Nub09

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31 marzo 2011 09

una lente per decifrare uno spazio per affrontare e riprodurre un riflesso imperfetto dell’umanitĂ


NUB NUB è un’Associazione Culturale no-profit rivolta alla promozione della ricerca artistica contemporanea e alla produzione culturale NUB è espressione e confronto, corpo e mente NUB è un progetto alterato in continua mutazione NUB è un luogo indipendente e autofinanziato

WHY? NUB nasce dalla volontà di uscire dalla sterilità degli schemi culturali attuali, per riappropiarsi di un modo di intendere la cultura che non sia solo il proporre singoli eventi (fini a se stessi) o aprire nuovi spazi (che finiscono col restare vuoti) ma che si configuri come un concreto tentativo di dare vita ad una ricerca atta a coltivare un terreno -arido di contenuti- dove attraverso l’analisi di situazioni performative, laboratoriali o di scambio intellettuale far nascere una reale consapevolezza di appartenenza al presente. HOW? La scelta -obbligata- dell’ autofinanziamento diviene mezzo per rimanere indipendenti da logiche istituzionali e commerciali. Le attività e le iniziative proposte verranno finanziate direttamente dal pubblico attraverso un contributo che servirà solo ed esclusivamente per sostenere le spese e coprire i cachét degli artisti o degli ospiti invitati, ai quali sarà chiesto di rispettare e condividere la filosofia di NUB.


SATAN IS MY BROTHER

Quintetto di Milano composto da membri

film muto del 1911 “L’inferno”, tratto

provenienti da diversi progetti tra i

dalla prima cantica della Divina Com-

quali l’ensemble di rock da camera Yel-

media.

low Capra e i post-wave Quasiviri.

La loro musica continua a muoversi in

Il

basso,

un tunnel screziato da dark ambient e

batteria, sax, trombone, tastiera, si

free jazz mischiato a dub, droni noise

sviluppa attraverso la fascinazione per

e post rock.

progetto,

con

elettronica,

l’interazione tra audio e video. www.myspace.com/satanismybrother6 Il primo disco omonimo del 2007, uscito per Boring Machines, si concentrava sull’oscura e immaginaria colonna sonora di una notte senza fine tra strade e paranoie della vita metropolitana. Nel 2011 arriva il secondo lavoro, “A forest

dark”,

sempre

per

l’etichetta

trevigiana. Qui si fanno ispirare, come dal vivo, dal primo lungometraggio italiano, il


Tentativi

di Marco Carlesi

// Are you joking? // Stai scherzando? Negli ultimi giorni si è assistito alla

Il moto rinnovatore ha avuto, onesta-

morte e alle resurrezione del Fus, il

mente, fiato breve.

Fondo unico per lo spettacolo che fornisce, cito dalla wikipedia,

“sostegno

Il reintegro del fondo ha portato fine

finanziario ad enti, istituzioni, asso-

immediata alle varie proteste che si

ciazioni, organismi e imprese operanti

erano via via levate dal mondo dello

in cinema, musica, danza, teatro, circo

spettacolo e della cultura. Figura mi-

e spettacolo viaggiante, nonché per la

sera fa, chi presi i soldi subito si

promozione ed il sostegno di manifesta-

accontenta e in silenzio si siede. Ed il

zioni e iniziative di carattere e rile-

silenzio seguito mi è parso in qualche

vanza nazionale in Italia o all’estero.”

modo inquietante.

Si parla di circa 400 milioni di euro, stanziati verso enti lirici (che ne ri-

Premesso che nessuno mette in dubbio la

cevono il 47,5 %), attività cinematogra-

necessità economica di misure di finan-

fiche (18,5%), di prosa (16,3%), musicali

ziamento e l’importanza dell’aver ot-

(13,7%), di danza (2,3%) e

tenuto il reintegro del fondo, non può

circensi

(1,5%).

non sembrare una vittoria di Pirro: basta scorrere gli articoli di giornale

Questo strumento, fondamentale per la

sull’argomento per notare come le mi-

sopravvivenza di molte realtà, appari-

nacce di tagli al fondo e le successive

va in realtà già desueto e necessitante

proteste sono ormai cicliche.

di una riforma, dato che si configurava per lo più come semplice effetto di

La situazione appare cronica e quanto

conservazione di quanto già presente,

accade è destinato a ripetersi. La so-

date le improbe condizioni di entrata.

luzione dei problemi di gestione e di

In aggiunta, giustificava oramai gestio-

finanziamento di un mondo che in Italia

ni comprensive di taciti e più che even-

ancor più che altrove dovrebbe essere

tuali sprechi.

punto di forza e non punto debole non può essere rimandata senza la consape-

La protesta che era susseguita all’an-

volezza che non basterà una mera dona-

nuncio dei tagli aveva in qualche modo

zione economica a risolvere i problemi

unito le diverse realtà, come spesso

di un settore in cui il fare pratico è

succede, e portato con sé varie mani-

sempre più difficile e i circuiti sempre

festazioni di un dissenso che non ri-

più chiusi e autoreferenziali.

guardava soltanto l’ennesimo taglio al mondo della cultura ma i modi stessi con

La gestione degli ambiti culturali deve

cui la cultura veniva e viene tutt’oggi

farsi oculata ed assicurarsi una soste-

ancora intesa e gestita.

nibilità finanziaria; dall’altro lato si


deve dare la possibilità al nuovo di agire e rendere questa azione più facile, senza norme per lo più preposte al limitare e all’opprimere. Questo, almeno, potrebbe essere un inizio se, appunto, non si fosse già arrivati alla fine. Già tutto sembra apposto. Con la pancia piena non si fanno le rivoluzioni.


Chime in

di Federico Fiori

Prima del concerto dello scorso 19 Marzo, ho fatto qualche domanda a Francesco per conoscere meglio il suo lavoro. www.francescogiomi.it

[Federico] Partiamo dall’inizio... Come ti sei avvicinato alla musica e alla musica elettronica in particolare, e qual è stato lo sviluppo del tuo percorso artistico? [Francesco] Bisogna andare a molti anni fà veramente, a metà degli anni 80, mi sono avvicinato prima proprio alla musica elettronica pura grazie ad un personaggio ancora attivo, un compositore Albert Miles da cui sono andato a lezione in conservatorio a Firenze e tramite questo primo contatto poi è nato tutto il resto. Questo contatto è nato come esigenza espressiva: studiavo pianoforte classico e nel contempo avevo anche un gruppo rock però come dire, l’idea di una ricerca di una sperimentazione sulle tecnologie musicali mi ha subito interessato e allora ho cercato appunto Miles e da li è nato un pò tutto, poi ci sono stati degli incontri importanti: Pietro Grossi, Luciano Berio, Virgilio Sieni e una serie di personaggi che hanno molto inciso sul mio percorso che negli anni si è abbastanza evoluto. Per molto tempo, ed ancora adesso, il mio settore principale di interesse compositivo è stato quello della musica acusmatica; quindi musica elettro-

acustica proiettata da altoparlanti e fissata su supporto. Negli ultimi cinque sei anni invece è nata questa esigenza di suonare dal vivo e primariamente di suonare insieme ad altri perchè è molto bello, è una delle grandi gioie del musicista e quindi ho cercato di stimolare diversi progetti: un progetto molto bello con sassofono, chitarra elettrica ed elettronica, un altro duo di elettronica con Francesco Canavese che recentemente ha attivato anche un progetto con un performer americano David Moss. Il progetto Solo è nato casualmente, la cosa è piuttosto curiosa: dovevamo fare un concerto a Vienna in duo ma, gradissima nevicata, areoporti chiusi e il mio compagno non è arrivato e quindi mi sono dovuto inventare una performance da solo, da lì è nata un’ ulteriore deriva e il progetto si è sviluppato in quello che è oggi. [Federico] Nelle tue composizioni l’elettronica è da sempre l’elemento principale. Negli ultimi 10-15 anni, con l’aumentare della diffusione delle tecnologie digitali sempre più alla portata di tutti, si è visto un proliferare di musicisti che eseguono e compongono musica elettronica: questo, da un lato, è sicuramente un fatto positivo, ma sembra che contemporaneamente ci sia stato un abbassamento del livello qualitativo nei risultati. Cosa ne pensi della scena elettronica contemporanea? [Francesco] Non c’è dubbio che le tecnolgie musicali anno raggiunto molte più persone e hanno avuto questo grandissimo pregio di aumentare l’espressività, di consentire l’espressione musicale sopratutto dei giovani e quindi molte più persone fanno musica e possono esprimersi nella musica. Io divido scherzosamente il mondo in due categorie quelli che fanno i musicisti e quelli che non lo fanno ma lo vorrebbero fare; con le tecnologie questa possibilità è stata sviluppata però c’è un aspetto molto inportante anzi più di


