Speciale Fiera del Levante 2017

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Guardiamo al futuro con il binomio cultura ed economia La Fiera come hub strategico nel sistema degli attrattori culturali della Regione Puglia

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n un momento come questo in cui l’Italia e tutta l’Europa si interrogano su politiche e strategie per l’accoglienza, io non posso non riportare alla memoria quanto la Fiera del Levante abbia rappresentato, sin dalla sua costituzione, un luogo in cui l’integrazione tra culture e lingue è sempre stata realtà. Fin dalle origini con la storica Galleria delle Nazioni e i tanti Paesi esteri che qui in Fiera hanno esposto per decenni, e lo fanno tuttora, e con i quali questa città e questa Regione hanno intessuto importanti relazioni economiche e politiche. Una tradizione che ha contribuito a trasmettere ai cittadini di questa città e di questa Regione una certa familiarità con tutto ciò che fosse estero, trasmettendo il rispetto per le differenze, la curiosità per la scoperta di usi, costumi e tradizioni e la consapevolezza di quanto di buono potesse scaturire dall’incontro con questi mondi differenti. Una tradizione che si rinnova anche in questa edizione. Sono più di una trentina i Paesi esteri che da oggi e fino al 17 settembre esporranno oggettistica, tessuti, abbigliamento e artigianato etnico. Novità assoluta di questa edizione 2017 è la presenza di El Salvador che sbarca in Fiera con il progetto di sviluppo imprenditoriale femminile Ciudad Mujer, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e realizzato da UN WOMEN, con la presenza di due imprenditrici salvadoregne per un proficuo scambio di esperienze con altri imprenditori e la possibilità di sviluppare potenziali network. L’iniziativa, che ha visto la creazione di un fondo di micro-credito e la realizzazione di attività di formazione e coaching per donne in situazione di vulnerabilità, ha rafforzato il ruolo delle donne nello sviluppo economico del paese del centro America, da sempre uno dei pilastri dell’azione della Cooperazione Italiana. Scambi interculturali, donne e sviluppo: i messaggi che la Fiera del Levante è orgogliosa di sottolineare. E a proposito di cooperazione con gli altri Paesi, anche quest'anno è possibile visitare il padiglione dell'Internazionalizzazione, all’interno del quale esplorare e conoscere le opportunità presenti sui numerosi mercati esteri per le PMI pugliesi. Sono ben 23 i Paesi stranieri che si interfacciano con i nostri imprenditori, attraverso gli addetti commerciali delle Rappresentanze Diplomatiche in Italia e i referenti delle Camere di Commercio miste, gli stessi che forniranno alle imprese pugliesi informazioni utili per la ricerca e l’individuazione di nuovi mercati mondiali.E in questo contesto la Fiera si trasforma in un eccellente strumento che, da una parte affonda le radici nel suo storico passato, ma dall’altra è sempre pronta a cogliere le novità del futuro. La Campionaria segna quest’anno il passaggio del testimone tra l’Ente e la nuova società creata da Camera di Commercio di Bari e Bologna Fiere, la New.Co, che è subentrata nella gestione dell’attività fieristica del quartiere. Un momento storico importante che fa da spartiacque tra passato e futuro, certi che per la Fiera si tratterà di un altrettanto importante opportunità di svi-

luppo e di crescita. Non è stato facile compiere quell’iter necessario per il risanamento dell’Ente e per il suo rilancio. Se oggi possiamo disegnare stimolanti prospettive future è grazie ad un rigoroso piano di ristrutturazione incentrato su tagli dei costi fissi, una sofferta quanto necessaria riduzione del personale per la ricollocazione del quale, grazie a sinergie con le Istituzioni e gli Enti ad esse collegate e al preziosissimo contributo delle organizzazioni sindacali, abbiamo evitato di pagare drammatici costi sociali, l’aumento del numero delle manifestazioni con il coinvolgimento di altri Enti fieristici e la valorizzazione del patrimonio immobiliare. Tutti sforzi necessari per superare una congiuntura che, negli ultimi anni, appariva particolarmente sfavorevole. Sforzi che si aggiungono a quelli per lanciare, per la prima volta in Fiera, il binomio cultura ed economia. Vogliamo far vivere la Campionaria giorno per giorno e renderla fruibile a tutti, valorizzando al suo interno, oltre a diversi e importanti comparti economici, l’arte e la cultura rappresentativi dell’eccellenza e della creatività della nostra terra. Per questo, nascerà in Fiera il Polo delle Arti e della Cultura. Il progetto, per la cui approvazione ringrazio Regione Puglia e Comune di Bari, sarà molto di più di un semplice intervento infrastrutturale su alcuni padiglioni della Fiera del Levante. Consentirà il recupero e il restauro di spazi da destinare, tra l’altro, ad attività culturali, formazione delle nuove generazioni e spettacoli dal vivo. Si tratta, quindi, di un investimento importante sull’identità della Fiera del Levante come attrattore culturale e turistico della nostra Regione. Potremmo paragonarlo a un hub strategico nel sistema degli attrattori culturali della Regione Puglia, un presidio delle politiche di sviluppo locale del sistema culturale territoriale. In questo Polo straordinario confluiranno arte e cultura, design e turismo, il tutto al servizio dell’intera filiera regionale, valorizzando gli investimenti pubblici e privati con i quali saranno create delle partnership. Questa Campionaria restituisce una cifra stimata tra i 12 e 15 milioni di euro, si tratta di “ricchezza” che ricade su un territorio che va ben oltre la sola provincia di Bari e il cui indotto si spinge anche molto al di là. Cifre importanti che rendono la Fiera parte realmente attiva della città e della sua vita economica, sociale e culturale e attore importante nel suo rilancio verso la propria vocazione di grande attrattore culturale e turistico. La grande scommessa di questo straordinario contenitore è quella di diventare, pur restando un luogo dove si fa economia e business, anche il luogo che riesca a coniugare e trasformare la cultura, in tutte le sue forme, in sviluppo ed economia. Ci piace pensare che questo possa accadere in un mondo senza confini. Antonella Bisceglia Commissario della Fiera del Levante di Bari




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Emiliano, noi pugliesi abbiamo la testa dura di FRANCESCO IATO

Il Governatore attacca il governo per Ilva e Legge sulla partecipazione, ma lascia le porte aperte a Gentiloni

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residente siamo a metà del suo mandato, com'è messa la Puglia secondo lei, meglio o peggio di come l’ha trovata? “Stiamo realizzando punto per punto il nostro programma di governo, quello scritto insieme a migliaia di pugliesi durante la campagna elettorale e poi approvato dal Consiglio regionale. Faccio alcuni esempi. Siamo la prima regione italiana ad aver introdotto il Reddito di Dignità, una misura universale di contrasto alla povertà che mira a raggiungere 20 mila pugliesi l’anno. Abbiamo risanato i conti della sanità pugliese, un passo necessario per rilanciare tutto il settore. In particolare abbiamo avuto il plauso della Corte di conti per aver garantito elevato livelli essenziali di assistenza e di avere diminuito gli sprechi della spesa farmaceutica. Il turismo quest’anno ha toccato il suo massimo storico, stiamo recuperando moltissimi posti di lavoro e senza dubbio la Puglia è la regione del Mezzogiorno con maggiori chance di crescita per il futuro. Insomma abbiamo molto da lavorare ma possiamo dirci soddisfatti di quanto fatto in questi primi due anni. Secondo l’Istat l’economia regionale si è lievemente ripresa nel 2016, le crisi aziendali però continuano ad essere moltissime e da ultima s’è aggiunta la Bosch, che ne pensa? Il tessuto imprenditoriale pugliese è composto principalmente da imprese piccole e piccolissime, alle quali si affiancano le medie aziende e le grandi industrie. Le piccole imprese, opportunamente guidate dalle politiche regionali, oggi

collaborano in rete anche con imprese più grandi, ampliando e migliorando le proprie attività grazie agli investimenti in ricerca e innovazione. Sono nati così prodotti innovativi e sono stati migliorati i processi. Le piccole e medie imprese hanno affrontato anche le sfide dell’internazionalizzazione e spesso hanno avuto successo sui mercati esteri. La Bosch è l’unica grande azienda in una situazione preoccupante ma non a causa della congiuntura quanto piuttosto del crollo di fatturato di alcuni suoi grandi clienti, a seguito del cosiddetto scandalo diesel della Volkwagen. Qual è allo stato la visione della Puglia per il futuro? È ottimista? E perché? Certamente ottimista. Perché la Puglia ha un tessuto economico sano, imprese correttamente gestite, amministrazioni pubbliche che tutelano il territorio, un controllo dell’ordine pubblico superiore a quello delle altre regioni meridionali, una comunità partecipe e tantissimi giovani che se è vero che sono in giro per il mondo a lavorare e studiare, non vedono l’ora di poter tornare in Puglia per dare una mano. Il nostro compito è agevolare il loro ritorno. Nel 2018 si vota per le Politiche, il centrodestra sembra lanciato alla riconquista del governo del paese. È così? Lei che ruolo avrà nei prossimi mesi? E la guerra con Renzi? Resta o è acqua passata? Non c’è mai stata nessuna guerra, ma certo la concezione della politica che mi spinge è molto diversa da quella di Renzi. Ed infatti non ho mai mancato di consigliare, anche con severità, al segre-


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tario del mio partito per tentare di impedire quegli errori che negli ultimi due anni ci hanno messo in grossissima difficoltà. Indipendentemente da ciò, però, farò ogni sforzo in campagna elettorale per dare una mano. Certo non sono molto ottimista, ci sono delle difficoltà e bisogna affrontarle subito”. E infine sulla Fiera del Levante, come valuta l'intervento del premier Gentiloni durante la cerimonia inaugurale? Ho sentito finalmente dopo molti anni il tono di un discorso giusto per un presidente del Consiglio. Ha parlato della questione meridionale come di una questione fondamentale, l’ho sentito proiettato ad incoraggiare senza illudere, l’ho sentito analizzare gli elementi positivi della situazione economica senza dire bugie. Questo mi incoraggia molto di più di un pallone lanciato nel cielo, che invece scoraggia perfino di più di una analisi cruda. Sono quindi moderatamente soddisfatto del suo discorso: è il discorso di un presidente del Consiglio che deve tenere insieme un governo molto complesso.

Lei ha lanciato il nome di Gentiloni come possibile candidato premier di tutto il centro sinistra? Se Gentiloni assumesse la leadership del centrosinistra il suo contributo al Paese, all’Italia e a tutto il centrosinistra sarebbe molto più importante perché egli sarebbe liberato da tutte le scorie e appesantimenti che oggi probabilmente gli hanno reso molto molto più difficile dare le risposte alle domande che gli abbiamo fatto. Eppure proprio il Governo ha impugnato la Legge sulla Partecipazione approvata lo scorso luglio dal Consiglio della Puglia, una pietra miliare del suo programma. Quali saranno le sue prossime mosse? Sono convinto che quando dimostreremo che la nostra legge è identica a quella della Toscana, e tutto sommato afferma solo che vogliamo discutere anche delle grandi infrastrutture nazionali quando esse toccano la Puglia, penso che il Governo nazionale facilmente comprenderà che non c’è nessun problema costituzionale. In ogni caso i ricorsi alla Corte costituzionale li facciamo anche noi contro le leggi nazionali: non bisogna drammatizzarli.







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“Patto per la Basilicata, misure strategiche per la nostra regione” di ALESSANDRO BOCCIA

Intervista al governatore Marcello Pittella, che fa un bilancio sull’attività portata avanti in questi anni

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l voto sull’operato di questi anni lo daranno i cittadini. Da parte mia credo però che abbiamo dato fondo ad ogni sforzo possibile per costruire le condizioni per una Basilicata capace di agganciare il treno dello sviluppo. I numeri tra l’altro ci consegnano un quadro incoraggiante”. E’ questo in estrema sintesi il bilancio dell’attività portata avanti in questi anni dal governatore Marcello Pittella in Basilicata. Presidente, il provvedimento attuato di cui va più fiero? Sicuramente il reddito minimo d’inserimento. è il primo provvedimento del genere in Italia e contempera il bisogno del segmento più in difficoltà della nostra società con la volontà di ridare ad esso dignità. Circa 4 mila persone riceveranno un assegno di sostegno al reddito a fronte di lavori di pubblica utilità, predisposti dai Comuni in appositi progetti. Ci sta qualcosa che avrebbe voluto fare, ma che non è riuscito a portare a termine? E perché? Abbiamo ancora un anno avanti e penso che ci siano le condizioni per realizzare tanto del nostro programma. Dovrà richiedermelo tra un pò. Questione petrolio. Soddisfatto di come ha gestito la vicenda cova di Viggiano? Per alcuni è stata un’azione, quella di bloccare il centro, che non ha portato a grandi migliorie sul tema della sicurezza e della salute. Non si tratta di soddisfazione, ma di assolvere a pieno il proprio dovere e di non girare altrove lo sguardo quando si tratti di assumere atti di responsabilità delicati e urgenti. Saremo severi e vigili, nel rispetto dei ruoli, anche in futuro come in questo caso. Sbaglia chi pensa che non vi siano state migliorie in termini di sicurezza, basti pensare alla realizzazione dei doppifondi delle cisterne e alle barriere idrauliche, ma il partito dei “malpensanti” è sempre dietro l’angolo. Alla ripresa dell’attività quali saranno le priorità? Siamo ripartiti già e di buona lena. Occupazione e innovazione tecnologica, sviluppo sono le priorità. A giorni pubblicheremo altri bandi su questi asset. “Patto per la Basilicata”. Per alcuni tanto fumo, e alla fine nulla di concreto. Noi stiamo realizzando misure strategiche per la nostra regione, a dire il vero, dal marketing all’efficientamento energetico, dal piano di ammodernamento del sistema di depurazione alle misure per lo sviluppo. Le faccio un esempio: abbiamo stanziato 12,4 milioni per migliorare le strutture ricettive. Mi sembrano cose concrete non chiacchiere.

Matera 2019. Una sfida che la città potrà vincere? Matera sta dimostrando di farcela. Il cammino è ancora lungo ma i presupposti per completare il portato dell’intera sfida ci sono tutte. Presidente si ricandiderà alla guida della Basilicata? È diventato un tormentone. Per ora continuo a lavorare poi tutti insieme decideremo.





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D’Onghia, una scuola migliore per un mondo complesso e globalizzato Al “Flacco” di Bari, autorizzata la prima classe sperimentale in Puglia

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nizia un nuovo anno scolastico, fra i clamori delle consuete contestazioni che denunciano aule carenti e inadatte ad ospitare i nuovi iscritti e cattedre ancora scoperte, e le speranze dei giovani studenti e delle loro famiglie, in una Scuola che sappia dare risposte di senso alle tante domande esistenziali che si affacciano alla mente di giovani adolescenti in formazione, aiutandoli ad orientarsi in questo mondo complesso e globalizzato che richiede sempre più alti requisiti di conoscenza e di maturità emotiva. Sullo sfondo, i dibattiti politico-culturali che hanno animato questa estate torrida e che promettono di accompagnarci per l’intero corso dell’anno, almeno fino all’insediamento della nuova legislatura ormai prossima, come ci ricorda spesso la Ministra in carica Valeria Fedeli. E parlo, come tutti già avranno compreso, della obbligatorietà dei vaccini che ha colto di sorpresa le famiglie italiane lasciate per troppo tempo libere di scegliere fra la vaccinazione o meno dei propri figli, nonostante il mantra della prevenzione sanitaria ribadito in ogni occasione ma poi puntualmente trascurato; e della sperimentazione nazionale che si avvierà dall’anno scolastico 2018/’19, con un tempo di preparazione localizzato nel presente anno di studi, per 100 classi prime di scuole d’Istruzione secondaria di 2° grado di tutto il territorio, intese per l’appunto a sperimentare un ciclo d’istruzione speriore di 4 anni anzichè di 5, come lo è negli ordinamenti del nostro sistema scolastico e nella quasi generalità dei casi. Infatti nel 2013/’14 sono già partite 12 classi prime intese a sperimentare questa riduzione, che dovrebbero aver concluso il ciclo di studi nell’anno in corso, seguite da un numero imprecisato di classi terze, seconde e prime già attivate negli anni intermedi ed in quello appena iniziato, senza più alcun controllo numerico! Per fare un esempio che riguarda la nostra terra, presso il Liceo Classico “Orazio Flacco” di Bari nel 2013/’14 è stata autorizzata una prima classe sperimentale, ma già nell’anno in corso le classi prime sperimentali sono diventate tre. Bene ha fatto il Ministro Fedeli a voler ricondurre questa sperimentazione in un alveo di maggiore controllo e di valutazione degli esiti da parte di organi tecnici di livello nazionale. Per quanto attiene più in particolare alla comunità scolastica pugliese, non posso che dichiararmi soddisfatta dell’infaticabile lavoro svolto dagli organi dell’Amministrazione scolastica centrale e territoriale per garantire un rego-

lare avvio dell’anno scolastico, ed in particolare della professionalità dei dirigenti delle nostre scuole, che pur messi alla prova da un continuo aggravamento di compiti e responsabilità, cercano fra mille difficoltà, con il coinvolgimento dei docenti e del personale di segreteria (ridotto ormai al minimo storico), di garantire un servizio di qualità alle famiglie e agli studenti.

Sen. Angela D’Onghia

Sottosegretario del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

Angela D’Onghia







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Bubbico, l’impegno del Governo per il Mezzogiorno di ALESSANDRO BOCCIA

Da “Resto al Sud” all’intervento dell’Europa e della Comunità internazionale su più fronti

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ontinuano a diminuire gli arrivi degli immigrati in Italia. Una tendenza confermata dai dati ed attribuibile anche al rinnovato impegno della Guardia Costiera e dei sindaci costieri Libici, che fa seguito all’Accordo di Cooperazione sottoscritto il 2 febbraio scorso tra il premier Gentiloni e Fayez Al Sarraj”. La conferma arriva dal vice ministro dell’Interno, Filippo Bubbico, con il quale abbiamo fatto il punto sulla situazione, ma anche sull’impegno del Governo a favore del Mezzogiorno. Il calo di arrivi di immigrati in Italia, crede sia un trend che si possa confermare anche nelle prossime settimane? I presupposti ci fanno ritenere di sì. Continua comunque il nostro impegno nel governo dei fenomeni migratori. Siamo di fronte ad un’emergenza epocale. In Africa si registrano 15 conflitti in atto. è chiaro che il fenomeno non si può bloccare con una semplice barriera. Occorre un intervento dell’Europa e della comunità internazionale su più fronti. L’obiettivo da perseguire è quello del rispetto dei diritti umani e del sostegno di politiche di sviluppo nei paesi di provenienza dei migranti. Solo così sarà possibile disincentivare i traffici illeciti di esseri umani. Da Matera il premier Gentiloni a luglio ha annunciato l’impegno del Governo per il Mezzogiorno. Quali saranno le prime iniziative che verranno prese subito dopo la pausa estiva? La città di Matera è stata la sede prescelta dal Governo per annunciare la pubblicazione della legge di conversione n. 123 del 3 agosto 2017, recante “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”. Il provvedimento prosegue la politica degli incentivi mirando allo sviluppo della nuova imprenditorialità, anche con risorse aggiuntive. Due i progetti principali: “Resto al sud” diretto ai giovani meridionali che non dispongano di mezzi propri per avviare un’attività propria prevedendo un sostegno attraverso contributi pubblici e l’istituzione e la regolamentazione delle zone economiche speciali (ZES) che saranno concentrate nelle aree portuali e nelle aree ad esse economicamente collegate. Non solo incentivi fiscali ed economici, nel progetto del Governo ci sono anche le infrastrutture e l’attenzione per l’ambiente. A proposito di Matera e dell’appuntamento del 2019, crede che la città riuscirà

a farsi trovare pronta per quella data? L’appuntamento del 2019 è molto importante per Matera, è un’occasione unica per apprezzare il valore del territorio. Per questo non deve farsi trovare impreparata. Matera deve impegnarsi nella sfida di coniugare tradizione e innovazione, per realizzare in modo strategico e condiviso una riflessione culturale che veda nel 2019 non un punto di arrivo, ma una base di partenza per il futuro.

