I segreti della concubina

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JEANNIE LIN I segreti della concubina

Dinastia Tang, Cina, 759 d.C.

Poco prima dell’ora del serpente, Ling Suyin attendeva nel salotto della sua casa, silenziosa salvo che per il ronzio delle libellule all’esterno. Il tè posato davanti a lei si era da tempo raffreddato. L’ultimo domestico rimasto glielo aveva servito quella mattina prima di darsi alla fuga.

Alcuni dei suoi servitori più arditi l’avevano supplicata di partire con loro, ma l’uomo che le stava dando la caccia avrebbe dato alle fiamme ogni villaggio sulla riva del fiume, pur di trovarla. Ling Suyin non intendeva aggiungere un altro peso sulla propria coscienza. Un’altra pietra sul piatto della bilancia.

Udendo un crepitio di stivali che calpestavano le foglie del giardino, si erse a sedere più dritta. Erano passi fermi e decisi, e via via che si avvicinavano il cuore le batté più forte. Lui era venuto da solo. Il respiro le si mozzò in gola quando l’imponente figura si stagliò sulla soglia, l’immagine perfetta del demonio di cui tanto si andava parlando alla corte imperiale. Casacca nera, capelli neri tagliati corti e un’espressione impassibile che non lasciava trapelare nulla. Ciò significava che lei non aveva scampo.»

«Ling Guifei.» La voce di lui risuonò forte e profonda mentre la salutava con il titolo che aveva acquisito con la relazione.

«Non sono più la preziosa consorte di nessuno, Governatore Li.»

Suyin rimase seduta mentre il governatore militare si avvicinava. Temeva che, se avesse provato ad alzarsi, le gambe l’avrebbero tradita. I lineamenti marcati dell’uomo non facevano che accrescere i suoi timori. Aveva un viso che non passava inosservato, la pelle scurita dal sole e i tratti squadrati, con una cicatrice appena sotto l’occhio sinistro a rovinare la simmetria dell’insieme. E a guardarla bene, doveva essere recente.

La prima e altra volta in cui Suyin aveva visto Li Tao, lui era un giovane irruente venuto alla corte imperiale per ricevere un elo-

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gio al valore. L’energia irrequieta che allora la sua figura emanava oggi era imprigionata dietro un muro di disciplina. Il tempo gli aveva affilato i lineamenti, così come aveva fatto con quelli di Suyin.

«Questo umile servitore è qui per offrirsi come scorta della signora di questa casa.»

Quei modi cortesi non servirono a smorzare l’aura di durezza che lo attorniava.

Lo stomaco di Suyin si contrasse in uno spasmo ammonitore, ma lei respirò a fondo per ignorarlo. Appoggiò il gomito sul tavolo e si sforzò di assumere un tono incurante, mentre il cuore le batteva così forte da permetterle a stento di udire le proprie parole.

«Vi porgo le mie scuse, ma non ho in programma di mettermi in viaggio.»

«Qui non siete più al sicuro.»

Come se invece con lui lo sarebbe stata! Ormai per Suyin non esisteva più un luogo davvero sicuro, né un alleato in grado di proteggerla. Già in passato era stata abbandonata a se stessa, ma a quei tempi era giovane e indifesa. Una cortigiana navigata, invece, sapeva bene come incutere timore in un uomo.

Li Tao si fermò a due passi da lei, permettendole di scorgere l’arma celata fra le pieghe dalla manica. Il pugnale di un assassino. Suyin prese la tazza e ne bevve un sorso per celare il proprio turbamento. Il tè freddo e amaro le scivolò sulla lingua. L’esperienza le impediva di tremare, ma non bastava a placare il battito folle del suo cuore o ad arrestare il sudore che le rigava i palmi delle mani nel vedere quell’uomo svettare sopra di lei.

Depose la tazza, riuscendo a imporre alla propria mano di non tremare. Pronunciò le parole successive nel tono melodico e distaccato in cui tanto si era esercitata. «Poiché siete venuto da lontano per assolvere a questo compito, non perdiamo altro tempo. Devo radunare le mie cose?»

«Non vi servirà nulla, signora.»

Il condottiero le stava parlando come se lei gli fosse stata superiore per rango. Non era granché per Suyin, ma doveva pur esserci un modo di sfruttare quel particolare a proprio vantaggio. Si risistemò la stola sulle spalle e si alzò. Dopo una breve pausa, gli passò davanti.

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Lui non si mosse, ma la stava osservando. Come facevano tutti gli uomini.

Suyin attraversò la casa vuota inseguita dall’eco dei passi decisi di lui sulle tavole del pavimento. Le stava troppo vicino. Giunta all’esterno, si accorse di avere le dita intorpidite a forza di serrarle.

Una portantina l’attendeva sul ciglio della strada sterrata che si dipartiva dalla sua sontuosa residenza. Attorno a essa era schierato un reggimento di soldati in uniforme nera e rossa. I governatori militari, o jiedushi, disponevano di un esercito proprio, del tutto indipendente da quello dell’Imperatore. Nessuno osava sfidarli nei loro territori, ma quel tratto di foresta era sotto la giurisdizione imperiale. La loro presenza lì era un affronto che l’Imperatore non avrebbe lasciato correre.

Li Tao la seguì fino alla portantina come una tempesta incipiente, mentre Suyin cercava di contenere l’impulso di fuggire. Così facendo avrebbe solo ribadito il proprio ruolo di preda e quello dell’uomo di cacciatore, di guerriero o, ancora peggio, di assassino. Fino a quel momento, invece, si era comportato da perfetto gentiluomo.

«Dove andremo?»

«A sud.»

Fu tutto ciò che le concesse di sapere. Con un peso immenso sul cuore, Suyin si voltò indietro. L’Augusto Imperatore aveva costruito per lei quella dimora prima di morire. Dell’edificio non le importava nulla, ma il suo sguardo vagò oltre, verso il fiume situato dietro di esso, una tela che si snodava lenta, sulla quale danzavano i raggi del sole. Suyin inspirò l’odore di acqua, muschio e terriccio. Ecco cosa le sarebbe mancato.

Aveva preteso troppo, sperando di potersi nascondere e cadere nell’oblio. Forse in cuor suo aveva sempre saputo che qualcuno sarebbe venuto a cercarla. I debiti andavano ripagati, in quella vita o nella successiva.

