In fuga dal duca

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Vivienne Lorret IN FUGA DAL DUCA

Un piano zoppicante

Appoggiata su un gomito sotto la lunga ombra di un salice, Margaret Stredwick scrutò le sue compagne di viaggio con affettuosa diffidenza.

Avevano qualcosa in mente. Ne era sicura.

Un osservatore esterno non avrebbe mai sospettato le donne più anziane di qualche tipo di marachella. Quelle due erano le beniamine del ton; sia Maeve, per il suo atteggiamento raffinato e signorile, sia Myrtle, per il suo fascino esuberante. E in qualità di amatissime zie della cognata di Meg, la Marchesa di Hullworth, si erano create in fretta una nicchia anche nel suo cuore.

Ma erano anche invadenti combina-matrimoni.

Non era sfuggito alla sua attenzione che quel picnic, presumibilmente improvvisato, le aveva portate nei pittoreschi terreni che circondavano la segregata residenza del Duca di Merleton. E il duca era uno scapolo.

Non solo, ma nelle cinque ore da quando avevano lasciato il Wiltshire per la loro vacanza, la coppia di zie era stata insolitamente silenziosa riguardo all'argomento che prediligeva: Milleuno modi per procurare un marito a Meg. Dovevano essere sul punto di scoppiare, ormai.

«Che combinazione che il nostro cocchiere abbia preso la svolta sbagliata che ci ha condotte proprio qui» commen-

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tò Meg, fingendo di essere ignara del loro complotto. Le zie si scambiarono un'occhiata decisamente colpevole.

Meg continuò, roteando distratta un filo d'erba. «Ero sicura che il custode non ci avrebbe mai permesso di fare un picnic qui. Ha trascorso venti minuti a lamentarsi per il disturbo di fare visitare la tenuta quando c'era vero lavoro da svolgere. Ma voi due vi siete dimostrate molto più determinate.»

Maeve, la sorella maggiore, si passò una mano sui capelli grigio ferro che non avrebbero mai osato uscire fuori posto dalla sua impeccabile acconciatura. «Ci sono tre diverse ricette per persuadere un uomo a essere ragionevole: nutrirlo, adularlo o fare le civette con lui.»

«O tutte e tre le cose allo stesso tempo» aggiunse Myrtle con un sorriso sfacciato, mentre lucidava una mela verde contro la manica del suo abito da giorno color lavanda e una calda brezza le agitava la chioma argentea come un soffione. «Quando l'offerta di spartirci il nostro picnic non è riuscita a raggiungere lo scopo, ho dovuto pensare a qualcosa. Ho solo deciso di fingere di inciampare in modo che lui mi prendesse. E non ho visto nulla di male nel dirgli quanto fosse forte.»

Meg rise. «Credo che tu lo abbia chiamato un virile esemplare di mascolinità. Sei stata decisamente sfrontata!»

«Davvero» concordò Maeve stringendo le labbra mentre spazzolava via dalle gonne una briciola con mano elegante. «Senza dubbio mia sorella avrebbe avuto bisogno di una dose di sottigliezza.»

«Alla nostra età? Pfui. E dove ci avrebbe portato, eh? Di sicuro non in un posto con un panorama così promettente.»

Il suo sguardo penetrante si spostò dalla sorella verso le guglie della piccola cappella di pietra lì vicino.

Panorama promettente, eh? Era più probabile che stessero sperando di vedere Meg che camminava lungo la navata verso un duca in attesa all'altare. Non aveva mai neanche conosciuto quell'uomo. E, se fosse dipeso da lei, non lo avrebbe mai fatto.

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Non ci sarebbero state cappelle nel suo futuro, e nessun uomo ad attenderla. Non più, dopo che Daniel Prescott – la sua anima gemella – aveva sposato un'altra. Il ricordo le mandò una fitta acuta al centro del petto. Sospirò, più per irritazione verso se stessa per essersi permessa di pensare di nuovo a lui. Dopotutto, non voleva certo pensare al suo cuore infranto mentre era in vacanza. E così si alzò e si scosse le gonne a righe. Poi, avvicinandosi alle rive dello stagno, gettò le briciole restanti del suo biscotto a una coppia di cigni rosa e li osservò mentre piegavano i colli aggraziati verso la superficie screziata dalle ninfee. «Dovremmo metterci in cammino, se desideriamo arrivare alla prossima stazione di posta prima che cali la sera.»