Filippo Bubbico



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Istituita la giornata della Memoria per il Sud di FRANCESCO IATO

Tra polemiche e ragioni storiche, Loizzo descrive il difficile cammino di ricostruzione di una memoria condivisa del Meridione

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ra passata quasi inosservata ed ha finito per sollevare un acceso dibattito sulla stampa, pro o contro, la decisione del Consiglio regionale di istituire in Puglia una giornata in ricordo delle vittime meridionali dell’Unità d’Italia. Contro, soprattutto numerosi storici, che contestano “l’uso politico della storia”. Il 4 luglio l’Assemblea pugliese ha approvato a maggioranza una mozione dei Grillini che impegna il presidente e la Giunta regionale “a indicare il 13 febbraio come giornata ufficiale in cui commemorare i meridionali che perirono in occasione dell’unità e i paesi rasi al suolo”, promuovendo iniziative, convegni ed eventi, aperti a studenti di ogni età. La questione è stata al centro di discussioni nel cuore dell’estate e tornerà ad animarle alla ripresa dell’attività consiliare, da settembre. Abbiamo chiesto il parere del presidente Mario Loizzo in merito al ruolo guida che l’assise rappresenta tra le istituzioni. Presidente Loizzo, cosa pensa del “vespaio” sollevato sulla giornata della memoria del Sud? “Ritengo che le polemiche rischiano di risultare fuorvianti, per i toni che hanno assunto. In un’Assemblea democratica, ogni confronto è utile sui nodi storici, da affrontare senza strumentalizzazioni politiche. Questo, tanto più in un Paese nel quale non riusciamo a costruire una memoria condivisa su grandi fatti della storia: le guerre, il fascismo, la Resistenza, le foibe, oltre al Risorgimento”. È l’occasione di dibattere su pagine ancora controverse in Italia? “Dibattere sulla storia è sempre utile, ripeto, visto che i primi a scrivere sono i vincitori, a loro uso e consumo”. Il 13 febbraio coincide con la resa di Gaeta, l’esilio dei reali borbonici. Il Consiglio regionale della Puglia sollecita a confrontarsi sulle modalità e le conseguenze dell’unificazione? “Diciamo che non c’è motivo d’avere paura di farlo. Se la nostra Assemblea avesse respinto la mozione quella sarebbe stata una prova di debolezza e intolleranza. Invece, il dibattito consentirà a tutti di esprimere le proprie valutazioni e a chi ha promosso l’iniziativa di dimostrare che non rappresenta uno strumento di speculazione politica”. Non teme rischio di scivolare nel revisionismo? “Dubito che qualcuno

voglia insistere nell’apologia neoborbonica di un regime sanguinario e illiberale. Credo invece che la richiesta di commemorare è rivolta a ricordare le sofferenze delle popolazioni meridionali”. Si arriverà mai a una memoria storica condivisa? “Va necessariamente cercata, anche se difficilmente si potrà arrivare a conclusioni unitarie, ma sarebbe grave, ripeto, negare il confronto. Sarebbe controproducente: finirebbe per dare argomenti a quanti vorrebbero usare il passato per polemizzare sulle vicende politiche del presente”.

Mario Loizzo





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Palese, i fondi europei non sono un bancomat di FRANCESCO IATO

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Il Governo centrale: solo interventi spot, ad un anno dalla firma del Patto Puglia è tutto fermo

norevole Rocco Palese, vicepresidente della Commissione Bilancio della Camera, come valuta le politiche di questo Governo in favore del Mezzogiorno? Negli ultimi anni sono stati approvati molti Decreti per il Sud.

“Sul Mezzogiorno, purtroppo, il Governo sta dando il peggio di sé, annunciando interventi-spot che poi restano solo ‘spot’ pubblicitari: in continuità col precedente Governo, che ha solo firmato (in alcuni casi anche 2 volte) i Patti per il Sud programmando in Bilancio quasi tutto il Fondo di Sviluppo e Coesione (circa 44 miliardi), l’attuale non solo non ha ancora trasferito neanche 1 euro alle Regioni, ma ha spostato ben 35 di quei 44 miliardi a dopo il 2019 anno entro il quale, assurdamente, lo stesso Governo prevede che se quei fondi non vengono spesi gli tornano in cassa. Sempre sul fronte Sud, si è rivelato un bluff anche il ‘bonus’ per investimenti e decontribuzione per nuovi assunti previsto dal già povero Decreto Sud convertito con la Legge 18/2017. Eccesso di burocrazia, norme e circolari contraddittorie, hanno reso difficilissimo, quando alle imprese richiedere gli sgravi fiscali e contributivi. Per non dire che in quel Decreto Sud è previsto un meccanismo capestro per il quale gli investimenti nel Mezzogiorno, che attualmente si attestano intorno al 37%, sono destinati a scendere

al 34. E poi ci sono le tante, e pasticciate, modifiche del Governo al Codice degli appalti che hanno rallentato, quando non fermato, spesa e cantieri”. E sul fronte dell’impiego dei Fondi Europei 2014-2020? “Le Regioni sono all’anno zero, neanche 1 euro è diventato cantiere da nessuna parte e nessuno al Governo si preoccupa di creare un Tavolo, una cabina di regia con le Regioni del Sud per stabilire priorità di interventi, opere strategiche, cronoprogrammi e sostenerle nell’impegno e nella spesa”. In questo quadro come è messa la Puglia? “Al generale disinteresse del Governo per il Sud, in Puglia, purtroppo, si aggiunge il fatto che famiglie e imprese stanno pagando a caro prezzo gli scontri politici interni alla sinistra che diventano scontri istituzionali tra Governo e Regione. Ora tutti sembrano cadere dalle nuvole perchè ad un anno dalla firma del Patto Puglia è tutto fermo. Ma perchè dalla Regione Puglia non si leva alcuna voce? Da mesi chiediamo al Governo di chiarire quanti sono e dove sono i fondi dei Patti”. Lei cosa propone per cercare di sbloccare la situazione e velocizzare la spesa? “Un’unica ricetta per il governo centrale, evitare di usare i fondi per il Sud come un bancomat buono per tutte le stagioni e tutte le emergenze”.

Rocco Palese






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L’Aerospazio Pugliese, il volano dell’economia di casa nostra di FRANCESCO PERSIANI

Dalla produzione e l’occupazione garantite fino al 2032 alla sperimentazione degli “occhiali intelligenti”

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icerca e industria nel settore dell’Aerospazio rappresentano ormai un pezzo rilevante dell’economia di Puglia. Le attività sono distinte in tre grandi poli geografici sul territorio regionale. Taranto, Brindisi e Foggia. Oltre 50 imprese, che generano vendite per un miliardo di euro all’anno. 5000 gli addetti, per una metà nelle aziende madri, per l’altra in quelle dell’indotto. Tutte hanno un elevatissimo livello di competenza, con professionalità specializzate. Gli ambiti di interesse vanno dalla progettazione alla costruzione di aeromobili ed elicotteri e –recentemente- anche di droni e satelliti per uso civile e militare. Attività sottese alla ricerca e sviluppo di software sofisticati, dedicati alla produzione di fibre di carbonio, vernici, componenti in genere e sistemi di raccolta e trasmissione dati (per esempio nel recentissimo settore dei satelliti). Il primo passo nel settore dell’aerospazio pugliese lo mosse Alenia – oggi Leonardo-Finmeccanica – con lo stabilimento di Grottaglie-Monteiasi, nel Tarantino; per la costruzione della parte centrale della fusoliera in fibra di carbonio del Boeing 787 Dreamliner. Poco dopo, nello stabilimento di Foggia, cominciò la produzione delle ali per lo stesso velivolo. Oggi la Boeing ha confermato i suoi piani industriali, validi per i prossimi 15 anni, cioè garantendo la produzione e l’occupazione fino al 2032. C’è stato qualche momento di crisi, che adesso è superato: la committente contestava ritardi nelle consegne e qualche inefficienza di realizzazione. Problema risolto con l’internalizzazione della forza lavoro, spostando pezzi di produzione all’interno dello stabilimento madre, a scapito di

alcune aziende satelliti che si erano dimostrate inefficienti. Questo è accaduto nel corso degli ultimi due anni, a Taranto come a Brindisi. Nel capoluogo messapico l’attività è concentrata nel settore degli elicotteri e degli aerei militari modello ATR. Ma, in generale, è stata una “sterzata” organizzativa che ha prodotto massima efficienza produttiva e conseguente sviluppo nel campo della ricerca scientifica e tecnologica quella che ha generato la nascita di nuove aziende e la definitiva stabilizzazione di molti lavoratori, ex “somministrati”. È cresciuto così il settore della formazione professionale e dell’innovazione. Se oggi il polo aeronautico pugliese conta tante aziende, in settori diversi, lo si deve proprio a questo, alla politica industriale dell’alta specializzazione di settore, voluta dal Distretto Aerospaziale Pugliese, riconosciuto e sostenuto da una legge regionale. Imprese di grandi dimensioni, ma anche piccole, medie e micro imprese, messe insieme per cooperare, diventando complementari tra loro, sotto un’unica guida progettuale. Investimenti mirati per nuove realtà, anche con fondi pubblici, che avessero già chiara la loro casella da occupare nel sistema unificato. Ed è così che si sono sviluppate due aziende-modello, esempio, tra le tante la SITAEL e la AVIO-Aero. La prima ha aperto due sedi in Puglia: a Mola di Bari ed a Modugno, oltre a quella in Toscana. Qui, in Puglia, si progettano e realizzano piattaforme micro-satellitari. Al lavoro ci sono 200 giovani dipendenti, quasi tutti under-30. Ingegneri fisici ed elettronici che progettano e producono per ASI (Agenzia Spaziale Italiana), ESA (Agenzia Spaziale Europea), ma anche per la NASA, la storica agenzia statunitense. La


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punta di diamante sono i satelliti. In particolare piattaforme micro-satellitari a propulsione elettrica. Satelliti che raccoglieranno i dati inviati da altre strutture satellitari in orbita intorno alla Terra. I “satelliti dei satelliti”, insomma, per fare sintesi e rendere i dati raccolti maggiormente fruibili. Questo è il futuro remoto, che parte dalla Puglia. Così come quello che si sta costruendo alla AVIO-Aero, con sede a Brindisi. Azienda che si occupa da sempre di trasmissioni meccaniche e turbo-meccaniche, manutenzione e revisioni di motori aerei, soprattutto in campo militare. L’azienda – che ha una consolidata credibilità ed affidabilità nel suo settore – ora punta a velocizzare ed ottimizzare

le sue prestazioni. Lo sta facendo con la sperimentazione di “occhiali intelligenti”. L’addetto alla manutenzione del motore inforca gli occhiali sui quali appaiono in lettura tutti di dati relativi al motore, le operazioni da eseguire in ordine di tempo, garantendo la rigorosa sequenza. Così si accorciano i tempi delle operazioni – niente più voluminosi manuali da leggere e rileggere – e grazie ad una telecamera incorporata negli occhiali si può dirimere o registrare il lavoro eseguito. Potenza di un software inserito negli occhiali. Non è fantascienza: è il comparto aerospaziale di Puglia.





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Con la Misura Industria 4.0 i robot non saranno più un lusso di DONATELLA AZZONE

I nuovi incentivi consentiranno alle piccole e medie imprese di guardare al futuro investendo nella meccatronica

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nnovare, migliorare, trovare soluzioni meno costose e più precise. La Meccatronica e i robot a servizio di automotive, aerospazio e dispositivi medicali, rappresentano ormai da anni un segmento di eccellenza dell’industria pugliese. Un settore su cui punta molto la Regione che da anni sostiene con appositi bandi gli investimenti delle imprese sui nuovi macchinari e nella ricerca e lo Stato che, con la recente misura Industria 4.0 intende favorire gli investimenti nei settori ad alta tecnologia. Un fiore all’occhiello il distretto della meccatronica pugliese per qualità dei prodotti e capacità di offrire al mercato sistemi automatizzati sia per l’assemblaggio di componenti, sia per i dispositivi medicali, sempre più evoluti. Quella della robotica è ormai da tempo una produzione consolidata nel distretto barese, in grado di fornire la propria tecnologia di precisione in tutto il mondo. È il caso della Masmec di Bari, azienda specializzata in robotica e meccatronica, applicate ai settori dell’automotive e del biomedicale. “Stiamo preparando un grosso progetto di investimento per ampliare i fabbricati sia per acquistare nuove attrezzature ad alta tecnologia” – spiega l’ingegner Michele Vinci, presidente della Masmec. “Meccanica, elettronica e softwere aggiornati sono gli ingredienti per fare davvero innovazione. Le soluzioni tecniche aiutano a mettere in pratica tante idee che si sono rivelate nel tempo molto valide e, a volte, anche rivoluzionarie”. Il progresso tecnologico in medicina ha aperto nuovi scenari per la cura di gravi malattie. Un esempio è il navigatore chirurgico, realizzato dalla Masmec Biomed. Un sistema di navigazione all’avanguardia, un vero e proprio tom tom che guida la mano del medico negli interventi di chirurgia mini-invasiva, mostrando istante per istante l’esatta posizione degli strumenti operatori all’interno del corpo del paziente. “Questo è un ambito che richiede competenze specifiche e di altissimo livello. Bisogna investire molto in ricerca e incrementare la presenza degli studenti in azienda. Per questo – insiste il fondatore della Masmec – noi ospitiamo sempre stagisti. Investire nei nuovi cervelli e fare in modo che restino sul territorio, significa produrre grandi risultati domani”. Da qui anche l’importanza di valorizzare la formazione attraverso, per esempio, l’Istituto Tecnico Superiore Cuccovillo di Bari che da anni forma ragazzi specializzati nel settore della robotica e della meccatronica. “Con le nostre imprese e investendo sulla formazione – rilancia Vinci – possiamo sviluppare ulteriormente il distretto, attirare investimenti e dare lavoro ai nostri brillanti giovani”. Qualche aiuto in più non guasterebbe. Entro dicembre, il Governo dovrebbe concretizzare misure per la riduzione del cuneo fiscale e favorire sgravi sull’assunzione di personale sotto i 29 anni. “Queste – dice Vinci – sono opportunità utilissime per incentivare le aziende del settore e creare posti di lavoro”. Il distretto della meccatronica, che al momento occupa circa 10mila addetti (tra diretti e indiretti, ndr) dei quali la maggior parte laureati e altamente specializzati, è in rapida espansione. A fare la parte del leone è scuramente il mercato delle aziende che richiedono sistemi per am-

Michele Vinci

modernare le linee di montaggio dei componenti, principalmente il settore delle auto dunque, ma esiste una realtà oltre l’automotive. Oltre a quello delle attrezzature biomedicali, la robotica è entrata ormai in tutti gli ambiti. Anche nell’agroalimentare, tradizionalmente non associato a sofisticati software o attrezzature high tech, l’esigenza delle aziende è diventata quella di ottimizzare tempi e modi di produzione attraverso una supervisone informatica di tutte le fasi del processo. Sino a qualche anno fa era impensabile, ma adesso puntare sull’agroalimentare si rivela una scelta vincente. Ne è sicuro l’ingegner Luigi Malgera, general manager della MBL Solutions di Corato, che progetta e produce applicazioni robotiche per l’automazione dei processi industriali per la general industries, cioè per tutte le industrie che non fanno automotive. Data la vocazione del territorio l’attenzione è stata rivolta, ai settori del vino, dell’olio, dei prodotti da forno e caseari che registrano un’importante crescita in termini di fatturati ed export. “A queste realtà – spiega Maldera – abbiamo proposto soluzioni integrate. Robot e applicazioni che potessero ottimizzare il processo produttivo in modo che fossero più competitivi, senza mai ridurre il personale”. La robotica non equivale a licenziamenti e riduzione del numero egli operai. “Inserire i robot nel ciclo di produzione serve ad efficientare gli impianti che lavorano al di sotto delle proprie possibilità. Così imprese che erano sacrificate nel proprio standard, possono fare un salto di qualità, aumentare il proprio fatturato e di conseguenza assumere altro personale”. L’impiego di macchine per l’automazione nelle aziende agroalimentari è ancora limitato, ma sta crescendo, anche perché i vantaggi sono molteplici. Prima la robotica era prerogativa delle multinazionali, mentre ora, grazie ai costi accessibili, anche le piccole e medie imprese che fatturano pochi milioni di euro, possono adattarsi agli standard della quarta rivoluzione industriale, essere presenti in mercati più lontani ed internazionalizzarsi. “Anche un’azienda a conduzione familiare – insiste Maldera - attraverso internet e qualche accorgimento tecnologico, può oggi esportare ovunque”. Se l’azienda non digitalizza il proprio processo produttivo e non integra i robot a supporto della produzione, non riuscirà a rimanere sul mercato. Queste tecnologie, insomma, traghetteranno anche le piccole e medie imprese nella quarta rivoluzione industriale. Basta poco: interconnettere i rami dell’azienda, dotate di sensori intelligenti i propri impianti per proiettarsi già verso l’industria 4.0. Non solo agroalimentare, dunque, i robot stanno trovando grande applicazione nei settori dell’ecologia, della raccolta differenziata dei rifiuti e anche della più tradizionale meccanica. “Per questo ambito – dice Maldera – abbiamo già prodotto dei robot collaborativi, chiamati cobot che lavoreranno fianco a fianco con l’uomo”. Il percorso per adeguarsi all’industria 4.0 non è facile, ma neanche impossibile. Cambia il modo di pensare la produzione e cambia il ruolo e il modo di lavorare degli operai. A tal proposito l’anno prossimo il governo ha previsto incentivi per la formazione del personale per aumentare competenze e conoscenze. “ Questa è la strada giusta – insiste Malera – in Puglia abbiamo un tessuto imprenditoriale vivace, dobbiamo soltanto imparare a farlo crescere”.

Luigi Malgera




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Merck, Sanofi, Farmalabor, Itel e Lachifarma: il Polo dell’Industria farmaceutica di DONATELLA AZZONE

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Eccellenze in ambito mondiale, con ricerche e protocolli su malattie come la tubercolosi e il cancro. Per Fontana, il merito è anche dei governi regionali Vendola ed Emiliano

l comparto farmaceutico italiano è in crescita. Lo rivelano i fatturati, l’incremento del numero degli occupati e i dati sull’export che superano nettamente quelli di altri settori. E quello pugliese segue la stessa tendenza con oltre 700 addetti, più l’indotto e un fatturato di oltre 300 milioni di euro. L’industria farmaceutica italiana è considerata un’eccellenza in ambito mondiale e il comparto pugliese lo è altrettanto. A parte la Lombardia storicamente molto forte in questo settore e il Lazio che presenta una grande concentrazione di farmaindustrie, in questi anni la Puglia ha rivelato una vivacità eccezionale, tanto che oggi ricopre un ruolo importante a livello nazionale. Al sud, così come la Campania, costituisce un vero e proprio polo industriale tanto che anche grandi realtà multinazionali hanno scelto già in passato e confermato più di recente importanti investimenti in Puglia. È il caso di Merck (il cui business biofarmaceutico è rappresentato in Italia dalla società Merck Serono, ndr) che nello stabilimento di Modugno produce farmaci biotecnologici spediti in più di 100 paesi nel mondo, coprendo così il 31,4% di tutto l’export di Bari e provincia. La sola Merck esporta quasi il doppio del secondo set-

Sergio Fontana

tore industriale della provincia, cioè l’automotive nella sua interezza. Al momento, grazie ad un investimento del 2015 di circa 50 milioni, di cui 10 di finanziamenti regionali, è stata realizzata una nuova linea di produzione di farmaci liofilizzati con nuove tecnologie e sono state ampliate le aree di confezionamento e di stoccaggio. La Puglia è strategica anche per un’altra multinazionale, la Sanofi che a Brindisi possiede un Centro Biotecnologico di eccellenza che è parte integrante del distretto biotecnologico della regione Puglia, dove si lavora per lo sviluppo di microrganismi altoproduttori di antibiotici e nuovi principi attivi. La produzione è stata incrementata investendo sul personale e con la realizzazione di un nuovo laboratorio specializzato. A Brindisi si stanno sviluppando anche molecole che costituiscono potenziali soluzioni per malattie come la tubercolosi e il cancro. Accanto ai colossi ci sono altre 3 industrie farmaceutiche tutte pugliesi: la Farmalabor di Canosa, la Itel di Ruvo e la Lachifarma di Zollino. Sono poche rispetto a quelle nate in altre regioni, ma sono solide e stanno avendo un exploit sia in termini di fatturato che di posti di lavoro. In Puglia, inoltre, la catena del farmaco è completa. Dalle materie

