Programma elettorale - Università di Trento

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All’università di Trento le elezioni sono viste soltanto come una mera ricorrenza in cui poche liste concorrono con programmi spesso simili tra loro con l’obiettivo di spartirsi le poltrone degli organi universitari. La campagna elettorale è portata avanti con feste e aperitivi senza una reale presenza dei rappresentanti e dei candidati all’interno dei dipartimenti.

L’ateneo di Trento ha subito una forte provincializzazione che, assieme all’aumento dell’autonomia universitaria, ha alimentato la retorica dell’Università di eccellenza. La realtà dei fatti è invece molto diversa: non sono state prese reali misure per gli affitti, che dal 2020 hanno subito un aumento del 10%, né per il caro libri. Il costo dello studio è scaricato tutto sulle famiglie degli stessi studenti e sugli studenti stessi, che in molti casi sono costretti a lavorare per mantenersi. Non dobbiamo poi dimenticarci il costo della vita che in Trentino era già altissimo e che ora, con le conseguenze di guerra e crisi energetica, vedrà un altissimo rincaro, a partire dai beni di prima necessità.

Questa è l’università di classe, che mira a escludere le classi popolari, con il tacito assenso delle rappresentanze elette.

Negli ultimi anni, infatti, queste hanno spostato l'asse della lotta dalla partecipazione attiva degli studenti alle semplici aule della rappresentanza, interessati unicamente alle proprie poltrone e alla possibilità di carrierismo all’interno dei partiti di spicco di centrodestra o centrosinistra.

Hanno poi assistito passivi allo smantellamento attivo dell'istruzione pubblica per come la conosciamo, permettendo l’aziendalizzazione degli Atenei, il cui principale obiettivo è quello di mantenere il bilancio in attivo e la generazione di utili. Questa visione di università ha perso dunque la priorità del sostegno agli studenti con il diritto allo studio, che viene smantellato per rispettare i vincoli di bilancio. Non solo, si riduce il salario dei lavoratori in università, si appaltano servizi ad aziende esterne e si utilizzano tirocinanti e studenti delle 150 ore per far quadrare i conti e abbassare i costi del lavoro.

In questo processo si inseriscono i fondi del PNRR stanziati dall’Unione Europea. I fondi non sono stanziati per il diritto allo studio e per garantire l’accesso all’istruzione alle classi popolari ma sono nei fatti enormi finanziamenti pubblici ritagliati sulle necessità dei privati.

Come comunisti siamo consapevoli che l'università non rappresenti un mondo a sé stante dal resto del paese e che dopo 5 anni a studiare ci si ritrova precari, disoccupati, sfruttati in stage di 6 mesi pagati 200 euro “per fare esperienza” o costretti a emigrare all’estero.

Il programma che presentiamo non è una piattaforma di rivendicazioni puramente elettorali, ma la base dalla quale bisogna partire per ridare agli studenti il protagonismo che spetta loro nelle lotte.

Per esempio, in questi anni abbiamo cercato di coinvolgere gli studenti nelle rivendicazioni per l’aumento degli appelli a sociologia, raccogliendo quasi 500 firme e mobilitando decine di studenti davanti il dipartimento, venendo da questo completamente ignorati. Anche durante il lockdown abbiamo cercato di portare l’attenzione sul tentativo di scaricare i costi di questa crisi sulle spalle degli studenti e

delle loro famiglie, sottoponendo alla popolazione universitaria una petizione online.

Siamo coscienti che la lotta per un’università accessibile libera dagli interessi dei padroni non passa per le elezioni studentesche né da una semplice votazione in un’aula di qualche istituzione universitaria, ma solo attraverso la mobilitazione costante degli studenti. L’unica alternativa è la lotta organizzata contro questo modello di università classista, perché possa veramente essere luogo di studio e di ricerca al servizio della collettività. Per un’università gratuita, pubblica e di qualità.

AFFITTI

Abitare a Trento ha costi insostenibili per gli studenti fuorisede: da sempre il caro-affitti rappresenta una delle difficoltà più gravose per gli studenti delle classi popolari e un ulteriore ostacolo al diritto allo studio.

