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23/30 gennaio 2011 05

una lente per decifrare uno spazio per affrontare e riprodurre un riflesso imperfetto dell’umanitĂ


NUB NUB è un’Associazione Culturale no-profit rivolta alla promozione della ricerca artistica contemporanea e alla produzione culturale NUB è espressione e confronto, corpo e mente NUB è un progetto alterato in continua mutazione NUB è un luogo indipendente e autofinanziato

WHY? NUB nasce dalla volontà di uscire dalla sterilità degli schemi culturali attuali, per riappropiarsi di un modo di intendere la cultura che non sia solo il proporre singoli eventi (fini a se stessi) o aprire nuovi spazi (che finiscono col restare vuoti) ma che si configuri come un concreto tentativo di dare vita ad una ricerca atta a coltivare un terreno -arido di contenuti- dove attraverso l’analisi di situazioni performative, laboratoriali o di scambio intellettuale far nascere una reale consapevolezza di appartenenza al presente. HOW? La scelta -obbligata- dell’ autofinanziamento diviene mezzo per rimanere indipendenti da logiche istituzionali e commerciali. Le attività e le iniziative proposte verranno finanziate direttamente dal pubblico attraverso un contributo che servirà solo ed esclusivamente per sostenere le spese e coprire i cachét degli artisti o degli ospiti invitati, ai quali sarà chiesto di rispettare e condividere la filosofia di NUB.


Bisogno di muoversi

BISOGNO DI MUOVERSI 23/30 Gennaio 2011

Bisogno di muoversi è il primo appuntamento curato dall’Associazione Culturale Nub dedicato alla performance: tre fine settimana in cui assistere a tre modi diversi di intendere e interpretare il movimento nella sua dimensione comunicativa e artistica, in un percorso di ricerca di nuove estetiche non convenzionali. Muoversi. Come se non ci fosse altro, come se non ci fosse nient’altro, che quell’irrefrenabile impulso, quell’irresistibile richiamo, quell’incontrollabile bisogno di opporre una resistenza attiva allo stato di stasi del nostro corpo e del nostro essere, nel luogo e nel tempo che ci è dato. Così staccarsi da quanto ci possa essere abitudinariamente attribuito. Essere qualcosa di nuovo, di diverso. Essere in movimento. Perché quando il corpo si muove da e verso un significato, il corpo diventa significato stesso e di se stesso, di quanto rappresenta e di quanto incarna, di ciò che veste sia fuori che dentro, dall’abito esterno agli organi più interni. Muoversi così sia dentro che fuori. Muovere corde vocali per trasmettere un suono capace di far vibrare il timpano,

di far smuovere lo stomaco, di toccarlo e di stringerlo, ribaltando la sedia che ci vuole fermi e incapaci di porre un passo dietro l’altro. Senza mai fermarsi: è quello che facciamo. Da case, edifici, luoghi pubblici e privati: mobili tra gli immobili, in una perfetta sincronia tra noi e il niente. Riappropriarsi allora del senso a cui il movimento sussiste e soggiace. Dare significato al gesto, alle azioni, alle parole pronunciate. Correre e lasciarsi andare, e cedere alla necessità, al bisogno di muoversi.


23 Gennaio 2011

CALIGOLA O IL SENSO DELLA MORTE L’epimeteide

Angelo Airò Farulla suono, scrittura

Elena Fatichenti

esecuzione space, design, immagine

“un coup de revolver jamais n’abolirà le hasard” Labirinto linguistico in cui il linguaggio si rivela strumento di perdizione, ossessione, perdita del senso o addirittura della vita. La performance “Caligola o il senso della morte” è un’epica ipermediata che, abitando lo scarto che separa ed unisce la forma del dittico da quella del trittico, ritrae la figura di Caio Caligola, il terzo imperatore della Roma antica, colui che impose alla sua corte la più spietata coincidenza di uomo e segno. Volle incarnare il pensiero ed ipostatizzare il suono. Regnò dal 37 al 41 a.C.; poco più di tre anni di abuso di un potere illimitato, durante i quali il sovrano diede forma ai suoi fantasmi pubblici e privati mediante l’esasperazione del potere tautologico della parola. La parola è un tremendo pericolo, soprattutto per chi l’adopera, ed è scritto che di ciascuna dovremo render conto. Quale distanza abissale separa il detto dal senso che gli attribuiamo nel pronunciarlo? In questo caso si tratta di volere per forza la conseguenza di un significato: in ogni caso, violare il senso. Operare per forza o con frode

