Maggio 2023

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MAGGIO 2023 Anno XX N°220

MENSILE A SFONDO SOCIALE DI PUBBLICA UTILITÀ

In questo numero:

CITTADINI E AMMINISTRATORI_L’ASPETTO DI GESÙ_ LA SENSA_IL LIBRO DEL MESE_CONTANTI O CARTA?_LA SCUOLA È ANCHE POESIA E MUSICA_LA PAGINA DELL’ARCHEOLOGIA.

Pietro Paolo Rubens e Jan Brueghel “Il Vecchio”

Madonna con il bambino in una ghirlanda di fiori

È MAGGIO

Questo quadro simboleggia gli aspetti più tipici del mese di maggio: la Madonna e i fiori. Chi, tra i nostri lettori più in là con gli anni non ricorda il “fioretto”, dedicato soprattutto ai bambini; un insieme di buoni propositi che puntualmente venivano disattesi. Oggi, in questo nostro mondo secolarizzato e multietnico, queste tradizioni, assieme a tante alter, si sono perse. Sarà un bene, sarà un male? Lasciamo “ai posteri l’ardua sentenza” di manzoniana memoria e chiediamo ai nonni di parlarci di quei tempi.

CITTADINI E AMMINISTRATORI

Ha fatto notizia nelle ultime elezioni politiche del settembre 2022 il fatto che praticamente 4 italiani su 10 abbiano scelto di non recarsi alle urne, essendosi l’affluenza fermata praticamente al 63% del corpo elettorale.

In realtà, ciò che dovrebbe avere già da molto tempo preoccupato è il tasso ancora maggiore di astensione che si riscontra negli ultimi anni quando siamo chiamati al voto per eleggere i sindaci e i consigli comunali dei Comuni, cioè degli enti istituzionali più vicini alle persone: basti pensare che nel 2021, in un turno amministrativo che vedeva al voto grandi metropoli come Roma, Milano, Napoli, in queste città non si è arrivati al 50%.

Se per il dato nazionale si può invocare la diffusa disaffezione nei confronti delle grandi questioni politiche e il disamoramento nei confronti dei partiti, preoccupa invece l’allontanamento dei cittadini dalla

partecipazione elettorale al voto per i Comuni, che sono appunto l’anello della catena istituzionale con cui le persone si confrontano quotidianamente. Molto probabilmente, questo è il sintomo dello scarso coinvolgimento del singolo nelle scelte che riguarda il proprio territorio. L’impressione è che si sia instillata anche a livello locale un’interpretazione distorta del mandato elettivo, che legittimerebbe l’amministratore a fare le proprie scelte in solitudine, salvo poi ripresentarsi dopo cinque anni per chiedere una nuova legittimazione del proprio operato. Ne abbiamo avuto prove anche nella nostra città e nel nostro territorio, in cui la scelta di progetti di assoluta rilevanza potenzialmente destinati a cambiare gli equilibri e i pesi urbani dell’area metropolitana, come il cosiddetto “Bosco dello sport” sono stati inseriti dall’amministrazione nei piani del PNRR senza un coinvolgimento effettivo e reale di chi in quei territori vive e opera. Salvo poi essere stati, quegli stessi interventi, estromessi dai fondi del Next Generatio EU perché non ne avevano i requisiti.

Si tratta, è bene chiarirlo, di un’idea debole e povera della rappresentanza democratica, soprattutto a livello locale. Agisce in questa debolezza e povertà l’infiacchimento di quei corpi intermedi, primi fra tutti i partiti, cui la Costituzione assegna il

