desiderio di Veronica, stupendi occhi azzurri, grandi sorrisi, che non ha più paura di indossare il costume da bagno. «Sto studiando per prendere la laurea magistrale in scienze politiche dopo aver conseguito quella triennale la scorsa estate. E sogno le Paralimpiadi di Tokio dove gareggerò nel Triathlon e soprattutto vorrei che il mio impegno fosse di esempio a chi è più sfortunato e vive in situazioni problematiche».

COLLOQUI di sostegno

PERCORSI di psicoterapia

per crisi legate a fasi della vita o a situazioni traumatiche quali separazioni, difficoltà lavorative, perdite.

per affrontare difficoltà relazionali, e forme di malessere quali ansia, angoscia, fobie, panico, stati depressivi, disturbi del carattere, problemi di identità, dipendenze alimentari e affettive.

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STRUTTURE

IN CAMMINO

Viaggio dentro la pandemia Il cuore oltre l’ostacolo

“Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che le cose sono difficili” ∞∞ LUCIO ANNEO SENECA

«La chiusura di un anno è tempo di bilanci in cui i piatti di una bilancia immaginaria si contendono il buono da tenere e il “cattivo” da buttare. Anche il 2020 non sfugge a questo rituale, siamo certi che archiviarlo come annus horribilis ci priverebbe dello stupore e della meraviglia di tante esperienze edificanti che, nonostante il flagello della pandemia, hanno continuato a compiersi». Chi parla è Danila Beato, Presidente della cooperativa In cammino, che ha deciso di affidare alle pagine della nostra rivista la sua riflessione sull’andamento di quest’anno così difficile per la provincia bergamasca, così duramente colpita durante la prima ondata della pandemia. «In queste poche righe vorremmo condividere il vertice di osservazione e di azione dal e nel quale abbiamo abitato il nostro territorio, la Valle Brembana, e dal quale siamo partiti per incontrare il cuore della gente. Se abbiamo tutti negli occhi i canti, gli striscioni e gli impegni che tanti italiani si sono urlati dai balconi di mezza Italia, a noi resterà indelebile l’esperienza d’incontro con le persone che hanno risposto ai nostri appelli. Così abbiamo fatto fronte alla paura e alla sorpresa che dalla fine di febbraio ci ha costretti, spalle al muro, fino a giugno, rifiutando di “chiuderci in difesa” e scoprendo che se scegli di non essere solo e di chiedere aiuto, l’aiuto arriva nelle forme più impensate, con le persone che entrano nelle nostre Residenze per coprire il lavoro di chi si è ammalato o, spaventato, se n’è andato, chi dedica un mese a prendersi cura dei nostri servizi e ci insegna a utilizzare l’ozono per sanificare i luoghi di vita dei nostri servizi, chi chiama e ci regala tute e generi alimentari, chi ininterrottamente ha continuato a viaggiare e distribuire


Una rete per la valle La cooperativa In cammino, nata con il Servizio Territoriale Handicap, ha saputo, nell’arco di venti anni, strutturare una rete di servizi (forse la più grossa presente in Valle Brembana) su sei aree tematiche: Disabilità, Minori e Prima Infanzia, Salute Mentale, Socio Assistenziale, Benessere e Integrazione, Cure Specialistiche. Sul fronte della disabilità nel 2011 ha aperto il Centro Socio Educativo Olos a San Pellegrino Terme, riconvertendo le attività del Servizio Formazione Autonomia, per sopraggiunti limiti di età delle persone in carico. L’esperienza di Olos coniuga le attività della Disabilità con quelle del benessere rivolte all’intera popolazione. Nell’ambito della Salute Mentale dal 1998 ha sviluppato una vera e propria filiera della Residenzialità attraverso l’apertura di una Comunità Protetta ad Alta Intensità a San Pellegrino Terme, oggi trasformatasi in una Comunità a media protezione assistenziale e Progetti di Residenzialità Leggera e di housing sociale. Dal 2000 ha sviluppato la rete dei Servizi alla Prima Infanzia, in sinergia con alcune realtà parrocchiali e comunali, spingendo e realizzando, in stretta collaborazione con L’Ufficio di Piano della Valle Brembana, la prima esperienza di messa a sistema di una rete di Servizi rivolta all’intero territorio Vallare. Fanno capo a In Cammino il Nido Linus Alta Valle Brembana di Valnegra, il Nido Cavagnis di San Giovanni Bianco, il Nido il Pulcino di San Pellegrino Terme, gli Spazi Gioco a Lenna e a San Pellegrino Terme, le attività di Animazione Territoriale sull’intera Valle, i CRE 3-6 anni e la Formazione Genitori. In Cammino è ente Accreditato presso la Regione Lombardia per l’Assistenza Domiciliare Integrata e per il Consultorio Famigliare Priula con sede a Zogno; gestisce la Casa Anziani di Serina. A San Pellegrino Terme dal 2008, nel campo della specialistica ambulatoriale, ha aperto un Poliambulatorio e un Centro Famiglia, a domanda pagante rivolto all’intera popolazione vallare