uno, sono aspetti legati al background delle persone; io credo che l’espressività matura si nutra di conoscenza, di consapevolezza sia da un punto di vista storico che da un punto di vista tecnico e questi aspetti a volte sono un pò carenti nei musicisti che nel proprio garage di casa si esprimono, questa è una bellissima cosa però questa assenza di consapevolezza spesso si riflette nel prodotto artistico. Ora c’è un probelma, tutti possono, come diceva nel famoso film della Pixar, Ratatouille il grande cuoco Gusteau “tutti possono cucinare”, “tutti possono fare musica” ma dal cucinare ad aprire un ristorante il passo è abbastanza lungo così come dal fare musica a presentarla pubblicamente secondo me il passo è altrettanto lungo e qui si innesterebbe un discorso sui promotori della musica, sulle mode sopratutto e così via. Certo la scena è diventata improvvisamente molto ampia, molto varia però ancora forse si divide in maniera abbastanza netta tra quella che è un pò il percorso legato all’accademia e quello che invece è il percorso della “nuova elettronica” chiamiamola di moda, più commerciale che comunque è seguita moltissimo anche rispetto all’altra, però trovare delle esperienze interessanti francamente è molto dura per quanto mi riguarda, io seguo moltissimo i concerti di nuova elettrinica però c’è un livello medio piuttosto basso, le tecnologie hanno avuto questo pregio di dare una maggiore espressività ma anche di abbassare la qualità.

Ecco appunto il ruolo dei promotori che dovrebbero selezionare maggiormente e dall’altro lato anche il pubblico le persone i giovani dovrebbero essere più curiosi verso chi non è magari di moda ma propone una ricerca più approfondita, più interessante, una qualità del suono e della drammaturgia musicale più avanzati. [Federico] Negli ultimi anni ho notato sempre di più che chi fa ricerca musicale, anche i più giovani che si sono avvicinati da poco a queste pratiche, sono interessati all’utilizzo di tecnologie che potremmo definire obsolete (mi vengono in mente le musicassette o addirittura i registratori a bobine): c’è un motivo particolare secondo te? Non sono state del tutto indagate le possibilità di questi strumenti o c’è un motivo diverso? [Francesco] Questo aspetto è molto interessante, trovo che l’utilizzo di tecnologie obsolete o Low-fi sia un settore intanto divertente, ma anche degno di essere investigato. Ripeto, si può fare musica anche con delle bacchette di legno o con le mani stesse come Clapping Music di Steve Reich, l’importante è che ci sia la musica dietro che ci sia un pensiero musicale dietro. Quando a Firenze, qualche anno fa assistetti ad un concerto dei Matmos che


usavano un apparecchio per chirurgia per fare musica, ecco quella l’ho trovata un esperienza interessante, comunque c’era un pensiero musicale dietro, non era semplicemente una dimostrazione, quindi questo diventa interessante quando si usano le tecnoliogie non in maniera dimostrativa ma piegandole al servizio di un pensiero muisicale , questo è ciò che mi interessa in generale nella musica. Non tanto di per se un oggetto piuttosto che un altro, un vecchio registratore oppure uno strumento elettro-meccanico che serve per altre cose ma che si usa per fare musica hanno lo stesso diritto di essere usati come strumenti musicali, secondo me e anzi hanno delle potenzialità molto interessanti l’importante è farlo in un costrutto musicale, veicolando un pensiero, un’ idea che abbia un senso. Del resto la musica elettroacustica fin dagli anni cinquanta utilizza materiali provenienti dal mondo reale, dalla realtà. Ho sentito pezzi elettroacustici fatti con i suoni della natura, con i suoni di una maniglia, con i suoni di un disco con i suoni di una puntina che si rompe, con i suoni di un vaso che si rompe, con

una goccia d’acqua... quindi perchè no! benissimo! [Federico] Puoi dirci due parole sul tuo “Progetto Solo” che presenterai stasera? [Francesco] Il progetto Solo è un pò una sfida per me. In generale, è più chiaro quando due musicisti suonano insieme, a meno che non siano musicisti famosi della nuova scena elettronica, di moda, che si mettono li, non si sa quello che fanno premono dei tasti su un computer ma non c’è rapporto ne tra di loro ne tra il gesto e il suono, ecco questo per me è interessante, il rapporto fra il gesto e il suono, mentre quando si suona in due o in tre questo rapporto, questa interazione fra i musicisti è abbastanza palese, per uno da solo è un pochino più complicato, quindi il mio sforzo è quello di fare della musica che in una certa misura fa comprendere questa necessità di stare qui dal vivo e di non schiacciare un tasto play, questa è anche estemporaneità quindi il suono ha delle parti delle componenti anche in cui l’estemporaneità l’improvvisazione il feeling del momento gioca un ruolo importante. [Federico] Hai composto molte musiche per spettacoli teatrali e di danza: qual è il tuo approccio verso queste forme di espressione? [Francesco] Io ho lavorato moltissimo sopratutto negli ultimi anni con Virgilio Sieni ed è stato un percorso per me di grande soddisfazione, intanto non vorrei parlare al passato perchè ci sono progetti, idee... l’ultimo spettacolo Tristi Tropici che ha debuttato alla Biennale di Venezia e che verra a Firenze durante il festival Fabbrica Europa è stato un lavoro molto complesso. Solitamente con Sieni lavoro in grande collaborazione e interazione, non c’è l’atteggiamento, e per me non deve essere così quando si lavora al servizio di altri, al servizio di un regista o di un coreografo, non c’è l’atteggiamento di dire “tieni, questa è la mia musica... fine... intoccabile... immodificabile e così via, tutto avviene con un’


interazione in termini di proposte, di commenti, di richieste di cambiamenti, di modifiche, di spiegazioni diverse e così via e con questa modalità sono nate in questi ultimi anni delle “colonne sonore” fortunate, perchè comunque hanno avuto dei buoni riscontri, La Natura delle Cose, Oro, Tristi Tropici. Però ecco il più delle volte, c’è abbastanza differenza tra la musica che faccio da solo o che faccio con altri, chiamiamola autonoma e quella invece per la danza o per il teatro, che è una musica meno autonoma, più a servizio della scena quindi, meno articolata, più ripetitiva per esempio, questo perchè deve supportare dei momenti che hanno una loro durata, una loro articolazione ma forse anche che vanno in una direzione un pò diversa ovvero quella di creare dei paesaggi emotivi piuttosto che non dei pezzi musicali compiuti. Deve avere la funzione di far entrare il pubblico, le persone, insieme alla coreografia in un clima emotivo ed è quello che appunto chiamo paesaggio sonoro emotivo. [Federico] L’ Italia sembra non offrire molte possibilità per chi fa ricerca artistica e musica di ricerca, potremmo dire che manca quella che possiamo definire “cultura dell’ascolto”. Cosa pensi dell’attuale situazione culturale italiana e del pubblico italiano rispetto alla tua esperienza? [Francesco] Mi reputo molto fortunato perchè ho avuto ed ho la possibilità di lavorare come musicista, di lavorare con i giovani come didatta e anche come responsabile di Tempo Reale, di esprimermi musicalmente in varie forme, con vari progetti, di collaborare con grandi personaggi, però oggi in Italia non è così per tutti, ci sono diversi problemi in gran parte derivati dalla situazione di circostanza della crisi, la famosa crisi della cultura, non parlo soltanto della crisi economica. Ritengo che in Italia ci sia una crisi della cultura sia come pensiero sia come risorse, basta andare fuori in paesi che sono da sempre dei riferimenti per la musica e per l’arte come la Francia, la Germania, l’Austria, il Belgio... l’In-

