Giugno 2023

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GIUGNO 2023

MENSILE A SFONDO SOCIALE DI PUBBLICA UTILITÀ

È ARRIVATA L’ESTATE...

Cosa ci porterà? Il solstizio, nelle tradizioni popolari, è avvolto da un’aura di mistero che sembrerebbe, negli occhi di oggi, qualcosa di arcaico. Purtroppo la parola mistero, o meglio ciò che accadrà domani, fa da sfondo alla nostra quotidianità. Prima la pandemia, poi le guerre e le tragedie del mare, l’evidente crisi sociale unita al degrado ambientale non costituiscono certo un buon auspicio, in contrasto con la serenità dellimmagine.

In questo numero:

UNA GRANDE PERSONA_SAN GIOVANNI E LE SUE TRADIZIONI_BICI NEWS_IL LIBRO DEL MESE_LAVORI

SULL’OSELLINO_CONCORSO AMICI DI OLIVIERO LESSI_LA PAGINA DELL’ARCHEOLOGIA.

Nell’immagine di copertina

George Seurat

“Una domenica alla Grande Jatte”

Anno XX N°221

UNA GRANDE PERSONA: DON LORENZO MILANI

Solo poche settimane sono trascorse, era il 23 maggio, dal centesimo anniversario della nascita di una delle personalità più originali e profetiche del cattolicesimo italiano del ‘900: don Lorenzo Milani. Il priore che impegnò la quasi totalità della sua esistenza vivendo accanto agli ultimi, abbarbicato nella pieve di Barbiana, nacque in una agiata e colta famiglia della borghesia fiorentina. Battezzato insieme ai suoi fratelli quando si prefigurano le leggi razziali – la madre, Alice Weiss, è di origine ebraica – Lorenzo consegue la maturità classica e inizia a frequentare l’Accademia di Belle Arti a Milano. Nel 1943, a venti anni, matura la scelta di entrare in seminario – scelta non compresa ma assecondata dalla famiglia – e il 13 luglio 1947 viene ordinato sacerdote.

Dopo alcuni mesi trascorsi come cappellano a Montespertoli, don Milani viene assegnato sempre come cappellano alla parrocchia di San Donato a Calenzano, un Comune a fortissima presenza operaia, in provincia di Firenze. Sono questi gli anni di un confronto rude aspro tra la Democrazia Cristiana e il blocco socialista e comunista, dopo la stagione della comune scrittura della Costituzione, che vedrà il culmine nelle elezioni politiche del 1948. In questo contesto don Milani organizza una scuola popolare, e la organizza nel segno della laicità, aperta tanto ai figli dei parrocchiani quanto a quelli dei comunisti. Una scelta che naturalmente insinua le prime fratture tra il giovane sacerdote e la chiesa ufficiale, ma che la dice già lunga sull’opzione preferenziale per

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gli ultimi, nello specifico per chi ha meno risorse culturali, che don Milani maturò prestissimo. Alla morte del parroco di San Donato, il 12 settembre 1954, don Lorenzo, anziché succedergli alla guida della parrocchia in cui già stava operando, viene nominato presso Sant’Andrea di Barbiana, una pieve remota e isolata nel Mugello, sui monti di Giovi. Si tratta non già di un borgo, ma di una manciata di case aggrappate alla collina, inaccessibile se non a piedi, senza luce né acqua corrente; la popolazione, sparsa in circa 40 case, consisteva fondamentalmente di famiglie contadine in condizione di povertà quasi estrema. Qui don Lorenzo Milano, ormai il “priore di Barbiana, traduce in un’esperienza ancora più radicale quanto aveva fatto a San Donato: mette l’istruzione e la cultura al centro della vita dei bambini e dei giovani di quel nido disperso, organizzando prima un doposcuola, poi un avviamento professionale e infine, quando nel 1963 nasce la scuola media unificata, un recupero. Due sono le convinzioni che orientano l’opera e il pensiero di don Milani: la prima è la fiducia sulla capacità di emancipazione della cultura, della scuola e della conoscenza, secondo cui finché esisterà chi conosce mille parole e chi ne conosce solo dieci la società continuerà ad essere sbilanciata nei confronti dei primi ed ingiusta. Questa forza emancipatrice della parola don Milani la interpreta

