Passo lento. Camminare insieme per l'inclusione

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A. Patete - N. Rabbi

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Nicola Rabbi Giornalista specializzato su tematiche sociali ed esperto di scrittura easy to read e scrittura chiara. Si occupa di cultura inclusiva anche nel campo della cooperazione internazionale. Lavora al Centro Documentazione Handicap di Bologna.

In un mondo dove tutto è diventato veloce, vorticoso, caotico, camminare è un atto di ribellione. Che lo si faccia nel deserto o sulle montagne, col bello o col cattivo tempo, l’importante è farlo insieme, ciascuno con il proprio passo e la propria diversità. Per scoprire alla fine che ogni cammino ci cambia, portandoci in luoghi in cui non avevamo previsto di andare. Cinque reportage su altrettanti trekking cosiddetti inclusivi.

Antonella Patete - Nicola Rabbi Passo lento

Antonella Patete Giornalista specializzata sui temi dei diritti umani, delle marginalità e dell’inclusione, negli ultimi 10 anni si è occupata soprattutto di disabilità. Dal 2005 lavora per l’agenzia stampa Redattore Sociale, per cui ha realizzato numerosi progetti di comunicazione e divulgazione.

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Passo lento CAMMINARE INSIEME PER L’INCLUSIONE

ISBN 978-88-6153-409-4

P Euro 14,50 (I.i.)

I libri di accaParlante si occupano di accessibilità non solo fisica, ma anche alla comunicazione, alla conoscenza, alla cultura, al fare e saper fare, alla relazione con la diversità. La collana, naturale evoluzione della rivista “HP-Accaparlante” del Centro Documentazione Handicap di Bologna, propone approfondimenti di taglio divulgativo ed esperienziale ed è uno strumento necessario per educatori, operatori sociali e insegnanti. Per chi ha a che fare direttamente o indirettamente con la disabilità, ma anche per chi pensa di non averne bisogno. Perché il lavoro culturale da fare è convincerci insieme che la disabilità non riguarda solo una categoria di cittadini ma è questione che riguarda la comunità tutta.


Antonella Patete Nicola Rabbi

Passo lento Camminare insieme per l’inclusione Prefazione di Angelo Ferracuti


INDICE

Prefazione di Angelo Ferracuti

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Asini di Nicola Rabbi

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Sabbia di Antonella Patete

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Neve di Nicola Rabbi

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Pioggia di Antonella Patete

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Foglie di Nicola Rabbi

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PREFAZIONE di Angelo Ferracuti

Camminare in un mondo dove tutto è diventato velocissimo, vorticoso, caotico, è un atto di ribellione. Ascoltare il corpo, farsi guidare dai sensi, e recuperare uno sguardo ad altezza d’uomo in equilibrio con i propri pensieri anche capace di liberarli. È un atto sovversivo l’assecondare il naturale in società sempre più artificiali dove l’esperienza diventa spesso astratta e immateriale, ancor di più se questa attività corporale, fisica, è collettiva e non solitaria, comunitaria e condivisa anziché individualistica. Un’attività che un grande viaggiatore come Bruce Chatwin chiamava “alternativa nomade”. Questo mi fa pensare al libro scritto a quattro mani da Antonella Patete e Nicola Rabbi, in cui raccontano esperienze di straordinaria umanità ed esperienze vissute in diverse latitudini e parti del mondo con persone che vivono l’atto liberatorio del camminare per sfidare paure e pregiudizi, ma anche come un “assoluto” fatto di libertà, di conoscenza e di scoperta attraverso i sensi en plein air. Sono reportage di viaggio, descrizioni di luoghi ma soprattutto esperienze e pensieri dei partecipanti – che possono essere persone con problemi di salute fisica o mentale, ciechi, ipovedenti e vedenti insieme, ragazzi richiedenti protezione internazionale – dove la cosiddetta disabilità o difficoltà di integrazione, invece che un limite o un deficit comportamentale o sociale, diventa una forza per guardare in maniera originale e diversa l’altro da sé e il mondo circostante, così come una forma di riscatto ed emancipazione. Anche questa forma di racconto ibrido e umano diventa una prossimità che i due autori compiono, quella che il grande fotografo Mario Dondero chiamava l’arte dell’avvicinamento, prendersi cura degli altri e 7