Fermatasi accanto alla portantina, si ritrovò faccia a faccia con il più spietato degli jiedushi. Dall’alto della sua figura svettante, asciutta e muscolosa, lui continuava fissarla con il suo sguardo penetrante.

Suyin era decisa a non mostrarsi intimorita. I dominatori dell’impero annientavano chi trasmetteva debolezza. Così at-

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tese semplicemente che lui scostasse la tenda della portantina con un gesto cerimonioso. Una piccola concessione.

«Ditemi, governatore…» Si passò un dito sulla guancia. «Come vi siete procurato quella cicatrice?»

Lui socchiuse gli occhi. «Una Madame» disse dopo un breve indugio.

Le labbra di Suyin abbozzarono un sorriso. «Interessante.»

Le dita di lui strinsero più forte la stoffa della tendina. D’improvviso le sue pupille si oscurarono, il suo respiro divenne più profondo. I segnali erano evidenti e lei seppe leggerli come i versi di una poesia. In quale altro modo poteva proteggersi una Madame, in un mondo dominato dagli uomini? Pur con tutta la sua presunta scaltrezza, Li Tao era un uomo come gli altri.

«Non mi deludete» le disse a bassa voce, adottando un tono più confidenziale. Il luccichio nei suoi occhi tradì un primo guizzo di calore sotto quella gelida facciata.

Per un conturbante attimo, Suyin cadde in balia del richiamo di quello sguardo. Erano vicini, quasi al punto di toccarsi. Lei lo aveva provocato volutamente, ma se ne pentì non appena le avvisaglie di una inquietudine che ben conosceva le si insinuarono sottopelle. Il reggimento di soldati attorno a loro sembrò sparire. Lì c’era un solo uomo da temere.

«E io che credevo che ormai per me la partita fosse finita» mormorò.

Lui non rispose. Nel salire sulla portantina di legno, Suyin gli sfiorò una manica con la spalla. Gli occhi neri del guerriero continuarono a fissarla finché la tenda non ricadde a separarli.

Il tragitto si rivelò a Suyin in frammenti, colti fuggevolmente dalla finestrella della portantina. Intravide scorci di alberi e riflessi del sole su distese d’acqua in lontananza. Li Tao cavalcava davanti a tutti e i suoi uomini accerchiavano la portantina in ogni momento. Doveva trattarsi del famigerato primo battaglione di Li Tao, noto il tutto l’impero per la propria ferocia.

La fitta vegetazione e lo scrosciare del fiume gradualmente lasciarono il posto a una strada solcata da segni di ruote. Erano diretti a sud, dall’altra parte rispetto alle sedi del potere. Per Suyin non c’era più posto alla corte del nuovo Imperatore, ma lei era rimasta aggrappata all’illusione che il centro dell’impero fosse

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un luogo sicuro e civilizzato. Ciò che si stendeva oltre a esso era imprevedibile e al di là della legge. Ecco perché l’avevano affidata a uno jiedushi.

Il quarto giorno superarono una barricata presidiata da soldati dal viso truce. Vedendoli, Suyin si ritrasse dalla finestra.

Dunque era vero: gli eserciti regionali si stavano radunando. Si era allontanata dalla capitale Changan per sfuggire ai disordini, ma nell’ultimo anno le erano comunque giunte notizie da lì tramite i suoi domestici, che ogni settimana si recavano nei mercati cittadini mentre lei rimaneva chiusa in casa.

Vi era un solo motivo per erigere una barricata nella parte interna dell’impero: fra i governatori militari erano in corso lotte intestine. Costoro avevano acquisito sempre più potere nel corso degli anni e stavano approfittando dell’instabile dominio dell’imperatore Shen per espandere ulteriormente il proprio. Forse Suyin aveva commesso un grave errore, rifiutandosi di fuggire insieme ai suoi domestici.

Con un brivido si strinse nella stola. Indossava gli stessi abiti di quando erano venuti a prenderla, le uniche cose che Li Tao le aveva permesso di portare con sé.

Detestava le partenze. L’elemento della terra, preponderante in lei, preferiva mettere radici in un unico posto. Viaggiare non portava mai nulla di buono. I cambiamenti improvvisi rievocavano ciò che si provava a essere strappati con la forza da un luogo e portati in un altro, lontano e ignoto. Per lei era una situazione ricorrente e l’esperienza le aveva insegnato che non era mai possibile tornare indietro.

L’istinto di sopravvivenza insorse, avvolgendola come una seconda pelle, rendendo i suoi sensi più acuti e consapevoli di ciò che la circondava. Li Tao si preparava alla guerra con le spade e i soldati, ma anche lei poteva contare sulle proprie armi.

Nei giorni seguenti la strada battuta fu inghiottita dalle ombre di un monte e il terreno divenne scuro e denso. S’inoltrarono in una rigogliosa foresta di bambù le cui canne svettavano alte sopra di loro. Era chiamato il mare di bambù, non perché vi fosse dell’acqua, ma per l’ondeggiare ritmico delle piante e il fruscio delle foglie lanceolate carezzate dalla brezza. La verde canopia li attorniava su ogni lato. Quando Suyin si ritrasse dalla finestrella la sua vista restò velata da una foschia

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rossastra che avvolgeva il mondo di un bagliore innaturale.

Tornò a guardare fuori per cercare Li Tao e lo vide cavalcare eretto, la sua casacca nera che spiccava contro il verde della vegetazione. Com’era prevedibile, era diventato il centro della sua attenzione: il potere era tutto nelle sue mani, mentre lei non ne aveva alcuno.

Le aveva a malapena rivolto la parola, dopo le poche frasi che si erano scambiati lungo il fiume. Perché mai aveva oltrepassato le barricate per farla sua prigioniera? L’influenza esercitata da Suyin era morta insieme all’Augusto Imperatore. Ormai era ridotta allo stato di una semplice reliquia, sbiadita e priva di qualsiasi utilità.