in maniera originale, esercitando con i suoi ragazzi esperienze di analisi e scrittura collegiale: la lettera ai cappellani militari del 1965, anche nota come l’obbedienza non è più una virtù, e la straordinaria lettera ad una professoressa del 1967 sono testi che nascono insieme ai ragazzi della scuola, originati da atti di ingiustizia – la condanna dell’obiezione di coscienza nel primo caso, una bocciatura nel secondo – che originano una esperienza originale di scrittura.

La seconda convinzione è l’assunzione della cura, della responsabilità nei confronti degli altri, che rappresenta un’indiscussa messa in revoca di tutte le forme dittatoriali di dominio dell’uomo sull’uomo: non a caso il motto I care, traducibile in italiano con locuzioni come “mi sta a cuore”, “me ne occupo”, dipinto su una delle pareti della scuola di Barbiana, è posta esplicitamente e consapevolmente in opposizione al motto “me ne frego” che era stato assunto e predicato dal fascismo italiano. Alla fine, don Lorenzo restituì allora e continua a restituire ancora oggi il senso più intimo della politica, nel momento in cui, proprio nella Lettera ad una professoressa, afferma che “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.

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Gabriele Scaramuzza

SAN GIOVANNI E LE SUE TRADIZIONI

allontanando le calamità.

La tradizione della barca di San Giovanni è legata al Cristianesimo, che integrò all’interno della propria liturgia questa festa pagana, associata anche al solstizio d’estate.

Il 23 giugno, la notte che precede la nascita di San Giovanni Battista, è da sempre considerata una notte magica, durante la quale si celebrano riti propiziatori e purificatori. La magia è legata al solstizio d’estate, che segna l’inizio della nuova bella stagione. Il solstizio d’estate cade nel giorno più lungo dell’anno e in questo periodo la natura giunge al massimo splendore. Nonostante la forte rinascita, bisogna prestare attenzione agli eventi sfortunati come siccità, forti temporali o malattie delle piante, che rovinerebbero i raccolti. Per scongiurare le avversità, si fanno falò propiziatori che rappresentano il sole e si prepara l’acqua di San Giovanni per raccogliere la rugiada, che simboleggia la luna. L’acqua di San Giovanni porterebbe fortuna e prosperità grazie all’incredibile potenza dei fiori e sarebbe in grado di proteggere i raccolti,

Inoltre, intorno a questa ricorrenza vi sono numerose credenze popolari; la più antica racconta che durante la notte del 24 giugno una trave di fuoco attraversa il cielo, e su di essa ci sono Erodiade e la figlia Salomè, che aveva ottenuto da Erode la testa di San Giovanni Battista su un piatto d’argento. Secondo i più anziani, invece, all’alba del 24 giugno se si volge lo sguardo verso il sole si può intravedere qualcosa d’oscuro; e si ritiene che, chi tra le ragazze da marito riesce a scorgere la testa di San Giovanni decapitato si sposa entro l’anno. L’acqua di San Giovanni si prepara per sfruttare la forza e la potenza di piante e fiori intrisi della rugiada degli Dei.

Si crede infatti che durante la notte di San Giovanni cada la rugiada degli Dei, capace di influenzare piante e fiori donando loro una particolare forza: il solstizio d’estate sarebbe la porta attraverso cui gli Dei fanno passare i nuovi nati, proprio sotto forma di rugiada.