La loro piccola deviazione era già costata loro mezza giornata e Meg era ansiosa di cominciare quell'estate di esplorazione del Continente. Quel viaggio sarebbe stato la sua ultima scorribanda da debuttante. Un ultimo urrà prima di dichiararsi definitivamente zitella. Perché, quando sarebbe tornata nel Wiltshire e in casa di suo fratello, prevedeva di dedicare il resto della sua vita a diventare un'amabile – e forse addirittura invadente – zia per i figli di Brandon ed Ellie.

«Oh! Ma non possiamo andare via» intervenne Myrtle con voce lamentosa, abbassando sul grembo la mela non ancora finita. «Dobbiamo ancora vedere... tutto.»

Tutto o tutti? Si chiese con ironia Meg mentre scostava dalla fronte un ricciolo corvino ribelle.

«Oserei dire che il parco qui potrebbe rivaleggiare addirittura con quello della tenuta di tuo fratello» aggiunse Maeve con il suo solito tono privo di fronzoli.

Be', quello era vero. Meg non aveva mai visto giardini paragonabili a quelli di Crossmoor Abbey. In effetti, non credeva che fosse possibile. Quando le zie erano state tutte eccitate alla prospettiva di visitare una fortezza, si era immaginata delle rade e funzionali rovine militari nascoste dietro i bastioni. Nulla che le provocasse un minimo di eccitazione. Solo quando erano arrivate sul ponte levatoio –un ponte levatoio reale e funzionante, tra l'altro – e poi a-

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vevano oltrepassato il corpo di guardia merlato, si era sentita impressionata.

Caliburn Keep non era una fortezza medievale. Era un palazzo di tale splendore da lasciare senza fiato.

Era circondata da un'aria fiabesca. L'immenso castello con arcate gotiche e finestre a bifore lucide a specchio sembrava uscire da un libro di storia. Immerso in uno scenario di felci ed erbe alte, pigre fronde di salici piangenti che si piegavano e ondeggiavano sull'acqua, fiori e alberi di colori vibranti, dava l'impressione di entrare in un dipinto.

«È piuttosto bello qui» ammise con riluttanza, guardando i cigni che fluttuavano dietro l'ansa verso una bassa cascatella fiancheggiata da grappoli di stiance dalle punte dorate.

«Allora è deciso» dichiarò Myrtle con sollievo. «Dopotutto, sono sicura che non impiegheremo molto.»

Meg rivolse la propria attenzione alle zie giusto in tempo per vedere la più grande che colpiva con il gomito la sorella minore. Socchiuse gli occhi. «Non impiegheremo molto a fare cosa?»

«Credo che Myrtle intendesse dire che non ci vorrà molto per chiedere alla governante di farci visitare la casa.»

«E perché mai dovremmo visitarla? A meno che... voi due non stiate tramando qualcosa.»

La sorella maggiore tirò su con il naso. «Non ho idea di cosa tu voglia dire con una simile accusa.»

«No? Be', e cosa mi dite di quella volta che avete lasciato cadere i fazzoletti per quel barone e poi vi siete subito nascoste dietro di me? O di quando, per caso, mi avete spinta sul percorso di quel visconte nella piazza del villaggio?»

«Affermo ancora di avere visto un'ape che si posava sulla tua schiena» disse Maeve, ma spostò gli occhi sulla manica mentre armeggiava con il bottone d'argento sul polsino.

«Inoltre, non è che abbiamo pensato alla possibilità di un incontro con il duca» cinguettò Myrtle. «Né abbiamo immaginato che Sua Grazia possa rivolgerti un solo sguardo mentre indossi quel seducente abito azzurro e innamorarsi

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follemente di te. O che possa essere così sopraffatto dalla passione da prenderti la mano, cadere su un ginocchio e...»

Le sue parole si spensero quando Meg sbuffò e si posò le mani sui fianchi. Sapeva che non era stato un errore del cocchiere a portarle lì. Ed ecco la conferma. «Detesto rovinare i vostri progetti matrimoniali, ma il custode ha detto che il duca non è nemmeno qui.»

«In verità, ha detto che Sua Grazia non è in casa» chiarì Maeve. «Il che significa semplicemente che il duca non desidera compagnia. Non mi aspetterei di meno da un uomo che di rado appare in società.»

«Un eremita. Che meraviglia» disse Meg sottovoce, immaginando Merleton con una carnagione pallida e una barba così lunga da trascinarsi lungo il pavimento.