un’esatta corrispondenza tra due termini reciprocamente irriducibili - quali la vita e la morte - che di lontano suona: Significa et Impera. Una corrispondenza che, in scena, viene duplicata, triplicata, ossessivamente unificata nell’erranza del senso tra differenti media; nell’interferenza dei diversi supporti che la parola può sopportare: testo - scrittura, suono - voce, icona - immagine. Un discorso univoco, incentrato sulle “convergenze parallele” tra la dimensione diacronica dell’audio che è ascolto di un’immagine acustica, e la dimensione sincronica della visione che è visione del testo. Di immediato c’è solo il filtro dei supporti, un surplus di significanti che si presenta al pubblico in uno spazio irreale, dato nella relazione tra senso, significato e significante; uno spazio che si fa scena e storia, viatico autoreferenziale, diaframma opaco e trasparente


L’epimeteide Una formazione artistica fondata nel 2004 a Firenze, all’interno dell’exospedale psichiatrico di San Salvi da Angelo Airò Farulla (performer, sound and text designer) e da Elena Fatichenti (space designer). Orizzonti della sua attenzione sono il racconto del mito attraverso lo studio dello spazio scenico e della drammaturgia musicale e sonora. Tra gli eventi principali si ricordano la performance “753”, sulla fondazione di Roma, vincitrice del premio Arte Laguna- sezione perfomance anno 2009; “Nabucco, marzo 1842”, messa in scena sitespecific dell’opera di Giuseppe Verdi, vincitrice nel 2008 del Premio Internazionale della Performance a Trento e riproposta nell’ottobre 2009 in occasione della mostra “Viva l’Italia”, a cura di Fabio Cavallucci, presso la galleria E. Astuni di Bologna. Tra il 2008 ed il 2009 L’epimeteide è stata ospite in residenza presso lo spazio per-formativo arti contemporanee Duncan3.0 di

Roma dove ha realizzato, tra l’altro, “N.O.R.M.A. di Vincenzo Bellini- thanatografia e passeggio”, enigma teatrale per anagrammi e lampade di Wood, opera già vincitrice nel 2007 del premio RAI per la radiofonia “Umberto Benedetto – Microfono di Cristallo”. Dal 2007 collabora stabilmente con l’artista Diego Mazzaferro. www.epimeteide.org


Drum Scape Coreografia di

Massimiliano Barachini e Jacopo Jenna Batteria di

Filippo Baldi e Gianluca Ingrassia DRUM SCAPE è un pezzo per due danzatori e due batteristi e fa parte del progetto “Scapes” una serie di improvvisazioni su “scores” cioè partiture corporee (che prendono ispirazione dagli “Invisible Landscapes” di John Cage), che inserite in ambienti diversi, produrranno forme diverse. Il nostro corpo è fatto di ritmi: pulsazioni, maree, flussi, cadenze. Il cuore, il sangue, il pensiero, l’energia creano e sottostanno a questi ritmi. Il rapporto con altre persone crea nuovi ritmi, a volte sincopati quindi incontrollabili. Il rapporto con l’universo è un unico ritmo di una marea che ci contiene tutti. All’interno del lavoro abbiamo deciso di essere mezzo e testimoni del sistema dei fluidi all’interno del nostro corpo e “suonare” le batterie attraverso i batteristi. In che modo i batteristi colgono il ritmo dei nostri fluidi? Come riescono at-

traverso la visione a relazionarsi al movimento e allo stesso tempo essere risuonati dal loro sistema percettivo? scapespacescapespace.wordpress.com


Massimiliano Barachini

Jacopo Jenna

Nel 1995 si è laureato cum laude all’Università di Pisa con una tesi sulla semiotica teatrale e video. Ha studiato balletto, tecnica Cunningham, release e contact improvisation in Italia e a Londra, e ha frequentato lezioni e workshops anche in Parigi, Amsterdam e New York. Lavorando come danzatore con compagnie tra cui Aldes (Roberto castello), Virgilio Sieni e Company Blu (Alessandro Certini e Charlotte Zerbey), teneva ed tiene tuttora workshops e lezioni aperte sia per non danzatori che per professionisti. A Londra ha lavorato con Arc Dance Company, Mark Bruce, Cathy Seago, Chard Gonzalez, Emma Diamond, in Irlanda con Adrienne Brown. Ha insegnato al London Studio Centre, The Place (classi professionali) e al Laban (Transitions Company). Nel 2003 si diploma con un master in coreografia al Laban di Londra con tesi sulla ricerca di un metodo di coreografia organica, con riferimento alla filosofia di Gilles Deleuze e Felix Guattari. Il suo interesse sta nel ricercare meccanismi improvvisativi nella performance, e nella contact improvisation. Pratica queste tecniche sia in performance, che nelle lezioni che nelle jams.