La carovana si fermò bruscamente e qualcuno scostò la tendina. Li Tao le si parò di nuovo davanti. Tese la mano e lei non ebbe altra scelta che prenderla, premendo rapidamente le dita su quelle di lui prima di lasciarle andare. Il fugace calore di quel contatto le rimase sulla pelle, mentre un’inquietante tensione la pervase nel trovarsi a fianco del suo rapitore. Era abituata a discernere l’influenza e il potere che si sprigionavano da un uomo, ma finora non ne era mai stata attratta in modo così inesorabile.

Spostò la propria attenzione sulla dimora incastonata fra gli alti fusti di bambù. Era grande il doppio della sua, costruita nello stile opulento tipico dell’architettura imperiale. La sagoma ricordava quella delle elaborate pagode che costituivano il palazzo, con travi lignee e tetti ricoperti di tegole. La sua magnificenza rappresentava un’intrusione nella quiete della foresta.

«Perché sono qui?»

«Come già detto, per voi non era sicuro restare vicino al fiume.»

Lei sollevò il capo in un gesto di sfida. «Quindi il governatore si è nominato mio protettore?»

L’unica risposta fu un sarcastico storcere di labbra prima che Li Tao le indicasse la facciata dell’edificio. Quell’uomo centellinava le parole come se fossero state monete d’oro. Ogni sua azione era così controllata da spingere Suyin a chiedersi se si fosse mai abbandonato a un accesso di rabbia o di passione. Quell’ultima ipotesi le procurò un brivido lungo la schiena.

Li Tao le rimase alle spalle mentre superavano le statue dei due leoni di guardia all’ingresso. A ogni passo Suyin avvertiva sem-

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pre più netto il predominio dell’uomo. Il suo passo era sicuro, la sua autorità suprema. L’illusorio rispetto che le stava tributando consentendole di precederlo era risibile. Quanto ancora avrebbe aspettato prima di avanzare apertamente le sue pretese?

I domestici entrarono nell’atrio della casa camminando in fila. Erano solo sette, un numero esiguo per un luogo di quelle dimensioni. La processione era guidata da una Madame dai capelli grigi e il viso tondo, che ansimò per lo stupore quando Li Tao effettuò le presentazioni.

«Ling Guifei!» L’anziana non smetteva più di inchinarsi. Le sue spalle ossute sporgevano dalla casacca marrone da domestica.

«Jinmei, mostrale le sue stanze.» Li Tao gettò a Suyin un’occhiata sdegnosa prima di voltarsi e andarsene.

Che uomo odioso. Mentre lo guardava imboccare un corridoio e sparire, Suyin si sentì avvampare di rabbia. L’aveva trattata con la stessa indifferenza per tutto il corso del viaggio. Prima l’aveva prelevata da casa con la forza, ora la gettava da parte come un giocattolo indesiderato. Era ancora peggio che se l’avesse interrogata e minacciata: in tal caso, perlomeno, Suyin avrebbe capito quali erano le intenzioni del suo rapitore.

La governante le toccò delicatamente il braccio. «Venite con Zietta Jinmei.»

Attraversarono il vasto atrio, seguite dalle guardie.

«Guifei è ancora più bella di quanto si va dicendo» si complimentò Zietta, usando il titolo onorifico che l’Augusto Imperatore aveva conferito a Suyin. «Siamo onorati e lieti della vostra visita.»

Gran bella visita: scortata da cinquanta uomini armati!

Avanzando silenziosa sulle babbucce, Zietta condusse Suyin oltre il salotto e le altre stanze interne. Quei locali erano ampi e silenziosi, i mobili disposti con estremo ordine. Ogni oggetto era meticolosamente spolverato ma anonimo, inespressivo come il padrone di casa.

Suyin seguì Zietta all’esterno, attraverso un cortile centrale che ospitava un giardino ben curato. Il giardiniere era intento a potare una siepe, tuttavia lavorava senza guardare né le proprie mani, né la cesoia affilata che impugnava. Quando si rivolse al giovane dinoccolato chino sullo stagno dei pesci, il suo sguardo rimase vacuo e si fermò poco distante dal suo aiutante.

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Al passaggio di Suyin, il ragazzo ne incontrò lo sguardo. Dimostrava circa sedici anni, era alle soglie dell’età virile. Rimase a fissarla tenendo in mano un ciuffo di erba umida, mentre l’altro braccio gli pendeva rigido lungo il fianco, le dita rattrappite e avvizzite come gli artigli di un piccione. Suyin distolse lo sguardo, improvvisamente a disagio.

Zietta le fece cenno di seguirla. «Padron Li senz’altro vorrà che Ling Guifei abbia una sistemazione lussuosa. Speriamo che la signora ne resterà soddisfatta.»

L’immagine del giardiniere cieco e del suo aiutante menomato non la abbandonava. A palazzo persino i servitori più umili erano scelti per la loro bellezza fisica, al fine di perpetuare un’idea di illusoria perfezione.

Una volta raggiunta la sezione orientale della casa, Zietta la condusse su per una scala. La guardia che le era stata assegnata era già posizionata davanti alla porta a doppio battente che conduceva a un gruppo di stanze separate dalle altre.

«Ottima luce. Energia positiva da ogni dove.» Zietta entrò per prima e prese a spalancare una porta dopo l’altra. «Al mattino Ling Guifei potrà vedere il sole sorgere sulle rupi.»

La Madame ricordava a Suyin le anziane domestiche del palazzo, che vi prestavano servizio da così tanto tempo da aver quasi acquisito un rango nobiliare. Il loro modo di parlare e di agire poteva anche denotare sottomissione, ma tutto ciò che avevano visto e udito nel corso della vita le rendeva scaltre e spesso temibili. Nel tempo Suyin aveva imparato a non sottovalutare mai i membri della servitù, con cui aveva stretto alleanze ogniqualvolta possibile.

Zietta la guidò oltre una tenda di garza per uscire sul balcone. Da lì si scorgeva il profilo delle rupi grigie in lontananza. L’aria fresca e pulita della foresta le avvolse. Aggrappandosi al parapetto di legno, Suyin si sporse a guardare il cortile sottostante.

Li Tao l’aveva imprigionata al secondo piano. Oltre il bordo delle lastre di pietra, si spalancava un baratro. I muri di granito cadevano a strapiombo per sparire alla vista. Anche se Suyin avesse trovato il coraggio di calarsi dal balcone, non avrebbe avuto alcuna via di fuga.