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compito di essere i luoghi ove i cittadini si riuniscono per concorrere a determinare la vita delle istituzioni (art. 49). Ma ne è causa anche, molte volte, l’idea che l’amministratore ha del confronto come di un peso, di un elemento che ritarda e provoca inefficienza nelle scelte amministrative. In realtà, forme e meccanismi per un coinvolgimento democratico, ordinato e partecipativo dei cittadini alle scelte amministrative esistono e possono essere attivate: Francia e Spagna, ad esempio, si sono dotate da anni di leggi che rendono obbligatorio il cosiddetto “dibattito pubblico” prima di adottare scelte su interventi infrastrutturali che incidono sulle comunità locali. In Italia pure esiste una norma in tal senso, eccessivamente limitante e limitativa. Ma anche i singoli comuni hanno a disposizione strumenti di partecipazione: è il caso dei quartieri, delle circoscrizioni e delle municipalità, esito della grande stagione della partecipazione degli anni ’60 e ’70, e che negli ultimi anni hanno vissuto un fenomeno di svuotamento di ruoli e competenze. E ancora, tra le

forme di partecipazione esistono le consulte, luoghi dove cittadini legati da un’affinità elettiva per singolo tema (p. es. l’ambiente, lo sport, la scuola, la salute) possono dialogare con le amministrazioni e suggerire idee, dare pareri sui singoli provvedimenti. Si tratta di esperienze importanti, perché danno riconoscimento e stimolano la cittadinanza attiva delle persone, la capacità di auto organizzarsi ed elaborare proposte che è sale per la democrazia, soprattutto per quella locale. Come si vede, quindi, non è un problema di strumenti, ché quelli esistono e possono essere tutti utilizzati da parte di un’amministrazione per rinnovare un rapporto quotidiano e permanente con i propri cittadini.

Ciò che risulta fondamentale, al fondo di questa questione, è la volontà politica di impiegarli, questi strumenti, per non decidere nella solitudine dell’amministrazione, e rendere socialmente più ricche e responsabili le nostre comunità.

Gabriele Scaramuzza via Gobbi 259 - Campalto da martedì a sabato orario 8.15 - 17.30

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L’ASPETTO DI GESÙ

Ma dell’aspetto fisico, nulla di nulla. Col passare del tempo, però, si è sentito necessario avere una raffigurazione del Cristo.

Dal II al IV secolo le testimonianze scritte lo descrivono in maniera contrastante; non si hanno sue rappresentazioni dirette, ma piuttosto simboli o immagini allegoriche, come il pesce (il cui nome greco ichthys

Tra la fine di marzo e i primi di giugno, a seconda del calendario liturgico, il mondo cristiano celebra alcune importanti festività legate alle ultime tappe della vita di Gesù. Ma Lui, quale aspetto aveva? La risposta alla domanda potrebbe essere molto semplice e sbrigativa: non sappiamo nulla. I Vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento non ne descrivono l'aspetto fisico e nessuno degli evengelisti stessi ha conosciuto Gesù direttamente. Per gli ebrei, poi, la raffigurazione di Dio era proibita mentre per i pagani le immagini di divinità erano adorate come divinità esse stesse. Abbiamo diverse informazioni sul suo animo e cogliamo nei racconti evangelici alcuni momenti sublimi di commozione, di turbamento, di gioia, perfino di angoscia; lo vediamo piangere, soffrire, allietarsi, persino scherzare, dormire e mangiare come anche camminare e affaticarsi.

è l'acronimo delle parole: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore), il Buon Pastore con al collo una pecorella, il Basileus, il Maestro o lo stesso Orfeo derivato dalla tradizione classica Con la progressiva secolarizzazione del culto cristiano si diffonderanno rappresentazioni dirette di Gesù.

Alcuni Padri, soprattutto quelli greci, dichiararono che l'immagine di Gesù doveva essere brutta, poiché in Isaia il Figlio dell'Uomo è un vile servo. Il Salmista diceva invece che era bello, di aspetto più bello di tutti i figli degli uomini. Ma la sua bellezza doveva essere divina, e non umana. Dunque san Giustino negò a Gesù di avere un bell'aspetto. Clemente Alessandrino lo descrive con un viso deforme. Eusebio di Cesarea lo dipinge deforme di corpo. Per i padri latini invece egli era bello e piacevole.