Artista Visivo e Danzatore Laureato in Sociologia nel 2005 si approccia alla danza in età adulta formandosi in Olanda presso Codarts-Rotterdam Dance Academy. Ha collaborato in qualità di danzatore con compagnie stabili e progetti coreografici in Italia e all’estero tra cui: Anouk Van Dijk DC (NL), Compagnia Zappalà danza (Italia), Steptext dance project (Germania), Compagnia Virgilio Sieni (Italia), Collettivo Cinetico (Italia). Attualmente lavora al progetto Space-Scape insieme a Massimiliano Barachini ed Elena Giannotti. La sua produzione artistica si sviluppa intorno ad una riflessione sul senso del corpo, inteso come luogo di impressione ed esposizione del pensiero attraverso la forma e il movimento. I lavori si orientano verso una ricerca di coesistenza tra le pratiche e le tecniche performative del danzatore e l’utilizzo di linguaggi come la fotografia e il video. www.jacopoj.it


GMGS_10MINUTESPLEASE Codice Ivan Creazione collettiva

Codice Ivan Di e con

Anna Destefanis, Leonardo Mazzi, Benno Steinegger Una produzione di

Codice Ivan/Centrale Fies/FAF/Contemporanea Prato In collaborazione con

Fondazione del Teatro Stabile di Torino/Prospettiva

C’è un unico errore innato, ed è quello di credere che noi esistiamo per essere felici. A. Schopenhauer. Il progetto GIVE ME MONEY, GIVE ME SEX (GMGS) nasce dal bisogno di confrontarsi con un concetto, un motore del fare quotidiano e con la sua spesso ossessiva ricerca: la felicità. Ognuno è portato a lottare per raggiungerla senza però capire né dove né come andare. L’ unica certezza è l’(auto)cacciata da un mondo perfetto, e la consapevolezza che ogni azione “umana” produce più danni che vantaggi. E allora ci chiediamo: come dobbiamo vivere? GMGS_10MINUTESPLEASE! è un’ulteriore tappa di questo percorso o meglio un nuovo punto di partenza che nasce a seguito di tre precedenti studi.

Non si tratta di un lavoro concluso, ma di un vero e proprio trailer di dieci minuti, appositamente studiato per Prospettiva 2010: un montaggio di immagini, suggestioni, concetti, bisogni e domande presentato al pubblico in una performance, sì autosufficiente, ma anche proiettata verso uno prossimo sviluppo… studi precedenti: GMGS_(si)AMO ALL’INIZIO (Faf, Firenze) GMGS_(andi)AMO AVANTI (Contemporanea, Prato) GMGS_(lasci)AMO TUTTO (Drodesera, Fies)


Codice Ivan

Codice Ivan nasce nel 2008 dall’incontro di Anna Destefanis, Leonardo Mazzi e Benno Steinegger. Da subito il lavoro del gruppo si orienta principalmente verso le arti performative/teatrali ma avviando anche un percorso di ricerca rivolto all’utilizzo di formati diversi. Nel 2009 Pink, Me & The Roses, lavoro d’esordio, in cui si riflette sul perché tutti i tentativi di dialogo sembrino destinati all’insuccesso e sul perché sia proprio il linguaggio a segnarne il fallimento, riceve il Premio Scenario. Nel 2010 inizia il percorso di ricerca performativa We Wanna Be Your Happening di cui W.ROOM---VISITORS(SPACE), progetto specifico per Santarcangelo 40, è la tappa più recente: in che modo il concetto di velocità incide sulla nostra vita? e sulla nostra realtà? sul tempo, lo spazio, la memoria, l’oblio, il presente e il futuro?