Aveva già esaminato ogni possibilità. Forse Li Tao voleva tenerla in ostaggio, ma era improbabile, dal momento che non le

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restavano più alleati all’interno dell’impero. Oppure la sua cattura poteva rappresentare un semplice atto di sfida all’autorità imperiale. O, più verosimilmente, Li Tao era convinto che lei fosse a conoscenza di qualche segreto d’importanza vitale. C’era stato un tempo, infatti, in cui Suyin ne aveva custoditi parecchi.

Zietta stava già sparendo oltre la tenda, ma Suyin la richiamò. «Da quanto tempo servi il governatore?»

«Quindici anni, signora.»

Fin dall’inizio, dunque. Suyin tornò a sporgersi dalla ringhiera e respirò a fondo l’odore di muschio e terra umida.

Fin dalla prima volta in cui si era sentito parlare di un uomo chiamato Li Tao.

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Li Tao sciolse la cinghia di cuoio che gli assicurava il fodero del pugnale al braccio. Era solo nel suo studio, lontano dai suoi soldati, dai domestici e da lei. La celeberrima Ling Suyin era rinchiusa nelle profondità della roccaforte di Li Tao, al sicuro dai suoi nemici. Ora finalmente gli era possibile riflettere. E valutare il da farsi.

Estrasse il sottile pugnale affilato e lo depose sullo scrittoio, fra le lettere ripiegate. Accanto a una candela si era accumulato un mucchietto di cenere, ciò che restava del biglietto che lo aveva spinto a oltrepassare le barricate. Il messaggio era anonimo, il linguaggio vago. Il che era senz’altro voluto, al fine di renderne oscuro il significato. Esso annunciava che il governatore militare Gao Shiming aveva mandato degli uomini a catturare Ling Suyin, o Ling Guifei, per usare il titolo conferitole dal defunto Augusto Imperatore.

Si trattava di colei che, fino a poco tempo prima, era stata la preziosa consorte, una Madame che non avrebbe dovuto avere più alcuna importanza negli intrighi di corte, ora che il suo protettore era morto. Era stata mandata in esilio sull’ansa remota di un fiume, per trascorrere lì il resto dei suoi giorni. Che cosa poteva mai volere Gao da lei?

Per quanto l’istinto gli suggerisse che si trattava di un tranello, per una volta Li Tao aveva deciso di ignorarlo. Quel messaggio criptico conteneva un monito, ma anche un messaggio recondito. Quasi una promessa. E sarebbe anche stato fonte di rimorso per Li Tao, se non avesse agito in fretta. Il nome della preziosa consorte era spiccato vivido fra i caratteri. Ling Suyin.

All’apice della sua fama, dalla città imperiale di Changan si erano diffuse numerose voci sul suo conto, che la dipingevano come una seduttrice, dall’animo demoniaco, la creatura più bella dell’impero. Nella prosperità del vecchio regime, poeti e cortigiani solevano concentrarsi su un’unica Madame al punto da idolatrarla.

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Li Tao l’aveva intravista durante la sua prima visita a palazzo. La brama che lo aveva colto era stata immediata e implacabile. All’epoca era un giovanotto che aspirava a molte cose: fama, rispetto e potere. Rivederla ora, più di un decennio dopo, aveva risvegliato in lui solo la flebile eco di quel desiderio da tempo dimenticato.

Dapprima aveva creduto che l’anziano governatore Gao ne fosse rimasto ossessionato dopo averla vista al braccio dell’Imperatore per tanti anni. Forse egli anelava alla bellezza irraggiungibile e alla gloria che lei rappresentava. Ma poi Li Tao aveva intercettato degli assassini diretti all’ansa del fiume. Uomini ombra mandati a infliggere una morte rapida.

Gli assassini erano stati uccisi prima che fosse possibile interrogarli. L’ultimo di loro si era immolato sulla propria spada allo scopo di non essere catturato vivo. Per assoldare uomini così dediti alla propria missione occorreva molto denaro. Apparentemente, dunque, Ling Suyin valeva ancora parecchio. Un condottiero rivale di Li Tao la voleva morta, mentre qualcun altro la voleva viva, e lui era stato trascinato nel mezzo della contesa.

Si sedette allo scrittoio e si massaggiò lo spazio fra le sopracciglia per allentare la tensione crescente. Davanti a lui c’era una pila di fogli. In cima al mucchio vi era una convocazione alla corte di Changan e al di sotto vari proclami su cui era impresso il sigillo dell’Imperatore.

Nel corso degli ultimi anni le forze imperiali avevano perso terreno, mentre gli eserciti di confine comandati dagli jiedushi erano diventati più forti. Quello squilibrio preoccupava i ministri di corte abbastanza da cercare di limitare il potere dei governatori militari. Come se menomare il braccio forte sarebbe bastato a nascondere quello debole.

Li Tao ignorava i decreti e gli editti: il suo dovere era proteggere le sue proprietà, come stabilito dal defunto Imperatore, a costo di sfidare l’imperatore Shen e i suoi intriganti cortigiani. Aveva difeso i confini e preservato la pace nel suo distretto, soffocando potenziali rivolte e mantenendo in riga i suoi capitani. E aveva ampliato il suo esercito.

Per quelle azioni Gao lo aveva incolpato di tradimento. Il codardo aveva mosso quell’accusa a mille miglia di distanza, davanti alla corte imperiale. Per affrontare un nemico così infido,

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Li Tao aveva bisogno di cambiare tattica. Aveva bisogno di ricorrere al sotterfugio e all’artificio. Aveva bisogno di qualcuno come Ling Suyin. Doveva essere per quello che si era sentito costretto a portarla lì.

Era una menzogna. Spinse da parte i proclami. Ling Suyin si trovava lì perché Li Tao l’aveva trovata completamente sola. Abbandonata da tutti. Nel vederlo era impallidita di paura, eppure lo aveva fissato con altera risolutezza, come se avesse avuto ancora l’Imperatore ai propri piedi. Li Tao avrebbe potuto interrogarla nella casa presso al fiume, o lasciarla alla sede provinciale a Chengdu. Avrebbe anche potuto ignorare del tutto quel messaggio criptico. Invece, l’aveva portata con sé nelle sue terre, nel luogo da cui aveva tanto faticato a tenere lontani gli estranei.