Nel periodo tardo antico si diffondono rappresentazioni dirette di Gesù, raffigurato come giovane imberbe fino al VI secolo; entro il IV secolo compare anche il Gesù

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Gesù buon Pastore - Ravenna

barbuto e con i capelli lunghi, che diventerà la sua raffigurazione canonica. Le due rappresentazioni coesistono fino al VI secolo. Successivamente il Gesù imberbe scompare dall'oriente mentre appare ancora talvolta nell'arte carolingia e romanica. L'affermarsi dell'immagine barbuta venne influenzata dall'affermarsi di immagini ritenute autentiche fino all’età bizantina quando l'iconografia di Gesù viene codificata rigorosamente. La principale raffigurazione bizantina di Gesù è quella del Cristo Pantocratore, cioè "sovrano di tutto", che lo mostra in abiti regali e atteggiamento maestoso e severo. Da allora in poi Gesù adulto viene costantemente raffigurato con i capelli lunghi e la barba (un'eccezione degna di nota è il Giudizio universale di Michelangelo nella Cappella Sistina).

Se al principio ci furono problemi etici sulla rappresentazione del volto di Cristo, più tardi prevalsero le esigenze estetiche dei vari popoli, nei quali Gesù venne rappresentato con caratteri etnici variabili.

La seconda tradizione riguarda due famosissime reliquie dello stesso Gesù, ovvero il Velo della Veronica (il nome è significativo: vera icona) e quella della Sacra Sindone. Entrambe le reliquie hanno una lunga e movimentata storia che è impossibile in questa sede ripercorrere, ed entrambe sono avvolte da numerosi misteri (come si è impressa l’immagine, la loro antichità, la loro

provenienza). Ma il fatto estremamente sorprendente è che si sovrappongono quasi perfettamente, e rivelano un unico volto, non a caso corrispondente alla iconografia bizantina. Che dire? Abbiamo così la sicurezza delle fattezze di Gesù? Non possiamo affermarlo con sicurezza, ma gli indizi si moltiplicano più ci si addentra nel vagliare le possibilità, di modo che per dirla con il proverbio «se non è vero è ben trovato», e visto che è ben trovato, forse è anche vero. Secondo quanti ritengono che la Sindone di Torino sia l'autentico lenzuolo funebre di Gesù, il suo aspetto sarebbe fedelmente riportato nella particolareggiata immagine umana impressa sul telo: essa ci mostra un uomo muscoloso, di statura medio-alta, con i capelli lunghi e la barba. Questa è anche l'immagine con cui Gesù viene tradizionalmente rappresentato oggi.

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Gianfranco Albertini Ricostruzione del volto della Sindone

LA SENSA

La Festa della Sensa era una festività della Repubblica di Venezia in occasione del giorno dell'Ascensione di Cristo. Essa commemora due eventi importanti per la Repubblica: il 9 maggio dell'anno 1000 quando il doge Pietro II Orseolo soccorse le popolazioni della Dalmazia minacciate dagli Slavi. Il secondo evento è collegato all'anno 1177, quando, sotto il doge Sebastiano Ziani, Papa Alessandro III e l'imperatore Federico Barbarossa stipularono a Venezia il trattato di pace che pose fine alla diatriba secolare tra Papato e Impero. Alla viglia del giorno dell'Ascensione il bucintoro usciva dai cantieri dell'Arsenale per essere condotto fino in città dove veniva

messo in bella mostra sulla riva degli Schiavoni che veniva decorata per l'occasione.

La mattina seguente le campane annunciavano l'uscita del doge e della sua folta corte da Palazzo Ducale

Si dirigevano verso la riva per poi imbarcarsi sul bucintoro, che in seguito a uno sparo di cannone dirimpetto alla piazza prendeva il largo nel bacino di San Marco dirigendosi verso il Lido.