Del 2010 è anche il progetto video TANKTALK (progetto per un’azione urbana collettiva). Attualmente Codice Ivan è impegnato nel processo di ricerca che porterà alla presentazione di un nuovo lavoro, GIVE ME MONEY GIVE ME SEX, give me coffee and cigarettes_ _(?), che nasce dal bisogno di confrontarsi con un motore del fare quotidiano e con la sua spesso ossessiva ricerca: la felicità. Il lavoro del gruppo è sostenuto da Centrale Fies, Dro (www.centralefies.it). www.codiceivan.com


Tentativi

di Marco Carlesi

// COULD I? // POSSO? Un tentativo, più che una risposta, che

ed è evidente la necessità che i vasi

nasce dalla necessità di interrogarsi e

comunicatori vengano aperti.

di comprendere, di tracciare una linea a partire da noi stessi, per seguirla fino

Non possono continuare a esistere cir-

a poi tracciarne un’altra. E proseguire.

coli chiusi su se stessi e autoreferenziali.

Possiamo influire? C’è bisogno di un confronto con l’esterPossiamo modificare?

no. Altrimenti si muore.

Possiamo cambiare?

Un essere vivente è un sistema aperto in grado di

Quello che abbiamo intorno può essere in

interagire con l’ambiente

esterno scambiando energia e materia.

qualche modo influenzato? Accettare allora di interfacciarsi Possiamo deturpare la tranquillità e il

e di

influire l’uno sull’altro.

sonno di un comune assonnato, di una provincia dormiente, di una regione fer-

E riflettere il globale nel locale.

ma sulle glorie dei tempi passati, di una nazione in coma? La necessità è sollevare, unire, manifeAnche se dicono che tutto il mondo è pa-

stare una domanda.

ese, mi chiedo se qui possa esistere una proposta diversa.

Vedere e fare.

Ne esiste il bisogno? Ne esiste la ri-

Sperando che presto sia più semplice.

chiesta? E quindi qualcuno deve soddisfarla?

Ho un bisogno da soddisfare e lo rappresento. Ho fame di un cibo ideale che manca sempre alla nostra mensa.

Dovremmo fuggire, forse a Berlino. Ma qui resterebbe un muro da abbattere,

Per tutti.



Out of focus

di Theda Flor

Il corpo fluttuante Una riflessione scaturita da Glow Durante la passata Biennale di Danza a Venezia mi sono trovato quasi casualmente ad assistere ad una performance degli australiani Chunky Move, compagnia che utilizza da tempo video interattivi e fondali elettronici, uniti ovviamente alla danza. Oltre ai performer, Glow (questo è il titolo della performance dei Chunky Move) ruota attorno alle figure di Gideon Obarzanek, direttore artistico e coreografo e di Frieder Weisse, il creatore del software interattivo utilizzato. Fortemente attratto dall’elemento di innovazione tecnologica ma respinto da quello che sembrava annunciarsi l’ennesimo lavoro incentrato sul “corpo”, mi sono seduto, un po’ prevenuto, sugli spalti di uno splendido spazio scenico, allestito ad hoc presso il complesso dell’Arsenale. Al di là di una molto personale predilezione per l’anatomia e l’anatomopatologia che mi porta ad apprezzare, anche da un punto di vista antropologico e sociale, non solo estetico, certe rappresentazioni estreme, almeno provocatorie, che vanno dal Wiener Aktionismus ai cadaveri della Senna di Greenaway, dalle autotorture di Bob Flanagan alla Carnal Art di Orlan, dalla musica dei Carcass all’estetica dell’organismo cavo ed alle invasioni cibernetiche di Stelarc, non ho mai provato molto interesse per quei tentativi più istituzionali di tradurre in arte l’idea - su cui peraltro, dopo Artaud e il decostruzionismo, siamo tutti d’accordo - che il motore generatore della significazione sia appunto il corpo, con la parola che nasce dal gesto e si produce poi nella scrittura alfabetica e/o simbolica. Ma in Glow, il fulcro della performance risiede non tanto nel “corpo” della danzatrice, quanto, come in una operazione algebrica, nella differenza tra il corpo ed il suo “doppio elettronico” e quindi in quella energia residuale che avanza letteralmente - rispetto al costituirsi del corpo come linguaggio ossia la produzione linguistica non esaurisce nel

processo della significazione l’energia proveniente dal corpo. Su questo “scarto” si è concentrata tanta arte contemporanea, soprattutto tanta produzione teatrale contemporanea, ma spesso ho l’impressione di avvicinarmici maggiormente contemplando un gangbang amatoriale di provincia o una bella giocata di Del Piero (Carmelo Bene, suo grande fan, durante un’intervista televisiva gli disse che in alcune occasioni non giocava, bensì “era giocato” …con seguente imbarazzato e muto stupore del fantasista juventino…).