ghilterra, paesi che hanno le stesse situazioni geo-economiche dell’ Italia ma che comunque danno un valore molto più importante all’espressione culturale, all’espressione artistica rispetto al nostro paese. Un altro aspetto importante, secondo me, è il fatto che in certi anni, in cui c’erano comunque molte risorse l’Italia ha dilapidato sulla musica contemporanea, sulla nuova musica, un patrimonio culturale, attraverso delle proposte intanto inserite in un circuito vizioso in cui sempre gli stessi godevano della situazione in cui tanto non importava il rapporto con il pubblico, tanto comunque c’erano le risorse per fare le cose, perdendo, naturalmente non tutti, ma in buona parte un rapporto con i giovani, con gli ascoltatori, con il pubblico in generale ma anche con i musicisti; questo ha creato una situazione comunque di difficoltà, il pubblico si è per certi versi disamorato di certe esperienze o comunque le ha classificate, le ha bollate in un certo modo ed oggi tende a rifiutarle. Del resto non ci sono neanche più risorse e quindi non c’è modo né di migliorare questa situazione né di uscire da questo circolo vizioso e poi in un clima di questo tipo si innestano dei fenomeni, come appunto le mode, e sappiamo tutti come certi personaggi oggi siano sulla scena, alla ribalta in modo prepotente, faccio un nome su tutti perchè è un caso molto eclatante, quello di Allevi. La cosa che mi fa riflettere non è tanto la sua proposta musicale, ognuno può proporre quello che vuole e la gente se gli interessa lo compra, lo va a sentire e così via, anzi ogni espressione è ricchezza, ogni cosa in più è ben venuta. La cosa interessante di questi ultimi mesi è stata questa “durante i festeggiamenti del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia è venuta l’esigenza di riarrangiare l’Inno Italiano, allora l’istituzione, il committente, lo stato anzichè chiamare alla direzione, alla composizione di questa operazione insieme all’Orchestra Sinfonica di Torino un cervello, una mente, un uomo di cultura musicale importante, e ce ne erano!... Salvatore Sciarrino, Giorgio Battistelli, Adriano Guarnieri eccetera ... si è chiamato una persona che proviene da un ambito culturale molto diverso e alla


fine cosa deduco da questa scelta? che la “cultura alta” di un certo tipo non esiste più musicalmente, perchè non è neanche riconosciuta da chi propone un progetto di questo tipo. Quindi è una situazione difficile ed io infatti suggerisco sempre ai giovani di fare un esperienza all’estero e poi dopo magari possono anche ritornare in Italia e speriamo che la situazione possa continuare. Ci sono anche delle sacche di resistenza, Tempo Reale, il centro che dirigo, è una sacca di resistenza, cerca, pur nell’esiguità delle risorse, molto diminuita negli ultimi 3-4 anni, di fare delle cose di alta qualità, di livello internazionale e cerca di coinvolgere dei giovani o anche meno giovani in progetti interessanti, aperti sopratutto, questo è molto importante, apertura verso vari forme dell’espressione artisti-

ca, verso le varie forme della ricerca e naturalmente non è facile e quindi si spera in tempi migliori, ma direi più che sperare in tempi migliori si cerca di lavorare per tempi migliori, questa è una cosa abbastanza importante.


Focus on

di Andrea Piran

L’audiovisione In un medium come il cinema, a volte, il sonoro viene considerato come colonna sonora, o come dialoghi, più raramente viene considerato come elemento significante di un opera alla pari con altri elementi di un opera audiovisiva. Risulta quindi singolare l’opera di Michel Chion che, a fianco della sua opera come compositore di musica concreta, si è dedicato alla critica cinematografica tenendo ben presente che la cassetta degli attrezzi lasciata da Pierre Schaeffer nel suo studio degli oggetti sonori era utile per l’analisi della banda sonora di un film, intendendo per banda sonora tutto l’audio, includendo anche i rumori d’ambiente. La tesi di fondo è che l’avvento del sonoro non ha portato solo la possibilità di avere i dialoghi o una musica sincronizzata con le scene, ma che la concezione di una parte audio complementare e parallela alla parte visiva ha portato lo status della musica da puro “accompagnamento” della proiezione ad elemento cui è demandato parte del significato di un opera. Una parte di concetti legati alla ripresa si ripercuotono variati sulla costruzione dell’audio. Il concetto di “punto d’ascolto” introduce l’idea che quello che viene inserito nella parte sonora è il risultato di scelte registiche come la decisione di cosa inquadrare e dove inserirlo nel fotogramma. Questo porta lo spettatore davanti ad almeno due possibili associazioni: una spaziale ed una soggettiva. L’associazione spaziale nasce qualora ci siano situazioni in cui un soggetto che emette un suono viene visto e, pertanto, è direttamente associabile al suono udito. Un esempio tipico può essere, in un qualunque film d’azione, il suono di un colpo di pistola associato al primo piano della mano che la impugna. L’associazione soggettiva nasce quando non viene visto il soggetto che emette il suono ma viene, spesso, mostrato chi lo ascolta o l’effetto in modo tale da permettere una relazione tra quello che

si ascolta e quello che si pensa che possa essere la causa di quello che si sente. Uno degli esempi proposti viene da Andrey Rubliov (1970, A. Tarkovsky) dove, durante la scena della tortura, non vediamo la scena dell’olio bollente, si vede preparare l’olio e poi, a camera ferma, si sente il suono di un liquido che viene versato. Questo modello d’ascolto, parte da un presupposto teorico relativamente semplice: quando vediamo qualcosa, ci aspettiamo di udire qualcosa ma, quando sentiamo qualcosa, possiamo anche immaginare cosa stia succedendo. Ma induce anche a domandarsi, o a far riflettere, sull’assenza di un approccio all’ascolto che si interroghi sulle forme o sulle cause del suono, non solo alla decifrazione dei dialoghi ed all’analisi letteraria. “Fino ad oggi le teorie del cinema, nel loro insieme, hanno più o meno elusola questione del suono: sia compiendo l’omissione di proposito, sia trattando il suono come un ambito specifico e minore” (Michel Chion)

Andrey Rubliov (A. Tarkovsky)


Mi aggiustai cosÏ la cravatta e sfilai lungo vie stranamente vuote. Quella era l’unica cravatta che osavo mettermi, ed era davvero insolito non trovare nessuno lungo Via della Costituzione poco dopo passate le tre. Era un ricordo che tenevo a volte al collo, con la sua stoffa blu e i punti d’argento interrogativi. Mi sarei potuto impiccare con quel ricordo. Ed era davvero strano che non ci fosse nessuno in giro.

Ausfahrt di Utopica Project

produzione Associazione Culturale Nub


drawing Daria Pastina


unusual

PER FARLA FINITA COL GIUDIZIO DI DIO di ANTONIN ARTAUD -note per la realizzazione televisivadi Raffaele Ferro

INTRODUZIONE All’incirca nell’ aprile del 2009 ho pensato di mettere in pratica un idea scaturita in me un mese prima, o giù di li, dopo l’ascolto di “Pour en finir avec le Jugement de dieu” e la lettura della relativa facciata letteraria. Quell’ esperienza mi ha portato, assieme a Luca Privitera, a realizzare per 1D+ (“format d’arte” che producevo per TVL) un prototipo di “TV della Crudeltà”, in forma di puntata “insolita” (trasmessa il 1 aprile) in cui si leggevano testi di Artaud da “Il Teatro e il suo Doppio”, brani da alcune corrispondenze con Jaques Rivière (direttore della Novelle Revue Francaise) e da “Il Pesa Nervi”. Oggi, il mio più caloroso senso di gratitudine va a Stampa Alternativa e a Marco Dotti che hanno regalato questa occasione a tutti noi, traducendo e pubblicando “Pour en finir avec le Jugement de dieu”, e soprattutto rendendo al sottoscritto la determinazione necessaria a “contestare” e anche “contestualizzare” il tempo tragico che stiamo vivendo. Parlo di abbrutimento e alienazione, slancio narcisistico che implode nel “nulla”. Non nel “nulla” dell’ INFINITO ma in quello dell’ alienato ( [“..che è morto…”]). Quella specie di golem che vive nelle teste e nei pensieri di noi persone “normali”, che sempre stiamo in guardia per non sporcarsi o sporgersi troppo, per non far rivivere quello stesso golem che a nostra insaputa (ma molti di noi lo sanno) determina (invece VIVO) il nostro basso agire. Ne viene fuori che non è il solo dio che giudica, e che deve smettere di farlo, bensì il giudizio proprio di Antonin Artaud Nalpas, o Anton le Mômo*, o Gesù, o Satana, che deve essere “espresso”, “reso vivo”, “trasmesso”. Possa questo benedetto giudizio - che mai ebbe trasmis-

sione eterea se non nell’intimità di pochi impavidi e simpatizzanti folli, oppure dalla stessa radio francese circa 50 anni dopo - rivivere nell’etere oggi e in rete, per sempre. Un Rito, un concatenarsi casuale e perfetto di elementi (umani o pseudo che siano) interpellati e diretti sull’asse del “cinema” e della “tele visione”, entrambi strumento e mezzo giovanissimi, corrotti e resi squallidamente mero intrattenimento e pubblicità, a scapito della conoscenza e della saggezza globale nell’ era del consumo e dell’ abuso. Qui di seguito, mi servo di un prologo per drammatizzare questo mio lavoro di ri-lettura scrittura, immaginando uno scambio di vedute sul tema, fra il sottoscritto e degli improbabili S.Freud, O.Welles, T.Leary, A.Wharol :” Vere presenze di un probabile dialogo”. “Mômo” in marsigliese significa ‘pazzo’, ‘idiota del villaggio’; in spagnolo ‘maschera’ o ‘mascherata’. E’ anche un termine vezzeggiativo usato per indicare un bambino o un comportamento infantile ma che, come accade spesso in Artaud, acquista valore polisemico, essendo simile a “momie” (mummia) o a Mômos, divinità greca dello scherno. Pare anche che Artaud abbia creato questo pseudonimo come l’ inverso ripetuto dell’ “Om” induista. [“Eleazar di Worms ha conservato la formula necessaria per costruire un Golem. I dettagli dell’ impresa occupano ventitré colonne in folio ed esigono la conoscenza degli “alfabeti delle duecentoventun porte”, che devono essere ripetuti su ogni organo del Golem. Sulla fronte si dovrà tatuare la parola emet, che significa verità. Per distruggere la creatura, si cancellerà la lettera iniziale, poiché in tal modo vi resterà la


parola met, che significa morto.”] Da “ IL LIBRO DEGLI ESSERI IMMAGINARI” di J.L.Borges

