Infatuazione critiche e considerazioni

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Considerazioni e riflessioni di alcuni Studenti sul seguente testo

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Chiara Brandi Laureanda in Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Dov’erano, nelle notti profonde, gli orecchi che odono gli scavi? Dove sono le nostre orecchie quando le pale infilzano le sabbie dure, aride, la zolla terrestre, e scavano, e scavano, e aprono varchi… per il paradiso forse? Il paradiso sarà una condizione ottimale, ma solo dopo che tutto il dolore fluttuerà per aria, a distanza dall’anima, a distanza dalla caducità della carne umana. Oppure si scava verso l’inferno? Sempre più in profondità, fin quando le fiamme divampino, e la vita si spezzi, facendo un salto verso il basso. Dov’eravamo e dove siamo quando le urla sconfinate di innocenti giungono a stordirci, a farci rabbrividire, a renderci partecipi e colpevoli? Sono urla che vengono dalle membra del mondo, si possono udire dalla lontana Cambogia, si possono sentire dai vicini Balcani, si possono ascoltare dagli sconfinati territori sudamericani. C’eravamo a Wòlka? I suoi abitanti raccontano che “le urla delle donne erano così strazianti che l’intero paese, sconvolto, scappava nel bosco [..], che di colpo si zittivano, per ricominciare altrettanto improvvise, altrettanto tremende, e penetrare di nuovo nelle ossa, nel cranio, nell’anima..”1 C’eravamo a Srebrenica? I bombardamenti fanno rumore, gli spari fanno rumore, ma le pale? Quelle per scavare metri e metri, quelle destinate ai Bosgnacchi, quelle che lasciano dietro di sé macerie e detriti? Quelle non fanno rumore? Oppure i coltelli! Che rumore fanno uno, dieci, mille coltelli? Che rumore fanno uno, dieci, mille gole sgozzate? Eppure gli Organi ONU non hanno udito. Il dolore delle donne, dilaniate, violentate, pestate, stuprate, private del proprio senso più profondo, quelle strappate alla vita, alle proprie famiglie, ai propri uomini, ai propri figli o a cui hanno strappato figli per un progetto di supremazia etnica, di purezza del sangue, quell’unico sangue degno di scorrere nelle vene di queste genti, quel dolore portava un rumore con sé? Lo avete avvertito? 1

“L’inferno di Treblinka”, Vasilij Grossman, 1944.

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Nascondersi dietro un dito o un carro armato è sempre una strada facile; lamentare debolezza di armamenti e dare il proprio benestare alle tigri è ancora una strada facile, forse perché fa poco rumore. E l’anima? Nessun rumore vi scuote? Nella giornata odierna, in occasione di un dialogo e di uno scambio di riflessioni con il prof. Longo, me stessa ha sentito un rumore assordante e continuo. Un rumore che sa di ingiustizia, che sa di impensabile, un rumore che forse Ratko Mladic, anche dalle sbarre de L’Aja non avvertirà mai. Sono qui ora ad ascoltare Giya Kancheli. Sono qui ora a pensare che tutto ciò che di bello, buono o giusto nel mondo potrebbe forse essere farsa, travestita da grande istituzione. Sono qui a pensare come la poesia abbia il potere sovrannaturale di donarti l’arte della scrittura. Eppure non sono una scrittrice, non sono una intellettuale. Sono qui a ritenere che tutti noi sappiamo, ma non abbiamo le prove. Tutti noi potremmo essere intellettuali, ma forse non vogliamo avere le prove, perché il potere e il mondo ci escludono dalla possibilità di ottenerle. Ci escludono dalla possibilità del Colpo di Stato, quel golpe di cui già Pier Paolo Pasolini aveva percepito la strisciante presenza. 44 anni fa! La conoscenza di fatti, eventi, drammi, sentimenti; la presa di coscienza scaturita dall’ascolto, dalla musica, dalla lettura e dalla scrittura, hanno fatto di questo esame e di questa materia a me quasi sconosciuta, il principio di un viaggio avvincente fuori nel mondo, e in un viaggio dentro di me. La meta però non voglio raggiungerla, non ora; qualcosa mi dice che è ancora tempo di viaggiare, percorrere la memoria, spaziare nella conoscenza, abbandonare l’infatuazione.

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Isabella Cappiello Laureanda in Progettazione delle Politiche di Inclusione Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

È un’evocazione cognitiva sui legami ed eventi dell’uomo, riflette i settant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione Italiana (1 gennaio 1948), riflette sulla Democrazia morente e sull’olocausto della memoria Europea in un presente collettivo infatuato dalla monetarizzazione delle sorti e dal debito dell’esistenza. Infatuazione è uno sguardo verso l’Europa e la Costituzione, la forma delle proprie riflessioni e dei propri pensieri attraverso il poema: il verso induce a riflettere su un concetto, su una parte della storia presente e passata. Nella copertina c’è un dipinto del pittore brasiliano Almeida Junior in cui è ritratta una donna in abiti scuri mentre osserva e contempla in lacrime una carta, una lettera. La lettera è l’oggetto della sua nostalgia. La riflessione a cui ci invita l’autore è la nostalgia per una memoria ormai persa. Critica l’Europa in quanto Istituzione politico-monetaria, critica il Fanatismo Europeo sempre volto alla sua difesa, senza una riflessione critica in grado di individuare punti di forza e di debolezza e consentire una reale evoluzione. L’Europa non deve tendere soltanto alla concorrenza o all’aspetto economico, ma la vera Europa si fonda sul concetto di condivisione culturale. La nostra società è il prodotto della generazione del ’68, la non conoscenza dei fatti storici e dunque delle radici dell’Europa e dell’Italia, genererebbe ciò che Pier Paolo Pasolini definì “Penitenziario del Consumismo”, una realtà in cui al giovane viene dato tutto, invitato a consumare e comprare e non sarà un “testimone della memoria”. Per l’autore la generazione del ’68 ha la grande colpa di aver rieducato i giovani portando alla rimozione di un passato ingombrante. Il problema oggi è rieducare alla conoscenza. Infatuazione è sinonimo di accecamento che porta a preferire molteplici verità, anziché conoscere l’unica verità ovvero l’unica realtà storica. Il verso poetico recupera la dimensione dell’attualità, ci rivaluta come uomini e cittadini, donne e cittadine, combattenti alla difesa della storia individuale e collettiva che la politica finanziaria e la monetarizzazione vogliono vanificare. L’autore prova ad omaggiare la Costituzione per ricordare che è viva ogni qual volta si cerca di attuarla, non lasciandola in una posizione defilata come un nostalgico ricordo. Ricorda anche i 70 anni dalla fondazione dello Stato d’Israele, affinché ci sia una riflessione su ciò che accade in quei territori. Lo

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Stato d’Israele è definito il simbolo dell’olocausto in Europa in relazione a ciò che è accaduto con il Fascismo e Nazismo. Le generazioni tendono a rimuovere dalla loro memoria supplizi inferti ai popoli, tendono a dimenticare le guerre ed i crimini contro l’umanità. Nelle giovani generazioni c’è indifferenza e la causa è che molti avvenimenti sono scomodi perché ingombranti e perciò tenuti nascosti. L’Olocausto della memoria è l’oblio e l’omertoso silenziare della nostra storia.

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Marika Cavallo Laureanda in Progettazione delle Politiche di Inclusione Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Vorrei aprire una piccola parentesi, ringraziandola per averci dato la possibilità di commentare un testo. Spesso ciò che manca è proprio questo, farci partecipare, darci la parola. La ringrazio anche perché nelle sue lezioni ci dà la possibilità di affrontare temi reali, di esperienza esistenziale vissuta, di vita vera e che ci fanno riflettere sul passato recente e meno recente, su cosa accada oggi e su quelle che potrebbero essere le prospettive del mondo. Mi scusi se mi sono dilungata scrivendo queste poche righe, ma era doveroso da parte mia farlo. Questo pensiero mi è sorto spontaneo dopo la lettura dei versi tratti da Invocazioni (cfr. Infatuazione, p. 27): “Ad oltranza, peraltro, si persegue scasso Dell’amore, compiendosi sconquasso Di ordine e rigore, un vertice naturale Di legge e perfezione razionale. Le età Convengono a un complesso incasso Per aver adottato, solo pilastro reale, la condizione di devianza, raschiando aspirazione da morte, accerchiando.” Dalla lettura in prima battuta non riuscivo a dare un senso a questi versi, capire fino in fondo quale fosse il messaggio, poi dopo averli letti attentamente ho dato loro questa interpretazione. Siamo circondati spesso da uno zuccherato buonismo, dell’apparire, tutto sembra in superficie perfetto, pulito, quando invece si va nel profondo le cose cambiano. La perfezione di cui tanto si elogia del mondo, non esiste, è solo un’illusione che ci viene trasmessa, una propaganda senza osare oltre, senza osare l’al di là delle relazioni umane. Chi inizia a guardare il mondo circostante, a interrogarsi sul perché di tante azioni, non è più gradito, non va più bene, è ingombrante e resta ai margini.

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Lontano dalla società, muto, mi viene in mente proprio Pier Paolo Pasolini quando ha detto “manca il coraggio intellettuale a cambiare”, a noi fa comodo questa realtà perché meno si sa e meglio si sta. Questo mi viene in mente anche dalla visione dei video che lei gentilmente ci ha fornito, quello che non riesco ad afferrare è come mai tutto questo resti spesso occulto, come sia possibile che nessuno comunichi al mondo quello che stava succedendo, e in maniera implicita, sta succedendo oggi in Siria. Un bambino, profugo siriano, ci mostra a Sarajevo le condizioni sue di vita, e tutto ciò non suscita in ognuno di noi un sentimento di cambiamento, di modifica. Si tratta di un servizio per il Tg2 del giornalista Valerio Cataldi, dello scorso inverno 2017. Dalla visione di quel video mi sono interrogata sul mondo che ci illude, su come noi siamo finiti narcotizzati: crediamo ancora a politiche di unione e di sviluppo, ma viviamo un gioco di finzioni e di rimandi continui verso evanescenze. Il verso “si persegue scasso dell’amore”, porta a riflettere sul significato che spesso diamo all’amore, lo incorriamo, lo vogliamo, lo troviamo, lo desideriamo e quando capiamo che è nostro fa parte di noi, capiamo che era basato sul nulla, su pura illusione e ci frantumiamo, ci “rompiamo” come un vasellame giapponese, ricucendo i nostri cocci non con un filo dorato, notorio processo di ricostruzione del kintsu-ji, metafora della speranza e della fede; lasciamo invece i cocci sparsi, accantonati, consumati sulle strade della vita, non avendoci fatto caso quando cadevano dal nostro cuore perché l’ebbrezza della soddisfazione e della contentezza non ci permetteva di accorgerci che ci stavamo lentamente, ma inesorabilmente, disfacendo in tanti pezzi, perdendo l’integrità di noi stessi. La fede è qualcosa che accompagna l’uomo nel credere in una presenza trascendente, al di sopra di tutti, è un senso che accomuna tutti gli esseri umani indipendentemente dalla religione che si predica: ciò si rivela chiaramente esistente in ognuno di noi, latente, ma si accompagna evidente nel momento del dolore. Il dolore di ogni giorno che passa dal bambino che cade ed ha le ginocchia sbucciate, alla guerra in Siria. Penso che il dolore si accompagni sempre alla ricerca di pace, di stabilità e di felicità. Dalla lettura del testo non nego di aver avuto alcune difficoltà, ma solo perché mi soffermavo sulle singole parole, senza collocarle in un contesto specifico, 8


in un’azione dettagliata. Dal momento in cui ho iniziato a vivere, sia pur inconsciamente quelle scene descritte, a dare un volto alla vita di donne e bambini, a dare una voce e delle parole alla stessa storia da noi dimenticata, all’olocausto, alle bonifiche del territorio jugoslavo, come venivano definite le operazioni militari serbe, a tutto il poema Infatuazione ho dato una mia chiave di lettura. “Infatuazione” letteralmente significa passione sproporzionata e irragionevole, per lo più di breve durata, per qualche cosa o per una persona. Accade spesso a noi esseri umani. Ci infatuiamo del mondo circostante, della realtà sociale, degli altri, degli oggetti, ma ciò che ci manca infine è sempre rivedere queste sproporzioni del nostro destino, non riusciamo forse a infatuarci di ni stessi, non poniamo attenzione alle nostre capacità: siamo esseri umani che possiamo cambiare, possiamo apprendere dal passato, dalle atrocità del passato, per cambiare il presente, l’oggi, e raggiungere un futuro giusto, basato sull’amore. Può sembrare utopico, ma cosa ci blocca a non farlo? Cosa ci porta a non attuarlo? La paura forse, la paura di essere giudicati, di entrare in contrasto con i più forti, di non riuscire a dire di “no”, e quindi rispondiamo con il silenzio. Ci omologhiamo. Ci lasciamo parametrare, come fossimo oggetti di scambio, merce. Spero che il mio modo di interpretare il tutto sia stato chiaro. Grazie.

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Angela Centonze Laureanda in Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Approcciandomi allo studio dell’opera “Infatuazione” ho potuto trarre alcune conclusioni che mi hanno aperto gli occhi verso un panorama culturale sempre più attuale che, sfortunatamente, non è libero o immune da inesattezze. Le generazioni che sono nate alla fine degli anni Novanta, tendono a commettere un inconsapevole errore di natura storica e sociale: non ricordare e non attribuire il giusto peso a tutte quelle guerre e sofferenze inferte a popolazioni solo per mere strategie e interessi territoriali. È evidente che ciò accade poiché tali questioni vengono ritenute non di difficile comprensione o inaccettabili, quanto piuttosto scomode o ingombranti. Negli ambienti in cui la cultura prolifica, dove i giovani studenti vivono di persona nelle incubatrici del sapere, la storia viene mal proposta e interpretata da una didattica che non prevede critica costruttiva, matura e consapevole. I racconti sono solo “mormorati” (cfr. Infatuazione, L’ipnosi collettiva, pag. 71) e la memoria così viene “deprezzata” e perde il suo intrinseco valore. Come studente, facendo mente locale all’esperienza universitaria, si ha la netta e reale impressione che si viva in un ambiente caratterizzato da una formazione influenzata dal compiacere un senso comune di “addomesticamento” delle giovani menti. È inevitabile, dunque, che si venga a creare una sorta di oblio in cui noi, giovani ma adulti, ci sentiamo immobili e bloccati e da qui l’impulso di lasciare il nostro Paese alla volta di realtà in cui autonomia e consapevolezza sono considerati punti di forza. Certamente in tutto questo, la politica gioca un ruolo centrale. Essa ha da sempre fatto da mediatore tra gli eventi storici e la fruizione di essi. Facendo essa leva sui principi democratici, ha proposto solo versioni del passato, al fine di assicurarsi consenso elettorale, fondamentale per la sua esistenza. Cosa possiamo evincere da tutto questo? Quale effetto ha su di noi, assetati di sapere, giovani e adulti di domani? Quale conseguenza ha sulla nostra formazione? Senza dubbio accettiamo e prendiamo per vere quelle che sono realtà estremamente ovattate, addirittura da noi considerate “noiose”, che sentiamo distanti da noi e dalla nostra quotidianità. 10


Nelle università la cultura del ricordo appare perciò ancora lontana dalla sua vera filosofia, non riveste un ruolo di strumento di crescita e costruzione di conoscenza critica, consapevole e matura. E così la nostra formazione viene inesorabilmente condannata ad essere contaminata dall’idea che gli eventi del passato siano appartenenti solo ed esclusivamente al passato, bloccati in una realtà cristallizzata e poco interessante, da studiare con distacco e rara empatia. Un’ulteriore considerazione degna di nota è relativa al fatto che tutte quelle popolazioni colpite da guerre e disastri rimangano vittime inermi e ignare di un “capriccio politico o economico”, non aventi alcuna colpa dei crimini subiti. Questo ci porta a intraprendere una via di ricerca, di voglia di scoprire la verità e la causa che si cela alle spalle di queste crudeltà. Il concetto di memoria è qualcosa che va oltre il ricordo, sul quale certamente poggia le sue primissime basi. Memoria è anche monito, una luce d’emergenza, che guida il presente a non ricadere nella stessa trappola mortale in cui si è caduti sin troppe volte in passato. Essa, inoltre, è presa di coscienza e consapevolezza nei confronti di realtà drammatiche che hanno lasciato squarci nella nostra storia. Squarci inaccettabili, difficili da razionalizzare. Particolare interesse, a tal proposito, ha suscitato in me il concetto di “olocausto della memoria”: delicato e importante il riferimento agli eventi della Seconda Guerra Mondiale, riferimento indirizzato a quel processo di omertà storica sui cui eventi, sovente, si preferisce stendere un velo di silenzio e che dunque cadono in una sorta di oblio paralizzante. Così, tutti noi protagonisti del mondo del sapere percepiamo una vera e propria infatuazione verso i concetti di democrazia o di economia, che giungono a noi sotto una luce diversa ma lontana dal reale o, quanto meno, lontana dai veri ed effettivi intenti. Non possiamo tradurre un processo di salvaguardia della persona umana in una confusione generale, in cui quei concetti fondamentali di “garanzia delle libertà fondamentali” e di “tutela dei diritti individuali” vengano posti in crisi o sorpassati, appartenendo piuttosto, tutti indistintamente a un patrimonio comune europeo, messo in grave crisi dai detentori del potere economicopolitico. La lettura dell’opera Infatuazione ha avuto su di me una potenza chiarificatrice, facendomi capire come la maggior parte di noi, indipendentemente da età, formazione e background culturale, interpreti eventi passati e attuali in

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un’ottica caratterizzata da pregiudizi e barriere, scaturiti da un errato senso comune. Cosa deriva allora da una errata valutazione dei concetti democratici e dalla loro inattuazione? Gli eventi del passato resteranno nel passato, oppure si potrebbero ripresentare come in un ciclo? A tal proposito, di natura squisitamente storica, è il riferimento al “castigo agli innocenti” a p. 3, il quale si cela sotto le mentite spoglie di una difesa dei diritti di libertà che si concretizza poi nel segregare i cittadini all’interno di zone recintate e limitate, ed è proprio qui che la libertà non viene esaltata, ma trattenuta e oppressa. Paradossalmente, ma ancor più in questi anni, tali temi rivestono una loro pressante attualità, si pensi al fenomeno dei migranti che interessa l’Italia e l’intera Europa e a come generalmente si reagisce ad essi, in un’ottica fortemente influenzata e dettata da stereotipi. Sarebbe davvero utopico per noi giovani generazioni considerare temi così complessi in un’ottica ormai satura di pregiudizi e qualunquismi? Se riuscissimo a cambiare le lenti con le quali ci interfacciamo al mondo, magari saremo portatori e realizzatori di un sano, reale ed effettivo cambiamento.

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Beatrice Contini Studentessa in Formazione e Gestione delle Risorse Umane, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari

Infatuazione è un poema che ti dà il via libera per riflettere su tutto ciò che cerchiamo di evitare, perché costantemente coccolati nella nostra vita fatta di comodità, la persecuzione dei popoli, le guerre, i massacri, l’annullamento della libertà e il saper politicamente coprire e nascondere agli occhi della gente ciò che realmente è accaduto e accade per volere di uomini mai sazi di potere, sono per noi qualcosa di lontano, che non comprendiamo fino in fondo e a cui molto spesso non diamo peso. Ma perché tutto questo avviene? Il termine usato nel poema “Olocausto della memoria” rende intelligentemente esplicito questo concetto. Tutti noi, così come i nostri padri e i nostri nonni, siamo stati educati a vivere con distacco queste vicende, perché frutto di una storia che si ripete, a cui è importante dare attenzione solo ed esclusivamente dal punto di vista politico ed economico che guidano la nostra vita quotidiana! Siamo ormai diventati “insensibili” a tutte quelle barbarie compiute nel mondo, perché nella nostra Europa tutto ciò non potrebbe più accadere, perché lei è sicura, perché la democrazia ci ha resi una popolazione evoluta che non compierebbe nulla di tutto ciò. Quante sciocchezze ci vengono inculcate! Quante cose ci vengono nascoste, perché sarebbe sconveniente sapere che anche la nostra Europa è responsabile degli stermini che avvengono ancora oggi. Siamo tutti noi indotti a crogiolarsi nell’idea che l’uomo non è più affamato di potere, che ogni popolo sia libero, e invece, i fatti dimostrano il contrario. Tutto ciò continua ad avvenire; una storia che si ripete come molti sono soliti dire. Ma la storia non si ripete, la storia si fa! E noi continuiamo a farla nel modo sbagliato. Questo mi fa pensare al fatto che non è rimasto nulla di tutto ciò che è successo, nessun insegnamento, solo tanta futilità rispetto a situazioni che vengono vissute in Europa con distacco e frivolezza, basti solo pensare a come viene affrontata la questione dei profughi, considerati come semplici oggetti da collocare da qualche parte, come merce che i diversi paesi devono spartirsi, come un oggetto scomodo che l’Europa deve tenere per “salvare la faccia”! Leggendo il componimento “Preghiera: da un figlio giusto al padre”, mi è subito venuta in mente questa riflessione. Le guerre, i massacri vengono ricordati si, ma in che modo?? Sono solo una facciata! Un ricordo che perpetua o

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mertà, perché della storia ci viene trasmesso solo ciò che si vuole, solo ciò che conviene; quindi tutto ciò diventa un insegnamento quasi nullo, falso, che non ci permette di individuare la verità che si cela dietro ai misfatti. Infatuazione è un poema che ci fa aprire gli occhi! Personalmente non mi sono mai soffermata su queste questioni e leggere quanto è stato scritto mi ha aiutata a riflettere, a pormi delle domande, ma allo stesso tempo a rendermi conto che non siamo una generazione sterile. Molti di noi hanno fame di verità, molti non si arrendono a ciò che gli viene detto, vanno oltre. Ecco, ho trovato che Infatuazione sia la spinta ad andare oltre, sia la spinta alla riflessione e al cambiamento nel modo di pensare.

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Cecilia Antonia Dambrosio Studentessa in Cultura Letteraria dell’Età Moderna e Contemporanea presso il Dipartimento di Lettere dell’Università di Bari

Infatuazione: l’olocausto della memoria europea, l’abiura della democrazia è un vero capolavoro per delineare i rischi della nostra democrazia morente e il riproporsi di tirannie, attualmente, finanziarie e monetarie. Trovo poi eccellente l'esperimento di portare tutto ciò in versi dando agli eventi una forma marcata per la sua drammaticità. L’autore, il professor Gianfranco Longo dà una forma alle proprie riflessioni ed ai propri pensieri, scegliendo accuratamente quella meno banale attraverso il verso. Con questo testo l’autore ci spiega perchè ha voluto riprendere la tradizione italiana del poema, dicendo che il verso induce a riflettere su un concetto, su una porzione di storia presente o passata, conduce la coscienza del lettore, che riteneva a torto del tutto narcotizzata o addirittura inesistente. D’effetto è la copertina, un dipinto del pittore brasiliano Almeida Júnior, che contiene in sé un gioco di parole in dialogo con il titolo: una donna in abiti scuri è affranta mentre contempla in lacrime una lettera. La lettera è oggetto della sua saudade, della nostalgia, filo conduttore della riflessione. Quella proprio a cui fa riferimento l’autore è la nostalgia per una memoria ormai persa. Sin dall’inizio dell’Infatuazione è possibile trovare una critica all’Europa in quanto istituzione politico-monetaria. L’autore muove una critica al fanatismo europeo, vale a dire alla difesa strenua dell’Europa senza una riflessione critica, in grado di individuarne punti di forza e di debolezza e consentirle un’evoluzione. Quel che si augura è un recupero della vera Europa, che si basi non sulla concorrenza economica dei Paesi membri, ma sul concetto di condivisione che riguardi prima di tutto la sfera culturale. Nella riflessione del professore la nostra società viene letta come il prodotto della generazione del ’68. La non conoscenza dei fatti storici, e dunque delle radici dell’Italia e dell’Europa, genererebbe il pasoliniano “penitenziario del consumismo”, una realtà in cui ai giovani viene dato tutto, tranne il testimone della memoria. Per l’autore la generazione del ‘68 ha dunque la grande colpa di aver rieducato le giovani generazioni, portandole alla rimozione di un passato ingombrante. Tra i risultati di questa operazione culturale ci sarebbero particolari letture di alcuni momenti storici, come i totalitarismi o altre situazioni luttuose che si sono verificate sul territorio dell’attuale Europa. Ed oggi il nostro problema è quello della rieducazione.