«Ma questo è irrilevante» continuò Maeve. «Perché non siamo venute qui per incontrare il duca.»

«Ah, no?» proferirono all'unisono Meg e Myrtle.

La maggiore delle Miss Parrish scosse il capo, l'espressione severa come quella di una studiosa. «Ci sono ricette che desideriamo recuperare. Ricette leggendarie, in effetti. Nulla di più. Non è vero, sorella?»

«Non mi hai mai detto...»

«Sei diventata piuttosto smemorata alla tua veneranda età, Myrtle. È stato proprio ieri che abbiamo discusso delle leggende» le rammentò Maeve con un sorriso tirato.

«Ah, sì, quelle ricette.»

Meg fissò le due zie. Non ci sarebbe cascata neanche per un secondo. Ma ciò non impedì a Maeve di tentare.

«Potresti avere sentito anche tu i racconti, mia cara. Il libro risale ai tempi della corte di Re Artù. Si dice che le pagine siano miniate in oro e argento e che la copertina sia tempestata di gemme preziose. Le stesse ricette erano un tempo decantate come creazioni divine a cui nessun uomo poteva resistere. Avevano il potere di infondere certi attributi nella persona che se ne cibava. Il coraggio in un cavaliere e l'ardimento in battaglia, per esempio, o persino l'amore costante di una vergine...»

Brandelli di ricordi di molto tempo prima tornarono alla

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mente di Meg. E mentre ascoltava il discorso di Maeve, che indicava con un gesto del braccio il parco e le mura del castello con inconfondibile rispetto, sentì vacillare la sicurezza che avessero un piano che la riguardava.

Dopotutto, se c'era una cosa che le zie ritenevano più importante che vedere ogni giovane di loro conoscenza ben sposata, era trovare la ricetta perfetta... e poi rubarla.

Erano decisamente sfrontate nella loro ricerca. La cognata di Meg, Ellie, aveva rivelato una volta che le zie avevano saccheggiato le cucine delle case eleganti per anni in vista delle sue attesissime nozze. E dopo il matrimonio di Ellie e Brandon dell'anno precedente, avevano ottenuto un certo livello di notorietà per la loro selezione di piatti per i palati più esigenti. In effetti, il loro successo era stato così grande che avevano ricevuto oltre cento richieste per un invito alla colazione che avevano ospitato per il battesimo di Johnathon, l'aggiunta più recente della famiglia Stredwick, quell'ultima primavera. Il banchetto era stato acclamato con entusiasmo dalle cronache mondane.

«... e fu proprio quel prestigioso libro il motivo per cui la famiglia del duca ricevette la prima volta il titolo e le terre» concluse Maeve.

In quel momento, Meg si rese conto che non era così inverosimile credere che la motivazione per cui si trovavano lì fosse una ricetta. Forse non si trattava di progetti matrimoniali, dopotutto.

Ma non appena il pensiero le passò per la mente, Myrtle prese a battere le mani eccitata. «Oh, sorella! Dobbiamo avere queste ricette per prepararle al prossimo ma...» Si bloccò e si schiarì la gola, correggendosi con un impacciato: «Martedì a colazione».

Ah, ah! Vi ho scoperte!

Era probabile che morissero dalla voglia di superarsi al prossimo banchetto. Chiaramente, la loro fama inaspettata aveva fatto montare loro la testa. Ma Meg non sarebbe stata un agnello sacrificale sul loro altare.

Battendo il piede calzato nello stivaletto di nanchino sull'erba, incrociò le braccia. «Non sposerò il duca.»

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«Ma certo che no, cara. Non siete mai stati presentati» disse Maeve con un noncurante schiocco dei polpastrelli. «Mia sorella e io non siamo il genere di persone che ti getterebbero tra le braccia di uno sconosciuto, non importa quali possano essere il suo titolo o la sua posizione finanziaria.»

«Ah, sì? E che mi dite di quella passeggiata a Regent's Park con il vizconde in visita dalla Spagna? Ricordo molto bene di essere stata messa sulla sua strada.»

Myrtle ammiccò come un gufo e sollevò le spalle arrotondate con aria indifferente. «Un'altra ape?»

Stavano recitando la parte delle innocenti, eh? Meg non si lasciò ingannare neanche per un momento. Se quella deviazione riguardava solo una semplice ricetta, voleva che lo dimostrassero. «D'accordo, se siamo qui davvero con l'unico scopo di rubare una ricetta e le visite all'interno di Caliburn Keep non sono permesse, come vi proponete di raggiungere il vostro obiettivo? Di certo non metteranno gli striscioni di benvenuto se busseremo alla porta.»