IL DIBATTITO

“ Vere presenze di un probabile dialogo”. Wharol: Impettito, seduto sul bianco divanetto di iuta. Osserva calmo fuori dalla finestra. Le goccioline gli sorridono di sul vetro. Pioveva, poco fa - L’immagine va dosata, domata - Il testo va esaltato La voce deve predominare - il sessuale va SPOSTATO - non varcare di troppo la soglia del FRAME, come del FERMO IMAGINE. Le ombre - gli oggetti fermi – Ok, si, ci sono…. Però… ma il Fauno che c’entra? Leary: - accovacciato sul tappeto giochicchia con una vecchia astronave della GIG. Scalzo, in camicia sgargiante larga intorno alle braccia magre -Il FAUNO è il “cicerone degli interstizi”. Negli INTERSTIZI- nello SPAZIO DEGLI SPAZI. R.F.: - Era arrivato per primo, quando ancora non c’era nessuno. Adesso è eccitatissimo, pronto e loquace -Quello è il luogo (IL SOLO):dove intervenire col gesto, e con il dinamismo (eclettico) umano; dove inciampare scivolando per l’indecisione (perché è l’”indecisione” il luogo dove avviene la “sintesi alchemica”). Su di un piano sicuro, ben architettato (da altri rispetto al “ dal SE”). Welles: - Sorprendentemente disteso, sul divano rosso, senza scarpe, la camicia quasi completamente aperta, maneggiando il sigaro come la freccia di un fulmine, modulando armoniosamente e con disinvoltura il tono melodico della voce -L’anelata, sofferta e disattesa trasmissione dell’ opera conclusiva di Antonin Artaud (la quale avrebbe preceduto il Teatro della Crudeltà) non effettiva ,perché non trasmessa (se non in differita di una cinquantina di anni dalla radio francese) racchiude ancora in se quegli elementi detonatori –TRAGICAMENTE (NEL SUONO E NEL SOFFIO).

Freud:-Pulendosi gli occhiali, si asciuga di tanto in tanto la bocca dalla saliva che ne esce al solo pronunciare di più di tre parole. Il dolore che prova alla bocca gli fa suonare il pensiero con una mistica da santo. E’ questo, solo questo, il punto da tenere presente. Non si può concedere niente che non sia all’ infinità del caso – ossia – a DIO. Leary: - Si è alzato da terra barcollando un po’, per rimettersi eretto, su di una gamba,dimostrando la sua perfezione indiscussa – lo Yoga in piedi. “Per farla finita col giudizio di dio” significa (che, bisogna) farla finita col giudizio dell’ UOMO - So che principalmente è del – MIO – infimo giudizio, di cui si parla – o di cui non si parla … Freud: - Avvicinatosi alla finestra,perso anche lui un po’ a guardar fuori, si rivolge a Tim. Ma non è proprio così che si celebra il rito? – Torna rapido ad asciugarsi la bocca col fazzoletto -Il passaggio al “soluto” alchemico/mediatico, tramite l’analisi del Simbolo? Da POLVERE A LIQUIDO… E’ vero che assorbire e rimettere esperienze è la cosa più naturale? Welles: - Non direi – sbuffa via il bianchissimo fumo accompagnato dalla sicumera -Documentarlo invece si; lo è – PER ME – Freud:- Gli occhi chiusi,l’ affaticamento e il dolore vero -Da qui la stanchezza, lo smarrimento, la fatica ed il potere subdolo del sogno che se ne viene fuori come da un conglomerato karmitico. Welles:- Mima il valzer con le mani, volteggiando gli anelli e il sigaro, come vera gazza ladra di Rossini -Da qui l’indecisione per le scelte, la stessa indecisione che genera l’atto – la stessa indecisione folle che genera l’atto inutile (il TEATRO)- arieggia mugolando roco l’ Ouverture della Gazza Ladra ,appunto – il Gesto (VIRTUALE-ECTOPLASMATICO-TELEVISIVO) che ne sboccia – E forse subito si accartoccia su se stesso – Come carta di giornale a fuoco – si contrae, soffre, e per pochi attimi lascia il negativo del testo stampato sui suoi fogli – carbonizzato e nero – Wharol:- Preme il tasto play del regi-


stratore a nastro che si porta sempre dietro, come per quelle occasioni importanti. Stavolta, però, non per registrare ma per spandere per l’aire l’ Intermezzo sinfonico della Cavalleria Rusticana. Mascagni diretto da von Karajan, e l’orchestra del Teatro della Scala lo spinge alle lacrime (l’ha messo apposta)- Il contrasto, l’alternarsi di luce e di ombra... R.F.: - calmato, disteso da quella musica sublime, quelle note e quell’ aria. Ecco – La stessa luce che nei ricordi proviene da un tinello buio, rischiarato dal lampeggiare di uno schermo (in bianco e nero) rende possibile immaginarsi come il risultato, il soluto (o meglio) “LA GENTIL FECCIA”, mediatica, ne risulti – Leary: Ha appena acceso una pipa di legno, caricata con Marijuana. Sbuffa ancor più bianco e dolce l’odore. - Quello è specchio del prodotto – quello specchiare/specchiarsi deve rimbalzare fuori e restituire l’ESPERIENZA assorbita, a chi vede, a chi nell’attimo assorto dell’assuefazione tele-VISIVA, lasci spazio negli SPAZI (del proprio SPAZIO) (del proprio DESERTO). Passa la pipa a destra… R.F.: - Dunque… sedendosi vicino a Welles sul divano rosso; Wharol si siede accanto, Leary sistema la videocamera di fronte sul cavalletto. Freud si congeda. E’ stanco, va di là a riposarsi un po’…

“Pour en finir avec le jugement de dieu” DIECI BLOCCHI SEPARATI Collegati fra loro come bicchieri di plastica dal filo di cotone, per una potenziale trasmissione di vibrazioni – parole ( o di pure vibrazioni di verità, di “crudeltà” di vita). La “cornice” è per forza quella dell’ immediato 2° DOPOGUERRA; ed è in quel DOPOGUERRA che siamo – Ed è un RIFLESSO VIVO di quel MALEDETTO senso di rinnovamento (fisico-materiale) che stiamo oggi vivendo, con insofferente alienazione.