Luciano Villanova


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prime, ai farmaci tradizionali, ai radio farmaci, le aziende pugliesi realizzano di tutto. Diverse eccellenze imprenditoriali, disseminate tra il Nord barese, la provincia di Bari fino al Salento, ognuna con la sua vocazione produttiva. E tutto il comparto ha un ampio margine di miglioramento. “La forza delle produzioni italiane – spiega il dottor Sergio Fontana, presidente della sezione Sanità di Confindustria Bari-Bat e amministratore unico di Farmalabor, azienda leader nel mercato italiano delle materie prime per uso farmaceutico alimentare e cosmetico – è costituita dal fatto che la produzione dei farmaci in Italia passa attraverso controlli stringenti. L’agenzia Italiana del Farmaco certifica la validità del prodotto, secondo standard talmente elevati, che ai nostri farmaci è riconosciuta una qualità straordinaria dagli operatori del settore di tutto il mondo. Il nostro miglior biglietto da visita è proprio il nostro tricolore”. Sul mercato, dunque, il farmaco prodotto in Italia si impone nettamente e supera la concorrenza di molti altri paesi. Un prestigio a livello mondiale che consente alle aziende italiane di vendere facilmente ovunque. “Il made in Puglia funziona bene anche perchè – spiega Fontana – il governo Vendola prima e quello Emiliano poi, attraverso le agenzie Innova Puglia e Puglia Sviluppo hanno incentivato il settore, con bandi per innovazione e ricerca che hanno premiato merito e impegno, erogando finanziamenti in tempi rapidi”. In pratica chi vuole variare o potenziare i propri prodotti in Puglia riesce a farlo agevolmente e questo negli anni ha fatto crescere le aziende e solleticato l’interesse delle multinazionali. “La Farmalabor – spiega Fontana – attraverso questi bandi e una collaborazione con il Politecnico di Bari ha sviluppato il settore 'Tech' che commercializza attrezzature per uso farmaceutico cosmetico e alimentare partendo da brevetti nostri. Un passo dopo l’altro ci siamo ricavati la nostra fetta di mercato. All’inizio avevamo solo 4 dipendenti, oggi ce ne sono 120. Abbiamo una sede a Milano, 3 a Canosa tra cui un Centro Ricerche. Abbiamo aperto una sede in Serbia e stiamo aprendo in Belgio e Polonia. Siamo leader in Italia e vogliamo diventare leader in Europa. L’obiettivo è diventare una grande impresa”. Al sud si può essere impresa di successo. Lo dimostra quello che accade in Puglia con la Farmindustria. Anche il settore dei farmaci per la diagnostica, molto specifico e delicato, ha avuto in questi anni un grande sviluppo. Accanto alle più classiche produzioni farmaceutiche, si è sviluppato un ramo ancora più innovativo, quello dei radiofarmaci, che non possiedono tutte le regioni. In Italia sono poche le aziende come la Itel, che produce radiofarmaci iniettabili per la diagnostica Pet, impiegata per individuare i tumori. Questi farmaci hanno vita molto breve perché la loro efficacia si dimezza con il passare delle ore. Si producono di notte per essere somministrati la mattina successiva. “Noi copriamo Puglia, Basilicata e Calabria – spiega il dottor Leonardo Diaferia, presidente e fondatore Itel - e arriviamo fino in Umbria e nelle Marche, quando siamo chiamati a sopperire la carenza di radiofarmaci nei reparti di Medicina Nucleare”. Produzioni del genere cambiano le prospettive nel campo della diagnostica, dando al possibilità a molti più pazienti di sottoporsi all’esame presto e sotto casa. Per esempio nel caso del Gallio68, che ha una vita di circa un'ora e serve per individuare i tumori neuroendocrini, la produzione avviene direttamente nei laboratori degli Ospedali Riuniti di Foggia, (unico caso in puglia, ndr) in modo che non passi tempo dalla realizzazione, all'impiego. Un servizio che è stato possibile realizzare grazie a fondi europei erogati dalla regione puglia con il progetto "Cluster in bioimaging". Avendo la garanzia della produzione in loco del radiofarmaco, la Puglia ha evitato di mandare i pazienti fuori regione anche solo per la diagnosi clinica. Intorno alla disponibilità di radiofarmaci (non solo il Gallio68, ma anche molti altri come il fluorodeossigluocosio che è il più comune dei radiotraccianti, ndr), sono aumentate le Pet: al momento sono 8 disseminate negli ospedali di tutta la Puglia. “Con una serie di radiofarmaci che a breve avremo disposizione, dice Diaferia - ci sarà un’offerta diversificata da parte delle Medicine Nucleari che si specializzeranno nella diagnostica dell’Alzheimr, dei tumori prostatici, del malattie cardiache e molte altre ancora. La Puglia ha dato così una risposta in termini di salute e di prevenzione ai pazienti grazie ad un connubio vincente di pubblico e privato”. Anche in questo caso infatti, i finanziamenti ottenuti attraverso i bandi di ricerca e sviluppo hanno dato buoni frutti. Attraverso investimenti consistenti e puntando su valide professionalità, la Itel ha potuto mettere in piedi una produzione di eccellenza a servizio del territorio. I radiofarmaci, che vengono assicurati attraverso due linee di produzione diversificate, il che garantisce il farmaco al 100%, insieme ad un laboratorio interno di microbiologia, fanno dell’azienda di Ruvo un'officina radiofarmaceutica unica in Italia. Più i livelli di qualità e di efficienza sono alti, più tutta la regione se ne avvantaggia. “Tutto ciò è motivo di orgoglio per l’imprenditoria, ma anche per il territorio – dice il Dottor Luciano Villanova, qualified person della Lachifarma di Zollino, l’unica industria farmaceutica italiana che collabora con l'Organizzazione Mondiale della

Sanità in un progetto per la produzione di farmaci per prevenire e curare la malaria ed è l’unica azienda pugliese, a capitale interamente privato, che produce, anche per conto dei più grandi colossi del farmaco, specialità medicinali ad uso umano non sterili, cioè farmaci tradizionali per la cura di diverse patologie. Fare industria nel settore farmaceutico – aggiunge – è molto complesso perchè non si può prescindere dal fare investimenti cospicui in attività di ricerca e sviluppo ed innovazione tecnologica. Servono: alto contenuto tecnologico, impianti di produzione con un grado di innovazione elevatissimo, formazione scientifica e tecnica del personale che impone un aggiornamento continuo e un investimento costante”. Non ci sono sgravi fiscali che tengano, per essere competitiva, l’industria farmaceutica deve investire sempre. “Senza ricerca e formazione – insiste Villanova – si finisce tagliati fuori dal mercato. I dati relativi alla Puglia sono buoni, ma per accelerare i processi di crescita del nostro settore servirebbe fare sistema tra industrie farmaceutiche, il mondo accademico e la Regione. Il raccordo già esiste, ma andrebbe creata una interconnessione costante con l’Università, per portare avanti progetti di ricerca applicativi e rapidamente sviluppabili in azienda”. La farmindustria sfata un pò la tesi dei cervelli in fuga. “In questo settore c’è spazio per biologi, chimici, farmacisti e tante altre figure professionali altamente specializzate. Tanti dei nostri ragazzi possono rimanere qui – insiste Villanova – perchè il settore è in espansione e può assorbire professionisti locali". Attualmente Lachifarma ha due siti di produzione a Zollino, ne sta realizzando un terzo e anche per l'azienda salentina all'orizzonte ci sono altre sfide. La Puglia, insomma, in questo settore può attrarre investimenti e non far fuggire gli imprenditori. Anzi, favorire insediamenti del genere con tutto l’indotto che ne deriva. “Noi siamo contenti di essere dove siamo, non abbiamo mai pensato di delocalizzare o spostare la produzione all’estero. Continueremo ad investire sul nostro territorio per contribuire allo sviluppo sostenibile a livello locale”.

Leonardo Diaferia





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Il petrolio e l’economia lucana, la crisi del 2017 di ALESSANDRO BOCCIA

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Il petrolio e il settore automobilistico rappresentano le voci più significative dell’export in Basilicata, nonostante le preoccupazioni ambientali

er il secondo anno consecutivo, le estrazioni di petrolio in Basilicata hanno rappresentato un problema per l’economia del territorio e non soltanto una risorsa. Il 15 aprile scorso il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, ha firmato il decreto di sospensione delle attività del Centro Oli di Viggiano dell’Eni, capace di “lavorare” circa 75 mila barili di petrolio al giorno, che sono riprese solo il 17 luglio. Che cosa è successo? Il blocco è stato deciso dopo che è emerso l’inquinamento di un’area al di fuori del recinto del Centro Oli: non sarebbe stata interessata alcuna falda acquifera, né il greggio ha raggiunto l’acqua della diga del Pertusillo, costantemente controllata anche dall’Ente irrigazione data la sua importanza per i consumi civili nella vicina Puglia. La sospensione dell’attività di estrazione si è sommata a quella registrata nel 2016 per le conseguenze di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Potenza. Sia nel 2016 che nel 2017 la principale conseguenza dello stop alle estrazioni di petrolio si fa sentire sui diritti di sfruttamento incassati dalla Regione: si tratta di somme rilevanti – nell’ordine di alcune decine di migliaia di euro – che hanno una fondamentale importanza nella “tenuta” dei conti dell’Ente. Con quei soldi si finanziano cose indispensabili per i lucani, a cominciare dall’accordo decennale per il sostegno all’Università. È giusto che la preoccupazione per l’ambiente resti in primo piano per gli abitanti della Basilicata, ma le ragioni economiche non possono passare in secondo ordine. Occorre cautela nel giudicare un settore che, tra l’altro, dà lavoro proprio a Viggiano a circa duemila persone dell’indotto. Infine, bisogna considerare l’impatto diretto che il settore petrolifero ha sull’economia della Basilicata e sui suoi “numeri”. Proprio il petrolio e il settore automobilistico rappresentano le voci più significative dell’export lucano

in tutte le statistiche, distinguendo la Basilicata dalle altre regioni del Mezzogiorno. Considerato che, di recente, è emerso il dato sull’arretramento della popolazione della Basilicata – ormai attestato su circa 570 mila abitanti, quanti ne aveva più o meno nel 1937 – è facile concludere che se vi è ancora speranza per il futuro della Basilicata, essa passa necessariamente anche attraverso il petrolio. Piuttosto, bisognerebbe riflettere più attentamente sull’uso che, dei fondi provenienti dai diritti di sfruttamento, si fa in Basilicata.





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Matera 2019 tra luci e ombre di ALESSANDRO BOCCIA

Serve un cambio di passo per farsi trovare pronti all’appuntamento che porterà la città sotto i riflettori internazionali: dal miglioramento dei servizi infrastrutturali e dei trasporti, alla risoluzione del nodo teatro e alla riqualificazione urbana

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rmai manca poco al 2019, anno in cui Matera sarà capitale europea della cultura. Tanto è ancora il da farsi per far sì che si arrivi preparati all’appuntamento che catalizzerà sulla Città dei Sassi, patrimonio dell’Unesco, l’attenzione di mezzo mondo. Anzitutto si dovrà migliorare la qualità dell’accoglienza iniziando a lavorare proprio su quelli che oggi sono i limiti dei servizi infrastrutturali e dei trasporti. Sul versante della viabilità pesano, per citare il caso più emblematico, il mancato adeguamento della strada Ferrandina - Matera che si innesta alla statale 407 “Basentana” e alla 99 per Altamura agevolando quindi i collegamenti da e per Bari. Nel frattempo, sempre sul versante della viabilità e dei trasporti, da rilevare sono le opere di adeguamento della statale 96 “Bari-Altamura”, progettate e finanziate da Anas Puglia, l’entrata in funzione di un servizio integrato Bus-Freccia Rossa che, trasportando i passeggeri verso le stazioni di Potenza e Salerno, consentirà di raggiungere in breve tempo le principali città italiane, e l’avvio dell’opera di realizzazione del terminal bus materano grazie a un protocollo siglato con le Ferrovie Appulo Lucane. Ancora ritardi si registrano, invece, in città per ciò che riguarda la sistemazione di piazza della Visitazione, al centro di polemiche e dibattiti che vedono ancora lontana la sua progettazione. L’altra pecca, non ancora risolta, riguarda la mancanza di un teatro che abbia tutti i requisiti necessari per poter ospitare grandi eventi. Il caso del “Duni”, situato nel centro storico della città ma di proprietà privata, è emblematico: i proprietari hanno respinto l’offerta pubblica di acquisto, e così l’amministrazione comunale sta pensando ad un teatro provvisorio da far sorgere in un’area produttiva. Altro punto sul quale si dovrà ancora lavorare riguarda la mancata regolamentazione dell’offerta turistica. Ad ogni modo la città è interessata da interventi

di riqualificazione di piazze, contenitori culturali e percorsi turistici per un valore di oltre 23 milioni di euro appaltati dalla prima giunta De Ruggeri. Altri lavori saranno presto eseguiti grazie anche al ‘Decreto Mezzogiorno’ del 12 agosto scorso che prevede investimenti per 35 milioni di euro in opere pubbliche per Matera capitale europea della cultura 2019. Nel frattempo si lavora al masterplan attivato dal Comune, che ammonta a 410 milioni di euro, con investimenti pubblici e privati per i prossimi sette anni.



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Quasi concluso il raddoppio della SS96 di ALESSANDRO BOCCIA

L’arteria stradale è il principale collegamento tra Matera e Bari. Già aperti al traffico alcuni tratti dopo l’ammodernamento, ma si attende il completamento della circonvallazione di Altamura

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adeguamento e il raddoppio della strada statale 96 che collega Bari ad Altamura, e da qui alla strada statale 99 per Matera, è l’opera infrastrutturale, in fase di cantierizzazione, più utile per l’appuntamento del 2019 quando Matera sarà capitale europea della cultura e, di riflesso, per il comprensorio murgiano e per l’intera Basilicata. I vari cantieri attivi lungo la strada statale – all’attualità – procedono con speditezza, essendo state superate le criticità di carattere amministrativo e alcuni contenziosi che si erano instaurati nelle fasi inziali degli appalti. Anas prevede di completare i lavori, attualmente in corso lungo l’arteria, entro il 2018, consegnando quindi alla collettività l’itinerario Bari-Altamura-Matera integralmente ammodernato, a quattro corsie. Ma andiamo per gradi. Sono percorribili, attualmente, a quattro corsie, i tratti prossimi ai territori di Mellitto (tranne una breve strozzatura, oggetto di riappalto) e di Toritto. Nei giorni scorsi sono stati aperti al traffico ulteriori dieci chilometri di strada statale che connettono Altamura Nord con la stazione ferroviaria di Pescariello. Il valore dell’in-

tervento realizzato è di oltre 65 milioni di euro, finanziato attraverso il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) - Fondi PON Reti e Mobilità 2007-2013. Il cantiere dei lavori tra Palo del Colle e Modugno ha, invece, raggiunto un avanzamento di oltre il 70 per cento e sono già state realizzate tutte le opere principali del tracciato, che ha un’estesa di oltre dieci km, mentre si lavora alacremente anche al lotto della circonvallazione di Altamura, per un tratto di cinque chilometri, che conduce all’innesto con la strada statale 99 per Matera e alla strada statale 96 per Gravina in Puglia. Per quest’ultimo lotto le imprese hanno completato la formazione dei rilevati stradali con migliaia di metri cubi di riporto e aperto le trincee di innesto in direzione della Città dei Sassi. È forse il tratto più atteso da residenti, turisti e operatori economici in considerazione della inadeguatezza della vecchia arteria, utilizzata anche da mezzi agricoli e veicoli pesanti che rallentano e non poco il traffico. Ancora un po’ di pazienza e poi sarà possibile spostarsi da Matera a Bari in cinquanta minuti, raggiungendo in tempi contenuti aeroporto, porto e stazione ferroviarie del capoluogo pugliese.



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Matteo Colamussi con il ministro Graziano Delrio

Colamussi spinge le nuove Fal: avanti nonostante la burocrazia di NICOLA MANGIALARDI

Il presidente delle Ferrovie Appulo Lucane fa il punto sui collegamenti ferroviari tra Bari e Matera. Proseguono i lavori per il raddoppio e il potenziamento della linea, già inaugurata in occasione del G7

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n attesa di “Matera 2019” abbiamo intervistato il presidente delle Ferrovie Appuro Lucane, Matteo Colamussi, con in quale abbiamo fatto un punto sui collegamenti ferroviari tra il capoluogo pugliese e il capoluogo lucano.

Presidente, come si sta preparando FAL all’appuntamento con Matera 2019? Fal è il vettore di Matera 2019 e già da tempo stiamo lavorando sia sul fronte infrastrutturale con il raddoppio e il potenziamento della linea ferroviaria, sia sul fronte dell’innalzamento della qualità dei servizi agli utenti. Abbiamo già ristrutturato ed elevato a standard europei le nostre stazioni di Bari centrale, Bari Policlinico, Bari scalo, Gravina e Matera Villa Longo. Quest’ultima, inaugurata l’11 luglio scorso dal ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, è stata realizzata seguendo i più moderni e funzionali standard di sicurezza, compatibilità ambientale e fruibilità e può essere a pieno titolo considerata uno degli hub principali per Matera 2019. A Matera stiamo realizzando anche un terminal intermodale /parcheggio di scambio a Serra Rifusa per contribuire a migliorare la viabilità cittadina. Grazie a dotazioni tecnologiche avanzate (bigliettazione online e tramite app, wifi e servizio di ricarica gratuito nelle stazioni), alla bigliettazione integrata con Ferrotramviaria che gestisce il collegamento ferroviario dall’aeroporto alla stazione centrale di Bari collegata alla nostra tramite ascensore e con la forte motivazione del nostro personale che sarà appositamente formato anche con corsi di lingua, riteniamo di esser pronti ad accogliere i turisti. E Piazza della Visitazione dove c’è la stazione di Matera centrale? Era uno dei miei crucci principali: brutta, poco funzionale, scarsamente accessibile. Finalmente dopo anni di interlocuzione con gli Enti Locali, grazie alla sensibilità di Comune, Regione e soprattutto con il nuovo impulso e con l’impegno profuso dal coordinatore per gli interventi di Matera 2019 nominato dal Governo, il Dott. Salvo Nastasi, abbiamo concordato un progetto organico di completa ristrutturazione della Piazza e della nostra stazione di Matera centrale, affidandoci ad un archistar. Vogliamo rendere la stazione moderna, fruibile funzionale all’accoglienza delle migliaia di turisti che arriveranno a Matera ma, al tempo stesso, lasciare una traccia culturale alla città di Matera che resta il cuore principale della nostra tratta ferroviaria, a prescindere dall’appuntamento del 2019. Peraltro è la stessa politica di riqualificazione che abbiamo seguito a Bari dove, dopo aver ri-

strutturato la stazione, stiamo riqualificando tutta Corso Italia in chiave moderna e ‘green’. Che tempi vi siete dati per completare le opere? In molti casi noi abbiamo aggiudicato le gare fin dal 2015 ma purtroppo ci stiamo scontrando con la burocrazia e con alcuni burocrati che non ci stanno consentendo di ridurre i tempi di realizzazione delle opere. Per me è inaccettabile vedere così vanificati gli enormi sforzi di una piccola azienda pubblica come la nostra che in questi anni, grazie all’impegno quotidiano di tutto il management, si è convertita a dinamiche di gestione efficienti ed efficaci per migliorare ed aumentare i servizi. E i tempi di percorrenza da Bari a Matera? Tutti hanno notato che quando avete portato in treno a Matera i ministri economici del G7 finanze tenutosi a Bari c’è voluta meno di un’ora… Quella è stata per noi un’occasione di riscatto con cui abbiamo avuto l’onore di contribuire alla buona riuscita dell’evento dimostrando che un’azienda pubblica può garantire sicurezza, affidabilità, efficienza. Portare i tempi di percorrenza al di sotto di un’ora è un obiettivo che resta e che estenderemo a tutti gli utenti al termine dei lavori di potenziamento e raddoppio, anche mediante l’introduzione di corse dirette Bari-Matera senza fermate intermedie. Mi faccia dire però la cosa più importante che ci resta dell’esperienza G7: un grande orgoglio per l’entusiasmo e il coinvolgimento di tutto il personale dell’azienda che ha lavorato senza sosta. Il personale è l’anima, il motore, il grande patrimonio di Fal.