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Infatuazione, titolo del poema è in realtà sinonimo di un accecamento che porta a preferire molteplici verità alla conoscenza dell’unica realtà storica. “Recuperare i sentieri della nostra coscienza è respingere l’assedio di forme di strozzinaggio culturale, forme appunto che ci conducono all’inebetimento interiore ed alla rimozione di noi stessi dalla realtà del presente, ricattandoci con pseudo novità a loro volta imposte da uno sviluppo disordinato e caotico dell’economia nella sua monetarizzazione delle sorti individuali. Si tratta di un gioco subdolo, portato avanti da un assalto politico-economico alla storia che deve lasciarci lontano dalla presenza di noi stessi. Il verso poetico recupera la dimensione della nostra attualità, proprio perché ci rivaluta come uomini e cittadini, come donne, cittadine e combattenti alla difesa della storia individuale e collettiva, che politica finanziaria e monetarizzazione delle sorti vogliono vanificare”. Con i versi di questo poema l’autore prova a fare un omaggio ai settant’anni della nostra Costituzione, per ricordare che è viva ogni volta che si cerca di attuarla e non lasciandola in posizione defilata, come se fosse solo un ricordo nostalgico. Ed ecco che ritorna la saudade, la nostalgia della copertina. Il profondo intento dell’autore dell’opera è ricordare anche il settantesimo anniversario della fondazione dello stato di Israele letta come reazione rispetto a quello che è accaduto nell’Europa del Nazismo e del Fascismo ed esulando dalla complessa riflessione su quel che è accaduto e accade in quei territori il che svia dalla riflessione sulle evoluzioni politiche successive. Longo definisce Israele: “simbolo dell’olocausto della memoria europea”. Concludo dicendo che questo libro mi ha lasciato tanto, mi ha dato modo di volgere lo sguardo a ciò che mi circonda. Mi ha fatto notare il SILENZIO FORZATO a cui tutti noi siamo sottoposti, a quanto la superficialità e le cose materiali ci schiaccino. Infine penso che ognuno di noi debba compiere un viaggio in quelle terre, debba ascoltare fra gli alberi le urla delle donne e debba vivere in condizioni disumane solo per comprendere il dolore e non poterlo più dimenticare. Solo così sopravvivrà il ricordo solo così potremo raccontare cosa LA GRANDE EUROPA SIA RIUSCITA A COMPIERE. Il dolore non si dimentica, ma ci si può costituire su di esso tutti noi attraverso questi versi possiamo imparare a comprendere chi è lontano, chi probabilmente il bene non lo ha mai conosciuto e non si può permettere il lusso di piangere. Ho scritto lusso perché tutti noi conosciamo il bene, loro no. Noi piangiamo perché in molti casi conosciamo il bene e non possiamo averlo; quelle donne, quei bambini e quegli uomini non possono piangere perché infondo il bene non lo conoscono e probabilmente non lo conosceranno mai. 16


Mario Didio Studente del Corso di Laurea in Scienze delle Amministrazioni Pubbliche e Private presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Nell’analisi e nello studio del testo sono rimasto colpito dal primo capitolo del libro: A. “Il capitale: il vudù monetario europeo omologando l’esistenza”. In questo capitolo si può vedere cosa comporti una guerra ossia: panico, dolore, sangue, vittime ma non solo anche la smania di potere delle persone che pur di arrivare al comando e affermare concetti di superiorità di razze, idee folli di potere, versione distorte della democrazia e regimi totalitari sono disposte a fare stermini di gente innocente e realizzare eccidi che non portano a nulla, se non ad aumentare paura, sofferenza e morti nella popolazione con i sopravvissuti che rimangono senza case, senza cibo, senza famiglia, popolazioni costrette ad obbedire a gente fanatica in cambio della vita. Nel primo paragrafo “La monetizzazione delle sorti” ho notato come la figura dell’uomo venga sostanzialmente sminuita e ridotta ad una moneta di scambio dove vi è una sorta di baratto la vita in cambio di adeguarsi a regimi politici totalitari e folli ed in riferimento alla poesia “Iscrizioni” si può vedere come ci sia l’idea folle di comandare tutta l’Europa e di distruggere non solo qualsiasi forma di democrazia, ma anche di formare un concetto di razza attuando una sorta di pulizia di razze inferiori con riferimento più che ovvio verso lo sterminio ebraico compiuto da Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale per l’affermazione della razza perfetta, la razza ariana. Il poema ci rivela anche misfatti del tutto ignorati o sconosciuti come quello comandante Arkan e delle sue tigri, che bruciarono vive più di ventimila persone nella notte del 24 maggio del 1992 sulla base di un rito di purificazione. Sempre inerente alla poesia “Iscrizioni”, bellissima è la metafora dell’ultimo verso dove il rapporto militare e di lutto è inteso sia come morte di gente innocente e sia come morte dei soldati stessi che poi vengono sostituiti da altri militari. Nella parte finale del primo paragrafo si può constatare la sofferenza che la guerra porta con sé: vittime, deportati, fame e desolazione con gli eserciti che ormai hanno preso il potere. Nel secondo paragrafo “Assoluzione, espiazione” mi ha preso molto nella poesia “Stele” che indica il fatto che la violenza della guerra porta conseguenze prima che sul piano fisico, sul piano psicologico ed infatti la gente viene ridotta a dei miseri manichini governati da qualcuno ed inoltre all’interno di essi si afferma la paura.

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In “Lamentazioni” si avverte la sofferenza portata dalla violenza e dalla prepotenza di questi regimi dittatoriali nei confronti dei popoli i quali barattano la vita della popolazione e vengono paragonati, in “Liturgia di sovranità”, a una sorta di Re Lear, una figura stolta ed in preda a deliri di follia. Nel terzo paragrafo del capitolo A, “La seduzione dell’Anticristo: il patriottismo europeo” mi è rimasto impresso nella poesia “Rimozione” che ormai la speranza di un mondo basato sulla democrazia, sulla libertà e sull’uguaglianza sia svanita davanti a uomini militari che con i loro eserciti si sono fatti strada eliminando tutti gli ostacoli che si ponevano dinnanzi a loro. Sempre collegato al filo militare nella poesia “Dispotismi territoriali, pallido riverbero” fa capire pienamente che i governi siano in mano ai militari che esercitano il potere a loro piacimento, senza pietà, sedando i vani tentativi di rivolte con il sangue e insegnando alle genti la violenza e l’insulto ed in tutto questo chi soffre insieme all’uomo è anche la natura. Da qui in avanti il libro analizza anche la fase della Shoah e nella poesia “Olocausto della memoria”. Impressionanti sono stati i versi che descrivono le vittime ebraiche nei campi di concentramento nazisti, con i loro corpi ridotti a pelle ed ossa con la loro pelle tatuata con l’inchiostro di un numero con le loro mani sporche specialmente nelle unghie. Le vittime non sono soltanto coloro che erano deportati ma anche delle donne che piangevano disperatamente la scomparsa dei propri figli come indicato anche nella poesia “Treblinka”. Nella parte finale vi è anche l’analisi della natura e delle conseguenze che la guerra ha portato anche ad essa ed infatti, vi sono terre rimaste incolte dove le uniche impronte sono quelle di persone che scappano da una morte certa e i boschi che alternano momenti di quiete a momenti di pianti ed urla.

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Rossana Giannini Studentessa del Corso di Laurea in Formazione e Gestione delle Risorse Umane - Psicologo del lavoro presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Bari

“Nel santuario infoiato, dove sganasciano e sbrindellano l’esistenza, non fasciano ferite, con sarcasmo ingiuriano memorie, scannano, padre, e inchiavano in colonne, lunghe, interrando per imbuti, lì lasciano putrefarsi sguardi, occhiate alle storie comuni, ai giorni appestati da guerra, allontanati e poi rimossi da chi interra.” Questi versi tratti dal poema Infatuazione descrivono un’immagine chiara e allo stesso tempo avvilente della nostra memoria. Viviamo in un’epoca in cui i rituali collettivi e le commemorazioni dei tragici eventi della storia vengono preferiti all’analisi e alla riflessione, alimentando così una ‟religione civile” che ci rassicura e ci consola, nell’illusione di opporre il presente al passato, la vita alla morte, il bene redentore alla barbarie. I giovani, sempre più spesso, tendono inconsapevolmente a commettere un errore: dimenticare le torture inflitte a intere popolazioni. Ciò accade perché tali tragedie vengono ritenute ingombranti e di conseguenza cadono in un profondo oblio. Se da un lato si tende a stendere un velo sul passato il più delle volte osceno, dall’altro si è perso il senso dello studio della storia e dell’importanza irrinunciabile del suo essere trasmessa e insegnata alle giovani generazioni. Oggi sembra di assistere alla paradossale coesistenza di una commemorazione ossessiva dei tanti crimini avvenuti e di una tenace ignoranza di fondo sull’argomento o, meglio, di un’incapacità di attribuire un senso a questo evento. Gli studenti sono da una parte assai lontani, per conoscenze, stili di vita e sensibilità collettive, dagli avvenimenti di sessant’anni fa, e dall’altra sono esposti a un’ipertrofia di informazioni e di immagini, soprattutto televisive che spesso si rivelano fallaci, distorte o edulcorate. Il compito della didattica, come anche sottolineato dall’autore del poema, dovrebbe essere proprio quello di far riflettere le nuove generazioni, invece di profanare il passato con insegnamenti mal interpretati e scevri di commenti,

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se non addirittura avvilenti. La didattica che tenga conto della memoria collettiva spesso inclina a una visione compassionevole delle vittime, volta a provocare uno stato di empatia nei ragazzi. Sembra infatti che il discorso sul genocidio degli ebrei sia svincolato da un reale bisogno di conoscenza storica, limitandosi essenzialmente a una questione di passaggio di memoria e di educazione civica. L’informazione è importante e non deve mai ridursi a mera comunicazione, deve tradursi in critica costruttiva. Inoltre, la politica riesce a minimizzare le tragedie riuscendo sempre nell’intento di rendere queste tristi vicende non del tutto veritiere e riuscendo ad ovattare le menti dei più giovani, narcotizzando il loro senso critico, la loro sete di sapere che non viene in alcun modo alimentata. Ciò che noi giovani studenti dovremmo fare è pretendere chiarezza, approfondire, informarci. Lo studio per noi non è un punto d’arrivo, ma uno strumento attraverso il quale elaborare un punto di vista personale, obiettare, confrontarci ed apprendere. Uscire dagli schemi imposti dalla società e dalla politica potrebbe giovare solo alla nostra formazione culturale. Dovremmo iniziare a prendere per vere tutte quelle realtà che sentiamo troppo “distanti”. In questo modo potremmo riuscire a far crescere nelle coscienze di ognuno un po’ più di consapevolezza su ciò che accade nel mondo intorno a noi, stimolando una riflessione che aiuti a trasformare il silenzio sulle guerre che imperversano dappertutto in un grido di condanna che possa contribuire a fermarle il prima possibile. Siamo uomini miopi, che invece dovrebbero indignarsi per la fame di conoscenza. L’informazione deve essere incrociata con l’indagine del presente per poter essere un elemento fruibile dalle nuove generazioni. I giovani hanno il dovere di approfondire questi temi, non giudicando, ma valutando attentamente le cose per quelle che sono realmente. Devono intraprendere la strada della realtà per scoprire cosa si cela davvero dietro i tanti crimini e la tanta violenza che hanno colpito e continuano tutt’oggi a massacrare intere popolazioni, vittime di capricci politici ed economici. 20


Michele Iacovino Laureando in Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

LA DIVINAZIONE STABAT MATER (p. 69) Ho inteso questi versi come se per Lei ci fosse ancora questa Madre dolorosa perché, nella letteratura religiosa, “stabat Mater dolorosa” è Maria sotto la croce del Cristo e, sulla base di ciò che ho percepito io, c’è ancora questa bellezza stabile e colma di grazia e di purezza di questa Madre che è sotto la Croce di questa nostra umanità ferita da una scelleratezza, da una sovrabbondanza di chi esercita il proprio potere come fosse un satrapo. Infatti, lei sottolinea questo termine (satrapie) all’inizio del capitolo. Un po’ come diceva Macchiavelli: “ognuno pensa solo al proprio meschino e minuscolo particulare”; cioè, ognuno pensa solo al proprio interesse. Quindi, questa umanità è ferita dalla scelleratezza di chi esercita il proprio potere pensando solo al proprio interesse. Tutto questo uccide la Speranza nell’uomo e nell’umanità però, a mio avviso c’è un velo di speranza che ritorna perché la Madre attenua questa sofferenza dell’umanità con la sua Grazia e questa Grazie riempie il vuoto del mondo. LA MEMORIA SFREGIATA (p. 69) In questo secondo brano ho immaginato questo Sovrano che svaligia le risorse dell’umanità e c’è un filo conduttore fra questa poesia e la precedente. Lei parla ancora di satrapie cioè, di quel potere che viene esercitato con forza e arroganza, un potere che trascura la povera gente. Quindi, sottolinea l'ingordigia del sovrano. Lui depaupera tutte le risorse che appartengono all’umanità. Peraltro il pensiero di una terra violata, una terra a cui si è chiesto troppo e che adesso si ribella. Come un sultano si impossessa del bene comune e lo fa proprio, cosi la terra si impossesserà nuovamente dei suoi frutti e lo farà ribellandosi. Un’altra sottolineatura che ci può essere è che il sovrano parla di questa “libertà” che però è una libertà fittizia in quanto ci fanno credere che siamo liberi ma liberi non siamo. Siamo tutti sotto un burattinaio. Ancora una

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volta lei usa termini religiosi come i termini di Crocifissione e di Martirio e a mio avviso lei intende dire che viene crocifissa quella speranza di chi tenta poi di conquistare la vera libertà. L’IPNOSI COLLETTIVA (p. 71) Nei versi che si riconducono al paragrafo intitolato L’ipnosi collettiva, a p. 71, ritorna un po’ il concetto di libertà edulcorata cioè, il rendere dolce ciò che è invece un’amara realtà ovvero, quella società che lei ha descritto già nelle poesie precedenti che è ipnotizzata da una falsa lettura della storia in quanto, leggiamo della storia ciò che ci conviene. Quindi, una storia che viene mormorata, che viene offesa anziché osservata e analizzata nel profondo. Un altro elemento è il fatto che si fa silenzio sulla storia però, è un silenzio anche del presente. Si tace sulla storia passata e si tace sul presente perché, questo presente è edulcorato e reso dolce da cose effimere che sono solo menzogna. Questo stato di cose genera solitudine e incertezza e questo stato d’animo dà ancora più forza e potere a chi, anche se sazio (perché ha ormai defraudato tutto), infierisce ancora su ciò che appartiene a tutti ovvero, sul bene comune. LA NECROSI DEL PRESENTE (p. 72) Se analizziamo la parola necrosi in greco significa morte ed è quindi una parola che ci porta già a percepire che c’è un’alterazione irreversibile dell’umanità. Quindi, c’è la perdita di ogni vitalità; c’è, dunque, la Morte. La morte di una società. Una morte causata da crimini Parlamentari. Quindi, a mio parere, l’autore del poema si riferisce al legiferare a favore di alcuni uomini di potere e quindi, collusioni con le camorre. Un potere che intima il silenzio. Però, questo potere, chiede di fare silenzio a chi comunque non ha voce perché non ha potere e non solo per questo motivo ma anche perché è strozzato da “maiali che si accoppiano” da chi, secondo l’autore, fa dei giochi sporchi per poter pianificare scenari di frode e violenza. Lei sottolinea ancora di questi giovani drogati, narcotizzati mentre parla di adulti che si iniettano Sollazzi cioè, il divertimento sfrenato ed esagerato e, questo sollazzo, può essere il giocare d’azzardo con la vita della gente.

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REQUIEM PER LA DEMOCRAZIA III (p. 73) Il Requiem è un rito liturgico che viene celebrato in memoria di un defunto (una messa in memoria di qualcuno che è venuto a mancare). In questo caso, Lei sottolinea questo requiem per la democrazia e, quindi, una democrazia che a suo avviso non c’è più. Infatti, nei primi versi, l’autore descrive un paesaggio autunnale e questo paesaggio lo notiamo anche perché parla di Requiem e, come sappiamo, a novembre si commemorano i defunti. Ad essere defunta dunque è la democrazia che è uccisa dai bombardamenti (a mio avviso potrebbero essere i bombardamenti dell’egoismo umano). Dopo il bombardamento restano macerie, lacrime e silenzio e quindi in tutta la città si diffonde questa rapsodia che è impregnata di morte. La rapsodia è una composizione musicale che ha solo un movimento, non ha uno schema fisso e presenta diversi ritmi, diversi alti e bassi quasi a sottolineare l’improvvisazione. A mio avviso, l’autore qui vuole sottolineare l’improvvisazione di una certa politica che ha causato la morte della democrazia. STRUGGENTE TERRA D’OBLIO (p. 74) Qui pare che si apra un altro capitolo dedicato alla terra più che all’umanità. Si parla di anomia che è l’assenza della legge, delle regole, dell’ordine, di ciò che mantiene in vita una democrazia ed è proprio in questo momento che inizia a crescere l’illegalità e il disprezzo per la democrazia. Il disprezzo delle leggi può portare all’oblio cioè alla dimenticanza, perdita dei ricordi. La parola ricordare significa portare, riportare al cuore. Quindi, se noi non portiamo al cuore quella bellezza naturale della terra di un tempo è allora che avvertiamo solamente l’oblio. Svanirà il desiderio di un mondo migliore perché, se non ricordiamo il desiderio di questo mondo migliore, ci ritroveremo ancora davanti ad uno scenario di morte e davanti a questa madre terra gronda e zampilla di nero sangue e, questo nero sangue, è riferito, a mio avviso, alla perdita della speranza e alla morte dell’umanità.

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Valeria Ladisa Laureana in Psicologia Clinica, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, dell’Università di Bari

Il mondo è in continua trasformazione, ma ciò che, invece, dovrebbe caratterizzare e distinguere l’uomo dagli altri essere viventi è in sospensione: le sue capacità di riflessione critica e di giudizio sembrano essere impostate sull’opzione stand-by. Questo si traduce in un uomo che non si rende conto di ciò che realmente accade intorno a lui e che, di conseguenza, non cerca di mettere insieme i differenti pezzi che compongono questa realtà caotica, come se fosse un puzzle, per ottenere una piccola ricostruzione e comprenderla. L’autore, il professore Gianfranco Longo, in questa opera sceglie di esprimere i propri pensieri e le proprie riflessioni mediante la forma del verso. Ciò che motiva questa scelta è la capacità del verso di stimolare la riflessione su un concetto, una situazione o un evento e, infatti, questo poema può essere considerato un tentativo di risvegliare ciò che è addormentato, ovvero la coscienza dell’uomo; oltre ad essere un’occasione per riportare alla luce determinati avvenimenti che hanno caratterizzato la storia dell’Europa. L’uomo, così, può combattere per la propria storia e per quella collettiva, perché diventa attivo nel contrastare il processo di “blocco della mente” e inebetimento culturale che chi detiene il potere politico – economico ha intenzione di mettere in atto. Se lasciato attuare e proseguire, questo processo porterebbe l’uomo ad essere senza cognizione né discernimento e, quindi, incapace di agire e reagire: è come se fosse congelato, un uomo senza anima che incarna solo una categoria merceologica, vale a dire un prodotto messo in vendita, a disposizione di chi vuole acquistarlo e può farne ciò che vuole. Si può constatare come, al giorno d’oggi, purtroppo, questo processo sia in atto e vittime principali ne sono i giovani, i quali non conoscono la storia del proprio paese, i supplizi inferti ai popoli e le guerre scoppiate per motivi legati a interessi politici ed economici. Non conoscono perché vengono trasmessi solo cenni frettolosi di quei concetti che, invece, rappresentano il cuore della comprensione di determinati eventi e dinamiche, lasciando spazio al silenzio che sostituisce la voce delle riflessioni. Questo silenzio si traduce in un olocausto della memoria europea. Il termine “olocausto” significa “bruciato interamente” ed è utilizzato, solitamente, per indicare il genocidio perpetrato dalla Germania nazista e dai suoi alleati nei confronti degli ebrei d’Europa. Ma, qui 24


viene introdotto per specificare ed evidenziare la rimozione del passato imponente che caratterizza l’Europa: la perdita della memoria relativa a tutti gli episodi storici di stermini di popoli che hanno caratterizzato la storia a partire dalla II guerra mondiale. In maniera singolare, l’autore offre la descrizione di differenti situazioni rappresentative di quanto accaduto nel corso del tempo: è evidente l’impegno nella scelta delle parole da dover utilizzare affinché esse possano riflettere, nel miglior dei modi possibili, quella realtà, ma, allo stesso tempo e soprattutto, rendere giustizia e rispetto a chi ha sofferto. Versi forti e profondi sono quelli contenuti in “Treblinka, gemiti al cielo”. Treblinka è uno dei sei principali campi di sterminio del regime nazista, costruito in un bosco ma ben collegato alla rete ferroviaria di mezza Europa: arrivano vagoni carichi di innocenti e ne partono altri vuoti per potersi riempire. Non è semplice trovare le giuste parole da utilizzare per descrivere le atrocità commesse, il cui solo pensiero fa rabbrividire; l’autore, però, riesce a narrare determinate scene in un modo particolare, poiché mediante l’utilizzo di frasi semplici subito interrotte da un punto, egli trasmette la sensazione di gelo e blocco che si prova di fronte a questa realtà. “Supplizio di donne” è questo quello che spesso accadeva mediante l’uso di una lama che taglia in due la gola delle donne e ammazza di colpo. Un colpo che paralizza e che fa soffrire tanto da provocare urla che squagliano il cielo, talmente forti e strazianti da far scappare nel bosco gli abitanti del paese vicino. Un’uccisione veloce e atroce, grazie alla quale “Spietata, la bocca irride”, un’espressione che riprende, come in un fermo immagine, il soldato soddisfatto di aver portato a termine il suo compito e pronto a deridere, disprezzare ed eliminare ulteriori persone, per lui oggetti. Purtroppo vittime di questa carneficina non sono solo donne, ma anche bambini: “Crollano i bambini, sgozzata la loro voce. È canto di cherubini”. Infatti, i bambini assistono a tutto ciò, perché i soldati costringono le mamme a portarli vicino le graticole per fare vedere i corpi bruciare. Una sorte che toccherà anche a loro, mentre altri muoiono di gelo, in attesa, nudi, della camera a gas. È difficile poter esprimere qualcosa dinnanzi a ciò, poiché quel gelo che causa la morte, leggendo i versi, assale il nostro corpo, lasciandoci fermi, con gli occhi fissi nel vuoto ed un unico pensiero: come è potuto accadere tutto questo? È inimmaginabile credere che questi individui siano stati interessati solo alla ricerca di modalità efficaci e veloci per eliminare gente, la cui unica colpa era di professare una religione diversa ed appartenere ad un’altra nazionalità. Il problema è che lo strazio legato al genocidio degli ebrei, purtroppo, non ha scosso tutte le anime umane, dato che successivamente episodi simili si sono