L’aveva sistemata nell’ala meridionale, nella stessa stanza in cui un tempo aveva alloggiato la sua promessa sposa. Il matrimonio combinato con la figlia dell’Imperatore era andato a monte ancora prima che i due fidanzati avessero modo di conoscersi. Chissà quanto aveva goduto Gao di quel fallimento. Nel corso dell’ultimo anno Li Tao era stato colpito da numerose sciagure e ora era comparsa Ling Suyin, come un ennesimo cattivo presagio.

Quell’inquietudine dei sensi non era altro che l’attrazione di un uomo verso una Madame avvenente. Il rapporto fra yang e yin. Ma Li Tao non avrebbe commesso l’errore di considerare Ling Suyin una Madame qualunque. Lei era una seduttrice e un’abile manipolatrice. Un demone sotto le spoglie di una bella Madame.

Il trattamento che le veniva riservato era alquanto insolito per una prigioniera. Zietta le servì il tè e ordinò per lei una vasca di legno. L’acqua del bagno venne scaldata in calderoni posti nel cortile e portata a secchiate su per le scale, tuttavia, le guardie svolsero quel compito senza lamentarsi.

Suyin fu lasciata sola a immergersi nel bagno caldo, ma i suoi muscoli rimasero contratti e tesi. Cosa poteva mai aver spinto Li Tao a volerla lì? Valutò ogni ipotesi, persino quella più ovvia: il desiderio. Ma un potente condottiero non sarebbe andato a cercare una cortigiana ormai al tramonto, tanto meno avrebbe oltrepassato le barricate per farlo. Non quando nei suoi territori

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c’erano tante altre donne più giovani e disponibili.

A corte, se una concubina non attirava le attenzioni dell’Imperatore entro i trent’anni d’età, veniva rinchiusa in convento o data in moglie a qualche basso dignitario, se era fortunata. Suyin aveva quasi raggiunto quell’età. E poi Li Tao non la guardava con gli occhi di un ammiratore, ossia con desiderio e lascivia. Piuttosto con un po’ di soggezione. Nessun uomo era stato capace di nascondere quelle emozioni, nemmeno in presenza dell’Augusto Imperatore. Suyin le aveva lette sui loro volti prima che potessero mascherarle.

Ma nessuno di quegli uomini l’aveva mai guardata veramente.

Come faceva il condottiero, che la fissava intensamente, quasi a voler penetrare in lei e carpirle tutti i suoi segreti. Ebbene, non avrebbe trovato nulla. Suyin era in grado di riempire il guscio del suo corpo come più le aggradava.

La frescura dell’acqua le confermò di aver lasciato vagare la mente a lungo. Si alzò e si asciugò da sola, senza convocare Zietta. Con i capelli ancora bagnati, si infilò una veste da notte e scivolò nel letto ricavato in un’alcova, sopraffatta dalla fatica del viaggio.

Al suo corpo non importava di essere intrappolato nella tana di una tigre, tuttavia la sua mente si arrovellò per tutta la notte. Ma senza approdare da nessuna parte.

Il mattino dopo, i muscoli rigidi a forza di agitarsi nel sonno, fu svegliata da un movimento fuori dalla sua stanza.

Si levò a sedere e infilò un paio di babbucce prima di affacciarsi alla porta. «Zietta, che cosa succede?»

Il salotto assomigliava a un’aiuola fiorita per via degli abiti variopinti drappeggiati su tavoli e sedie. Zietta le mostrò una veste di seta rosa vivace come i petali di un’orchidea.

«La signora sarà bellissima, vestita così.»

Suyin trovò a fatica un posto vuoto dove sedersi. Gli abiti erano raffinati come quelli che era stata solita indossare a palazzo. Da un anno a quella parte il commercio aveva iniziato a languire. Barricate e posti di blocco erano sorti fra una provincia e l’altra, ostacolando gli scambi. Dunque, era quasi impossibile trovare merci così pregiate al di fuori delle due capitali, Changan e Luoyang.

Strano che Li Tao fosse in grado di metterle a disposizione un

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simile guardaroba. Suyin riconsiderò uno dei primi sospetti che l’avevano colta, ma nulla nel comportamento di lui indicava che la desiderasse in quel modo, tranne che per il breve lampo di calore che gli aveva scorto negli occhi nei pressi del fiume, prima di mettersi in viaggio.

Suyin non sarebbe mai potuta diventare l’amante di un altro uomo. Anche se fosse sopravvissuta cent’anni al defunto Imperatore, gli sarebbe appartenuta per sempre. Era la legge imperiale.

«Zietta penserà che io e il governatore siamo già amanti» osservò.

L’anziana strinse le labbra e adagiò l’abito rosa sul paravento situato in un angolo.

«Il tuo padrone non ti aveva avvisato del mio arrivo, vero?» le chiese Suyin.

Da leale servitrice qual era, la Madame non volle rispondere. «Quale vestito preferisce la signora?» chiese invece.

Lo sguardo di Zietta saettò su quell’oceano di colori. Un tempo anche lei era stata giovane, e forse una parte del suo animo gioiva ancora nel circondarsi di cose belle e raffinate.

«La relazione fra un governatore militare e colei che in passato è stata una concubina darebbe scandalo» proseguì Suyin.

Con sussiego, Zietta andò a scostare le tende, i suoi passetti produssero un calpestio sul tappeto. «Padron Li desidera parlare con voi stamattina.»

La luce del sole invase il centro della stanza. Suyin raccolse sotto di sé le gambe e guardò la domestica tornare verso di lei.

«E se dicessi a Zietta che il governatore mi ha portato qui come prigioniera?»

«La signora fa troppe domande. Deve vestirsi prima dell’arrivo del padrone.»

A quanto pareva, Li Tao era incurante dello scandalo e Suyin non poteva fare nulla per intaccare l’accettazione incondizionata del suo operato da parte di Zietta.

Così si alzò, scelse l’abito rosa e seguì Zietta dietro il paravento. Con gesti lenti, l’anziana le allacciò il corpetto ricamato e le fece indossare la sopravveste. Quando iniziò a lisciarle le pieghe della gonna, Suyin avrebbe voluto esortarla a non prendersi tanto disturbo. Però, fra la servitù, non c’erano ragazze giovani

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che potessero occuparsi di quei compiti. Li Tao non aveva né moglie, né parenti. La casa era così vuota che ogni scricchiolio delle assi del pavimento echeggiava fra i muri.