Le sorelle Parrish si scambiarono un sorriso.

«Mi sembra di avere appena sentito una sfida» dichiarò Myrtle, gli occhi color fiordaliso che danzavano birichini mentre gettava il torsolo della mela verso l'acqua, sfregandosi poi le mani avanti e indietro.

«Pare anche a me» rispose Maeve inarcando le sopracciglia scaltra. «Ricorda quello che ti dico, Meg Stredwick: non solo otterremo l'ingresso, ma avremo la ricetta perfetta tra le mani quando andremo via.»

Meg dovette soffocare l'apprensione. C'era qualcosa di un po' troppo determinato nei loro sguardi. E si chiese se fosse saggio sottovalutare quelle due.

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Una ricetta per la catastrofe

Dopo una breve passeggiata lungo il sentiero costeggiato dalle felci, con i passi fruscianti accompagnati dalla melodia del canto degli uccelli che discendeva dai rami dei fragranti alberi di paulownia, entrarono in un giardino anteriore molto ben curato lastricato in ardesia con una fontana gorgogliante al centro. Meg era affascinata.

La facciata di Caliburn Keep diventò ancora più imponente mentre si avvicinavano. Un alto muro di antiche pietre sembrava essere fuoriuscito in quel punto preciso dalla terra, come una montagna dopo un terremoto. La pallida scarpata ospitava uno svettante portone di pietra, grande abbastanza da fare passare una carrozza, e arcate gotiche piene di finestre a bifora che sembravano intrappolare il cielo azzurro e le nuvole di cotone all'interno dei lucidi vetri a losanga.

Meg non era sicura se la storia che le avevano raccontato le zie, sul fatto che il ducato risaliva ai tempi delle leggende di Re Artù, fosse vera o se ci fossero addirittura delle ricette leggendarie. Tuttavia doveva ammettere che, in un posto come quello, sarebbe stato semplice confondere la fantasia con la realtà. E, seppur a malincuore, la sua curiosità era stata di certo stuzzicata.

Purtroppo, non riuscirono ad avanzare oltre il batacchio a

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forma di testa di drago, poiché il maggiordomo le informò che non erano ammesse visite all'interno delle mura del castello. Fu brusco nel comunicarlo. Poi, senza dare tempo al suo pubblico di pronunciare una sillaba di disappunto, cominciò a chiudere il portone.

Almeno finché, all'improvviso, Maeve non cominciò a parlare. «Mio buon uomo, non sarete imparentato con il famoso attore, Mr. Cooke, per caso?»

L'uomo esitò, il capo piegato mentre rifletteva, o perché una domanda simile non gli era mai stata posta oppure perché non sapeva se fosse stato insultato o meno. «No, signora. Non che io sappia.»

«Vi prego, perdonatemi» continuò Maeve. «È solo che, grazie al modo in cui la luce ha favorito il vostro viso proprio adesso, ero certa che foste lo stesso uomo per cui ebbi un'infatuazione adolescenziale. Ricordo di avere visto il Riccardo III al Theatre Royal una dozzina di volte e di avere sospirato con occhi innamorati ogni volta.»

La porta si aprì un pochino di più.

«Rammento quella rappresentazione. Potrei averla vista anch'io qualche volta quando ero ancora un ragazzotto aitante. Ma è successo secoli fa» disse il maggiordomo, ergendosi nella livrea scura e strattonando l'orlo del panciotto.

«Allora gli anni sono stati molto clementi con voi, signore.» Maeve lo scrutò di sottecchi come se fosse imbarazzata per la propria audacia.

Era solo l'immaginazione di Meg o la sua voce aveva preso una nota sussurrata? Si sarebbe aspettata quel comportamento dalla sorella. Chissà a quanti venditori di noci di Regent's Park Myrtle aveva fatto gli occhi dolci davanti a tutti. Ma quel lato nascosto di Maeve era un'autentica rivelazione. Che eccentrica civetta!

Il maggiordomo si schiarì la gola e un accenno di rossore gli colorò gli zigomi. «Suppongo che una breve visita alla Sala dei Cavalieri non esulerebbe dal regno delle possibilità.»

E allora la porta si aprì.

Quando furono condotte all'interno, Maeve rivolse a

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Meg un cenno segreto del capo come a voler dire: È così che si fa, mia cara.