L’Opera Universitaria di Trento mette a disposizione un numero di alloggi ampiamente insufficiente rispetto al numero di coloro che ne avrebbero bisogno e che ne hanno diritto. Nel corso degli ultimi anni sono addirittura diminuiti: si è passati dai 1598 posti letto a disposizione nel 2012 ai 1180-1220 attuali, a fronte di circa 10mila studenti fuori sede. Se si aggiunge al quadro la semplice esistenza della categoria di “idoneo non beneficiario”, in cui rientrano quegli studenti che avrebbero diritto per ragioni economiche al posto alloggio, ma che per saturazione dei posti letto a disposizione non possono fruirne, diventa evidente quanto ad oggi le politiche abitative di Opera non coprono le necessità degli universitari delle classi popolari. Oltretutto l’ottenimento degli alloggi Opera è vincolato anche da criteri di merito, oltre che economici, portando così a una svalutazione del diritto alla casa in quanto tale e rendendolo un privilegio per “chi ce la fa”, alimentando un circolo vizioso che porta prima gli studenti della classi popolari a non poter dedicare l’interezza del proprio tempo allo studio e poi se, anche per questo motivo, non riuscissero a rimanere in pari con le richieste di produttività dell’Ateneo li escluderebbe dalla fruizione dei più basilari diritti quali il diritto a un’abitazione.

La stessa gestione di tali alloggi infine sembra sempre ignorare completamente le necessità economiche degli studenti ivi residenti: lavanderie a pagamento, luoghi sovraffollati, multe ingiuste e insensate agli studenti in particolare durante il periodo del Covid, in cui molti residenti dello studentato San Bartolameo hanno ricevuto sanzioni pecuniarie per il mancato rispetto delle norme anti-contagio, nonostante fossero in primis gli stessi appartamenti e la struttura e gestione delle zone comuni a renderne praticamente impossibile il rispetto.

Nel mercato privato la situazione è più che mai insostenibile per costi e qualità degli alloggi. Come emerso dall’indagine che abbiamo condotto come Fronte della Gioventù Comunista la media degli affitti di Trento è tra le più alte di tutto il paese. La speculazione immobiliare a danno degli universitari è stata ulteriormente aggravata dalla pandemia: gli incentivi alle ristrutturazioni promossi dal governo per ingrossare le tasche dei proprietari di immobili hanno prodotto il momentaneo ritiro dal mercato privato di centinaia di posti letto nel 2020, e successivamente il loro rilancio sul mercato a prezzo maggiorato tra il 2021 e il 2022. A tale speculazione si

va ad aggiungere il caro bollette, in seguito alla crisi energetica connessa alla guerra in Ucraina, che costringe gli studenti e le loro famiglie a sempre a sempre più ingenti sacrifici L’emergenza abitativa attuale si innesta su una situazione già allarmante a Trento da prima dello scoppio della pandemia: gli studenti sono costretti a rivolgersi a proprietari di appartamenti privati che offrono posti letto che costano nella media 350 euro, arrivando fino a 500 mensili, come conseguenza del fatto che i posti letto negli studentati pubblici sono 1/10 rispetto gli studenti universitari fuori sede. Come se ciò non bastasse, gli studentati privati sono spesso frutto di speculazione edilizia e non rispondono alle reali esigenze della popolazione studentesca.

Il nostro obiettivo è di ottenere una soluzione alle politiche abitative attualmente insufficienti, proponendo un tetto al prezzo degli affitti e la creazione di nuovi alloggi pubblici a prezzo calmierato. È infatti necessario uno stanziamento di fondi necessari ad un piano di riqualificazione delle strutture universitarie già esistenti e chiediamo che cessi la politica di svendita di spazi e servizi delle residenze a privati. Dovrebbe essere stipulato un piano edilizio volto alla realizzazione di nuove residenze universitarie affinché si raggiunga un numero di posti letto tale che nessuno studente rimanga escluso dalla possibilità di usufruire di questo diritto.

