Programma per l'Università di Bologna

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PROGRAMMAPER L’ UNI VERSI TÀDI BOLOGNA


Premessa L’Università in Italia è un’università di classe. La realtà che migliaia di studenti delle classi popolari vivono nell’affrontare gli studi superiori è fatta di ostacoli e barriere economiche. L’accesso agli studi, garantito in teoria dal nostro ordinamento costituzionale, è stato costantemente disatteso. Caro-libri, affitti proibitivi ed una delle mense universitarie più care d’Italia si aggiungono alla cronica mancanza di alloggi in città e presso le strutture di ER.GO (l’Ente Regionale per il diritto allo studio), che continua a non essere in grado di fornire una copertura completa degli aventi diritto. I due anni di pandemia e crisi che stiamo attraversando si sono innestati su questo scenario già problematico, e hanno peggiorato ulteriormente la situazione. Discontinuità didattica e peggioramento della stessa a causa della DaD e dei continui cambi della regolamentazione; mancanza di aule studio e biblioteche; sospensioni e ritardi per tutorati e borse di studio legate al lavoro in università; perdita di lavoro e quindi di reddito da parte nostra e dei nostri familiari. Di fronte a questa situazione la dirigenza universitaria resta sorda alle esigenze di migliaia di studenti, proseguendo nella costruzione di un ateneo ad uso e consumo delle esigenze delle grandi imprese e di un’istruzione asservita agli interessi dei privati, che penalizza sistematicamente gli studenti dei ceti meno abbienti. L’emergenza pandemica è stata affrontata mettendo in secondo piano i diritti degli studenti e le necessità di lavoratori e classi popolari, sia da parte delle istituzioni statali che dell’Università. Le rappresentanze studentesche, fino ad oggi, sono sempre state un trampolino per giovani carrieristi che, salvo promettere di rappresentare gli interessi della comunità studentesca, si sono rivelati complici delle decisioni classiste che da anni caratterizzano la dirigenza del nostro ateneo. Le elezioni universitarie hanno perso il loro carattere democratico, rivelandosi non uno strumento di partecipazione della vita politica dell'Ateneo, bensì una ricorrenza sconosciuta alla maggioranza degli studenti e che finisce per premiare logiche clientelari. Di fronte a questa situazione, la gioventù comunista partecipa alle elezioni con un programma di rottura verso le logiche che fino ad oggi hanno imperato nel nostro Ateneo, rilanciando il ruolo delle rappresentanze in Università come reale megafono delle lotte e dei bisogni quotidiani e a lungo termine degli studenti. L’Università italiana non è strutturata sugli interessi degli studenti. Sempre di più assume le forme di un’impresa, con bilanci da gestire e profitti da generare, non importa quali siano le necessità di chi la frequenta. Non ha lo scopo di fornire alla gioventù le competenze tecniche e culturali necessarie a realizzare il proprio futuro, sia lavorativo che non. È volta invece a produrre una massa di laureati formati ad hoc per gli specifici interessi delle grandi imprese e dei padroni, che spesso mettono la propria firma su corsi di laurea modellati intorno alle necessità di un determinato settore industriale o finanche una specifica azienda. Disoccupazione, sfruttamento sui luoghi di lavoro: questo è il futuro di milioni di laureati italiani in base a queste premesse. Inoltre, rispetto ai tagli scellerati di cui è vittima l’intero sistema dell’istruzione italiana, l’Università di Bologna non fa eccezione. Nel bilancio preventivo quadriennale dell’Università (2020/2024) assistiamo ad una diminuzione del 42% dei fondi destinati al diritto allo studio (20 milioni in meno in 3 anni), oltre ad un taglio sensibile dei fondi per l’editoria, la ricerca, la didattica e i materiali da laboratorio (questi ultimi addirittura subiranno un taglio impressionante da quasi 10 milioni a poco meno di 2). Il bilancio preventivo segna addirittura una diminuzione di 40 milioni di euro di fondi destinati alle collaborazioni scientifiche (collaboratori, assegnisti, etc.) e le Aree/Campus, nella


nuova riprogrammazione 2020-2022, subiscono un taglio di costi rispetto alle previsioni sul triennio effettuate lo scorso esercizio pari a 7,97 milioni. Il drastico calo dei finanziamenti pubblici registrato negli scorsi anni ha fatto sì che l’amministrazione universitaria si metta a scaricare il disimpegno dello Stato sulle spalle della popolazione studentesca mentre cresce, in modo significativo, l'influenza dei privati sul sistema educativo. Indegna la narrazione dell'Ateneo, che descrive questi tagli come "misure di armonizzazione e razionalizzazione". Per tutto questo lottiamo contro il sistema universitario attuale e contro la società che è alla base di queste storture, rivendicando per gli studenti i loro diritti insindacabili e la creazione di un nuovo modello che sia al servizio della collettività.