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L’ottimismo di De Bartolomeo: la Puglia è in forte ripresa Il presidente di Confindustria Bari e Bat Domenico De Bartolomeo spiega i segnali positivi che arrivano dal comparto produttivo. Cresce la domanda dall’estero, ma la spinta internazionale deve essere sostenuta dalla crescita del Made in Italy

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residente De Bartolomeo, dopo il buio degli ultimi anni, l’industria pugliese sembra rivedere la luce, anche se non tutti i settori rispondono alla stessa maniera. Sì, nell’ultimo anno la ripresa è giunta anche qui in Puglia. Si tratta per la verità di una crescita ancora moderata, che attraversa gran parte dei settori produttivi, ma che vede una eccezione negativa nell’edilizia, che stenta ancora a risollevarsi dalla lunga crisi iniziata nel 2008. La ripresa, dunque, è incoraggiante, però ancora fragile perché troppo legata alla congiuntura internazionale. Così come nel resto del Paese, questa crescita, fondamentalmente trainata dall’industria, è legata alla domanda estera, che anche qui in Puglia le imprese hanno saputo ben sfruttare, particolarmente nei comparti dell’agroalimentare, della meccatronica, della farmaceutica. Il ciclo economico internazionale si prospetta positivo anche nei prossimi mesi e i nostri imprenditori sono certo che ne sapranno fare tesoro. Il loro impegno all’estero è costante, tanto che anche nel primo trimestre di quest’anno le esportazioni di Bari e della Puglia risultano in crescita di oltre 8 punti percentuali. E’ un impegno che si è protratto in tutto il lungo periodo che va dal 2008 al 2016, quando il nostro export è cresciuto del 6,8%, nonostante la crisi, e nonostante il crollo della metallurgia. Che ruolo ha avuto la provincia di Bari? In questo sforzo di internazionalizzazione, l’area di Bari è stata una protagonista assoluta: con valori esportati pari a 3,9 miliardi di euro, rappresenta circa la metà delle esportazioni della regione. Dal 2008 al 2016 l’export barese è aumentato dell’8,8%, frenato, solo in parte, dalle difficoltà incontrate da sistema moda e mobili. Ottime performance sono state ottenute in alcuni settori ad alta e medio-alta tecnologia (farmaceutica, componentistica auto, elettronica) e dall’industria agro-alimentare. Complessivamente le esportazioni di questi settori sono aumentate del 50%, pari a quasi 700 milioni di euro di valori esportati in più tra il 2008 e il 2016. Ora, però, è il momento di guardare avanti. Il governo sta valutando la possibilità di rifinanziare il Piano Made in Italy, ma quali sono, secondo lei, le reali prospettive? Come già accennato, anche per il prossimo futuro le prospettive della domanda internazionale sono favorevoli e bisogna sfruttarle al meglio, puntando ad allargare la platea delle aziende esportatrici. Ci sono, infatti, ancora molte imprese pugliesi e della provincia di Bari che non esportano e che realizzano gran parte del proprio fatturato sul mercato interno. Dobbiamo aiutarle a trovare gli strumenti per espandersi all’estero. Per questo vedo positivamente l’ipotesi messa in campo dal governo di rifinanziare il Piano Made in Italy. E’ chiaro che non si possa fare affidamento solo sulla domanda estera, ma qual è la ricetta per mettersi definitivamente la crisi alle spalle? Certo, il contributo del canale estero non può essere sufficiente a ridare forte e definitivo slancio a tutta l’economia del Paese e del nostro territorio. A questo scopo sarà cruciale la spinta del mercato interno e, soprattutto, degli investimenti pubblici e privati. Molto soddisfacenti sono state in tal senso le misure governative a sostegno degli investimenti innovativi delle imprese, che oggi sono finalmente in risalita, dopo anni di stagnazione - grazie al Piano del governo industria 4.0 e grazie al credito di imposta per investimenti in beni strumentali al Sud. Positivi sono anche i dati sull’occupazione, che ha beneficiato degli sgravi contributivi e del Jobs Act. L’opinione di Confindustria è che si debba proseguire su questa strada, con politiche di

sostegno agli investimenti e al lavoro. Ha parlato degli interventi del governo centrale che hanno favorito la ripresa, ma cosa si può fare per dare seguito a queste positive premesse? Al governo chiediamo di continuare su questa strada puntando nell’immediato a rinnovare il super-ammortamento e l’iper-ammortamento e ad introdurre sgravi contributivi forti per l’occupazione giovanile. Nel medio termine, poi, ci aspettiamo di poter avviare un disegno di ampio respiro per rilanciare gli investimenti pubblici nel Paese che sono in contrazione da troppo tempo. La sfida di fondo è far crescere la quantità e la qualità della spesa per investimenti pubblici ad un livello effettivamente capace di avere impatti reali sui tassi di crescita, affiancando la vitalità dimostrata dalle imprese. Ciò che serve, oggi più che mai, specie al Sud, è quindi una politica di coesione più semplice e più efficace, unitamente a strutture di gestione e controllo più efficienti, che siano davvero capaci di accelerare la spesa e concentrarla su progetti in grado di sostenere realmente il rafforzamento e l’innovazione della base produttiva.

Il presidente di Confindustria Bari e Bat Domenico De Bartolomeo




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La guerra del grano infiamma la Puglia di NICOLA MANGIALARDI

All’indomani della protesta al porto di Bari per impedire lo sbarco di 50mila tonnellate provenienti da Vancouver, le organizzazioni datoriali agricole di categoria tracciano un bilancio negativo: si riducono le aziende e calano i campi coltivati

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n Puglia torna la guerra del grano duro. Quotazioni stabili su livelli bassi a Foggia. Mentre gli operatori del settore per settimane hanno manifestato al porto di Bari per cercare di impedire lo sbarco di 50mila tonnellate del cereale provenienti dal Canada alla vigilia della mietitura. A far scoppiare “la guerra del grano” è l’arrivo, giudicato provocatorio, di navi provenienti dalla città canadese di Vancouver, cariche di migliaia di tonnellate di grano da scaricare in Italia. Arrivi largamente annunciati dalle previsioni presentate a Foggia durante “Durum days” dove l'export di grano duro del Canada era stato previsto in aumento del 6,7 per cento. Ma che suona come un oltraggio insopportabile secondo le organizzazioni datoriali agricole di categoria (Cia, Coldiretti, Confagricoltura e Copagri), visti i prezzi del grano duro registrati sulla piazza di Foggia dalla Borsa merci della Camera di commercio, dove il prodotto nazionale all’ingrosso della mietitura 2016 continua a permanere sui 185190 euro alla tonnellata. Le aziende agricole pugliesi che coltivano

grano duro sono diminuite tra il 2000 e il 2010 del 31,5 per cento, un trend in linea con la media italiana, mentre la superficie agraria utile ha registrato una contrazione del 16,5 per cento, sia in Italia che in Puglia. Oggi i prezzi del prodotto sono considerati, dagli addetti ai lavori, eccessivamente non remunerativi in una regione come la Puglia diventata negli ultimi anni il vero granaio d’Italia e il principale varco di accesso del grano straniero da spacciare come italiano, in assenza dell’obbligo di indicare l'origine del grano sulle etichette della pasta. Intanto, una buona notizia arriva dal fronte legislativo scatta da febbraio 2018 per grano, pasta e riso da l’obbligo di origine in etichetta. “Avanti per la massima trasparenza verso i consumatori anticipando la piena attuazione delle norme Ue” è stato il commento del Ministro per le Politiche Agroalimentari, Maurizio Martina dopo l’approvazione da parte del Governo dei Decreti attuativi. Per legge le indicazioni sull’origine dovranno essere apposte in etichetta in un punto evidente e nello stesso campo visivo in modo da essere facilmente riconoscibili,


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chiaramente leggibili ed indelebili. La norma, varata dal Governo a fine agosto, prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicate in etichetta: il Paese di coltivazione del grano: nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e il Paese di molitura: nome del paese in cui il grano è stato macinato.

Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi Ue, Paesi non Ue, Paesi Ue e non Ue. Se il grano duro è coltivato almeno per il 50 per cento in una sola Nazione, come ad esempio l'Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue”.



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Etichettatura d’origine e qualità, le perplessità dei pastificatori italiani Tra qualche mese sarà obbligatorio dichiarare sulle confezioni di pasta se è stata prodotta da grano in tutto o in parte di origine italiana, Ue o extra Ue. Ma i produttori sostengono che mescolare i grani è fondamentale

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a diversi mesi, uno degli argomenti che maggiormente appassiona i media e gli operatori del settore alimentare, nazionali ed in particolare pugliesi, riguarda il recente obbligo di etichettatura di origine introdotto in capo ai pastifici italiani, tenuti, fra pochi mesi, a dichiarare sulle confezioni di pasta se la stessa sia stata prodotta da grano in tutto o in parte origine italiana, Ue o extra-Ue. Al di là degli evidenti profili di criticità che una siffatta norma presenta, a causa di una palese penalizzazione delle imprese di pastificazione italiane rispetto alle loro concorrenti estere e ad un iter legislativo quantomeno irrituale, la novità legislativa non è stata accolta con favore da molte aziende di prima e seconda trasformazione del grano (rispettivamente molini e pastifici) ed è stata anzi percepita come punitiva e del tutto inadeguata rispetto agli scopi che, almeno nelle intenzioni del legislatore, si volevano perseguire. Per promulgare questo provvedimento, sulla scia di altri di carattere prettamente protezionistico già emanati in passato (seppur con alcune sostanziali differenze), si è posto un problema di sicurezza del prodotto, laddove un problema concreto di sicurezza in realtà non c’è. La filiera della pasta è storicamente il fiore all’occhiello della produzione agroalimentare industriale italiana e, proprio per la sua forte rappresentatività e per la sua centralità nel menu tipico del nostro Paese, ha sempre avuto la funzione di apripista per l’affermazione all’estero dei prodotti ad essa abbinabili, dall’olio d’oliva, alle salse, ai condimenti. Le crescenti esigenze dei consumatori, sia nazionali sia esteri, hanno fatto sì che la filiera della pasta si evolvesse molto negli anni e rispondesse tempestivamente alla domanda di maggiori garanzie di sicurezza alimentare, di rispetto dell’ambiente, senza mai trascurare la bontà e la genuinità del pasta, che hanno fatto sì che si situasse in cima alle scelte nutrizionali di numerose famiglie. In questo percorso di crescita, che dura ormai da decenni, la pasta ha dovuto necessariamente coinvolgere tutta la filiera a monte, imponendo ai molini, ai commercianti di cereali e ai produttori di grano una condivisione di valori e di obiettivi a beneficio del consumatore finale e della filiera stessa, che si è così assestata su standard qualitativi molto alti. Se le spinte al miglioramento interne alla filiera non bastassero a rassicurare, si aggiunga l’efficace e capillare lavoro di controllo svolto dagli innumerevoli enti pubblici preposti al controllo dei prodotti agroalimentari. Le filiere della pasta e dei prodotti da forno, infatti, risultano essere ogni anno fra quelle maggiormente controllate dalle autorità competenti, come conseguenza del consumo elevato di tali prodotti nella dieta mediterranea; a tal proposito va sottolineato che le irregolarità e le relative sanzioni sono estremamente rare. Proprio in virtù degli alti livelli qualitativi richiesti, le industrie pastarie e molitorie italiane, sin dagli inizi del secolo scorso, attingono materie prime selezionate da tutto il mondo, in base alle loro differenti caratteristiche, per

creare, con sapienza, miscele di grani rinomate e in grado di restituire un prodotto finito di impareggiabile bontà. Tutto ciò senza mai perdere di vista l’importanza delle risorse preziosissime del territorio, a partire proprio dal granaio d’Italia. Non è un caso, infatti, se alcune fra le più importanti realtà molitorie europee e mondiali siano sorte e si siano sviluppate in Puglia, area tradizionalmente votata alla coltivazione del grano duro. Ad oggi, peraltro, quasi tutta la produzione interna, e in particolare pugliese, è assorbita direttamente, o per il tramite di imprese di commercializzazione e cooperative, dalle industrie molitorie nazionali. Nonostante ciò, a seconda delle annate, la produzione domestica di grano riesce a soddisfare solo tra il 50% e il 60% del fabbisogno industriale italiano, che oltre al mercato interno deve soddisfare oggi una domanda estera fortunatamente significativa. In aggiunta, gli elevati standard cui i prodotti devono conformarsi e l’esigenza di offrire una gamma sempre più diversificata di prodotti, impongono che ciascuna miscela risponda a parametri ben definiti, tali da garantire determinate caratteristiche organolettiche, visive e di cottura della pasta. Questo risultato, purtroppo, difficilmente si può raggiungere con una miscela di grano completamente italiano. Addirittura, a volte, con lo stesso grano si fatica persino a raggiungere i requisiti minimi proteici richiesti dalla normativa italiana, specie in annate critiche, in cui principalmente per le avversità climatiche, il raccolto non soddisfa le qualità minime necessarie. L’acquisto di grani esteri è dunque un’esigenza stabile dell’industria italiana, che impone anche ai suoi fornitori esteri (normalmente canadesi, australiani, americani, comunitari ecc.) la medesima cura richiesta ai fornitori italiani. Le importazioni, dunque, lungi dal dover essere demonizzate, si pongono come ingrediente essenziale del successo della filiera della pasta italiana e unico sistema per la loro sopravvivenza, data la minaccia concreta di una concorrenza molto agguerrita di pastifici di altri Paesi, quali la Turchia, i Paesi del Maghreb ecc. Solo la combinazione delle caratteristiche dei vari grani (che cambiano non solo in base all’origine, ma soprattutto in base all’andamento delle varie annate) può garantire al consumatore le migliori combinazioni possibili tra qualità e prezzo, senza mai prescindere dalla sicurezza alimentare che è da considerare una costante. Il comparto industriale della filiera non è contrario alla trasparenza dell’origine in etichetta, tanto che vi sono numerosi marchi che su base volontaria già dichiarano l’origine dei grani, tuttavia, introdurre l’obbligo sull’etichettatura di origine può essere fuorviante per il consumatore, che, indotto in errore da informazioni di parte, convinto di acquistare un prodotto più sano perché di una data origine, rischia di acquistare un prodotto peggiore a prezzi maggiori. Per questo, non si vedono ragioni per intraprendere misure protezionistiche che già nel passato sono state fallimentari e controproducenti. Tantomeno ha senso mascherarle da questioni inerenti la sicurezza alimentare, che poco ha a che vedere con l’origine, ma molto con i controlli della filiera e delle autorità. Piuttosto, il buonsenso suggerirebbe politiche che forniscano agli agricoltori italiani l’accesso a servizi fondamentali per un’azienda agricola moderna che voglia rispondere alle richieste dell’industria agroalimentare. Si tratta di servizi di consulenza agronomica, conoscenza delle migliori pratiche ormai adottate a livello globale, accesso agevolato alla strumentazione di analisi e così via. Soprattutto, infine, va incoraggiata l’aggregazione tra piccoli agricoltori, che possa fornire ai molini la possibilità di avere un’offerta di grano nazionale fluida e non frammentata e intermittente come quella attualmente esistente. Piuttosto che penalizzare il segmento di filiera che ad oggi costituisce il cliente primario dell’agricoltore italiano e che crea posti di lavoro e indotti non trascurabili, specie in Puglia, sarebbe opportuno che il pubblico investisse per una valorizzazione del grano pugliese, non in quanto tale, ma in quanto prodotto studiato, ricercato e migliorato per conquistare, dopo la prima e la seconda trasformazione, i palati, la fiducia e, perché no, l’affetto dei consumatori di pasta di tutto il mondo.




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Coldiretti, la partita del grano si gioca con il Ceta Dal Canada l’Italia importa la maggior parte di cereali esteri, ed in Canada siamo in testa come esportatori di vino. Per questo il nuovo accordo internazionale dovrà riconsiderare gli equilibri commerciali

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ontinua a far discutere l’accordo commerciale tra Ue e Canada, noto come trattato Ceta, che traccia il percorso per una progressiva liberalizzazione degli scambi, assicurando il trattamento del rispettivo livello nazionale. “L’Ue è per il Canada il secondo partner commerciale dopo gli Usa - spiega il presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele - e rappresenta quasi il 10% del suo commercio estero, mentre per l’Europa il Canada è solo dodicesimo nella classifica dei rapporti commerciali, mentre il Canada potrà importare da Usa ed esportare in Ue. Altro elemento grave è l’introduzione del principio di equivalenza che consentirebbe l’ingresso di prodotti agricoli ‘trattati’ in modo evidentemente molto diverso rispetto ai nostri, che risulterebbero ‘equivalenti’, un modo ‘furbo’ per evitare ogni altro controllo in Italia”. Il prodotto italiano più esportato in Canada è il vino, il prodotto canadese più importato in Italia è il grano duro. “L’accordo tra Ue e Canada prevede l’azzeramento strutturale e totale dei dazi sul grano duro - aggiunge il direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti - il prodotto canadese più importato in Italia, senza considerare le fluttuazioni di mercato che si verificheranno al termine

Gianni Cantele

degli anni di transizione e la Puglia rischia di risultare ancor più danneggiata. Sul fronte vino, invece, non c’è assolutamente un azzeramento dei dazi dei prodotti in entrata in Canada, piuttosto una modifica del sistema di calcolo. Il Canadian Liquor Board calcolerà le tasse non più sulla qualità e sul valore dei vini importati (tassa ad valorem), ma sulla base delle quantità dei volumi importati”. L’accordo prevede l’ingresso di 173 Ig di cui 41 italiane, a fronte di 811 Dop e Igp tricolore registrate. La lista delle 41 Ig da tutelare non contempla neppure una Dop o Igp pugliese. Ancor prima della sua entrata in vigore, il Ceta ha sortito un primo effetto. In vista della sua introduzione e della formulazione specifica in esso contenuta, il divieto di importazione di carcasse bovine pulite con acido lattico è stato già rimosso. In una email del 2016 del ministro canadese all’Agricoltura Gerry Ritz a Tonio Borg della Commissione europea riconosce alla Commissione di aver già provveduto con il Ceta a ottenere l’approvazione di questa procedura e gli chiede di fare altrettanto per spingere il riconoscimento dell’uso dell’acqua calda riciclata come decontaminante della carne. In Europa prima era consentito il solo uso dell’acqua potabile.

Angelo Corsetti



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Pane, pasta, taralli e focacce valgono l’1% del Pil regionale di NICOLA MANGIALARDI

Il comparto dei prodotti da forno traina l’economia locale. Il pane di Altamura è stato riconosciuto a livello europeo con il marchio Dop, ma anche la pasta di semola, la focaccia e i taralli rappresentano l’eccellenza pugliese

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l comparto dei prodotti da forno, prodotti con il grano, in Puglia fa registrare quasi l’uno per cento del prodotto interno lordo regionale con circa otto milioni di euro di fatturato. Con il grano in Puglia si producono prodotti da forno d’eccellenza, partendo dal pane, con il Pane di Altamura Dop a farla da padrona della qualità certificata, alla pasta, ai taralli, alla focaccia, alle “puccie” leccesi per finire con i biscotti e le famosissime frise salentine, per parlare solo di alcune delle specialità dell’arte bianca pugliese. Oltre alla frisa, al pane prodotto in tutta la regione dal Gargano al Salento, alla puccia, altre specialità da forno meritano di essere citate e magari assaggiate. Il pane di Altamura è un prodotto della panetteria tradizionale di cinque comuni della zona di Altamura, in provincia di Bari. È ottenuto dall'impiego di semole rimacinate, di varietà di grano duro coltivato nei territori dei comuni

della Murgia. Nel luglio 2003, a livello europeo, il pane di Altamura è stato riconosciuto con il marchio Dop denominazione di origine protetta. Viene cotto nei tradizionali forni a legna e in pietra, il pane di Altamura si distingue per la sua fragranza e il suo sapore. Ha la crosta croccante e una mollica soffice di colore giallo paglierino e si presenta sotto due forme tradizionali; la prima denominata localmente “U sckuanète” (pane accavallato), è alta, accavallata, l’altra più bassa, localmente denominata “«a cappidde del padre de simone” (a cappello di prete). Il tarallo è un prodotto da forno tipico della Puglia e di altre regioni meridionali italiane; come tale è stato ufficialmente inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali. La focaccia barese è un prodotto lievitato da forno tipico della Puglia e diffuso specialmente nelle province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Taranto, dove la si può trovare abitualmente nei panifici. Nasce, probabilmente ad Altamura o Laterza, come variante del tradizionale pane di grano duro, probabilmente dall'esigenza di sfruttare il calore iniziale forte del forno a legna, prima che questo si stabilizzi sulla temperatura ideale per cuocere il pane. Tra i prodotti tipici pugliesi ricavati dal grano c’è sicuramente la più conosciuta e amata è la Pasta di semola. La nostra pasta Pugliese costituisce una vera e propria perla della nostra produzione nonché si presta a molte ricette. Per produrla, utilizziamo solo grani di eccellenza. La lavorazione della pasta pugliese è strettamente artigianale, mentre l’essiccazione viene effettuata lentamente a bassa temperatura, affinché avvenga in maniera omogenea e la pasta regga la cottura senza scuocere o altro. Per realizzare la pasta pugliese si usa semola di prima qualità e acqua, stendere l’impasto e modellarla e conferirle la forma tradizionale.