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gli alimenti, chi chiama per capire e ci dona soldi e dispositivi di protezione, chi non si risparmia e ogni volta che ne abbiamo bisogno visita le persone che abitano le nostre case, le tante persone che, inusuale per noi, con le loro donazioni ci hanno permesso di non precipitare nello sconforto economico. Nel susseguirsi delle ore, dei giorni, delle settimane e dei mesi, sino a oggi, il cuore della gente non ci ha più lasciato, grazie a questo siamo riusciti a generare un’energia circolare capace di condividere possibilità. Durante il lockdown abbiamo iniziato a ricevere donazioni di generi alimentari che abbiamo condiviso e continuiamo a farlo con le realtà del territorio provinciale che si prendono cura delle povertà estreme, quelle nelle quali la certezza della sussistenza alimentare viene meno. Con loro è nato un legame di mutuo aiuto e, dove possibile, di scambio. La prossimità è un dono, la reciprocità è una scoperta, i legami che siamo riusciti a stringere in questi mesi hanno generato un’energia nuova che permette di fare esperienza di quanto, nel moto del dare e del ricevere, si possono rifondare nuove e preziose dimensioni di umanesimo»

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STRUTTURE

ISTITUTO MEDICO POLISPECIALISTICO SANT’ALESSANDRO

Da 25 anni al fianco delle famiglie bergamasche per la salute e il benessere di grandi e piccoli

Specialisti di esperienza in grado di prendersi cura di persone di tutte le età, dai piccoli agli anziani, attenzione alla soddisfazione del paziente e al rapporto umano. Nato nel 1996 a Dalmine, negli anni l’Istituto Medico Polispecialistico Sant’Alessandro è sempre più diventato un punto di riferimento di fiducia per tante famiglie di Dalmine e della Bergamasca per prestazioni diagnostiche e di cura. Abbiamo incontrato il dottor Achille Bedini, Direttore Sanitario dell’Istituto, ora che la struttura ha appena festeggiato un quarto di secolo per fare un bilancio.

L’Istituto Medico Polispecialistico Sant’Alessandro di Dalmine è una struttura sanitaria privata che eroga, da 25 anni, prestazioni diagnostiche e curative in regime ambulatoriale” Dottor Bedini, che tipo di specialità sono presenti nella vostra struttura? Nel corso dei suoi 25 anni di storia l’Istituto Medico Polispecialistico Sant’Alessandro ha moltiplicato la

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propria offerta e oggi può contare su 25 medici e 25 specialità. Le specialità sono: andrologia, urologia, cardiologia, chirurgia generale, chirurgia bariatrica, angiologia, ginecologia e ostetricia, fisiatria, endocrinologia, dietologia, dermatologia, senologia, massoterapia, osteopatia, logopedia, ortopedia e traumatologia, medicina estetica, podologia, odontoiatria e ortodonzia, psicologia, sessuologia, pediatria, otorinolaringoiatria, oculistica e bariatria. Inoltre dispone di strumentazione diagnostiche per esami quali ecografie, ecodoppler e holter cardiaco e pressorio. Vengono eseguiti anche esami