Alloggi e caro-affitti La questione alloggi a Bologna si è continuamente aggravata negli ultimi anni, portando ad un aumento dei canoni di affitto dovuto, da un lato, all’aumento del processo di turistificazione in città, dall’altro alla ingente presenza di patrimoni immobiliari molto grandi tenuti volutamente sfitti. La situazione si è attenuata con la pandemia ma solo momentaneamente e neanche in tutte le circostanze. Per l’inizio di questo anno accademico si è infatti visto praticamente un ritorno alla situazione di sempre. I prezzi delle camere sarebbero scesi del 6% rispetto all’anno passato; questo, però, a fronte di consistenti aumenti verificatisi nei 2/3 anni precedenti l’arrivo della pandemia (+12% circa, con il prezzo medio di una singola a oltre 400 euro). Il prezzo medio attuale per una singola sarebbe al momento di 395 euro. Nei fatti moltissimi studenti sono rimasti tagliati fuori dall’accesso ad un alloggio: in migliaia e migliaia hanno dovuto passare intere settimane alla ricerca di una stanza senza alcun successo, oppure hanno trovato qualche cosa ma a prezzi assolutamente proibitivi rispetto alle proprie effettive disponibilità economiche. Questo quadro di precarietà e inaccessibilità classista riguarda anche gli studenti aventi diritto ad un alloggio universitario. Le attuali strutture già prima del covid non erano in grado di coprire quelle che erano le reali necessità. A Bologna, in particolare, ci sono solamente 1.600 posti letto disponibili negli studentati, a fronte di migliaia di richieste e di una comunità studentesca complessiva di circa 90.000 unità. Ancora adesso, a quanto pare, nonostante le lezioni siano riprese in presenza dappertutto, alcune stanze che prima del covid avevano due letti ora ne tengono solamente uno. Alcuni studentati sono in stato di progettazione o di costruzione (non saranno pronti prima di parecchi anni) ma comunque sia non saranno sufficienti a coprire l’aumento delle richieste che c’è stato nell’ultimo periodo e che è stato rilevato anche dai documenti ufficiali. La mancanza di strutture e di spazi è quindi endemica. Almeno per quel che riguarda le strutture e gli spazi facenti parte del patrimonio immobiliare di Er.go e di Unibo, non certo se dobbiamo parlare delle strutture (sia pubbliche che private) che potenzialmente potrebbero essere ristrutturate e riconvertite a uso di studentato con speciali convenzioni. Sono infatti migliaia gli alloggi sfitti in città, molti dei quali mantenuti volutamente in questo stato per rispondere alla logiche speculative dei grandi gruppi immobiliari. Le case quindi in teoria ci sono, ma le politiche che sono state portate avanti hanno costantemente favorito la speculazione e i proprietari di case i quali, anche durante la fase più difficile della pandemia, hanno messo in difficoltà gli studenti (molti dei quali studenti-lavoratori che da un giorno all’altro si sono ritrovati magari senza lavoro e quindi senza entrate) esigendo comunque il normale pagamento del canone di affitto e delle utenze, nonostante l'aumento della disoccupazione giovanile. La nostra posizione è chiara: la nostra rivendicazione immediata è quella di promuovere un grande piano di edilizia pubblica rivolto a tutti, cittadini e studenti, tramite misure come l’esproprio immediato degli alloggi sfitti in tutta la città e la messa a disposizione degli stessi a canone popolare. Richiediamo inoltre il riutilizzo di tutte quelle strutture del patrimonio immobiliare dell’Unibo o di fondazioni ad esse associate che possano alleviare momentaneamente e immediatamente la situazione, la quale richiede misure drastiche che devono spezzare la prepotenza dei grandi gruppi immobiliari, così come dei piccoli proprietari. Questa battaglia non può che essere un inizio per rivendicare un’università che sia realmente pubblica, gratuita e accessibile a tutti.


Borse di studio e tasse Il nuovo metodo di calcolo dell’ISEE, entrato in vigore nel 2015, falsifica la reale situazione economica e patrimoniale dei richiedenti, facendoli sembrare più ricchi di quanto effettivamente non siano e quindi escludendo una gran massa di studenti che in teoria avrebbero diritto alla borsa. A fianco di questa constatazione, che evidenzia un limite profondamente classista per l’accesso agli studi universitari, l’Ateneo, nell’a.a. 2017-2018, non è riuscito comunque ad assicurare la copertura totale delle borse di studio, lasciando scoperti circa il 15% degli idonei. A fronte di sostanziali decurtazioni dalle borse di studio (150 euro circa), l’Università è poi riuscita ad abbassare tale percentuale all’8%, risolvendo solo in parte la questione. Per l’a.a. 2018-2019 e 2020-2021 si è riusciti a garantire le borse di studio a tutti gli idonei. Tuttavia, l’importo versato ad ogni studente idoneo rimane, ad oggi, assolutamente insufficiente per sostenere il costo della vita in città. Per quanto riguarda la tassazione, invece, si può constatare l’iniquità di un sistema contributivo falsamente progressivo che implica una tassazione unica oltre la soglia ISEE dei 60’000 euro, generando un meccanismo perverso che fa sì che le famiglie più benestanti non paghino il dovuto importo all’Ateneo rispetto alle loro maggiori potenzialità economiche, arrivando a pagare solo alcune centinaia di euro in più rispetto a studenti con fasce di reddito sensibilmente più basse (che si collocano tra i 23’000 e i 60’000 euro annui). Per la maggior parte degli studenti tassati con questo sistema si è registrato un incremento medio del 30% (circa 500 euro per ogni corso di studio). Registriamo da un lato l’obiettivo di rendere concorrenziale l’Ateneo rispetto alle università private, concedendo una specie di “flat tax” ai super-ricchi; dall’altro come si riversa il peso maggiore dell’incremento della tassazione sulle fasce di reddito medio-basse. Infine, per tutti coloro che provengono dalle fasce più povere, nonostante la “no tax area” che attualmente è stabilita sui 23’000 euro di ISEE, non sono garantite altre sostanziali agevolazioni e coloro che avrebbero diritto alla borsa di studio possono diventare non beneficiari (per la mancanza dei fondi) oppure non avere accesso ad un alloggio. Il Fronte della Gioventù Comunista si batte nell’Università di Bologna per l'obbligatorietà dell'ISEE anche sopra i 60.000 €, affinché ci sia una tassazione realmente progressiva anche oltre la soglia massima. Questo permetterebbe un aumento della tassazione sui super redditi che permetta di alzare la soglia della “no tax area” e diminuire la pressione fiscale sugli studenti dei ceti meno abbienti, un aumento delle borse di studio che consenta una reale indipendenza economica correlata al costo della vita in città e infine la revisione dei requisiti di merito per le fasce ISEE più basse.