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verificati nuovamente con moventi apparentemente diversi. Tra questi si ricordano i campi di lavoro correttivi installati dai sovietici dell’URSS ed utilizzati come principale mezzo di “rieducazione” della popolazione comune e repressione di qualsiasi forma di riflessione alternativa a quella imposta. In “Gulag”, infatti, l’autore scrive “sapienza e intelligenza, assaltate dal desiderio nudo di violenza, […] azzannando la coscienza”, proprio per sottolineare l’obiettivo di eliminare qualsiasi cosa che possa permettere la comprensione di quanto accade e, di conseguenza, condurre ad una opposizione nei confronti dell’ideologia sovietica. Tutto ciò che rappresenta un pericolo viene contrastato con la violenza: si assiste ad un “rieducare per violentare” caratterizzato da maltrattamento, violenza, abuso che sostituiscono forzatamente il confronto tra pensieri e principi diversi di cui ogni uomo può essere portatore e su cui si potrebbe trovare un punto di contatto. Sulla stessa scia si posiziona l’operazione di “pulizia etnica” effettuata dai serbo – bosniaci ai danni dei bosgnacchi e croati durante la guerra di Jugoslavia. Su queste vicende si sa poco e una delle varie modalità di morte è descritta in “Il campo di Prijedor”, un luogo di scarse condizioni igieniche, dove un uomo viene deriso, maltrattato dalle guardie che effettuano i loro bisogni su di lui e subito dopo viene presa e insultata anche sua figlia, ed insieme poi eliminati, lì davanti agli occhi di tutti. Scene di quotidianità che non possono e non devono appartenere all’umanità, ma che purtroppo sono esistite. Si nota, dunque, come i moventi siano diversi ma, come sostiene l’autore: “non modifica la sostanza una forma”. Questi sono caratterizzati dallo stesso principio di base, vale a dire eliminare chi si oppone, chi non accetta, chi è diverso e chi ha ancora uno spiraglio di coscienza. Con questi versi al lettore è offerta la possibilità di poter osservare e conoscere, in qualche modo, questa realtà accaduta e, molto spesso, non raccontata o nascosta. Un tentativo di promozione di un recupero della vera Europa, affinché non si basi solo su questioni economiche e politiche, ma sul principio di condivisione della cultura e della storia, partendo proprio dal restituire ai giorni della memoria la loro reale importanza. Questi, infatti, rappresentano l’opportunità di un potenziale riavvicinamento dei giovani alla storia collettiva e la possibilità di poter riflettere rispetto al passato, ma soprattutto rispetto al presente: pretendere chiarezza e spiegazioni del perché tutto l’orrore, la malvagità e la crudeltà sono stati e vengono, tutt’ora, nascosti e rimodellati secondo specifici fini. Chiedersi: “perché la dimensione del sapere viene reclusa?”. Il poema, oggetto di riflessione, presenta una peculiarità, vale a dire la proposta di ascolto di brani musicali durante la lettura di alcuni suoi versi. È una ini26


ziativa nuova e differente, poiché solitamente la lettura e l’ascolto musicale sono due azioni svolte separatamente. Qui, invece, la loro unione si traduce in un’esperienza piacevole e delicata. La musica ha un suo linguaggio e quando questo non è accompagnato da quello cantato, la sua potenza è più forte, perché non ci sono ostacoli per chi ascolta nel dirigere il proprio pensiero e la propria immaginazione verso la direzione che più preferisce, in linea anche con quelle che sono le sensazioni suscitate dal brano musicale. Di conseguenza, la combinazione di musica e lettura diventa qualcosa di speciale e può essere considerata come l’esperienza di essere all’interno di ciò che è scritto: il lettore vive quello che sta leggendo ed è guidato dalla specifica colonna sonora congruente con ciò che sta vivendo. Un esempio è rappresentato da “Arcano” con l’ascolto del primo movimento, Moderato, della Sinfonia n.10, op.93 di Šostakovič. La musica lascia provare il senso di vuoto e di inquietudine che si presenta nell’osservare gli uomini e le donne che “sfilano irrigiditi, senza più freddo e fame, senza più sete e caldo, inerti”, immaginare i loro occhi spalancati, come quelli che si vedono in alcune foto degli ebrei nei campi di sterminio o dei profughi di guerra che attualmente sono trasmesse in tv o sul web. Traspare un senso di pesantezza legato alla speranza di poter fuggire da quella situazione che, però, viene subito spenta dalla consapevolezza di non avere altra via d’uscita. Un destino già deciso perché vi è un’ideologia che ha “tramutato in ferocia un’antropologia”: i soldati che eseguono gli ordini mettono in atto un comportamento non umano, uccidendo e maltrattando altri esseri umani come loro, come dei burattini manovrati da chi è più in alto e privi di una coscienza che li porti a valutare le loro azioni. Con “Requiem per la democrazia II” ed il brano per orchestra Roaring Rotterdam di Joep Franssens viene ripresa una situazione che interessa l’uomo del giorno d’oggi, fulcro della riflessione proposta dall’autore, ma di cui non sempre vi è percezione. L’uomo è avvolto da un velo di illusioni che si ripetono continuamente nella sua vita, sino ad offuscare i suoi sensi e ciò che riguarda il suo agire nel mondo. Al di là di questo velo l’uomo non è capace di vedere, tuttavia oltre il velo si nasconde qualcosa di importante. Infatti, la sensazione che si prova leggendo ascoltando, è quella di uno svelamento lento che fornisce alcuni indizi utili per comprendere cosa c’è dietro la democrazia: segreti, strategie, dinamiche che si giocano tra le mani di quelle poche persone che detengono il potere e che regolano la vita dell’uomo. L’autore denuncia l’assenza di un “nume che ascolti il cittadino”, perché queste persone agiscono secondo i propri interessi, considerando i benefici che loro possono ottenere e i pericoli a cui possono andare incontro, ma trascurando il cittadino. Prosegue poi “or

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mai senza lume dardeggia la salma dello Stato” per sottolineare l’entropia che caratterizza l’Europa, evidenziata anche dalla sensazione di caos e ansia trasmessa dal brano musicale: un sistema in cui disordine, disaggregazione e, quindi, crisi si contrappongono ad un equilibrio, traducendosi in minore chiarezza a livello di informazione. Infatti, i cittadini non colgono questa situazione di “Stato scassinato” perché infatuati da forme democratiche trasmesse come giuste e che illudono a contesti futuri di benessere comune. In realtà, questi contesti sono molto lontani e la democrazia di cui parlano altro non è che un insieme disorganizzato di diritti individuali e libertà fondamentali salvaguardate ma “sospese”. È questo che l’autore intende con abiura della democrazia, ovvero una rinuncia a ciò che dovrebbe rendere l’uomo libero e riconosciuto nei suoi diritti. Un esempio attuale di diritti sospesi è la guerra in Siria, dove milioni di persone per fuggire da zone di guerra, pericolo di persecuzioni, violenza dei diritti umani intraprendono un viaggio verso l’Europa, ma non conoscono dove e quando realmente troveranno una minima stabilità. Rifugiati che cercano di mettere in salvo la propria vita e a cui spetta un diritto di protezione, ma che non trovano un’umanità pronta ad accoglierli. Non si conoscono i loro stati d’animo o le loro emozioni, è possibile solo immaginarli e pensare a disperazione, tristezza, paura, rabbia e, forse, anche se in piccola percentuale, speranza. Ma questo non basta. Si ha notizia di mezze e molteplici verità trasmesse mediante i media, come ad esempio i motivi scatenanti la guerra, vale a dire aiutare la Siria e il popolo siriano a creare una democrazia; ma queste verità nascondono la reale verità: una lotta tra poteri per ottenere il potere di un paese avente una posizione strategica dal punto di vista geografico; una lotta brutale dove l’obiettivo di una sana democrazia sembra essere abbastanza lontano, i principi che la caratterizzano distrutti prima che essa venga instaurata e dove chi ci rimette sono gli innocenti. La riflessione posta dall’autore parte da una nostalgia per una memoria persa, una memoria a forte valenza che se venisse rispettata e non oscurata permetterebbe un cammino diverso da intraprendere dall’uomo, poiché egli consapevole degli errori e degli orrori commessi nel passato da altri uomini, cercherebbe di non ripeterli e di agire diversamente. È necessario conoscere questa memoria e questo è possibile mediante l’ascolto, un “ascolto che richiede la forza”, perché prevede il recepire storie di vita interrotte per volontà altrui, legate a ragioni politiche, economiche e culturali e mediante l’impiego di modalità brutali, ma non solo. Conoscere la memoria permette anche di comprendere come nel passato la vita dell’uomo sia stata regolata da determinate manovre e dinamiche di poche persone, alcune delle quali si ripetono anche nel presente 28


e sulle quali è necessario intervenire. Quindi, conoscere la memoria è un passo verso la solidarietà nei confronti dell’intera umanità, ma in particolare è un passo verso il cambiamento, quel cambiamento oggetto di auspicio di questo poema. Un inizio in questa direzione potrebbe riguardare la formazione dei giovani studenti, a partire dagli anni scolastici per proseguire in quelli universitari: è necessario optare per una formazione che preveda sì la trasmissione di nozioni e concetti fondamentali per la carriera accademica, ma senza fermarsi a considerare l’essere umano come una semplice spugna che assorbe solamente. L’ottica da adottare sarebbe quella di formazione intesa come contributo e stimolo alla crescita della persona, tenendo conto della sua individualità, fatta di pensiero critico, riflessione, passione, giudizio, intelligenza e conoscenza. Perciò non deve essere reclusa o limitata ai giovani l’opportunità di entrare in contatto con ciò che permette di aprire la mente ed esprimersi per come si è, possibile ad esempio con la musica o l’arte. Bisogna incentivare la possibilità di “poter coltivare il proprio orto”, come ricorda Voltaire in Candido, il che non significa chiudersi in sé stessi e non accogliere ciò che è diverso, ma consiste nel poter conoscere e sapere così da far crescere e maturare le proprie idee, confrontarle con quelle altrui, essere pronti a cambiarle nel caso in cui fosse opportuno e accettare e rispettare anche quelle che sembrano essere più lontane e diverse. Questo si traduce in una dimensione di apertura caratterizzata dalla costruzione di ponti, piuttosto che di muri, che porti alla formazione di una “rete umana”, al cui interno la vita di ogni individuo è sullo stesso piano della vita degli altri, in quanto tutte sono un dono di Dio. Di conseguenza, ogni vita ha un senso e va rispettata e accettata a prescindere da elementi che sottolineano caratteri di diversità come la religione, la nazionalità, l’orientamento sessuale o l’ideologia. Riconoscendo l’importanza della vita propria e altrui, anche il dolore e la sofferenza troverebbero uno spazio di accoglienza e comprensione, poiché peculiarità della vita umana. È auspicabile, dunque, che l’uomo rivaluti sé stesso, partendo da ciò che più di profondo lo caratterizza, passando per le sue capacità e potenzialità, arrivando ai i suoi diritti e i suoi doveri, così da poter considerare la sua vita una esperienza vissuta e unica nel suo valore.

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Bartolomeo Lanzolla Studente in Scienze delle Amministrazioni Pubbliche e Private presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Il primo elemento di riflessione, dopo la lettura del testo, è relativo alla scelta di utilizzare il genere poetico per esprimere le proprie riflessioni e i propri pensieri su temi che riguardano la nostra storia. Dal momento che la poesia consente di coinvolgere maggiormente il lettore, arricchendo e integrando il significato dei versi con le sue esperienze, si può supporre che l’autore abbia voluto in modo particolare indurre il lettore a riflettere sulla storia del passato e del presente, sollecitando la coscienza ad interrogarsi su alcuni problemi e situazioni. La poesia, spesso utilizzata per esprimere esperienze soggettive, in questo caso diventa strumento per parlare di storia, di conflitti, di campi di concentramento di ieri e di oggi, di lotte tra popoli o per denunciare un’Europa solo apparentemente unita o una democrazia in crisi. Il tema principale del poema è richiamato fin dall’inizio dalla copertina del libro, che riporta l’immagine di un quadro del pittore brasiliano Almeida Júnior. Il dipinto allude al titolo del libro: una donna triste guarda una carta, parola che in portoghese significa anche “lettera”. La lettera è oggetto della sua nostalgia, filo conduttore della riflessione. La nostalgia a cui in “Infatuazione” si fa riferimento è quella per una memoria ormai persa della storia del passato, che, però, è quella che ha determinato il nostro presente. E’ certo importante che il Parlamento italiano nel 2000 abbia istituito il “Giorno della Memoria”, che si celebra il 27 gennaio, giorno della liberazione del campo di Auschwitz, per ricordare lo sterminio e le persecuzioni del popolo ebraico, così come è significativo che nel 2004 abbia istituito il “Giorno del Ricordo”, per ricordare tutte le vittime delle foibe. Al di là dei rischi di celebrazioni puramente formali, il problema della memoria, però, va oltre questi due momenti, in quanto, purtroppo, nella storia più recente si sono verificati numerosi altri esempi di persecuzioni, campi di lavoro, conflitti fra popoli, di cui poco si parla. Il grave rischio di questa mancanza di attenzione per la memoria storica è quello di riproporre conflitti, divisioni, odi razziali, movimenti autoritari. Ma la nostalgia a cui si allude attraverso la copertina è da intendersi anche nei confronti della Costituzione, che bisogna cercare di realizzare concretamente, per evitare che quei principi restino soltanto una “carta”. 30


I temi che emergono come fondamentali sono, dunque: la memoria; la critica all’Europa, preoccupata dei suoi problemi finanziari più che delle condizioni dei suoi popoli; la crisi della democrazia, temi che ritornano nelle quattro sezioni del poema, con alcune particolari costanti: “Olocausto della memoria” e “Requiem per la democrazia”. Ho scelto di focalizzare l’attenzione sul primo tema, quello dell’”olocausto della memoria”. I testi scelti turbano la coscienza del lettore, messo di fronte a realtà terribili e non sempre conosciute: se, infatti, gli orrori della Shoah e delle foibe sono spesso oggetto di memoria storica, altri “orrori”, più recenti e vicini ai giorni nostri, addirittura contemporanei, sono, invece, del tutto sconosciuti. Questa “ignoranza” del presente può indurre a pensare di aver raggiunto livelli alti di civiltà, ma, in realtà, la presenza anche di un solo campo di lavoro rappresenta una vergogna per tutti noi e ci obbliga al dovere di informarci e di ricordare che esiste un “inferno” sulla terra. Non è un caso che questo termine ricorra frequentemente nei testi. A. IL CAPITALE: IL VUDU’ MONETARIO EUROPEO OMOLOGANDO L’ESISTENZA Olocausto della memoria 1 Il titolo di questa sezione del testo è molto efficace, perché chiarisce, con poche parole, l'importanza della Memoria, che, invece, nel mondo attuale è particolarmente trascurata. La parola “olocausto”, con cui viene designato il genocidio degli Ebrei in Europa, viene, invece, qui riferito alla memoria, invitando, così, il lettore a riflettere fin da subito su un doppio sacrificio: quello di un popolo sterminato e quello della memoria dello stesso sterminio. “Shoah” La prima poesia di tale sezione si intitola “Shoah”, termine ebraico («tempesta devastante», dalla Bibbia) con cui si suole indicare lo sterminio del popolo ebraico durante la Seconda Guerra Mondiale. Essa propone immagini della vita in un campo di sterminio, dove avviene un processo di degradazione degli uomini, non più considerati nella loro umanità, ma divenuti ombre di se stessi (“gambe e braccia ridotte a stecchi”), individui deformati (“occhi sgranati”), numeri (“ci imbrattano di sigle, numerata è l’epidermide”), elementi inanimati (“le mani si rivelano, spente,/unghie violacee), “spettri” che si muovono in uno spazio, caratterizzato da cumuli di spoglie, filo elettrico, “spezzoni di vetri acuminati”. Spogliati di ogni libertà e di ogni individualità, le vittime del lager devono ridurre il proprio livello di esi

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stenza alla pura sopravvivenza. Ciò che conta è sopravvivere, nulla di più. Ma la sopravvivenza non è assicurata a tutti, ma solo a coloro che possono garantire, pur nelle inumane condizioni di vita, un lavoro assiduo. Perciò, un “ostetrico vortice di controllo non indugia su età”, “abortita nascita, sono d’ingombro prole e madre”: in questo assurdo sistema, che non tutela neppure i bambini, le parole (“sefirot”), che dovrebbero dare un senso all’universo, non riescono, invece, a farlo: il mondo umano sembra non esistere più (“sfuma il mondo”). Questi versi possono richiamare un passo del secondo capitolo del romanzo di Primo Levi “Se questo è un uomo”, nel quale l’autore, dopo aver descritto le operazione dei nazisti tendenti ad annullare l’umanità e ogni forma di dignità fisica e morale dei deportati già al loro ingresso nel campo, descrive l’arrivo dei deportati nel lager di Buna-Monowitz, vicino ad Auschwitz, cui egli è destinato: “Per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome. E se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare s’ che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.” Nella poesia lingua e stile sono funzionali ad esprimere tale annientamento di dignità: le frasi sono brevi, prevalgono i suoni “forti” di gruppi consonantici, il lessico suggerisce l’idea di fragilità, precarietà, instabilità, distruzione, morte (“stecchi”, “stritolata”, “macilente”, “spoglie”, “violente”, spettri”, “morte”, “sterminare”, “sfuma”, “assenza”). Iscrizioni Questo testo sembra essere un atto di dura denuncia nei confronti di un’Europa solo apparentemente unita, ma, in realtà, attraversata da una serie di contrasti e contraddizioni. Gli ideali che dovrebbero animarla sono la pace e la stabilità, l'unità e la prosperità, il rispetto dei diritti fondamentali della persona, garantiti dai Trattati istitutivi. Eppure, le immagini proposte dalla poesia vanno in direzione opposta: l’Europa appare “sfibrata”, bloccata in un “laccio di algoritmo tra costi e profitti in debito d’esistenza”, caratterizzata da una “abiura di democrazia”, “vittima di astio politico e dell’abominio teso a differenziare fra popoli”. 32


L’abiura è, propriamente, una rinuncia libera e perpetua, sotto la fede del giuramento, a cose, persone o idee, alle quali prima si era aderito; per estensione, si può intendere come rinuncia a un credo politico o ideologia o abbandono dei principî precedentemente professati. Dunque, parlare di “abiura” in riferimento al principio democratico, che deve essere alla base dell’Europa, è una vera e propria condanna nei suoi confronti. L’Europa sembra preoccupata più di orientarsi tra costi e profitti che di curare le sorti dei suoi popoli (“debito d’esistenza”), è dominata dall’astio politico, non riesce a realizzare effettivamente accordo e concordia: “è farsa quella congettura di salvezza, di riordino di natanti”; in realtà, l’Europa è già “carcassa”. Essa, dunque, è preoccupata esclusivamente degli aspetti finanziari più che umani, non riesce ad eliminare vecchi rancori, né riesce ad evitare che i suoi confini si trasformino in luoghi di tristezza (“accalcandosi ai confini ridotti a limiti di mestizia”), presidiati da eserciti che “prefigurano assalti”. E’ un’Europa che, come si desume dal testo “Invocazioni”, non dà la giusta importanza ai conflitti interni tra i suoi popoli e, tra “scavi di fosse comune” ed eccidi, ha addirittura deciso di rinunciare a contare i tanti cadaveri, vittime delle divisioni politiche: “ebrei, cristiani, musulmani cremati da dominio”. Qui il riferimento può intendersi relativo ai numerosi conflitti che, alle porte d’Europa o sul suo stesso territorio, sono scoppiati, provocando stragi e sofferenze. Si pensi al conflitto tra serbi e croati, che ha provocato migliaia di morti, attraverso modalità terribili: persone inerti, compresi bambini, sarebbero state bruciate vive, sulla base di antichi presunti riti di purificazione slava, riproposti dal criminale Arkan. B. LO SPIRITO DELLE LEGGI: DEBITO D’ESISTENZA E MERCIFICAZIONE Olocausto della memoria 2 Gulag Gulag è la sigla di «Direzione generale dei campi (di lavoro correttivi)». Fu uno strumento di repressione degli oppositori politici nell’Unione Sovietica, in particolare negli anni di Stalin. Raggiunse il culmine della sua attività durante le grandi purghe del 1938, nella prima fase dell’aggressione nazista all’URSS e nel secondo dopoguerra. Si calcola che circa 18 milioni di persone vi furono recluse dal 1929 al 1953. N. Chruščëv ne avviò lo smantellamento, deliberato nel 1960.

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Il testo si riferisce, in particolare, ai gulag di Chokmà e di Binà, caratterizzati da un livello estremamente alto di violenza, tale da non poter più parlare della presenza di una coscienza, come si desume dai versi: “desiderio nudo di violenza”, “feroce meandro”, “azzannando la coscienza”. Il campo di lavoro correttivo e di rieducazione si trasforma in campo di orrori, in cui neppure le donne incinte sono rispettate, ma colpite senza ritegno con calci, le donne sono private della loro dignità di persone e di madri (“(la madre) schiaffeggiata, sgridata, poi palpeggiata”). L’unico modo per rieducare è quello di violentare, senza distinzioni: cristiani ed ebrei, ma anche artisti e oppositori di ogni tipo sono accomunati dallo stesso destino di morte. C. LA DIVINAZIONE Olocausto della memoria 3 Rieducazione a Yodok Il campo di concentramento di Yodok è un campo di concentramento situato in Corea del Nord, chiamato "colonia penale lavorativa numero 15", utilizzato per imprigionare i responsabili di reati politici o contro lo stato, condannati ai lavori forzati. Si tratta di un campo fortificato con alti muri, recinzioni elettrificate e reti di filo spinato alte fino a 4 m, con torrette di sorveglianza a intervalli regolari. Il campo è diviso in due zone: da una parte si trovano le persone ritenute colpevoli di reati più gravi (attentati contro il regime o dissidenza politica, ideologica o religiosa), condannate alla morte, dall’altra i responsabili di crimini ritenuti meno gravi (tentativi di espatrio clandestino, aver ascoltato trasmissioni radiotelevisive estere o critiche alle politiche del regime), che potrebbero uscite vive. Nella prima parte, la poesia sembra alludere ad una pratica utilizzata nel campo, cioè quella di seguire corsi di "educazione ideologica", imparando a memoria la lezione impartita e ripetendola: “riducendo a ripetizione la parola lavata”. La parola perde la sua capacità di esprimere concetti e si riduce ad una operazione meccanica, priva di senso; l’ideologia non è più un modo di concepire la vita, ma un mezzo per distruggere la propria identità: “slabbrandosi l’ideologia come copertura che infodera identità e volto”. Nel campo la vita quotidiana è scandita dalla tortura: “tortura carne”. Il risultato finale è quello di una totale degradazione dell’umanità, tale che l’essere umani diventa quasi insopportabile: “scarni d’umanità”, “zavorra d’umanità”. I prigionieri sono sottoposti ad atti spietati, perché sospettati di costituire un 34


pericolo ed una insidia per il regime, definito “di cultura”. Tale regime non riesce a contrastare con altri metodi gli oppositori (“forza renitente”), definiti “un superfluo mucchio di gente”. Da notare l’uso dell’aggettivo “superfluo”, riferito a persone, tra l’altro non considerate nella loro individualità, ma in modo indistinto (“mucchio”). Questo regime sembra godere della sofferenza altrui (“si sazia al crematorio di attimo eterno”), offende la memoria (“insudicia la memoria”), e rende il campo un mondo a sé stante, separato da tutto il resto, delimitato da un fumo che si diffonde nell’aria. Gli ultimi versi (“aleggia amaranto e svolazza oltremare, all’ineluttabile che ci spiazza”) sottolinea il senso di impotenza dominante di fronte a qualcosa di “ineluttabile”, che non si riesce a contrastare. D. IL NUOVO MONDO E LE CONTRAFFAZIONI DELLA DEMOCRAZIA Olocausto della memoria 4 L’agonia a Choeung Ek Il testo fa riferimento al campo di Choeung Ek , in Cambogia: qui, dopo una guerra civile, raggiunse il potere il Khmer Rosso (rosso è un richiamo al comunismo), che in pochi anni (1976-1979) ha realizzato un vero e proprio genocidio, uccidendo tre milioni di cambogiani su una popolazione di otto milioni. Mente di questo piano di sterminio e di creazione di una società comunista “pura” fu il dittatore Pol Pot, figlio di una famiglia benestante di immigrati cinesi. Il testo si basa inizialmente su un contrasto tra passato e presente: da un lato vecchi ricordi di una vita normale, “fotogrammi di celluloide, quadri che non sbiadiscono”, dall’altra un presente disumano. I ricordi sembrano lottare per sopravvivere, ma sono assediati da un presente, in cui vige il “sistema d’infamia” creato dai khmer, cioè un meccanismo di sospetto per cui basta poco, anche la semplice curiosità, per essere accusati e ritrovarsi in un campo di lavoro. Così, il passato, che solitamente custodisce i propri ricordi e la propria identità, viene straziato e diventa privo di significato positivo, si trasforma in un “cumulo di rovine e di obbrobri”, appare come una parola vuota, che non può neppure aiutare a sopravvivere nel presente. Il presente è talmente