delle loro storie, vicende umane, retroterra di sofferenze ma anche di aspirazioni, sogni, archivi di immaginari. Il camminare allora assume un’importante valenza sociale, un passaporto per la salute nel Cammino di San Benedetto con i somari Alfio, Bigio e Camillo, formidabili animali da compagnia capaci di creare un collante nelle relazioni umane, un’esperienza che viene definita onoterapia. Oppure sulle dune dorate del deserto del Sahara a Marrakech con Noisy Vision, l’associazione che ha fatto delle esperienze in natura lo strumento più importante per promuovere l’empowerment delle persone con disabilità sensoriali, soprattutto visive, al quale partecipano “due guide, tre cammellieri, un tuttofare, un autista, un cuciniere e sette cammelli”, e con loro persone con disabilità sensoriali come cinque ciechi totali, tra i quali Francesco, che da bambino è stato un grande lettore di Jules Verne, una delle storie sorprendenti e commoventi di questo libro. E ancora il trekking inclusivo per minori; l’escursione sospesa sul Monte Grande a 1531 metri organizzata dal Ceis di Bologna; il Cammino nelle Terre Mutate nei crateri del terremoto del Centro Italia, tra Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo; l’associazione Su e giù senza barriere che gestisce le joëlette, le carrozzine da montagna sui monti delle Alpi Marittime. Tutte storie di incontri e di fatica, inclusione e socialità delle persone vulnerabili, ferite dalla vita o venute – come Henok in “Neve” – da mondi lontani e minacciati, storie di resistenza fisica e morale vissute insieme e con senso di riscatto, camminando.

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ASINI

Il valico non è lontano. Siamo ancora sotto la faggeta, ma alzando lo sguardo si vede che la salita sta per finire e si intravede tra le chiome degli alberi un ampio spazio di cielo azzurro. Eppure Antonio cede proprio adesso, si appoggia a un alberello e dice: “Non ce la faccio più... quanto odio c’è nel mondo, ma perché?”. Fermo il mio somaro e la parte della colonna che è rimasta indietro si blocca di riflesso. Siamo all’ultimo giorno di trekking lungo il Cammino di San Benedetto che ha visto coinvolti Andrea, Antonio e Michele, tre persone con problemi di salute mentale, Anna e Rita, due educatrici, Alessio, Antonio, Franco, Raffaella e Sandro, cinque volontari, tre somari e il loro conduttore Raffaele, a cui si sono aggiunti il sottoscritto e una fotografa con il compito di raccontare il viaggio. “Il trekking è giunto al quinto anno – spiega Rita, educatrice dell’Asl di Bologna – e fa parte di un progetto più ampio che si chiama ‘Passaporto per la salute’ dentro cui si svolgono altre attività di tipo sportivo, ludico-ricreativo, culturale.” L’iniziativa nasce dalla progettazione tra le associazioni di familiari, utenti e operatori del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl di Bologna, una collaborazione garantita in tutta l’Emilia Romagna da una legge regionale. Ma questo cammino nasce proprio da Rita, che aveva già sperimentato su se stessa il benessere che si crea in un gruppo di persone che passeggiano lente nei boschi in compagnia degli asini. Incontro i somari Alfio, Bigio e Camillo di mattina presto in un agriturismo vicino a Cascia. Sono soli e legati a una staccionata, oltre la quale si apre una valle ancora avvolta 9