Studenti-lavoratori In Italia un numero significativo di studenti universitari è costretto a lavorare per portare a termine gli studi superiori. Sono più di 280mila i giovani in Italia che lavorano mentre studiano (secondo gli ultimi dati Istat del 2020), nella quasi totalità dei casi per potersi permettere un percorso che altrimenti sarebbe Ioro precluso per colpa dei costi di frequentazione troppo elevati. Per quanto riguarda l'università di Bologna, negli ultimi dieci anni si è registrata una flessione della quota di laureati con esperienze di lavoro durante gli studi (dal 73,7% nel 2010 al 65,2% nel 2020), flessione che risulta più marcata negli anni immediatamente successivi alla crisi economica e sostanzialmente stabile a partire dal 2015. Il calo è dunque effetto sia della crisi economica sia del progressivo ridursi della quota di popolazione adulta iscritta all’università. Più nel dettaglio, il 6,8% dei laureati ha lavorato stabilmente durante gli studi (lavoratori-studenti); un altro 58,4% ha avuto esperienze di lavoro occasionale (studenti-lavoratori). Un dato che testimonia una drammatica realtà, in cui i giovani sono costretti ad immettersi in un mercato del Iavoro fatto di precarietà e sostanziale sfruttamento per potersi pagare gli studi. Inoltre la crisi nata dalla pandemia ha ulteriormente aumentato la necessità di cercare Iavoro per affrontare i costi di una vita universitaria sempre più a portata di pochi, ma ha anche condotto ad abbandonare gli studi. L’atteggiamento deII’Università nei confronti degli studenti-lavoratori è inaccettabile. Essi sono infatti vittime di un sistema che mira al profitto sulle Ioro spalle: la tassazione per studenti fuoricorso ne è un esempio lampante. Lavorando si ha meno tempo da dedicare allo studio e inevitabilmente si posticipano gli esami e il conseguimento della laurea. Il numero degli appelli, soprattutto per le facoltà scientifiche, è inadatto per un giovane lavoratore, che spesso vede prove sovrapporsi e poche sessioni nelle quali si concentrano molte materie d’esame. L’Università di Bologna garantisce la possibilità agli studenti lavoratori di laurearsi in 6 anni e non in 3, raddoppiando la durata degli studi universitari. Questa misura (che peraltro priverebbe, per chi ne avesse la possibilità, di concludere gli studi anticipatamente rispetto alla data di scadenza, con un limite massimo di 30 CFU da conseguire annualmente) non tiene conto del fatto che molti studenti-lavoratori non possiedono un contratto di Iavoro regolare, che in teoria implicherebbe anche l’obbligo da parte del padrone dell’azienda di garantire un numero di ore minimo di permessi (comunque irrisorie, perché sarebbero 50 ore per ogni anno) per permettere di studiare, frequentare i corsi e presenziare agli esami. Per tutte queste ragioni ci battiamo per un sistema universitario realmente a misura degli studenti, che permetta, come obiettivo immediato, di facilitare la vita degli studenti lavoratori, e con una prospettiva a lungo termine che di fatto porti alla garanzia della copertura totale da parte dello Stato di tutte le spese, sufficiente a portare avanti gli studi senza dover allo stesso tempo lavorare per sopravvivere. Riteniamo quindi che l'Università di Bologna debba adottare da subito delle misure per garantire l'accessibilità al diritto allo studio: chiediamo che vengano aboliti il numero di CFU limite da conseguire; chiediamo che vengano abolite le tasse che penalizzano gli studenti fuori corso; chiediamo che venga adottata come prassi la condivisione delle registrazioni delle lezioni per permettere a tutti di seguirle, anche oltre l'orario accademico che di solito coincide con quello lavorativo; chiediamo che ci siano più permessi aziendali retribuiti.