Meg dovette mordersi l'interno della guancia per evitare di ridere. Ma la lezione delle tre ricette per persuadere un gentiluomo era sprecata per un tipo come lei.

Non era stata sempre così cinica. Un tempo aveva sognato che le sue Stagioni a Londra sarebbero state piene di corteggiamenti, balli, ricevimenti e visite di gentiluomini che desideravano accompagnarla da Gunter's a prendere un gelato o a fare un giro in carrozza nel parco. Il suo carnet di ballo sarebbe stato sempre pieno e Daniel Prescott sarebbe stato così geloso che l'avrebbe implorata di sposarlo senza indugio. Aveva addirittura immaginato di fingere di dover considerare la sua proposta in modo civettuolo. Ma poi aveva dovuto affrontare una realtà ben diversa.

Anche se era una donna adulta di ventidue anni, aveva un viso rotondo che la faceva trattare dagli uomini come se avesse appena lasciato i giochi d'infanzia. Persino Daniel Prescott le aveva detto che era...

No! Si fermò prima di portare a termine il pensiero. Lo scopo principale di quel viaggio era toglierselo per bene dalla mente, come si faceva con un ragno che era scomparso dalla vista in camera da letto. Dal momento che non era tipo da seppellirsi sotto le coperte e lasciare che il terrore la consumasse, aveva deciso di essere forte e razionale. La singola puntura di un ragno – così come un cuore infranto, in quel caso – non l'avrebbe uccisa. Vero? Rabbrividì. Forse quella non era la migliore analogia. Perché adesso non riusciva più a impedirsi di immaginarsi avvolta in un bozzolo di seta, pronta a diventare lo spuntino di mezzanotte di un aracnide peloso.

Rendendosi conto che le sue riflessioni si erano fatte un po' macabre, sbatté le palpebre e all'improvviso tornò a concentrarsi su Mr. Gudgeon, che stava raccontando la storia della fortezza mentre le accompagnava attraverso un'ampia arcata e all'interno di un'enorme sala ricoperta di arazzi, in cui cavalieri in armatura catturavano l'attenzione da entrambi i lati. Meg notò che il suo tono era diventato

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drammatico, come a voler raggiungere un vasto pubblico nascosto da qualche parte nella galleria dei menestrelli all'altra estremità.

Maeve lo guardò, sbattendo le palpebre. «Davvero affascinante. E pensare che tutti questi cavalieri un tempo proteggevano un libro.»

«Non un semplice libro, signora. Proprio no» dichiarò l'uomo, gonfiando il petto per l'orgoglio. «Un tesoro inestimabile di ricette che un tempo nutrirono lo stesso Re Artù oltre a ogni cavaliere della tavola rotonda. Inoltre, la stessa roccia che un tempo conteneva la spada è usata come piedistallo per quel libro.»

«Santo cielo! Non avete paura che qualcuno arrivi e cerchi di prenderli?»

L'uomo ridacchiò. «In molti hanno tentato. Ma sono più sorvegliati dei gioielli della Corona. La Torre di Londra non è nulla in confronto alla cripta di famiglia.»

Un sospiro frustrato sfuggì a Myrtle, e Meg si chiese come le sorelle prevedevano di procedere dopo quella rivelazione.

Erano nel bel mezzo della sala d'armi del XVI secolo e lei stava fissando un esemplare piuttosto turgido di sospensorio, quando Myrtle rivolse una domanda al maggiordomo che le fece drizzare le orecchie. «Perdonate l'interruzione, buon uomo, ma la mia giovane pupilla mi ha pregata di informarmi su una stanza di ritiro in cui forse potrebbe rinfrescarsi prima del lungo viaggio che ci aspetta» disse, senza curarsi affatto che le guance di Meg avessero assunto lo stesso colore dello stendardo del drago appeso al muro.

Mr. Gudgeon sembrò esitante al principio. Tuttavia, quando divenne chiaro che le altre due donne intendevano lasciare Maeve con lui, fu più che contento di fornire loro le informazioni desiderate.

Grazie alla straordinaria abilità di Myrtle di individuare la strada attraverso i corridoi sinuosi, presto si trovarono davanti alle umide fauci delle animate cucine. La cuoca dava loro le spalle e divideva la sua attenzione tra il pollo che girava sullo spiedo, i pasticci che infilava nel forno attraverso

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uno sportello a mezzaluna e due grossi calderoni di rame che erano sui fornelli, mentre gridava istruzioni a una truppa di sguattere tiranneggiate da sopra la spalla. Era così occupata da una miriade di compiti che non guardò nemmeno verso la porta quando Myrtle si intrufolò.