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Di Leo e Forte, niente olio di palma e solo materie prime di qualità di NICOLA MANGIALARDI

Già dal 1990 il biscottificio murgiano decise di eliminare i grassi saturi dalla catena produttiva. Qualità premiata come nel caso della Oropan che lavora essenzialmente con semola riveniente dal grano duro trasformato

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n miracolo economico, negli ultimi anni, si è materializzato sulla Murgia appulo lucana da Altamura a Matera. A concretizzarlo sono stati i prodotti da forno, dal pane ai biscotti, di altissima qualità e prodotti con pregiati grani autoctoni. “Ventisettenni fa, nel lontano 1990 - racconta Piero Di Leo vedemmo lontano decidendo di puntare su una produzione tutta fatta in casa di biscotti senza olio di palma. Un prodotto che realizziamo con grano tenero e che lanciammo sul mercato, grazie alla felice intuizione di puntare sulla produzione, prima e distribuzione dopo di un prodotto senza grassi saturi. Allora il mercato non era certamente pronto a recepire quella innovazione, innanzitutto culturale e nonostante ciò decidemmo di lanciare la sfida, puntando sull’alta digeribilità del prodotto e sull’utilizzo di olio di mais e girasole che contiene una quantità di grassi saturi inferiore agli altri prodotti convenzionalmente utilizzati all’epoca. Ci mettemmo in gioco puntando su due aspetti essenziali, che poi, sono risultati vincenti: il fattore ambientale e quello salutistico. Ma il solo, pur innovativo, processo di produzione non era sufficiente e per questo decidemmo di diventare anche i pionieri di una mirata, puntuale ed efficace comunicazione verso i consumatori di questa grande rivoluzione produttiva e di consumo”. Un rischio che alla lunga ha portato l’azienda ad ottenere grandissimi risultati al punto che, come continua a spiegare Di Leo, “fece registrare un boom di vendite sul mercato del prodotto portando, di fatto, il comparto alla sostituzione della tradizionale produzione con burro e margarina con olio di mais e girasole”. Una innovazione che è stata aiutata tantissimo anche dai “social” permettendo al consumatore di interagire direttamente con le realtà produttive e costringendo tutto il settore della biscotteria ad adeguarsi alla nuova sfida. Una scelta quella di Di Leo che ha collocato l’azienda nella naturale posizione di leadership responsabile, portando patron Di Leo ad affermare che la sua realtà produttiva “si è comportata sul mercato, come in realtà avrebbe dovuto fare la leader di mercato che solo due hanno dopo ha deciso di seguirci in questa avventura vincente con la richiesta di mercato che, fino ad oggi, che è cresciuta costantemente”. Un’altra grande intuizione è stata la politica di responsabilità sociale portata avanti dalla realtà appuro-lucana. “Da quest’anno, infatti” continua l’inventore dei biscotti senza olio di palma “produciamo con grano bramante italiano con una doppia sfida che è quello è farlo con gli agricoltori locali e con grano autoctono che dalla pianura padana verrà coltivata sulla Murgia.

Piero Di Leo

E, poi, dopo la sfida delle produzione senza olio a base di elevati grassi saturi abbiamo pensato di devolvere, per un anno, l’uno per cento del nostro fatturato, per il recupero degli orango tango e della foresta dell’isola di Sumatra, nell’arcipelago indonesiano dove, purtroppo, ancora oggi vengono bruciate le foreste per ricavare olio di palma”. Un altro grande miracolo, sempre basato sul grano, lo ha realizzato ad Altamura la Oropan che lavora essenzialmente con semola riveniente dal grano duro trasformato. “Il segreto del nostro successo - spiega Lucia Forte - sta nell’aver voluto e saputo coniugare tradizione e innovazione. Noi abbiamo voluto mettere in equilibrio la tradizione nel rispetto delle ricette tradizionali con l’innovazione per realizzare tutta una gamma di prodotti che si adattano agli stili di vita moderni di un consumatore evoluto che guarda, sempre più, al benessere”. Una realtà quella altamurana avviata da Vito Forte che la si può, senza ombra di dubbio collocare come cultrice della sana ed equilibrata alimentazione basata sulla convinzione che oltre al gusto e alla tradizione va curato, attraverso il prodotto principe della tavola, ovvero il pane, l’aspetto salutistico nutrizionale, tipico proprio della Dieta Mediterranea, patrimonio immateriale dell’Unesco. “Nel corso degli anni - spiega Lucia Forte, illuminata manager dell’azienda di famiglia - abbiamo investito moltissimo nella ricerca con le università Bari e Foggia per certificare la ricaduta del consumo di un certo tipo di pane sulla salute come è avvenuto per ‘il pan del cuore’ prodotto con semola con 50 per cento di sale in meno dimostrando, per esempio, che il consumo quotidiano e sistematico migliora le condizioni di pazienti ipertesi al pari dell’assunzione di terapie farmacologiche. O come nel caso del ‘pane con i semi di lino e girasole’ attraverso il quale abbiamo voluto proporre un prodotto salutisticamente efficace visto che è stato dimostrato dal mondo accademico che con il solo consumo quotidiano di tre fette si riescono ad arginare patologia come il colesterolo, il diabete e l’ipertensione”. Una realtà produttiva quella altamurana della famiglia Forte che ha anche partecipato con l’ateno foggiano alla realizzazione di uno studio sul lievito madre che è il dna del prodotto cardine da forno di Altamura, il Pane. Uno studio finalizzato al trasferimento del lievito madre sui sistemi produttivi industriali, proiettando sempre più e con successo l’azienda sui mercati nazionali ed internazionali. Oropan, da sempre, è stata pioniere nella produzione e commercializzazione del “pane di Altamura dop” sostenendo il marchio di questo importante pro-

Lucia Forte


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dotto che identifica la città e che è garantito dal disciplinare e sottoposto ai rigidi controlli degli ente di certificazione per garantire l’unicità del prodotto. Il “paneo d.o.p. di Altamura” in realtà ha fatto conoscere la città federiciana della Murgia in tutto il mondo per le sue caratteristiche uniche di elevata conservabilità e genuinità del prodotto. “Essenziale”, conclude Lucia

Forte, “è l’aspetto legato alla comunicazione delle nostre attività e produzioni, perché è fondamentale per promuovere e diffondere la cultura alimentare distintiva dei nostri prodotti per raggiungere tutti i consumatori del mercato nazionale e internazionale attraverso un preciso piano marketing adeguando la comunicazione ai vari target di riferimento”.




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Xylella, tutti gli ulivi infetti saranno abbattuti di FRANCESCO IATO

A inizio settembre il consiglio regionale ha approvato il disegno di legge che adegue le disposizioni sulla gestione della batteriosi alle norme europee in materia, già imposte all’ente da un anno e mezzo

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ono ore decisive per l’emergenza Xylella in Puglia. La Regione deve dimostrare all’Unione europea di aver eseguito i “compiti a casa” onde evitare l’infrazione comunitaria in piedi contro lo stato italiano. Il termine per verificare gli adempimenti scade il 14 settembre. E una settimana prima il consiglio regionale s’è messo in regola. L’aula, infatti, ha approvato il disegno di legge che adegua le disposizioni sulla gestione della batteriosi alle norme europee in materia, già imposte all’ente regionale da oltre un anno e mezzo. Sugli abbattimenti si prevede la rimozione immediata di tutte le piante infette, cioè di quelle notoriamente infette e di quelle che presentano sintomi della possibile infezione o sospettate di essere infette nel raggio di 100 metri, oltre all’abbattimento delle piante ospiti presenti, a prescindere dal loro stato di salute. Si sono specificati pure i siti nel cui raggio di 200 metri il servizio fitosanitario ha disposto la rimozione immediata degli esemplari infettati. Sulla tutela degli ulivi monumentali si stabilisce non vanno rimossi ma isolati e ciò vale per le piante non infette ricadenti nel raggio di 100 metri di distanza dalla pianta infetta nella zona soggetta a misure di eradicazione. Al fine di sostenere la vitalità degli ulivi monumentali infetti,

però, sarà consentita la sperimentazione scientifica nella zona infetta del Sud Salento ad esclusione della zona di 20 km nella quale si applicano le misure di contenimento. In concreto nelle aree cuscinetto e di contenimento le piante plurisecolari colpite dovranno essere abbattute. Sull’accesso al fondo di solidarietà nazionale, invece, per la compensazione del mancato reddito causato dalla malattia, la legge prevede che si applichi anche alle aziende vivaistiche non agricole. L’elenco degli obblighi va completato con il piano delle eradicazioni precedenti, quelle stabilite dal maxi piano di monitoraggio di gennaio scorso. 600 alberi sono già stati eliminati. Le notifiche di 170 piante, invece, di proprietà dell’avvocato salentino Pesce sono finite dinanzi al Tar Puglia per il ricorso presentato due anni fa contro le ordinanze. Altre 90 piante stanno per essere abbattute. Mentre sul fronte dei risarcimenti gli agricoltori potranno contare su un pacchetto articolato di interventi. 11 milioni di euro dal fondo per le calamità naturali, due milioni per gli abbattimenti volontari, 32 milioni sugli investimenti in agricoltura contenuti nel Psr, il piano di sviluppo rurale. Intanto l’Arif Puglia ad agosto ha ripreso i monitoraggi con una notizia positiva: la zona cuscinetto, tra Brindisi e Taranto, non risulta contaminata.



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Il roseo futuro dell’agricoltura pugliese passa per il ricambio generazionale di NICOLA MANGIALARDI

L’assessore regionale Leonardo Di Gioia parla di una crescita dello 0,6% di imprese agricole nel 2016 e un incremento dello 0,7% di imprese agroalimentari, con un +10% relativo all’imprenditoria giovanile

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agricoltura pugliese è ormai lanciata nell’olimpo del panorama mondiale per qualità e innovazione dei suoi prodotti”, ad affermarlo l’assessore alle politiche agro-alimentari della Regione Puglia, Leonardo Di Gioia secondo il quale “la Puglia agricola è cresciuta, nel 2016 con un +0,6 per cento di imprese agricole e un incremento dello 0,7 di imprese agroalimentari. Importantissimo, poi - continua Di Gioia - il dato delle imprese agricole giovanili che segna un +10 per cento. In Puglia l'agricoltura vale circa quattro punti percentuali del prodotto interno lordo regionale, rispetto alla media nazionale del due per cento, con un dieci per cento che riguarda solo il settore dell'export regionale. Sulla base di questi dati oggettivi possiamo affermare, che anche grazie al lavoro di programmazione e indirizzo regionale, quella pugliese, dunque, è un'agricoltura forte, giovane, vitale, innovativa, che esporta e che rispetta l'ambiente”. Un percorso di crescita quello dell’agricoltura “made in Puglia” che ha dovuto smarcarsi da tanti punti di criticità, prima di arrivare agli attuali risultati? “Certo”, annuisce il responsabile delle politiche regionali dell’agricoltura, che spiega come “al momento del nostro insediamento, come amministrazione regionale, abbiamo dovuto riprendere quasi tutto daccapo. Erano scadute le posizioni dirigenziali, il programma di sviluppo rurale era stato raggiunto da circa seicento osservazioni arrivate dalla Commissione Europea, abbiamo trovato i consorzi di bonifica fortemente indebitati e, poi, come se tutto ciò non bastasse, ci siamo trovati davanti l'emergenza “xylella”. Insomma, abbiamo dovuto ripensare tutto il sistema dell’agricoltura regionale pugliese nel suo complesso, rimettendolo in piedi davanti ai gravi e imprevisti problemi che, negli ultimi mesi, si sono presentati”. Qualcuno ha sostenuto che per un periodo di tempo il p.s.r. è rimasto bloccato. “Il programma di sviluppo rurale in corso con la sua dotazione finanziaria di oltre un miliardo e seicento milioni di euro, anche alla luce dei tanti problemi che abbiamo dovuto risolvere, non si è mai fermato. Finora sono stati liquidati oltre centosessanta milioni di euro, superando il dieci per cento di quanto previsto in totale. Ad oggi siamo perfettamente in linea con le altre regioni italiane di pari dimensioni e di pari entità di finanziamento. Posso tranquillamente affermare”, evidenzia Di Gioia, “che non ci sarà alcun problema di disimpegno delle risorse, personalmente sono sereno per il nostro lavoro che per i numeri è lusinghiero. Il p.s.r. pugliese, secondo gli indicatori fisici di risultato, è tutt’altro che statico, anche perchè stiamo continuando a programmare per tutte le annualità. Sulle principali questioni, inoltre, il partenariato socio-economico è stato riunito una dozzina volte in un anno, con gli uffici che hanno lavorato sulle richieste di modifica del p.s.r. arrivate dalle associazioni datoriali di categoria e dal territorio stesso, attraverso l’A.C.N.I.-Puglia. Infine, Sono state sbloccate le misure 10, che riguardano le liquidazioni agro-climatico ambientali e la misura 11, con una

particolare attenzione per il biologico”. Assessore, per quanto riguarda i gruppi di azione locale a che punto siamo? “I g.a.l. sono stati ridotti a ventitre dai venticinque della precedente programmazione con l’inglobamento dei sei gruppi di azione costiera che grazie al plurifondo si sono fusi e sono stati assorbiti dai gruppo di azione locale, entro pochi giorni saranno chiuse tutte le procedure con la sottoscrizione delle convenzioni, così tutte le agenzie di promozione territoriale saranno immediatamente operative”. Un importantissimo risultato, tangibile, è stato ottenuto su tre fronti: da un lato i consorzi di bonifica, quelli di tutela e dell’altro la Xylella? “Si, in effetti, il riordino dei Consorzi di Bonifica, i centosessantamila ettari controllati per la Xylella e i Consorzi di difesa sono alcune delle cose che credo vanno evidenziate e ricordate e che ci rendono orgogliosi come amministrazione regionale e che contribuiranno notevolmente alla rosea crescita del comparto agricolo pugliese”.

Leonardo Di Gioia









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Vini dolci pugliesi, una tradizione antica da conoscere e gustare di GIANVITO MAGISTÀ’

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Anche AIS Puglia contribuisce alla promozione e alla fruizione dell’offerta enologica nostrana

l vino è ormai senza dubbio uno dei fattori trainanti dell’economia pugliese. Anche nel mercato di nicchia di quelli dolci, la Puglia da qualche anno si sta facendo conoscere notevolmente nel resto d’Italia. Famosissimo il Moscato di Trani, ottenuto con uve moscato bianco. È DOC da metà degli anni ’70 e il disciplinare prevede due tipologie: il dolce naturale e il liquoroso. La sua produzione è molto antica: i mercanti veneziani lo adoravano già dall’anno Mille, tanto che il conte di Trani Roberto D’Angiò fu costretto a porre un limite alle esportazioni. Nel 1500, invece, come ci racconta Davide Gangi, sommelier ed editore del portale Vinoway.com, veniva prodotto nelle abbazie: “Il vino da meditazione è nato così, con i vini dolci”, spiega Gangi. “I monaci lo producevano per se stessi per consumarlo davanti ad un camino mentre si rilassavano e contemplavano”. La zona di produzione del Moscato di Trani si concentra tra il nord Barese, la BAT e qualche comune del Foggiano come Cerignola e Trinitapoli. Il Moscato di Trani è il simbolo dei vini dolci pugliesi, ma non è il solo. Infatti l’unica DOCG dolce spetta, dal 2011, al Primitivo: una situazione quasi paradossale se si pensa che tale denominazione manca per la versione secca di questo vitigno, uno dei più famosi e consumati della regione. “Vini dolci sono prodotti anche con altre uve a bacca rossa tipiche, come Nero di Troia o Negroamaro. Anche se in quest’ultimo caso si è costretti a creare un blend con altri vitigni” dice Gangi. Il mercato è comunque di nicchia. “La produzione è limitata perché non c’è grande richiesta. Di solito è un prodotto che si consuma in occasioni speciali, durante le feste. E sono molti, purtroppo, anche gli appassionati di vino o wine lovers che non apprezzano i vini dolci” spiega Gangi. “Proprio per questo la maggior parte delle aziende ne produce in quantità minima, in alcuni casi anche solo 1.500 bottiglie”. Negli ultimi anni un aumento delle esportazioni si è registrato verso Cina e Russia, ma la strada è ancora molto lunga. Per il momento i vini dolci rimangono relegati a margine del pasto, per accompagnare il dessert. E attenzione: mai abbinarli alla frutta. Secondo Davide Gangi è un errore da non commettere: “I vini dolci vanno con i dolci. La frutta

Davide Gangi lasciamola da sola. Qualcuno sta sperimentando dei gelati preparati con i vini dolci. Questa potrebbe essere una buona idea” conclude Gangi. A contribuire alla conoscenza e diffusione dei vini dolci, ormai da più di dieci anni, ci pensa anche l’AIS Puglia con l’evento Dolce Puglia in cui vengono premiate le migliori aziende. Sul sito internet dolcepuglia.eu, gestito dalla delegazione dell’AIS Murgia, è possibile consultare la guida e conoscere l’importante offerta dei vini dolci pugliesi.



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Continua la scalata dei rosati pugliesi di SIMONA GIACOBBI

Tra le vetrine più prestigiose il 100° Giro d’Italia, per una domanda crescente anche dai Paesi esteri

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l mondo dei vini rosati cresce sempre di più. Ed è un mondo che parla di tradizione, identità e cultura. Dal carattere deciso ma al tempo stesso delicato e mai aggressivo, il rosato è un vino particolarmente legato al territorio e viene prodotto con uve a Ilaria Donateo bacca rossa vinificate in bianco. Dalla Daunia al Salento, dalla costa all’entroterra, il Tacco d’Italia produce la maggior parte del vino rosato nazionale, contribuendo così a promuovere l’eccellenza enologica italiana, anche all’estero. I dati parlano chiaro. La Puglia dei vini rosati in tre anni ha registrato un balzo record del +122%, rappresentando ben il 40% della produzione nazionale con oltre 1 milione di bottiglie l’anno. E cresce anche la richiesta dai Paesi esteri di importare il nostro rosato sulle loro tavole. I rosati fanno registrare un aumento dei consumi superiore al 13%, in controtendenza rispetto al dato generale secondo il quale negli ultimi 50 anni il consumo di vino è sceso dell’1% annuo. Dati confermati anche da Ilaria Donateo, presidente dell’associazione di produttori vitivinicoli di Negroamaro “deGusto Salento” e organizzatrice di Ro-

séxpo, il salone internazionale dei vini rosati che si tiene a Lecce e che ogni anno diventa occasione per sviscerare temi dal grande impatto commerciale. Grazie a uno studio di Tannico.it Intelligence è stato possibile stigmatizzare un andamento e targhettizzarlo. Una vendita, quella dei rosati, ha spiegato Donateo, dati alla mano, che “inizia a liberarsi dalla naturale stagionalità e che registra un picco di vendite per i vini di Provenza (20%) ai quali seguono proprio quelli della Puglia (17%); subito dopo la Sicilia (14%), l’Abruzzo (11%), la Sardegna e l’Alto Adige (9%), la Lombardia e la Toscana all’8% e fanalino di coda la Campania con il 4%”. Ma da chi è particolarmente amato il rosato? “I rosati - chiarisce Donateo sono il vino delle fasce più adulte. Lo acquistano poco i giovani utenti dello shopping on line. Mentre è più presente nel carrello virtuale di chi ha più di 55 anni. Questo ci fa capire quanto bisogna insistere sempre di più nell'organizzare eventi di settore di qualità dove il focus deve rimanere il vino rosato, in Italia crescono sempre di più e crescono nei territori dove si crede maggiormente in questa vinificazione”. E la presidente di deGusto Salento ne cita alcuni, da Anteprima Chiaretto a Bardolino a Italia in Rosa a Moniga del Garda, oltre al suo Roséxpo a Lecce. Ma anche Bere Rosa, organizzato da Cucina&Vini a Roma, o Sorrento Rosé, ultimo nato a Sorrento, organizzato dall'Associazione nazionale Le Donne del Vino. Quest’anno, inoltre, i rosati pugliesi hanno accompagnato la carovana del 100° Giro d’Italia, grazie all’associazione Puglia in Rosé che ha organizzato eventi e degustazioni della tappa con arrivo a Peschici, sul Gargano.





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Bollicine pugliesi in crescita, non sono solo una moda di GIANVITO MAGISTÀ’

Un sistema spumantistico organizzato sarebbe il giusto volano per affermare l’identità pugliese nel mondo

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el 2016 anche i francesi si sono inchinati allo spumante italiano. Per la prima volta l’esportazione nel mondo delle nostre bollicine ha superato quella dello champagne. Un risultato di prestigio che parte senza dubbio dalle già celebrate produzioni del Nord Italia. In questo quadro confortante, però, spunta anche la Puglia, che negli ultimi anni si è lanciata positivamente nel mondo delle bollicine. E grazie a coraggiose aziende che hanno fatto da apripista in tempi non sospetti, oggi gli spumanti pugliesi si stanno ritagliando sempre più spazio e notorietà.