Borse di collaborazione e tutoraggio Le borse di collaborazione sono uno dei mezzi utilizzati dall’Ateneo per elargire sussidi diretti agli studenti, ma sono di fatto funzionali all’abbattimento dei costi del personale. Il borsista vincitore deve infatti offrire all’università una prestazione lavorativa di 150 ore. Si tratta di un grande risparmio per l’Università, che sostituisce un lavoratore stabile con uno studente borsista, al quale non paga ferie, contributi o giorni di malattia. L’opportunità per l’università/azienda di tagliare sui costi del personale viene effettuata anche con lo sfruttamento dell’alternanza scuola-lavoro, entrata a pieno regime con l’approvazione della “Buona Scuola” del governo Renzi. Dal 2017 l’Unibo ha impiegato infatti migliaia di studenti medi provenienti dagli istituti superiori dell’Emilia-Romagna. Questi, grazie alle decine di ore di lavoro svolte, permettono un risparmio complessivo enorme dal momento che gli studenti sono a costo zero (e impossibilitati a sottrarsi all’alternanza). La logica dell’economizzare i servizi pesa sugli studenti sfruttati, a fronte della scarsa qualità degli stessi nei confronti degli universitari. Chiediamo che nessuno studente in alternanza scuola-lavoro sia ancora impiegato in segreterie o musei d’Ateneo e che si assumano invece lavoratori con contratto regolare. Rivendichiamo, inoltre, la sostituzione dei beneficiari della borsa di collaborazione con lavoratori stabili, essenziali per migliorare la qualità dei servizi. La borsa di collaborazione deve finire di essere un metodo in cui si “arrotondano” i propri guadagni a fronte del costo della vita eccessivo e delle alte spese di frequentazione del percorso universitario intrapreso. L’Università e lo Stato devono farsi garanti della copertura totale di tutte le spese, favorendo l’accesso agli studi superiori degli studenti provenienti dalle classi popolari. Sulla questione dei tirocini, invece, denunciamo la collusione e i progetti di collaborazione tra i privati e l’Ateneo dove, specie per le materie scientifiche, si verificano logiche in tutto simili a quelle dell’alternanza scuola-lavoro. Il tirocinio diviene occasione per far profitti sugli studenti universitari e per coprire le mancanze di lavoratori con contratti stabili. I tirocini gratuiti sono un problema soprattutto per quanto riguarda le facoltà sanitarie, dove gli studenti contribuiscono a tenere in piedi una sanità pubblica al collasso e con carenze di personale, ulteriormente gravata dalla pandemia, spesso facendo straordinari, turni prolungati, turni di notte e mansioni che generalmente un tirocinante non sarebbe neanche qualificato a fare. Chiediamo quindi l’abolizione dei tirocini gratuiti e la garanzia di un salario minimo per i tirocinanti, in particolar modo per gli studenti delle professioni sanitarie. L’università di Bologna si è resa, infine, colpevole di una gestione scandalosa del servizio di tutorato: nell’ultimo anno decine di studenti si sono visti corrispondere la somma pattuita con ritardi di anche sei mesi rispetto ai tempi inizialmente previsti, mentre l’Unibo si giustificava con scuse ridicole senza farsi carico degli impegni concordati, tutto ciò unitamente alle minacce dei supervisori nei confronti di quei studenti che, soli, hanno denunciato i molteplici disagi ai quali sono stati soggetti. Denunciamo inoltre lo sfruttamento dei tutor, spesso utilizzati per lavori che esulano dalla loro competenza e precedentemente assolti da personale regolare, che per mezzo dell’utilizzo perverso del servizio di tutorato da parte dell’università, non si sono visti rinnovare il contratto di collaborazione.