TIROCINI

Il tirocinio (o stage) rappresenta una parte integrante del piano formativo previsto dalla maggior parte dei corsi di laurea. L’istituzione universitaria dipinge quest’esperienza come un’occasione per accrescere le competenze e conoscenze dello studente in vista di una futura carriera lavorativa. In quanto studenti, vivendo sulla nostra pelle l’esperienza, abbiamo visto che la realtà dei fatti è molto diversa.

Ciò che accade realmente è che gli studenti vengono usati a vantaggio dell’azienda per gli scopi della stessa e vengono affidate loro attività spesso non congruenti, spesso nelle facoltà umanistiche, con il corso di studi frequentato.

Inoltre, l’esperienza del tirocinio si è ridotta a strumento a vantaggio delle imprese private che scaricano sull’università e sugli studenti i costi di formazione dei futuri lavoratori.

Per tutte queste ragioni, è giusto ribadire che lo studente, al pari del lavoratore, ha diritto a ricevere una retribuzione proporzionata all’attività svolta. Oltre a ciò, il tirocinio, non solo deve acquisire un valore realmente formativo, ma deve anche tutelare e garantire la sicurezza dello studente.

Rivendichiamo una retribuzione proporzionata alle mansioni e alle ore svolte di tirocinio. Chiediamo che lo studente abbia delle tutele pari a quelle di un lavoratore e che, laddove non lo sia già, il tirocinio acquisisca a livello effettivo un valore formativo e non si riduca a strumento per ingrassare i profitti di imprese private. Gli studenti non possono essere adoperati come forza-lavoro gratuita: il lavoro deve essere pagato!

La divisione classista e le barriere economiche nello svolgimento della carriera di studi, già presenti in maniera strutturale nel sistema universitario, vengono aggravate dalla quasi totale assenza di agevolazioni e supporto da parte dell’ateneo. Molti studenti sono perciò costretti a lavorare per mantenersi e, di conseguenza, a una vita universitaria dimezzata nella migliore delle ipotesi, nelle peggiori ad abbandoni di carriera per motivi economici per le difficoltà nel conciliare studio e lavoro, soprattutto a fronte di una tra le soglie più alte sul territorio italiano per quanto riguarda il numero di crediti formativi per l'ottenimento dei benefici del diritto allo studio, pari a 40 cfu da conseguire entro l'appello di Luglio. In periodo pandemico il supporto dato a questi studenti da parte dell'università di Trento è stato nullo e la situazione non è cambiata a seguito del periodo emergenziale; numerosissime famiglie infatti hanno avuto grosse perdite di reddito, arrivando con ciò tanto a precludere l'accesso all'istruzione universitaria ad una parte della popolazione studentesca quanto a costringere molti a lavorare per poter studiare, alimentando le disuguaglianze su base economica nel sistema accademico. L'università di Trento non garantisce nemmeno uno strumento minimo quale quello dei corsi part-time, vale a dire corsi dalla durata ridotta che permettano di conciliare meglio la vita universitaria e quella lavorativa, presenti solo in pochissimi corsi e dipartimenti; come se ciò non bastasse questi corsi, anche nei pochi casi ove presenti, sono sottoposti alla stessa tassazione di tutti gli altri nonostante l'offerta didattica sia nei fatti dimezzata.

Riteniamo quindi necessaria l'apertura di corsi part-time in tutti i dipartimenti dell'università e una rimodulazione del costo di questi in proporzione all'offerta didattica effettivamente ricevuta una misura minima e indispensabile per garantire una forma di equità e un semplice primo passo nell'abbattimento delle barriere economiche all'interno dell'istruzione universitaria.

BORSE DI STUDIO E DI COLLABORAZIONE

L’Italia è uno dei paesi con la tassazione universitaria più elevata ma le borse di studio vengono erogate ad una percentuale piuttosto bassa di studenti (circa il 14%). Le cifre predisposte dall’università di Trento variano da un minimo di 1300 euro ad un massimo di 6158 euro (incrementabili del 20% per studentesse dei corsi STEM).