“Le bollicine della nostra regione non sono più una moda, ma una realtà in continua ascesa” spiega Giuseppe Cupertino, Wine Experience Manager del resort Borgo Egnazia e presidente della Fondazione Italiana Sommelier Puglia. “Sono sempre più le aziende pugliesi che inseriscono nel proprio portfolio produttivo una o più etichette da metodo charmat o metodo classico – continua Cupertino – Questo trend è spiegato da due fattori: il primo più strategico e commerciale perché all'estero i distributori chiedono una gamma completa di prodotti; la seconda, invece, è dovuta alla reale capacità di alcune aziende di produrre spumanti di altissimo livello”. Una regione lunga e variegata la Puglia, tendenzialmente pianeggiante. Nonostante tutto, sulle rare alture, sono in crescita le aziende che si cimentano con le bollicine, anche in Salento. “Le aree più vocate sono sicuramente quelle in cui i terreni sono più minerali e le uve coltivate su altitudini maggiori - spiega Cupertino - Pertanto sicuramente il Subappenino Dauno con il Bombino Bianco e Nero, il Pinot Nero e il Montepulciano; la Valle d'Itria e la Murgia con la Verdeca, il Minutolo oppure il Marchione e senza escludere gli spumanti da uva a bacca rossa come il Negroamaro del Salento”. Gli stranieri conoscono ancora pochissimo la spumantistica pugliese. Secondo Cupertino bisognerebbe cominciare a imparare dal Nord, senza però copiare. Bisognerebbe intanto acquisire “una propria identità aziendale e poi fare sistema come nei più noti territori di Franciacorta, Oltrepò Pavese, TrentoDoc e Valdobbiadene/Conegliano”. “Le nostre bollicine potrebbero avere buone prospettive di crescita nel mercato globale solo se le aziende si riunissero in un reale sistema spumantistico ‘Puglia’ che, partendo dalla sperimentazione e dalla riscoperta di vitigni autoctoni adatti alla spumantizzazione, riuscissero a sviluppare una propria identità produttiva a cui applicare poi azioni di marketing mirato. Serve un prodotto nuovo, senza imitazioni o paragoni improponibili per storia e per metodologia produttiva ad altre realtà già affermate nel mondo” conclude Cupertino.

Giuseppe Cupertino





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Turismo in Puglia, nasce il brand e un piano strategico ad hoc di FRANCESCO IATO

Puglia365 e il desk di Pugliapromozione in Fiera, per penetrare tutti i mercati tutto l’anno

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el i record in record. Il turismo pugliese è una macchina da guerra. Nel 2017 è riuscita a confermare e persino migliorare il boom dell’anno scorso. Nei primi sei mesi, infatti, gli arrivi sono cresciuti di circa un punto percentuale, mentre le presenze di quattro con un due per cento in piu’ di arrivi stranieri e un 7% di presenze. I dati, seppur parziali, hanno delineato un quadro che durate il cloù dell’estate è diventato a dir poco straordinario. Oltre 4 milioni, infatti, sono i turisti stimati fino a fine agosto. Un exploit senza precedenti che fa esultare l’assessore al ramo, Loredana Capone. “E’ la prova”, spiega a Fax Capone, “dell’efficacia delle azioni pluriennali messe in campo dalla regione Puglia. La nascita di un brand e di un piano strategico, Puglia 365, ci ha messo nelle condizioni di sfondare e penetrare più incisivamente su tutti i mercati. La Puglia nella sua interezza dal Gargano ai Monti Dauni, dalla Valle d’Itria alla Puglia imperiale, da Taranto al Salento è stata un fermento e un pullulare di turisti con sold out registrati in molte località di punta. A rafforzare i buoni risultati ci hanno pensato i calendari di iniziative ed eventi unici in gran parte finanziati dal bando InPuglia365 e che proseguiranno fino ad ottobre. Un virtuoso mix di attività

che ha visto coinvolti i comuni, le imprese, le associazioni per offrire ai turisti e agli stessi pugliesi un calendario ricco di momenti da vivere a contatto con la natura, la cultura e la enogastronomia. L’estate pugliese s’è allungata ed è risultata decisamente più accattivante”. Tra le luci c’è certamente lo sviluppo del Wedding. I matrimoni Vip, come quello dei giovani Sutton a Lido Santo Stefano, ha confermato le grandi potenzialità e i guadagni d’oro (25 milioni di euro nel giro di una settimana). Assessore, cosa intende fare la regione Puglia per promuovere questo che è diventato un comparto? “Il turismo di lusso ha già uno spazio a se stante nel piano turistico regionale. Va potenziato migliorando l’accoglienza attraverso corsi di formazione per gli operatori e valorizzando unità e identità dei territori salvaguardando la riservatezza, forse l’ingrediente principale dell’attrattività pugliesi per i Vip di tutto il mondo”. Assessore e in Fiera del Levante cos’è previsto per il turismo? “Per la prima volta avremo un padiglione dedicato che sarà curato dall’Agenzia regionale Pugliapromozione. Sarà il 170 e al suo interno venti desk dove gli operatori turistici pugliesi, che hanno risposto alla call fatta dall’Agenzia, potranno commercializzare i loro prodotti con offerte speciali fiera”.





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Turismo di lusso o popolare? Panorami e tipicità non bastano di GIANVITO MAGISTA’

Uno studio di Demoskopika ha dimostrato che la nostra regione è ultima per qualità delle strutture ricettive, in base alle recensioni rilasciate su Booking.com. Che Briatore l’anno scorso non avesse tutti i torti?

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uglia regina del turismo estivo, ma ultima per ricettività. Da qualche anno, ormai, la solfa è sempre la stessa: record di presenze di turisti in regione, spiagge del Salento piene, matrimoni e vacanze vip dal nord al sud del tacco d’Italia. Da contraltare, però, le lamentele della gente del posto per il caos, i ragazzi che dormono sui balconi o in strada, i turisti che si ritrovano a pagare cifre esagerate in sistemazioni al limite della decenza. A confermare tutto ciò è arrivato il recente studio di Demoskopika che ha confermato le sensazioni generali. La Puglia ha molto appeal online grazie alle bellezze naturali, agli scorci, al panorama mozzafiato, ai sapori e ai profumi indimenticabili dei prodotti tipici. Il tutto condiviso con estrema facilità attraverso i social network o i portali dedicati alla regione. Ma internet è un’arma a doppio taglio: la Puglia si classifica all’ultimo posto in Italia per la qualità delle strutture ricettive, in base alle recensioni lasciate dai vacanzieri su Booking.com, uno dei siti più importanti al mondo per le prenotazioni online. Di questo passo il rischio è che nel giro di pochi anni, quando la moda di visitare a tutti i costi la Puglia passerà, si torni nell’oblìo. Gettando alle ortiche, peraltro, il duro e faticoso lavoro e gli investimenti compiuti nell’ultima ventina d’anni. Il turista che è arrivato quest’anno in Puglia

con tante aspettative e ha trovato strade sporche, prezzi alti, hotel, B&B o camere scadenti, dopo mille o oltre chilometri per raggiungerla, al momento della prenotazione per la sua prossima vacanza sarà costretto a fare delle valutazioni. L’assessore regionale al Turismo, Loredana Capone, ha dichiarato che la Regione è pronta a sostenere tutti gli operatori lavorando al loro fianco. Ma nello stesso tempo, l’assessore conta sulla voglia di ciascuno di puntare sul turismo di qualità. Sembra proprio che sia questa la strada da percorrere per non vanificare ciò che di ottimo è stato costruito. Se la Puglia è diventata di moda, non è un caso. Vuol dire che fino a un certo momento si è lavorato benissimo. L’anno scorso Flavio Briatore fece una critica pesantissima alla Puglia: i vostri alberghetti non servono a nulla, disse. I ricchi sono quelli che portano i soldi, che spendono anche 10-20 mila euro al giorno. E loro hanno bisogno di hotel di lusso. Per quanto esagerate come dichiarazioni, ma in pieno stile Briatore, forse alla luce dei dati odierni il padre del Billionaire non aveva tutti i torti. Di sicuro, per restare a lungo la regina delle vacanze, la Puglia deve concentrarsi sulla qualità. Senza compromessi.






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Aggregazione è la ricetta per combattere la crisi del turismo religioso di PIETRO LOFFREDO

Gli esperti di marketing turistico sostengono che l’unica strada per combattere l’incubo terrorismo sia racchiudere in un’unica offerta tutte le realtà che finora si sono proposte singolarmente, migliorando la comunicazione

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a crisi economica ha colpito anche il turismo religioso, che in provincia di Foggia rappresenta una fetta importante dell’economia. Lo dimostrano i dati di San Giovanni Rotondo, capitale pugliese di questo settore e tra le mete mondiali preferite dai fedeli, grazie al santuario di Padre Pio: nella città garganica, le presenze sono gradualmente diminuite dal 2009 - anno della visita di Papa Benedetto XVI -, passando da 8 milioni agli attuali 5. E’ un fenomeno generalizzato, accentuato - spiegano gli analisti - anche dalla paura di viaggiare, causata dall’incubo del terrorismo che si è diffuso in ogni angolo del pianeta. Per gli esperti di marketing turistico, la parola d’ordine, per uscire dalla crisi, è “aggregazione”: ad esempio, restando in provincia di Foggia, sarebbe importante racchiudere in un’unica offerta tutte le realtà che finora si sono proposte singolarmente, come San Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo (patrimonio dell’umanità dell’Unesco per la basilica di San Michele) e l’Incoronata (con il santuario della Madonna nera). Senza dimenticare il convento della Consolazione a Deliceto (dove, nel 700, Sant’Alfonso Maria de Liguori compose “Tu scendi dalle stelle”), Troia (con la magnifica basilica romanica) o il convento di San Matteo a San Marco in Lamis. Con un pacchetto unico, i tour operator potrebbero offrire un prodotto più allettante per i turisti, che potrebbero restare più giorni in provincia di Foggia, unendo l’esperienza spirituale con la conoscenza del patrimonio storico e culturale. Un’altra chance preziosa è fornita dal boom, negli ultimi anni, dei ‘Cammini dello spirito’: lungo la Via Francigena, sono sempre più numerosi i fedeli o i semplici appassionati della natura che ripercorrono le vie battute per secoli dai pellegrini diretti in Terrasanta.

Anche l’aspetto comunicativo è importante: lo hanno compreso i Frati Minori Cappuccini di San Giovanni Rotondo, che hanno deciso di aprire la loro grande famiglia a nuovi, giovani religiosi, che stanno raggiungendo la città garganica in queste settimane. L’obiettivo è quello di acquisire più ‘appeal’ agli occhi dei fedeli, attraverso un linguaggio più moderno e una migliore predisposizione all’ascolto dei problemi e delle aspettative dei più giovani. Una sorta di binomio tra marketing e fede, per rilanciare un settore – quello del turismo religioso – in crisi, ma in grado di assicurare enormi chance occupazionali in terra di Capitanata.






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Menelao alle Cummerse a Turi

Matrimoni in Puglia: un business che può aiutare il turismo di GIANVITO MAGISTA’

Il coordinatore della sezione ricevimenti di Confindustria Bari e Bat Michele Boccardi analizza le statistiche: “La stragrande maggioranza dei neo sposi arriva dal Medioriente. Poi inglesi e statunitensi. Gli italiani arrivano dal Nord”

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i è chiusa in Puglia un’altra estate di matrimoni importanti. Quello che in molti ricorderanno si è tenuto tra il Capitolo (Monopoli) e Savelletri (Fasano) a cavallo tra agosto e settembre. A pronunciare il sì il rampollo di una famosa famiglia di immobiliaristi di New York, che ha portato in Puglia dagli Stati Uniti, con un volo charter, più di 400 invitati. Uno spot non di poco conto per le nostre spiagge, le nostre masserie, le nostre città e i nostri prodotti tipici. Sono sempre di più gli stranieri che scelgono di sposarsi in Italia. E la Puglia, anche grazie al passaparola, sta diventando una meta tra le più desiderate. Luoghi incantevoli, location di lusso, ma anche l’autenticità di alcuni posti ancora incontaminati e i sapori di una volta. Il turismo matrimoniale, se così si può definire, può quindi trasformarsi in una risorsa importante per il turismo convenzionale. Nonostante la sensazione generale è che non ci si sposi più, i dati dicono diversamente. Ce lo conferma il senatore Michele Boccardi, coordinatore della sezione ricevimenti di Confindustria Bari/BAT. “C’è un incremento della richiesta dei matrimoni in Puglia - dice Boccardi - ma perché oltre all’utenza autoctona, è aumentata quella nazionale e internazionale”. “La stragrande maggioranza dei neo sposi arriva dal Medioriente - spiega Boccardi - Poi inglesi e statunitensi”. In una recente statistica che conferma le parole del senatore, si evidenzia che dopo di loro ci sono australiani, irlandesi e canadesi. Michele Boccardi

Oltre a qualche tedesco e russo. Gli italiani che scelgono la Puglia per sposarsi, invece, arrivano quasi sempre dal Nord: “Veneto e Lombardia su tutte” dice Boccardi. Il fattore che accomuna tutte queste diverse culture e nazionalità è uno solo: la pugliesità. Lo straniero, l’italiano o il pugliese stesso vuole un matrimonio dai fortissimi connotati tradizionalisti. Certo, c’è chi sceglie il lusso e la modernità, ma secondo Boccardi la maggior parte degli sposi preferisce la tradizione pugliese in tutte le sue sfaccettature: “Il cibo, la location e l’ambientazione, intesa come trulli, masserie, ville antiche, ulivi e mare - spiega il senatore - e ormai anche i wedding planner più famosi al mondo, ai quali si rivolgono soprattutto gli stranieri, l’hanno capito”. La scelta del cibo, poi, oggi ricopre un ruolo molto importante nell’organizzazione di un matrimonio. “Gli sposi sono molto più attenti alla qualità - racconta Boccardi - ad esempio arrivano a selezionare i vini, scegliendo anche in questo caso la tradizione locale, soprattutto con i rossi pugliesi”. “Non manca la valorizzazione degli altri prodotti nostrani - continua Boccardi - fave e cicorie oppure patate, riso e cozze, piatti definiti poveri una volta e che rischiavano l’estinzione. E poi i prodotti a chilometro zero: formaggi podolici, salumi di Martina Franca come il capocollo, i famosi dolci di mandorla fino ad arrivare alle verdure. Anche sul cibo, quindi, la tradizione è fondamentale per chi si sposa in Puglia”.


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La sala allestita sulla scogliera di Lido Santo Stefano a Monopoli per il matrimonio dei miliardari americani Renèe Sutton ed Eliot Cohen I matrimoni, dunque, come vetrina privilegiata e a tutto campo su ciò che può offrire la Puglia al turista. “Certamente questo mercato può creare un incoming turistico. Innanzitutto perché gli stranieri si fermano qui anche fino ad una settimana - spiega Boccardi - bisogna mettere in condizione gli invitati di essere soddisfatti non solo il giorno del matrimonio, ma per tutta la loro permanenza. Creando, quindi, un indotto turistico”. Attenzione, però, a un fenomeno pericoloso: “La Puglia sta vivendo un momento positivo. Ma questo non deve trasformarsi in una colonizzazione della nostra terra - avverte Boccardi - nel senso che non ci si deve limitare a scegliere solo la location. Dobbiamo mettere in campo un’azione sinergica tra noi operatori turistici, in modo tale da offrire l’eccellenza dal punto di vista dei servizi, della cu-

cina, degli arredi. Così da consentire, già dal prossimo anno, di destinare le risorse economiche derivanti dai matrimoni al vantaggio della Puglia e dei pugliesi”. Dobbiamo migliorare solo nell’accoglienza, dunque, secondo il senatore Boccardi. Perché, per il resto, la Puglia piace tantissimo: “Ha un territorio che non ha eguali ed è variegata. Ha tre territori completamente diversi - dice Boccardi - c’è la zona montuosa del Gargano, la zona esoterica e bellissima della Valle d’Itria con gli ulivi, la pietra bianca e i trulli e abbiamo il mare più bello del mondo nel Salento”. “Una regione che offre tanti spunti - conclude Boccardi - e che negli ultimi anni è salita ai vertici anche per quanto riguarda l’enogastronomia”.




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La crescita passa dalla tavola anche grazie a ristoranti e pizzerie di SIMONA GIACOBBI

Gli otto ristoranti stellati pugliesi garantiscono l’eccellenza, ma anche i maestri della pizza stanno vivendo un periodo d’oro, tanto da aver conquistato due piazzamenti nella top 50 dei locali italiani

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empre più masserie, ristoranti e pizzerie sono testimoni di una crescita turistica che per la Puglia sembra inarrestabile. Si è conclusa un’altra stagione estiva fortunatissima per il turismo pugliese. Un 2017 che ha segnato un nuovo record. Un 7% in più di arrivi, +4% di turisti stranieri. Dati che incoronano ancora una volta la Puglia regina d’Italia. Perché questa è una Puglia che offre tanto, dalla costa all’entroterra, soprattutto se si parla di enogastronomia. Lo sa bene Madonna che ama trascorrere le sue vacanze in Puglia e che ha festeggiato ad agosto il suo compleanno a suon di pizzica e gustato orecchiette, pizza e Negroamaro, il suo vino preferito. Si parla di prodotti della terra e del mare, di vere e proprie eccellenze pugliesi come l’olio extravergine DOP e vini DOC e IGT oltre a prodotti tipici conosciuti in tutto il mondo come il pane DOP di Altamura e il capocollo di Martina Franca e ai tanti presìdi Slow Food presenti nel paniere pugliese che hanno fatto del 2017 un’annata piena di successi e riconoscimenti importanti. Una ricerca costante del bello e del buono quella sui cui si concentrano gli otto ristoranti che in Puglia vantano la stella Michelin, in attesa di scoprire se l’edizione 2018 della guida ci riserverà delle sorprese: a Ostuni il ristorante “Cielo” nel cuore del centro storico della Città Bianca, a Ceglie Messapica “Al Fornello da Ricci” di Antonella Ricci e Vinod Sookar, il “Pashà” a Conversano, “Umami” ad Andria, il ristorante di Angelo Sabatelli che recentemente ha traslocato da Monopoli a Putignano, “Già Sotto l’Arco” a Carovigno, nel Brindisino, “Bacco” a Barletta e la new entry nell’olimpo Michelin del ristorante “Quintessenza” a Trani. Ma anche le pizzerie stanno vivendo un periodo d’oro, al pari di molti ristoranti, attirando una clientela sempre più attenta ed esigente. Basti pensare che nella 50 Top Pizza, la classifica della prima guida online sulle pizzerie d’Italia, edita da Formamentis, sono state ben due le pizzerie pugliesi che si sono contraddistinte tra molte colleghe casertane e napoletane: “Il Vecchio Gazebo” di Molfetta al 28esimo posto, “La Campagnola” di Bitritto al 44esimo.

E allora ecco i pizzaioli pugliesi che sfornano pizze sottili, pizza con cornicione più pronunciato, pizze gourmet con condimenti speciali, locali e di altissima qualità. “Le pizzerie in Puglia negli ultimi dieci anni sono cresciute tantissimo - ha confermato Giuseppe Petruzzella, titolare insieme a Domenico Piccininni de “Il Vecchio Gazebo” e vice direttore APP (Associazione Pizzaioli Professionisti) - Si presta molta attenzione alla lavorazione dell’impasto, alla scelta di farine di qualità e meno raffinate e naturalmente ai prodotti di qualità del territorio con cui vengono condite. C'è da lavorare ancora tanto. Il compito della nostra associazione, grazie al presidente Luigi Stamerra, è proprio quello di divulgare il concetto di pizza di qualità”.