Caro-libri, trasporti e mensa Per coprire gli alti (e in alcuni casi assolutamente proibitivi) costi dei libri occorrenti per la preparazione degli esami, gli studenti sono spesso costretti a rivolgersi alle numerose copisterie locali. Negli anni scorsi la Guardia di Finanza ha proceduto contro alcune di esse per aver riprodotto illegalmente volumi nella loro integrità e a prezzi ridotti rispetto a quelli di copertina. Un'azione che però non ha cambiato assolutamente la situazione. Almeno per quanto riguarda Bologna, non è azzardato sostenere che probabilmente la metà degli studenti non si procura i libri se non tramite il sistema della digitalizzazione e della fotocopiatura illegale, quando ciò sia possibile naturalmente. Iniziative come il riutilizzo di testi usati non bastano mai a coprire le esigenze degli studenti in entrata. A ciò si aggiunge il fatto che le biblioteche di riferimento delle varie facoltà sono spesso sprovviste del materiale occorrente, a causa della mancanza di fondi, mentre l’Ateneo non provvede a mettere a disposizione risorse digitali adeguate. Il caro-libri è una questione allo stesso tempo particolare e generale, e non basta, a nostro avviso, prendere le difese del modello grazie al quale fino ad adesso gli studenti sono potuti campare, rivolgendosi alle copisterie per provvedere ai propri bisogni immediati. Difendere i negozianti che sono parte essi stessi del problema e che guadagnano sulle spalle degli studenti non è davvero la strada da battere. Il problema sta alla radice, sta nel modello universitario stesso, sta nella truffa operata dai monopoli del settore editoriale che si procurano un affare garantito di miliardi ogni anno, operando un prelevamento forzoso sulle famiglie su cui ricade tutto il costo delle spese di studio. La nostra rivendicazione immediata non può che essere la richiesta che le biblioteche di riferimento siano fornite di tutti i volumi da programma nei corsi occorrenti per sostenere gli esami (normali o fotocopiati o digitalizzati), in numero sufficiente affinché possano essere reperiti da tutti gli studenti senza restrizione e da dare in comodato. La quantità non può che essere calcolata in base alle tendenze di iscrizione dei vari corsi. È compito dell’università e dello Stato creare un sistema di supporto editoriale adeguato. È necessario inoltre che l’intero sistema bibliotecario delle università venga ammodernato, fornito di un adeguato numero di volumi per tutte le materie. Ancora meglio sarebbe la fornitura agli studenti, a titolo assolutamente gratuito e senza obbligo di restituzione, di tutti i libri essenziali dei corsi di studio e occorrenti per sostenere gli esami. Non è una visione utopistica, ma ha a che fare con determinate scelte di capitoli di spesa e l’esclusione di altri che tutti i governi e l’Ateneo fino ad oggi hanno operato. Un altro fattore che va ad incidere sulle spese degli studenti sono i trasporti. Per questa particolare questione, va tenuto conto che alcune facoltà e corsi di studio hanno sedi e succursali fuori dal centro storico bolognese e molti studenti devono quindi usufruire delle linee urbane dei pullman, alcune delle quali sono di frequenza insufficiente. Le facoltà coinvolte sono: Agraria e Medicina Veterinaria, Farmacia, Biotecnologie e Scienze Motorie, Ingegneria, Medicina e Chirurgia, Scienze. L’Università ha garantito agevolazioni limitate per abbonamenti annuali urbani ed extra-urbani. Per quanto riguarda gli abbonamenti mensili non sono previste agevolazioni. Per il trasporto su rotaia non si ha notizia invece di accordi tra l’Università e le Ferrovie dello Stato. Esistono delle convenzioni per i pendolari e under 27 per il trasporto regionale con la carta MiMuovo. L’offerta più rilevante riguarda la possibilità di usufruire gratuitamente del trasporto pubblico urbano se si è in possesso di un abbonamento regionale.


Queste agevolazioni però non sono sufficienti per gli studenti. Anche passando da un abbonamento da 220 a 180 euro molti studenti vedono comunque questa spesa come gravosa e non necessaria, a fronte di una situazione in cui dovrebbero essere l’Università, il Comune e la Regione a garantire il collegamento tra tutte le sedi al fine di favorire la frequentazione delle lezioni e l’accesso a spazi e sedi di studio. Chiediamo inoltre un aumento della frequenza dei pullman laddove si presentano in numero non sufficiente. Il servizio mensa è tra i più cari dell’intero territorio nazionale ed è gestito dalla ditta privata Elior, che paga i suoi lavoratori una miseria. Questo servizio esternalizzato va dunque internalizzato, garantendo la copertura di tutti i posti di lavoro e di tutti i lavoratori, che vanno assunti con contratto regolare. Chiediamo inoltre una diminuzione generalizzata delle tariffe e l’estensione del diritto ai buoni pasto.


Didattica Che la qualità della didattica rappresentasse un problema non appare nulla di nuovo. Nuova, tuttavia, è la forza con cui sono esplose tutte le lacune e criticità che essa si trascina dietro da anni. In contesto pandemico, le mancanze già presenti nell’Ateneo non hanno fatto altro che complicarsi ulteriormente, non risparmiando né studenti, né docenti. Gli studenti sono stati costretti a vedere ridotta la loro esperienza universitaria alla DAD, decantata come strumento trasversale ed usufruibile da parte di tutti. Sono pochi, però, quelli che hanno avuto i mezzi necessari per accedervi appieno e sono ancora meno coloro che hanno giovato della strumentazione resa disponibile dall’Università (connessioni lente, sovraccaricate e non funzionanti, ad esempio), vivendo direttamente le contraddizioni e il volto più classista dell’istruzione sulla loro pelle. Oltre al generale impoverimento dell’esperienza di studio, resa sempre più individualizzata e meno critica, gli studenti si sono destreggiati tra una generale mancanza di spazi e aule studio adeguate per studiare e la riduzione dei servizi bibliotecari. Non possiamo dimenticare neanche la difficoltà nel portare avanti i tirocini, più volte sospesi e le attività laboratoriali in spazi inadeguati e sottoposti a continue chiusure a causa della pandemia. Di fronte a questo scenario, nessuna sospensione o decurtazione è stata prevista per le nostre tasse dall’Unibo. Nell’università-azienda, ai tempi della pandemia e non solo, non viene risparmiata neanche la docenza. Il personale accademico ha visto un aggravarsi delle condizioni già precarie, sottostando alla didattica frammentata, ai limiti dello smart-working, non potendo disporre di materiali, spazi e anche della tranquillità necessaria per lavorare da casa. A ciò si aggiunge la generale tendenza alla precarizzazione dei docenti, dottorandi e ricercatori costretti a lavorare sottopagati e a intermittenza. L’Università di Bologna, se nel 2017 contava 1056 professori associati (di “seconda fascia”), nel 2020 ne contava ben 1248. Lo stesso vale per i ricercatori a tempo determinato, che salgono da 326 a 497. In generale, la tendenza dell’amministrazione è quella di preferire l’assunzione di ricercatori, soprattutto a tempo determinato, anziché aumentare le assunzioni di professori e favorire il passaggio da associati ad ordinari, che nell’anno di inizio della pandemia erano solo 497 (in tale contingenza, la situazione è aggravata dai vincoli della Riforma Gelmini). Il bilancio di ogni triennio si chiude in negativo fra ingressi e cessazioni, molto spesso con perdite maggiori fra i professori ordinari. Non saranno neanche i fondi del PNRR a garantire la risoluzione di tutte le criticità, fondi utili solo al processo di smantellamento dell’università pubblica, alla privatizzazione e al controllo della ricerca. Per questo, il FGC si batte per la stabilizzazione di tutti i ricercatori precari, per nuovi finanziamenti destinati agli scatti di fascia e alle assunzioni per un potenziamento della didattica in modo eguale e fra tutti i corsi e i dipartimenti. In più, ribadisce la necessità di spazi adeguati per gli studenti, dell’utilizzo della DAD solo come strumento di supporto e non di sostituzione e del pieno ripristino delle lezioni in presenza.