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negativo da annullare ogni residua possibilità di solidarietà: si sviluppano un “circuito di cospirazione” e “metodi reciproci di vendette”. I versi, utilizzando un linguaggio estremamente espressivo e duro, suggeriscono un’idea del tipo di vita che si conduceva in quel campo, nel quale l’individualità era totalmente annullata, tanto che perfino i nomi erano stati aboliti, sostituiti da numeri (“khmer uno”); il fumo era accecante, in quanto i corpi erano bruciati 24 ore su 24 (“fumo della notte che acceca”); la dimensione umana ferocemente degradata (“obbrobrio in cui precipitò il creato tutto, strattonato per dilaniare e angosciare, frantumo di umanità linciata da maoismo“). I prigionieri sono sottoposti ad una sorta di “rieducazione”, ma gli strumenti a cui si fa ricorso non sono quelli della cultura, ma esclusivamente quelli di una violenza dagli esiti sconvolgenti: torture (“efferatezze”), confessioni ottenute con ogni mezzo (“espiazioni forzate nella carne”), sadismo (“guardie dai sorrisi spietati”), un vero e proprio “inferno”. In questo mondo infernale, non c’è spazio per la preghiera, né per la pietà, ma solo morte, alla quale, peraltro, si giunge dopo una lunga pratica di dolore e di umiliazioni. Gli ultimi versi alludono all’assurdo comportamento delle guardie del campo, che si divertivano davanti alle torture e agli omicidi collettivi: si noti l’ambivalenza lessicale del termine “riso”, al terzultimo verso, che allude sia al cerale distribuito in misura estremamente limitata sia al divertimento dinanzi alle incredibili sofferenze dei prigionieri. Oggi, Choeung Ek è un monumento alla memoria, contraddistinto da una stupa buddhista. La stupa ha le pareti in plexiglas ed è occupata da più di 5.000 teschi umani. Alcuni dei livelli inferiori sono aperti al pubblico in modo tale che i crani possano essere visti direttamente. Molti sono stati lesionati o sfondati. E. IL CAPITALE: IL VUDU’ MONETARIO EUROPEO OMOLOGANDO L’ESISTENZA Olocausto della memoria 1 Treblinka, gemiti al cielo Treblinka fu uno dei sei principali campi di sterminio del regime nazista durante l'Olocausto. Il campo di Treblinka è tristemente noto, nei rapporti fatti dai pochi sopravvissuti, per lo sterminio perpetuato con balorda violenza ed insolita ferocia sulle vittime. Secondo alcune stime, in solo sedici mesi, nel campo furono uccise dai 700.000 ai 900.000 internati. Questo campo è, purtroppo, noto per il trattamento riservato ai bambini, che, spesso, in inverno, restavano nudi e scalzi per ore e ore all'aperto, in attesa del 36


loro turno nelle camere a gas, sempre più affollate, morendo anche congelati. Nel frattempo gli aguzzini, tedeschi ed ucraini, battevano e li prendevano a calci. Una testimonianza di questo orrore è L'inferno di Treblinka, di Vasilij Grossman, corrispondente di guerra, che la pubblicò nel 1944. Per volontà del procuratore militare sovietico, il reportage fu dato in lettura al collegio d'accusa del processo di Norimberga. Grossman racconta delle deportazioni forzate di milioni di ebrei; racconta la procedura di disumanizzazione (la requisizione dei documenti; la denudazione; l'ammassamento nei cortili); racconta il rituale di morte nelle camere a gas e le torture praticate "per umorismo" dai nazisti. In questo campo, c’era, in particolare, un tedesco, Sepp, "specializzato in bambini”, che traeva piacere nel torturare i bambini, nell'abusare di loro. Attraverso frasi brevi o brevissime, a volte nominali, il testo ci pone davanti agli occhi le scene disumane delle madri a cui vengono strappati i figli, delle loro urla strazianti di dolore, del loro pianto e del loro supplizio davanti al sacrificio assurdo dei loro bambini, vittime di una lama che li uccide: “Crollano i bambini, sgozzata la loro voce”. Le espressioni utilizzate suggeriscono l’orrore indescrivibile della situazione, un vero e proprio “inferno”: “Latta si contorce. Rosola sul ghiaccio. Fracassa il silenzio. Come laccio di flagello strangola cuore e sorte: sono tutte madri. La lama si flette. Dall’alto. Vibra spasmo su braccio. Gemito, supplizio di donne. Forte, fende d’un tratto gola, e fredda. Spietata, la bocca irride. S’affretta.” La voce dei bambini, ormai stroncata su questa terra, diventerà un canto di angeli.

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Angela Lauria Laureanda in Progettazione delle Politiche di Inclusione Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

DILATAZIONE (p. 48) In quest’opera emerge l’aporia, la difficoltà, l’incertezza causata da un oscurantismo politico. L’autore sottolinea come l’andare verso l’europeismo, comporti passi fluttuanti, che incidono fortemente una società deturpata dal vaneggiamento ideologico, un miraggio che ha profanato l’Europa stessa con monete di cartapesta. Emerge, a mio avviso, una opposizione ai processi politici di integrazione europea causa dell’indebolimento dello stato che pare fluttuare su un mare di incertezza. TRONCO TERREO (p. 49) Omertà e silenzio sono le prime denunce del testo che sottolinea l’autoritarismo di una classe dirigente che si serve dello Stato anziché servire la sua gente. Viene citato un articolo di Pasolini del 24 luglio 1975, l’anno della sua morte violenta al lido di Ostia. In “Fuori dal Palazzo” Pasolini scriveva che “solo ciò che avviene dentro al Palazzo pare degno di attenzione e interesse, il resto è minutaglia, brulichio, seconda qualità…”. Richiamando questa lettura pasoliniana emerge ancor più l’intento dell’autore di sottolineare l’abisso che separa la classe politica dalla realtà in cui vive la gente comune, abisso che separa soprattutto le nuove generazioni da uno Stato che è reticente nel confessare i suoi segreti e le sue ragion di stato. IMPLOSIONE DELLA PACE (p. 55) Ciò che non esplode, implode, ciò che non soffia crea un clima afoso e soffocante… -potrebbe essere la mancanza di uno spirito, di un soffio di pace-. Questo è causa di una guerra subdola che castiga gli innocenti. Il richiamo alla guerra è sottolineato dalla presenza di vocaboli come grigioverdi baveri e divise, filettature, ocra, cadaveri… L’autore utilizza il verbo “strinare” che richiama alle fiamme, alla combustione, ai forni crematori, a conferma di que38


sta lettura poetica, la parola olocausto presente quasi al termine del testo che si conclude con il richiamo di una pace dilaniata come dilaniato è il candore infantile. MARCHIO A FUOCO (p. 56) Il richiamo del poeta all’azione dello “scavare fosse e fosse” riporta al tema della guerra e della dittatura dispotica dell’anticristo. Ovvero di colui che lega, rintana i cittadini privandoli di ogni dignità e costringendoli dunque a scavare la loro stessa fossa. Strizza, tiene stretti i sudditi, servi epurati… sono quegli uomini ritenuti indegni, indesiderati, da eliminare come fossero blatte, scarafaggi da marchiare a fuoco vivo come per gli schiavi.

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Roberta Losciale Studentessa in Studentessa in Formazione e gestione delle risorse umane, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari

Il titolo di questo poema permette di collocare tempo e spazio. Siamo nel 1992 in Bosnia Erzegovina dove ebbe luogo la pulizia etnica perpetrata dai serbo-bosniaci ai danni di bosgnacchi e croati durante la guerra del 1992-95. Nella città bosniaca di Omarska fu istituito questo tristemente famoso Lager dove centinaia di prigionieri, croati, bosniaci vi trovarono la morte nelle forme più atroci. La pulizia etnica fu particolarmente brutale in questa parte della Bosnia, tanto che Prijedor divenne famosa per i quattro campi di concentramento sorti nei suoi dintorni. Il 23 aprile 1993 i serbo-bosniaci formarono il “Comitato di crisi del distretto serbo di Prijedor”, una lobby politica ed economica che aveva lo scopo di stabilire un controllo totale sulla municipalità. Secondo il dettagliato report stilato da Human Right Watch, dal momento in cui i serbo-bosniaci assunsero il controllo della municipalità alla popolazione non appartenente all’etnia serba fu concesso di lasciare la città a condizione di rinunciare ai diritti di proprietà e concordare di non tornare mai più. Le case e i terreni di bosgnacchi e croati vennero espropriate, i loro proprietari costretti a cercare rifugio altrove, mentre chiese e moschee venivano date alle fiamme. In questi versi emerge la brutale scena di questi poveri prigionieri che impietriti sfilano senza mendicare, della guardia musulmana che ha preso di mira e grida ad un pover uomo che potrebbe bere anche il suo piscio e mangiare le sue feci perché per questo tutto è commestibile tanto. Infine vi è la scena della ragazza bosgnacca, figlia di quel pover uomo, che viene buttata in mezzo a terra e avvinghiata dalle guardie fino a quando povera e contorta a terra si addormenta. È possibile notare la violenza, la negazione della libertà, il diritto di continuare a vivere. Eppure in quel Lager tutti erano uomini. Sia i serbo-bosniaci che i bosgnacchi e croati. Cosa bisognerebbe fare, rielaborare il conflitto o rinnegare il passato? Ma avviare un percorso condiviso di rielaborazione del conflitto appare quasi un’utopia, almeno finché non cambierà la classe politica al potere di oggigiorno. Nonostante ciò le manifestazioni come quella del 31 maggio 2013 a Prijedor, così come le proteste di massa contro la distruzione di Pičin Park a Banja 40


Luka, mostrano che, nonostante la sordità delle autorità politiche, la società civile bosniaca ha scelto di non rimanere in silenzio. Perché il 31 maggio? La scelta della data non è casuale, così come non lo è quella di indossare delle fasce bianche. Si ricorda che, il 31 maggio di ventuno anni prima, i serbo-bosniaci ordinarono ai loro concittadini di diversa etnia di indossare nastri bianchi in segno di riconoscimento. Questo avvenimento segnò l’inizio di una campagna di pulizia etnica che, si stima, abbia fatto più di tremila vittime civili, ma la cui esistenza continua ad essere negata dalle autorità politiche locali. Si dovrebbe parlare di una totale mancanza di capacità a confrontarsi col passato da parte dell'intera società bosniaca. Quali sono le ragioni principali? Alla radice del problema vi è la mancanza di una concezione generale della società bosniaca. Se una tale idea esistesse, sarebbe diverso anche l'approccio verso il passato. Non esiste buon senso. Si tratta purtroppo di ferite che devono essere prima di tutto guarite. Si tratta di una questione morale che deve essere risolta. La guerra viene condotta ancora oggi, ma con l'arma della memoria. Si svolge una guerra psicologica. Si alimenta un clima di odio che consiglia a chi si trova all'estero di non tornare, e a coloro che vivono ancora in Bosnia di andarsene. Attualmente, a Prijedor non è permesso erigere un monumento in ricordo delle vittime civili del massacro. Nonostante le pressanti richieste delle famiglie delle vittime e dei sopravvissuti al campo di concentramento di Omarska, viene ancora impedito di posare anche solo una lapide per commemorare chi venne massacrato, violentato, torturato e ucciso. La scelta allora di render memoria a queste povere vittime attraverso i poemi deve esser dettata da un desiderio non solo di ricordare ma anche di dover andare avanti, di dover aiutare di più il prossimo senza troppe differenze di genere, etnia, religione.

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Chiara Lupoli Laureando in Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Il mondo che ci circonda è costituito in gran parte dal dolore di molte popolazioni, che subiscono torture e violenze, nella più totale indifferenza delle istituzioni; soprattutto l’Europa che dovrebbe aiutare i popoli che soffrono, insegnando loro la democrazia, invece che fa? Fa finta di non vedere, gira lo sguardo da tutt’altra parte, si concentra solo su scopi monetari. Nel XXI secolo si assiste a situazioni come quelle in Serbia, in cui la popolazione è circondata da mura che la separano dalla Croazia, vivono in vecchie stazioni abbandonate, edifici malridotti, in condizioni di povertà assoluta; un paese come la Serbia, da troppi anni è in balia di una guerra che non sembra avere fine, la quale ha portato alla morte tantissimi civili, di cui molti bambini (nel 1991 a testimoniarlo c’era la giornalista italiana Milena Gabanelli). Il perché, donne e bambini, siano i primi ad essere colpiti in queste situazioni è da attribuire al fatto che siano da sempre ritenuti i primi nemici del potere; le donne in quanto procreatrici, i bambini perché capaci di utilizzare armi e, abbattendoli, si pone fine ad una determinata stirpe. Altre vittime di un mondo così crudele sono i siriani, colpevoli solo di esser nati in un territorio strategico per gli oleodotti che vanno dall’Iraq al Mar Mediterraneo. La guerra che sono costretti a vivere ogni giorno, è una guerra fatta di strategie, lotta fra le grandi potenze per la conquista di un territorio così prezioso; ciò che viene fatto credere a tutti noi è che sia Assad l’autore delle stragi civili, quando invece è tutt’opera di Usa, Gran Bretagna, Qatar ed Arabia Saudita che cercano in tutti i modi di farlo cadere ed avere accesso libero al territorio. Da tutto ciò possiamo dedurre come i mass media siano controllati dai più potenti, che manipolano le informazioni per avere il parere del pubblico dalla loro parte, in modo da agire indisturbati, circondati da un clima di totale “legittimità d’azione”. “Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana” (Pier Paolo Pasolini). La citazione rispecchia ciò che è il mondo attuale, un posto in cui la gente teme di esprimere i propri ideali ed ha paura di testimoniare su fatti gravi e che, soprattutto, vive nella più totale indifferenza nei confronti delle vite altrui. 42


Un po’ tutti viviamo circondati dalla falsità, in quanto è l’unica che si riesca a digerire (es. reality show); ci vengono continuamente proposti modelli costruiti: gli influencer, i fashion blogger,… i quali accendono desideri, che altrimenti sarebbero del tutto ignorati dalla gente (super-macchine , gioielli dal valore inestimabile, vestiti costosi,…). In qualche modo la nostra vista viene continuamente annebbiata da cose futili, cosicché non ci si accorge di situazioni ben più gravi, come quelle già citate; difatti le istituzioni tendono, col passare del tempo, ad investire sempre meno nell’educazione. Ad oggi assistiamo ad un vero e proprio processo di rimozione dalla memoria della gente, delle sofferenze inflitte ai popoli, sia del passato che del presente, ad opera della generazione del ‘68; ciò è comprensibile, in quanto, giovani capaci di criticare e di avere dei propri ideali, potrebbero rivelarsi una minaccia molto seria per i potenti, i quali tendono sempre più a calpestare il genere umano pur di raggiungere i propri scopi. Il risultato delle loro azioni è traducibile in un’unica frase “la monetarizzazione delle sorti”; ormai, tutti noi siamo visti non come esseri umani, ma come numeri, merce, denaro. Qualche giorno fa, un assistente sociale mi ha raccontato la sua esperienza: la comunità di immigrati in cui lavora sta pensando di ampliare la propria struttura, in modo da accogliere altri ragazzi, quindi incassare più denaro (ogni ragazzo permette alla comunità di guadagnare circa 2000 euro al mese), assicurando ai dipendenti un eventuale TFR. Il suo racconto mi ha sconvolta, ma la sua naturalezza nel raccontarlo mi ha fatto capire che, noi esseri umani, possiamo facilmente esser utilizzati da merce di scambio, come un qualsiasi oggetto da comprare e/o vendere.

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Roberta Maggi Laureanda in Progettazione delle Politiche di Inclusione Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Riflessioni sul poema: INFATUAZIONE L’olocausto della memoria europea, l’abiura della democrazia, Wip Edizioni, Bari 2018. Questo libro ha generato in me una profonda e critica riflessione, non solo sulle circostanze storico-politico e religiose già vissute, ma, soprattutto su quelle che ad oggi viviamo. Sempre più spesso i media ci parlano di crisi dei valori, è vero! I valori, soprattutto quelli tradizionali sono in crisi o meglio non esistono più, spesso pensiamo e diciamo che il mondo va a rotoli, che i giovani sono indisciplinati, non sono rispettosi degli altri e dell’ambiente che li circonda, molto meno spesso però ci chiediamo: perché succede tutto questo? Come mai i valori tradizionali sono in via di estinzione? Cosa spinge le persone a comportarsi come si comportano? Viviamo a mio parere nell’ era del nulla! Non di certo per colpa dei giovani! Intere generazioni passate, partendo già dai nostri nonni non si sono rese conto del periodo in cui vivevano e dei cambiamenti epocali che loro stessi, sulla loro pelle stavano vivendo, magari troppo velocemente per esserne davvero consapevoli! Nessuno si è reso conto, fino a questo momento che la società del capitale stava prendendo il sopravvento su tutto e tutti, che il valore dei beni materiali stava superando anche il labile valore delle coscienze individuali e collettive, non si è stati capaci di cogliere l’essenza del cambiamento per migliorare effettivamente la vita delle generazioni future. Il cambiamento è stato così veloce e radicale che ognuno, a modo proprio se ne è beato, dimenticando chi fosse e da dove fosse venuto. Si è parlato e si parla degli eventi storici come di qualcosa di estraneo, di vuoto, qualcosa di cui avere magari una semplice compiacenza passeggera solo al momento in cui la si sta leggendo sui libri, se la si legge, perché fa parte della famosa crisi di valori anche la scarsa comprensione e la scarsa voglia di capire che gli eventi passati non sono stati scritti da poeti o scrittori per il mero diletto di voler scrivere un libro, ma sono stati narrati fatti, avvenimenti, vissuti da persone come noi, persone che hanno combattuto per ottenere anche un semplice tozzo di pane, un tetto e i beni essenziali per poter vivere dignitosamente la loro breve vita consumata dal lavoro e dagli stenti che hanno vissuto per poter avere quello che invece oggi ci 44


sembra niente. Siamo una generazione vuota, non solo per colpa nostra, soprattutto per colpa di chi ci ha preceduti! Si dirà: “ è facile dare la colpa a chi ci è già passato” ma penso sia proprio così! Capisco che oggi i mezzi per informarsi sono molti e molto più vari, ma proprio questa, senza la giusta guida, senza le giuste direttive, rischia di diventare un’ arma molto più potente di quella che è. Finché si vivono le situazioni solo per mettersi in mostra, per conquistare un posto di rilievo agli occhi degli altri, per avere compiacenza, per parlare alla gente, ai popoli, come ad una massa di affamati di giustizia, i valori saranno sempre più scarsi, tenderanno a dissolversi nel nulla, vanificando i sacrifici di chi ha speso la sua vita per costruirli. Tutte le istituzioni, politiche, sociali e religiose, non in quanto tali, ma in quanto costituite da persone, si dovranno chiedere quale ruolo obiettivamente ricoprono al di là della sedia che occupano. Non ci rendiamo conto che per dare spazio ai soldi e ai beni materiali abbiamo perso contezza delle cose più vere che ci circondano, dei valori veri ed in primis della vita stessa, siamo diventati delle macchine e spesso ci comportiamo proprio come degli esseri impersonali. Finché non ci si guarderà intorno, non si troverà il coraggio di vivere e condividere i propri spazi, la propria vita con gli altri, anche con l’ignoto, lo sconosciuto, allora si vivrà del nulla. Finché non riusciremo a comprendere come abbiamo fatto ad arrivare fin qui, finché non avremo il coraggio, la voglia e la curiosità di capire perché siamo quello che siamo, saremo delle marionette nelle mani di burattinai per niente preparati a farci vivere in un mondo troppo più grande di noi e di loro. Finché si continuerà a parlare esclusivamente del valore della moneta e dei beni materiali e si continueranno a proclamare guerre, minacce e a rifiutare altre persone come noi, non comprendendo che anche noi siamo e siamo stati dall’ altra parte, tutti i tentativi di poter salvare il mondo, di poterlo migliorare, professati e praticati dai nostri antenati con il loro sacrificio saranno solo fumo. Non dobbiamo mai dimenticare che “Nessuno si salva da solo”, tutti siamo tutto, il mondo non è costituito dal niente, potremmo vedere la terra come un grande contenitore e noi come un’unica entità che lo popola indipendentemente dalle innumerevoli distinzioni che si possono fare di sesso, razza, religione, lingua, ragione sociale e chi più ne ha più ne metta.