dalla nebbia. Alfio mi guarda, gli altri mi ignorano e subito mi accorgo che questi non sono animali che ti si avvicinano scodinzolando o strusciandosi e nemmeno scalpitano inquieti come i cavalli, sono più misteriosi. Raffaele, la nostra guida, lega il basto agli asini e ci dà le istruzioni su come preparare i borsoni per poi appenderli sulle groppe degli animali che non verranno cavalcati, ma avranno solo il compito di portare i nostri bagagli. “Non dobbiamo dominarli cavalcandoli – spiega – ci aiuteranno semplicemente a portare i nostri pesi durante il viaggio. In realtà non li stiamo sfruttando, la loro utilità sta soprattutto nella capacità che hanno di far legare tra loro le persone, di farle parlare, di creare un collante tra i viaggiatori.” L’asino, con la meccanizzazione delle attività avvenuta nel secondo dopoguerra, ha perso la sua utilità come strumento di lavoro e in questi ultimi anni viene riscoperto soprattutto come animale da compagnia. Raffaele possiede 14 asini che ha acquistato nel corso degli anni, da quando nel 2006 gli è venuta l’idea di usare questi animali per percorrere lunghi tratti a piedi, data la loro resistenza fisica. Ha provato cammini in solitaria con la tenda anche in periodi invernali e ha poi cercato di trasformare questa passione in un’occasione di lavoro, collaborando con vari tour operator. La Santa degli impossibili La colonna si forma e parte lentamente. La prima tappa che ci aspetta è Cascia, il paese di santa Rita, la Santa degli impossibili, come viene definita a causa dell’alto numero di miracoli che le vengono attribuiti e che hanno salvato persone in condizioni disperate. Il suo culto è così diffuso che quasi 570 anni dopo la sua morte (avvenuta proprio a Cascia nel 1457) viene venerata in varie parti del mondo. Un miracolo più tangibile lo possiamo verificare anche noi: in questo territorio colpito duramente dai terremoti, l’ultimo dei quali nel 2016, le attività artigianali falliscono, 10


i negozi vengono chiusi, ma continua a funzionare l’economia della Santa. Gli abitanti del posto lo enunciano semplicemente con un “Viviamo della Santa”, visto che il culto di santa Rita attira numerosi fedeli qui e nella vicina Roccaporena, la località dove è nata. Attraversando il paese ci accorgiamo subito di essere un’attrazione per tutti e il motivo non siamo noi umani, che potremmo pure passare inosservati, ma sono gli asini della nostra carovana. I bambini si avvicinano incuriositi e gli anziani accarezzano gli animali: qualcuno di loro ci dice che da piccoli possedevano un somaro; aiutava i loro genitori nei lavori dei campi e addirittura nella costruzione della casa. Questa situazione si ripeterà in tutti i centri abitati che incontreremo, con persone incuriosite che si avvicineranno, ci faranno delle domande e vorranno fotografare o accarezzare gli animali. La prima sosta la facciamo proprio a Roccaporena, un bel borgo situato tra le montagne a 700 metri di altitudine. Qui nacque santa Rita e la leggenda narra che, oramai vedova e avendo perso anche i figli, decise di entrare in convento. Visto che là per ragioni politiche non la volevano, la Santa si ritirò a pregare su uno sperone di roccia (lo scoglio di santa Rita) da dove venne portata in volo direttamente all’interno del convento di Cascia. Mentre il gruppo si riposa, alcuni di noi decidono di scalare le centinaia di scalini che portano in cima allo scoglio dove è stata edificata anche una cappelletta. A metà percorso Andrea si ferma e dice di non riuscire più a salire, noi allora ci fermiamo con lui e aspettiamo che recuperi le forze. Gli chiedo con chi vive e mi risponde: “Abito con i miei genitori e ho un fratello che è fuori casa. Anch’io ho provato a vivere fuori con altre persone, ma non sono stato bene e allora sono rientrato”. Ha 40 anni e da un po’ di tempo lavora in una cooperativa sociale dove restaura mobili, “Ma io non sono bravo – precisa – faccio delle cose semplici”. In realtà, parlando del suo lavoro, mi accorgo 11