Questi importi sono insufficienti perché uno studente sia in grado di far fronte alle spese che la vita universitaria richiede, a partire dal costo di una stanza per studenti fuori sede al costo del materiale didattico o più generalmente al costo della vita, particolarmente elevato a Trento. Gli studenti vengono messi nella condizione di dover chiedere sacrifici alla propria famiglia o di trovare un lavoro, spesso in condizioni di sfruttamento o addirittura a nero.

Questo comporta l’ovvio rallentamento degli studi, che uno studente beneficiario della borsa (e quindi con un forte svantaggio economico) non si può permettere: se si è iscritti ad anni superiori al primo è necessario anche avere accumulato tra i 35/40

crediti al secondo anno e 85 e i 90 crediti per il terzo per poterne sfruttare i benefici, criterio che può diventare una costrizione all’abbandono degli studi.

Oltre al merito, per risultare vincitore della borsa, è necessario che l’ISEE sia inferiore a 23600 euro. L’indicatore ISEE, però, non riflette la reale condizione economica di una famiglia, in quanto in esso sono inclusi i valori degli immobili come redditi familiari, e quindi studenti che necessiterebbero della borsa si ritrovano esclusi per una questione solamente formale.

Il sistema delle 150 ore prevede che in cambio di prestazioni lavorative lo studente riceva un compenso orario tra i 6 e i 9 euro l’ora. Questo, per l’università, è un enorme guadagno, perché permette di avere sempre qualcuno che svolga queste mansioni (visto l’enorme numero di studenti coinvolti) senza dover pagare un lavoratore specializzato con un contratto che preveda contributi, malattia, ferie. Perciò l’ateneo riesce attraverso questa politica, a sopperire alla mancanza di risorse giocando al ribasso sia sui diritti dei lavoratori che su quelli degli studenti.

Nonostante venga mascherato come un modo per tutelare gli studenti in difficoltà economiche, le borse di collaborazione non vengono assegnate in base al reddito ma in base al merito, criterio che sarebbe equo solo se si partisse tutti dalle stesse condizioni. Questo meccanismo va anche ad inficiare sul diritto allo studio degli studenti disabili o DSA, che invece di ricevere assistenza didattica da professionisti vengono affiancati da studenti-lavoratori non qualificati.

Per queste ragioni non è più accettabile che l’università utilizzi gli studenti per risparmiare su dei servizi essenziali. Chiediamo infatti la sostituzione dei borsisti con dei lavoratori stabili che possano offrire un servizio qualificato, soprattutto in segreterie e laboratori. Crediamo che il diritto allo studio debba essere finanziato tramite specifiche borse erogate su criterio reddituale. Che finisca la retorica meritocratica: il merito si può valutare solo a partire da situazioni di uguaglianza e l’istruzione deve essere un diritto e non un privilegio per pochi.

CARO LIBRI

In un momento di grande difficoltà economica come quello che stiamo vivendo, per famiglie e studenti l’accesso ai testi universitari costituisce un enorme problema. Il caro libri rappresenta una sfida per molti ragazzi che come ogni anno devono fronteggiare spese spropositate spesso difficili da sostenere. Tra l’inflazione e il conseguente aumento dei prezzi per gli studenti delle classi popolari spesso è necessario far ricorso a fotocopie e dispense non sempre disponibili. Tra le cause ovviamente c’è un mercato librario in costante crescita (soprattutto a seguito della pandemia) che nonostante i grandi ricavi continua a far pesare sugli studenti un prezzo altissimo. Mentre i grandi gruppi editoriali si arricchiscono molti ragazzi devono accettare libri dagli standard di qualità spesso discutibili in una situazione economica che mina alla base il diritto allo studio.

Chiediamo maggiori investimenti in ambito bibliotecario, con l’acquisto di un numero maggiore di volumi che possano garantire agli studenti di poter fronteggiare un caro libri ormai sempre più insostenibile.