Una volta giunto nei pressi del Lido il bucintoro si fermava e mentre i cannoni delle galeazze continuavano a sparare a salve si svolgeva il rito dello sposalizio del mare. Dal bucintoro il doge, affiancato dal patriarca di Venezia, svuotava nel mare

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un'ampolla di acqua santa e un anello benedetto dal patriarca pronunciando le parole di rito. Una volta terminato lo sposalizio del Mare il doge sbarcava al Lido di Venezia e da qui si dirigeva verso la chiesa di San Nicolò dove ricevuto dalla folla e dai monaci benedettini assisteva alla messa pontificale. Tornato a San Marco il doge visitava la fiera della Sensa e poi all'ora di pranzo offriva al Palazzo Ducale uno sfarzoso banchetto a cui erano invitati cento arsenalotti disposti su dieci tavoli, membri illustri del patriziato e gli ambasciatori, inoltre alla prima portata era ammesso un pubblico di spettatori in rappresentanza della cittadinanza. Il banchetto terminava con dolci a base di mandorle, pistacchi e pinoli, in particolare il marzapane veniva modellato al fine di creare figure celebrative di vario tipo. Una volta terminato il banchetto agli invitati era concesso prendere le posate, i tovaglioli e gli altri oggetti presenti sulla tavola da conservare in ricordo della festa. Dal 1965 Venezia è tornata a celebrare l'evento, con un corteo acqueo da San Marco al Lido di imbarcazioni tradizionali a remi alla cui testa c'è la "Serenissima", imbarcazione sulle quali prendono posto le autorità cittadine e da lì viene celebrato il rito dello sposalizio con il mare attraverso una suggestiva cerimonia di lancio in acqua di un simbolico anello e la successiva funzione religiosa al Lido.

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Barbara Gallavotti è diventata recentemente una persona nota al grande pubblico televisivo. Biologa di fama, ha intrapreso, anche collaborando con il rimpianto Piero Angela, la strada di divulgatrice scientifica.

Scoprire cosa esista nell’Universo oltre la materia che conosciamo è una delle grandi sfide della conoscenza e forse la scienziata o lo scienziato che riuscirà a capirlo in questo momento è ancora a scuola… ehi, potrebbe essere una o uno di voi, che state leggendo questo libro!

Un sasso, una lumaca, una bollicina

d’aria che sale in una pentola d’acqua in ebollizione e tutto ciò che ti viene in mente hanno un qualcosa in comune: sono fatti di materia.

Tutto è fatto di materia, anche tu lo sei. Detto così sembra ovvio, ma… di che cosa è composta la materia? Per migliaia di anni innumerevoli persone si sono arrovellate per rispondere a questa domanda.

Barbara Gallavotti ci svela la ricetta “per fabbricare l’Universo” e fornisce una dettagliata guida ai suoi ingredienti.

Preparati a conoscere le scienziate e gli scienziati che hanno portato alle scoperte più sensazionali della Storia e a incontrare, analizzare e comprendere qualsiasi tipo di essere vivente: dai giganteschi dinosauri che solcavano la Terra milioni di anni fa ai batteri più microscopici, invisibili a occhio nudo, passando per l’incredibile eterocefalo glabro (mai sentito nominare? Un motivo in più per perdersi tra queste pagine!).

Capirai che ognuno di noi concorre a scrivere la storia della Vita e che siamo tutti indissolubilmente legati gli uni agli altri, qui sulla nostra bellissima Terra: l’unico posto dell’Universo dove possiamo sentirci a casa.

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CONTANTI O CARTA?

È una domanda che spesso ci sentiamo rivolgere prima di pagare una spesa. Ma è ovunque così?

Recentemente ho goduto di un breve soggiorno a Londra. Durante il volo ho chiesto a mio figlio che mi accompagnava, giramondo per esigenze di lavoro, se fosse necessario provvedere a un bancomat in sterline. Mi ha sorriso un po’ perplesso poi mi ha chiesto “ma a cosa ti servirebbero i contanti”.

La risposta l’avrei avuta poco dopo l’atterraggio: prenotazione di un taxi “Uber” poi ingresso in metropolitana servendosi semplicemente dello smartphone o dell’orologio digitale. In mancanza va bene anche la normale carta di credito o la prepagata ma non i contanti che ormai in pochi accettano. Senza tener conto poi della gentilezza con la quale sei accolto ovunque.