La leggenda vuole che questa acqua magica porti fortuna, amore e salute, che sia capace di allontanare malattie e calamità e di proteggere i raccolti. Per preparare l’acqua di San

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La “barca di san Giovanni”

Giovanni bisogna raccogliere una misticanza di erbe e fiori spontanei. Nella scelta dei fiori e delle erbe non esiste una vera e propria regola. Generalmente ci si lascia ispirare dal proprio istinto scegliendo tra le specie che si hanno a disposizione. Generalmente in questo periodo si raccolgono i fiori di iperico, lavanda, artemisia e malva e fiori e foglie di menta, rosmarino e salvia. Si possono trovare e raccogliere anche i fiordalisi, i papaveri, le rose o la camomilla, in base alle fioriture presenti nel proprio territorio. Si raccomanda di rispettare la natura durante la raccolta delle erbe, di non raccogliere

quantità eccessive di esemplari e di non estirpare le piante alla radice. Dopo il tramonto, le erbe raccolte vanno messe in acqua e si lasciano all’esterno per tutta la notte, così che possano assorbire la rugiada del mattino. Le erbe raccoglieranno la rugiada e da essa acquisiranno proprietà magiche.

La mattina del 24 giugno, l’acqua di San Giovanni si utilizza per lavare mani e viso, in una sorta di rituale propiziatorio e di purificazione che porterà amore, fortuna e salute.

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PAGINA DI CAMPALTO
Gianfranco Albertini Caravaggio “Decollazione di san Giovanni Battista” (particolare)

Ci siamo spesso soffermati su notizie positive e negative e anche questa volta non ci smentiamo. Ma dato che cerchiamo di essere positivi cominciamo dalla prima.

Da un po’ di tempo alcune aree nell’aiuola degli Anni Azzurri sono state picchettate e successivamente recintate con movimento di mezzi. Ci siamo subito informati e la risposta è stata che, finalmente, sarà realizzato il prolungamento del percorso ciclabile fino a via Vallenari. Seguiremo lo svolgimento dei lavori, sperando che procedano con celerità e non si vedano più ciclisti zigzagare in mezzo alle auto o tra i pedoni tra strada e marciapiede.

La pista che non c’è più.

Le immagini, scattate la mattina di mercoledì 7 giugno, parlano da sole.

Inaugurata con non poca enfasi da pochi anni, con la partecipazione di esponenti della amministrazione comunale, queste poche centinaia di metri di ciclo-pedonale che collegano il Bosco di Campalto con l’argine dell’Osellino sono state ormai quasi inghiottite dalle erbacce.

Da tempo questa situazione è statasegnalata, anche con sopralluogo, agli organi competenti ma nessuno si è mosso. “Che s’ha da fa’?”

Non possiamo che augurarci che nel frattempo qualcuno di loro riscopra un briciolo di dignità e intervenga.

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Claudio Monteverdi, vissuto tra la fine del XVI secolo e gli inizi di quello succwssivo, viene considerato come l’ideatore dell’Opera Lirica. Questa forma allo stesso tempo musicale e tatrale è stata per secoli una delle massime espressioni artistiche italiane. I nostri nonni conoscevano a memoria le arie più famose, se non addirittura intere opere dei nostri massimi musicisti e le bande avevano un repertorio lirico di tutto rispetto. Ma oggi, dov’è finito questo meraviglioso bagaglio culturale? Che posto ha la musica lirica nella nostra cultura attuale?