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Lidia Mallardi Laureanda in Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Infatuazione scritto da Gianfranco Longo e pubblicato nel 2018. Nelle 126 pagine del libro, mi ha colpito un verso, in particolare, della prima parte, pezzo che ho scoperto solo dopo, essere stato riportato nella parte posteriore della copertina libro - con mia immensa sorpresa (vista la mia scarsa attitudine alla lettura di tutto ciò che non sia chiaro al primo sguardo). “L’ascolto richiede la forza, cuore che impegno non smorza; l’esperienza rinsalda l’amore, sgorgando dalla vita conforta desiderio, mio e tuo: il rumore d’assorta inquietudine dimore coniuga postume. Non sperpera su remore e dolore, puerpera che esclama ancora il ritorno all’olfatto di vita, dove impetra la difesa, e si stempera attorno: appena un sospiro è quel giorno.” Ritengo che questo sia uno dei passi più significativi di questo quarta parte del poema di Gianfranco Longo Cantico di lode, perché in esso è celato, a parer mio, il significato della maggior parte del libro. Tutto il brano sembra dapprima una vecchia presa di coscienza che si vuole palesare, non soltanto per mostrare che non tutti sono assuefatti da questa società che tutto dona, eccetto che la vita e la conoscenza e la libertà e la fede; ma l’obiettivo principe è di risvegliare la coscienza dei pochi che hanno la fortuna di leggere Infatuazione. Durante la lettura del testo, emerge quasi un dialogo tra lo scrittore e, a volte la madre patria, a volte la madre terra e altre ancora con qualcuno che possa realmente accogliere quell’infinità di parole, che talvolta sembrano essere state messe lì a casaccio, così per coprire i vuoti. Per una mia deformazione professionale e per una mia attitudine ho preferito il primo capitolo in quanto gli altri, in certe circostanze, risultavano un po’ troppo cruenti e irruenti e mi hanno suscitato delle immagini violente come 46


quelle che mi sono venute in mente mentre guardavo il video della giornalista italiana, Milena Gabanelli. Forse è stata colpa della tarda ora in cui l’ho visionato e probabilmente mi sono lasciata suggestionare, forse è stata colpa della mia fervida immaginazione o forse della mia sensibilità a tutti quelli che sono, non solo temi umanitari, quali le guerre fratricide, ma per la guerra in generale. Ho sempre pensato che dal passato si possa imparare per non commettere gli stessi errori, perché la prima volta può essere un errore, che sia ideologico o d’ignoranza o per altro, ma la volta successiva non si può più parlare di errori ma di orrori voluti. Nella parte A del poema già leggendo il primo punto ovvero: La monetarizzazione delle sorti, subito il mio cervello ha collegato il video di Ugo Mattei perché mi ha illuminata e mi ha dato da pensare su come il mondo sia cambiato e su come, per quanto ognuno di noi possa essere geloso della propria privacy, o attento nel non usare determinati media, comunque è uno sforzo inutile ed è emblematico la scandalo di Cambridge Analytica della piattaforma Facebook, è proprio vero che se un oggetto è gratis allora la merce siamo noi ed ecco che si arriva alla monetarizzazione delle sorti. Oggi giorno, se non si diventa famosi, si è delle nullità, se non si ha visibilità si è dei perdenti, se non si è perfetti si viene emarginati; un po’ come gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, la differenza sta nel fatto che li la segregazione era visibile e sotto gli occhi di tutti, mentre oggi l’indifferenza della gente, il bullismo, l’emarginazione non salgono a galla a meno che un uomo o una donna non commettano degli atti estremi, quali ad esempio suicidi o omicidi, come se ci si debba vergognare di essere diversi, fragili. La monetizzazione delle sorti, implica che gli anziani si sentano soli e abbandonati nelle case di cura, quando poi magari hanno figli e nipoti che potrebbero prendersene cura, ma sono visti solo come peso; vuol dire che se una persona non fa carriera nella propria professione, è un fallito\a; vuol dire che uno studente o una studentessa che sono diversi si sentano esclusi, un po’ come il rosso de il rosso mal pelo o Medea; vuol dire che una persona che ha un figlio prima dei 25 anni è un pazzo\a, soprattutto poi se il lavoro è instabile; vuol dire che siamo in una società che vive la solitudine, senza amore, senza valori ma con tanti soldi, e spesso mi chiedo a che servono i soldi se, poi, si è soli? “Frantumi di vita, ripudiata meraviglia” questo è dare un valore anche a quello che non ha valore, alle vite che stanno ai confini e che non riescono a passare perché le frontiere sono chiuse, agli immigrati che attraversano il Mediterraneo per arrivare in Italia e cercare di scappare da Guerre, malattie, stragi, fame e perché no? Anche in cerca di fortuna, alla fin fine quanti dei miei compagni delle superiori sono andati lontano, in altro paese per cer

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care di fare esperienza (si certo!) ma, soprattutto, per trovare lavoro, e cosa hanno loro di diverso dai migranti nigeriani o africani in genere? eppure molte campagne elettorali sono improntate proprio sulla chiusura dei confini e sulla caccia alle streghe (che in questo caso sono gli stranieri che rubano: le donne, i bambini e il lavoro). Non c’è più la visione dell’altro come alterità, come luogo, come esperienza, ma è visto come nemico. Tuttavia, mi rendo conto che certi pensieri sono lo specchio della società, dello Stato e dell’Europa “sfibrata, scomparsa in abiura di democrazia” e interessati solo a “Mammona” attraverso cui si mettono anche a tacere le coscienze, unica consolazione. “Esibendosi onnivoro, potere sgancia milizie, e senza memoria coro di lussati prigionieri, deportati, tortura il cielo: [..] ferite a bruciapelo sui corpi, ammucchiati, canzonando la morte”. È troppo semplice dirsi civili quando di civile non abbiamo quasi niente, noi occidentali; cosa c’è di civile nella guerra? Cosa c’è di civile nel fornire le armi a una fazione in guerra? Cosa c’è di civile nel comprare il petrolio da coloro che fanno attentati terroristici? Cosa c’è di civile nel far morire di fame e di sete intere popolazioni? Cosa c’è di civile nel bombardare una popolazione civile? Cosa c’è di civile nelle missioni umanitarie se poi vengono utilizzate come copertura per propri comodi? Per me una società civile è una società che non fa una guerra preventiva, che non vende armi per la guerra, è una società che impara dagli errori, che non vota socialisti o comunisti, che non esclude, che impara, che accoglie, che fa politiche sociali ma “bombardano: piombo, zolfo; civili sono privi di pane, senza lavoro, squarcio solo nel petto [..] risuona il silenzio per voi invasi da guerre, stritolando urla da cui riaffiora pietra angolare”. “Cancellando il consenso nato da un patto comune ora diseredato da posteri è stato […]. baratto d’esistenza” Come può uno Stato barattare l’esistenza del suo popolo per denaro o per il potere, ma, meglio ancora, come può un popolo lasciare che la propria esistenza venga barattata e monetarizzata? Come possiamo perdere i nostri valori? Quand’è avvenuto che abbiamo lasciato che qualcun altro decida per noi se fossero meglio una casa di riposo o casa propria? Com’è avvenuto che i soldi siano diventati più importanti delle relazioni? Non so fino a quando le persone saranno disposte ad accettare tutto questo, non so se ci sono persone cui non sta bene tutto ciò, non so neanche se c’è qualcun altro che pensa a queste cose, ma so, o per lo meno lo spero, che prima o poi probabilmente ci sveglieremo dal torpore, ci sveglieremo dal “politically correct”, ci sveglieremo e prenderemo coscienza (se ce ne rimarrà una) e forse solo allora inizieremo a vivere, ad amare, a credere, a combattere; fino ad allora continuerò a postare su facebook video sulle violenze sulle donne, sul bullismo, sulle discriminazioni; a cercare di fare capire ai miei amici che non tutto 48


quello luccica è oro e che non bisogna prendere tutto per oro colato; a postare delle frasi prese da qualche libro, un po’ come mio promemoria, un po’ come promemoria per gli altri; a far ragionare sulle proprie azioni; a cercare di far ricordare che esistono dei valori, esiste una morale, esiste una coscienza, di cui troppo spesso di ci dimentichiamo. Mentre leggevo il poema, avevo in mente le campane del primo seminario musicale che abbiamo realizzato con il prof. Longo, avevo in mente la ripetizione di quelle note, che sembravano sempre le stesse e sempre diverse, ecco è così che vedo i giovani di oggi. Sembriamo uguali, ma siamo diversi per ambizioni (ed io dico, per fortuna, perché non vorrei mai ambire a partecipare al Grande Fratello, a uomini e donne o altri reality), il problema è che proprio come quelle campane e quelle note, “è un cratere si consolida gestendo manichini”, siamo dei manichini, delle monadi, degli automi. Eppure quel passo iniziale è significativo, può essere uno slogan, certo forse un po’ lungo, ma uno slogan bellissimo. Tutti, chi più chi meno, cerchiamo qualcuno che abbia la forza di ascoltare le nostre paure o ansie e, perché no, anche le gioie, se vengono; tutti cerchiamo quello che è l’amore, anche se molti lo confondono con forme di possessione e di violenza; tutti cerchiamo quell’olfatto della vita, quello che Alessandro D’Avenia, dice essere la propria missione nella vita, ciò che ci fa sentire belli e forti e fortunati e coraggiosi, e nel posto giusto, e al momento giusto, quello che ci fa sentire pieni e completi, quello che ci rende felici. Ed è proprio da questa felicità che mi è balenato nella mente, che forse le prime righe di quel passo sono riferite proprio a lei Professore, a lei che ascolta le istanze di noi studenti e le accoglie e tante volte le fa fruttare in tesi diverse dal normale perché gli studenti non siano dei pappagalli, ma dei pensatori; a lei che dall’ascolto trae la sua forza di continuare a scrivere poemi e continua a fare ricerche perché vede in noi studenti la volontà di capire e pensare con la propria testa in questo mondo che ci vuole tutti uguali e tutti omologati, noi traiamo esperienze concrete, anche attraverso la musica, da lei e lei, professore, trae la forza di andare avanti nonostante le vicissitudini della vita e anche dalla carriera universitaria, di continuare ad avere dei desideri, nello sperare che anche noi studenti, un giorno o l’altro, possiamo dare uno scossone alle nostre coscienze dormienti.

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Silvia Marchionna Laureanda in Progettazione delle Politiche di Inclusione Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Il poema “Infatuazione” illustra i rischi della nostra democrazia che si presentano sotto forma di problemi finanziari ed economici. Il testo è stato scritto in memoria dei 70 anni della Costituzione italiana e mette in evidenza come la popolazione abbia dimenticato le pene apportate ai popoli durante le guerre. In copertina osserviamo il dipinto del pittore brasiliano Jùnior che ritrae una donna con abiti scuri triste, mentre legge una lettera da cui deriva la sua nostalgia. Introduzione In questo testo si parla dell’importanza della Costituzione e di come le nuove generazioni tendono a dimenticare le guerre e le sofferenze inflitte alle popolazioni, la storia, infatti, deve essere studiata in maniera critica e non invece con didattiche disordinate che possono facilmente indurre in errore i giovani. La generazione del dopoguerra è stata agevolata da alcuni privilegi e tuttora tende ad utilizzare i benefici della società consumistica, dimenticando la sofferenza del passato come dice P. Pasolini: “L’uguaglianza non è mai stata conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo”. Questa condizione è un’eredità di un modus-operandi che interessa il fascismo, ed è finalizzata più ad ottenere vantaggi di carriera piuttosto che formare le nuove generazioni ad acquisire apprendimenti che portino a compiere scelte autonome senza condizionamenti. Un giovane predisposto alla riflessione critica, è un giovane in grado di autostimarsi, di capire il volto ipocrita, falso del politico che non rispecchia i principi della nostra Costituzione, di cui ricorre il settantesimo anniversario dall’ entrata in vigore. L’educazione critica è temuta perché renderebbe i giovani capaci di fare un’attenta valutazione politica e ciò porterebbe alla perdita di consenso elettorale. C’è, infatti, l’oblio di determinati episodi della nostra storia degli anni successivi alla 2^ guerra mondiale che hanno contrassegnato decenni con misfatti definiti “solite cose”. 50


Peraltro i cosiddetti giorni della memoria sono un patrimonio irrinunciabile della nostra storia, ma non si devono risolvere in manifestazioni in cui si è obbligati a partecipare, a volte senza capirne il significato. Se, invece, le giovani generazioni conoscendo la storia, nonostante sia riferita ad avvenimenti temporaneamente lontani, sapranno cogliere l ‘occasione per riflettere sul presente; non dovrebbero più verificarsi lager, ghetti, gulag, campi profughi. Il rischio più grande è, infatti, quello di difendere diritti e libertà, rinchiudendo però, dei cittadini in “campi”, sospendendo loro quei diritti e quelle libertà per “ragioni di stato”. Papa Francesco nella “Inciclica, Laudato, sì” ci induce a riflettere sull’attuale società consumistica; sostiene, infatti, che ci si crede liberi, perché c’è libertà di consumare, in realtà la libertà la detiene chi ha il potere economico e finanziario. L’olocausto della memoria 1 Shoah Nel poema viene descritto L’olocausto, in quanto genocidio degli Ebrei, identificato come SHOAH. Il termine olocausto viene esteso a tutte le persone, i gruppi etnici e religiosi, oppositori politici ritenuti “indesiderabili” dalla dottrina nazista. Nei campi di concentramento, l’essere umano perde la propria identità, il corpo magrissimo con gambe e braccia ridotte a bastoncino, unghia dal colore violaceo, occhi sgranati. La nebbia sembra abbracciare i corpi, le ferite e l’orrore che in quei campi si viveva. Il cielo libero permette che si ignori la realtà, respirando aria di sacrificio e di morte. La Sefirot ossia “L’albero della vita ebraica” non permette al sole di splendere, giungono i militari pronti per distruggere e per dominare. Liberazione, dopoguerra partigiani In questo poema viene descritto come nascono le esigenze per rispondere ai criteri economici dell’umanità, che a volte finisce nell’usura che oscura la vita e che porta lotte che si susseguono nelle famiglie. Rimane il desiderio di morte e ci si scaglia contro quanto è già avvenuto e che continua a ripetersi mandando invocazioni al cielo, ma ogni aspirazione viene

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soffocata come da un imbuto, come da un’ideologia politica. Continuerà quell’apparenza di ordine e di sviluppo che porterà ingiustizia e, continuando a mentire, porterà sciagure e non ci potremo liberare da chi è potente e continua ad arrecare danno, ridendo a denti stretti mentre “una lenza” indefinita manda segnali che richiamano all’opulenza falsa, così come il canto delle sirene, richiamava falsamente Ulisse.

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Lucia Mastropierro Laureanda in Progettazione delle Politiche di Inclusione Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Democrazia di violenza, p. 36 Già a partire dal titolo si può estrapolare un grido disperato da parte dell’uomo. L’uomo moderno dimostra la sua difficoltà nel vivere la realtà che lo circonda. Per lui il tempo che passa diventa angoscia insopportabile e il tutto è collegato alla voglia di libertà in una società dove si sente figlio nomade e solo in un territorio e in una città assordante cioè, piena di confusione dove non splende nemmeno il giorno in modo limpido. E proprio di fronte ad una realtà simile che si appiana la voglia di libertà da parte dell’uomo. L’uomo è angosciato di questa società, ha difficoltà a viverci. Si sente rassegnato e nello stesso tempo oppresso dai potenti in una democrazia macchiata da tante cose brutte. Questo uomo è come se stesse percorrendo un viaggio in questa realtà che è polvere della morte. Da “adulando” fino a “l’umanità” Dove negli anni sono successe sempre tante cose brutte, eventi massacranti che hanno influenzato l’umanità. L’uomo non è felice in una democrazia fatta di violenza. I potenti che sovrastano i più deboli e dove la dignità dell’uomo democratico si perde. L’uomo non ha più il diritto di esprimere la sua opinione Olocausto della memoria 1 Shoah, p. 39 Questa poesia è interamente dedicata alla memoria degli ebrei e al loro sterminio nei campi di concentramento. Shoah: già il sottotitolo racchiude il dolore di un popolo, quello ebraico, sottomesso dalla crudeltà dei tedeschi. Da “Gambe e braccia” fino a “numerata”: In questa prima sestina si racchiude la descrizione fisica di questi poveri ebrei che sottomessi ai lavori forzati si erano sciupati fisicamente, si erano dimagriti, avevano viso pallido e occhi sgranati. Vestiti con calzamaglie di reso, risuonava la voce degli ebrei, spenti nei volti e quasi irriconoscibili alla verità dello specchio. Indossavano divise a strisce e numerate singolarmente. Da “Le mani” fino a “grido scioglie” “Le mani rivelano, spente, unghie violacee”. Avevano le mani sciupate e consumate dal lavoro. Quando gli ebrei non eseguivano gli ordini indotti dai tedeschi, venivano uccisi, bruciati e tutto questo sterminio provocava un fu

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mo/nebbia scuro e poi tutto quello che rimaneva erano solo resti. Questi poveri ebrei riportavano sul corpo ferite violenti, aperte e queste ferite erano così profonde da causare nei cuori degli ebrei dolore, un dolore fortissimo che li conduceva ad urlare; e l’urlo diventava urlo di disperazione che infrangeva il silenzio. Da “Filo elettrico” a “dormire” Gli ebrei erano sottoposti a qualsiasi tipo di lavoro forzato. Non c’era età. Non venivano risparmiati nemmeno i bambini più piccoli. Da “abortita nascita” fino a “dominare” Le mamme incinte o quelle con figli piccoli erano le prime ad essere sacrificate. Ai tedeschi non servivano le donne incinte e le facevano abortire perché loro non potevano essere utilizzate secondo gli scopi dei tedeschi. Il grido di morte risuonava ad Aushwitz. Fondamenti dell’universo-> Luogo/mondo dove l’amare non riecheggerà mai. Sfuma Il mondo-> cioè, il mondo svanisce e ciò che resta di questa realtà è solo il predominio. Arcano, p. 52 Mi è sembrata una conversazione tra padre e figlio in cui il primo dice al secondo di vedere quelle che sono le conseguenze della guerra che, per fini politici, religiosi (o che comunque dietro ai fini religiosi si nascondono sempre dei fini politici) queste popolazioni sono completamente in guerra vengono bombardate, le persone muoiono senza un perché e quindi vengono uccisi anche i loro sogni futuri. I soldati che si recano in queste terre per combattere stanno lì e assolvono al loro compito senza pensare ne alle condizioni atmosferiche e ne alle condizioni nutrizionali, ma combattono solo perché gli è stato ordinato di combattere e basta. È come se un’ideologia abbia trasformato gli uomini in persone feroci che pensano solo ed esclusivamente a soddisfare i propri interessi. È come se gli uomini che vanno lì a combattere fossero pilotati e gestiti da persone di potere che gli ordinano di distruggere senza nessuna pietà. Devozione, p. 52 In questi versi ho capito che il crepuscolo rattrista il protagonista e la luce fioca del candelabro fa ricordare con nostalgia il passato che non c’è più. A mio parere il “fuoco dell’ineludibile trascendenza” è un riferimento a Dio. Gli uomini non possono far nulla contro il destino ed ora sono in guerra, asserviti ed indifferenti e la loro volontà non può nulla nei confronti di ciò che sta accadendo. A questi uomini in guerra non rimane nulla se non la speranza e la preghiera in Dio. 54


Rossana Mazzone Studentessa in Scienza dell’Amministrazione, Laurea Magistrale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Come punto fondamentale all’interno di “Infatuazione” abbiamo la critica al fanatismo europeo, ovvero a chi difende l’Europa senza una riflessione critica che consenta all’Europa una sua evoluzione. Pertanto quello che si augura è un recupero della vera Europa che si basi non sulla concorrenza economica dei paesi Membri, ma sul concetto di condivisione che riguarda prima di tutto la sfera culturale. Infatti la nostra società ora si caratterizza per la mancata conoscenza dei fatti storici cioè si vive in una realtà in cui ai giovani viene dato tutto, tranne “il ricordare”, “la memoria”. Le generazioni tendono a rimuovere “supplizi inferti” a popoli e a popolazioni, a dimenticare guerre volte a consolidare domini e rivendicazioni. Tra i risultati di questa operazione culturale ci sarebbero particolari letture di alcuni momenti storici, come i TOTALITARISMI o ALTRE SITUAZIONI LUTTUOSE che si sono verificate in Europa. Oggi il nostro problema è proprio quello della RIEDUCAZIONE. In questo testo infatti, compaiono rievocazioni storiche che ci permettono di ricordare il passato. La giornata della memoria ne è un esempio, in quanto è preposta al ricordo della Shoà, che rappresenta “la massima infamia” nella storia dell’uomo. Ma quando si parla di campi di concentramento la prima cosa a cui si pensa è Auschwitz, senza pensare agli altri conflitti avvenuti nella storia, che ormai sono “nel dimenticatoio”: • La “pulizia etnica” avvenuta a Prijedor nei quattro campi di concentramento sorti nei suoi dintorni, quando i serbo-bosniaci assunsero il controllo della popolazione. • Il campo di concentramento di Jesenovac, il più grande campo costruito nei Balcani durante la seconda guerra mondiale e volto anche questo ad una “pulizia etnica” di ortodossi, ebrei, zingari e comunisti. • I gulag, campi di lavoro e di concentramento per prigionieri politici in Unione sovietica. INFATUAZIONE significa “non vedere”, “essere accecati” dal fatto che si preferiscono altre verità rispetto alla realtà storica. Questo testo ci vuole far comprendere che la POLITICA FINANZIARIA e LA MONETARIZZA

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ZIONE vogliono vanificare il passato. Si assiste pertanto ad una sorta di “monetarizzazione della persona umana. Ora questa generazione è stata manipolata dal potere. Oggi l’uomo tende verso il potere perché ognuno sente l’ansia di essere uguale agli altri nel consumare, perché questo è un ordine a cui deve obbedire e che gli viene trasmesso dal potere, pur di non sentirsi diverso. Questa uguaglianza non è mai stata veramente raggiunta, ma è falsa in quanto non tutti la riescono a realizzare: si sfocia nella tristezza, frustrazione e umiliazione. Ciò significa che lo sviluppo genera solo angoscia. Le giovani generazioni rimangono così, bloccate. Si tratta di un blocco della mente e della formazione culturale. In realtà il consumismo ci dà l’idea che tutti sono liberi finché vi è libertà di consumare, ma si l’uomo non è in realtà libero in quanto accetta gli oggetti ordinari così come gli vengono imposti dai piani razionali che si identificano quasi sempre con scelte politiche, scelte che hanno oscurato la cultura e il conoscere, mettendo in primo piano i consumi. Ed è per questo che “i giorni della memoria” sono molto importanti. Infatti se le giovani generazioni, tengono presente degli avvenimenti importanti del passato (seppur lontani), sapranno anche riflettere sul presente, sotto nuovi punti di vista. I giorni della memoria rappresentano un’occasione in cui condannare con fermezza l’oblio, il fanatismo e l’antisemitismo, in tutte le loro forme. Si giunge al paradosso secondo cui la società deve essere “rieducata”: una società forte piuttosto che essere “rieducata”, si batte per ciò che è giusto con persone che abbiano il coraggio di intervenire per difendere il nostro presente e per evitare che il passato possa ripresentarsi. Le persone devono essere “responsabili” dal punto di vista morale e devono garantire che la storia, continui a far parte della memoria collettiva dell’Europa. La divulgazione delle conoscenze sull’Olocausto svolge un ruolo fondamentale contro le forme di odio che minacciano le società europee. Con i versi di questo poema si vuole rendere omaggio ai settant’anni della nostra costituzione, per ricordare che non bisogna accantonarla, in quanto attraverso la Costituzione si ricordano gli orrori avvenuti e si cerca di basare le proprie scelte su base democratica. Si cerca di rievocare i principi e valori che sono alla base delle Costituzione e di orientare al miglioramento delle azioni delle persone non all’INDIVIDUALISMO e CONSUMISMO.

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Noemi Parisi Studentessa del Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica, presso il Dipartimento di Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari

“Infatuazione. L’olocausto della memoria europea, l’abiura della democrazia.”, scritto dal professor Gianfranco Longo, rappresenta la quarta parte del poema “Cantico di lode”. Si tratta dell’ultima pubblicazione del suo lavoro di meditazione sul creato e sulla creazione portato avanti nelle parti di Poetica, Empireo ed Inermi. Ogni libro è un mondo. Leggere un libro è una forma di esplorazione. Ma cosa sarebbe l’esplorazione senza la curiosità? Proprio la curiositas, intesa come “anima mundi”, potrebbe chiarire la predisposizione che ha guidato la mia esplorazione del suddetto mondo (il libro “Infatuazione”). Curiosità che ha mosso i miei occhi nell’osservare l’immagine in copertina, che ha stimolato la mia mente allo scandire il titolo e che ha spinto il mio cuore a comprendere la melodia dei versi. Così, il punto di partenza del percorso di lettura è stato il dipinto, in copertina, del pittore brasiliano José Ferraz de Almeida Jùnior, che raffigura una donna in abiti scuri, bui come l’espressione tetra che le tratteggia il volto, mentre è intenta a leggere una lettera (“carta” in portoghese). Il titolo dell’opera, “Saudade”, viene tradotto in italiano con il termine “nostalgia” e trova bene manifestazione tanto nella raffigurazione della vedova quanto nel fil-rouge della riflessione sulla memoria persa. Il gioco di parole, contenuto figurativamente nel dipinto, dischiude un rapporto dialettico con il titolo del poema rispetto al suddetto sentimento nostalgico nei confronti di quella parte di storia andata persa, mai conosciuta, mistificata o, soprattutto, brutalmente taciuta. La mano della donna dipinta, avvolta nel chiarore che giunge dalla finestra e posta sulla bocca, quasi ad impedire che il rumore dei singhiozzi da pianto fuoriuscisse mi consegna il link per riflettere su quanto necessaria sia la messa in luce degli avvenimenti più bui che hanno contrassegnato diversi decenni, forse attraverso quello che Pasolini chiamava “coraggio intellettuale della verità”2. I suddetti sono stati oggetto dell’oblio, del potere mistificatore, dell’omertà, dell’ignoranza: dita di una mano, quella che ha realizzato ciò che viene definito “olocausto della memoria”, quella che ha 2

“Cos’è questo golpe? Io so” di Pier Paolo Pasolini, Corriere della Sera, 14 novembre 1974.