FALSA com-prensione, com-passione/simulazione di sentimenti. I CINQUE BLOCCHI di testo sono intervallati da CINQUE BRUITAGES: Camei, si direbbe, di puro vibrare. Lì si, l’immagine vibra – che vibri col suono – o il suono la sovrasti – e poi RI-SCOMPAIA. (ed il fuori sincrono delle voci è valore aggiunto, non STILE, o DIFETTO). Esiste inoltre una introduzione, non registrata ma scritta; qualcosa da preservare, da mandare in avanscoperta – forse, ancora, non come testo ma come CANTATO. krè krè pek krè e pte

bisogna che tutto puc te sia disposto puk te all’incirca li le in un ordine pek ti le fulminante. Kruk

Con questo specchio, che precede la serie dei DIECI BLOCCHI, credo (noto, rendo atto) si disponga il “SISTEMA”, si delinei lo “STILE” per eseguire, realizzandola, una diffusione MEDIAT –IC-A (MEDIATA) del testo. Proprio la “fu mancata” diffusione , come ingrediente necessario, riporta al PRESENTE tutto il senso di quest’ultimo, tragico, più che ispirato, anelito di vita chiamatosi ANTONIN ARTAUD – Il Maestro del Giudizio Universale. 1° - J’ai appris hier ( ho sentito ieri) Artaud ci confessa (come incipit in un lungo “fra parentesi iniziale”) il suo stupore, e ammette il suo possibile “rimanere indietro” rispetto alla follia dell’ idea di riproduzione, in serie, degli esseri umani. Apprende “certe voci”, “immondi pettegolezzi”, nei luoghi più abbietti della città – le latrine – da dove gli intestini e gli stomaci si svuotano di alimenti che sono già escrementi. Questo è lo scenario – L’ AMERICA è l’ esatto opposto: presentata come iper scientifica e iper bellica – in tasca la rivoluzione della riproduzione artificiale in serie, dell’ iper produzione per l’ iper consumo. La


sostituzione della Natura – con prodotti di sintesi. La folle perfezione della macchina che vuole l’Uomo IPER PERFETTO e artificialmente ri producibile, per ri creare l’Uomo Nuovo: il SOLDATO, preceduto e difeso in anticipo dalle macchine da GUERRA – GUERRA che oggi però esplode/ trasfigura, nell’ alienazione (MORTE) da CONSUMO e da PROGRESSO, a scapito della NATURA. Non l’ “ambientalismo”; non nel “mero ambientalismo”(questo monologo), bensì il messaggio trasudante mille contrasti che sorgono-OGGI-ovunque.

……………………………………….. Da qui, (IN ESSO, IN ARTAUD stesso, nella diffusione mediatica/medianica) il resto: IL RITO. L’altra faccia dell’ uomo, quella che è specchio tangibile della Natura ( quell’ uomo che scelse il massacro di popoli antichi – PRECOLOMBIANI). IL RACCONTO DI CHI MANGIA DALLA TERRA (e nella bocca sputante dello sciamano avviene l’alchimia, come nel brusco ripetersi dei suoi peti tonanti) IL PEYOTL nel suo nascere – SI

INTRODUCE

ALLA danza del TUTUGURI _ I 2- BRUITAGE –

3- TUTUGURI – Il Rito Del Sole Nero Una voce fremente, stappata e mugo(muco) lante ( quella dell’attrice Maria Casares) – rende (già al principio) il tono, anzi il mistero, proprio della narrazione fiabesco/epico/mitica. La sequela di immagini evocate nel testo richiama facilmente e teneramente le stesse immagini da riprodurre : (perché parlare oggi, come del resto nel 1947, di un rito o di riti precolombia-

ni, trasmessi da popoli antichi come i Tarahumara ?) . L’uomo ancora è inchiodato e incastrato nella DOPPIA CONOSCENZA – o meglio, nella dicotomia , nelle percezioni del fisico/meta fisico – come del bene e nel male. Il Peyotl tende la corda che riporta l’uomo all’umile presunzione d’esser generato, come Dio, ossia dall’ Ignoto. I Simboli, le associazioni, i Riti antichi (nei costumi, negli archetipi simbolici del Sogno, nei Segni ecc..) o i riti PRIMITIVI, riportano alla narrazione, la dolce e crudele fiaba del “non detto”, del “nascosto” (come gli orchi delle favole realmente erano uomini-bestia che catturavano, nel folto dei boschi mitteleuropei, bambini abbandonati da genitori – per povertà, per malformazioni fisiche etc); sia, tutto ciò, riguardante chi il rito lo dirige (LO SCIAMANO), sia chi lo vive passivamente – e nel rito del tutuguri avviene: L’ABOLIZIONE DELLA CROCE [.. è un atto di guerra e di distacco radicale, estremo, dai valori e dai modelli coercitivi dell’ Occidente. La croce cristiana non è la “croce tarahumara”. Quest’ultima rappresenta il segno geometrico della presenza dell’uomo nell’universo, il suo radicamento materiale, non il suo estraniamento. Essa è simbolo e testimonianza non addomesticabile, segno muto dell’uomo squartato nello spazio: “ l’Uomo con le braccia aperte, invisibile, inchiodato ai quattro punti cardinali”. “Ogni villaggio Tarahumara – scrive Antonin Artaud – è preceduto da una croce, circondato di croci ai quattro punti cardinali della montagna”. E’ attraverso la croce, iscrizione sacrificale nell’architettura cosmica Tarahumara, che gli Indios MANIFESTANO la propria “idea geometrica attiva del mondo a cui la forma dell’ Uomo è legata”. ] 4 – BRUITAGE


5- LA RECHERCHE DE LA FECALITE’ Qui, di nuovo, come prima, la “narrazione” (ancora come spiegazione) volge al primitivo, al primordiale – la psicoanalisi che (si fonda sull’)(fondendosi all’) antropologia e quindi all’ atavico “problema” del nutrirsi- soddisfare il desiderio-defecare. (in tutti i sensi) l’ esistere E’ profondo il fosso (e lungo) il quale attraversa la “POETICA” di questo passaggio . IL MATERIALE e L’IMMATERIALE . Le infinite possibilità date all’ Uomo, -.il quale sceglie sempre (sempre ha preferito) il MATERIALE (la Carne, BASSA, INFIMA) allo SPIRITO (guerriero-temerario-impavido) IMMATERIALE ( però al tempo stesso Artaud ne mette in risalto – del corpo – l’ OSSO, la STRUTTURA) – costituiscono la Forza di Volontà. Una forza tradita nel voler (l’Uomo) rimanere attaccato alla “MERDA”, al prodotto, come testimonianza, e ricompensa, del “SUO CORPO”. Tutto ciò nient’altro che perdendo la vita credendo di conquistare l’“essere” o reche modo to edire di za tau dari do padera coco Ne viene fuori il DIO come l’ ATMAN – il vuoto che pervade Tutto con le sue Infinite Forme – Dio schiaccia il movimento “sessuale” stesso dello schiacciare le escrescenze, gli orifizi, le protuberanze umane. Finalmente Artaud “fa luce” sul buio che lega perversamente la figura del Cristo (nel buio come nel danno permanente) alle “problematiche di tipo sessuale, al dio. Un dio che è il prodotto e la causa al tempo stesso – come lo è il cibo e l’escremento –

Ma il cristo ha scelto (“alla faccia della piattola dio”) di vivere senza corpo – da qui la discesa dalla croce di un esercito di Uomini determinati – armati di ferro, fuoco, sangue ed ossa - a farla finita col GIUDIZIO DI DIO 6 - BRUITAGE

7:- “LA QUESTION SE POSE DE…” L’ESSERE- L’INFINITO-L’AUTOANALISI –LA COSCIENZA Sapendo che: “Oltre all’ordine di questo mondo ce n’è un altro” Un

involuzione, un “fare il punto”:

Si parla della sessualità per arrivare all’annientamento ed al rifiuto (quello di Artaud per Tutti) del CORPO. Si parla dell’ apertura della COSCIENZA verso il Nulla, verso l’INFINITO. Il Desiderio -------------> l’ appetito ………………………………………………………………………………di VIVERE La Fame ---------------> senza appetito La fame d’ essere – avere fame senza appetito. QUI ARTAUD CI PARLA DI SE è spietato – irriducibile ---------> come egli stesso ci dice espellendo, con un peto “..che farò”, tutta l’illusione e sofferenza d’essere CORPO – perché lui sa che , ovviamente LO SPAZIO IL TEMPO LA DIMENSIONE IL DIVENIRE L’AVVENIRE IL FUTURO L’ESSERE IL NON ESSERE L’IO IL NON IO


Non sono niente per lui. Ma nella Presenza del dolore del corpo (da malnutrizione,minacciosa, incessante) ARTAUD, CON UN PETO, ESPELLE LA QUESTIONE; A RESPINGERE OGNI ABUSO (del pensiero, sessuale), ogni viscida forzatura, del CORPO. 8- BRUITAGE

9-

“CONCLUSION”

Il resoconto META FISICO, il confronto col MED(iat)ICO con il RE-CENSORE. l’ INTERVISTATORE: “ E a che cosa le è servita, signor Artaud, questa radiotrasmissione?” ARTAUD DENUNCIA INNANZITUTTO, LE SCONCEZZE SOCIALI…

* :I bal musette erano locali per immigrati auverniati e italiani, sorti alla fine dell‘ 800 nei sobborghi parigini. Questi locali proponevano musica e danze sfrenate, dove la passionalità (insieme all’ alcol e altre droghe) era il fulcro di tutto. Artaud, che sicuramente non aveva mai avuto l’opportunità di visitarne uno (o almeno uno veramente tradizionale, dato che già negli anni ’30 era diventata una “moda”) perché troppo giovane lo cita come esempio lampante di cultura”al rovescio”, forse mitizzandolo. E’ accertato che la danza della Valse, poteva essere realmente ballata all’ inverso; il cavaliere prendeva la dama inversamente alla postura consueta, sbilanciandola nel volteggiare e , ovviamente, costringendosi e costringendola ad una presa stretta e passionale.Per un riferimento più preciso su cosa sia il Bal Musette (e nel particolare perché Artaud ne faccia menzione). Cfr.: “Graig, Grotowski, Artaud – Teatro in stato d’ invenzione” di F.Ruffini 10- BRUITAGE