I teatri in generale, e quelli d’opera

in particolare, esistono in tutto il mondo. Eppure soltanto in Italia sono qualcosa di più di un semplice luogo di spettacolo. Se in passato tra palchi e gallerie si indugiava per farsi notare, e nei ridotti si discuteva di politica e si giocava d’azzardo, ancora oggi i teatri si confermano il fulcro della vita civile e culturale – oltre che musicale – di ogni città. Proprio per questo, suggerisce Alberto Mattioli, offrono la prospettiva migliore per osservare e cercare di comprendere l’Italia. In un ideale grand tour attraversiamo lo Stivale in tutta la sua lunghezza: dal Regio di Torino al Massimo di Palermo, dai velluti rossi della Scala di Milano alle pietre dell’Arena di Verona, dai palchi dei minuscoli teatri storici marchigiani alle ampie sale del San Carlo di Napoli, per scoprire come le storie si mescolano alle leggende per fondare miti, ma anche come cambiano i gusti e le abitudini del pubblico, che ruolo i loggioni hanno avuto in celebri debutti e in fiaschi clamorosi, quali grandi viaggiatori stranieri hanno amato i palcoscenici nostrani. Ma soprattutto, accompagnandoci lungo questo originalissimo itinerario fatto di vicende umane e sociali, di mode, vizi e virtù, Mattioli disegna il ritratto di un Paese che forse più di ogni altro ha fatto coincidere, sulla scena e fuori dalla scena, arte e vita, e che, tra mille campanili, nei riti del teatro d’opera ancora riesce a specchiarsi, a riconoscersi, a sentirsi unito.

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OSELLINO: PROCEDONO I LAVORI

Dopo il completamento della chiusa “alle Rotte” e la successiva riapertura del percorso tra Passo Campalto e San Giuliano, sono iniziati i lavori di sistemazione lungo gli argini dell’Osellino. Sembra stiano procedendo con una certa rapidità; le ruspe sono arrivate circa all’altezza del Villaggio Laguna. Purtroppo, come si vede dall’immagine di destra, il perrcorso sopra citato versa in una situazione piuttosto preoccupante: le staccionate che lo delimitano sono in parte franate assieme a parti dell’argine, altre sono praticamente distrutte. Essendo poi stato frequentato da mezzi pesanti durante i lavori, il sedime presenta notevoli criticità. Non possiamo che augurarci che i lavori in corso prevedano anche il ripristino di questo collegamento ciclopedonale, frequantato quotidianamente da centinaia di persone,

anche per raggiungere Mestre in sicurezza. Proprio per questo motivo sarebbe auspicabile un miglioramento del manto stradale in modo da renderlo più scorrevole. Rimanendo nella stessa zona, da tempo la gente di Campalto chiede notizie relative all’area dei fosfogessi ma le risposte stentano ad arrivare: è passato un bel po’ di tempo da quando il progetto dell’ampliamento del parco fino al Passo è stato (più volte) presentato ma per ora nulla sembra muoversi.

Attendiamo aggiornamenti da parte del Consorzio Acque Risorgive per capire quale sia l’avanzamento dei lavori e i tempi previsti per il completamento delle varie opere tra cui il proseguimento della ciclabile tra l’idrovora di Tessera e il bosco di Campalto.

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CONCORSO AMICI DI OLIVIERO LESSI

Lunedì 5 giugno si è tenuta la premiazione del Concorso “Amici di Oliviero Lessi”, istituito dall’omonima associazione, e rivolto ai ragazzi della Scuola media “A. Gramsci” di Campalto. Il tema del concorso, ripartito dopo gli anni della pandemia, era: “Perfezione e Imperfezione” con il quale gli alunni si sono confrontati e che li ha visti realizzare una serie di opere inerenti i temi della fotografia, della poesia e del multimediale. Grazie alla collaborazione tra la scuola campaltina e l’associazione Amici di Oliviero Lessi, in sinergia con Blog Territori e Paradossi, si è realizzato un evento unico nel territorio che ha richiamato un pubblico numeroso.

L’evento si è aperto con il saggio finale degli alunni dell’indirizzo

musicale della scuola che hanno accompagnato l’attesa delle premiazione, anticipata dai saluti del presidente dell’assocoazione Paolo Vettorello seguiti da quelli delle Istituzioni con la Consigliera Debora Vettori per la Municipalità di Favaro e l’assessore Paola Mar in rappresentanza del Comune di Venezia. La giuria, composta dai membri delle due associazione e dai docenti della scuola, è stata messa in difficoltà nella scelta dei vincitori, in quanto i partecipanti hanno dimostrato interesse e sensibilità nel descrivere il territorio campaltino.