Glow, attraverso l’utilizzo di un sistema video molto particolare che prevede l’acquisizione dell’immagine della danzatrice in movimento da una videocamera ad infrarossi, un immediato passaggio di postproduzione e la ri-proiezione real time dell’immagine elaborata sulla figura della danzatrice stessa, creano invece un corto circuito che rende quel “significante fluttuante” che eccede dalla significazione prodotto dal linguaggio (in questo specifico caso, la danza) oggettivamente rappresentabile ed esteticamente affascinante. Come? Si tratta di una sorta di fantasma che lotta con e per il corpo della danzatrice, di una dilatazione quasi mistica del gesto e della figura, di un alone di energia pura vagante, di quel sovrappiù fluttuante che finalmente trova un fenomeno dell’esperienza a cui associarsi; è come assistere ad un rito magico, come fare un trip lisergico, ma


in questo caso non è la nostra coscienza a modificarsi, ad estendersi piuttosto l’oggetto stesso della nostra conoscenza. Referenti e segni si accoppiano e diventano pertinenti in un flusso soggetto a risistemazioni perpetue; d’altra parte la manipolazione del video (e del suono) in real time rende diversa ogni performance dalle precedenti. E’ qualcosa che ha a che fare più con il “fare”, anzi con il “potere”, che con il “dire” e che accade soltanto in alcune condizioni di mutamento degli ordini, rivoluzioni, riti di passaggio, trasgressioni, malattie, morte. La performer (unione della danzatrice con il suo doppio), essere organico solitario, stracciato da mutamenti che la portano fuori e poi di nuovo dentro la sua condizione umana, che la trasformano in mostri sensuali ed inquietanti, rappresenta proprio queste dinamiche di risistemazione e di liberazione di energia: l’identità del corpo quindi come luogo di passaggio e di contatto tra natura e cultura ma anche come luogo dove le metamorfosi culturali si riflettono.

Glow, Chunky Move

Siamo davvero lontani dalle teorizzazioni e dalle rivendicazioni individualistiche del secolo passato; la costruzione della conoscenza e dell’identità, nel contesto sociale e tecnologico che viviamo (internet/realtà virtuale/brainframes), passa da una parte attraverso la disseminazione, benché virtuale, dei sensi, dall’altra da una rifondazione del rapporto tra il corpo (fluttuante, sempre meno personale e più collettivo) e l’individuo da cui è stato generato.


Chime in Teatrino Elettrico sono Emanuele Martina e Massimiliano Nazzi. Il progetto si focalizza sulle possibilità espressive dell’ oggetto di uso comune animato per mezzo dell’elettricità, nella creazione di un linguaggio a/v totalmente real time, privo di campionamenti o registrazioni, oggetti che sono utilizzati non solo come macchine sceniche o in funzione scenografica ma come veri e propri interpreti di un racconto puramnete evocativo. Il gruppo ha realizzato concerti, performances live-media, spettacoli teatrali, installazioni multimediali, workshops e altri progetti ibridi. Abbiamo colto l’occasione e prima del live dell’otto Gennaio abbiamo scambiato con loro alcune parole per approfondire il loro lavoro. Com’è nata la vostra collaborazione? [Emanuele Martina] Vada (ride) [Massimiliano Nazzi] La nostra collaborazione è nata un po’ per caso, per una residenza che abbiamo fatto in Croazia in cui ci fu chiesto di fare un’installazione, in realtà durante il lavoro assemblammo del materiale, e finimmo per realizzare un live per l’inaugurazione, e da lì è partita la nostra collaborazione. Quali sono le vostre principali influenze musicali e quali sono gli artisti che vi hanno maggiormente influenzato? [E.M.] Questa sempre te (ride) [M.N.] Tocca a me eh? (ride) Le nostre influenze musicali sono piuttosto varie, noi ascoltiamo pochissimo noise, ci piace invece ascoltare musica varia; dico questo non per fare il classico discorso su “non so cosa mi piace”, ma piuttosto per dire che comunque lavoriamo all’interno del noise, ma per venirne un po’ fuori con delle

