Letteratura e racconti

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Fly Line ESEMPIO DI ARTICOLO, ARGOMENTO:

LETTERATURA


Le schiuse di Halabyian Una schiusa sull’Eufrate, la vita nel cosmo, la stupidità umana e l’intelligenza delle bombe. Meglio rimanere stupidi. Roberto Messori

È

vero, questa è una rivista che parla di pesca con la mosca artificiale e relativa idrobiologia. Non ha nulla da spartire con la politica internazionale e le guerre. È anche vero che per anni i pam italiani non hanno potuto, causa la guerra, frequentare le bellissime acque della ex-Jugoslavia e, a quel tempo, qualche nota sulla guerra venne pubblicata parlando del Gacka, poche parole scorate, più incidentali che altro. L’Iraq è molto più lontano e di certo noi pam non ne frequentiamo le acque. Sembra banale parlarne, ne parlano

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tutti. Almeno alla fine di marzo, c’è chi tiene per Saddam, chi per Bush (gli sportivi), chi né per l’uno né per l’altro (i filosofi), chi tenta una morale umanitaria (o umanoide), chi religiosa (è un antropologo?), chi piange sul povero marine televisivo e considera i 3000 caduti iracheni solo un numero, chi ricorda le migliaia di bambini morti causa le sanzioni, chi rileva che un terzo degli effettivi USA nel ‘91 (si parla di 150.000 unità) hanno ottenuto la pensione di invalidità per la pioggia di tumori portata dalle granate all’uranio impoverito e via di-

cendo. Le contraddizioni delle guerre sono tante e tutte scomode. Il mondo è fatto così. Poi siamo in Italia e finché non ci cade un Cruise sulla testa è inutile farci cattivo sangue. Oggi, aprile 2003, in pieno attacco, le TV fanno a gara a cercare il profugo curdo, l’esiliato iracheno, lo stratega militare, il politico arrabbiato, l’esperto di armi, lottano per l’audience, litigano sui sondaggi, informano, disinformano, incasinano i servizi… Per la TV la guerra è una vera schiusa e, come le trote, cercano di riempirsi la pancia a più non


Nelle immagini: l’Eufrate a Dura Europus, all’orizzonte il confine iracheno. Foto piccola, fotogramma da un documentario sull’Iraq: la tragedia dei bambini. Saranno soprattutto innocenza e inconsapevolezza a pagare per la libertà di domani.

posso. Tuttavia si deve essere informati. Comunque questa è una rivista di pesca e al massimo dovremmo interessarci della guerra ai cormorani. Fly Line accompagna una passione e dovrebbe agire quale scacciapensieri culturale; non si può trovare la guerra all’Iraq anche qui! Ma io non ce la faccio più. Mi spiace, ma dovrete sopportare almeno uno sfogo. Riguarda le bombe intelligenti. E un racconto di pesca mancata. Siria, Dura Europus, confine iracheno, novembre 1998 – Dura Europus è un tuffo nel tempo. Qui toccate pietre scolpite dai Macedoni tre secoli prima di Cristo, che eressero le mura sulla ancor più antica città di Dura. Poco più a valle c’è Mari, una delle prime città dell’umanità, antica di cinque millenni. Lungo le rive di questo fiume sono nate le città e la civiltà, qui l’uomo è diventato sedentario, poiché il fiume gli ha consentito di abbandonare la vita nomade attraverso i deserti. Seduto sulle mura della fortezza, dal confine siriano guardo oltre l’Eufrate la sottile striscia di terra al di là della quale c’è il confine iracheno. In lontananza si vedono i fumi degli impianti petroliferi. La strada che da Abu Kamal porta ad Al Ka’im parallela all’Eufrate è chiusa: nessuno può oltrepassare il confine, figuriamoci un turista italiano. Penso che occorreranno ancora anni, probabilmente tanti, prima di poter scendere in sicurezza l’Eufrate fino a Bassora, visitando straordinari siti archeologici e tenendo d’occhio le grandi schiuse del fiume. Già, le schiuse.