Quelque Ingrèdient

Tutto il passaggio è un SUNTO – la SUMMA o l’EDITTO Spontaneo e mediato nel dolore Contro il DIO E L’AMERICA Tutto ciò che dall’ inizio ha raccontato, sfocia qui nell’ incontro/scontro verbale-tonale-vocale “… lei è pazzo!” “legatemi pure se volete..” Il DIBATTITO, l’uno contro tutti, (e viene lesta alla mente l’immagine di CB, ironico, maledetto, strafottentemente coerente, al Costanzo Show) la DENUNCIA ESTREMA di A.A. che in effetti diviene Magicamente ”CHIUNQUE” senta – allo stesso modo , o identica intensità (RIMOSSO, SEGRETO che sia), QUEL DOLORE LA MEDESIMA TEMPRA NEL VOLER INSEGNARE ex novo A BALLARE (come “TO PLAY, come GIOCARE o SUONARE”) al rovescio, come nel delirio del “ bal musette”*

Considerazioni sul materiale video, già “girato” (materiale già esistente, con Luca Privitera ed altre riprese) R.F: - Con l’idea di un “prodotto filmico” derivante dal sistema LOW FI, si va “poco


lontano”. Wharol: - come assente - Non necessariamente… R.F: - Io invece lo credo. E se sono qui a discuterne con voi è la dimostrazione che ho bisogno comunque d’un aiuto. Ogni “bella inquadratura” (userò il termine Monema) azzera (o quasi) la bellezza intrinseca degli altri monemi (meno belli). IL TESTO CI RIVELA LE INCONGRUENZE. La sperequazione fra significato e “da significare” (..la mimesi col testo, il corpo fattosi voce, e l’osmosi col fascino di una radiotrasmissione abortita…), sperequazione, o scarto, inteso come semplice elemento di contrasto (l’ATTORE che legge-recita), diviene un peso più che altro. Il girato del Fauno crea “un’altra storia” – Già. Però, partendo dall’ incrocio fra l’Immaginario e il Reale si arriva inevitabilmente (magari con FATICA IMMANE) ad un risultato efficace. ( LO SPOSTAMENTO e ribaltamento – Simbolo Sogno.. Mah, sono confuso… aiutatemi… Welles: - Che ha ascoltato fino ad ora ogni singolo suono di parola con attenzione da rabdomante, se ne esce aprendo gli occhi. Non era evidente che non stesse proprio dormendosela… Nella televisione, per la prima volta, il cinema assume un autentico valore, scopre la sua funzione reale, perché parla. Perché la cosa più importante è quello che si dice, non quello che si mostra. Le parole non sono più nemiche del cinema; Il cinema diventa semplicemente un sostegno per le parole, perché la televisione non è altro che una radio illustrata. R.F: - E’ vero. Riprende rapido – come è vero però che le immagini, molto più facilmente che attrarre, distraggono. Conducono al seguire, e al perseguire UN FINE. Nel caso delle pubblicità, per esempio, le strade si separano ( quasi a ri-cercare l’abbandono, sperdendosi nel filmico). Diciamo “le vie”, i percorsi per il quali passa l’attenzione, sono due – Una concentrata al viaggio ,

una diretta al traguardo – IL TRAGUARDO – ossia il momento in cui il prodotto ( per es. l’ automobile) si presenta come il protagonista per gli applausi finali. Rivolto a Welles, leggermente chinandosi per osservarlo negli occhi abbassati: - Non ci interessano, qui, gli applausi. Leary: - Ma neanche perdersi nel tragitto le sue parole mischiate nella risata… R.F: - E’ il testo che delinea il tragitto e quindi si cerca nelle infinite POSSIBILITA’ (monemi, inquadrature…) quella più adatta alla “propaganda” del/nel testo. Il Fauno è ironico – Il Fauno gode e non soffre – Wharol: Questo è il punto… Questo non fa al caso nostro… Leary: sempre ridendo, sempre stirandosi via scarichette elettriche con mosse di Tai Ji – Il FAUNO è ARTAUD: non un attore – sussurra queste ultime tre locuzioni R.F: - Appunto – riprende schiaritasi la voce con un colpo di tosse – Le singole, infinitesime mosse; le “espressioni”, le movenze (RALLENTATE-SPEZZATE-VELOCIZZATE) fanno invece al caso nostro. Non ci vuole RAPPRESENTAZIONE. Ci vuole l’ ALCHIMIA- filmica-mass-mediatica, che solo nel luogo destinato al MONTAGGIO si rivela con maggiore potenza, con spontanea coerenza… Welles:- Non è un gioco di ruoli – Non è un luogo di training attoriale – Somiglia di più a una SCACCHIERA, anzi.. A una partita a scacchi. Dove la vittoria (la CHIUSURA) è assolutamente determinata dall’ ingurgitare fieri: re, regina, torre, cavallo e il resto. Lo scacco deve… Wharol: - …INEVITABILMENTE Leary: - Essere… R.F: - MATTO. Wharol:


- Ok, well ,,,allora, ripeto. Perché il Fauno? PERCHE IL FAUNO ? -premessa Welles: - Antonin Artaud ha fatto di tutta la sua vita un sacrificio. – SACRIFICIO non come “un quelque chose” da scontare, bensì come il luogo dove “agire” “segnalare” “SE” STESSO – all’ (e dall’) UNIVERSO UOMO – Se non si capisce (almeno con l’intelletto) questo Concetto, non si può “FARE ARTAUD” – Leary: - L’oppio “cura” Artaud dal delirio – l’eroina lo distrugge come l’ oppio lo cura nel suo “sacrificarsi” apertamente alla folla. Intrecciando le dita e coprendosi il viso… farfugliando… E lo conduce verso delle potenti aperture ESPRESSIVE: Wharol: - meta-INTELLETTUALI/meta-FISICHE – R.F: - Artaud giunse in Messico proprio per curarsi dall’ eroinomania… vi leggo qua: “Andando dagli indiani[…] volevo incontrarmi con il Peyote, con un corpo vergine […] .Arrivato ai piedi della montagna, buttai in un torrente la mia ultima dose d’eroina […] In capo a 6 giorni il mio corpo non era più di carne ma d’ossa […] L’abbandono dell’oppio rinserra le fibre, apre correnti aride di vuoto nella pelle, e l’epidermide non è più che un’enorme gengiva irascibile, una mascella come a fior di pelle.” Ma questo è solo l’accedente, del pretesto. Ci andò ( soprattutto) per ri-trovare il “SE STESSO”, perdendo l’ “IO” concedendosi tout court allo sciamano – Leary: – Come fosse stato da un’altra parte fino a quel momento, in scivolata verbale schivando il contrasto, centrando la sfera del discorso - Artaud conosce bene i VEDA (grazie a Guenon), l’ Assoluto, il Principio Supremo ecc.. Come conosce le teorie che stanno alle fondamenta della psico analisi (“scienza ,allora, ancora di trincea”), e vuole applicare tali teorie nella “sua” idea di TEA-

TRO. Del quale, proprio negli scritti successivi al viaggio nel paese dei Tarahumara, auto-denuncia la presunzione di averne voluto creare uno (di TEATRO). Wharol: - Si, certo, questo è risaputo. Ma: PERCHE’ IL FAUNO? R.F: - Artaud in alcuni suoi scritti si presenta letteralmente come Satana: “Io, Antonin Artaud, nato a Marsiglia il 4 settembre 1896, sono Satana ..”; pressappoco così, o qualcosa di simile. Lo fa, credo, per motivi (ovvi o misteriosi che siano, dipendenti dalla sua volontà o meno) fortemente legati all’ “estetica”. L’estetica vuole che si “giudichi la forma” che la si esamini e che la si possa rinchiudere in qualcosa di limitato e “scindibile” dalla Mente, dalla Ragione. Leary:- (..cosa c’è di più abnorme, per l’Uomo ?…) R.F: - Il Fauno, come poche altre “figure” trasformate nell’ immaginario cristiano-pagano-cattolico, generate da miti antichi, rappresenta IL DIAVOLO. Il Diavolo è di facile comprensione. Per tutti. Welles: - da Diaballos, Diavolo= colui che mette in mezzo, che attizza e stuzzica.. R.F: - Giusto. Non ci avevo pensato.. rivolto a Wharol che adesso sorseggia un bloody mary spuntato chissà da dove - vedi che allora funziona? Comunque… Si, perché il Diavolo è di facile comprensione…per chiunque… Welles: - ..e in più è di un utilità esoterica non trascurabile, se si pensa a quei gargoyles, quei demoni gotici a difesa delle cattedrali di cui tutta l’antica Europa è presidiata, in difesa dai Veri Spiriti del Male… R.F:- Il Fauno racchiude in se quel lazzo d’eroismo, di leggerezza, ed al tempo stesso di tenebrosità minacciosa. Wharol: - e sporca, direi… gesto schifato -