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ammutolito domande scomode, dubbi chiarificatori e curiosità conoscitive. Del titolo, ancora, a colpirmi è il lemma “infatuazione” (dal latino “infatuare”, ossia stordire, derivato di “fatuus”, ossia fatuo) che perimetra, paradossalmente, un fatto umano così difficile da contenere quanto arduo da riconoscere. L’infatuazione, letteralmente intesa come passione tanto intensa quanto fugace, non si fonda su terra solida, non è destinata a durare, ed il suo ardore, per quanto acceso, ha poca sostanza. Inevitabilmente il concetto di nostalgia, precedentemente discusso, e quello di infatuazione, di gran lunga ancorato ai rapporti amorosi nonché più spesso inteso come innamoramento, mi ha condotto al pensiero di Freud. Nel padre della psicoanalisi, l’amore è concepito infatti in due fondamentali aspetti: narcisismo e nostalgia per l’oggetto perduto, il primo insostituibile nonché la madre. L’amore, come sentimento sviluppato da un soggetto maturo, si connota per il riconoscimento dell’oggetto (non-me) e per la reciprocità con cui ad esso ci si interfaccia, cogliendone i tratti reali. L’innamoramento, al contrario, per Freud, è l’espressione di un narcisismo che rende il soggetto innamorato teso all’unità simbiotica con l’oggetto. Quest’ultimo, non riconosciuto come non-me dal soggetto perché accecato dai propri bisogni e dipendente, allo stesso tempo, dal soddisfacimento dei medesimi, viene idealizzato attraverso l’investimento del serbatoio narcisistico (fisiologico allo sviluppo corretto del sé) sino alla mistificazione dei suoi reali tratti. Il parallelismo, allora, appare nel significato attribuito alla “infatuazione”, ossia come accecamento delle menti in un proliferare di verità molteplici, quelle delle “forme democratiche o economiche vagheggiate, trasognate, per nulla sorrette da concrete applicazioni” preferite, di gran lunga, alla conoscenza3 dell’unica realtà storica. Così come nell’innamoramento descritto da Freud, l’idealizzazione dell’oggetto comporta l’indebolimento del narcisismo del soggetto innamorato che ne diventa dipendente, così nell’infatuazione definita da Longo, la mistificazione della realtà rende noi attuali generazioni, figlie della matrice generazionale degli anni Quaranta del secolo XX, dipendenti dagli “appetiti finanziari liberticidi” e illusi di “contesti futuri omogenei a quel benessere economico comune, contesti Mi sovviene, allora, la celeberrima terzina del canto ventiseiesimo dell’Inferno di Dante Alighieri. L’esortazione di Ulisse ai suoi fratelli è quella di non fermarsi, di non arrestare il loro cammino nemmeno dinanzi a quello che i più considerano la fine del mondo, la soglia del conosciuto (le famose colonne d’Ercole), perché la vera conquista sta nel praticare la virtù, di essere uomini alla ricerca, e di apprendere la conoscenza. (vv. 118-120) “considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”

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divenuti sempre più lontani territorialmente e sempre più futuri”. Ciò comporta l’abiura della democrazia in quanto intruglio idealizzato di tutele di diritti individuali e di custodia delle fondamentali libertà, “lager di europeizzazione”, visione contraffatta di un “dolciastro benessere di cittadinanza”, mistificazione edulcorata di un’esistenza che ha disperso la sua coscienza, lasciandola sommersa in un accumulo di menzogne e ricoperta da leggiadre farneticazioni per mano di coloro che hanno alternato reati a castighi, incrociato ricavi con personali profitti, in nome (taciuto) di un vitto ottenuto tramite corruzioni e camurrie . Il recupero della coscienza appare il sentiero più utile da tracciare sulle orme di una auspicata rieducazione affinché possiamo giungere ad un futuro non come caduchi4, appunto precari uomini, donne e bambini in balia dei transitori interessi politici, non come soggetti addomesticati a didattiche scevre di commenti che mortificano, frettolosamente, la memoria collettiva in un’omertosa modernità, ma come persone guidate alla paideia. La formazione, nella sua accezione più elevata e personale, assume il valore di mezzo piuttosto che di fine, di modello ispiratore piuttosto che di percorso obbligato, ossia di uno spazio di realizzazione abilitante al compimento di scelte autonome, “Tremule le foglie su li alberi sono, color perdendo, vita breve san d’avere, e de lo lor ultimo atto de incanto ne lo mutamento in caldi colori, a lo suol cadendo se lascian andar, e a lo vento se affidano senza dolor.” Tale poetica descrizione della stagione autunnale (“Caduche foglie” di Don Pompeo Mongiello, tratta dal web), figurandoci come foglie arse dalla temperatura estiva (uomini inebetiti da inceneritori didattici) e abbattute dal vento (coscienze narcotizzate dai venti delle diverse politiche), mi appare in stretta connessione con i versi “L’autunno macchia di rosso betulle,/ scarnifica il vento di rugiada” , utilizzati per sancire il requiem per la democrazia ( Requiem per la democrazia III).

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cadenzate dai ritmi di specifiche libertà ed esenti da condizionamenti e compiacenze. A tal proposito, a partire dalla lettura dei versi “[…] Il potere storna in controluce le libertà, ed emergiamo da domande che attorcigliano modernità, privando di risposta generazioni, comicità data quasi come risoluzione in una dimora foriera di morte, sapendo cosa si nasconda oltre l’evento di una rosa […]” sono stata catturata dall’intensità dell’espressione, immediatamente successiva: “ci si innamora nella caverna”, p. 75. Per spiegare la cagione di tale fascino subìto, intendo ricorrere a due autori. In primis, a Marcel Proust che, attraverso la sua celebre “ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”, credo possa ben comunicare la sensazione che ho provato. Le parole dell’autore sono state strumento per ancorare le mie riflessioni, precedentemente esposte, sul lemma infatuazione/innamoramento al significato personalmente figurato e attribuito alla caverna. Ho meditato sulla cecità della disinformazione che ci ipnotizza, pensando a quanto seppur nell’ostentazione di un avanzamento ultramoderno noi siamo i veri cavernicoli. Come abitanti nell’oscurità di un passato nascosto, non sembriamo turbati dalla sua assenza perché infatuati, come sotto effetto di un’ipnosi collettiva, dalle molteplici versioni e contrastanti visioni di un caotico presente, quello caratterizzato dall’entropia europea. Quanto, allora, è difficile trovare una strada per l’equilibrio, in un sistema socio-politico-culturale che ne è così distante? Forse i nostri sistemi di localizzazione GPS non sono in grado di leggere la posizione della caverna? Così noi, come nativi digitali, senza di essi, abbiamo perso l’abilità di “localizzare” ciò che ci circonda e, diretti fruitori dell’era del consumismo ne siamo, anche, le prime vittime. In questa nostra corrente epoca tutto viene dato e consumato, tranne la cultura della memoria del passato allo scopo di favore una “sorte monetarizzata della persona umana”. D’altra parte, ho riflettuto figurativamente sulle memorie perse che, come pipistrelli, hanno trovato dimora nel buio della caverna dell’oblio. Mi sono chiesta, allora, cosa ci impedisca di (ri)conoscere questi pipistrelli. In una vita in cui ci infondono il timore del buio, non dovremmo forse paventare, maggiormente, le mani che orientano i riflettori, in grado di direzionare, a propria discrezione, ciò che è dato sapere da ciò che non lo è? 60


Il secondo autore a cui faccio riferimento è, invece, il compositore Arnold Franz Walther Schӧnberg il quale nella prefazione di “ Sei bagatelle per quartetto d’archi ” (1913), del suo allievo Anton Webern, sottolineò come ciascuna nota della suddetta opera avesse una propria consapevolezza in quanto ogni singolo sospiro diveniva un romanzo, pur precisando come quella musica potesse essere ascoltata solo da coloro che credono che “ attraverso il suono si possa manifestare qualcosa che può essere espressa solamente in suono”. Ho trovato la citazione del compositore di supporto al mio personale apprezzamento della scelta linguistica di Longo per la stesura di uno scritto che induce a riflettere, nella forma mai banale energicamente espressiva, ovvero quella in versi. Una scelta linguistica che appare commemorativa del settantesimo anniversario del poema giuridico, quale la nostra Costituzione del 1948 e continuativa con la grande tradizione poetica d’Italia. La capacità di riflettere come fondamento della mia autostima, mi ha sempre portato ad apprezzare l’arte in ogni sua espressione, in quanto la ritengo figlia della cultura e genitrice di libertà. Tuttavia, criticamente ho assunto la consapevolezza di quanto lo stimolo alla riflessione, disvelatrice di manipolazioni a cui siamo sovente sottoposti, sia temuta perché concreta possibilità di perdita del consenso su un ingannevole disegno politico di realtà. Nei versi di “[…] Strizza/ tiene stretti sudditi, tutti catturati/ per accumulare leggende, mistificato/ senso la realtà” è possibile leggere, in una forma metrica suggestiva, tutta la magmatica emotività che oggi connota i vissuti di noi giovani. Illusi di manifestare la loro autonoma progettualità professionale si trasferiscono all’estero, ignari di essere testimonianza, ancora una volta, di ciò che per loro è stato designato. Sono nata negli anni Novanta e sin da piccola ho mostrato un grande interesse per il mondo letterario, richiedendo spasmodicamente nuove favole da ascoltare, proponendo molte domande ai miei genitori nel loro ruolo di lettori e incantandomi dinanzi ai quadri di mio nonno paterno, dal cui laboratorio prendevo pennelli e, tenendoli tra le mie dita, cercavo di imitarne i dipinti. L’arte, però, non può essere emulata. La si può ammirare, comprendere, criticare, non capire: va vissuta. Poi sono cresciuta, e, da adolescente ho cercato di intraprendere scelte personali di formazione, seguendo la mia inclinazione per le materie umanistiche, seppur in una società che spingeva già verso competenze sempre più scientifico-tecnologiche. Da ciò, la meraviglia maturata alla lettura di romanzi, lo stupor dinanzi ai capolavori in metrica e, attualmente, il piacere della melodia dei versi come base di meditazione. Ancora, la mia attenzione è stata catturata dall’uso della virgola che ha cadenzato, emblematicamente, ogni singola espressione del poema letto, come ritmo modulato di significazione

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piuttosto che strumento di punteggiatura per congiungere elenchi di informazioni. Particolarmente sorprendente, è stato il richiamo del sottofondo musicale, proveniente da corsi di musica tenutisi in aule adiacenti, che ha accompagnato la lettura del poema, presso una biblioteca dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Tale suono è stato ben armonizzato, dai miei sensi, con la sonorità dei versi analizzati, la cui capacità d’incanto ben viene descritta, ancor prima dell’introduzione, da una considerazione pienamente condivisa, ovvero di quanto abbia più peso una strofa tornita di numerose e laboriose pagine5. Nonostante non siamo stati ben educati alla comprensione dell’arte musicale e, malgrado, le didattiche di insegnamento abbiano adulterato, rimaneggiato e occultato parte di un passato martire e necessario da reclamare, la rieducazione dovrebbe ripartire dal mobilitare la capacità di ascolto. Come recitato dai versi melodiosi ed estremamente emblematici ,“ […]l’ascolto richiede la forza,/ cuore che impegno non smorza […]. Non sperpera/ su remore e dolore […]”. L’alfabeto del dolore ci viene rimosso quando vengono, icasticamente, eliminati dalla nostra memoria avvenimenti scomodi, accaduti illo tempore o live, e dalla nostra attenzione critica supplizi inferti a popoli vicini o lontani, come se fossimo cavalli in corsa, bendati ed addestrati a gareggiare in un percorso, però, già segnato. I più in Europa non sanno che, nel maggio del 1992, nella città di Prijedor e paesi limitrofi (Bosnia), più di 20.000 persone vennero sterminate, arse vive, in virtù di un rito di purificazione slava non chiarito nonché, unicamente, radicato nella follia del criminale Arkan e realizzato per mano delle sue famigerate Tigri. Più note sono le atrocità, descritte dai sopravvissuti o realizzate in celebri cinematografie o disegnate dalle note di amare colonne sonore e strazianti opere musicali, di ciò che accadde nei campi di concentramento di Auschwitz, Dachau e Buchenwald. Ben pochi sanno, di quanto il filo spinato non riuscisse a trattenere il dolore dei prigionieri e di come gli abitanti di Wòlka, il paese più vicino a Treblinka, scappassero nei boschi più lontani perché trafitti nelle ossa, nel cranio, nell’anima da quei gemiti di madri che in un vento corale trafiggevano gli alberi, s’alzavano in cielo, poi come lampo s’azzittivano improvvisamente e, poi ancora, come eco di morte vibravano nell’aria. Fuori dalla nostra consapevolezza restano alcuni regimi di rieducazione. In Cambogia, dal 1976 al 1979, quello di Saloth Sar, in arte Pol Pot, in cui a fronte della chiusura di scuole, ospedali ed università, la dimensione umana venne completamente sconvolta al sadico suon di folli risa per torture e omi 5

Czeslaw Milosz, Trattato poetico (1957), Adelphi, Milano, 2011

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cidi e all’abrogazione dei nomi in favore di numeri. Nei più che non sapevano mi ci sono ritrovata, mentre leggevo ed il mio cuore infervorava dall’ indignazione. Tutto ciò diviene olocausto, ossia memoria sacrificata dalla frenesia europea in credito, osannato e, al contempo usurpato, affinché non possa mai estinguersi il debito dei singoli, quello d’esistenza. Quanto tutto tutta questa folle agonia di popolazioni è lontana dai nostri occhi? Quanto la nostra anima si apre all’ascolto della sofferenza? Quanto quel senso, definito come “olfatto di vita” ci può permettere di ossigenare le menti? Da studentessa di Psicologia Clinica non posso esimermi dal sottolineare il valore dell’ascolto, capacità che necessita di essere potenziata in una società che, purtroppo, sembra sempre più impegnata a ricevere stimoli che a custodirne i fondamenti. L’ascolto, ribadisco, richiede molteplici forze: riconoscimento del non-me, disponibilità all’altro, sintonizzazione non tecnologica ma emotiva, comprensione profonda, messa in discussione, riflessione critica, apertura e condivisione, soprattutto nella sfera culturale. Attualmente, uno dei maggiori problemi e, al contempo, una delle più audaci sfide riguarda la rieducazione. La vera rieducazione, pertanto, dovrebbe basarsi sull’insegnamento-apprendimento dell’empatia, punto di forza e base per una reale evoluzione che possa mobilitare una sorte consapevole, e non più monetarizzata, della persona umana.

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Simona Petruzzelli Studentessa in Formazione e Gestione delle Risorse Umane, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari

Infatuazione. L’olocausto della memoria europea, l’abiura della democrazia. Tale poema ci induce a riflettere su un concetto, su una porzione di storia presente o passata. Nel poema è possibile trovare una critica all’Europa in quanto istituzione politico-monetaria. L’autore muove una critica al fanatismo europeo, vale a dire alla difesa strenua dell’Europa senza una riflessione critica, in grado di individuare punti di forza e di debolezza. Quello che traspare dai versi del poema è che ci si augura avvenga un recupero della vera Europa, che si basi non solo sulla concorrenza economica dei paesi membri, ma sul concetto di condivisione che riguardi prima di tutto la sfera culturale. La nostra società viene letta come il prodotto della generazione del 1968. La non conoscenza dei fatti storici, e dunque delle radici dell’Italia e dell’Europa, tende a generare del consumismo, ovvero una realtà in cui ai giovani viene dato tutto, tranne il testimone della memoria, e questo poema ci serve proprio per comprendere molti fatti accaduti tenuti allo scuro. La generazione del ’68 ha quindi la grande colpa di aver rieducato le giovani generazioni, portandole alla rimozione di un passato ingombrante. L’infatuazione, titolo del poema, è in realtà sinonimo di un accecamento che porta a preferire molteplici verità alla conoscenza dell’unica realtà storica. Si parla di un blocco della mente e della formazione culturale, con la diretta conseguenza di suscitare determinati eventi cruciali nei passaggi dei secoli, che suscitano rifiuto e distacco. L’autore inoltre fa un omaggio ai settant’anni della nostra Costituzione. Per concludere alcuni versi che mi hanno colpito maggiormente: “Sassi di primavera: l’ascolto richiede la forza, cuore che impegno non smorza; l’esperienza rinsalda l’amore, sgorgando dalla vita conforta desiderio, mio e tuo: il rumore d’assorta inquietudine dimore coniuga postume. Non sperpera su remore e dolore, puerpera che esclama ancora il ritorno all’olfatto di vita, dove impetra la difesa, e si stempera attorno: appena un sospiro è quel giorno.” Questi versi fanno trasparire la forza nel riuscire ad ascoltare e nell’aprire gli occhi su una realtà. Da questi versi emerge l’amore che richiede impegno, e il dolore di quel giorno dove sono state tolte delle vite a dei cittadini come noi. Io mi sento molto vicina a questa dura verità e appoggio l’autore 64


nell’affermare che bisognerebbe distaccarsi dal mondo materiale in cui viviamo oggi e cercare di far luce su eventi realmente accaduti che dovrebbero coinvolgere tutti gli esseri umani. Dovremmo quindi cercare di condividere questi vissuti e questo pezzo di storia che ci appartiene e cercare di capire i moventi di questi gesti così crudeli, e farne poi tesoro affinché si possa evitare un susseguirsi di eventi negativi che si ripercuotono tra i cittadini.

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Ilaria Piano Laureanda in Progettazione delle Politiche di Inclusione Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Il testo “Infatuazione” ha come filo conduttore dell’intera opera la saudade, nonché la nostalgia della memoria ormai persa dell’olocausto e di tutte quelle guerre che hanno segnato la storia, oltre che in riferimento all’attuazione della nostra Costituzione, che compie 70 anni, di cui l’autore ne fa omaggio. Il titolo fa riferimento all’ingombramento della realtà storica di gran lunga privilegiato rispetto alla conoscenza della verità, e sul vagheggiamento e l’illusione di scenari futuri omogenei in cui regna il benessere collettivo ed economico; benessere a cui è possibile auspicare solo tramite una economia finalizzata a tale scopo, ma che è molto lontana dalla realtà odierna a causa del massimo grado di entropia che ha messo in crisi il nostro sistema, sia economico che culturale e moralistico e che rischia di raggiungere il collasso. Emerge infatti una critica all’Europa in quanto istituzione politico-monetaria governata oggi da una politica che mira alla sottomissione e all’assunzione di atteggiamenti estremisti nei confronti del popolo, atteggiamenti dunque che vanno contro gli ideali di democrazia e guidati da una politica finanziaria e da una monetarizzazione che demoliscono l’identità di uomini e donne cittadini combattenti alla difesa della storia. Tra i poemi ricordiamo “Requiem della democrazia II”, che fa riferimento ad un assetto politico profanato individuale e collettiva. dalla corruzione politica che pensa solo ai ricavi e ai profitti di cui può beneficiare. Nei versi si evidenzia come tutte le guerre e le lotte compiute nel passato, anziché essere ricordati affinché certi errori non vengano ripetuti, “sono il pasto ad un disordinato branco di senatori” che hanno causato la demolizione dello Stato. La rimozione delle tragedie del passato è attribuita alle generazioni del ‘68 che hanno rieducato le giovani generazioni affinché queste dimenticassero l’inferno del passato europeo. Nel poema “Rieducazione a Yodok” si fa riferimento a quella città della Corea del Nord in cui è presente un campo di sterminio di oppositori politici coreani e di gente comune da “rieducare”, definita come un mucchio di gente che brontola sordamente il suo tragico destino e che “sazia il crematorio di attimo eterno” riducendosi a fumo che svolazza oltremare . In questo campo infatti gli internati sono sottoposti a diverse torture e i prigionieri che violano le regole del campo sono condannati a morte e giustiziati. 66


Le donne detenute sono anch’esse totalmente alla mercé delle guardie, che non di rado abusano sessualmente di loro e le condizioni di vita dei detenuti sono terribili: essi vivono in piccole e sudicie capanne e d’inverno le temperature arrivano a -20 °C causando il congelamento e l’assideramento di diversi detenuti. Uomini, donne e bambini sono trattati come schiavi e manca del tutto la protezione; gli incidenti sul lavoro sono quotidiani. Si assiste dunque ad una totale violazione dei diritti umani. Nella poesia “Gulag”, è descritto il campo di lavoro correttivo e mezzo di repressione degli oppositori politici dell’U.R.S.S. come un luogo di lavoro che corregge l’orrido e infiltra pazzia. In questa poesia si pone l’attenzione sulla figura di una madre il cui nascituro è a rischio a causa delle gelide condizioni climatiche, e dalle torture e violenze che riceve dalle Guardie Rosse; in questo governo viene infatti attuato un regime di rieducazione imperniato sulla violenza in cui ebrei e cristiani sono pronti ad essere schiaffeggiati e l’unico inno da intonare è “ le guardie sono da lodare!” .

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Chiara Preite Studentessa in Scienza delle Amministrazioni, Laurea Magistrale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Dal poema “Infatuazione” viene fatta emergere la nostalgia alla memoria ormai persa: infatti a danno delle giovani generazioni si è andata concretizzando la tendenza politica a dimenticare gli eventi storici che hanno portato a guerre tra popoli e stati sovrani per rivendicare ancora una volta domini ed interessi economici. In particolare la generazione nata negli anni Quaranta del XX secolo, conducendo didattiche disordinate e scevre di commenti, ha tenuto nascosti alle giovani generazioni quegli avvenimenti scomodi, che hanno caratterizzato la storia europea. In questo modo a queste generazioni si è dato tutto, tranne il testimone della memoria. I giovani sono stati così rieducati, rimuovendo il passato ingombrante. Di conseguenza sono state fornite particolari letture di totalitarismi e di situazioni tragiche che si sono verificate in Europa. Essa viene criticata, sin dai primi righi, in quanto istituzione politico-monetaria: l’Europa non deve essere intesa quale istituzione che si basa sulla concorrenza economica dei Paesi membri, ma si deve basare sul concetto di condivisione culturale. Nonostante ciò, la monetarizzazione e politica finanziaria hanno manipolato le persone: esse tendendo verso il potere, avvertono il bisogno di uniformarsi agli altri, perché ritengono che il consumo renda liberi. In realtà questa conformazione attraverso il consumo reca soltanto tristezza e frustrazione, in quanto non tutti riescono a realizzarla, anche se imposta e trasmessa dal potere. Oggi la nostra ideologia è cambiata: infatti si pensa solo a consumare, alle cose materiali, tanto che il mercato offre in continuazione innovazioni tecnologiche. Non si comunica più e vi è troppo individualismo nella società odierna. Non ci si appassiona alla storia collettiva e ai valori tradizionali. Passa in secondo piano tutto ciò che è successo alle generazioni precedenti, come per esempio le guerre e i campi di concentramento. I docenti non insegnano la crudeltà della guerra, le difficili condizioni nei campi di concentramento, ma si limitano a descrivere i fatti storici e ad individuare sempre un nemico. Ma, invece, occorre ricordare in che modo venivano deportati gli ebrei nei convogli: senza cibo e acqua, ammassati in vagoni chiusi e recintati da filo spinato; i viaggi potevano durare giorni, durante i quali le persone morivano di freddo, fame e anche di soffocamento, alcune avevano allucinazioni ed altre 68


impazzivano. Non appena entravano nei campi di sterminio, i deportati venivano assaliti dall’acre odore che proveniva dalle ciminiere che ogni giorno bruciavano centinaia di corpi. Costretti a scendere dai convogli a forza, gli ebrei erano quindi divisi tra donne e uomini: chi poteva sopportare le condizioni del campo poteva lavorare, bambini, deboli, vecchi, malati venivano uccisi subito attraverso le camere a gas. Chi indugiava ad eseguire gli ordini o chi disubbidiva veniva ucciso. Ai detenuti veniva tolto qualsiasi cosa che potesse distinguerli gli uni dagli altri, che potesse ricordare la loro vita passata: veniva tolta la loro essenza umana. Essi infatti erano radunati in una stanza e fatti spogliare; poi nudi e al freddo, venivano tosati completamente per evitare epidemie di pidocchi. Una volta finito, veniva tatuato loro sul braccio un numero, attraverso cui venivano identificati. Con un disarmante rigore scientifico i nazisti avevano calcolato la razione di cibo giornaliera che spettava ad ogni ebreo. Nei lager la vita era caratterizzata da un lavoro duro e spossante, le calorie che assumevano non bastavano e in poco tempo i corpi diventavano sempre più magri e smunti riducendo progressivamente le forze del fisico che, una volta che non era più abile al lavoro, veniva eliminato. Le uccisioni erano perseguite attraverso differenti sistemi quali l'impiccagione, la morte per fame, per tortura, per fucilazione. Le uccisioni di massa erano effettuate per mezzo delle camere a gas e le salme erano poi cremate in forni appositi. Ora il problema riguarda la rieducazione dei giovani e in questo poema ci sono rievocazioni storiche, anche se lontane temporalmente, che fanno riflettere noi giovani sul passato, per comprendere il presente e migliorarci nel futuro. Per questo i cosiddetti “giorni della memoria” svolgono un ruolo fondamentale nella società: sono un rimprovero contro l'odio razziale, etnico e religioso che ancora insanguina molte parti del mondo e, purtroppo a volte riemerge nelle società più moderne ed evolute. Attraverso questi giorni (e non solo) si deve trasmettere alle giovani generazioni la consapevolezza e la conoscenza del passato, perché respingano l’odio e tutte le forme di violenza e rispettino la dignità di ogni essere umano. Non si può dimenticare. Ne è un esempio la nostra Costituzione, a cui questo poema vuole rendere omaggio in occasione del suo 70esimo anniversario. Essa non è solo un insieme di norme, ma anche la rappresentazione della crudeltà degli avvenimenti che si sono verificati nella storia italiana. Bisogna rievocare quei valori, con cui è stata scritta la nostra Costituzione per migliorare le azioni delle persone. Non bisogna pensare solo a noi stessi, ma alla storia di tutti noi.

