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5 dicembre 2010 02

una lente per decifrare uno spazio per affrontare e riprodurre un riflesso imperfetto dell’umanitĂ


NUB NUB è un’Associazione Culturale no-profit rivolta alla promozione della ricerca artistica contemporanea e alla produzione culturale NUB è espressione e confronto, corpo e mente NUB è un progetto alterato in continua mutazione NUB è un luogo indipendente e autofinanziato

WHY? NUB nasce dalla volontà di uscire dalla sterilità degli schemi culturali attuali, per riappropiarsi di un modo di intendere la cultura che non sia solo il proporre singoli eventi (fini a se stessi) o aprire nuovi spazi (che finiscono col restare vuoti) ma che si configuri come un concreto tentativo di dare vita ad una ricerca atta a coltivare un terreno -arido di contenuti- dove attraverso l’analisi di situazioni performative, laboratoriali o di scambio intellettuale far nascere una reale consapevolezza di appartenenza al presente. HOW? La scelta -obbligata- dell’ autofinanziamento diviene mezzo per rimanere indipendenti da logiche istituzionali e commerciali. Le attività e le iniziative proposte verranno finanziate direttamente dal pubblico attraverso un contributo che servirà solo ed esclusivamente per sostenere le spese e coprire i cachét degli artisti o degli ospiti invitati, ai quali sarà chiesto di rispettare e condividere la filosofia di NUB.


focus on

IL CIRCUITO PIEGATO

Con Ciruit Bending -letteralmente “piegare il circuito”- si indicano tutte quelle modalità che portano a modificare in maniera creativa, attraverso dei cortocircuiti, apparecchi elettronici dei più svariati tipi, dai giocattoli a veri e propri strumenti musicali, allo scopo di creare nuovi generatori di suoni e nuovi suoni. Il circuit bending si inserisce nella categoria del “Do It Yourself”: il basso costo, il valore estetico, la facilità e l’immediatezza d’uso ed i risultati inaspettati sono i motivi principali del suo successo. Comunemente associato alla musica elettronica ed al noise, sono molti i musicisti provenienti anche da altri generi musicali che hanno sperimentato ed usato questa tecnica per la loro produzione. Ricostruirne una storia esatta è pressoché impossibile, ma questo metodo di creazione sonora è solitamente legato alla figura del compositore e musicista americano Reed Ghazala, che iniziò ad esplorarla già dalla metà degli anni ‘60, risultandone così un pioniere e guadagnandosi il titolo di “Padre del circuit bending”. E’ stato Ghazala stesso a coniare il termine circuit bending e a realizzare numerosi “strumenti sperimentali” per molti musicisti tra cui Tom Waits, Peter Gabriel, King Crimson; suoi lavori sono presenti nelle collezioni permanenti di musei come il Guggenheim ed il Whitney di New York. Tuttora attivo nella promozione di questa pratica, Ghazala è anche autore del libro “Circuit Bending, Make Your Own Alien Instrument”, dove si trovano spiegati tutti i procedimenti da lui stesso adottati nei suoi esperimenti. Non esiste una versione italiana del libro, ma lo si può facilmente trovare in pdf, in versione integrale, su Internet. Esistono anche altri interessanti testi dedicati al circuit bending come “Electronic Projects for musicians” di Craig Anderton o “Handmade Electronic Music – The Art of Hardware Hacking” di Nicolas Collins. E’ importante sottolineare che l’approccio al circuit bending va oltre le teorie elettroni-

che, che prevedono che i singoli componenti di un circuito siano collegati tra loro da regole e logiche ben precise. Nel circuit bending si va infatti a dissestare casualmente l’intero circuito, mandando la corrente elettrica da una parte all’altra del circuito stesso sconvolgendo il legame tra i singoli componenti. Va quindi distinto il bending dall’hacking: il primo avviene quando non si sa assolutamente quello che si sta ottenendo, il secondo invece avviene quando se ne ha piena consapevolezza. Proprio per questi motivi non è necessario avere delle basi di elettronica per avvicinarsi al circuit bending, ma è importante intervenire solo su apparecchi a bassa tensione (9V - 12V) alimentati a pile. Conoscere le diverse tipologie dei componenti del circuito e saper quindi riconoscere una resistenza, un condensatore o sapere cosa è un potenziometro o uno switch diventa però necessario se si vuole ottenere dei risultati apprezzabili: questo perché in tal modo possiamo non soltanto creare cortocircuiti ma inserire nuovi componenti per espandere e gestire le possibilità ottenute dal cortocircuito. Gli apparecchi più ricercati e di culto per il bending risalgono sicuramente agli anni ‘80, grazie alla semplicità con cui erano realizzati i loro circuiti interni oltre che per l’affascinante estetica che li contraddistingue: tra di essi spiccano le tastierine Casio e lo “Speak & Spell” (in Italia “Grillo parlante”). Viene comunque oramai utilizzato per il bending ogni tipo di strumento che contenga un circuito: batterie elettroniche, effetti per chitarra, synth, tastiere di ogni tipo, giocattoli come il Furby o Barbie Karaoke, fino ad arrivare a veri e propri strumenti creati da zero (noise machine, piccoli synth etc.). Uno dei nuovi e più interessanti aspetti che si sta sviluppando sempre di più negli ultimi anni è quello di interfacciare questi giocattoli/strumenti modificati con sistemi hardware complessi come Arduino, ampliando così a dismisura le possibilità creative di questo incredibile mondo.