- con uno spastico


R.F: - se mi fai andare avanti, Andy, poi puoi prendermi in giro quanto vuoi... ma dopo, però. Dicevo; il Fauno è leggero, come carattere, anche se complicato, enigmatico e… Welles: Sibillino? R.F: - Ecco, grazie Orson! Sibillino, enigmatico. Come sulle prime può considerarsi il “pensiero” di Artaud (che in fondo non lo è , e, come dice De Marinis “ si avverte la necessità di ri-discutere i modi in cui la critica si è esercitata, e forse accanita, su di lui, finendo per parlare sempre di più di se stessa che dell’ opera che ne costituiva il pre-testo”). Misterioso ed esplicito al tempo stesso.. Inoltre (sempre come risultanza e strumento estetici) incarna (nello spostamento simbolico dal Fauno al Satana al Satiro) proprio il fraintendimento sul “cos’è il BENE e cos’è il MALE” . Come la croce Tarahumara non è la croce cristiana, il Fauno (qui) non è una deità pagana né una contro-deità cristiana. E’ casomai, molto più semplicemente, l’ ANIMALITA’ e l’ INTUITO che l’ Uomo ( da quando è ) Moderno, ha perduto, o sta tuttora perdendo. Credo che l’unico riflesso umano che ne sopravvive (del Fauno) sia la SATIRA, che nulla ha che vedere col “modus” animale, ma che niente a che vedere, anche, ha con la percezione della REALTA’. Freud: - che è rientrato in silenzio, chiudendosi piano la porta della cameretta in cui riposava – Raffaele, scusa se ti interrompo, ma per quanto ti conosca e ti rispetti devo chiederti di chiarire questo passaggio. O forse è una delle tante volte in cui usi la lingua prima del cervello? R.F: -Nodi nuovo eccitatissimo per quell’intervento inatteso – Ecco , vorrei dire.. Per come noi intendiamo… ha molto di più a che vedere con il motto di spirito, il lapsus, o la satira, appunto, e cioè la caricatura , il lato grottesco della Realtà. Nel Satiro, nel Fauno, la Realtà è messa in discussione proprio dallo “SPIRITO” e dal

“SOGNO” dall’ “OBLIO” ( lo spirito, ossia l’ umore, l’ humour dato dal vino, dalla droga etc..) che sono, in fondo, solo riflessi (UMANI) dai quali il Fauno trae tutta la sua rilevanza estetica. Artaud, come Dio Fauno, cerca, abbagliato d’amore, la donna e trova l’ uomo: l’eroe (Ercole) che lo spinge giù al suo sentirsi sfiorare mellifluo proprio lì, con una gomitata giù dal letto, chiamando a raccolta tutti perché vedano cosa quello sciocco pervertito abbia combinato. E’ perciò che Fauno vuole che alle sue feste si eliminino le vesti, vi si giunga e si festeggi totalmente nudi; in ricordo della volta che scambiò Ercole per la bella Onfale (che s’erano scambiati le vesti per gioco) … I volti dei tre si bloccano in una nonespressione, il che racchiude e conclude ogni proseguo plausibile… ma il sottoscritto continua: R.F: - Ok. Ora vi leggo il passaggio d’ Ovidio. FAUNO DELUSO, dai Fasti. “ Perché mai il Fauno ha in odio le vesti? Lo racconta una favola piena di sale antico. Una volta il giovane di Tirinto viaggiava con l’amica (Onfale, regina della Lidia), e Fauno li vide dall’ alto di un colle. Appena vide, si accese d’amore. “Ninfe dei moti – disse – tutto è finito con voi: ecco chi sarà la mia fiamma!”. La donna di Meonia (altro nome della Lidia, in poesia) camminava con le chiome profumate sciolte sul petto, meravigliosa nella veste d’oro. La proteggeva dai raggi cocenti del sole un ombrellino d’oro, retto però dalla mano d’ Ercole. Ella già aveva raggiunto un verziere di Bacco, le vigne del Tmolo, mentre Vespero stillante di rugiada avanzava coi bruni cavalli. Entrò in una caverna che aveva la volta di tufo e di roccia viva; all’ entrata sussurrava un ruscello. E mentre i servi preparavano i cibi ed i vini, ella acconciava l’Alcide ( Ercole) con le sue vesti. Gli dette la camicia leggera, tinta col rosso di Getulia, si tolse e gli dette la cintura sottile. Per quel ventre la cintura era stretta, ed egli allentò la camicia per infilare


le mani enormi, spezzò i braccialetti inadatti al suo braccio, e i piccoli lacci strinsero i suoi grandi piedi. Ella a sua volta prese la clava pesante, la pelle leonina e le frecce leggere riposte nella faretra. In questo costume mangiarono e si abbandonarono al sonno, giacendo vicini ma su letti diversi, perché al mattino dovevano essere puri per offrir sacrificio all’inventore del vino. Era la mezzanotte. Che mai non ardisce un amore indomabile? Attraverso la tenebra Fauno andò alla stillante caverna, e quando vide che la scorta dormiva, vinta dal sonno e dal vino, sperò che i padroni fossero in un sonno egualmente profondo. Entra, ed errando qua e là con audacia di adultero, cauto tende le mani e poi avanza. Giunse al bramato giaciglio e al primo tentativo la sorte lo avrebbe fatto felice, ma quando toccò la pelle irsuta del fulvo leone ebbe paura, ritrasse la mano ed indietreggiò spaventato, come un viandante che, visto un serpente, atterrito fa un balzo all’ indietro. Ma sfiorò poi con la mano i veli leggeri sul letto vicino, e seguendo l’indizio bugiardo salì sulla sponda e si mise a giacere; ed aveva quella parte più dura di un rigido corno. Sollevò la camicia dal lembo inferiore: sentì due gambe ispide, rozze e villose. Mentre cercava il resto, l’eroe di Tirinto lo respinse col gomito e lo fece cadere dall’ alto del letto.

è l’aspetto di “Delusione del Fauno” (il quale ho scoperto solo grazie alla ricerca che mi ha portato al fasto di Ovidio, dopo aver concepito “d’istinto” Artaud nei “panni” di un Fauno). Artaud si è spento, seduto ai piedi del letto, deluso (termine riduttivo ma efficace) quanto il Fauno in Ovidio, o forse molto più del Fauno. Poiché non soltanto tradito dall’ “innocenza”, dall’ “intuito”, ma ulteriormente schernito e messo alla berlina dall’ eroe più conosciuto e esaltato della mitologia. Ecco perché anche Artaud ci vuole tutti totalmente nudi, dinnanzi a lui. Nudi. Affinché non si confondano i sessi, non si esaltino o si mettano in risalto “posticce appartenenze di sorta”. E soprattutto odia che si reciti una Parte fuor che quella Nostra.

Vi fu clamore; la Meonia chiamava la scorta e chiedeva un lume. Portata la torcia, il fatto è scoperto. Rudemente rovesciato giù dal letto, Fauno gemeva e si rialzava a fatica dalla dura terra. L’ Alcide rideva, con tutti coloro che videro Fauno disteso, e la giovane Lidia beffava l’ innamorato.

Freud: - sorridente e , come solo lui riesce, con impercettibile ma viva aria di sfida - Quindi, cosa aggiungere? Intendo, cosa dire ancora di utile alla realizzazione televisiva di “Pour en finir avec le jugement de dieu”.

Ingannato così da una veste, il dio non ama le vesti che inducono l’ occhio in errore, e vuole che nudi si assista ai suoi riti.” Quello che era sfuggito, alla mia considerazione selvaggia di Artaud in “Pour en finir avec le jugement de dieu” è forse un aspetto che qua, scandagliando come si dovrebbe fare dopo ogni intuizione la radice istintiva e para-normale che forse ci spinse all’ intuizione stessa,

Questa è la sua richiesta. E mi rivolgo a tutti voi, che mi state ascoltando. Non è un gioco, anche se forse ne ha l’agro (caprino) sapore. Meglio vederlo come un Giogo, o come lo Yoga, come l’ Unione, il Congiungimento astrale di tendenze e controtendenze: In Artaud si parla sempre di Sesso, e della NEGAZIONE sofferta del Sesso. E del Corpo. E della sua speculare esaltazione et recupero. Del cadere in errore a causa del Sesso e del voler eliminare ogni possibile mistificazione… “ [..perché non mi si tocchi più nel corpo.]”.