Giuseppe Petruzzella







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Boom di crocieristi nei porti di Bari, Monopoli e Brindisi di GUGLIELMINA LOGROSCINO

I dati pugliesi sono in controtendenza rispetto al resto d’Italia. Il capoluogo cresce del 44,3%, ma anche gli altri scali pugliesi fanno registrare numeri in crescita anche grazie agli yacht e alle piccole navi da crociera che transitano nel porto monopolitano

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ari, Brindisi e Monopoli in controtendenza rispetto agli altri porti crocieristici italiani. Un vero e proprio boom per le crociere negli scali pugliesi; laddove, negli altri porti, come segnalato da Risposte Turismo, nello Speciale Crociere 2017, si è registrata una riduzione del 7,1% dei passeggeri transitati e del 9,6% delle toccate nave”. E’ con un pizzico di orgoglio, che il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dell’Adriatico Meridionale, prof. Ugo Patroni Griffi, commenta i primi dati di una stagione esaltante per il settore crocieristico, volano di sviluppo dell’economia di tutto il territorio. Quest’anno, ha scelto Bari come home port, il 44, 3% in più dei crocieristi. Un dato che racconta di servizi, infrastrutture, organizzazione logistica e viabilità che funzionano, esercitando un incontrovertibile appeal per i 106.017 i turisti che da gennaio ad agosto sono partiti per una crociera dal capoluogo di regione. Un lieve calo, invece, si è registrato nei transiti, ossia nel numero di passeggeri che hanno scalato il porto adriatico, imbarcandosi altrove: circa 140 mila, contro i quasi 190mila del 2016. A Brindisi, dopo il drastico calo registrato nel 2016 per via del riposizionamento stabilito da MSC della nave Magnifica, la stagione registra un dato complessivo, aggiornato al 31 agosto, del più 1.900% . Il ritorno di MSC con nave Musica e la presenza di altre prestigiose compagnie hanno impresso un netto rilancio al settore. In aumento anche i passeggeri che si sono imbarcati da Brindisi per la loro crociera: +20% (il termine di paragone, in questo caso, è con il 2015, in assenza di MSC nel 2016). Ma un ruolo in questo trend positivo lo gioca, anche, il porto di Monopoli - più 353,8% rispetto al 2016 - dato che si riferisce a transiti di maxi yacht o di pic-

cole navi da crociera, e conferma il percorso, intrapreso da tutto territorio, di puntare sul turismo di lusso. A stagione non ancora conclusa, comunque, l’Autorità portuale sta già lavorando al calendario 2018: a Bari sono già in programma 183 approdi, a Brindisi 46, e gli sforzi dell’Ente puntano ad inserire nella rete dei porti crocieristici anche lo scalo di Manfredonia. “I risultati raccolti finora, ci fanno capire che la strada intrapresa è quella giusta, è il commento del presidente Patroni Griffi, e al contempo fungono da sprone per investire sempre più in impegno e in risorse al fine di incentivare le compagnie ad inserire i nostri porti nel network crocieristico internazionale. A questo scopo, nei giorni scorsi, abbiamo partecipato al Seatrade Europe Cruise & River Cruise, appuntamento biennale di grande richiamo per espositori, acquirenti, esperti e professionisti del settore crocieristico marittimo e fluviale,dove abbiamo presentato l’organizzazione logistica dei nostri porti in grado di offrire facilities e servizi, e un territorio che offre un’esperienza di vacanza su misura, in una terra ancora autentica dove un posto non solo lo si visita, ma lo si vive in modo esclusivo in un percorso sensoriale che abbraccia tradizioni enogastronomiche, arte, cultura e folklore.” Nella rete dei porti pugliesi, quest’anno, ha fatto il primo ingresso anche Taranto, con che sette approdi della compagnia Thompson: in media 1300 passeggeri più 500 uomini di equipaggio, in arrivo da Messina e diretti in Grecia. “ I feed back sono molto positivi – è il commento del presidente dell’Autorità di Sistema portuale del mar Jonio Sergio Prete – sia dal lato città-porto, che da quello turisti- passeggeri. Abbiamo prenotazioni di altre compagnie per l’anno prossimo e puntiamo a consolidare con calma questo settore, nuovo per noi, con investimenti di natura infrastrutturale come la realizzazione della nuova stagione marittima che sarà pronta nel 2018”.






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Feste patronali, un business da un miliardo di euro di ANTONIO LORUSSO

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Luminarie, fuochi e bande per celebrare Santi e Madonne. La tradizione e il culto lasciano spazio anche al folklore. E i turisti restano a bocca aperta

na volta erano le feste patronali più povere e sobrie. Ora sono quelle più frequentate e più trend del circuito pugliese. Le feste del Salento, sulla scia del successo turistico degli ultimi anni, pullulano di visitatori, assaggiatori di pucce e scapece, escursionisti in ciabatte, bermuda e birra in mano. Tutti col naso all’insù per ammirare le luminarie di Scorrano e i fuochi d’artificio di Diso, o per scoprire le suggestioni dei riti di Maglie, Gallipoli e della costa ugentina. E così – e magari i pugliesi non lo sanno – i turisti non si avventurano in mare il giorno della patrona, Santa Cristina, perché gli amici gallipolini li hanno messi in guardia: la martire porta la steddha (la cattiva stella) e si rischia di annegare. Stessa sorte spetta a chi fa il bagno il giorno della Madonna del Carmine, a luglio, tradizione questa consolidata nel barese. Le feste patronali pugliesi – sono oltre 500, due per ogni città, fra patroni, copatroni e santi di quartiere – restano un condensato di fede, superstizioni, timore di Dio e follia collettiva. Come possono definirsi altrimenti i fujenti che corrono davanti alle batterie alla bolognese che bruciano le camicie durante la processione della Madonna del Soccorso, a San Severo? E vogliamo parlare dei cittadini di Turi che si scatenano in piazza Orlandi in una guerra di bande, coriandoli, fiori, spari e palloncini, intorno al carro trionfale di San-

t’Oronzo? Più c’è confusione, più la festa funziona, insomma. Lo spirito di un tempo è in pratica lo stesso. Cento anni fa era lecito impazzire il giorno della festa: abito buono, carne a tavola, promesse di matrimonio, le arie dell’opera in cassarmonica e l’effimero per eccellenza, i fuochi d’artificio che bruciano in cielo e svaniscono nella notte con le loro scie colorate. Oggi il caos di auto che si crea in Valle d’Itria per ammirare i fuochi di San Rocco del 16 agosto a Locorotondo viene accettato come un male necessario dalle migliaia di pellegrini dell’arte pirotecnica. E poco importa se quest’anno a Lecce a Sant’Oronzo c’erano gli insopportabili new jersey anti-terrorismo o se c’è da sudare sette camicie per muovere il campanile alto 22 metri della Madonna di Sovereto, a Terlizzi. L’onore di rientrare fra i 50 spingitori è impagabile. Attenzione però a portare le statue. Si rischia di fare la fine di San Domenico, la statua che a Martina Franca un mese fa all’improvviso è sfuggita ai portatori, piegandosi paurosamente sulla folla. San Nicola e San Rocco, i santi più amati e celebrati, benedicono le feste patronali: sono una sana occasione di lavoro che fattura in Puglia quasi un miliardo di euro l’anno. Solo le aziende di luminarie di Scorrano, i De Cagna e i Mariano, hanno 80 dipendenti. Ingegneri delle luci e operai-volanti. Orgoglio pugliese apprezzato in America, Spagna, Giappone e Paesi Arabi.




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Foto Giovanni Barnaba

L’industria delle luminarie in Puglia, quando l’arte si fonde con la storia di CHIARA CHIRIATTI

Fin dal 1700 nella nostra regione si costruivano le decorazioni luminose con bicchieri colorati e uno stoppino acceso. Oggi l’azienda De Candia dà lavoro a cinquanta persone e produce un fatturato che si attesta intorno ai 2 milioni di euro

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rte e architettura. Design e urbanistica. Innovazione e folklore. Quello delle luminarie dal latino “lumen”, significa letteralmente “oggetto che diffonde luce”, è un mondo che appartiene alla cultura del Sud Italia. Fin dal ‘700 si costruivano in Puglia le decorazioni luminose, impalcature lignee addossate alle facciate degli edifici, che sostenevano innumerevoli bicchieri colorati, contenenti olio e uno stoppino per l’accensione. Dai lumini a petrolio si arriva alle lampadine elettriche e a led. Innovazione e tradizione hanno trasformato le luminarie in vere e proprie architetture di luce. Dagli allestimenti nelle manifestazioni religiose, l’industria delle luminarie ha allargato i suoi confini, conquistando anche altri settori: moda, arte, pubblicità, turismo. Le suggestive linee di luci e colori che generano lampade led continuano a illuminare strade e piazze, ma oggi, più che mai, sono ripensate in scale differenti per abbellire e decorare ambienti domestici e locali pubblici, e sempre più in occasione di eventi privati, come matrimoni e compleanni. Una tendenza che sta conquistando anche vip e celebrities. Un pezzo di puglia autentico, legato al saper fare delle aziende pugliesi. Una settantina quelle che animano l’industria delle luminarie in tutto il territorio regionale: molte operano in italia e non solo, alcune con più di un secolo di esperienza alle spalle. Ci sono quelle, la fetta più grossa del comparto, che hanno una produzione tradizionale, frutto di un lungo e laborioso processo storico, impegnate da anni a portare in giro per il mondo un prodotto originale ed unico, con un rimando costante all’autenticità della Puglia. Ma il segmento economico racchiude anche quelle aziende, e sono tante, che non producono luminarie, ma si occupano di noleggio e installazione. L’espressione più esaltante dell’arte delle parature è a Scorrano, ribattezzata la capitale mondiale delle luminarie. E’ nel piccolo centro del Sud Salento che ogni anno, il 6 luglio, in occasione della festa di Santa Domenica, i più grandi costruttori di luminarie espongono le loro spettacolari architetture luminose. Un nome su tutti: De Cagna. Maestri delle luminarie da tre generazioni. Un’azienda nata a Maglie oltre 80 anni fa e che oggi esporta in tutto il mondo imponenti strutture ricoperte da migliaia di lampadine colorate. Nell’azienda De Cagna oggi lavorano una

cinquantina di operai, con un fatturato che oscilla tra 1,5 e 2 milioni di euro all’anno. Le loro impalcature, vere e proprie opere d’arte, possono anche arrivare a trenta metri di altezza. Luminose scenografie che riproducono monumenti, antiche architetture, iconografie sacre, traducendo un’illusione in realtà. Uno spettacolo di luci semplice eppure emozionante.

Foto Giovanni Barnaba









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La crisi delle bande da giro, pochi soldi e difficile rinnovamento di ANTONIO LORUSSO

Morti i grandi maestri, il settore è sprofondato in un momento di grande difficoltà, complice l’invasione di gruppi improvvisati, il crollo dei cachet e un repertorio troppo legato al passato

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arciano per ore dietro la processione del Santo. Pranzano a sacco, se la trasferta è lunga si arrangiano con un piatto di pastasciutta preparato con la cucina da campo dallo chef-autista. Dormono in branda in aule surriscaldate dallo scirocco o in pullman durante il trasferimento notturno da una città all’altra. E suonano, suonano, suonano. Sono i musicisti della banda da giro, altra espressione tipica delle feste patronali di Puglia. Qualcuno li ha definiti i nomadi del pentagramma, e per almeno cento anni sono stati l’orgoglio di intere città con tanto di claques e tifosi, ambasciatori dell’opera lirica portata dai teatri in piazza, ultimo baluardo del concerto-live contro l’invasione di lp, cd, tv e youtube. Oggi i forzati della cassarmonica vivono una crisi profonda, pur restando ancora il simbolo di un’epoca d’oro delle feste che non c’è più. Morti i grandi maestri, Abate, Ligonzo, Piantoni, Chielli, le bande annaspano in un mare di difficoltà. Legate ad almeno tre fattori, connessi tra loro. Primo: l’invasione di bande improvvisate, che si formano in 24 ore come quando si va a suonare a un

funerale. Spuntano contratti-capestro e lasciano molto a desiderare sul piano artistico. Sono un vero bluff, come la banda di Mottola che un anno fa annunciò prima l’ingaggio del decano dei direttori di banda, Gerardo Garofalo, e poi dell’ex direttore della banda dell’Esercito Fulvio Creux. Che dopo alcuni giorni di prova in un garage, mollò tutto. Secondo: l’insensibilità dei Comitati feste. Magari sono disposti a spendere decine di migliaia di euro per fuochi e luminarie, ma quando si tratta della banda - che in organico ha 40 persone, spesso padri di famiglia - raccolgono solo le briciole. Oggi il cachet di una banda per una prestazione domenicale si aggira sui 3mila euro, dieci anni fa si viaggiava sui 3.700 euro. Perché tanta acredine? Perché la banda non l’ascolta più nessuno, dicono i maligni. Basta che suonino alla processione, il resto conta poco. Possibile che anche i Vescovi e i parroci, cui fanno capo i Comitati, si siano uniformati a questo andazzo, alla faccia della tradizione pugliese? Terzo problema: il repertorio che non si rinnova. L’obiezione non è fuori luogo. Ma come si possono fare le prove di nuovi brani durante l’inverno se i conti non tornano e non


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si riesce neanche a riconoscere un pranzo o un rimborso per il viaggio ai musicisti? Il degrado dilaga dietro la facciata tutte paillettes delle grandi orchestre di fiati. Ci sono per fortuna bande che fanno i salti mortali per resistere, imporre regole e rispetto e presentarsi con le carte a posto al gran mercato di Adelfia, il 10 novembre, alla festa di San Trifone, la piĂš sontuosa di tutte. Onore alla tra-

dizione, come fanno le due bande di Conversano e Squinzano, Lecce, Gioia del Colle, Francavilla. Salvando in qualche modo contributi e sicurezza. Non sempre però ci riescono. Il bus piuttosto malandato della banda di Gioia ha preso fuoco ai primi di agosto mentre di notte era diretto a Baiano. I musicisti si sono messi in salvo, gli strumenti no.




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Ferrovie del Gargano ora punta anche a Roma e al Nord Italia di PIETRO LOFFREDO

Con oltre 14 milioni di chilometri percorsi ogni anno su rotaie e gomma, l’azienda guidata da Vincenzo Scarcia Germano vuole continuare a crescere con collegamenti diretti verso le principali destinazioni italiane

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ntermodalità” è la parola d’ordine per le Ferrovie del Gargano, l’azienda di trasporto pubblico su rotaia e su gomma più rappresentativa in provincia di Foggia, con oltre 14 milioni di chilometri percorsi ogni anno. Treni, pullman per il trasporto locale e collegamenti diretti con autobus per Roma e il Nord Italia: sono queste le proposte della società guidata da Vincenzo Scarcia Germano, direttore generale delle Ferrovie del Gargano. In linea con le direttive comunitarie e regionali, la FerGargano da tempo sta coniugando il trasporto su rotaia a quello su gomma. Per ottimizzare i costi ma, soprattutto, per migliorare i servizi in una provincia, la Capitanata abbastanza estesa e orograficamente complessa. La società copre anche tratte nella Bat, nel Molise e in Irpinia. “Lo stiamo facendo da tempo sul Gargano - commenta Scarcia Germano - considerando le esigenze dei residenti, ma anche dei turisti, che ogni anno scelgono questo territorio per le loro vacanze. In questa ottica vanno inseriti anche i ‘treni della notte’, veri e propri treni-tram che permettono spostamenti di massa serali a costi ridotti e capaci di mettere in rete i centri del Tavoliere alle località turistiche come Rodi, San Menaio e Peschici. Servizio che completiamo grazie a bus navetta. Un esperimento ormai riuscito, con presenze ragguardevoli”. Sulla Foggia-Lucera la prova è stata superata da tempo: “E a pieni voti - aggiunge il direttore generale Scarcia Germano - raccogliendo anche i consensi di ‘Pendolaria’, il rapporto annuale di Legambiente nazionale sui trasporti per pendolari e studenti. Uno sforzo quotidiano che ci vede, ormai, impegnati su questa nuova vision del trasporto locale. Con risultati sorprendenti sotto l’aspetto dell’affluenza”. Non va dimenticato il biglietto unico per la città di Foggia: “Un risultato importante - conclude Scarcia Germano - tutti i viaggiatori muniti di biglietto o abbonamenti da e per Foggia provenienti da Lucera e dal Gargano e San Severo possono viaggiare senza costi aggiuntivi sui bus urbani dell’Ataf, l’azienda del trasporto pubblico cittadino. Un altro esempio mirabile di trasporto integrato a tutto vantaggio dei nostri clienti. La conferma arriva dai dati, con un numero sempre più alto di viaggiatori nei Comuni garganici, in particolare San Nican-

dro e Apicena. Il collegamento con San Severo e Foggia è assicurato da tempi di percorrenza molto brevi e a bordo di treni confortevoli con il capolinea nel cuore della città capoluogo”.

Vincenzo Scarcia Germano




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Ferrovie Appulo Lucane, un rinnovamento su tutti i fronti di DONATELLA AZZONE

Il presidente Matteo Colamussi spiega come i bilanci siano in attivo grazie a spending review e lotta all’evasione tariffaria, ma soprattutto in seguito all’ammodernamento e al miglioramento dei servizi

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na decina di anni fa tutti chiamavano i treni delle Fal semplicemente “littorine”, troppo malridotti per essere associati all’idea di treni moderni e quindi, quasi declassati con un termine coniato tra le due guerre, che ricordava i treni antichi, degli anni 30’. Semplicemente vecchi se confrontati con quelli fiammanti di epoca contemporanea. Memoria lontana ormai, che cede il passo ad una modernità fatta di carrozze scintillanti e motrici tecnologiche. Quei treni, imbrattati spesso da improvvisati writers, appartengono a un’altra epoca delle Ferrovie Appulo Lucane, anche se sono passati pochi anni. Lo sguardo si allunga sul futuro, che in parte è già presente. Tempi di sfide, progetti, ambizioni. Soprattutto quella di collegare in meno di un’ora Bari con Matera, capitale europea della cultura 2019. Un obiettivo oggi raggiungibile perché in usti ultimi 9 anni la società è stata completamente trasformata - racconta con orgoglio il Presidente delle Fal, Matteo Colamussi. “Oggi - spiega - i bilanci sono costantemente positivi perché abbiamo adottato una stringente politica di spending review, di lotta all’evasione tariffaria con installazione di tornelli nelle stazioni, ma soprattutto l’ammodernamento e il miglioramento dei servizi ci hanno consentito di potenziare il servizio e aumntare i ricavi”. Evitando gli sprechi, dunque, e puntando su investimenti costruttivi che hanno migliorato i servizi e ottimizzato i costi, l’azienda oggi produce costantemente utili che quest’anno sfiorano i 4 milioni di euro. “Questo – aggiunge Colamussi - ha consentito sia di aumentare il capitale sociale rendendo la società più sana e forte, sia di reinvestire in servizi ed acquisto di nuovi mezzi. In più si è aggiunta la capacità di intercettare ed attrarre investimenti pubblici”. Tra fondi nazionali e comunitari dal 2008 ad oggi, la società ha investito 253 milioni di euro di fondi nazionali, europei e di sviluppo e coesione (con performance di spesa del 100%), sempre in raccordo con le Regioni Puglia e Basilicata. La differenza si vede al primo impatto: la linea ferroviaria è stata ammodernata così come le stazioni, alcune delle quali ancora in fase di riqualificazione. “I mezzi sono stati rinnovati al 90%. I passeggeri – spiega Colamussi - viaggiano su treni nuovi, spaziosi, con aria condizionata e tutti i comfort. Lo stesso vale per chi sceglie l’autobus”. La sicurezza è un altro capitolo a cui le FAL hanno riservato particolare attenzione. La società si è dotata di sistema di controllo centralizzato del traffico, ha rinnovato il 45% dell’armamento ferroviario e nel prossimo mese di ottobre sarà introdotto il sistema di controllo automatico della marcia treni”. Già da qualche tempo è attivo il sistema di videosorveglianza composto da oltre 700 telecamere installate nelle stazioni e a bordo treni e collegate ad una centrale operativa interna. “Se non si rispetta l’ambiente, non c’è sviluppo e alla lunga non c’è risparmio” aggiunge Colamussi che ritiene un grande merito delle Fal aver messo in pratica tutti gli accorgimenti necessari per fare in modo che la ristrutturazione aziendale aderisse il più possibile ai criteri di sostenibilità. Secondo questa filosofia sono state adottate le più moderne procedure di trattamento e smaltimento e la produzione di energia da fonti rinnovabili, tanto che entro il 2017

sarà ottenuta la certificazione ambientale. Fiore all’occhiello della politica votata al rispetto dell’ambiente delle Ferrovie Appulo Lucane è la velo stazione, la prima del Sud Italia, aperta a Bari centrale per incentivare l’uso delle biciclette, modello che sarà esportato in altre stazioni partendo da Matera centrale. Le bici, possono anche essere portate dai passeggeri sul treno. Inoltre sono stati completamente ristrutturati i luoghi di lavoro, officine e depositi. “In generale - aggiunge Colamussi - abbiamo migliorato i servizi agli utenti anche grazie ad un costante confronto con loro tramite la nostra pagina Facebook. Abbiamo reso le stazioni accessibili alle persone con mobilità ridotta, fornito wi-fi e postazioni di ricarica gratuita per telefoni e tablet, bigliettazione online, tramite APP e nelle biglietterie automatiche, bigliettazione unica tra Fal e Ferrotramviaria che gestisce il collegamento ferroviario fino all’aeroporto di Bari. Questo fa della stazione FAL di Bari centrale l’hub naturale dei collegamenti internazionali da e per Matera”. Se la società oggi è più che mai proiettata al futuro, non dimentica il suo passato di ferrovia nata nel secolo scorso, nel 1915. 102 anni sulle spalle e non sentirli affatto. E’dinamica, con i suoi treni di nuova generazione, ma con le radici ben salde nella sua storia. Lo dimostra la locomotiva a vapore costruita nel 1932, alla testa del treno storico delle FAL, ristrutturato completamente e perfettamente funzionante. Un treno turistico per viaggi slow, a 40 chilometri orari, alla scoperta paesaggio mozzafiato della Murgia barese, in una dimensione senza tempo, lontano dalla frenesia del quotidiano e in totale relax.