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prenatali come il Prenatal safe (test non invasivo sul Dna del feto che permette di diagnosticare eventuali patologie), il Paternity safe (test di paternità prima della nascita) ed ecografie del feto in 3D. È possibile infine sottoporsi a piccoli interventi chirurgici ambulatoriali. Quali sono i vostri punti di forza? Il fatto di essere una struttura relativamente “piccola”. Sembra un paradosso ma non lo è, anzi. Dovendo gestire un numero di pazienti giornalieri decisamente inferiore rispetto a quello delle grandi strutture ospedaliere si è potuto instaurare un rapporto umano più stretto

con i pazienti che, visita dopo visita, continuano ad accordarci la loro fiducia. Apprezzano molto anche il fatto che il turnover di medici è ridotto e nel corso degli anni, durante le visite e controlli, si trovano quasi sempre a incontrare lo stesso medico che ben conoscono e che è al corrente della loro storia clinica. Può sembrare un particolare di poco conto ma il fatto di non dover incontrare “facce sempre diverse” e aver un rapporto continuo con lo specialista conferisce un maggior senso di sicurezza e di fiducia nel paziente. Altri punti a nostro favore sono la comodità e facilità nella prenotazione telefonica e i brevi tempi di attesa.

GRAZIE A tutti coloro che in questi 25 anni ci hanno permesso di crescere e raggiungere questo piccolo traguardo. A tutti i pazienti che ogni giorno ci affidano la loro salute e ci danno fiducia. Allo staff che con cortesia, pazienza e gentilezza organizza, coordina e gestisce tutte le attività dell’Istituto. Ai nostri medici che in tutti questi anni si sono prodigati e si prodigano, nonostante le difficoltà, con impegno, professionalità e tenacia per garantire a tutti i pazienti il miglior servizio possibile.

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GUIDA ALLE PROFESSIONI SANITARIE

Il Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica ∞  A CURA DI ELENA BUONANNO

Quando si pensa alla “riabilitazione” il pensiero va subito alla sfera fisica, ad esempio dopo un trauma o un incidente. Ma quella motoria non è l’unica forma di riabilitazione: anche la psiche, proprio come il corpo, in caso di patologie può trarre giovamento da un approccio riabilitativo personalizzato. Ed esiste una figura sanitaria specifica per questo: il Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica. Conosciamolo meglio con l’aiuto della dottoressa Lucia Fierro, Direttore delle Attività Didattiche del corso di Laurea di Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica dell’Università degli Studi di Brescia. Dottoressa Fierro, come si diventa Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica? Per diventare Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica è necessario conseguire la Laurea Triennale in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica (L/SNT2 – Classe delle Lauree in Professioni Sanitarie della Riabilitazione). Il Corso di studi prevede l’acquisizione di 180 crediti formativi complessivi, suddivisi in attività formative di base, caratterizzanti, affini, integrative e a scelta dello studente, oltre alle attività di laboratorio e di tirocinio professionalizzante e alle attività finalizzate alla preparazione della prova finale, abilitante alla professione sanitaria. Per essere ammessi al Corso occorre essere in possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado di durata quinquennale o di altro tito-

lo di studio conseguito all’estero, riconosciuto idoneo secondo la normativa vigente. L’esame di ammissione - comune a tutti i Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie - ha luogo secondo modalità definite dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR), solitamente nel mese di settembre, e consiste in quiz con risposta a scelta multipla su argomenti di logica, cultura generale, biologia, chimica, matematica e fisica. Il numero di studenti ammessi al primo anno di corso è determinato in base alla programmazione nazionale (all’attualità per l’Università degli Studi di Brescia sono 20 studenti per anno, più un posto per studenti extra-comunitari). Dove si può frequentare il corso di studi vicino a Bergamo? Il Corso di Studi in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica dell’Università degli Studi di Brescia è attivo dall’Anno Accademico 2007/2008 e ha visto la frequenza di molti studenti provenienti dalla provincia di Bergamo. Le lezioni frontali si svolgono presso la sede del Corso, mentre le attività di tirocinio si svolgono presso strutture sanitarie di riabilitazione psichiatrica afferenti ad Enti convenzionati presenti su territorio interprovinciale (Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova). In quali contesti opera questa figura? All’interno di équipe multiprofessionali, può lavorare in diversi