In Italia invece spesso avviene il contrario, non sono pochi gli esercenti che storcono il naso se chiedi il pagamento elettronico; molteplici le giustificazioni tra le quali, la più frequente, quella degli alti addebiti delle banche (una manciata di centesimi che viene regolarmente scaricata sul prezzo di vendita).

In realtà è che la moneta sonante alimenta il “nero” che fa comodo a molti. Ma se andiamo un po’ a scavare nelle abitudini, vediamo che nel Regno Unito, come nella maggior parte delle altre nazioni

europee, il senso dello stato è molto diverso dal nostro: tutti pagano le tasse e ricevono in cambio servizi adeguati. In Italia l’evasione fiscale è quasi pari al debito pubblico salvo poi lamentarsi se la sanità non è in grado di accogliere tutte le richieste, le strade sono piene di buche o i mezzi pubblici sono inefficienti. Molti nostri concittadini, pubblici amministratori in primis, pensano di vivere nel paese di “Bengodi” ma non sarebbe male se ogni tanto facessero qualche fuga educativa all’estero. Bastano pochi euro per un biglietto d’aereo per vedere come il mondo va avanti mentre noi, nella migliore delle ipotesi, siamo fermi al palo.

Per concludere qualche altro esempio: Londra, come tante altre grandi città europee, è attraversata da centinaia di Km di piste ciclabili ben delimitate sulle quali sfrecciano a velocità impressionante fiumi di ciclisti.

Il parco auto è costituito ormai essenzialmente da mezzi elettrici o ibridi per cui l’aria che si respira è molto migliore di quella che respiriamo a Campalto; e stiamo parlando di una metropoli che ha quasi il doppio degli abitanti del Veneto. Come dice il proverbio, non sarà tutto oro quello che luccica, ma di questo “oro” ne ho visto tanto.

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LA SCUOLA È ANCHE POESIA E MUSICA

Dopo la bella serata di poesie e musica di venerdì 14 aprile, riportiamo alcune impressioni, sincere e spontanee, degli studenti della scuola che hanno assistito o preso parte in prima persona all’evento. Il nostro ringraziamento va anche all’Istituto Comprensivo “A. Gramsci” e agli insegnanti che hanno collaborato per il buon esito della manifestazione.

Questa serata è stata molto piacevole ed emozionante, perché ho potuto ascoltare tante voci: la voce di Cristina Pappalardo con le sue affascinanti poesie, la splendida voce di Chiara Foffano che accompagnata dal piano o dalla chitarra ha interpretato con intensità alcune canzoni famose; le voci dei ragazzi che come me hanno presentato davanti ad un numeroso pubblico la loro poesia, la loro opera ispirata da una sola frase “Amo te che mi ascolti” e le voci degli strumenti che hanno accompagnato e completato le composizioni.

Questa esperienza mi ha insegnato come la poesia e la musica insieme possono trasformarsi in un’opera d’arte.

La serata della poesia è stata coinvolgente sia dal punto di vista poetico che musicale ed è stato divertente partecipare.

Secondo me la serata di poesia è stata troppo lunga e sinceramente non mi è piaciuta molto perché anche le canzoni che cantavano erano

troppo lente e noiose e anche se da un altro lato mi è piaciuta…

La serata era molto piacevole, in mia compagnia c’erano i miei amici e con loro ho riso e scherzato. Pian piano la serata iniziò e a iniziare fu una ragazza che si chiama Chiara Foffano che cantò seguita fa Michael Fiorin che in sottofondo suonava il pianoforte. La professoressa Pappalardo iniziò a leggere le poesie e man mano che la serata passava iniziarono a leggere i vincitori del concorso seguti dai ragazzi del musicale. E tra un inchino e l’altro la serata finì. Mi colpirono molte poesie tra quelle lette e i brani erano melodicamente piacevoli.

Durante la serata delle poesie mi sono divertito molto quando il pianista suonava e la cantante cantava. Quando hanno iniziato a suonare i miei compagni e a leggere le loro poesie mi divertivo però ero anche triste di non suonare, avevo scelto di non farlo perché avevo paura di sbagliare e fare una brutta figura.