Proprio come nella casa di Suyin nei pressi del fiume.

Zietta prese una fusciacca color cremisi e la annodò intorno alla vita di Suyin, lasciandone pendere le estremità. Infine, la Madame anziana invitò quella più giovane a portarsi davanti allo specchio.

«I capelli della signora sono folti e neri come l’inchiostro» disse, passandovi una spazzola. «È fortunata.»

Un giorno, forse, Suyin sarebbe stata curva e canuta come Zietta. La sua pelle sarebbe avvizzita e lei sarebbe stata irriconoscibile. Forse, allora, l’impero si sarebbe deciso a lasciarla in pace.

«Zietta dovrebbe sapere che non sono la concubina del Governatore Li. L’ho conosciuto appena una settimana fa. Non ci siamo quasi rivolti la parola.» Cercò di incontrare lo sguardo dell’anziana nello specchio, ma questa tenne il capo chino, concentrandosi sul proprio compito. «Sono fedele alla memoria dell’Augusto Imperatore.»

«Ma non all’Imperatore Shen.»

Suyin si lasciò sfuggire una smorfia quando Zietta le tirò i capelli per imprigionarli in una crocchia. La punta del fermaglio d’avorio le graffiò il cuoio capelluto. Pareva proprio che in quella casa non avrebbe trovato alleati.

Si ritrovò a ripercorrere le regole di un gioco a lei ben familiare, in cui era stata molto abile alla corte imperiale. Di chi poteva fidarsi? Chi le avrebbe dato aiuto? Suyin vi aveva partecipato fin da quando, ancora bambina, era stata strappata dalla sua casa, comprata per cento monete di rame.

Per Li Tao, guardare Ling Suyin era come ammirare un’opera d’arte. Lei gli sedeva davanti in una posa elegante, vivida come un bocciolo di pesco sullo sfondo incolore della parete. La curva delle sue labbra nel sorseggiare il tè era troppo perfetta per essere del tutto spontanea.

«Ho riflettuto» esordì lei guardandolo da sopra il bordo della tazza. «Non è me che volete.»

«E cosa voglio?» le chiese.

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«Io non sono altro che un simbolo. Catturare me deve contare quanto…» Gli gettò un’occhiata di sfuggita. «Catturare uno stendardo. Per quale altro motivo un condottiero dovrebbe interessarsi a un’umile concubina?»

«Umile» le fece eco lui. Poi si adagiò contro lo schienale della sedia per scrutarla. Suyin era innegabilmente bella, al punto che era difficile smettere di guardarla, dopo aver posato gli occhi su di lei. Aveva una bocca morbida e sensuale e grandi occhi espressivi. La pelle d’avorio del suo collo era così liscia da fargli fremere le dita per la voglia di toccarla.

«Un tempo eravate una cortigiana nel distretto del piacere di Luoyang» le ricordò.

«Molto, molto tempo fa, governatore.»

«Da Luoyang passavano parecchi segreti.»

Lei gli sorrise. «Vino, musica e ogni genere di segreto.»

Quelle parole contenevano una nota divertita, ma nel suo sguardo Li Tao colse un freddo lampo calcolatore. Il suo fascino andava ben al di là della seduzione. Ogni suo gesto era allusivo. Ogni suo movimento lo incoraggiava ad abbassare la guardia, mentre lei era sempre all’erta. Li Tao detestava quelle tattiche.

«Non ho bisogno di un’amante.»

Pronunciò quelle parole con fare impassibile, eppure il pensiero di quella Madame nel suo letto gli annodò lo stomaco. Ma fu solo uno spasmo, sparito in un istante.

Lei strinse le labbra e depose rumorosamente la tazza sul tavolino di legno. «Non mi sono offerta di diventarlo.»

Non l’avrebbe mai fatto apertamente. Ma le cose non dette risultavano sempre più allettanti. Li Tao poteva permetterle di continuare a tentarlo o poteva dettarle le proprie condizioni.

«Dicono che siate in grado di far cadere un uomo ai vostri piedi con un solo sguardo» affermò.

Lei poggiò il mento sulle mani in una posa provocante. «Dicono anche che, seducendo l’Imperatore, io abbia causato la rovina dell’impero.»

«Sciocchezze.» Li Tao si accorse che il battito del suo cuore si faceva più affannoso via via che il loro scambio proseguiva. Il suo corpo si stava scaldando ed era una sensazione quasi piacevole. «So bene cosa causerà la rovina dell’impero, e non ha nulla a che fare con l’amore ossessivo di un uomo per la sua preziosa concubina.»

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«L’Imperatore non mi ha mai amato.»

La brutalità di quell’affermazione lo stupì. Suyin chinò lo sguardo e percorse distrattamente con la punta del dito il bordo della tazza. Il suo viso fu solcato da un lampo di tristezza. Quell’imperfezione non fece che accrescere il suo fascino, ma sparì con tale rapidità che Li Tao sospettò che fosse una solo una tattica per confonderlo. Se avesse continuato a cercare di decifrare quella Madame, sarebbe senz’altro impazzito.

«Anche di voi si parla molto.» Ora lei non stava più cercando di sedurlo. La sua voce si era fatta tagliente come la lama di un pugnale. «Di tutti gli uomini che avete ucciso.»

«Su ordine dell’Imperatore» precisò lui.

«Ciò è vero proprio per tutti?»

«No.»

La signora aveva un contegno ammirevole. Distolse lo sguardo solo dopo un lungo silenzio da parte di Li Tao.

«L’Imperatore è morto nel proprio letto a causa di una malattia, Governatore Li. Malgrado ciò che si va dicendo, io non c’entravo nulla. Se…» Ebbe un’esitazione e fissò l’anello con l’effigie del drago che lui portava al dito. «Se è per questo che siete venuto a prendermi.»

Si vociferava che la morte improvvisa dell’Augusto Imperatore fosse stata causata da avvelenamento. Ling Suyin nascose le mani sotto il tavolo, ma non abbastanza in fretta da impedire a lui di scorgerne il tremito. Deliberatamente, Li Tao chiuse le dita sopra il sigillo del drago per celarlo alla sua vista.