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Una professione nata dopo la legge Basaglia La professione del Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica è “culturalmente” nata a seguito della Legge 180 del 1978 – nota come Legge Basaglia- su cui si basa la riforma della Sanità nell’ambito della Salute Mentale e che ha definito un nuovo modello di assistenza per le persone con disturbi psichici. La formazione universitaria è stata negli anni oggetto di una profonda evoluzione da un punto di vista normativo, che ha portato e porta costantemente il singolo Corso di Studi a garantire l’acquisizione di conoscenze e competenze puntuali e aggiornate. Una volta conseguito il titolo, il laureato può accedere al Corso di Laurea Magistrale in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie (2 anni) o al Corso di Laurea Magistrale in Scienze Cognitive e Processi Decisionali (2 anni). La laurea in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica permette anche l’accesso a Master di I livello


contesti quali la psichiatria adulti, la neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, la psicogeriatria, l’area delle dipendenze, l’area dei disturbi del comportamento alimentare e della psichiatria forense. Può operare in ambulatori, Centri diurni e Comunità residenziali, come dipendente (strutture del Sistema Sanitario Nazionale, strutture private convenzionate, Enti, Fondazioni, Cooperative) e in libera professione (strutture sanitarie o studi privati). Quali sono le sue competenze? Il Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica svolge, nell’ambito di un progetto terapeutico elaborato in un’équipe multidisciplinare, interventi riabilitativi ed educativi su persone con disabilità psichica.

Si occupa della valutazione del funzionamento personale e sociale della persona e identifica con lei obiettivi riabilitativi, pianificando piani di trattamento personalizzati. Conduce interventi di riabilitazione psichiatrica individuale o di gruppo, in sede o al domicilio, prendendo in carico, ove indicato, anche le famiglie. Aiuta la persona a sviluppare competenze in merito alla gestione della patologia psichica (ad esempio interventi psicoeducativi, strategie di fronteggiamento dello stress) e al miglioramento dell’autonomia e dell’autoefficacia nel proprio contesto di vita (es. interventi sulle abilità sociali e di comunicazione, rimedio cognitivo, problem solving). Competono al Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica

anche interventi di prevenzione e sensibilizzazione della collettività nell’ambito della salute mentale. Esiste un albo professionale? Con l’entrata in vigore della Legge n.3 del 2018 - che riguarda tutti i laureati delle 22 Professioni Sanitarie infermieristiche, ostetriche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione - il laureato in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica per esercitare la professione deve essere iscritto all’Albo dei Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica presso l’Ordine dei Tecnici Sanitari di Radiologia Medica e delle Professioni Sanitarie Tecniche, della Riabilitazione e della Prevenzione (TSRM PSTRP) della propria provincia.


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REALTÀ SALUTE

Perché il Covid-19 non deve scoraggiare le cure odontoiatriche

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La pandemia in corso ha avuto un impatto pesante sull’accesso alla cura e alla prevenzione di tutte le patologie che però, mentre il virus imperversa, non sono andate in lockdown. Come successo per altre specialità e altre malattie, anche le prestazioni odontoiatriche durante la prima ondata hanno subito un netto calo, nonostante gli studi dentistici, che sono essenzialmente privati, fossero rimasti operativi. «Nel picco della pandemia a febbraio-marzo 2020 il nostro studio era aperto secondo le disposizioni delle autorità sanitarie, anche se a organico ridotto. In quel periodo ad esempio abbiamo praticato anche estrazioni programmate all’ASST Giovanni XXXIII che stava facendo fronte all’emergenza» ricorda il dottor Maurizio Maggioni, odontoiatra direttore sanitario della Clinica Dentale Pianeta Sorriso che è stato in prima linea durante la pandemia anche attraverso il Rotary distretto 2042. «Durante l’estate 2020 c’è stato un temporaneo ritorno alle cure, anche superiore alla media,

forse perché molti non si sono spostati per le vacanze, ma è poi seguito un nuovo calo…» Dottor Maggioni, è giustificato rimandare le cure odontoiatriche per paura del Covid-19? Assolutamente no, voglio rimarcare che la mancanza di cure, inclusi semplici interventi conservativi, igiene, controlli, per non parlare di interventi più importanti, può portare a conseguenze più serie sia per la salute orale che per il portafoglio. Gli studi odontoiatrici hanno applicato immediatamente tutte le misure di protezione del personale e dei pazienti con una relativa facilità perché sono ambienti in cui già esistevano i mezzi tecnici e la cultura per farlo: ormai da 25 anni siamo molto attenti ai rischi da HIV ed Epatite C. In pandemia sono state intensificate misure come l’ozonizzazione, il ricambio dell’aria, il sovrascarpe per i pazienti, ma eravamo pronti e organizzati per farlo. Che impatto ha la pandemia sul vostro modo di operare?