dinamiche che non siano solo di ascolto contemplativo, ma che invece abbiano una concretezza anche ritmica. Quello che spesso ci sorprende è che un pubblico anche completamente a digiuno di noise, ascoltandoci, si interessa alla dinamica del nostro suono, non so perché forse ha qualcosa che invece ne viene un po’ fuori come se fosse una declinazione un po’ rock’n’roll del noise, [E.M.] bello (ride) [M.N.] A noi piacciono tantissimo Musica per bambini e Walkie talkie per quanto riguarda l’ambiente italiano, in ogni caso è un po’ difficile parlare di influenze; per quanto riguarda i gruppi che ascoltiamo ci piace però citare questi due. Come costruite le vostre performance e quali strumenti utilizzate nei vostri live? [E.M.] Di norma ci troviamo e bunkerizziamo in una stanza per qualche giorno, ognuno portando le sue cose, le idee, oggetti trovati e proviamo a improvvisare finché non troviamo qualcosa che ci pia-


ce, dopodiché montiamo uno spettacolo vero e proprio di cui abbiamo una sorta di scaletta, ma che spesso sfugge o comunque in cui i momenti di improvvisazione sono molto importanti, e man mano che lo spettacolo “gira” lo affiniamo, riusciamo a capire cosa funziona di più e cosa di meno, anche grazie al fatto che lavorando insieme, riusciamo sempre di più a conoscerci meglio dal punto di vista performativo. [M.N.] Il punto di partenza è sempre l’oggetto e le sue potenzialità, da lì in poi cerchiamo di tirar fuori una drammaturgia, cercando sempre di lasciarla piuttosto evanescente, anche se ci piace dare delle fasi come se fossero degli atti del concerto-spettacolo, all’interno di questi atti poi ci muoviamo liberamente; di fatto ci troviamo di fronte a un flusso sia audio che video che a volte riusciamo a mantenere più sotto controllo, altre meno, ed è questo che ci piace, soprattutto il fatto che la fine del live di solito coincida con la perdita totale del controllo.

L’utilizzo che fate della tecnologia nel vostro lavoro è legata al riciclaggio di macchinari obsoleti; come avviene la scelta di questi materiali e qual è il criterio che sta dietro la composizione finale? [M.N.] Lavorare con materiali obsoleti è sia perché ci piace effettivamente la loro usura sia delle motivazioni puramente estetiche ma anche solo il design. Il design passato di certi oggetti riporta, cioè riconduce direttamente la produzione industriale a un momento in cui questa produzione industriale è già vecchia , anche se si parla di cose che comunque per vecchie si intende 10- 20 anni, quindi niente, però questo, si crea come un corto circuito di senso in cui anche quello che vediamo nelle vetrine oggi ce lo possiamo immaginare trapassato tra cinque anni, ma anche meno, e quindi ci piace tirare in ballo questa faccenda della catastrofe, della continua sovrapproduzione che crea sicuramente immaginabili scenari catastrofici


Teatrino Elettrico - live@NUB

L’esaltazione del micro attraverso il macro fino a farlo diventare protagonista. Come nasce la visione del dettaglio e quali sono i processi di alterazione che poi utilizzate e in che modo poi tutto questo si lega all’aspetto sonoro? [E.M.] L’esaltazione del dettaglio nasce da delle esigenze tecniche, in quanto, all’inizio abbiamo cominciato a fare assemblaggi molto grossi, il cui montaggio portava via molto tempo, perciò in seguito abbiamo iniziato a lavorare con cose molto più piccole, in questo modo siamo riusciti ad arrivare ad un set up tipo live media. Di solito nel posto in cui avremmo dovuto suonare trovavamo megaschermi, impianti audi potenti e spesso a disposizione avevamo un tavolo piuttosto piccolo per assemblare i materiali, quindi impianti audio potenti e megaschermi richiamano da soli la visione del dettaglio, il piccolo che viene esaltato al limite estremo dallo schermo diventa l’esplosione del concetto. [M.N.] (ride) In effetti è una cosa che è venuta un po’ fuori da sola, è uno di quei meccanismi di cui ci rendiamo conto pra-

ticandoli. Ci siamo resi conto che non aveva senso lavorare con apparecchiature molto grandi dal momento che c’era già solitamente una forte amplificazione sia visiva che sonora, quindi abbiamo accentuato questo meccanismo fino a farlo diventare sempre più dal più piccolo al più grande, aumentando lo spessore del volume, richiedendo il più possibile grandi schermi e noi lavorando con oggetti sempre più piccoli per ampliare questo divario. In Italia non è così facile trovare posti per fare musica, non che non ci siano luoghi, ma sembra in generale non offrire molte possibilità, come se mancasse quella che in un certo senso potremo chiamare: cultura dell’ascolto. Cosa pensate della situazione italiana e del pubblico italiano in base alla vostra esperienza? [E.M.] Per conto mio posso dire che, fin ora ci siamo esibiti in posti molto diversi, dal locale in cui si fanno concerti di elettronica, a quello in cui su fa il live cinema non escludendo il teatro, quindi abbiamo incontrato anche pubblici che venivano da situazioni di-