Mentre questa ficcanasava, Meg rimase fuori e sorrise a tutto quel baccano. Non sapeva se fosse il chiacchiericcio socievole, il rumore di pentole e padelle, il vibrare sordo della mannaia contro la tavola sui cavalletti o il rintocco di una frusta contro un'ampia ciotola di rame, ma quei suoni l'avevano sempre affascinata.

Le ricordavano casa, suppose. Non Crossmoor Abbey, ma l'accogliente cottage di campagna in cui abitava quando sua madre e suo padre erano ancora vivi.

«Da questa parte» sussurrò Myrtle, strappandola ai suoi pensieri e poi trascinandola in modo sbrigativo lungo il corridoio. «Neanche una ricetta in vista. Devono averle conservate tutte al riparo.»

Meg stava per suggerire di tornare nella Sala dei Cavalieri quando fu introdotta in un piccolo stanzino, proprio dietro la dispensa. Sbattendo le ciglia per abituare gli occhi alla luce tenue che filtrava attraverso la porta parzialmente aperta, notò uno scaffale di conserve, un grembiule spruzzato di farina che pendeva da un gancio e un piccolo scrittoio infilato in un angolo. Sopra era appesa una tela di mussolina incorniciata, ricamata con le parole del famoso chef Marie-Antoine Carême: Le belle arti sono sei di numero: Pittura, Musica, Poesia, Architettura e Scultura... della quale il ramo principale è la Pasticceria. A quanto pareva, quello era l'ufficio della cuoca.

Meg emise un ansito di stupore. «Come diamine facevi a sapere dove...»

Myrtle le posò un dito sulle labbra, facendola tacere mentre un paio di cameriere ciarliere passavano per il corridoio. Meg annuì, in un certo senso sbigottita – e più che un po' impressionata – nello scoprire quel lato dell'anziana donna.

Myrtle era scaltra e rapida nella sua ricerca. Addirittura,

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si tolse una forcina e manipolò la serratura di un cassetto, per poi tirarne fuori con fare sbrigativo un libro invecchiato, pieno di pagine ingiallite e ondulate alle estremità, alcune con liste scarabocchiate e costellazioni di varie salse sgocciolate e altre scritte con grafia arrotondata e piena di svolazzi sovrastati da macchie circolari lasciate dalle tazze di tè. Un libro di ricette!

Myrtle si soffermò su una pagina usata più delle altre con le parole Il piatto preferito del duca scribacchiate in cima. Senza indugiare, fece scivolare fuori da una pattina sul lato della gonna un pezzo di foglio ripiegato. Lo spiegò sullo scrittoio, poi immerse la penna d'oca in attesa nella boccetta dell'inchiostro e annotò in fretta la ricetta.

Non appena ebbe terminato, però, e prima di poter girare a un'altra pagina, udirono di nuovo voci nel corridoio.

«Meglio che non ti faccia scoprire da Mrs. Gudgeon a cincischiare qui al piano di sotto o ti metterà a ripulire i vasi da notte. È piuttosto indiavolata.»

«E che, non lo so? Mi ha già strigliata per non avere portato il vassoio giusto per Lady Morgan. Ha detto che, se non trovo la cagliata al limone con il rosmarino per la focaccina di Sua Signoria, non c'è bisogno che mi preoccupi di tornare affatto.»

«Oh, non prendertela a cuore. Sono sicura che sia di nuovo infuriata con Mr. Gudgeon. Mi chiedo cosa abbia fatto questa volta il vecchio farfallone.»

«Sono sicura che la sentirò lagnarsi più tardi su quello... se avrò ancora il mio posto.»

«Non ti agitare. Se non riusciamo a trovarla nella dispensa, sono sicura che Mrs. Philpot ne abbia un barattolo sul ripiano dello stanzino.»

Meg si guardò sopra la spalla per controllare se in effetti ci fosse un barattolo di cagliata al limone con il rosmarino sullo scaffale. Accanto a lei, Myrtle infilò di nuovo il libro nel cassetto e tentò di richiuderlo, ma si fermò a metà strada, il legno che emetteva un acuto cigolio di protesta.

Proprio in quel momento, una coppia di ombre si fermò giusto fuori dalla porta.

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