I primi 3 classificati in ogni categoria, hanno ricevuto in premio dei buoni da spendere presso la libreria Feltrinelli, questo per incentivare la cultura e dimostrare come un concorso

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come questo possa generare iniziative culturali pubbliche dove i primi protagonisti sono i giovanissimi e i loro insegnanti.

Categoria foto:

3° posto: Alessio Volpato, 2° posto Sabrije Hoti, 1° posto Beatrice

Zennaro

Categoria poster:

3° posto Matilde Barbierato, 2° posto Christa Shnoda, 1° posto Sabrin

Dbeis

Categoria poesia:

3° posto Christian Mihali e Reato

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LA PAGINA DELL’ARCHEOLOGIA

Nota ai veneziani (e per molti di coloro che tali non lo sono) per il fatto di custodire le spoglie della martire Santa Lucia, la chiesa di San Geremia, posta nel sestiere di Cannaregio, a due passi dalla stazione ferroviaria che della santa porta il nome, riserva al suo interno o meglio, al di sotto del suo livello di calpestio, degli ambienti veramente interessanti oltre che misteriosi. Completamente diversa dalla chiesa medievale, sorta nel 1013 e ampliata nel 1174, il tempio attuale risale alla metà del Settecento, iniziato nel 1752 su progetto dell’architetto e abate

Carlo Corbellini e compiuto definitivamente solo un secolo più tardi, nel 1871. Come la chiesa di San Simeone piccolo, anche quella di San

Geremia si eleva sopra un alto basamento, al cui interno si trovano varie stanze di servizio, attualmente poste circa 50 centimetri al di sotto dell’odierno piano di calpestio del campo

omonimo. A questo ambiente ipogeo non si accede però direttamente dalla chiesa, ma dall’oratorio di Santa Veneranda, un tempo sede della confraternita incaricata del suffragio dei defunti o meglio, delle anime del Purgatorio. Fondata nel 1615, essa si riuniva dapprima all’interno della chiesa stessa, presso l’altare della Madonna del Popolo, ma accresciuta sempre più per numero di iscritti, il parroco, nel 1659, le concesse la possibilità di erigere una propria sede nel camposanto della chiesa, in uno spazio appositamente ricavato. Una convivenza, quella fra la parrocchia e la confraternita, non sempre però caratterizzata da armonia e tranquillità ma da dissidi e da problematiche di vario tipo. Distrutta la sede primitiva dalle fiamme provocate dallo scoppio di una bomba nel 1849, durante il famoso assedio di Venezia, ai tempi della prima guerra d’indipendenza, venne successivamente ricostruita. Strutturato come un alto parallelepipedo, un tempo l’oratorio di Santa Veneranda era raggiungibile, dalla chiesa, attraverso una scala posta subito dopo l’altare che custodiva il corpo di San Magno mentre, attualmente, lo si può raggiungere grazie a un corridoio aperto fra l’altare del “Crocefisso Miracoloso” e la

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I misteri della Venezia sotterranea: il cunicolo della chiesa di san geremia