«Voi eravate la persona che più aveva da perdere dalla morte dell’Imperatore, dato che lui vi proteggeva» le disse.

«L’Imperatore Li Ming era un grand’uomo» dichiarò lei, e in quel momento si mostrò a lui vulnerabile come non mai.

«Li Ming era un grand’uomo» le fece eco.

Era meglio pensare a lei come all’amante di un altro uomo, pur trattandosi di un defunto. Era meglio pensare a lei come se non fosse nemmeno stata una Madame. Li Tao lasciò vagare lo sguardo sul suo viso, valutandola come avrebbe fatto con un avversario. Per astuzia o per caso, lei aveva appena nominato uno dei pochi uomini che Li Tao avesse mai rispettato. Uno dei due uomini a cui aveva giurato fedeltà. Per poi tradire l’uno in favore dell’altro.

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«Dite di sapere cosa potrebbe causare la caduta dell’impero» continuò lei in tono più disinvolto. «A cosa vi riferite?»

«All’impero stesso. Esso causerà la sua stessa caduta. La corte imperiale ormai si è del tutto distaccata dalla pratica del governare.» Quella risposta gli sorse rapida alle labbra: assisteva a quel declino da sin troppo tempo.

«E i condottieri hanno fiutato il sangue» ribatté lei.

La preziosa consorte aveva fatto ben altro che versare vino e suonare strumenti musicali, durante la sua permanenza a corte. Li Tao la scrutò ancor più attentamente.

«Coloro che sono avvezzi alla guerra si scoprono inquieti in tempi di pace» le rispose. «Anelano ad assaporare la battaglia, a provare quella sensazione di morte incombente.»

Fra i begli occhi di lei comparve una ruga appena visibile e Li Tao si compiacque di averla colta alla sprovvista.

«Quanto devono mancarvi tutti quegli intrighi e complotti.»

«Mancarmi?» Nella sua voce melodiosa si insinuò una nota acida. «A palazzo dovevo lottare ogni singolo giorno.»

Lo fissò apertamente, permettendogli di scorgere la durezza del ferro sotto il suo atteggiamento elegante. Il balenio elusivo di un’armatura sotto la morbidezza della seta. Non c’era da stupirsi che in molti avessero cercato di catturare l’essenza di quella Madame nei dipinti o nei versi. Lui, invece, per motivi che non gli erano affatto chiari, aveva semplicemente catturato lei.

Erano gli occhi del governatore Li – decise fra sé Suyin – erano i suoi occhi a renderlo tanto temibile per gli avversari. Neri e profondi, incastonati in un volto privo del minimo cenno di gentilezza. Gli occhi di un uomo capace di tutto. E la cicatrice che gli solcava la guancia rendeva il suo aspetto ancora più sinistro.

Non per niente lui aveva appena invocato immagini di guerra. Suyin avvertiva la sensazione che le stesse girando attorno per valutarla come avrebbe fatto con un avversario, per cercare di leggerle dentro così come lei tentava di fare con lui. Lo sguardo che le rivolse non era caldo… ma nemmeno freddo. Sotto di esso Suyin si sentì arroventare il viso e battere più forte il cuore. Perché mai il suo corpo reagiva in quel modo? Perché proprio con quell’uomo, e nel momento in cui le occorreva tutta la lucidità possibile per restare in vita?

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Lui si sporse più vicino. «Vivere nel pericolo così a lungo può fare cambiare una persona.»

Sembrava quasi parlare di sé stesso, oltre che di lei. Lo spettro di un sorriso gli illuminò il volto, aleggiando più negli occhi che sulle labbra. Suyin passò un dito sul piano del tavolo in un gesto nervoso.

«Non sento la mancanza del pericolo. Sul fiume ero felice.» O almeno lo era stata un tempo.

«Così sola e abbandonata? La bella Ling Guifei non meritava di svanire nell’oblio.»

«Non chiamatemi così.»

La preziosa consorte Ling. L’osservazione di Li Tao la ferì più di quanto avrebbe dovuto. Alla corte imperiale perfino un vezzeggiativo veniva elevato a rango ufficiale. E il suo l’aveva separata a vita da tutti gli altri. Era da tanto che non teneva una conversazione come quella. Dunque, per quanto tesa e insidiosa essa fosse, per Suyin rappresentava una gradita novità.

Da tempo si era rassegnata alla solitudine e alla monotonia dell’esilio. Perlomeno adesso ne era stata liberata. D’improvviso si sentì stanca di pesare ogni parola davanti a Li Tao, di studiare ogni sguardo.

«Da quando ne ho memoria, ogni uomo che io abbia mai incontrato voleva portarmi a letto o uccidermi» commentò in tono amaro. «Ditemi in quale categoria rientrate, così saprò quale maschera indossare.»

Lui si raddrizzò di scatto, colpito dalla sua franchezza. «E Gao in quale delle due rientra?»

Suyin aggrottò la fronte. «Gao Shiming?» Ancora dopo tutti quegli anni, sentirne pronunciare il nome la raggelava di paura.

«Che cosa vuole Gao da voi?»

«Non lo so. Per lui non significo nulla.» Sentendosi bruciare sotto lo sguardo fermo di Li Tao, si chiese se lui avesse mai interrogato le proprie prede, o se si fosse limitato a ucciderle per ordine dell’Imperatore.

«Quindi siete voi e l’anziano Gao a sfidarvi per il trono del dragone» disse con voluta incuranza.

«Sembrate annoiata.»

«Alla corte imperiale ogni uomo è un cospiratore.»

«Il trono imperiale non mi interessa» dichiarò lui.

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«Eppure di rado mi sbaglio.»

Li Tao accolse la frecciata con un sorriso, ma la sua espressione si fece ancora più dura. «L’impero sta andando in rovina perché resta aggrappato all’idea di un unico reame sotto un unico signore. Il Figlio del Cielo dominatore del Regno di Mezzo. Quel sogno è finito.»

Il cinismo di lui la fece irrigidire. «Ciò che dite rasenta il tradimento.»