Matteo Colamussi




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Flixbus, il low cost che ammazza le piccole imprese locali di DONATELLA AZZONE

L’azienda tedesca di viaggi in autobus a prezzi concorrenziali sta facendo piazza pulita nonostante i primi due anni si siano chiusi con un passivo di 7 milioni. Intanto i trasportatori pugliesi si trasformano in noleggiatori di mezzi

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utorizzazioni statali ottenute solo grazie ad una circolare ministeriale, app invece di biglietterie, piattaforme invece che aziende strutturate che erogano servizi, pochi dipendenti dei quali nessun autista, ma una rete di piccole e medie imprese che, con i loro bus, trasportano i passeggeri e si accollano spese e responsabilità. La tedesca Flixbus, portale digitale e non propriamente un’azienda di trasporto classica, funziona così. Risultato? Biglietti low-cost che sbaragliano la concorrenza e fanno scacco matto alle storiche compagnie che offrono da anni trasporto di passeggeri con autobus, con propri dipendenti e mezzi e spese per sicurezza e manutenzione, decisamente più pesanti. Se la liberalizzazione ha cambiato le regole del trasporto nelle tratte a lunga percorrenza, le ultime leggi hanno letteralmente cambiato il modello di fare impresa in questo settore, imponendo una riorganizzazione totale alle aziende del settore. Una riorganizzazione che ha più il sapore della crisi per le imprese strutturate abituate a farsi concorrenza sul mercato con le stesse armi e sul medesimo terreno di gioco, non a contrastare un nemico che assomiglia ad un fantasma informe, senza neanche lo scheletro di un’impresa di trasporti. E’ questo, infatti, il modello FlixbusItalia di proprietà della FlixMobility, con sede a Monaco dove finiscono tutti i suoi guadagni: un’azienda che eroga servizi anche in Italia da circa un anno via web, attraverso una piattaforma e affida il trasporto a piccole aziende attraverso un contratto di collaborazione al minor prezzo possibile. Queste imprese, che non hanno la forza di rimanere sul mercato, devono cedere, mettendosi al servizio del colosso bavarese che opera in mezza Europa. Decide tutto, intasca il 30% degli incassi, non compra gli au-

tobus e non assume autisti, anzi quando ha acquisito il marchio Megabus, ha licenziato tutti i 115 dipendenti, che erano stati assunti in Italia. Senza autisti, né bus, secondo le regole generali, non potrebbe operare come opera, ma poiché la recente legge che ha introdotto norme a favore del Mezzogiorno (ironia della sorte!) ha consentito che, ad essere capofila dell’associazione temporanea d’impresa, possano essere anche operatori economici non del settore, e cioè imprese di ogni genere, ndr) il modello Flixbus è stato di fatto autorizzato. Attraverso una politica aggressiva al mercato, i prezzi dei biglietti sono molto bassi e quindi apparentemente favorevoli per i consumatori che però, nel medio periodo, hanno meno garanzie, in considerazione del fatto che Flixbus scarica sui partners le responsabilità della sicurezza, la manutenzione dei mezzi e i costi di depositi e tasse. Se durante una corsa il bus si guasta, nessuno potrà sostituirlo, mentre affidandosi alle compagnie tradizionali, tutte composte da aziende di trasporto che reciprocamente si supportano, il bus sostitutivo arriverà. Anche in caso di incidenti, per un mezzo di Flixbus tutto ricadrà sull’impresa partner, letteralmente incastrata tra i vincoli imposti dal colosso tedesco e l’urgenza di sopravvivere. “Imporre vincoli a Flixbus e alle altre aziende simili è impossibile” dicono gli operatori pugliesi del trasporto, una quindicina di aziende medie e grandi, con circa un migliaio di addetti tra diretti e non, che da anni collegano la regione con sud, centro e nord Italia trasportando mediamente oltre un milione e mezzo di passeggeri all’anno. “Bisogna affrontare Flixbus - spiegano - sul suo stesso terreno e con le stesse armi”. In trincea dunque con il coltello tra i denti per difendere la propria storia rafforzata anche dalla consapevolezza di aver fatto crescere il proprio territorio. Una rivoluzione per le oltre 300 imprese tradizionali italiane che già operavano efficacemente nel comparto, in cui a pagare il prezzo più alto saranno, come sempre, i lavoratori.“Nel breve e medio periodo le imprese strutturate hanno difficoltà ad andare avanti - aggiungono gli operatori pugliesi - e per coprire il costo di una tratta interregionale, pagando gli autisti secondo il contratto nazionale, garantendo sicurezza, manutenzione e carburante, non si può offrire un biglietto a prezzi stracciati come quello di Flixbus ,che paga una piccola quota a chilometro al partner, senza accollarsi rischi e spese”. Queste piccole imprese rinunciano anche al loro marchio brandizzando il bus con i colori dell’impresa tedesca, ma non sono parte dell’impresa tedesca. “Quando la piccola impresa - spiegano i rappresentanti delle aziende pugliesi - non sarà più in grado di reggere quei costi, saranno rimpiazzati con altri”. Un’agonia lunga verso il fallimento, insomma di tutte queste piccole imprese. “Nel frattempo - sottolineano ancora gli imprenditori pugliesi del settore - il grosso rischio è che pian piano tutti siano costretti ad allinearsi al nuovo standard organizzativo e debbano licenziare gli autisti e, alla lunga, anche il resto del personale”. Un male necessario, nel nome del vantaggio della clientela, dice qualcuno. “Una mattanza di centinaia di posti di lavoro, immolati per rinnovare il sistema senza pensare alle conseguenze sociali e sul piano occupazionale” sbottano gli imprenditori pugliesi. Una rivoluzione che trasformerà il tessuto imprenditoriale impegnato nel trasporto a lunga percorrenza e che, per molti operatori pugliesi è già iniziata. Per cambiare pelle basta l’autorizzazione del Ministero che arriva in poche settimane ed entro l’inizio dell’anno prossimo buona parte delle storiche imprese pugliesi avranno avviato la trasformazione. Delle 15 esistenti solo le più forti resteranno in piedi. Le altre rischiano di ridursi a noleggiatori anch’esse e di mettersi a servizio degli altri secondo l’impostazione Flix. E’ la legge impietosa di questo mercato. O ci si adegua o si chiude. Ma la vera stranezza di questa vicenda è che Flixbus Italia ha chiuso i primi due anni di attività in grave perdita: il bilancio 2015 ha infatti registrato una perdita di circa 2,5 milioni di euro (ripianati per intero dalla casa madre tedesca) mentre il bilancio del 2016 ha registrato un’ulteriore perdita di circa 4,8 milioni di euro, per un totale in due anni di oltre 7 milioni di perdite. Cui prodest tutto ciò? Forse il vero obiettivo del gruppo tedesco è sbaragliare la concorrenza degli operatori del trasporto mediante una politica super aggressiva per impadronirsi del mercato italiano e poterlo gestire nel medio periodo in condizione di sostanziale monopolio, senza concorrenti, potendo poi imporre prezzi e tariffe assai più elevati, con buona pace del servizio e della tanto decantata clientela….











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La cura dimagrante della sanità pugliese di FRANCESCO IATO

Otto piccoli ospedali sono stati chiusi e a breve si fermeranno anche molti punti di primo intervento che non raggiungono la soglia dei 6mila interventi all’anno: l’obiettivo è di chiuderne 24 su 30

E’

passato dalle forche caudine della commissione sanità, che lo ha bocciato per ben due volte, il riordino ospedaliero della regione Puglia varato dalla giunta Emiliano. Un testo contestato e criticato, a cavallo tra 2016 e 2017, per l’uso smodato della scure contro gli ospedali. Ben otto piccoli nosocomi sono stati chiusi e inseriti nella cura dimagrante che ha riclassificato la rete ospedaliera creando ospedali di primo e secondo livello, i più importanti e centri di base, decisamente minori in alcuni casi rafforzati in territori svantaggiati come quelli del foggiano. Uno scenario che, sostengono i critici, avrà due fasi ben distinte. Nella prima, quella da realizzare entro il 2017, la Puglia avrà 31 ospedali pubblici e 31 privati. Nella seconda, che si chiuderà nel 2025 resteranno 21 ospedali pubblici a fronte di 31 strutture accreditate. Una sproporzione a totale vantaggio delle cliniche private. Per il momento le chiusure hanno toccato gli ospedali di Trani, Triggiano, Terlizzi, Mesagne, San Pietro Vernotico, Grottaglie e Canosa. Tagli che seguono il filo logico delle scelte già avviate sei anni fa dalla precedente giunta Vendola, che aveva messo la parola fine su 22 ospedali sparsi in tutta la Puglia. Dunque il punto più critico del piano di riordino messo a punto dal presidente della Regione e dai suoi direttori dipartimento Salute (Giovanni Gorgoni prima e Giancarlo Ruscitti) e approvato dai ministeri della Salute e dell’Economia dopo alcune correzioni, riguarda proprio gli ospedali dismessi o riconvertiti. Il governatore ha sempre insistito su un punto: “Gli ospedali piccoli sono pericolosi perché non consentono di effettuare volumi di interventi tali da garantire una maggiore qualità e sicurezza nelle cure”. Un leit motiv ripreso dai sostenitori del testo. I critici, invece, guardano agli effetti indiretti della riforma. Entro il 2017, infatti, sono destinati a chiudere anche molti punti di primo intervento. Si tratta di poliambulatori (presenti all’interno di strutture ospedaliere) in cui lavorano decine di medici e infermieri. Questi rappresentano presidi per i singoli territori, ma risultano sottoutilizzati. Ad esempio nel punto di primo intervento di Minervino Murge

si registrano 1.500 accessi all’anno, poco più di tre pazienti al giorno. L’obiettivo è farne sparire 24 su 30, cioè quelli che non effettuano più di 6mila interventi l’anno. Gran parte si trovano in provincia di Bari (Polignano a Mare, Mola di Bari, Gioia del Colle e Casamassima, per citarne alcuni), altri in Valle d’Itria, Salento e provincia di Foggia. Una revisione che, hanno replicato i tecnici regionali, discende dalle nuove regole del decreto ministeriale 70 sui livelli essenziali di assistenza. Una tagliola che farà sparire decine di reparti col caso più eclatante della Neurochirurgia dell’ospedale Di Venere. L’ultima nota negativa riguarda, infine, i punti nascita. Il riordino taglierà tutte le ostetricie sotto i mille parti l’anno o carenti di reparti di rianimazione neonatale. Tra i casi più contestati s’è registrato quello dell’ospedale Santa Maria degli angeli di Putignano dove la comunità locale è insorta contro le decisioni regionali. Una protesta di piazza che ha attraversato la Puglia dal Gargano al Salento.





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Ospedale Monopoli-Fasano, appalto pronto a tempo di record di FRANCESCO IATO

Entro settembre il bando sarà pubblicato sul bollettino ufficiale ed entro 1.280 giorni dall’aggiudicazione, la struttura sarà pronta. La progettazione sarà utilizzata come modello per velocizzare la realizzazione di altri due nuovi ospedali

E’

pronto l’appalto per bandire i lavori del nuovo ospedale Monopoli-Fasano. Un risultato straordinario raggiunto dalla Asl Bari che entro fine settembre pubblicherà il bando di gara sul bollettino ufficiale. I dettagli del progetto sono stati illustrati agli inizi di settembre al governatore Emiliano dal direttore generale Vito Montanaro. Che ha incassato i complimenti del presidente regionale. La progettazione di Monopoli, è stato stabilito in quella sede, sarà utilizzata come modello per velocizzare la realizzazione di altri due nuovi ospedali, quello del nord barese ad Andria e del Salento tra Maglie e Melpignano. Tornando all’ospedale di contrada Lamalunga s’è assistito a un vero e proprio miracolo burocratico. L’iter ha ricevuto un notevole impulso nonostante i mille ostacoli incontrati sul cammino. Tutto s’è chiuso nel giro di due anni, dopo che, ad ottobre 2015, è stato affidata la progettazione preliminare ed esecutiva alla ditta Steam di Padova. In concreto l’affidamento dei lavori partirà da una base d’asta di 98 milioni di euro. L’ospedale chiavi in mano costerà 125 milioni, di cui una trentina ancora da rastrellare. Il grosso dei finanziamenti statali, però, è stato blindato dal rispetto della scadenza del 2017 che imponeva l’assunzione tassativa di un’ob-

bligazione giuridicamente vincolante, ovvero la gara d’appalto per i lavori. Dalla posa della prima pietra ci vorranno 1.280 giorni per completare la struttura. Poco meno di tre anni per far nascere un ospedale all’avanguardia, completamente immerso nel verde, che si estende in larghezza e rispetta tutti i requisiti di risparmio energetico ed ecosostenibilità rispettando i criteri statali dettati dal recente decreto Balduzzi. Il cronoprogramma, tuttavia, impone un autentico tour de force nei prossimi mesi per rispettare le scadenze programmate. Entro fine dicembre la Asl Bari è chiamata a nominare la commissione per aggiudicare la gara. Ma, soprattutto, dovrà iniziare gli espropri per acquisire l’area, ricorsi pemettendo. Nel frattempo il manager Montanaro s’è portato avanti col lavoro risolvendo una serie di problematiche, tra cui gli allacci Enel e Telecom oltre alla bonifica dei terreni e lo spostamento di un migliaio di ulivi, tra cui alcuni monumentali. L’inizio, comunque, resta molto confortante. Di rado, in passato, si è riusciti a chiudere in 24 mesi una fase progettuale completa per un’opera di queste dimensioni con una procedura di screening Via e Vas e un’approvazione di variante urbanistica che rappresenta un successo considerata la burocrazia e i fisiologici tempi decisionali delle varie amministrazioni coinvolte.







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Sanità, il piano di riordino piace ai privati di FRANCESCO IATO

Nessun taglio a posti letto e rimborsi sanitari. Nascono i voucher per le famiglie da utilizzare nelle residenze socio-sanitarie

L

a sanità privata pugliese ha letteralmente esultato per le scelte contenute nel piano di riordino sanitario varato dalla regione Puglia. Confindustria, Aiop e Aris, le principali associazioni di categoria di ospedali, cliniche e strutture private concordano su un operato positivo da parte dei vertici del governo regionale (il capo dipartimento Giancarlo Ruscitti e il governatore Emiliano). A fronte dei tagli nel settore pubblico -otto ospedali chiusi e la mancata attivazione di 1000 posti lettoil “privato” ha goduto di un trattamento di assoluto favore. La torta complessiva da 820 milioni di euro di rimborsi e prestazioni sanitarie è rimasta pressoché inalterata, così come i posti letto in totale che restano attorno alle 5 mila unità per un costo medio di mille euro cadauno. In alcuni casi è persino aumentata la dotazione organica, ad esempio per i grossi gruppi sanitari come, ad esempio, i nuovi letti stabiliti alle Neurochirurgie della Asl Bari distribuiti ad Anthea, Mater Dei e Miulli che si uniscono al Pronto Soccorso concesso alla clinica Matera Dei (il primo ospedale privato d’Italia da 400 posti dotato di rianimazione e reparto di emergenza). Altro dato positivo il quadro invariato per le case di cura private accreditate. Che, sostanzialmente, non vengono toccate dalla scure dei tagli. Di più. Il privato è stato in molti casi foraggiato e incentivato ad allargare il suo raggio di competenza. Vedi l’attivazione dei Centri Risvegli, le strutture specializzate nelle terapie dei pazienti in coma o alle prese con patologie rare e/o degenerative. E’ partito il bando per concedere il nulla osta all’attività al centro di Ceglie Messapica e presto riceveranno l’ok i centri di fine vita di Canosa e Triggiano. Una linea, quella dei guanti gialli al privato, aspramente contestata da alcuni ambienti della maggioranza (Sinistra Italiana), che hanno minacciato l’uscita dalla coalizione in assenza di un cambio di rotta. In realtà per i cittadini la stampella delle cliniche private, in tempi di vacche magre per l’assistenza pubblica, rappresenta una valida e sicura alternativa per soddisfare i bisogni di salute. Un rimedio quasi vitale, nonostante i costi sostenuti, alle lunghe liste d’attesa della sanità pubblica. Ma c’è un’altra grossa novità che interessa il settore privato. Ovvero l’introduzione del voucher (il buono) per gestire gli 800 nuovi posti letto per l’assistenza sociosanitaria, infermieristica e riabilitativa che nasceranno nelle Rssa pugliesi a seguito della a nuova legge quadro sugli accreditamenti della sanità privata. Grazie ai voucher i pazienti, o le loro famiglie, potranno scegliere la struttura più adeguata per le cure necessarie, provocando così un effetto-concorrenza destinato a evitare monopoli. Questo voucher è la novità di maggiore rilievo

contenuta nel disegno di legge che il consiglio regionale ha approvato all’unanimità. Un provvedimento che avrà carattere sperimentale e varrà per il biennio 2017-2018. Sarà disciplinato nei dettagli da un regolamento che la giunta regionale sta per mettere a punto. In base al testo saranno le Aziende sanitarie locali a contrattualizzare le strutture in possesso dei requisiti utili per soddisfare la domanda che sarà determinata dal regolamento. Questo nuovo strumento dovrebbe avere un impatto annuo, sulle casse regionali, di circa 4 milioni di euro calcolando il costo di 5 mila euro a voucher per gli 800 posti letto destinati, vista la natura lunga delle prestazioni riabilitative da assicurare, ad altrettanti pazienti. Si colmeranno così caos e lacune interpretative del passato riguardanti la competenza. Verranno definite le procedure autorizzative e di accreditamento e stabiliti limiti alla trasferibilità della titolarità dell’autorizzazione all’esercizio e accreditamento, sicché gli accreditamenti non si potranno trasportare da un luogo all’altro in Regione, ma realizzarsi nell’ambito della stessa Asl per non alterare l’offerta di quel servizio in quel determinato territorio. Nuove regole anche per la verifica periodica dei requisiti minimi, sulla cui permanenza e sull’assenza di cause di decadenza dall’autorizzazione all’esercizio, vigilano gli organi competenti. Il legale rappresentante del soggetto autorizzato ha poi l’obbligo di comunicare, pena sanzione pecuniaria, la perdita dei requisiti minimi previsti dal regolamento regionale o l’instaurarsi delle cause di decadenza dall’autorizzazione all’esercizio. Obbligatoria anche la comunicazione dell’eventuale stato di crisi occupazionale e il ricorso a forme di ammortizzatori sociali, con la relazione dello stato di crisi e delle misure da adottarsi. Riguardo poi alle autorizzazioni vengono individuate meglio le tipologie di strutture sottoposte anche ad autorizzazione alla realizzazione (oltre che ad autorizzazione all’esercizio), e per l’accreditamento istituzionale di strutture già autorizzate all’esercizio dell’attività sanitaria, occorrerà presentare l’istanza alla regione. Per le strutture che, alla data di pubblicazione della legge, siano già in possesso della verifica del fabbisogno territoriale e dell’autorizzazione regionale all’esercizio, l’accreditamento è subordinato ad apposita richiesta e all’esito positivo dell’istruttoria. L’accreditamento ottenuto è però revocabile se si accerta il non rispetto degli obblighi retributivi e contributivi. Quanto ai controlli sulle nuove strutture i requisiti vanno verificati entro 5 anni. Altra novità la previsione secondo cui anche gli studi odontoiatrici devono essere autorizzati, mentre quelli che effettuano trattamenti chirurgici avranno altri due anni per regolarizzarsi.





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Il premier Gentiloni inaugura l’81ª edizione della Fiera del Levante “Mai come in questo momento ci sono condizioni così favorevoli per lo sviluppo e per gli investimenti in Puglia e nel Mezzogiorno”. E’ un messaggio positivo quello lanciato dal Presidente del Consiglio: “Recuperati in tre anni 900mila posti di lavoro”

L’intervento di Paolo Gentiloni all’inaugurazione dell’81ª Fiera del Levante

Prima di andare in Fiera, il premier ha fatto visita alla Sitael e alla Blackshape


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L’intervento del sindaco della Città metropolitana di Bari Antonio Decaro

Paolo Gentiloni e il ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno Claudio De Vincenti applaudono Decaro. A destra il dono al premier

La prima fila delle autorità presenti nella sala congressi in cui è stata inaugurata l’81ª edizione della Fiera del Levante


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La stretta di mano prima degli interventi

L’intenso abbraccio con Decaro

Il governatore Michele Emiliano parla al pubblico, senza lesinare qualche riferimento al Governo e al premier Gentiloni, seduto in prima fila


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Il discorso del commissario straordinario della Fiera del Levante Antonella Bisceglia

L’ex ministro Raffaele Fitto

L’on. Nuccio Altieri

Il sen. Dario Stefano e l’on. Francesco Boccia

In prima fila anche mons. Francesco Cacucci e Mario Loizzo


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L’anteprima dello spot “Bari never ends”

Il sen. Massimo Cassano e l’on. Francesco Paolo Sisto

L’europarlamentare Elena Gentile

Il consigliere regionale Alfonso Pisicchio e l’assessore Loredana Capone

I rettori di Università e Politecnico di Bari Antonio Uricchio ed Eugenio Di Sciascio. A destra Ugo Patroni Griffi


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Il sindaco Antonio Decaro accompagna il ministro Claudio De Vincenti nello stand del Comune di Bari

Svelata la prima auto elettrica Made in Puglia. Sarà costruita nell’ex stabilimento Om







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