Mh181 le occasioni del cuore

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Ann Major

LE OCCASIONI DEL CUORE


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Wild Innocence To Tame Her Tycoon Lover Ultimatum: Marriage Silhouette Desire © 1994 Ann Major © 2009 Ann Major © 2010 Ann Major Traduzione di Elisabetta Elefante Traduzione di Lucilla Negro Traduzione di Rita Pierangeli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 1995 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Emozioni, settembre 1995 Prima edizione Harmony Destiny, agosto 2010 Prima edizione Harmony Destiny, luglio 2011 Questa edizione Il Meglio di Harmony novembre 2014 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2014 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) IL MEGLIO DI HARMONY ISSN 1126 - 263X Periodico mensile n. 181 del 29/11/2014 Direttore responsabile: Stefano Blaco Registrazione Tribunale di Milano n. 777 dello 06/02/1997 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Sommario Pagina 7

Bellezza selvaggia Pagina 155

Passione milionaria Pagina 307

Compromesso tra le lenzuola


Bellezza selvaggia


1 C'era un certo fermento nell'ala C, e una perversa eccitazione serpeggiava tra i criminali piÚ incalliti di tutta la prigione. Si era sparsa la voce che ci sarebbe stata una zuffa. Avrebbero fatto la pelle a Raven Wyatt, o White. Sarebbe stato un vero piacere veder morire quel gran bastardo. Raven ne aveva visti morire di uomini. Li aveva visti strisciare e implorare pietà prima di essere fatti a pezzi, e una paura folle prese a consumarlo. Gli nasceva da dentro, dandogli un tale senso di nausea che quasi non riusciva a respirare. Era una sensazione nuova per lui, che lo sorprese. Fino a quel giorno aveva pensato che tutto, perfino la morte, fosse preferibile a marcire in quella gabbia di residui umani per il resto della vita, per un delitto che non aveva commesso. Ebbene, ora scopriva di avere paura di morire. Paura di prostrarsi ai piedi dei suoi assassini e di fare la figura del vigliacco. PerchÊ era questo quel che volevano. Non che avesse un'aria intimorita, però, mentre avanzava nell'affollato refettorio dell'ala C, privo di 9


sorveglianza, tra gli altri cinquanta detenuti. Chiunque di loro poteva essere il suo aguzzino. A parte la statura più alta, non era diverso dagli altri uomini vestiti in pantaloni e T-shirt bianca. Le spalle larghe erano appena incurvate, gli occhi verdi resi vitrei dall'ultima dose di Torazina. Almeno così pensavano tutti. Dicevano che avevano dovuto tenerlo fermo in quattro, per fargli l'iniezione. Ora sarebbe stato più facile metterlo fuori combattimento. Nonostante il freddo pungente del refettorio, Raven sudava copiosamente. Quanto aveva riso quell'uomo, quando era venuto a dirgli che Snake e gli altri lo avrebbero accoppato e fatto a fettine, come carne da macello... All'improvviso, Snake venne fuori dal gruppo. Tutti si fecero indietro, spaventati, e Raven si ritrovò da solo nell'ampia sala. Non c'erano secondini nel refettorio, nessuno a cui chiedere aiuto. Erano in quattro, tutti in prigione per omicidio. Gli saltarono addosso contemporaneamente. La morte sarebbe arrivata attraverso un punteruolo, fatto a mano, lungo una quindicina di centimetri, che Snake teneva stretto in mano. Balzò su un lato, ma non fu abbastanza svelto. La punta dell'arma gli lacerò la maglietta e affondò sotto la clavicola. Una frazione di secondo più tardi, Arredo lo colpì alla sprovvista, sferrandogli un violento calcio nel bassoventre che lo fece piegare in due per il dolore. E subito uno degli altri lo afferrò alle spalle; gli tenne la testa all'indietro, in modo da poterlo finire. Raven cercò invano di divincolarsi mentre i quattro delinquenti lo tenevano inchiodato per terra. Lanciò 10