Parlare dell’Imperatore con tanto disprezzo era sufficiente a procurarsi un’accusa di tradimento, ma Li Tao era al comando di un esercito. Vedendolo alzarsi in piedi, Suyin notò che non aveva toccato né tè né cibo. Guardingo persino in casa propria. Ora anche lei abbassò lo sguardo sul proprio piatto, memore dei giorni in cui ogni morso avrebbe potuto essere l’ultimo.

«Non rasenta il tradimento» le rispose, portandosi alle sue spalle. Un brivido le scese lungo la schiena. «È tradimento.»

Le sue lunghe dita serrarono lo schienale della sedia, ribadendo la sua posizione predominante. Suyin si sentì ardere la nuca. Aveva paura di guardarlo. Paura di ciò che avrebbe potuto vedere. La presenza di quell’uomo era talmente forte da proiettare un’ombra su di lei. Lo spazio circostante sembrava essersi ristretto fino a intrappolarla.

«L’Imperatore Shen ci ha ordinato di limitare la potenza degli eserciti provinciali» disse lui con voce bassa e controllata.

«E voi avete rifiutato?»

«Non gli permetterò di menomarmi. I nostri nemici attendono di poter sferrare l’attacco al minimo segno di debolezza.»

Quando lui si allontanò Suyin esalò un sospiro di sollievo. Gli jiedushi erano diventati troppo forti. Uomini come Li Tao e Gao Shiming agivano spinti solo dalle proprie ambizioni. Suyin non voleva essere coinvolta. Che i condottieri combattessero pure le proprie battaglie: lei non desiderava altro che tornare a casa ed essere lasciata in pace. Purtroppo, però nemmeno casa sua era più sicura. Il passato era venuto a cercarla.

Intrappolata dalla vicinanza di Li Tao, non poté fare a meno di considerare la soluzione più ovvia. Diventarne l’amante. Dal modo in cui lui la divorava con lo sguardo si intuiva che non l’avrebbe respinta. Suyin non l’aveva ancora toccato, ma poteva bene immaginare come si sarebbe rivelato quel corpo. Duro

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come ferro e caldo come fuoco. Lui avrebbe preteso una devozione totale, ma sarebbe stato un protettore temibile. L’idea le trasmise un fremito di eccitazione che non riuscì a comprendere.

Ma nella propria vita Suyin era già stata barattata troppe volte. Non si sarebbe rimessa in vendita. Non ora che aveva finalmente assaporato la libertà. Si voltò verso Li Tao, ma non ebbe modo di aprir bocca.

Una delle guardie si era avvicinata, pur tenendosi a rispettosa distanza. Li Tao guardò l’uomo e poi se ne andò senza rivolgerle altro che un frettoloso cenno del capo. Un attimo prima le era stato così vicino da farla sentire sopraffatta, quello successivo era sparito senza degnarla nemmeno di un congedo.

Guardò la figura imponente di lui uscire dal cortile, poi si ritrovò di nuovo accanto la guardia armata che le era stata assegnata. Il soldato svettava sopra di lei, irremovibile come una colonna di pietra, in paziente attesa che lei si alzasse. Probabilmente sarebbe rimasto così fino a mezzogiorno, se Suyin avesse deciso di rimanere lì.

Era evidente che Gao si stava servendo di lei come esca per colpire Li Tao. Suyin avrebbe voluto saperne di più, ma il suo rapitore era assai poco loquace. Non le restava che trovare il modo di andarsene prima possibile. Presto i due governatori avrebbero scatenato una guerra civile e attirato nel conflitto anche altri condottieri, nonché lo stesso Imperatore.

Suyin si alzò e si diresse alle proprie stanze. La guardia che la seguiva come un’ombra dimostrava poco più che vent’anni. Non era un veterano, ma neppure una recluta. Pur non essendo dolce, il suo viso esprimeva molta più bontà di quello di Li Tao.

Nel secondo cortile il giardino era vuoto. O meglio, non del tutto: il ragazzo dal braccio rattrappito stava accovacciato in un angolo a strappare erbacce. Era talmente magro da passare quasi inosservato. Di nuovo, incontrò lo sguardo di Suyin prima di distogliere rapidamente il proprio. L’unica forma di difesa per i deboli e i vulnerabili era osservare, ascoltare e apprendere, come un coniglio spaventato che fiutava l’aria per percepire la vicinanza del lupo. Suyin era stata quel coniglio per tutta la vita, e sapeva che il segreto era non dare mai a vedere la paura.

La guardia la incitò a non fermarsi e le indicò le scale con un ampio gesto della mano. Ciò la spinse a chiedersi quanto fossero

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affidabili i soldati di Li Tao. Lo servivano per paura o lealtà?

«Come ti chiami?» gli chiese mentre iniziava a salire i gradini.

«Yao Ru Shan.»

Lei ascoltò il rumore cadenzato dei passi del giovane su per le scale.

«Devi esserti distinto molto per essere arrivato a ricoprire questo ruolo» si azzardò a commentare.

Nulla. Silenzio. Le sarebbe tanto piaciuto trovare qualcuno, in quella casa, che non fosse così parco di parole.

Giunta davanti all’entrata delle sue stanze, Suyin si lasciò scivolare dalla spalla un lembo della stola. Il finissimo indumento le si svolse dal corpo fino a cadere a terra. Rimase ferma per dare a Ru Shan il tempo di piegarsi a raccoglierlo. Lui lo fece, poi si raddrizzò e s’inchinò rigidamente, gettandole un’occhiata schiva. Aveva un volto largo e squadrato, le sue emozioni trasparivano chiare da ogni movimento. La lealtà e il decoro erano i suoi tratti dominanti.

Nel prendergli di mano la stola, Suyin represse un sorrisetto di trionfo. «Grazie, Ru Shan.»

La lealtà poteva essere diretta altrove. Rivolse un’altra occhiata al soldato prima di aprire la porta a doppio battente e scivolare all’interno.

Fra i domestici di cui aveva già fatto conoscenza non era chiaro chi fosse abbastanza forte da opporsi a Li Tao, tuttavia bisognava agire in fretta. Suyin sapeva bene come sarebbe andata a finire: l’Imperatore Shen e gli altri condottieri avrebbero sferrato un attacco contro Li Tao. Avrebbero sfondato le sue barricate e distrutto la sua armata. E a quel punto, ammesso che lui non si fosse già trafitto con la propria spada, sarebbe stato impiccato.

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