che una sua professionalità ce l’ha. Dopo un po’ si rialza e riprendiamo il cammino, fino a raggiungere la cima dello scoglio. Andrea a un certo punto si sporge e guarda in basso, là dove si vede un prato punteggiato da macchioline scure: sono i nostri asini che stanno brucando. L’uomo e l’asino: un rapporto ancestrale Il giorno dopo il percorso che affrontiamo è abbastanza impegnativo, attraversa foreste e pascoli e non incontriamo case. È un paesaggio senza tempo per chi è abituato alla vita cittadina, si cammina tra prati ai margini dei boschi con i colori tipici dell’autunno che passano dal verde scuro all’arancione screziato di rosso fino ad arrivare a un giallo intenso, mentre la nebbia del mattino si alza e presto svanisce portata via dalla brezza e gli unici rumori che si sentono sono il cinguettio degli uccelli e qualche muggito delle mucche chianine che pascolano libere. È un continuo sali e scendi e Antonio dà le prime avvisaglie di difficoltà. Anna, la sua educatrice, si avvicina a lui e lo incoraggia. “Lavoro con Antonio da vari anni e il camminare è un’attività che ci unisce. Faccio parte di un gruppo che si chiama ‘Stelle di roccia’ e ogni martedì pomeriggio ci ritroviamo a Casalecchio di Reno, alle porte di Bologna, per camminare assieme, operatori e utenti, in qualsiasi condizione climatica”, ci tiene a precisare Anna. Spesso le persone con problemi di salute mentale sono in sovrappeso per via dei farmaci, ma soprattutto per lo stile di vita che hanno, sedentario e spesso confinato entro le mura di casa. In queste condizioni, l’attività fisica si rivela utile sia a livello fisico che a livello psicologico. Mi accosto ad Antonio per parlargli e distrarlo, e mi racconta di aver lavorato per 28 anni in una cooperativa sociale che si occupava di pulizie, mentre adesso è in pensione. “Ho anche un figlio di 18 anni che non vedo più 12


da tanto tempo e non capisco il perché”, dice. Poi fa un gesto con la mano per passare le redini che guidano Bigio ad Anna, ma lei si rifiuta, gli dice di continuare e i due procedono lenti. In effetti il passo dell’asino è particolare, procede tranquillo, evitando sempre di trotterellare, anche se in salita la sua andatura può essere impegnativa per un camminatore non allenato. Quello che sorprende nel comportamento è l’assoluta tranquillità che gli asini hanno nei confronti dell’uomo, che non è indifferenza ma un loro modo, molto originale, di tenere i rapporti con noi. “L’uomo ha con l’asino un rapporto ancestrale – sostiene Raffaele – forse precede quello con il cane. Lo ha sempre aiutato nelle attività lavorative e ora sta emergendo la sua importanza nella pet therapy.” Si chiama onoterapia l’uso dell’asino a scopi terapeutici ed è arrivato dopo l’utilizzo dei cani, dei gatti e dei cavalli, ma presenta una serie di vantaggi che gli altri animali da compagnia non hanno. “Ha un corpo possente – spiega Raffaele – si può abbracciare ed esserne riempiti, non è piccolo come un cane o un gatto ma ha lo stesso pelo morbido. Ha il grande vantaggio di essere tranquillo e, a differenza del cavallo che è troppo reattivo, l’asino sta fermo, non scappa da te.” A questo si aggiungono alcune particolarità fisiche che ispirano immediatamente simpatia: le lunghe orecchie e le caratteristiche neoteniche, ovvero una testa e degli occhi grandi che lo fanno sembrare un cucciolo anche se invece non lo è più. La biga trafugata di Monteleone Finalmente la nostra compagnia arriva a Monteleone, un borgo medievale a quasi 1000 metri di altitudine. Ad accoglierci la solita curiosità della gente e anche un esperto di storia locale, che ci fa da cicerone. Leghiamo i somari a delle ringhiere e facciamo un giro del paese. “Monteleone è un paese ricco di monumenti storici del periodo medioevale – ci racconta la nostra guida – purtrop13