ne è è già migliore, perché si ha più consapevolezza del fatto che si va in un posto per vedere, per ascoltare qualcosa e non per parlare con le persone e rimanere al livello di socialità “da mostra” ovvero a quel livello di socialità da mostra che non ti da spazio per una fruizione di quello che si dovrebbe fruire, la scoperta di un pubblico musicale consapevole per me è stato è stato un fattore molto positivo, ho trovato che nonostante le strutture non adeguate, il pubblico sa cosa gli piace e come/dove andarlo a trovare. verse, e, in generale, col nostro mischiare le carte, perché è un po’ quello che ci piace fare: tenere i piedi in tante scarpe, siamo riusciti ad avere dei feedback molto positivi da tutte le persone che abbiamo incontrato, tutto ciò pur rimanendo sempre un po’ alieni rispetto al posto in cui andavamo a esibirci. Per quanto la situazione italiana non credo di saper descrivere bene... [M.N.] Quello che invece io volevo dire, è che uscendo dal mondo delle arti visive, per quanto riguarda la musica, la situazio-

Teatrino Elettrico - live@NUB

www.teatrinoelettrico.org


0:01 di Abythos produzione Associazione Culturale Nub



Focus on

di Andrea Piran

Movimento come ricerca Il termine avanguardia nasce come metafora militare, la prima linea di fanteria che esplora il territorio per preparare l’avanzata di un esercito. Dalla seconda metà dell’ottocento diventa una defininizione che fa da ombrello alle più disparate correnti artistiche. A differenza di altre termini e categorie, non identifica particolari personaggi o periodi storici però, in compenso, è un termine associato a qualcosa di poco comprensibile. Ogni forma d’arte d’avanguardia si qualifica per l’allontanamento dalla tradizione, intendendo con questo termine le forma storicamente consolidate. Le rotture con le forme espressive classiche sono state definite a volte come un movimento lineare tanto che alcune correnti si sono pensate come evoluzione della classicità, basti pensare che Schoemberg definì la dodecafonia come estrema conseguenza dei modi dell’armonia, ed a volte come rottura brusca col passato, tanto che negli stessi anni Marinetti propugnava le forme futuriste come superatrici delle forme esistenti. L’evoluzione dei linguaggi artistici sembra più una figlia di circostanze storiche e casuali che un oggetto che cammina su un binario fissato. Negli anni ‘70 Michel Chion identifica quattro fasi in cui si evolve una forma artistica: la prima fase è quella che definisce come “periodo zero” ed è caratterizzata dal fatto che il lavoro sul contenuto è generalmente sottoposto alla dimostrazione di una particolare tecnica. La seconda fase è quella della “imitazione dei modelli nobili” in cui si utilizza una forma classica tipica delle belle arti. La terza fase è quella della ricerca della “purezza” stilistica al fine di espellere ogni elemento delle forme precedenti. La quarta fase è quella dell’”ibridazione” in cui si inizia a subordinare le scelte stilistiche al messaggio dell’opera, la fase in cui “tutto viene rimesso in causa”. Anche se la sua validità complessiva è subordinata alla storiografia di riferimento, cioé lo sviluppo del cinema e della musica elettroacustica, è uno schema che mette

in rilievo come l’accettazione sia in qualche modo legata all’uso di una forma accettata di riferimento. La fase “imitativa” è giustificata con la necessità di un accettazione accademica. Ben conscio della teorizzazione classica dell’arte d’avanguardia, fatta da Renato Poggioli, in cui viene posto l’accento sulla dialettica in opposizione alle forme tradizionali, questo schema rivela anche un intuizione di fondo. La categoria in questione è, in fondo, una categoria storica nel momento in cui ogni corrente arriva, in un tempo più o meno lungo, ad una forma classica che la inserisce in una storia di respiro più grande. Ma, sopratutto, dato che nessuna forma rimane a lungo interessante nello stato di pura innovazione stilistica, genera ibridazioni entrando in dialettica con forme classiche che rendono tradizionale quello che prima era innovativo. “Una volta il mio professore mi disse: non puoi dipingere come Caravaggio. Solo Caravaggio può dipingere un Caravaggio”. (Keith Rowe)