Secondo un sondaggio tra i soci di AIOLA, Accademia Internazionale di Odontoiatria Laser Assistita di cui sono fondatore e presidente, è risultato che i professionisti in questa emergenza hanno ottimizzato la strategia di acquisto e gestione dei materiali. Vari articoli, come ad esempio le mascherine, hanno subito forti rincari e gli studi hanno cercato di fare fronte a questi aumenti senza scaricarli sui pazienti, amministrando meglio gli ordini, gli appuntamenti e il flusso di lavoro. Cerchiamo di fare venire le persone in studio per il minor numero di volte possibile. Nel nostro caso avere in sede molte attrezzature (come la TAC e i laser) e il laboratorio odontotecnico è stato di grande aiuto.

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La pandemia ha causato un aumento del 50% dei disturbi gnatologici (dell’articolazione temporo-mandibolare) dovuti a stress. Una diagnosi tempestiva e a volte l’uso di un semplice bite prevengono danni a lungo termine” Gennaio/Febbraio 2021 | Bergamo Salute | 75



REALTÀ SALUTE

Osteopatia Un approccio olistico per ritrovare il benessere «L’osteopata è un terapeuta che lavora manualmente sul corpo umano mirando a ristabilirne l’equilibrio ottimale sul versante articolare, viscerale e fasciale. L’approccio adottato si definisce olistico, causale e non sintomatico. In altre parole, le diverse parti del corpo, tra loro interconnesse a dare un tutt’uno, sono trattate in modo globale. Infatti, non è raro che la causa del dolore trovi la sua locazione lontano dalla zona dolorosa. Lo scopo ultimo dell’osteopatia è stimolare i meccanismi di auto-regolazione e auto-guarigione dell’organismo attraverso massaggi e tecniche manipolative. L’osteopatia si incentra quindi sulla salute della persona piuttosto che sulla malattia». Chi parla è Filippo Magno, osteopata, massofisioterapista e laureato in scienze motorie, dello Studio Magno, centro di terapie fisiche e psicoterapia.

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Cosa cura l’osteopata? Possono rivolgersi all’osteopata pazienti di tutte le fasce d’età, in particolare, per curare:

> disturbi del sistema muscoloscheletrico (come lombalgie, dolori articolari, tendiniti, contratture, artrosi, mal di schiena e problemi posturali, ernie, dolori da traumi sportivi); > disturbi al sistema neurologico e neurovegetativo, digestivo, genito-urinario (specialmente nelle donne, come dolori mestruali e sindrome post-partum), circolatorio, respiratorio; > emicranie e cefalee. In generale, l’osteopatia è indicata per il ripristino di funzioni reversibili, come il recupero della funzionalità di alcuni organi, ma non, ad esempio, per il trattamento di fratture o per curare malattie infettive. Ma esattamente, cosa fa l’osteopata? Il lavoro dell’osteopata consiste per prima cosa nell’incontrare il paziente ed effettuare un’accurata anamnesi a partire dal suo disturbo principale e dai suoi sintomi. La visita osteopatica comprende solitamente un esame posturale

e una valutazione dell’apparato locomotore (muscoli, legamenti, ossa ecc.), anche tramite palpazione osteopatica. Dopo aver individuato le cause all’origine delle disfunzionalità fisiologiche e le barriere che ostacolano la mobilità e l’elasticità degli organi e delle strutture anatomiche, l’osteopata propone al paziente un trattamento per sciogliere le tensioni, ridurre il dolore e ripristinare la normale mobilità. Gli osteopati sono molto richiesti dalle società sportive per prevenire o trattare infortuni legati alla pratica sportiva, disturbi dovuti all’eccessiva sollecitazione di articolazioni, muscoli e tendini, e per ottimizzare le prestazioni degli atleti. A differenza del fisioterapista, che utilizza anche macchinari per i vari trattamenti finalizzati alla cura della sintomatologia locale, l’osteopata ricorre esclusivamente a tecniche manuali. Come professionista sanitario l’osteopata ha poi un generale compito educativo nei confronti dei pazienti: insegna degli esercizi da svolgere regolarmente a casa per evitare ulteriori problemi, suggerisce tecniche per alleviare il dolore e dà consigli per una dieta e uno stile di vita sani.