po i recenti terremoti hanno compromesso molti edifici che ora sono chiusi. All’inizio del 1900 venne ritrovata una biga etrusca del IV secolo avanti Cristo in un buono stato di conservazione, ma è stata trafugata.” Questa storia la conoscono tutti in paese ed è motivo di grande rammarico. Un trafficante di antichità riuscì a portarla negli Stati Uniti, dove alla fine approdò al Metropolitan Museum of Art di New York figurando tra le opere più famose. Un’occasione persa per Monteleone che, a parte la pastorizia e il commercio di legname, non ha un’economia locale sviluppata, fatto questo che porta allo spopolamento progressivo del Comune. Una delle risorse su cui puntare sarebbe proprio il turismo di tipo alternativo. Il Cammino di San Benedetto potrebbe essere un’opportunità per questo e per gli altri territori per cui passa; luoghi che hanno problemi comuni come lo spopolamento, la mancanza di attività economiche, la separazione fisica dal resto d’Italia per via delle scarse infrastrutture di collegamento. E di questo ce ne siamo accorti per esperienza diretta, visto che per raggiungere la prima tappa abbiamo dovuto utilizzare un mix di treno e autobus. Il Cammino di San Benedetto prende appunto il nome dal monaco che, nei primi decenni del VI secolo dopo Cristo, fondò numerosi monasteri e scrisse la famosa Regola, che prescriveva come doveva essere la vita nei monasteri benedettini e le relazioni con l’esterno. Si tratta di un percorso di 300 chilometri, suddiviso in 16 tappe, che parte dal sud dell’Umbria per arrivare al confine tra il Lazio e la Campania. La realizzazione del tragitto è recente e vuole proporre un turismo diverso da quello di massa, che prevede ritmi vorticosi. È una forma di turismo a passo d’asino, come nel nostro caso, che ti permette di osservare il paesaggio e vivere le relazioni in un modo più significativo, oltre che a rivitalizzare territori che il presente pone ai margini, impoverendoli. Curiosamente, dopo Monteleone, la prossima tappa si chiama Leonessa e per arrivare dobbiamo percorrere un 14


lungo percorso in piano. Sono stanco di tenere la briglia di Alfio e passo il testimone ad Alessio che, con il padre, ci accompagna come volontario in questo cammino. “Anch’io ho avuto i miei problemi con le sostanze – mi racconta – e sono finito in varie comunità. Abito in un paese nel marchigiano, dove si conoscono tutti ed è difficile scrollarsi di dosso le etichette che ti affibbiano.” Alessio ha da poco superato i trent’anni e vorrebbe incamminarsi verso una sua vita autonoma, ma ancora non sa che direzione prendere. Dipinge quadri e ama i fumetti giapponesi; ne disegna anche, ma guadagnarsi da vivere facendo questo non è facile, soprattutto se il contesto sociale che ti circonda è piccolo. Una barella per Antonio Arriviamo all’imbrunire e solo al mattino ci rendiamo conto del panorama meraviglioso che circonda Leonessa, borgo posto ai piedi dei monti reatini. Una vecchia seggiovia a due posti, in quel momento ferma, poi riparte su per una montagna ricoperta di boschi; alla cabina di partenza un cartello colorato segna le piste di discesa per le mountain bike. Dopo aver caricato gli asini, la compagnia riparte passando per il centro storico, un po’ medioevale e un po’ rinascimentale, del paese. Attraversiamo le antiche strade strette, che a volte si trasformano in scalinate e ci accorgiamo che qui il terremoto ha colpito duramente: sono molti gli edifici storici e le case private transennate. Due donne si avvicinano e chiedono informazioni su di noi e, quando spetta loro rispondere alle nostre domande, ci dicono che ufficialmente il paese ha 2400 abitanti, ma che ora saranno rimaste una quarantina di famiglie e solo pochi negozi hanno riaperto. Mi avvicino a Michele, che stamattina ha un passo stanco e pende tutto dal lato sinistro. Porta perennemente una bandana nera e bianca e alle spalle ha una lunga storia di tossicodipendenza. 15