Caravaggio, Medusa


OBIT Patricia Anne Keenan musicista nata il 28 Settembre 1968 morta il 14 Gennaio 2011

(Trish Keenan)

Membro fondatore degli electro-pop Broadcast, band che si era formata a metà degli anni novanta a Birmingham, dopo diversi singoli pubblicati da Wurlitzer Jukebox e Duophonic Records, la celebre etichetta Warp Records aveva prodotto il loro primo album, The Noise Made By People nel 2000. Tre anni dopo, era arrivato Haha Sound, che mescolava suono elettronico e sonorità degli anni sessanta. Nel 2005, la cantante Keenan e un altro membro del gruppo, il polistrumentista James Cargill, durante un soggiorno a bordo di una nave avevano dato vita al loro terzo ed ultimo album vero e proprio, Tender Buttons. Alcuni singoli avevano preceduto il loro ritorno nel 2009, una collaborazione con il Focus Group per un mini-album chiamato Broadcast and The Focus Group Investigate Witch Cults of the Radio Age, una sorta di ultima esplorazione nella musica dell’occulto, una loro passione, attraverso fantasmi, incubi, incantesimi, bellezze contorte, pubblicato sempre su Warp.


Coming Next // LIVE .Febbraio 2011 Giovedì 10

GLUE POUR (F) + PATO (E) www.benjaminlaurentaman.com www.patooo.net Mercoledì 23

FATHER MURPHY

No Room for the Weak

www.myspace.com/reverendmurphy

.Marzo 2011 Sabato 19

Francesco Giomi Solo

www.francescogiomi.it Giovedì 31

Satan Is My Brother

Musicazione de L’Inferno (1911) www.myspace.com/satanismybrother6

// WORKSHOP 5/6 Febbraio 2011

ACUSMA

Analisi e prassi della sonorizzazione di immagini a cura di Matteo Bennici

Iscrizioni aperte fino al 31 Gennaio. 26/27 Febbraio 2011

FIELD RECORDINGS

Registrazione e composizione del paesaggio sonoro a cura di Alessandro Massobrio e Fabio Orsi Iscrizioni aperte fino al 30 Gennaio. 19/20 Febbraio

Isadora Workshop

Composizione e interazione video in real-time a cura di InFlux

Iscrizioni aperte fino al 15 Febbraio.


Coming Next

.Aprile 2011

Andrea Belfi Solo Live Set

www.chocolateguns.com

.Maggio 2011

Luciano Maggiore + Francesco “Fuzz” Brasini Chàsm Achanés (Huge Abyss)

soundcloud.com/lucianomaggiore soundcloud.com/francescofuzzbrasini

// Workshop .Aprile 2011

Physical Computing Workshop a cura di Matteo Marangoni

I computer diventano sempre più veloci ma nella maggior parte dei casi continuiamo ad utilizzarli con le solite interfacce: monitor, mouse, tastiera, speaker. Con pochi rudimenti di elettronica e programmazione possiamo inventarci ogni sorta di collegamenti tra il mondo virtuale e il mondo fisico. Nel workshop saranno introdotti i microprocessori Arduino, i sensori e gli attuatori più comuni che consentono di misurare gesti, movimenti e condizioni ambientali e di utilizzare i dati ottenuti tramite di essi per controllare o animare oggetti attraverso motori, luci, suoni etc. I microprocessori Arduino saranno visti sia come interfaccia I/O per comunicare via protocollo seriale con software come Max/Msp e simili, che in modalità stand-alone, programmate in linguaggio Processing. Il workshop ha una durata di due giorni e prevede una parte teorica e una parte pratica in cui i partecipanti potranno provare a realizzare un piccolo progetto. Saranno forniti alcuni materiali, essendo però la disponibilità limitata i partecipanti sono incoraggiati a portare: computer, microprocessori, saladatore a stagno, multimetro, componenti elettronici, elettronica di consumo, giocattoli etc… www.soundkino.org Per iscriversi ai workshop è nacessario compilare ed inviare l’apposito modulo di iscrizione scaricabile da associazioneculturalenub.wordpress.com Per ulteriori informazioni scrivere a ass.cult.nub@gmail.com

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