La sans Par

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Ada Hawthorne

LA SANS PAR

Immagine di copertina: Grape_vein/iStock/Getty Images Plus

Titolo originale: La sans par © 2023 Ada Hawthorne

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

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© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici giugno 2023

Questo volume è stato stampato nel maggio 2023 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100%

I GRANDI ROMANZI STORICI

ISSN 1122 - 5410

Periodico settimanale n. 1356 del 3/06/2023

Direttore responsabile: Sabrina Annoni

Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992

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Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano

HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano

Firenze, aprile 1469

Firenze spalancò le sue porte aprendo un mondo di colori, suoni e profumi che Simonetta mai aveva percepito, prima di allora. Nei giorni che avevano preceduto il suo arrivo nella città e durante il viaggio aveva fantasticato su quanto avrebbe trovato, ma c'era qualcosa che nemmeno la sua fervida immaginazione aveva saputo disegnare: la gente di Firenze. Ad accoglierla ci fu l'intera città, o almeno così Simonetta credette, perché non aveva mai visto tante persone insieme, e tutte cercavano lei, con uno sguardo, un saluto. La sua fama la precedeva.

Simonetta non aveva mai domandato quelle attenzioni. Sapeva che la sua famiglia, i Signori Cattaneo di Porto Venere, aveva decantato la sua bellezza, tanto da spingere molti a cercare la sua mano, ma non aveva idea di quanto le voci si fossero diffuse, dopo che l'accordo di un matrimonio era stato siglato con la famiglia Vespucci, perché andasse in sposa al figlio Marco, giovane e ricco banchiere fiorentino. Da lì a qualche mese i due sarebbero stati uniti nelle nozze ma,

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dal momento in cui la notizia si era diffusa, l'agitazione nella città natale di Marco era cresciuta. Simonetta sarebbe stata la sposa di tutta Firenze.

La voci si susseguivano, dicevano che presto nella città culla di tutte le arti sarebbe arrivata una giovane tanto bella da arrecarle offesa, e la paragonavano a una musa ispiratrice. Per i suoi boccoli biondi, il suo portamento leggiadro e il suo sguardo incantevole, Simonetta Cattaneo poteva essere assimilata solo alla più bella di tutte le dee, Afrodite.

Davanti alla carrozza, le grosse porte di legno delle mura di Firenze si spalancarono su una via in festa. Tutte le finestre delle case erano aperte, e sui davanzali erano disposti vasi di vivaci fiori primaverili. Il cielo aveva regalato una giornata di soffici nuvole bianche e tiepido sole. I cittadini si accalcavano all'ingresso, agitando drappi di stoffa colorata, gridando il suo nome.

«Simonetta, state bene?» chiese Agnese, la giovane ancella che accompagnava ovunque la sua adorata signora. Le si avvicinò sulla scomoda asse di legno della carrozza sulla quale avevano viaggiato per ore, e le scostò una ciocca di capelli.

«Sì, Agnese, non preoccuparti per me, sono solo estasiata dalla bellezza di questa città e dei suoi abitanti.» Simonetta drizzò la schiena e sollevò la mano in direzione del gruppo di fiorentini più vicino.

«State attenta a non prendere freddo, però, la vostra salute è delicata» aggiunse la servetta, rafforzando la morsa della spilla sullo scialle pregiato che copriva le spalle della sua signora.

Simonetta, per tutta risposta, le rivolse un sorriso raggiante. Comprendeva le preoccupazioni di Agnese

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che, seppur giovanissima, aveva nei suoi confronti la premura di una madre. La sua salute era effettivamente cagionevole, ma non poteva resistere di fronte a tanto calore e affetto. Si strinse lo scialle al petto e si sollevò in piedi, protetta dalla conca della carrozza, che avanzava a singhiozzi. La calca aveva fatto agitare i cavalli, che sbuffavano e nitrivano tra la folla.

Simonetta salutava chiunque incrociasse il suo sguardo. Mandava baci e sorrisi, e cercava di rispondere a tutti i complimenti che le venivano rivolti. Un giovane le lanciò un mazzolino di fiori di prato e lei riuscì ad afferrarlo al volo, per immergervi il viso e inspirare il profumo di primavera. Fu allora che un'ombra oscurò il sole per un istante. Era stata una colomba bianca, passata con un frullio di ali. Simonetta alzò lo sguardo per cercarla, ma intravide qualcosa che la lasciò senza fiato. Oltre il profilo dei bassi tetti rossi si stagliava una curva perfetta che sembrava sfiorare le nuvole. La riconobbe subito, era la cupola del Brunelleschi. Tra tutti gli edifici sacri che Simonetta aveva visto, quello era il più armonioso. Non aveva l'ardire degli archi gotici che parevano perforare il cielo, e neppure la pesantezza dei tetti piatti. No, la sua linea era in equilibrio con la volta celeste.

Proprio in quell'istante un cavallo s'imbizzarrì, dando uno scossone alla carrozza. Agnese fu prontamente al fianco di Simonetta, sorreggendola.

«Mia signora, state attenta. La folla sta aumentando sempre più, dovremmo andare a casa» osservò la servetta, visibilmente preoccupata.