Dura Europus è una cattedrale nel deserto. Una fortezza imponente che domina il fiume da un tavolato desertico. Alle spalle sabbia e roccia a perdita d’occhio, di là dal fiume un’infinita distesa di campi coltivati si perde verso Est. Non vi sono ponti. Il primo è molto a monte, ben addentro il territorio siriano, forse un ponte vicino al confine di Saddam avrebbe reso troppo inquiete le notti beduine. Mirella ed io siamo gli unici turisti capitati lì da tempi incomprensibili, almeno nello scambio di gesti con l’unico altro antropoide presente: un arabo armato di un lunghissimo fucile che cerca, con

rapido successo, di farci pagare il biglietto d’ingresso al sito. Si sposta su una motocicletta che sta a metà tra l’archeologia industriale e il mondo dei Flintstones. È felicissimo, riparte e scompare nel deserto in una nuvola di sabbia, ha ottemperato il suo ruolo esistenziale vendendo il biglietto di stato al turista europeo, ha conosciuto uno straniero importante, uno che guadagna molto più di lui, ha visto il viso della sua donna (quella dello straniero, la mia insomma. Mia… si fa per dire) ed ha rimediato anche un paio di fotografie, che non vedrà mai, però le vedrete voi. E anch’io sono

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felice. Non ci sono altre tracce, né di gomme né di scarpe, non si vede un rifiuto, una cartina, una cicca, non si vede neppure un sacchetto di plastica. I sacchetti di plastica ricordano la civiltà nel deserto Siriaco, che ne è pieno come un torrente italiano dopo una piena. Se Leopardi fosse stato seduto qui, …sedendo e mirando interminati spazi… avrebbe riscritto L’infinito e poi si sarebbe buttato nell’Eufrate. …il naufragar m’è dolce in questo mare. Qui invece ci sono io e il pensiero salta dall’antropologia alla superficie del fiume, alla base dello strapiombo. Anche in quelle acque ci saranno insetti e pesci. Non poter attraversare un confine tra turbolenti stati arabi per accedere alla storia della civiltà ti fa provare potenti tensioni, magari ti senti più importante del necessario, ma non poter pescare in una schiusa dell’Eufrate con pescioni che bollano ti fa sentire stupido, molto stupido. É successo il giorno dopo.

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Halabyian – Altra fortezza a controllo degli antichi traffici e a difesa dai Persiani. Credevo straordinariamente suggestiva Dura Europus, ma per Halabyian non esistono aggettivi. Dalla grande torre che domina un’altura, due imponenti ali murarie scendono fino alla riva dell’Eufrate. Non c’è molta gente in giro: per raggiungere il sito è occorsa l’intera mattinata e le uniche figure umane incontrate sono due beduini seduti su una roccia presso il fiume, anzi due barracani con dentro, presumibilmente, due beduini, che rincontreremo alla sera, al ritorno, nella stessa posizione e postura. Solo le due capre si sono spostate, ma di poco. Corro lungo le mura imponenti come un bambino, entro ed esco dai camminamenti, risalgo i ruderi ciclopici e li ridiscendo. Mirella la prende con più calma. Arroventato e sudato raggiungo la riva per rinfrescarmi. Sotto la fortezza il deserto cessa dove il fiume comincia, solo una sottile fascia di erba li divide. Troppo accaldato per essere mistico, in-


A fronte in alto: sito archeologico di Apamea. La Mesopotamia è tutta un sito archeologico. A destra: le mura ciclopiche di Halabyan scendono verso l’Eufrate. In basso: Mirella paga il ticket. Si noti la targa della moto. filo le mani nell’acqua e mi sciacquo braccia e viso. L’acqua è freddissima e solo ora mi rendo conto della limpidezza. Alzo lo sguardo per coglierne la dimensione, qui l’Eufrate è grande come il Po a metà del suo percorso, ma limpido e gelido come un cupo torrente di montagna. La sensazione è potente. Cerco con lo sguardo di seguire il fondale che si inabissa e lì, inaspettatamente, inizio a cogliere ombre scure e lampi di luce. Erano solo i primi movimenti. Presso quella riva, in Siria, sotto le mura di Halabyian, l’Eufrate mi aspettava per sorprendermi con una schiusa: il regalo più bello che un fiume possa fare ad un pam. Le ninfe hanno iniziato ad arrivare in superficie ed il pesce ora le bolla distintamente. Non so che pesci siano, immagino grandi ciprinidi. Qualche chilometro addietro abbiamo superato i resti di una fishery inglese, con tanto di vasche e insegna, roba vecchia di 80 anni, forse di quando, nei 1919, inglesi e francesi si spartirono la Siria, e gli inglesi non allevavano ciprinidi, ma trote. Non voglio neanche pensarci. Bollano ad iniziare da 10/12 metri dalla riva in una fascia fino a 20/25 metri e solo in quel tratto, davanti a me per una larghezza di circa 30 metri. Una schiusa su misura. Davvero è una coincidenza? Mi occorrono pochi secondi per realizzare che l’inseparabile Smuggler di Hardy, una travel rod in 7 pezzi, il Marquis con la coda 5 e la scatoletta con un centinaio di mosche, tutto materiale infilato in un angolo della valigia prima della partenza, lo tolsi prima di chiuderla perché pensai all’Eufrate come un pantano largo un chilometro. Per la prima volta, in un viaggio importante, lasciavo a casa l’attrezzatura. Bella pensata. La vita mi aveva fatto un regalo straordinario. Una di quelle manifestazioni che davvero ti fanno credere nel suo straordinario potere, ma io non ave-