Numero chiuso Sempre più corsi dell’Unibo sono ad accesso limitato. Economica, Lingue, Ingegneria, Scienze politiche, Agraria, Farmacia e Biotecnologie, Scienze della formazione e Psicologia non hanno più corsi triennali a numero aperto. Per Scienze rimane libero solo il corso di Scienze ambientali. Con una recente delibera si è approvato anche il test selettivo per Matematica e Scienze della comunicazione. Questa misura è stata giustificata per garantire agli studenti “una degna qualità della didattica” e per risolvere “problemi infrastrutturali e di disponibilità di docenti”, cercando di nasconderequella che negli ultimi venti anni è stata una politica di tagli continui nei confronti del sistema universitario italiano, le cui conseguenze si sono riversate (e si riverseranno ulteriormente) sulle spalle delle famiglie con l’incremento della tassazione e con un aggravamento della possibilità di accesso agli studi superiori per tutti gli studenti provenienti dalle classi popolari.

Lo scenario peggiora ulteriormente se si tiene conto delle limitazioni evidenti poste dalla pandemia che non ha permesso uno svolgimento regolare della didattica e una preparazione adeguata agli studenti, spesso impossibilitati a seguire regolarmente le lezioni a distanza per mancanza di spazi e mezzi. Il carattere classista di questa impostazione e le contraddizioni che erano già palesi prima dello scenario pandemico si sono rafforzate, dimostrando come la “meritocrazia” di cui tanto si parla penalizzi solo chi, per ragioni sociali ed economiche, parte svantaggiato. In questa lotteria, coloro che entreranno nei corsi saranno quelli che, come per i test di Medicina, avranno avuto la possibilità di seguire corsi specializzati privati e comprare libri costosi per prepararsi ai test, quelli che vengono da condizioni economiche e sociali più favorevoli (che peraltro giocano un ruolo decisivo anche nell’indirizzo scelto alle scuole superiori).

In alcune facoltà il numero chiuso può essere giustificato. Non ci si può aspettare che in una società tutti facciano i medici o gli ingegneri per poi lasciare che sia la “mano invisibile” del mercato a fare il suo corso: non si farebbe che aumentare la disoccupazione dei laureati. Ma è ovvia a tutti, ad esempio, la situazione in cui per Medicina il numero chiuso costituisce solo un tassello per giustificare la chiusura di presidi sanitari su tutto il territorio nazionale e l’avanzamento dei privati a discapito del pubblico. Tutto ciò è tanto più vero se si pensa proprio alla carenza di medici e personale sanitario dimostrata in maniera ancora più lampante dal Covid-19, carenza che ha ribadito e palesato che il numero chiuso non è assolutamente correlato alle necessità del Sistema Sanitario Nazionale. Ci deve essere quindi una programmazione, in tutti i settori, affinché il numero dei laureati richiesti corrisponda alle esigenze sociali del Paese.

C’è necessità di concepire un altro sistema sociale ed economico e quindi un altro tipo di Università. Ma l’agenda dell’Unibo non è assolutamente questa. L’università non ha a cuore la sorte degli studenti e lo dimostra con la privatizzazione dei servizi e concentrandosi solo sulla possibilità di diventare un “polo d’eccellenza”, in competizione con gli altri atenei, di fronte ad un sistema sanitario nazionale al collasso. La giustificazione, inoltre, nasconde il fatto che l’università ha un patrimonio immobiliare immenso (che peraltro è aumentato di recente) e strutture adeguate che possono essere riutilizzate senza problemi a fini didattici; per non parlare poi dei docenti, il cui quadro è stato


delineato nel punto precedente. È ironico che si utilizzi questa come una scusa per tagliare ulteriormente sui corsi di studi, dato che il problema sta a monte.

Ci vorrebbero più docenti, e non meno studenti! Non staremo a guardare mentre vengono fatti questi tagli. La didattica non può essere oggetto di speculazione e di semplici ed ipocriti calcoli di bilancio. In ogni caso non possono pagarne le conseguenze gli studenti delle classi popolari, che vedono così pararsi di fronte ad un altro ostacolo (oltre alle tasse, l'aumento degli affitti ecc) per l’accesso agli studi superiori. Gli studenti devono far sentire la loro voce e opporsi a questa ingiustizia.