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Piede reumatico Camminare senza dolore, si può? Genericamente denominate reumatismi, dolori alle ossa, artrite, le malattie reumatiche sono più di 150 e, dopo l’ipertensione, sono le malattie croniche più diffuse in Italia (colpiscono oltre 5 milioni di italiani di ogni fascia d’età, circa il 10 % della popolazione). Le malattie reumatiche interessano prevalentemente le articolazioni (mani, piedi, ginocchia, anche...) e sono molto diverse tra loro, sia per la causa che le determina, sia per i sintomi, quali il dolore, che possono portare a una progressiva perdita di autonomia e rendere difficili le più banali attività quotidiane: camminare, vestirsi, aprire un vasetto... Il piede è colpito di frequente dalle malattie reumatiche, ma è anche spesso troppe volte trascurato, sia dal punto di vista diagnostico (ad oggi è poco considerato anche in ambito reumatologico), sia terapeutico, a causa della sua difficile valutazione, dovuta alla sua straordinaria complessità anatomica e funzionale. Da qui nasce la necessità di un approccio multidisciplinare al piede reumatico, per pianificare un percorso che accompagni il paziente dalla diagnosi, alla scelta della soluzione terapeutica più adatta: farmacologica, riabilitativa, chirurgica e non ultima ortesica. Il cammino delle persone affette da malattie reumatiche risulta infatti spesso alterato: limitato da dolore articolare, rigidità (soprattutto mattutina) e senso di stanchezza. Durante il cammino, il dolore che ne deriva trova come elementi aggravanti l’uso di scarpe inadatte e la distribuzione errata del

carico corporeo. «Parte integrante dell’approccio terapeutico deve essere necessariamente quello ortesico» spiega il dottor Luca Lutti, tecnico ortopedico di Medical Farma, azienda leader nel settore delle ortopedie-sanitarie che da più di 30 anni è radicata nella nostra provincia, con diversi punti vendita (Bergamo, Treviglio e Cassano d’Adda) dove è possibile trovare una vasta gamma di calzature terapeutiche ideali per il paziente reumatico (per il trattamento in casa, la riabilitazione e lo svolgi-

mento di attività fisica) e richiedere la realizzazione di un plantare su misura. «La calzatura terapeutica e l’ortesi plantare devono svolgere un duplice obiettivo per migliorare il cammino del paziente: contenere, o meglio, accogliere il piede con le sue deformità senza creare frizioni, grazie a una tomaia automodellante; ridistribuire i picchi pressori a livello plantare, aumentando la

superficie d’appoggio e aiutando lo svolgimento del passo senza creare stress sulle articolazioni e diminuendo la sensazione di fatica. Normalmente, la scarpa inadatta spinge le dita deformate verso il basso, creando sul dorso del piede borsiti e callosità, e sulla pianta microtraumi continui a ogni passo e conseguente dolore. Per questo, collaboriamo con Podartis una delle migliori aziende nel settore delle ortesi per il trattamento delle patologie del piede, che grazie alla continua ricerca di materiali innovativi ha sviluppato tomaie dalla straordinaria capacità elastica che si modellano al piede, proteggendolo e alloggiandone senza dolore le deformità o callosità pronunciate».

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Come usare le energie interne del corpo per mantenersi “puliti” «In questo articolo affronteremo il tema dello scorrere dei flussi di energia all’interno del corpo, nei tessuti, sia in profondità sia in superficie, come descritti dalle antiche culture in termini di Chi o Qi oppure come Prana». Chi parla è il dottor Maurizio Ugo Rodriguez, titolare della Farmacia San Nicolò e Presidente A.I.K.I. - Associazione Istruttori Kinesiologia Italiana.