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Secondo me la serata di poesia è stata interessante e anche molto ben organizzata. Le poesie lette erano belle e rilassanti grazie alla musica.

Il pianista era molto bravo e piacevole da ascoltare, Chiara Foffano, che era la cantante, ha cantato canzoni molto belle.

Mi piacerebbe che ci fossero più serate così perché mi sono divertita molto, anche se all’inizio un po’ d’imbarazzo e ansia ci tormentavano, ci siamo lo stesso esibiti e la pressione è svanita, la cosa che mi ha colpito di più è come abbinando alle poesie dei brani non ideati per esse, siano risultate comunque delle esibizioni fantastiche.

Mi ha stupito in più il fatto che sostenendoci a vicenda, siamo riusciti a creare un mini-spettacolo tutto nostro.

La serata è stata veramente emozionante. Ero nervosissima all’idea di dover sia suonare che leggere la mia poesia. Ascoltare gli altri che leggevano e suonavano e sentire la cantante che aveva una voce incantevole mi ha tranquillizzata moltissimo.

Quella sera, ho provato l’emozione di essere su un palco da sola e poi la gioia mi ha pervaso quando il pubblico, dopo aver ascoltato la mia poesia, è scoppiato in un applauso…sapevo di avercela fatta.

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LA PAGINA DELL’ARCHEOLOGIA

Catacombe massoniche a Venezia?

Il caso della pseudo-cripta di San Simeon piccolo

Per chi arriva a Venezia dalla Stazione di Santa Lucia il primo impatto che si ha con la città lagunare è la verde e alta cupola della chiesa di San Simeon Piccolo (in realtà dei Santi Simeone e Giuda Taddeo apostoli) che si affaccia sull’altra riva del Canal Grande. Opera dell’architetto Giovanni Scalfarotto, venne costruita, a pianta circolare, tra il 1718 e il 1738. Elevata al di sopra di una scala monumentale ospita, al di sotto del pavimento, una grande cripta la

cui estensione corrisponde perfettamente a quella della chiesa superiore. Un ambiente sotterraneo, alto quanto la scalinata d’accesso, che risulta un complesso molto articolato di locali, privi di luce elettrica e, fino a qualche tempo fa (attualmente chiuso al pubblico da giugno 2021) accessibile grazie a una candela fornita dal sagrestano all’ingresso. Un tempo, la cripta riceveva aria e luce da cinque griglie, decorate a rosetta, successivamente tamponate in un’epoca e per motivi a noi sconosciuti. Una visita quindi molto suggestiva che permetteva di vivere un’esperienza stile “Indiana Jones e l’ultima crociata” ma senza acqua né topi e che si può comunque comprendere, sia pure non pienamente, attraverso alcuni video presenti sul canale You Tube. Un ambiente nato come un sepolcreto a uso dei fedeli della parrocchia (di varie estrazioni sociali) impostato su un corridoio a croce latina che conduce a 21 camere di sepoltura, di varie dimensioni, dodici delle quali sono ancora oggi murate, decorato con affreschi e tempere che ricoprono i soffitti e tutte le pareti purtroppo degradati in vari punti a causa del clima salmastro e umido. Sotto al pronao d’ingresso il corridoio si allarga a mo’ di androne per i visitatori che,

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molto probabilmente, un tempo potevano accedere alla cripta anche dalle due piccole porte poste ai lati dello scalone monumentale. Nel titolo ho usato il termine catacombe in quanto questo ambiente ricorda più queste che le tradizionali cripte. Nonostante Venezia sia una città che sorge sull’acqua, vi sono diversi sotterranei, posti sia al di sotto delle chiese che di altri edifici ma, molto spesso, sono invasi dall’acqua in modo permanente o temporaneo. Non è questo il caso, a parte la salsedine e l’umidità, per questo luogo di sepoltura utilizzato fino al 1813, ovvero fino all’inaugurazione del nuovo cimitero cittadino sull’isola di San Cristoforo della Pace. Tornando alla decorazione, alla fase di costruzione della chiesa risale il ciclo della Via Crucis, che si svolge lungo tutte le pareti del percorso comune. Le altre pareti e le volte sono state invece decorate successivamente, in un periodo compreso fra la metà del Settecento e la metà dell’Ottocento. anche sopra quelle originarie, con uno stile e un gusto assai diverso dal primo ciclo: scheletri, tombe, sarcofagi, croci e figure di morenti, inseriti in ornamenti floreali che tendono a non lasciare spazi liberi, rendendo un’atmosfera assai inquietante e lugubre, accentuata anche dalla tenue luce della candela con cui si effettuava la visita. Uno stile, questo del secondo ciclo, che denota una mano molto più sbrigativa e meno dotata rispetto