Collaborazioni NATO-Unibo e Israele-Unibo Il Fronte della Gioventù Comunista denuncia fermamente la collaborazione tra il nostro ateneo ed istituzioni militari responsabili di guerre e crimini in tutto il pianeta. Questa vergognosa collaborazione, eseguita su più livelli tecnici e formativi, che coinvolge Unibo come molti dei principali atenei italiani, non è altro che uno dei molti tasselli che prostrano il sistema pubblico di istruzione e ricerca ad interessi diversi da quelli degli studenti per favorire invece quelli delle grandi industrie monopolistiche, dei fabbricanti di morte e distruzione, nemici di ogni futuro di pace e lavoro. In questo senso ci opponiamo allo svolgimento dei progetti di collaborazione con la NATO che da anni, a partire dal 2006, hanno luogo nell’università. In particolare l’Università di Bologna e il Comando Alleato Trasformazione della Nato (NATO Allied Command Transformation – ACT) hanno siglato un accordo, nel quadro del quale il nostro ateneo e l’Alleanza Atlantica hanno dato il via ad una serie di progetti nell’intento di sostenere la creazione di un network sulla NATO composto da personale NATO, membri dell'esercito, esperti, accademici e “studenti motivati” per approfondire la collaborazione tra le istituzione accademiche e i comandi dell’Alleanza. La NATO maschera il suo operato all'interno e all'esterno degli atenei parlando di "sicurezza", "cooperazione", "peace-keeping" e soprattutto di "stabilizzazione", ma da decenni si distingue per la ferocia e l'aggressività dei suoi interventi. Il palese obiettivo di questi accordi è quello di poter fare proseliti all'interno dell'università e reclutare i migliori cervelli degli atenei italiani per asservire le loro competenze agli scopi militari, logistici, strategici e propagandistici della NATO. Ci opponiamo fermamente al fatto che la nostra università sia messa al servizio di un’istituzione militare responsabile di guerre e di violazioni del diritto internazionale; ci opponiamo al fatto che le conoscenze e i saperi che si insegnano nella nostra Università vengano messi al servizio di progetti bellici. In particolare quei progetti di un’organizzazione militare che non ha niente a che vedere con i reali interessi di chi studia e lavora, che anzi costringe il nostro paese a spendere il 2% del PIL (105 milioni al giorno) per le spese militari, per fare nient’altro che gli interessi di una cricca di grandi imprese, mentre solo lo 0,3% è speso per l'università. Il Fronte della Gioventù Comunista rivendica la totale cancellazione di qualunque tipo di collaborazione con la NATO, inclusi i progetti “NATO Model Event”, il “Progetto Predict”, il “NATOUnibo Summer Workshop”, il workshop tematico "Projecting stability in a unstable War", il seminario di ricerca e formazione "What Nato for what threats?" e qualsiasi collaborazione tra Nato e il Dipartimento di Ingegneria dell'Energia e dell'Informazione nella sede di Forlì. Il Fronte della Gioventù Comunista pretende la totale cessazione di queste ingerenze e dei memorandum d'intesa e partenariato con la Nato, affinché il sistema educativo universitario non sia più messo al servizio di organizzazioni imperialiste e guerrafondaie, ma, anzi, promuova realmente il diritto allo studio, così come progetti didattici realmente formativi, votati al progresso, alle reali esigenze del nostro paese, orientati in definitiva alla pace e all'amicizia fra i popoli. Il Fronte della Gioventù Comunista si oppone altresì alla cooperazione accademica con lo Stato di Israele, chiedendo che l’Università di Bologna si unisca al boicottaggio accademico degli atenei israeliani. Non è possibile sorvolare sulle ripetute e flagranti violazioni dei diritti umani, denunciate


anche dall'ONU, e del diritto all’autodeterminazione dei popoli di cui lo stato israeliano è responsabile nei confronti del popolo palestinese e la politica di vera e propria apartheid contro di esso. Chiediamo che l’Università di Bologna esprima una ferma ed inappellabile condanna della condotta terroristica dell'entità sionista e che questa si espliciti con l’immediata cessazione del programma di scambio Overseas con le università israeliane, così come qualunque altra forma di collaborazione accademica che direttamente o indirettamente favorisca il sistema di apartheid e pulizia etnica in Palestina.