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Cosa s’intende per energia del corpo? La definizione di “energia”, nell’ambito della fisica, è data dal concetto di lavoro, ovvero una forza applicata a un oggetto per spostarlo. Nel corpo abbiamo diverse forze che agiscono sui sistemi circolatori, nervosi, digestivi, etc, così come sugli organi. Per semplificare, usiamo il vecchio sistema di rappresentazione energetica - in attesa che i nuovi scienziati di frontiera ne descrivano un altro più particolareggiato - della Cultura Tradizionale Cinese, ovvero dei Meridiani di energia. Quello che, nell’ambito pratico, hanno verificato gli antichi studiosi (ne abbiamo prova da testi scritti anche 3000 anni a.c.) è che il flusso di energia è soggetto allo scorrere del tempo e in particolare è regolato dalla natura attraverso i suoi ritmi,

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notte/giorno, fame/sete, estate/ inverno etc. Questi ritmi servono al nostro corpo per eseguire tre principali lavori al fine di mantenere correttamente la vitalità dell’intero organismo: eliminazione o detossificazione; assimilazione o nutrizione equilibrata; rigenerazione o riposo rigenerante. Il sistema del BioRitmo, che deve eseguire questi principali lavori, deve tenere conto di tutti i fattori che possono influenzare e disturbare lo stesso bioritmo. Per questo motivo la qualità e quantità energetica che fluisce nei meridiani energetici sono siglati in modo diverso a secondo gli orari, le funzioni e relativa appartenenza a organi o sistemi. L’alternanza dei meridiani, ovvero il cambiamento della funzionalità del Chi, avviene ogni due ore, motivo per cui l’orologio biologico riferito al flusso energetico dei meridiani del corpo è composto da un quadrante di due ore ciascuno per la giornata di 24 ore. In che modo si può “regolare” il flusso delle energie? La conoscenza antica si può fondere con i risultati moderni per creare nuove prospettive di conoscenza. Tutte le pratiche di purificazione passate (terme, suffumigi, digiuni, coppettazioni, massaggi, impacchi etc.), che nei secoli sono state appannaggio di particolari caste (sacerdotali, sciamanici, guaritori etc.) altro non erano che un tentativo di ripristinare il ritmo del flusso delle energie nel nostro corpo. Oggi possiamo definire le tre fasi di lavoro del corpo come il risultato di fattori fisici, fisiologici e chimici del nostro corpo che sono a carico di

specifici sistemi che possiamo riassumere in alcuni “schemi di lavoro”: 1. eliminazione o detossificazione/Sistema Linfatico/fattore chimico = pH 2. assimilazione o nutrizione equilibrata/Sistema sanguigno/ fisiologia = Simpatico/Para 3. rigenerazione o riposo rigenerante/Sistema nervoso/ fattore fisico = Temperatura. A questi schemi devono essere associati trattamenti specifici relativi a determinati orari e combinazione dei relativi fattori di attivazione.


Bergamo Salute anno 10 | n° 58 Gennaio | Febbraio 2021 Direttore Responsabile Elena Buonanno Redazione Rosa Lancia redazione@bgsalute.it Grafica e impaginazione Rosa Lancia rosa.lancia@marketingkm0.it Fotografie e illustrazioni Canva, Shutterstock, Unsplash, Adriano Merigo Stampa Elcograf S.p.A Via Mondadori, 15 - 37131 Verona (VR) Casa Editrice Marketing Km Zero Srls Via Dalmine, 10- 24035 Curno Tel. 035.0514318 - info@marketingkm0.it Pubblicità Luciano Bericchia Tel. 035.0514601- info@bgsalute.it Hanno collaborato Lucio Buonanno, Maria Castellano, Rita Compostella, Viola Compostella, Lella Fonseca, Giulia Sammarco Iscr. Tribunale Bergamo N°26/2010 del 22/10/2010 Iscr. ROC N°26993. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche se parziale, di qualsiasi testo o immagine. L’editore si dichiara disponibile per chi dovesse rivendicare eventuali diritti fotografici non dichiarati. I contenuti presenti su Bergamo Salute hanno scopo divulgativo e non possono in alcun modo sostituirsi a diagnosi mediche.

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