AULE STUDIO

Tra le difficoltà che gli studenti devono affrontare c’è anche quella degli spazi studio. I posti a disposizione degli studenti sono circa 1800 in tutta la città di Trento e comprendono anche quelli presenti all’interno della Biblioteca universitaria centrale, spesso sovraffollata durante i periodi di sessione. A fronte di una popolazione studentesca di oltre 16000 iscritti, meno di 2000 posti sono messi a disposizione nei diversi dipartimenti dell’università. La carenza di strutture per lo studio costituisce motivo di disagio non solo per gli studenti che vivono in città ma anche per i pendolari che nei periodi di maggior frequenza spesso devono fare a gara per ottenere un posto in cui studiare.

Chiediamo l’apertura di nuovi spazi e soprattutto il potenziamento delle strutture presenti con l’introduzione di nuove sale studio in modo da garantire a tutti di poter accedere ad un servizio assolutamente indispensabile.

MENSE

La possibilità di usufruire di un pasto a prezzi popolari è parte del diritto allo studio di tutti gli studenti.

A Trento anche prima del cambio di appalto non era prevista nessuna reale forma di agevolazione economica presso le mense universitarie per gli studenti con un basso reddito ISEE. In seguito alla pandemia il prezzo per usufruire della mensa è aumentato a fronte di un abbassamento della qualità del servizio offerto. Ciò è il prodotto della logica degli appalti che gioca sempre a ribasso con il costo del lavoro e colpisce la qualità del servizio erogato aumentando i profitti dell’azienda appaltatrice.

Chiediamo quindi un immediato abbassamento dei prezzi e che siano garantite agevolazioni economiche, esigiamo infatti un nuovo tariffario che possa garantire agli studenti delle classi popolari di accedere liberamente ai servizi di ristorazione.

Chiediamo un ampliamento delle mense e la costruzione di nuove infrastrutture, per evitare che quelle esistenti si saturino fino al limite. Infine pensiamo che il servizio mensa debba essere internalizzato ed erogato direttamente da parte dell’università.

TASSE UNIVERSITARIE

Come gioventù comunista da sempre ci siamo battuti per l’abolizione delle tasse universitarie, ovvero un modo per scaricare i costi dell’istruzione sulle famiglie stesse.

L’accesso all’istruzione universitaria viene pagato due volte: la prima con la fiscalità generale (alla quale per l’80% contribuiscono lavoratori dipendenti) e la seconda appunto tramite le tasse universitarie, secondo dei criteri tra tutt'altro che progressivi. L’Ateneo, dietro la retorica dell'Università d'eccellenza, si vanta di avere delle tasse inferiori rispetto alla media nazionale, ma ciò è vero soltanto se vengono considerati anche gli atenei privati (dove una retta può costare fino a 10000 euro).

Tenendo infatti in considerazione solo le università pubbliche, l’Università di Trento si colloca sopra la media nazionale, registrando anche un aumento negli ultimi anni sia per quanto riguarda la contribuzione media per studente sia per gli introiti provenienti dalla tassazione (circa 2 milioni di euro in più dal 2017 al 2019).

Un livello di imposte difficilmente giustificabile, tenendo conto che in questi ultimi mesi l’Ateneo ha lucrato fornendo meno servizi a causa della didattica a distanza, al netto di una tassazione rimasta invariata. La direzione dovrebbe essere invece quella opposta: quella di un'istruzione pubblica e gratuita. La lotta dei comunisti è per l'abolizione delle tasse universitarie e lo smantellamento del modello di università/azienda che porta alla competizione fra atenei, a spese di studenti e lavoratori. Con il passaggio dall’ICEF al ISEE moltissime famiglie si sono viste considerate più ricche di quanto non lo fossero prima, a causa dei nuovi indicatori. Ciò ha causato l’esclusione di numerosi studenti dai benefici concessi dall’Opera Universitaria: quasi ogni studente borsista ha presente situazioni di propri colleghi che per qualche centinaio di euro non sono riusciti a rientrare nei parametri necessari.

Per invertire la rotta proponiamo l’attivazione di borse di studio integrative fino ad una soglia di reddito ISEE di 40’000, sotto la quale si trovano la maggior parte degli studenti lavoratori. Una misura di per sé non sufficiente ma necessaria affinché il diritto allo studio dei figli dei lavoratori non gravi sulle finanze delle proprie famiglie.