un urlo e rotolò, e di nuovo il punteruolo mancò il bersaglio, ferendolo stavolta sulla spalla. Nella zuffa, Snake allentò la presa e scivolò, sibilando un'imprecazione. E Raven fu lesto ad approfittarne. Si strappò il punteruolo che aveva conficcato nella carne e se ne servì per colpire ripetutamente prima Snake, poi gli altri. Ne ferì un paio. Continuò a dibattersi come una bestia inferocita per quella che gli parve un'eternità, fino a che i suoi aggressori non si furono allontanati, e lui non rimase accasciato sul pavimento. Udì delle grida e un frettoloso scalpiccio di passi. Sbatté le palpebre, e al di là di una pozza di sangue intravide una dozzina di uomini in uniforme che accorrevano. La rissa era finita. Altrimenti i carcerieri non sarebbero venuti. Troppo debole per alzarsi, Raven si rese conto di essere disteso accanto a un corpo senza vita. Snake. Riconobbe il serpente a sonagli tatuato sulla mano scura aperta sul pavimento. Uno dei nuovi anfibi, così venivano chiamate le guardie carcerarie, gli premette un asciugamano sulla gola e sulla spalla, per fermare l'emorragia. Ma era troppo tardi. Raven cominciava a scivolare in un immenso buco nero. Qualcuno corse verso di lui con una barella. Sicuramente per trasportarlo all'obitorio. Il buco si fece più nero e più freddo. Il viso del secondino sempre più sfuocato. Tutt'a un tratto Raven si sentì avvolgere da una specie di nebbia bianca e fu il viso di lei, quello che gli apparve. I tratti dolci, e al tempo stesso temibili, che da allora lo avevano ossessionato ogni giorno e ogni notte. Rivide la camicetta di seta, abbottonata fin sotto al 11


collo, e quei capelli rossi raccolti a crocchia, sulla nuca. E l'espressione tesa, vulnerabile, di chi sta vivendo una situazione di grande conflitto. All'improvviso il vento prendeva a soffiare, e lei scuoteva il capo, liberando la massa di capelli fiammeggianti che le ricadeva sulle spalle. Si slacciava i bottoni, a uno a uno, e si sfilava la camicetta. La sua espressione mutava, trasformandola da ragazzina innocente in donna sensuale e seducente. Poi lei si avvicinava e lo aggrediva col più voglioso dei baci. E insieme scivolavano nel letto. Erano entrambi nudi. Lei lo baciava dappertutto, e rideva, mentre le loro labbra e i loro corpi si fondevano in un amalgama incandescente. Non era un sogno. Era un ricordo di un'altra vita, quella vissuta prima della prigione. Fino a quell'incontro, Raven si era sempre sentito solo. E anche allora non si era reso conto di avere a che fare col diavolo in persona. Un demone sotto mentite spoglie, che lo aveva adescato con le bugie e le lusinghe, e se lo era portato con sé all'inferno. Raven era già stato tradito, prima. Da suo padre, quando era ancora poco più che ragazzino, e da Astella, la donna che aveva pensato di amare. Ma il tradimento peggiore, il più amaro e cocente, glielo aveva inferto quella donna. Era colpa sua se Pam era morta e se lui era in prigione. Il sangue fiottava ancora dalle ferite aperte. Stava morendo. E forse era meglio così. Rivide ancora il viso di quella ragazza. E di nuovo capì che non era ancora pronto per morire. Doveva sopravvivere. Fosse stata anche l'ultima cosa, doveva scoprire chi era quella ragazza e perché 12


aveva fatto quel che aveva fatto. Doveva uscire da quell'inferno... e fargliela pagare. Il freddo si fece più intenso, e la sua mente cominciò a vacillare. Ma nemmeno questo riuscì a offuscare l'immagine di quel volto incredibilmente bello. Era ancora lì e lo tormentava. Se davvero stava per morire, non doveva pensare a lei. Doveva ricordare San Francisco, la casa in cui aveva trascorso l'infanzia. E sua madre, e Honey, la sua sorellina; eppure l'unica cosa che ricordava dei brevi anni trascorsi in quell'enorme casa sulle colline era il senso di solitudine e la sensazione che a nessuno importasse niente di lui. Raven vide un bambino che scappava davanti alle sfuriate di un padre iracondo e violento, correndo a rifugiarsi dietro un enorme cavalletto. E ancora, un bimbetto che restava ore e ore a osservare sua madre mentre dava vita alle tele con agili ed esperte pennellate. All'epoca, Raven aveva desiderato più di ogni altra cosa al mondo che sua madre si dedicasse a lui con la stessa passione con la quale si dedicava ai suoi quadri, almeno una volta. Ma sua madre viveva in funzione dell'arte; i quadri erano le sue vere creature. E quelle rare volte che non dipingeva, usciva di casa per andare a questa o a quell'altra festa, preferendo la compagnia dei suoi amici stravaganti e ricchissimi a quella dei suoi figli. Poi sua madre era morta, lasciandolo con un padre che lo detestava. No, meglio dimenticare San Francisco, e ricordare invece il pomeriggio di maggio di due estati prima, quando aveva incontrato la sua strega. Sbatté ancora le palpebre e mosse le labbra, pro13


nunciando l'unico nome con cui potesse chiamarla. e il secondino, pensando che stesse morendo, si sporse per ascoltare il suo flebile sussurro. «La mia dolce autostoppista...» Raven serrò le labbra. E ancora una volta precipitò nel mondo nero e raccapricciante dei suoi incubi.

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