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Federica Ranieri Studentessa in Formazione e Gestione delle Risorse Umane, presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari

Riflessione su : “Infatuazione. L’olocausto della memoria europea, l’abiura della democrazia ” di Gianfranco Longo, Wip Edizioni, Bari 2018 “Infatuazione l’olocausto della memoria europea, l’abiura della democrazia” è la IV parte del poema Cantico di lode che ripercorre gli anni dal 70esimo dell’entrata in vigore della Costituzione italiana, sulla democrazia morente e sull’olocausto della memoria europea. Il poema si sofferma sulla definizione di una memoria che in realtà non esiste più, o meglio viene cancellata, per rimuovere dalle menti dei cittadini guerre e supplizi imposti ai popoli da parte del potere; un potere definito come appartenente ai più forti, un potere che si cela dietro un governo, una politica, un pensiero. Questo porta le giovani generazioni di oggi, me compresa, a non avere una reale memoria della storia, e sottolineo reale, perché noi siamo meramente illusi dal nostro sistema formativo, che promette di formarci per essere dei liberi cittadini del domani, “impacchettandoci” una memoria che fa razzia di molti mali che anno segnato l’intera storia. La persona umana non viene più considerata tale, infatti il poema ci introduce egregiamente alla causa di questo declino della stessa persona che ha subito una sorte monetaria, dettata dal relativismo culturale e politico che ha attraversato un lungo periodo storico, segnando le sue generazioni. Il problema, è quindi, insito nella popolazione, ma più specificatamente in una generazione, clan, che è stata raggirata e indirizzata con vari privilegi a stabilizzare una didattica universitaria che si spoglia di eventi importanti, sia passati che presenti, come riporta il poema “cenni necessari a distogliere la percezione dell’accaduto”, e da qui che ci rendiamo conto di quanto le generazioni siano state private, ingiustamente , di una memoria che appartiene di diritto a tutti noi cittadini. Noi ragazzi, pensiamo ogni giorno di essere “liberi” ; il poema ci porta a riflettere anche su questo; ognuno di noi si sente libero di compiere delle scelte in maniera autonoma, ma invece non è così veniamo “addomesticati e non formati” ,veniamo vincolati, controllati al fine di non essere cittadini, ragazzi o uomini e donne del futuro critici. La riflessione critica non ci viene mai chiesta, dobbiamo imparare e memorizzare ma mai commentare per70


sonalmente, ci è impedito avere una mente critica, perché questo porterebbe il potere, la politica a creare delle persone “pensati” che potrebbero denunciare i loro misfatti, a scoprire le menzogne e di conseguenza perdere il consenso elettorale che permette di avere pieno controllo su quelle popolazioni. Le tragedie vengono ridicolizzate, come se non fossero mai esistite, sulle tragedie non ci viene raccontata mai la verità, sempre celata dietro raggiri delle menti, le nostre. I “popoli castigati per capriccio politico ed economico” sono quei popoli che, pur non avendo colpe, hanno subito le peggiori razzie, eppure anche su questo, nelle menti dei giovani vi è una tabula rasa. Gli eventi, le tragedie e le guerre vengono talvolta etichettati banalmente, ma mai approfonditi, spiegati. Una stupefacente riflessione a cui ci induce il poema è che il disordine, regna sovrano all’interno del sistema politico e culturale allontanandosi sempre più dall’equilibrio, richiamando il principio dell’entropia, ecco se il sistema non raggiunge l’equilibrio collasserà. Di questa situazione i cittadini non immaginano nulla, per quanto possa essere tangibile e sotto gli occhi di tutti l’alto livello di crisi esistente, a qualsiasi livello, sia culturale che economico; si andrà sempre più incontro alla disgregazione dell’intera Europa. Ecco, ho affermato che questa è una riflessione stupefacente, perché mi rendo conto di quanto tutto questo si stia verificando giorno dopo giorno, in tutti i governi europei, l’Europa è nata per permettere la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali, ma all’interno esistono grandi divari e disgregazioni. Inoltre siamo “schiavi” del consumismo, di un tenore di vita al di sopra delle reali possibilità, e anche questo non è deciso da noi, ma ci viene imposto dai detentori del potere, che si racchiudono in una piccola minoranza. Viviamo in una democrazia solo apparente in cui i diritti, appunto come riporta il poema, sono “sospesi di fatto” , anche in questo quindi veniamo illusi. Sono giunta alla lettura del poema, dopo un’accurata guida da parte dello scrittore, nonché mio professore, sui temi centrali dell’opera; ho iniziato a pormi delle domande, alle quali il poema man mano che andavo avanti nella lettura, ha saputo rispondermi: mi chiedevo com’è possibile tutto ciò? Tristemente, mi accorgo di quanto sia vero che noi giovani non abbiamo una coscienza del passato, che possa esser definita tale. Questo è imputabile alla classe dirigente non solo attuale ma anche passata. Il poema mi ha portato a riflettere, tramite il percorso di poesia, sulle varie tematiche che hanno creato la “schiavitù delle menti”, su cosa significhi subire per i popoli innocenti le razzie degli “autoritari” paesi forti, su un ipotetico e “ideale” futuro. Se non avessi letto questo poema, non avrei mai considerato il danno che le nostre hanno subito e stanno subendo; se penso a tutto ciò che la popolazione siriana e non

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solo, sta subendo da anni ed anni, percepisco che l’informazione pubblica, quella passata a noi come “informazione” non è tale. Siamo disinformati e informati talmente male sulle vicende, che il conflitto genera ancora povere vittime senza che nessuno si “accorga” di ciò. Ho compreso quanto vi sia un abuso della parola democrazia, da parte di tutti i governi e di tutte le potenze, che ci impongono i loro voleri come se i cittadini fossero nelle mani dei burattinai. Grazie alla lettura di “Infatuazione. L’olocausto della memoria europea, l’abiura della democrazia” oggi mi sento arricchita di un sapere e di una coscienza che vorrò coltivare, autogestendo il mio potere di voto e di espressione.

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Clarissa Saccotelli Dottoressa in Scienze dei servizi Sociali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Il testo “L’Infatuazione. L’Olocausto della memoria europea, l’abiura della democrazia“, ha il compito di delineare i rischi della nostra Democrazia che si ripropongo sotto forma di problemi economici e finanziari. In copertina vediamo il dipinto del pittore brasiliano Almeida Junior che ritrae una donna con abiti scuri affranta mentre legge una lettera da cui ne deriva la sua nostalgia. Il testo è stato scritto in memoria dei 70 anni della Costituzione italiana e affermano che la popolazione abbia dimenticato i supplizi inferti ai popoli le guerre. Parlando del fascismo il testo cita: “Il fascismo non è impedire di dire, ma è obbligare a dire.” (Roland Barthes, Lezione, Einaudi, Torino 1981, p. 9) Questo obbligo ci è stato tolto con l’avvento della Costituzione, ed è grazie allo stesso documento che è stato possibile garantire le libertà personali, i diritti individuali. i giovani tendono a dimenticare ciò che è stato, il male che è stato inferto nei confronti delle popolazioni, inferto solo per il dominio di un territorio o per la rivendicazione dello stesso. D’altronde si tende a nascondere alcune verità, la conoscenza di situazioni scomode ed ingombranti per evitare di cadere nuovamente nell’oblio che ai tempi ha portato alla distruzione. La conseguenza di ciò è far sì che il passato venga profanato e le sue storie e i suoi insegnamenti violati. Secondo l’autore di Infatuazione, coprire di menzogne e di falsità la storia è stato uno dei “compiti pedagogici” della generazione nata negli anni 40, una generazione che è stata capace di sconvolgere la democrazia e di vanificarla, una generazione beneficata da provvedimenti legislativi e dal sistema politico ripercuotendosi però anche sui modelli pedagogici e su quelli didattici. Mettendo in confusione gli eventi che distolgono la percezione di ciò che è stato umiliando la memoria di chi ha subito. Quello che ci dobbiamo augurare adesso è il dominio di una vera Europa che non si basi solo sulla concorrenza economica dei Paesi membri, ma che si metta al centro della condivisione, della sfera culturale e sociale. I versi che mi hanno colpito maggiormente sono: Culti politici e rituali di guerra a p. 38 In questi versi viene rappresentato il momento della guerra dal punto di vista emotivo ponendo attenzione alle sensazioni. Dice infatti che all’inizio sembra

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che non ci sia nessuno, che le parole siano inutili ed è come se ci fosse la quiete prima della tempesta. Quello che si sente è solo l’odore della morte e si cerca conforto nella politica, che però non fa altro che mettere a rischio il paese, quella politica fatta di burocrati che per fame e per povertà d’animo portano il loro popolo a marciare nell’orrore della guerra. Nei rifugi militari ora solo si può conservare ed esaltare il ricordo di un defunto, niente più militari solo il vuoto della perdita. Sono tutti pronti a ripudiare la guerra e a svilirne il suo senso. Dimenticando e svalutando gli aguzzini che chiacchierano, il territorio circoscritto dal campo spinato, uomini pronti ad impugnare le armi e a massacrare altri uomini. I bambini nati in quegli anni non vivono gioie ma solo dolori, non sentono canti e riti dalle loro mamme o familiari ma le scorie delle loro madri strangolate senza pietà. La vita va avanti, prosegue trascinandosi, tra lacrime e la memoria ormai sepolta in un cimitero. Per le strade si incontrano sopravvissuti, reduci di guerra, si vedono giovani sposi che hanno sigillato il loro amore con la morte e madri e figli massacrati, linciati dopo ore di torture. Le storie e la verità non colmano l’entità di quei supplizi, di quelle barbarie, non si doveva barattare la salvezza con l’omertà cercando il perdono attraverso la morte.

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Carmen Sangiorgio Studentessa in Formazione e Gestione delle Risorse Umane Profilo Psicologo del lavoro presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Bari

Ho trovato questa raccolta un regalo per noi giovani studenti. La traduzione in versi di eventi sì lontani, ma appartenenti a tutta l’umanità da sempre e per sempre, svelano dei segreti che in verità non dovrebbero essere celati alla coscienza delle nuove generazioni. A cosa servono tanti anni di studio se poi quando usciamo dalle Università siamo degli automi addormentati? Dovrebbero insegnarci a risvegliare la nostra coscienza, questo dovrebbe prevedere il nostro sistema educativo. La storia va vissuta ancora e ancora, attraverso racconti e immagini di chi ha subito e lottato. Non dev’essere un mero sforzo didascalico lontano e privo di significato. Le vite di chi ha combattuto, dovrebbero essere la nostra guida per creare un mondo migliore. Non dovremmo dimenticare i morti e le gesta di un popolo sacrificato e in rivolta. L’Olocausto della memoria I mi rammenta che non è giusto dimenticare: “Gambe e braccia ridotte a stecchi. Occhi sgranati. Cose note ai vecchi. Rifiuto di ronzio è storia che dilata luce in calzamaglia di raso. Specchi alterano verità, risucchiano stritolata chioma. Ci imbrattano di sigle, numerata è l’epidermide.” La memoria è identità. È consapevolezza. Questi versi hanno il potere di restituire una parte buia ed obbrobriosa della storia. Non dobbiamo rifiutarci di udire, di vedere con i nostri “innocenti” occhi ciò che è stato inferto a milioni di incolpevoli occhi. Il male non tocca solo ad alcuni esseri umani, nessuno è immune. Dovremmo prendere coscienza di questa verità e perdonarci, perdonare tanta ingiustizia.

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Alessandra Surico Laureanda in Progettazione delle Politiche di Inclusione Sociale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Il testo “L’Infatuazione. L’Olocausto della memoria europea, l’abiura della democrazia“, ha l’intento di delineare i rischi della nostra democrazia e il riproporsi di tirannie finanziarie e monetarie. In copertina vi è il dipinto del pittore brasiliano Almeida Junior, in cui è rappresentata una donna in abiti scuri, affranta, mentre contempla una lettera che è oggetto della sua saudade, cioè la nostalgia, secondo l’autore è la nostalgia per una memoria ormai persa. Infatuazione, titolo del poema, è in realtà sinonimo di un accecamento che porta a preferire più verità alla conoscenza dell’unica realtà storica. Il testo è stato scritto in memoria dei 70 anni della Costituzione italiana, iniziando affermando la tendenza delle generazioni a dimenticare i supplizi inferti ai popoli, le guerre, perpetuate per via delle strategie territoriali e per consolidare domini e rivendicazioni. Quello che ci si augura è un recupero della vera Europa, che si basi non sulla concorrenza economica dei Paesi membri, ma che si metta al centro la condivisione, prima su tutto, della sfera culturale. L’opera vuole anche ricordare i 70 anni della nascita dello stato di Israele. Tra i vari poemi, quelli che più mi hanno colpito sono: La Casa Rossa di Omarska e Il Campo di Prijedor. - Casa Rossa di Omarska: In Bosnia, durante la guerra di Jugoslavia agli inizi degli anni ’90, i serbi avevano istituito un campo di concentramento in cui si verificarono assassini e mutilazioni nelle forme più atroci. Questo campo fu chiuso ad Agosto del 1992. Il capo del campo era Meakic. C’era silenzio spettrale intorno la Casa Rossa, la politica commossa promette il falso ormai sul binario morto di Auschwitz. L’Europa, scossa già dimenticava. Le reticenze dell’amore erano svanite, tutto questo permise al nazismo e al fascismo di imporsi per proporsi come nuovo scudo del mondo e così opporsi al suolo europeo, terra nera ormai infetta da oblio, calpestata la memoria per tutti i caduti, senza differenza di eventi. - Campo di Prijedor: Prijedor divenne famosa per i quattro campi di concentramento sorti nei suoi dintorni. Questo poema racconta alcuni episodi di supplizi e sevizie nei confronti dei bosgnacchi da parte delle guardie serbe. I bosniaci costretti a bere urina su or76


dine della guardia che ridacchiava senza fretta mentre il capo sbraitava: ”E’ potabile”. Le altre guardie, ubriache, emettevano versi. Le donne venivano strattonate, derise e le risate bruciavano. Mentre una ragazza era buttata a terra, intervenne la voce di un uomo che chiese di lasciarla stare e di poterlo anche uccidere. Era sua figlia. Tutto questo attirò l’attenzione del capo, inciamparono e si aggrapparono alla ragazza; lei stremata, stringeva forte gli occhi, abbattuta a terra insieme a lui. Questo poema denota le gesta crudeli e disumane che gli abitanti di Prijedor erano costretti a subire.

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Angela Tambone Studentessa in Scienza delle Amministrazioni, Laurea Magistrale presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Lontani sono quelli immagini in cui, nell’antica Grecia, i saggi si circondavano di fanciulli a cui raccontare e insegnare la vita. Questo modello educativo, detto “paideia”, certamente non prevedeva nozioni sterili, prive di oggettivizzazione e lette su qualche sito web. No, ai fanciulli si tramandava la storia che arricchiva l’anima. Infatti, è l’anima a guidare l’azione umana. E dall’anima che si estrinseca il sé. Solo in questo modo il fanciullo poteva addentrarsi nella società, partecipare alla vita pubblica, scrivere la storia dopo aver imparato dalla storia. È proprio la storia, ad oggi ad aver perso il suo grande valore. L’uomo oggi non dà peso al passato, ma lo considera come il semplice susseguirsi si avvenimenti privi di ogni moralità. Accecato dal materialismo, l’uomo moderno è disorientato: scrive una storia sterile, perché non ha imparato dalla storia. E più si è materialisti meno si resta umani. La società post-moderna è fondamentalmente ricca, di una ricchezza concreta meschina che sguizza tra gli individui. Ma sono quest’ultimi ad impoverirsi, ad essere manipolabili e condizionabili da logiche di mercato. Diverse sono le cause, ma analizzando attentamente si coglie l’essenza di una società odierna che non ha imparato dal passato e continua a scrivere eventi che saranno ricordati in modo sporadico. Nel momento in cui l’uscita di un nuovo i-phone diventa “il grande evento”, segnando la storia più del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, l’uomo ha perso contro se stesso. Trasformandosi in animale, ha perso la sua anima. Come la fame muove le bestie, cosi la foga della ricchezza materiale muove gli uomini odierni. “Temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti” cosi esordiva Albert Einstein. Pare che nella nostra società la “generazione di idioti” si stia pian piano consolidando. È quel fotografare invalidate ciò che resta inerme di quel campo di concentramento di Auschwitz, dove centinaia di persone sono state stuprate della loro identità, è un esempio di come la nuova generazione non abbia attenzione, né rispetto per la storia. Il sacrificio dei loro antenati, condannati, mortificati, privati della vita, si riduce ad una foto. 78


La foto in sé rappresenta la foga “di avere, possedere qualcosa di concreto”, una finzione della realtà che si pensa possa sostituire il ricordo, il sentimento e il valore di quel momento. Scarsa attenzione per i momenti, sfuocati e messi in un dimenticatoio umano, pronto a possedere ogni cosa materiale. Si perde di vista il senso della storia, come madre, faro del presente. E da quelle pagine buie di racconti strazianti che hanno segnato e fermato il tempo (da gli indiani americani, alla tratta dei neri; dallo sterminio degli Ebrei a quello degli Armeni), da quell’odio umano verso i propri simili che si deve imparare. Si deve imparare ad arricchire l’anima, perché più si è materialisti meno si resta umani. E’ questa la chiave di lettura, il significato latente che il poema “Infatuazioni” presenta, in modo armonico nei suoi versi. Lo scorrere del tempo è percepito dal susseguirsi delle parole, omaggio alla storia, ai valori umani che si fondano nella storia e si intrinsecano, grazie alla valorizzazione di questa, nell’animo umano, che deve essere plasmato da mani sagge e valorose, faro della vita che congiunge passato e presente, illuminando il cammino verso un futurotemporale rigoglioso.

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Gianni Tucci Laureando in Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

In occasione della chiusura di questo semestre che mi ha visto impegnato nella frequentazione del corso di Filosofie giuridiche, diritti umani e religioni del Medio ed Estremo Oriente, tenuto dal Prof. Gianfranco Longo, mi accingo a scrivere qualche riga riguardo quanto studiato. Ammetto di non aver trovato affatto facile questo compito; tanti sono stati i dubbi che mi hanno assalito, la testa e il cuore inondati da mille domande, martellanti quesiti spesso rimasti irrisolti, muti di fronte alla complessità del mondo in cui viviamo. Bisogna evidenziare che naturalmente la stagione della vita in cui tutto sembra avere un senso, in cui si crede fermamente in un’esistenza retta soltanto dalla struttura perfettamente dualista del bene e del male non può che avere una data di scadenza e anche molto prossima. Giovinezza e maturità prima o poi irrompono con forza scuotendo l’individuo e proprio in quel momento si avverte l’inesorabile cambiamento, ecco allora che le rassicuranti opposizioni “giusto/sbagliato”, “bianco/nero”, “giustizia/ingiustizia”, “virtù/peccato” si appropriano di nuova luce e scomode complessità, fatte di sfumature e chiaroscuri che confondono e disorientano fino al punto di mettere in discussione le assolute certezze della nostra esistenza. Confusione e disorientamento sono gli ingredienti alla base del percorso condotto insieme al Prof. Longo, il quale tramite un continuo dialogo tra saggi, video, musica e poesie ha messo in luce il Leitmotiv dell’esistenza umana, imprigionata in una realtà che di umano possiede ben poco. Il nostro mondo contemporaneo è il risultato della scelleratezza dei poteri forti, delle decisioni di sedicenti uomini in giacca e cravatta che vantano il potere assoluto di muovere pedine a loro piacimento, individui in grado persino di riformulare il presente cambiando il passato, soffocandolo, abbandonandolo all’oblio. Non esiste errore più grave, non esiste decisione più pericolosa di quella che porta ad annullare ciò che è stato, l’Olocausto della memoria di cui parla Longo nella raccolta di poesie dal titolo Infatuazione, “l’oblio e l’omertoso atto di silenziare gli episodi della storia”6, accettato passivamente e giustificato alla luce dei famosi corsi e ricorsi della storia, un’espressione comunemente utilizzata e accettata dalla massa. Io stesso mi sono reso conto di quanto questo concetto 6

Infatuazione, p. 19.