APPELLI

Il numero di appelli disponibili per gli studenti nel corso dell’anno è insufficiente. La concentrazione degli appelli in sessioni di un mese complica notevolmente la situazione nel caso in cui si abbia la necessità di sostenere più di 2-3 esami. Tale situazione porta molti studenti, in particolar modo chi ha la necessità di lavorare per mantenersi negli studi, a ritardi nel conseguimento della laurea, quindi a un peso economico ancora maggiore sulle tasche di famiglie e studenti, rischiando di andare fuoricorso e venire sottoposti a un incremento punitivo del prelievo fiscale. Tutto ciò è intollerabile, per questo chiediamo un minimo di 8 appelli (di cui 1 per gli studenti fuori corso) al di fuori del periodo di

svolgimento delle lezioni e la garanzia di sanzioni per quei professori che non li concedessero.

Altra problematica, ancora diffusa tra alcuni professori, è la pratica del salto d’appello, frutto di una visione arrogante e scollegata dalla realtà degli studenti e che non tiene conto delle difficoltà che possono insorgere nel percorso universitario.

Riguardo a ciò abbiamo ottenuto un prima vittoria all’ interno del dipartimento di sociologia: con l’aiuto di quasi 500 firme siamo riusciti a impedire che il salto dell’appello venga ancora applicato.

Siamo consapevoli che questa è una misura di per sé insufficiente e siamo consapevoli che in tutti i dipartimenti ci sono problematiche legate agli appelli, però questo primo traguardo dimostra come solo attraverso la partecipazione attiva di tutti sia possibile un reale cambiamento. Sono infatti passati ormai anni da quando il CNSU, l’organo consultivo nazionale dei rappresentanti universitari, ha dato indicazione di aumentare il numero di appelli ai singoli atenei, indicazione recepita da un numero ristretto di atenei e nessun dipartimento trentino. Lottiamo quindi per l’ottenimento di 7 appelli d’esame ordinari e di un ulteriore appello straordinario per gli studenti fuoricorso per garantire a ogni studente la possibilità di affrontare la formazione universitaria in una maniera più sostenibile.

RICERCATORI UNIVERSITARI

L’università di Trento vanta le migliori posizioni nelle classifiche delle statali italiane per qualità di servizi offerti e possibilità formative per studenti e studentesse, così come per gli assegni di ricerca, dal 2022 diventati con il nuovo PNRR “contratti di ricerca”. Da quando il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è diventato legge sono stati stanziati finanziamenti per la ricerca che hanno inciso sul suo orientamento: la ricostruzione economica post-pandemia ha destinato milioni di euro all’Università ma limitatamente a quei settori che possono fruttare profitti alle aziende. In generale questo significa che i settori tecnici-scientifici sono quelli avvantaggiati perché rispecchiano esattamente gli standard di università-azienda che interessano alle imprese e agli enti privati. Per l’Università di Trento questa possibilità si è materializzata quando sono stati predisposti 50 milioni di euro del PNRR per circa 60 borse di dottorato, le quali ovviamente non varranno quasi un milione di euro ciascuna (l’importo individuale di una singola borsa è pari infatti a soli 16.290 euro lordi), finendo in larga parte in tasca alle aziende allo scopo di creare possibilità di ricerca in ambiti specifici per la propria crescita, senza però andare a migliorare sostanzialmente le condizioni contrattuali e la qualità dei servizi a disposizione (ad esempio strutture come laboratori, spazi di aggregazione, uffici, eccetera) delle ricercatrici e dei ricercatori, creando anzi una cerchia di studiosi ultra-specializzati che diventeranno la punta di diamante nelle mani delle aziende. Da questa selezione sono esclusi quindi tutti i dipartimenti che non rientrano nell’interesse speculativo del mercato come quelli umanistici. Capitalizzare sul sapere ha messo in evidenza