Wharol: - A questo punto, devo dire, molto. Non che personalmente voglia aggiungere qualcosa, per carità… Ma ci sono altri spunti sui quali lavorare, no? Il fatto che il fauno (innocente e scaltro al tempo stesso) faccia la figura del fesso.. No? Un po’ pesante da sopportare questo per un dio! Non credete? Leary: - Om na ma shivaya! Naaaaaaa Raye naaaaa…. E’ allora che il Torvo Shiva si


impone con tutta la sua furia! No? Al Dio “ non la si fa!”. Forse è da li che è nata la rabbia! Ha , ha , ha! Welles: - e la Verecondia. Il timore d’esser svergognati. R.F: - Si , mi sa che quest’ultima, a dispetto di quello che si possa credere, ha investito violenta e subdola anche il Nostro. Si legge che alla sua ultima conferenza al Vieux-Colombier di Parigi, abbia durato tre ore in rintorcinamenti di dita.. E di faccia coperta dalle mani, e di frasi sletterate e scomposte non dal guizzo del delirio ma, forse, da pura Vergogna. Si dice che ,comunque, riuscì a comunicare al mondo il suo ultimo “pensiero”… Come un cristo sulla croce che pronuncia “eloim eloim lama sabactani?!”*. Era da mo’ che Artaud sentiva la verecondia e che la voleva sorpassare, annientare. Non voleva provar vergogna e quindi delirava… Non poteva provar vergogna e quindi creò il suo Teatro. Una vita di Teatro. * “padre, padre perché mi hai abbandonato!?” In conclusione UN ULTERIORE ( e ce ne sarebbero altri…) DATO IMPORTANTE CHE ARTAUD , CON DISTACCATA PASSIONE PER “TOUT NOUS”, PRONUNCIA: “Oh, la società può ammantarsi di religione, istituzioni, comandamenti, regolamenti e polizia, è una facciata buona ad imbambolare i gonzi […]. Io non sono un politico, non faccio politica né credo che bisogni farne, non più che fare filosofia, medicina,/biologia,/sociologia,/aritmetica,/geografia,/scienza,/fisiologia,/metafisica,/ontologia,/astrologia,/e anatomia,/ tutte queste scienze sono scimmie che non hanno mai contenuto una verità, le cose non hanno mai avuto bisogno di fare la nostra conoscenza per vivere, i malati fanno benissimo a meno dei medici, la

vita della biologia, la sapienza dei suoi piccoli amici, le società dei sociologi come degli uomini di società.”


OBIT Franco Quadri

nato il 16 Maggio 1936 morto il 26 Marzo 2011 Dopo una lunga e straziante agonia è morto a Milano, all’età di settantacinque anni, Franco Quadri, una delle figure più influenti del teatro italiano degli ultimi decenni. Critico, editore, traduttore, organizzatore di molteplici iniziative culturali, ha sempre amato mischiare e sovrapporre questi suoi diversi ruoli professionali. È stato, senza dubbio, un uomo di potere, come tale discusso e controverso. Ma Franco Quadri e Pina Bausch (photo: Il Patalogo 32) credo si possa dire che mai ha anteposto alla battaglia delle idee qualunque tipo di interesse personale. Da critico, ha collaborato a lungo con “Panorama”, poi con “la Repubblica”. E’ stato anche caporedattore di “Sipario”. Il carattere spigoloso, le forti scelte di campo ne hanno fatto un personaggio “scomodo”, guardato con timore dall’ambiente. Certamente non ha mai inteso perseguire un punto di vista in qualche modo oggettivo: è stato, anzi, un critico schierato, partigiano fino alla faziosità, e in questo spirito militante è consistito il suo limite e il suo pregio principale: ha sempre sostenuto con passione e generosità le realtà in cui credeva. La sua storia intellettuale si lega soprattutto all’avanguardia fra gli anni Sessanta e Ottanta, l’epoca d’oro delle “cantine” romane, delle più ardite sperimentazioni, del mitico Convegno di Ivrea – l’atto di nascita del nostro teatro di ricerca – di cui era stato uno dei focosi promotori. A lungo le sue recensioni su “Panorama” hanno rivelato e legittimato quanto di nuovo accadeva sulle scene italiane e straniere. Col passaggio a “Repubblica”, il suo sguardo si è svincolato da correnti e movimenti, è diventato più istituzionale. Nella sua vita sulle barricate, Franco Quadri ha scritto libri, ha promosso festival e rassegne, ha diretto la sezione teatro della Biennale di Venezia, ha ideato i corsi dell’Ecole des Maîtres. Ma la sua impronta più profonda l’ha forse impressa fondando la Ubulibri, la più importante casa editrice teatrale italiana, quella che ha pubblicato fra l’altro le opere di Thomas Bernhard, di Heiner Müller, di Fassbinder, di Koltès, ma anche di giovani drammaturghi come Stefano Massini, e gli scritti di Kantor, di Barba, di Beck e della Malina. Dalla Ubulibri sono nate due creature predilette come il Patalogo, l’annuario che dal ‘78 registra e documenta tutte le produzioni e gli avvenimenti della stagione, aprendo preziosi spazi di riflessione, e i premi Ubu, i riconoscimenti di maggior prestigio ad attori, registi, spettacoli, molto più che una semplice selezione di proposte e nomi illustri, una bussola e una fondamentale occasione di bilancio. Al teatro, di sicuro, ha dato tanto, profondendovi ogni sua energia fisica e risorsa economica. Lascerà inevitabilmente un grande vuoto. da Il sole 24ore Renato Palazzi


Coming Next // LIVE .Aprile 2011 Giovedì 21

Andrea Belfi Solo Live Set

www.chocolateguns.com Sabato 30

Ongapalooza

Be Invisible Now! + Be My Delay www.beinvisiblenow.net www.myspace.com/bemydelay www.boringmachines.it

.Maggio 2011 Giovedì 12

Luciano Maggiore + Francesco “Fuzz” Brasini Chàsm Achanés (Huge Abyss)

soundcloud.com/lucianomaggiore soundcloud.com/francescofuzzbrasini

date e eventi in programma aggiornati su: associazioneculturalenub.wordpress.com


.22/23 Aprile 2011

Physical Computing Workshop

a cura di Matteo Marangoni e Giulio Ammendola in collaborazione con Switch - Creative Social Network e Tempo Reale, all’interno del progetto Taming Technology - Addomesticare la Tecnologia I computer diventano sempre più veloci ma nella maggior parte dei casi continuiamo ad utilizzarli con le solite interfacce: monitor, mouse, tastiera, speaker. Con pochi rudimenti di elettronica e programmazione possiamo creare nuove forme di interazione tra il mondo fisico e quello virtuale. Che si tratti di installazioni interattive, interfacce di controllo per la musica elettronica, robot autonomi o semplicemente di interfacciare un’elettrodomestico al computer, il campo che si è aperto con la diffusione del physical computing permette ad artisti, designers e agli appassionati del fai da te più in generale, di realizzare progetti prima difficilmente abbordabili senza una laurea in ingegneria. Nel workshop saranno introdotti i microcontrollori Arduino, i sensori e gli attuatori più comuni e saranno fornite alcune basi di programmazione in ambiente Processing e Max/Msp. Si vedranno esempi tratti dai territori della media art, della sound art, della musica elettroacustica e dell’interaction design. Saranno discussi i limiti delle interfacce convenzionali e sarà richiesto ai partecipanti, singoli o in gruppi, di proporre un progetto che metta in discussione il modo in cui si interagisce con il computer abitualmente. Il workshop è pensato sia per chi si avvicina al campo del physical computing per la prima volta ed è interessato ad acquisirne le conoscenze di base, sia per chi, avendo già esperienza, è interessato ad approfondire aspetti più specifici legati ai propri progetti. www.humbug.me www.soundkino.org

Per iscriversi ai workshop è nacessario compilare ed inviare l’apposito modulo di iscrizione scaricabile da associazioneculturalenub.wordpress.com Per ulteriori informazioni scrivere a ass.cult.nub@gmail.com


Via Giordano Bruno, 73 Montale - Pistoia associazioneculturalenub.wordpress.com e-mail: ass.cult.nub@gmail.com tel. 0573.959933


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