PNRR L’università e la ricerca costituiscono un settore dell’istruzione particolarmente importante da gestire per le aziende. Da un lato esiste per le aziende la possibilità di vedere soddisfatte le proprie richieste per volume di laureati “prodotti” aderenti ai profili professionali desiderati, oltre che la possibilità di premere per ritagliare la didattica dei corsi di studio su misura dei loro interessi. Dall’altro la ricerca pubblica è fondamentale per emergere nella competizione internazionale, consentendo di esplorare nuovi filoni di ricerca o di supportare i propri, scaricandone però i costi sulla collettività e accedendo a strumentazioni, infrastrutture e professionisti che non sono alla portata di tutte le aziende. Questi aspetti dell’istruzione sono quindi costantemente soggetti a pressioni e indirizzi funzionali alle richieste delle imprese. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un parziale rifinanziamento dell’università, nulla però che potesse colmare lo smantellamento dei governi Berlusconi e Monti. Un lento incremento del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che nascondeva però una ridistribuzione interna tra la Quota Base e quella Premiale. Tale ripartizione, accostata al meccanismo dei dipartimenti d’eccellenza, rende tuttora estremamente squilibrati i fondi e pone gli atenei in competizione, forzando uno sviluppo prioritario nei campi necessari ad accedervi. Il mercato del lavoro italiano ha richiesto per anni per lo più lavoratori dequalificati e maggiormente ricattabili. Si è potuto quindi ridurre i fondi per il funzionamento ordinario degli atenei e per garantire il diritto allo studio, e così è stato. Non si poteva però rinunciare alla formazione di un certo numero, per quanto ridotto in proporzione, di tecnici altamente specializzati e professionisti della ricerca (specialmente in settori scientifici), motivo per cui sono stati indirizzati fondi in maniera prioritaria ai dipartimenti d’eccellenza e alle università più “produttive” con una Quota Premiale gonfiata a dismisura (rispetto alla Base). Dopo dieci anni il risultato è evidente: esclusione e abbandono universitario, decine di atenei in condizioni economiche gravi, qualità didattica e sostegno allo studio di basso livello, pochi poli d’eccellenza sparsi soprattutto al nord. Questa dinamica, che subordina e svende l'università agli interessi delle imprese, non è tuttavia più sufficiente a soddisfare le richieste di quest'ultime. Nello specifico, nell’ambito della ricerca. Infatti la crisi, accelerata dalla pandemia, ha reso le aziende italiane ancor più aggressive nella competizione nazionale e internazionale, spingendo per implementare settori di Ricerca e Sviluppo utili ad accaparrarsi nuove fette di mercato. Fenomeno tanto più forte quanto più sono pesanti economicamente gli ambiti di sviluppo, su tutti quelli legati alla transizione ecologica, digitale e delle telecomunicazioni. Per garantire risultati in questi campi è stata implementata una sezione apposita del PNRR, che non prova neanche a celare la sua funzionalità strutturale alle imprese italiane. Come Fronte della Gioventù Comunista, ci opponiamo alla strada segnata con il PNRR, ultimo, ma non unico, strumento padronale per assoggettare definitivamente la ricerca agli interessi privati, che difficilmente coincidono con quelli collettivi e di ricercatori sempre più precari, e denunciamo l'appropriazione dei suoi risultati mentre i costi ricadranno sui lavoratori come debito pubblico.


Non serve un cambio, ma una rivoluzione! Davvero è impossibile pensare ad un sistema d’istruzione universitario che sia accessibile a tutti e al servizio dell’intera collettività e non delle esigenze delle imprese e dei grandi monopoli capitalistici per incrementare sempre più i loro profitti? L’Italia è tra gli ultimi posti del mondo per investimento di fondi destinati all’istruzione in rapporto al Prodotto Interno Lordo. La Repubblica di Cuba ad esempio, che ha un PIL uguale a quello della Puglia e una popolazione di 11 milioni di abitanti, investe circa il 23% del PIL nell’istruzione, nonostante un criminale ed illegale embargo imposto dagli Stati Uniti. Il risultato è che l’istruzione è gratuita dalle elementari all’università. Agli studenti sono garantiti i libri di testo, i trasporti, le mense, lo sport, la possibilità di scegliere il proprio percorso formativo sulla base delle proprie capacità. Tutte cose che sono assenti nel nostro ordinamento. Gli studenti universitari percepiscono addirittura uno stipendio mensile e un alloggio gratuito se fuori-sede. Nessuno deve lavorare per poter studiare: è la collettività che sostiene interamente le spese di studio di ciascuno affinché un domani possa contribuire all’avanzamento economico, politico, culturale e sociale del paese. Cuba è oggi all’avanguardia nel mondo per i traguardi raggiunti nell’istruzione e nella sanità, grazie ad un sistema che è riuscito a creare con la Rivoluzione socialista. Anche durante il periodo della pandemia Cuba ha dimostrato ancora una volta la sua capacità di affrontare collettivamente i problemi sociali. Con un efficace contenimento dei contagi e quella che possiamo definire come la migliore campagna vaccinale (con autoproduzione di alcuni tra i migliori vaccini, nonostante il perdurare del criminale embargo) contro il Covid-19 al mondo. In Italia, invece, il sistema d’istruzione è completamente asservito alle logiche del capitale, allo sfruttamento delle conoscenze per l’incremento dei profitti dei grandi monopoli e per il saccheggio di nazioni e popoli interi. Le rivendicazioni immediate portate avanti da questo programma non possono perciò che costituire un tassello ed un inizio di una più generale lotta per un differente sistema di giustizia sociale e solidarietà. Per questo non basta un cambio, serve una Rivoluzione! Anche nel nostro Ateneo, portiamo avanti questa battaglia e facciamo valere i nostri diritti contro un sistema ingiusto e classista, per un'università gratuita, pubblica e di qualità!

Per un’università pubblica, gratuita, di qualità. Partecipa, lotta!


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