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fosse profondamente sedimentato nella mia mente, tanto da sottovalutarne il potenziale distruttivo, perché strumento di distruzione è anche l’annichilimento che, con il suo approccio passivo, tende alla cancellazione e all’annullamento. Così dunque si assiste all’abuso che si fa della storia, rimaneggiata, modificata, mortificata, violentata e poi etichettata con la comoda giustificazione secondo la quale gli eventi che sono accaduti e che continuano ad accadere sono in fin dei conti le “solite cose di sempre”7. D’altronde lo stesso Nietzsche circa 150 anni fa, nel suo scritto Sull’utilità e il danno della storia per la vita, aveva messo in guarda il genere umano circa le implicazioni nefaste di un uso sconsiderato della storia, la quale riecheggia costantemente nel nostro presente per mettere l’uomo in guardia, spronandolo a riconoscere i propri errori con la speranza di costruire un avvenire migliore. Nietzsche rivolge un’aspra critica proprio ai dotti, agli addetti ai lavori, agli esperti che senza l’approccio attivo e vivificante dell’azione inaridiscono la storia, bloccandola tra le aride e polverose pagine di un libro. Così, la ricostruzione dei fatti diventa un mero esercizio di stile senza alcun obiettivo se non quello dell’autocelebrazione. Questo è l’atteggiamento che contraddistingue il mondo accademico odierno, che ha inevitabilmente condotto ad un “inebetimento culturale” perpetrato da “indottrinati, politici e pseudo-didatti”8, i quali arrivano a “esagerare i contorni delle tragedie o a minimizzarli comicamente” con lo scopo ridicolizzare gli eventi. Il 14 novembre 1974, Pier Paolo Pasolini scriveva sul Corriere della Sera a proposito del sottile legame che si detiene tra il potere e il mondo, il nostro mondo “che pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere”9. Stretto nella morsa del potere, l’intellettuale viene deprivato della propria libertà di espressione, ammutolito e minacciato se tenta la strada della verità. Pasolini pessimisticamente mette in luce quanto il coraggio e la verità siano valori inconciliabili con la pratica politica italiana, la quale riduce l’intellettuale al bieco asservimento. Il suo mandato resta dunque limitato alla sola facoltà di dibattere di questioni morali e ideologiche. Non appena si oltrepassa il sicuro confine del politically correct, l’intellettuale diviene facile preda del potere, venendo da esso inghiottito. Tuttavia, Pasolini conclude il proprio scritto lasciando al lettore un barlume di speranza, quella speranza che porta a credere che sia ancora possibile risollevare il mondo dalla mefitica morsa della corruzione semplicemente facendo la cosa giusta, scegliendo sempre la strada tortuosa della ve Ibidem. Infatuazione, p. 18. 9 Cos’è questo Golpe? Io so, Pier Paolo Pasolini, Corriere della Sera, 14 novembre 1974. 7 8

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rità, sicuramente più difficile e piena di insidie ma che al contempo è in grado di rendere liberi. Questo è in definitiva il vero Colpo di Stato di cui parla Pasolini. Infatuazione costituisce una voce fuori dal coro nel panorama culturale e accademico odierno, generalmente predisposto a rappresentare l’Europa sotto definiti paradigmi o topoi che vedono l’Unione assurgere a simbolo del trionfo dei diritti, dell’uguaglianza dei popoli, uniti da comuni istituzioni. Europa come simbolo di porosità culturale, capace di congiungere le genti del Nord con quelle del Sud e dell’Est; popoli ora in grado di entrare in più stretto contatto tra loro grazie alla libera circolazione di Schengen e all’utilizzo di una stessa moneta, la quale dovrebbe svolgere il ruolo di porre tutti gli Stati Membri sullo stesso piano, al fine di portare a compimento il famoso progetto di integrazione politica ed economica. Eppure, Infatuazione si serve del concetto di entropia10 per descrivere l’altro lato della medaglia, mettendo in luce le ombre nascoste dell’europeismo sfrenato. L’entropia, che fa parte del secondo principio della termodinamica, è l’unità di misura della disaggregazione e del disordine, aspetti che sarebbero in realtà alla base dei problemi dell’Unione Europea. Si tratta di quel caos che coinvolgerebbe il sistema politico, culturale ed economico di questa organizzazione. Sono sempre stato (e sono tuttora) un sostenitore di quel sogno di unificazione che potrebbe aiutare i cittadini degli Stati Membri a godere degli innegabili vantaggi derivanti dallo scambio, dal dialogo, dalla possibilità di prendere spunto gli uni dagli altri al fine di costruire modelli di società egualitari per tutti, soprattutto riguardo le minoranze ancora oggi pesantemente ostracizzate da scellerate propagande politiche, studiate ad hoc per fomentare odio e violenza al fine di ottenere banali consensi elettorali. Come possono la vita e la dignità dell’essere umano dipendere dalle strategie del potere? Nonostante la mia visione positiva dell’Europa non posso fare a meno di riscontrare delle verità riguardo la critica che Infatuazione muove nei confronti della stessa Unione, la quale viene analizzata sotto il profilo della “disumanizzazione delle sue prospettive politiche, culturali ed economiche”11. Di fatto, l’unione delle culture se da un lato favorisce scambio e arricchimento, dall’altro crea appiattimento, omologazione, frantuma le peculiarità delle nazioni (processo tuttavia imputabile non solamente all’Unione ma all’ormai ra 10 11

Infatuazione, p. 20. Ibidem.

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dicato fenomeno della globalizzazione che da vent’anni è penetrato con prepotenza nella realtà dei singoli paesi del mondo). Longo rivolge la propria critica a quell’infatuazione che ha accecato le élites del potere tramite il sogno di dare vita a “forme democratiche o economiche vagheggiate” le quali non sono “per nulla sorrette da concrete applicazioni”12. L’ambizioso sogno di creare i c.d. Stati Uniti d’Europa si scontra con l’amara consapevolezza che è solo un’utopia, in quanto la stessa storia non ha mai fornito dei precedenti per confutare la teoria secondo la quale Stati diversi tra loro possano riunirsi nell’ottica di una politica federale. Gli stessi USA si costituirono come “stati federali” al momento della loro fondazione, ma essi nacquero sotto questa condizione, ponendo fine a secoli di sfruttamento coloniale perpetrato dai dominatori europei. Pertanto, appoggio il punto di vista del Prof. Longo riguardo l’impossibilità di perseguire a pieno il progetto del federalismo europeo. Federati si nasce non si diventa. Il progetto di integrazione comunitaria si è costruito nel tempo tramite un processo lento e costante. Esso fu originato dai Trattati di Roma del 1957, i quali diedero vita alla Comunità Economica Europea, che nell’arco di 50 anni ha subito un processo di costante evoluzione, tramite allargamenti e riforme. La piccola cittadina di Maastricht, nel 1992, sarà protagonista dell’epilogo di questa vicenda. Qui si assiste alla nascita dell’Unione Europea, un’organizzazione fortemente economica e scarsamente politica. Il Trattato di Maastricht getta le basi dell’unificazione monetaria, che ha fomentato nel tempo “appetiti finanziari liberticidi”13, gettando illusioni su futuri contesti economici omogenei. L’unificazione monetaria non ha prodotto gli esiti sperati. Essa ha di fatto portato a forti squilibri, tali da evidenziare le profonde differenze tra la ricca Europa del Nord e i più poveri paesi del Sud e dell’Est, innescando una guerra tra popoli, aggravata dallo spettro incombente della povertà e della crisi. Il contesto economico odierno è caratterizzato dall’esistenza di una minoranza di illustri tecnici ed esperti che detengono il potere assoluto in materia di politica economica e di finanza i quali, cavalcando l’onda di un capitalismo sfrenato, prendono decisioni dettate più dalla logica del profitto e dall’esigenza di competere sui mercati che per salvaguardare gli interessi dei singoli individui. L’essere umano 2.0, di fatto, vale meno di un numero fittizio come quello indicato dallo Spread, le proprie esigenze di sopravvivenza e di condurre una 12 13

Infatuazione, p. 21. Ibidem.

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vita dignitosa vengono sempre dopo la necessità di dover mantenere i parametri del 3% del deficit e del 60% del debito. Il sogno europeo di giustizia, democrazia, uguaglianza e trionfo dei diritti, in quest’ottica, finisce col tramutarsi in un incubo di tirannia favorita dalle stesse istituzioni le quali tendono sempre di più a stringere nella loro morsa gli Statinazione. Il concetto di sovranità si trasfigura in un mostro raccapricciante capace di distruggere, lacerare e inghiottire: Ad inverni barocchi s’addensa furore, un litico raccapriccio di sovranità esalta lirico sabba e feticcio.14 Infatuazione si apre con la rappresentazione di uno scenario da incubo, selvaggio, gotico, spaventoso, in cui regna il caos più sfrenato, richiamato dall’espressione “lirico sabba e feticcio” che metaforicamente rimanda a quei lontani riti di cultura celtica, che tanto sono penetrati nell’immaginario dell’Europa moderna, contribuendo alla rappresentazione iconica delle leggendarie e temute streghe, seguaci del demonio, le quali danzano nelle notti di luna piena, indirizzando lodi a idoli pagani. L’Europa descritta nel poema appare oggi “sfibrata” e rischia di scomparire in “abiura di democrazia”15, una democrazia ipnotica, che acceca come fumo negli occhi, la quale è a sua volta debolmente sorretta da “politiche cianotiche”16, più morte che vive, affaticate, snaturate: Carcame strozza civili, in mondano ingorgo, cancellando il consenso nato da un patto comune, ora diseredato da posteri e Stato.17 In questo passo del poema che reca il sottotitolo Lamentazioni, il linguaggio si arricchisce di vivida drammaticità: il progetto europeo si è tramutato in una carcassa vecchia e imputridita, ormai naufragata, trascinando con sé i popoli, i quali sono inghiottiti in un vortice allucinato di mondanità che ha cancellato i valori di un patto siglato sotto comune consenso, quel patto che avrebbe por Infatuazione, p. 25. Infatuazione, p. 26. 16 Infatuazione, p. 32. 17 Ibidem. 14 15

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tato alla nascita di una Comunità integrata di Stati, in cui si sarebbe favorito il trionfo della prosperità e dei diritti. La prima parte del poema Infatuazione è disseminata di termini e espressioni che metaforicamente ricollegano l’Europa di oggi a scenari infernali, di menzogna e perdizione. Ciò lo si può notare nella vertiginosa descrizione relativa alle “gravine di falsificazioni che corroborano sfruttatori politici”18. Baratri, burroni e strapiombi mettono in luce la profondità di un sistema corrotto e pericoloso. Così dunque “annaspano i popoli sovrani”19, i quali non possono che riconoscere l’affievolirsi della speranza, la sconfitta della luce e la vittoria delle tenebre, della “mondana arbitrarietà”20 in cui l’avvenire viene gettato in un calderone che ribolle sopra un “sulfureo braciere”. Lava incandescente che trabocca e distrugge tutto ciò che si trova sul proprio cammino, una lava composta “dall’indefinito rituale europeo di logorrea”21, demagogia scarna e inconsistente, impermeabile alle reali esigenze degli individui. Il linguaggio del poema è vivido e tagliente. Esso rimanda ad omertosi scenari di guerra descritti con la violenza dell’allitterazione delle consonanti “r” e “s” che compongono i termini “rasoi” e “lame necrotiche” che “s’affilano” e “s’infilzano sui popoli”22. Le parole usate dal Prof. Longo sono taglienti come le lingue aguzze che fuoriescono dai volti sfigurati del Guernica di Picasso, a sottolineare la crudeltà della Guerra Civile spagnola, che ha seminato vittime e disperazione. A quanto pare il sogno europeo di pace e democrazia, di unione e di uguaglianza, si scontra con l’amara realtà dell’impotenza di fronte alla guerra che lacera e avvilisce. Teatro del vilipendio umano è stato il territorio dei Balcani, offeso e dilaniato durante le terribili guerre scoppiate nei primi anni ‘90. Il famoso conflitto serbo-croato di cui si è tanto parlato ma i cui reali fatti di cronaca sono finiti anch’essi preda dell’Olocausto della memoria. Perché ormai nessuno ricorda più i veri orrori di quella guerra, la strage degli innocenti perpetrata dalla follia del fanatismo. Quei fatti, benché ignoti ai più, sono stati conservati e lasciati in eredità al mondo grazie alla toccante testimonianza di Milena Gabanelli, la giornalista che, nel novembre 1991, ha documentato l’uccisione di migliaia di Serbi (uomini, donne e bambini) ad opera di fanatici Croati, poiché aizzati dalla follia omicida della prevaricazione politica, culturale e…della pulizia etnica. Infatuazione, p. 29. Infatuazione, p. 34. 20 Ibidem. 21 Infatuazione, p. 35. 22 Infatuazione, p. 32. 18 19

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Di quegli orrori si conserva solo un ricordo sfocato, accompagnato dalle lontane grida di migliaia di bambini sgozzati e gettati in fosse comuni. Angeli che hanno silenziosamente abbandonato questa terra per una colpa che non avevano. Dopo una delle tante giornate di lavoro sul suolo insanguinato della Serbia, alla Gabanelli non resta che dire: “è quasi sera, io non penso più a nulla…vorrei solo tornare a casa… e mi vengono in mente i saloni dove si tengono le conferenze di pace”.23 L’essere umano contemporaneo è il prodotto di un mondo sempre più razionale, logico e votato a perseguire i vantaggi matematici del guadagno, costi quel che costi. Non importa se i mezzi per ottenerlo implichino massacri, lotte fratricide, lo sterminio di innocenti. Nel mondo odierno scorrono fiumi di sangue e petrolio. Per il petrolio si è pronti a tutto: ad innescare embarghi in grado di piegare economicamente le popolazioni di uno Stato e ad organizzare vili attentati terroristici il cui scopo è favorire la propagazione della paura e della diffidenza, tali da spingere continuamente verso la paranoica ricerca di protezione. L’essere umano odierno ha imparato a fuggire al grido “Allah akbar!”, tende ad evitare i luoghi affollati e ha imparato a camminare in modo cauto e prudente quando esce a fare la spesa, le orecchie pronte a captare il primo segnale di pericolo, un rumore inconsueto, il rombo di un motore in accelerazione. Così i media ci riempiono quotidianamente la testa di orrori e paure e ci invogliano a indirizzare i nostri rancori, un accecante desiderio di vendetta, verso determinate categorie come “tutti gli islamici” perché sono terroristi, “tutti gli immigrati” perché stuprano le nostre donne e ci rubano il lavoro. I poteri forti hanno capito che più siamo divisi, più siamo innocui, dunque più facilmente diventeremo oggetto di asservimento. Nel mondo contemporaneo non c’è più spazio per la futilità dei sentimenti, non occorre neanche più passare del tempo in compagnia, perché l’uomo di oggi ha altro a cui pensare, allo studio matto e disperatissimo, e a rincorrere la carriera dei sogni. L’essere umano occidentale è costantemente annoiato, malato di eccessiva agiatezza, dà per scontato persino il privilegio di vivere. Pertanto, si preferisce trascorrere e sprecare intere giornate sui social network, anche questi strumento di asservimento, strumento di seduzione che alimenta la vanagloria dell’individuo medio, il quale trova l’antidoto alle proprie frustrazioni tramite la possibilità di esprimere un’opinione su tutto. Non importa quello che si scrive purché lo si scriva, purché vi siano migliaia di like e di followers in grado di alimentare l’illusione che non si è poi così soli. 23

Milena Gabanelli a Mixer, il 2 dicembre 1991 su Rai 2, sul conflitto serbo-croato.

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Accecati dalla costante ricerca di accettazione, innescata dalla necessità di porsi sotto ai riflettori, gli individui contemporanei tentano disperatamente di seguire l’esempio di modelli propugnati dalla televisione, di quella “gente che ce l’ha fatta”, che è riuscita a coronare i propri sogni. Ballerini, cantanti, attori, showgirl, matrimoni da fiaba, vi è l’illusione che tutti possano un giorno coronare i propri sogni, perché i media rappresentano queste storie come esperienze alla portata di tutti, quando invece queste sono eccezioni che contraddistinguono una minoranza molto ristretta di privilegiati. Tutto intorno è inebetimento culturale. I falsi modelli di vita hanno allontanato l’essere umano dalla propria dimensione spirituale, relegata sempre più in secondo piano a favore di ciò che è invece tangibile, concreto, reale, immediato. Il mondo delle apparenze ha insegnato all’uomo che ciò che conta è essere forti, risoluti, sicuri di sé. Occorre essere esempi di perfezione per preservare la propria dignità. Nulla di più falso. L’uomo di oggi dovrebbe sempre prendere in esempio un meraviglioso concetto tramandato dalla tradizione zen: kintsugi24 significa letteralmente “ricomporre in oro”, una tecnica di riparazione, attraverso la quale un vaso ridotto in cocci, viene ricomposto con una colla dal brillante color oro. Lo scopo è quello di evidenziare gli spazi che separano i vari pezzi del vaso, il quale si appropria di nuova vita. Il vaso appare rinato, più bello, brillante e prezioso, nonostante le fratture. L’essere umano dovrebbe mettere in atto il kintsugi nella propria vita, concedersi infinite possibilità per rimediare agli errori. Il kintsugi rappresenta la bellezza di un volto segnato dalle rughe prodotte dall’esperienza di un’intera vita che sta per volgere al termine, quelle righe che segnano il volto, la gola e le mani, che narrano di giorni di gioie e dolori; kintsugi sono le lacrime versate durante questa avventura che chiamiamo vita, lacrime gettate per la perdita di un compagno di viaggio, per un rimorso, per un errore commesso; lacrime di gioia, gratitudine e di dolore. Tutto questo costituisce la preziosa colla color oro che ci tiene insieme, perché senza un passato non esiste presente né futuro. Al volgere dell’età adulta dunque siamo più complessi, forse meno felici e in preda alle inquietudini del quotidiano, ma siamo anche più ricchi e più completi grazie alle nostre cicatrici luminose. La filosofia zen del kintsugi condivide alcuni aspetti con la mistica cristiana che fa del dolore un elemento di forza. Cristo rappresenta l’emblema della sofferenza, della lacerazione, del vilipendio umano, della mortificazione corporale. La questione del misticismo: l’accettazione d’una realtà sovrasensibile e di un raccoglimento interiore. Profili comparati tra buddhismo zen, shivaismo, sufismo e mistica cristiana. Gianfranco Longo, p. 14.

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Il dolore è per un cristiano alla base dell’avvenire, quella sofferenza patita da Gesù durante la sua Passione e morte al fine di donare all’essere umano la salvezza eterna. Sarebbe dunque più opportuno sostituire la vergogna del dolore, tipica della nostra cultura materialista, in celebrazione del dolore, come qualità aggiunta, simbolo di forza. Il dolore è un requisito di base per sopravvivere alle incertezze della vita: ignorarlo, evitarlo, tenerlo al di fuori di noi sarebbe inutile e controproducente, perché non solo si perderebbero essenziali opportunità di crescita ma si tratterebbe di una misura effimera, poiché tale esperienza è inevitabile. Nessuno può sottrarsi al dolore finché vive, finché respira, finché ama. L’eccesso di mondanità, di agiatezza, e l’imporsi di contesti di vita sempre più frenetici hanno portato gli uomini a diventare automi, schiavi di un sistema che li obbliga a produrre denaro, mezzo materiale di scambio che, nella nostra era di capitalismo dirompente, assurge al ruolo di divinità che ci governa, facendoci dimenticare che la vita è altro, che certamente non siamo nati per condurre un’esistenza banalmente circoscritta al solo lavoro, alla sola carriera. In altre parole, l’uomo di oggi si sofferma sempre di meno a riflettere. Egli ha dimenticato l’antica saggezza che un tempo lo vedeva in profondo contatto con il trascendente, la saggezza tramandata dal buddhismo zen, dal Sufismo e dalla mistica cristiana. Nonostante le importanti differenze che emergono tra queste correnti, esse mettono tutte in evidenza il concetto comune secondo cui l’uomo è mosso dalla necessità di entrare in contatto con una dimensione superiore. Il sufismo, in particolare, è un aspetto nodale nella letteratura araba e persiana e si caratterizza in riti, devozioni, meditazioni sul mistero della vita dell’uomo e del suo legame con il divino.25 Esso parte dal presupposto che la meditazione sia una pratica in grado di elevare l’uomo a Dio, e ciò avviene tramite due stadi, quello di Al-Fana (cessazione di sé in Dio) e Al-Baqa (mantenimento di tale stato). La meditazione sufista dunque percepisce l’oblio, ossia l’abbandono del sé al divino, come quell’anello di congiunzione tra il mondo tangibile dell’essere umano e la dimensione mistica e trascendente abitata da una divinità superiore. Si tratta del raggiungimento di quell’istante contemplativo in cui il tempo si ferma, in cui Dio si rivela come indeterminabile presente,26 concetto fortemente radicato anche nella mistica cristiana, che concepisce Dio come 25 Riflessione sui Concetti di Al-Fana e di Al-Baqa nell’ambito della semantica coranica sufista, Gianfranco Longo, Ed. Cogito, Vol. IX, no. 1, marzo 2017. 26 L’indeterminabile presente. Studio dei concetti di Natura e di Perpetuo nella creazione. Gianfranco Longo.

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superamento della temporalità, in quanto “in-terminabilmente presente”27. Dio ha dato inizio al mondo e al tempo, pur essendo al di fuori del tempo, e poi è entrato all’interno di questa dimensione tramite la figura di Gesù, nato, vissuto e morto. Tuttavia, Cristo rompe a sua volta l’equilibrio naturale del tempo tramite la propria risurrezione, il ritorno alla vita che costituisce la speranza del credo cristiano, secondo il quale dopotutto nulla può avere davvero una fine, la speranza che ci sarà un premio ad attendere l’uomo paziente, quel tesoro nei cieli28 che Dio ha già preparato per ognuno di noi. Nel corso del tempo l’essere umano ha dimostrato l’innato desiderio di rivolgersi ad un’entità superiore che potesse offrire risposte alle domande irrisolte sull’esistenza e sull’avvenire dell’uomo. Dal lontano Oriente all’Occidente, dal settentrione al meridione del mondo, i popoli hanno costruito civiltà, usi e costumi forgiati da tradizioni religiose, riti, celebrazioni e credenze lasciate in eredità ai posteri al fine di preservarle per mantenere intatti valori, morale e princìpi. Forse proprio attraverso un gesto “poco evolutivo e progressista” l’uomo potrebbe dare vita al vero cambiamento, in modo da porre fine al circolo vizioso di un’esistenza superficiale e materialista; tramite l’atto di rivolgersi al passato, l’uomo potrebbe riappropriarsi della sua dimensione mistica, ridestandosi dal torpore immobilizzante di un’esistenza senza senso e forse, scrivo forse, potrebbe finalmente trovare la cura in grado di guarire il mondo dalla sua malattia morale. Concludo dunque questo semestre arricchito di nuove conoscenze e nuove consapevolezze, e non posso fare a meno di ringraziare Gianfranco Longo per essere stato la miccia che ha favorito la propagazione di questi pensieri.

L’indeterminabile presente, p. 32. Matteo 19-21: “Non vi fate tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine guastano, e dove i ladri sfondano e rubano, anzi fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non sfondano e non rubano. Perché dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”.

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Gaia Ventola Laureanda in Relazioni Internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari

Il Capitolo C dal titolo “Divinazione” a p. 69, si apre con la scena dello Stabat Mater, cioè con la condizione di dolore della Vergine Maria sotto la croce del figlio, paragonato alla sofferenza inferta nel corso del tempo alle popolazioni. Eppure si rivela un balsamo allo strazio subito poiché attenua il dolore “offerto il tuo velo di presenza”, nonostante i tentativi di speranza sono stato distrutti e quindi risultano ora vani. La memoria deturpata dal silenzio collettivo che si dilegua per un raggio troppo lungo di Paesi; infatti non si ricordano o, peggio, non si conoscono perché tenuti nascosti molti avvenimenti scomodi della storia europea caratterizzati dalla violenza. “Edulcorata l'ambizione in libertà che ci afferra” e “traccia della libertà che ci è stata edulcorata tra fandonie e insistenze su menzogne" e esprimono la falsità della famigerata libertá/diritto che abbiamo di conoscere in termini storici e che porta specialmente le giovani generazioni a sapere sempre meno del proprio passato. Si tratta della tendenza politica all'oblio dei supplizi inferti ai popoli, delle lotte territoriali tra popolazioni e attuali conflitti tra Stati sovrani. La necrosi del presente è la malattia che infligge la società contemporanea. La criminalità, la droga, la prostituzione, il traffico di esseri umani sono la rappresentazione concreta del concetto di monetarizzazione delle sorti o mercificazione dell'esistenza, ovvero sfruttamenti di ogni sorta delle persone. Devastazione e precarietà invadono numerose parti del mondo, potere e ingiustizie continuano ad opprimere i piú deboli: è il debito di esistenza, cioè il prezzo da pagare che ogni essere umano ha quando viene al mondo e che si porta per tutta la vita. Questo concetto si oppone a quello cristiano di libertà per cui ogni uomo nasce libero perché Dio che gli ha Donato la salvezza non puó salvare senza l'uomo stesso. Il debito di esistenza è reso perfettamente dalle immagini delle strofe “il lager di Jasenovac", “L’internamento: Arbeit macht frei” e “Rieducazione a Yodok”. A livello semantico la scelta di immagini ben precise sembrano quasi porsi totalmente in contrapposizione tra di loro, per esempio il dualismo vita/morte, luce/buio, guerra/pace, dolcezza/violenza, memoria/oblio come a voler descrivere la negatività dell'esistenza attraverso il suo contrario positivo. Qui anche l'utilizzo dei colori gioca in ruolo importante così come la presenza di termini tecnici, appartenenti a diversi ambiti. Inoltre, nei versi s'incontrano frequentemente dei vocativi rivolti ad una madre, ad un padre, ad un figlio, 90


sono persone comuni, sono tutti coloro che hanno vissuto e vivono costantemente le atrocità delle barbarie. La musicalità è prodotta gradualmente dall' accostamento di parole del suono aspro e soave insieme, dalle assonanze, dalla punteggiatura semplice e dalla ripetizione di simboli capaci di smuovere dal torpore dell’indifferenza e si intuire e indurre alla riflessione.

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