cappella della Madonna del Rosario, situata a destra dell’urna che contiene il corpo di Santa Lucia. L’accesso principale è comunque aperto verso l’esterno, sulla calle e il campiello Flangini, che separano la chiesa dall’omonimo palazzo. Scendendo alcuni gradini, partendo dalla sala posta al pian terreno dell’oratorio, si entra in un mondo sconosciuto ai più: oltre a un corridoio a volta che corre lungo la parete che costeggia la piccola calle Flangini, vi sono una cripta, posta al di sotto del presbiterio e restaurata nel 1956, una stanza con la volta a botte, il cui ingresso è nascosto da un pannello di legno e una sorta di tunnel, la cui funzione è attualmente ancora ignota e che da questa piccola camera sotterranea inizia il suo percorso per inoltrarsi al di sotto del pavimento della chiesa. Situato ancora più al di sotto del corridoio precedentemente citato, questo cunicolo raggiunge circa 85 centimetri di profondità rispetto al selciato esterno alla chiesa. Il tunnel “misterioso” non parte quindi dalla cripta ma dalla piccola stanza rettangolare, di circa 4,40 metri per due, situata lungo il corridoio che dalla cappella di Santa Veneranda porta alla cripta. Una stanza, come detto in precedenza, situata al di là del pannello di legno posto lungo la parete del corridoio e quindi nascosta alla vista. Anche il tunnel ha una volta a botte come il corridoio e, largo circa 1 metro e 60 centimetri, si addentra, in leggera pendenza,

in direzione nord-est, all’interno del basamento che sorregge la chiesa. Dopo un primo tratto, lungo circa cinque metri, pavimentato con lastre di marmo, in corrispondenza di un restringimento cui corrisponde anche un piccolo cambio di direzione, il corridoio si allarga ancora per poi procedere per ulteriori 15 metri. In questo punto, lungo il lato destro, si possono intravedere anche alcune parti delle antiche fondazioni della chiesa. L’ultimo tratto, lungo più o meno tre metri, pavimentato questa volta in mattoni, presenta un gradino e quindi una parete verticale, posta proprio a impedire la prosecuzione del cammino. Il percorso, infatti, bruscamente interrotto, proseguirebbe ancora ma verso non si sa dove dato che non sono ancora stati fatti sondaggi ed esplorazioni in tal senso. Privo di fonti di luce, con il pavimento ricoperto di fanghiglia, dovuta alle alte maree, soprattutto nel suo ultimo tratto. Il quale, essendo il corridoio in pendenza, si trova quindi a essere il punto più basso di tutto l’edificio religioso. Questo tunnel, a tutt’oggi, è un vero e proprio mistero. È l’unica struttura del genere presente in una chiesa veneziana: non ne esistono di simili in alcun edificio religioso della città lagunare. Apparentemente senza un senso pratico, presenta però, poco prima della parete verticale di chiusura, una botola, a forma di rombo, quindi anch’essa inusuale per un’apertura del genere, posta sulla

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volta. Il tunnel era quindi collegato con gli ambienti superiori mentre, al suo inizio, all’incrocio di alcune volte, si trova una piccola nicchia che, assai probabilmente, doveva essere la sede di una fonte di luce. Un ambiente ipogeo, quindi, ancora tutto da capire. Sia dal punto di vista della sua storia che della sua funzione. Quest’ultima legata senz’altro alla Confraternita del Suffragio e ai suoi riti, fungendo da collegamento tra i vari ambienti sotterranei e la chiesa. Infatti, anche la cripta presenta delle particolarità in tal senso: nella sua parte alta vi sono delle scalette, attualmente interrotte, che la mettevano in comunicazione con il presbiterio sovrastante. L’unico arredo presente nella cripta è un altare, posto di fronte all’ingresso, in una rientranza del muro. Databile al Seicento, è fittamente decorato con i vari simboli della Passione di Cristo. Alla sommità di esso si trova una tabella che, in origine, doveva contenere un’iscrizione ora perduta

oppure, secondo altre fonti, qui vi era conservato il Crocifisso Miracoloso ora all’interno della chiesa. Indubbiamente anche questo altare era legato al suffragio delle anime dei defunti e quindi alla Confraternita addetta a tale servizio. Un’ipotesi, quest’ultima, suffragata dal fatto che, nata nel Seicento, a tale secolo fa riferimento, stilisticamente parlando, anche l’altare in questione.

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Redazione a cura di: Blog Territori e Paradossi - Associazione Culturale.

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Stampato in proprio - Registrazione presso il Tribunale di Venezia n° 1461 del 24 settembre 2003

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