“Sto bene – fa lui – la mia vita di solito è molto sedentaria e ho delle difficoltà a camminare a lungo, ma è la seconda volta che ci vengo. Sì, perché mi piace e se non ci fossero i somarelli mi mancherebbero molto, anche se non sai mai cosa passa per le loro teste.” È la nostra ultima tappa, ma sappiamo che è anche quella più faticosa, visto che dovremo attraversare le montagne. Quando finalmente lasciamo la strada asfaltata e saliamo per la faggeta ripida il passo dell’asino non si dimostra poi così lento, anzi rimane costante e tenace anche nei punti di forte salita. In questa giornata che richiede uno sforzo fisico maggiore Raffaele è più indaffarato del solito: ripercorre avanti e indietro la colonna, osserva uomini e animali, controlla che tutto vada bene. “Vedi? – mi dice mentre mi sta superando – gli asini non ci aiutano solo con i bagagli, ma spezzano i rapporti che ci sono tra le persone: il rapporto operatore e utente qui salta, tra le persone si creano rapporti nuovi, anche per il semplice fatto di avere cura degli animali.” Dopo un’ora e mezza di risalita capita l’unico incidente di percorso. Antonio cede, si appoggia su un alberello, poi si sdraia sul fogliame e non vuole più risalire. Quando esclama il suo “Quanto odio c’è nel mondo, ma perché?”, subito qualcuno sdrammatizza la situazione replicando con un “Quanto iodio c’è nel mondo, perché qui no?”, giocando anche sul fatto che siamo quasi a quota 1400. Raffaele decide di tagliare un paio di rami e di fabbricare una barella in stile film western da legare a un asino e, dopo qualche difficoltà, Antonio riparte su una strisciante lettiga blu trainata da Bigio. Alla fine, raggiungiamo il passo che si apre in un’ampia prateria circondata da faggi dal colore giallo-arancione. È fatta, ci rimane solo la discesa verso la nostra meta finale, Poggio Bustone, ma ci prendiamo una pausa facendo una lunga sosta per mangiare. Gli asini legati ai rami brucano il prato e gli arbusti e il discorso comincia ad andare su di 16


loro; ognuno racconta quello che sa sugli asini e il quadro che ne emerge è molto variegato. Da un lato l’asino è simbolo di umiltà, pazienza: un somarello presenzia alla nascita di Gesù, accompagna la sacra famiglia in fuga da Betlemme e, infine, è sopra la groppa di un asinello che Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme. Dall’altro lato somaro è l’appellativo che si dà quando si vuol offendere qualcuno, un’idea che probabilmente deriva dalle favole della Grecia antica. Infatti nelle storie di Esopo e di Fedro l’asino rappresenta la stupidità, mentre nel romanzo L’asino d’oro dello scrittore latino Apuleio la metamorfosi del protagonista nell’animale rappresenta la degradazione dell’uomo che punta solo alla sensualità e alla carnalità. Qualcuno ricorda prontamente che anche Pinocchio, nel libro di Carlo Collodi, diventa un asino quando decide di non andare più a scuola e va a vivere nel Paese dei balocchi. Quando poi Camillo decide di sdraiarsi sul prato, con la disapprovazione di Raffaele, viene citata anche l’immagine finale del film di Robert Bresson Au hasard Balthazar, dove l’asino Baldassarre, colpito da un proiettile, muore dissanguato su un prato in mezzo alle pecore, dopo aver passato l’intera vita nelle mani brutali dell’umanità. Per gli Ittiti l’asino era un animale regale e credevano che guardando tra le sue orecchie si potesse percepire il mondo soprannaturale. Mi avvicino ad Alfio, gli sbircio tra le orecchie e il quadro che mi si presenta sono i miei compagni di viaggio coricati sull’erba che stanno sorridendo per qualche cosa. Come vedi le mie mani non tremano più Ripartiamo per percorrere l’ultimo pezzo di cammino, che abbiamo però sottovalutato nella sua lunghezza: quando arriviamo a Poggio Bustone è oramai buio. Il paese si affaccia su una pianura molto popolata, da dove si vedono le luci di Rieti. Percorriamo lenti le stradine ripide, ma giunti 17