come gli interessi individuali siano secondari rispetto al profitto, mentre le prospettive lavorative non sono garantite nonostante l’alto livello di formazione, indistintamente dal campo di studio, determinando differenze anche all’interno di uno stesso ramo: chi meglio si adatta ai requisiti richiesti dalle aziende avrà qualche possibilità in più di entrare nel mondo del lavoro nel proprio settore. Inoltre anche i professori ricevono una percentuale a seconda delle ricerche portate avanti e dal numero di dottorandi alle loro dipendenze, ragione per cui nel delinearsi dell’enorme possibilità che i finanziamenti potrebbero costituire, in realtà questi si presentano solo come uno schiaffo in faccia ai dottorandi che già percepiscono un assegno ma le cui condizioni di ricerca sono scarse e limitanti, perché condizionate dall’assegno stesso. È quindi fondamentale soffermarsi sulla disorganizzazione e sulla dispersività con cui vengono erogati e gestiti i finanziamenti, suddivisi gli incarichi e il peso di lavoro, oltre alla mancanza di garanzie sui posti di lavoro disponibili che assumano le ricercatrici e i ricercatori una volta completato il ciclo. Frequentemente i dottorandi che hanno necessità non possono nemmeno accedere a sussidi di previdenza sociale non essendo una categoria riconoscibile come lavoratori o studenti, penalizzando dunque coloro che provengono da fasce sociali marginali, dunque una grande maggioranza di questi le cui ragioni per richiedere una borsa sono già in sé implicite.

LAVORATORI E SERVIZI

L’università non è composta solamente da studenti ma è anche e soprattutto un luogo di lavoro per migliaia di persone. Buona parte dei servizi sono affidati a lavoratori esternalizzati: questo comporta che il loro lavoro sia a rischio ogni volta che il bando per quel servizio si rinnova e, inoltre, l’ingresso di un’altra cooperativa implica il licenziamento o la riassunzione da parte del vincitore, il quale vede in ogni caso lo stipendio dimezzato.

I lavoratori sono la spina dorsale su cui si regge l’intera Università, non sono una variabile di bilancio che possa venire meno da un momento all’altro una volta che il bando scade. La competizione a ribasso fa in tal modo risparmiare l’Università e fa aumentare il guadagno delle cooperative e agenzie interinali sulla pelle dei lavoratori. Abbiamo avuto un’ennesima conferma di come questo sistema sia ingiusto nel 2019 quando il salario, già di per sé bassissimo, del servizio di portierato di tutte le Facoltà e delle sedi universitarie a Trento e Rovereto ha subito un notevole taglio allo stipendio con il passaggio alla nuova azienda appaltatrice.

Ciò che chiediamo è l’internalizzazione di tutti i lavoratori effettivi dell’ateneo: è necessario tutelare i diritti di chi lavora ogni giorno per garantire i nostri servizi e opporsi a questo sistema malato di gestione dei servizi attraverso gli appalti a privati.

UNIVERSITÀ E GUERRA

Le università italiane sono coinvolte in quasi 70 progetti di ricerca e formazione finanziati da aziende che fanno parte dell'industria di guerra. Il quadro che emerge è inevitabilmente quello di un'università strettamente legata all'industria bellica e alle istituzioni militari. Le aziende belliche infatti finanziano la ricerca universitaria creando profitto da quelle ricerche. L'università si presta poi a legittimare le aggressioni imperialiste, rendendosi complici di tutte le morti causate.

Tra le 38 università italiane impegnate in accordi e convenzioni con più università israeliane vi è l'università di Trento.

Ci opponiamo fermamente alle collaborazioni del nostro ateneo con lo Stato di Israele. Le collaborazioni tra le università italiane e Israele perseguono lo scopo di sostenere economicamente la politica di guerra e l'occupazione israeliana a danno della popolazione palestinese. Per questo chiediamo all'Università di unirsi al boicottaggio accademico degli atenei istraeliani, date le ripetute violazioni dei diritti umani, denunciati anche dalle Nazioni Unite, e il feroce apartheid contro la popolazione palestinese.

Chiediamo che la nostra università esprima una ferma condanna della condotta criminale dello Stato di Israele e che cessi ogni attività, diretta o indiretta con l'entità sionista.

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