vo avuto abbastanza fiducia. Lo immaginate? Avrei pescato nell’Eufrate all’ombra delle mura di Halabyian, avrei preso e rilasciato grossi pesci per mezz’ora. Forse trote. Mirella ed io ne avremmo mangiati un paio, arroventati sulla brace degli arbusti del deserto e bevuto il tè dei beduini. É impossibile che non ne offrano: qui, ovunque andiate, un beduino vi offre il tè, vi chiede se siete stanchi e vi offre la sua tenda ed un prezioso tappeto per riposare. Avremmo assaporato lo stesso cibo degli antichi abitanti di Dura e di Ur, e

condiviso gli stessi pensieri nel silenzio del deserto. Non è finita. Dopo qualche minuto gruppi di pesci lunghi un braccio saltano fuori dall’acqua, scappano, scappano da un predatore del quale intravvedo l’ombra per un attimo. Così, il ciclo è completo. La vita, di più, non poteva proprio fare. Metto tutta la testa sott’acqua per raffreddarla un po’, osservo la schiusa spegnersi pian piano e torno alla torre sull’altura. Raggiungo il punto più alto che possa accogliere il mio sedere e lì aspetto il tramonto. Mirella ha visto tut-

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Un carro armato o un mucchio di fieno con un forcone? Sopra: vista dalla torre di Halabyan.

to e aspetta che mi passi. Legge una guida di archeologia, seduta su un capitello. Pensieri dalle mura ciclopiche - La torre di pietra, costruita due millenni fa su mura ancora più antiche, sovrasta un deserto che il sole sta infuocando. Davanti all’ingresso franato il terreno è talmente ripido da costringerti ad aggrapparti alle pietre per scendere o salire. Un piede in fallo e vai a far parte della storia. O almeno la tua caviglia. Da quassù la torre sembra sgretolarsi nel fiume ed il fiume sembra mille metri più in basso e tu hai le vertigini, mentre il deserto è sempre più lontano sotto di te. Forse i deserti non vanno mai

guardati dall’alto. Ad Halabyian non siete in uno sperduto angolino desertico su di un piccolo pianetino sperso nel cosmo, unica forma di vita in tutto l’universo: ma credete davvero una cosa del genere? Allora non c’è dubbio: la terra è piatta e le stelle ci girano attorno. Qui siete una galassia tra le galassie, ai confini dell’universo conosciuto, per citare Stargate. Qui attraversate davvero la porta delle stelle per vedere la terra in una dimensione diversa. Qui percepite l’origine della vita e vi sembra strano che si dibatta sul brodo primordiale o su Adamo ed Eva, qui capite che la vita è la naturale evoluzione dell’universo: ecco lì sotto terra ed acqua, là in fondo il sole, ma l’uomo non capisce, è sordo e cieco. Qui non siete soli, ma in compagnia delle gioie, delle pene e delle paure

degli infiniti esseri viventi sparsi nel cosmo. Qui capite che l’evoluzione di una nube di gas, di una meteora, di una molecola d’acqua non possono che portare alla vita, ed è un evento straordinario che la vita, un giorno, tenda alla consapevolezza. In questo luogo nel viso di una bimba irachena che sta morendo di dissenteria c’è più dolore che nelle macerie delle torri gemelle. In questo luogo un arabo col suo lungo fucile vale una portaerei nucleare. Anche senza motocicletta. Di là dal fiume vedo una sagoma, forse un arbusto, forse un mucchio di fieno con un forcone, sembra un carro armato. Immagino un satellite militare, un F-16 sgancia una bomba, un raggio laser la guida e il pagliaio si dissolve in una palla di fuoco. I barracani con dentro i beduini vaporizzano e poco lontano, in una tenda, due bimbe rimangono senza papà. Ora il deserto, gonfio di pena, è davvero deserto. È arrivata l’intelligenza. Definire intelligente un arnese che può portare solo morte e distruzione la dice lunga sull’intelligenza di chi lo ha concepito, progettato e usato. Meglio rimanere stupidi.

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