a destinazione abbiamo dei problemi con i nostri somari perché non troviamo un posto adatto dove sistemarli per la notte. Una volta che abbiamo trovato la soluzione andiamo in albergo dove ci prepariamo per la cena, la fase che conclude ogni giorno di cammino, un momento che abbiamo imparato ad amare. “È questo il momento che mi piace di più – conferma Michele – quando si mangia tutti insieme dopo una faticaccia, è impagabile.” Ce l’abbiamo fatta e tutti assieme, nonostante le varie difficoltà personali; domani ci saluteremo e, a gruppi, ognuno riprenderà la sua strada. Ma la notte non è ancora finita, andiamo a salutare i somari che stanno riposando in un giardino pubblico chiamato “I giardini di marzo”, perché Poggio Bustone è il paese dove è nato il famoso cantautore italiano Lucio Battisti. Così, una volta là, facciamo partire la canzone sul cellulare e, attorno alla statua del cantante che lo ritrae seduto con la chitarra e l’immancabile foulard al collo, cominciamo a cantare: “Che anno è, che giorno è, questo è il tempo di vivere con te, le mie mani come vedi non tremano più...”.


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Nicola Rabbi Giornalista specializzato su tematiche sociali ed esperto di scrittura easy to read e scrittura chiara. Si occupa di cultura inclusiva anche nel campo della cooperazione internazionale. Lavora al Centro Documentazione Handicap di Bologna.

In un mondo dove tutto è diventato veloce, vorticoso, caotico, camminare è un atto di ribellione. Che lo si faccia nel deserto o sulle montagne, col bello o col cattivo tempo, l’importante è farlo insieme, ciascuno con il proprio passo e la propria diversità. Per scoprire alla fine che ogni cammino ci cambia, portandoci in luoghi in cui non avevamo previsto di andare. Cinque reportage su altrettanti trekking cosiddetti inclusivi.

Antonella Patete - Nicola Rabbi Passo lento

Antonella Patete Giornalista specializzata sui temi dei diritti umani, delle marginalità e dell’inclusione, negli ultimi 10 anni si è occupata soprattutto di disabilità. Dal 2005 lavora per l’agenzia stampa Redattore Sociale, per cui ha realizzato numerosi progetti di comunicazione e divulgazione.

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Passo lento CAMMINARE INSIEME PER L’INCLUSIONE

ISBN 978-88-6153-409-4

P Euro 14,50 (I.i.)

I libri di accaParlante si occupano di accessibilità non solo fisica, ma anche alla comunicazione, alla conoscenza, alla cultura, al fare e saper fare, alla relazione con la diversità. La collana, naturale evoluzione della rivista “HP-Accaparlante” del Centro Documentazione Handicap di Bologna, propone approfondimenti di taglio divulgativo ed esperienziale ed è uno strumento necessario per educatori, operatori sociali e insegnanti. Per chi ha a che fare direttamente o indirettamente con la disabilità, ma anche per chi pensa di non averne bisogno. Perché il lavoro culturale da fare è convincerci insieme che la disabilità non riguarda solo una categoria di cittadini ma è questione che riguarda la comunità tutta.


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