Alcuni siti di riferimento: www.circuitbend.it www.anti-theory.com www.casperelectronics.com getlofi.com


// YOU NEED TO SHUT UP!? // DEVI FARE SILENZIO!?

Apprezzare il passare del tempo e dare così valore ai momenti e ai minuti trascorsi di fronte a ciò che si spinge a spezzare il niente. Ostruzione testarda a tutto questo, a tutto quanto mi riduca ad una costante nenia, ad un continuo bisbiglio. Cercare il senso della parola nelle parole. Parole non fini a se stesse ma che trovino il loro significato in noi stessi. Per non essere più barattoli vuoti che risuonano di un sordo e fioco rumore, ma conchiglie dalle più svariate forme in cui sentire infrangersi le mille onde del mare. Abbandonare l’assenza e chi nell’assenza vive, nell’assenza si esprime, dimenticandosi il vuoto che l’assenza cela. Essere così presenti, anzitutto per noi, per generare un legame, in noi stessi, con noi stessi, e con quanto avvolge il mio corpo così come il mio animo. Coinvolti e partecipi, come ai margini di un rito ritrovarsi così immersi in un laico silenzio di attenzione e rispetto. Guadagnare così alla parola.

col

silenzio

il

diritto

Donare un attimo all’artista che dona se stesso, prendersi quell’attimo e stringerlo a noi. Il più forte possibile. In modo da non essere più parole vuote, applausi di rito; in modo da non indossare sempre la solita faccia. Vestirsi col nostro vero volto, con i tratti e i segni del tempo, ricevuto e stretto. Basta parlare, a vanvera, commentare senza conoscere. Basta con le voci che non pensano, che ancora parlano, che ancora non pensano. Stanchi di trovare parole dove dovrebbe esserci silenzio. Stanchi di trovare silenzio dove dovrebbero esserci parole.


chime in

Drekka è il progetto di Michael Anderson da Bloomington, Indiana, Stati Uniti. Con questo pseudonimo è attivo fin dai primi anni ’90, da allora ha pubblicato svariati album ed EP; suoi brani sono stati pubblicati in numerose compilation. Questa vasta e frammentata produzione verrà adesso raccolta a partire da un primo doppio CD su MORC RECORDS, la cui uscita è prevista nei prossimi mesi. Michael Anderson gestisce l’etichetta Bluesanct con la quale sono stati pubblicati, oltre ad alcuni suoi lavori, anche quelli di altri musicisti come Low, Pantaleimon, Annelies Monserè, The Pilot Ships e Cindytalk. In occasione del suo concerto lo scorso 18 novembre, abbiamo parlato con lui del suo lavoro e del suo tour in Europa. Qual’è il concetto che sta dietro al tuo lavoro e quali strumenti utilizzi durate le tue performance live e i tuoi show? Solitamente penso alla musica che faccio come un film o un sogno senza immagini, quello che dovrebbe essere una sorta di viaggio introspettivo e cinematografico, una cosa del genere, questo almeno è quello che penso. E per far questo utilizzo un mixer con alcuni effetti e una looping station, prima di andare in tour registro varie cose con degli amici, varie melodie sulle quali abbiamo lavorato, e durante il live faccio un collage dal vivo di tutto questo. Quindi è un 50% improvvisazione e un 50% di una specie di spartito che faccio, come degli appunti con delle idee, e certe volto uso queste idee e altre volte no. Come Drekka hai iniziato a far musica sin dagli anni novanta, come è cambiato il tuo lavoro da allora? Ho iniziato come Drekka nel 1996, ma faccio musica sin da metà degli anni ottanta. Quando ho iniziato come Drekka ero più orientato verso il folk con chitarre, sul genere dei Flying Saucer Attack della scena folk degli anni novanta dell’area di Bristol, poi lentamente mi sono allontanato dal fare canzoni e sono tornato a qualcosa di più simile a quello che facevo negli anni ottanta, che era più industrial sound collage, ma meno noise e più simile ai film, al cinema. Quali sono le tue principali influenze musicali e quali sono gli artisti che ti hanno più influenzato? Probabilmente i più importanti sono i Coil, un band industrial degli anni ottanta e novanta che si è sciolta recentemente a causa