al primo. La mancanza totale di documentazione archivistica, unita al loro progressivo deterioramento, ne rende anche molto difficoltosa la comprensione. Degrado cui ha influito anche la tamponatura dei fori di aerazione e illuminazione un tempo esistenti nel pavimento della chiesa oltre a quella delle due porticine ai lati della scalinata d’ingresso. Per il primo ciclo di affreschi è stata avanzata l’ipotesi di una mano accademica, probabilmente legata all’ambiente di Giovanni Battista Piazzetta, coerente con la cerchia culturale dell’architetto Scalfarotto e con i pittori chiamati a dipingere le pale d’altare della chiesa. Per quanto riguarda le decorazioni successive queste sono di mano più “popolare” e legate alla tradizione del memento mori. Eseguiti a secco e in parte sopra agli affreschi precedenti, non sono le ultime pitture eseguite nella cripta. Esiste anche, nella zona sottostante il presbiterio, in uno stato migliore rispetto al degrado complessivo, una fase databile al 1857 e ascrivibile a un pittore che si firma Paolo Cavinato in una scritta auto-dedicatoria posta sulla volta che collega l’androne al corridoio centrale. Anche nell’ultima camera sepolcrale, sul lato sud della cripta, sotto il presbiterio, troviamo la sue iniziali e il testo “Sempre a buon fine operai”. Non esistono fonti relative a questo misterioso pittore la cui mano è alquanto arbitraria e mancante di pianificazione

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per il posizionamento dei soggetti entro gli spazi. Sembra infatti che abbia lavorato a braccio, faticando a orientarsi e a lavorare all’interno di un ambiente scuro e angusto, fra scene dell’Antico Testamento e ornamenti vari fra cui anche delle finte rosette accoppiate a quelle similari del vecchio impianto di aerazione e un impressionante scheletro a figura intera. Per finire, vicino alla piccola camera posta a nord-est dell’incrocio dei corridoi, appare la scritta “DIRETTORE”, contrapposta a “VICE DIRETTORE” a nord-ovest. Probabilmente sono legate alla “Camera del purgo”, una sorta di tribunale legato alla gestione amministrativa e giudiziaria della corporazione dei lanieri. Questo lascia intendere che, nella seconda metà dell’Ottocento, la cripta sia stata destinata ad attività non più legate al carattere sacro del luogo. Come potrebbe essere anche il caso di una loggia massonica. Ciò è ipotizzabile dal valore simbolico delle decorazioni successive

al primo ciclo cui sembrano contrapporsi in una sorta di visione pre-illuminista ma anche per l’epoca di costruzione e per la figura di Tommaso Temanza, nipote dell’architetto Scalfarotto che nel cantiere di San Simeon piccolo mosse i suoi primi passi d’artista, la cui appartenenza alla Massoneria è documentata. Negli stessi anni in cui San Simeon piccolo viene costruita, nasce a Venezia la prima loggia massonica, fra il 1729 e il 1733. Mentre un’altra loggia era attiva a Rio Marin, proprio a due passi dalla nostra chiesa. Fino al 1785 le riunioni massoniche potevano avvenire liberamente per essere poi sciolte d’autorità dal governo della Serenissima. Da questo momento, le logge saranno costrette a riunirsi in ambienti nascosti, sotterranei. Come nel nostro caso. Quasi come la tradizionale immagine dei primi cristiani nelle catacombe.

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