della morte del cantante, e i film diretti dal regista russo Tarkowskij; c’è anche una band inglese, ehm, scusate, scozzese -mi ucciderebbero se li chiamassi inglesi-, sono un band industrial degli anni ottanta e sono ancora attivi, si chiamano Cindytalk. Credo che questi tre siano sempre nella mia mente. Provieni dagli USA e hai fatto 4 diversi tour in Europa: in base alla tua esperienza quali sono le differenze principali tra gli USA e l’Europa, e l’Italia in particolare? Non faccio molti tour negli US come Drekka; io canto anche in una punk band chiamata Turn Pale con cui facciamo un death punk simile ai Birthday Party o ai Joy Division, e giriamo molto in tour negli States, ma negli States sembra che la musica sia sempre considerata solo come intrattenimento, quindi è molto difficile trovarsi in situazioni in cui Drekka sia presentato come una installazione artistica, che è quello che preferisco, quindi è davvero difficile suonare in un bar dove le persone sono semplicemente andate per passare la serata, e parlano mentre fai le tue cose, e l’ho fatto per 15-20 anni, ma non la prendo più sul personale perché le persone sono semplicemente fuori per la serata in un bar, negli States è più o meno tutto quello che puoi fare, puoi suonare in un bar o a casa di qualcuno, senza alcun guadagno, ed è piuttosto dura. In Europa credo che le persone capiscano che alcuni tipi di musica sono intesi come forma di comunicazione e forma d’arte, quindi le persone tendono ad ascoltarti meglio, in un modo molto più approfondito, e ti rispettano di più come artista, e non solo come un intrattenimento.


Quindi in Europa la musica è vista più come arte e non solo come intrattenimento? Sì, la musica sperimentale in particolare. La gente ci pensa di più, e dopo uno show ci sono più persone che si avvicinano a te e ne parlano, negli State non riesci ad ottenere questo, è davvero difficile (ride). In Italia non è così facile trovare posti per fare musica, non diciamo che non ci sono luoghi ma l’Italia sembra non offrire molte possibilità, potremmo dire che manca quella che potremmo chiamare in un certo senso “cultura dell’ascolto”. Cosa pensi della situazione italiana e del pubblico italiano, in base alla tua esperienza? Penso che, circa 7 anni fa quando feci il mio primo tour italiano, la situazione fosse molto diversa da adesso. Credo che negli ultimi anni la gente, grazie anche alla musica su internet, comunica in modo più globale, credo che ci siano più persone interessate all’arte, alla musica come arte. Quindi credo che in Italia ci sia un maggior pubblico in grado di ascoltare rispetto a quanto era solito essercene un tempo, ancora capita che alcune sere suoni in un bar e le persone parlano, ma è strano perché in Italia le persone parlano mentre suoni ma stanno parlano di ciò che stai suonando, ed è una stranezza, sono emozionati e ne parlano, ma non realizzano che stanno fottendo tutto il mood perché così io vengo distratto e mi sembra, non potendo capire quello che dicono, che mi stiano semplicemente ignorando.

Ho fatto un show in cui ho fermato tutto, ed era come se dicessi “dovete fare silenzio!” perché c’erano due persone proprio davanti che parlavano in continuazione e quindi è stato come dir loro “dovete davvero fare silenzio”, e le altre persone era come se mi dicessero “no-no-no! Stanno parlando di quanto gli piaci!” E io dissi: “beh, mi fa piacere ma io non posso andare avanti se hanno intenzione di continuare a parlare possono andare da qualche altra parte…” Quindi è strano. Per quanto riguarda la mancanza di posti, sto facendo 15 città diverse in 3 settimane, quindi penso che ci siano un sacco di posti, credo solo che dipenda dalle persone, dalle aspettative di un artista... sai, a me va di andare ovunque e di suonare ovunque, quindi, non abbiamo problemi, ho suonato in 40 città diverse in Italia, è abbastanza pazzesco, quindi penso che ci siano un mucchio di posti, devi soltanto cercarli e avere la volontà di scommetterci sopra.


COMING NEXT LIVE

/27 dicembre

FARAVELLIRATTI www.myspace.com/attilafaravelli www.nicolaratti.com

/8 gennaio

TEATRINO ELETTRICO www.teatrinoelettrico.org

PERFORMANCE

/23 gennaio

www.epimeteide.org WORKSHOP

/gennaio

L’EPIMETEIDE

ACUSMA

a cura di Matteo Bennici

/febbraio

Field Recording

a cura di Alessandro Massobrio e Fabio Orsi

/marzo

Physical Computing/Arduino

a cura di Matteo Marangoni

date ed eventi in programma aggiornati su: associazioneculturalenub.wordpress.com


Via Giordano Bruno, 73 Montale - Pistoia associazioneculturalenub.wordpress.com e-mail: ass.cult.nub@gmail.com tel. 0573.959933


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