Simonetta si sedette con un sospiro, quel sobbalzo non aveva comportato un vero pericolo, per lei. Stava bene, e le voci della gente che la circondava riscalda-

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vano il cuore. Un altro motivo per cui non capiva come lui non volesse condividere niente di tutto questo. Marco Vespucci, il suo futuro sposo, se ne stava rintanato nella parte posteriore della carrozza, quella coperta dal mantice, al riparo dagli sguardi indesiderati. Per lui sembrava che nella categoria rientrassero quelli di tutti gli abitanti di Firenze. Da quando avevano avvistato in lontananza le mura della città, aveva ordinato di issare la copertura della carrozza alla sua massima estensione e vi si era rifugiato sotto, in compagnia del fedele Lapo e dei suoi registri bancari. Da allora non era più uscito. Non aveva risposto al ruggito della folla che li aveva accolti, e non aveva dedicato neppure uno sguardo alla bella Firenze.

Simonetta se ne domandava la ragione, e tra i suoi pensieri si fecero largo le fantasie più disparate, quando fu distratta da un tocco. Qualcosa stava facendo pressione sul suo fianco, tirando con gentilezza la stoffa della sua gonna. Si sporse per guardare, e capì che si trattava della piccola mano di una bambina. La carrozza si era fermata, il cocchiere stava calmando il cavallo più agitato, e la folla ne aveva approfittato per farsi più vicina. In particolare, una donna teneva sulle spalle una bambina che aveva i suoi stessi occhi verdi e lo stesso neo sotto il labbro. La piccola aveva stretto la veste di Simonetta e la stava strattonando, per attirare la sua attenzione.

«Oh, piccolina!»

Simonetta aveva la capacità di ridere, mentre parlava, la sua risata si mischiava alle parole, e ogni suono emanava buonumore. Mise il dito tra le pieghe della gonna, accarezzando via la mano della bambina come avrebbe fatto con un insetto grazioso.

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«Scusatela, signora» disse la madre, chinando il capo.

«Non dovete scusarvi, vostra figlia non ha nessuna colpa. Direi piuttosto che ha buongusto per le stoffe, questa mi è stata regalata dal mio futuro marito, Marco Vespucci. Viene dall'Oriente, l'ha acquistata durante uno dei suoi viaggi... Perdonatemi, sto parlando troppo» mormorò Simonetta, arrossendo.

Aveva pronunciato quelle parole a gran voce, osservando di tanto in tanto il mantice della carrozza, nella speranza che il suo futuro sposo si affacciasse. Nulla, però, si era mosso, in quell'ombra.

«No, è un piacere sentirvi raccontare, mia signora» la rassicurò la donna, abbracciando la figlia, che indossava una semplice casacca fatta di stracci, che contrastava ancor di più con gli indumenti pregiati di Simonetta.

La Venere di Firenze le fissò con un sorriso addolorato. Da dove veniva lei la povertà aveva un'altra dimensione. Porto Venere era una cittadina piccola, fatta di famiglie storiche, tutte intrecciate fra loro e bendisposte ad aiutarsi. Raramente aveva visto bambini vestiti di stracci. La città era diversa. Lo sapeva da sempre, e da giorni ormai si stava preparando all'impatto che avrebbe avuto, cambiando vita. Aveva detto addio alla ragazzina che si tuffava nelle onde all'alba e si era trasformata in una donna rispettabile. Almeno, ci stava provando.

Senza pensarci, Simonetta aprì la spilla e si sfilò lo scialle. Lo appoggiò sulle spalle della bambina, e disse: «So che non è pregiato quanto la gonna, ma spero sia ugualmente un dono gradito. Mi ha tenuto caldo in molte fresche mattine, spero farà lo stesso per voi».

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«Mia signora, siete troppo buona, non possiamo accettare...» cominciò la donna, visibilmente imbarazzata da quel gesto di inaspettata gentilezza.

Non era l'unica a essere stupita. Attorno a loro in molti indicavano la scena e ripetevano cosa era accaduto. La notizia passò di bocca in bocca, e in breve un mormorio di approvazione si diffuse tra i presenti.

Simonetta fece appena in tempo a salutare la bambina che la carrozza ripartì, portandola verso il cuore della città.

«Mia signora, non è stato un gesto responsabile» commentò Agnese con un sospiro grave.

«Come mai dici questo, Agnese cara?» chiese Simonetta, sedendosi accanto alla servetta, mentre la carrozza riprendeva a sobbalzare.

«Qui non siete più a Porto Venere, un paesino di pescatori e di gente di buon cuore, siete in una città di nobili e ricche famiglie che si nutrono di scandali e brindano alla rovina altrui. Ogni vostro gesto sarà osservato e giudicato.»

«E cosa c'è di male nel donare una stola a una bambina?»

Simonetta proprio non capiva.

«C'è chi potrebbe dire che l'avete fatto solo per mettervi in mostra, o chi potrebbe addirittura prenderlo come un insulto verso il popolo fiorentino. Potrebbe sembrare che abbiate giudicato bisognosa di aiuto una famiglia che invece non ne aveva...»

Simonetta lasciò che Agnese continuasse con le sue congetture. Non le andava di interromperla, d'altronde le era stata assegnata da sua madre proprio per l'esperienza come servetta di una dama della nobile famiglia Gonzaga. Conosceva le corti e le serpi che potevano

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annidarvisi. Tuttavia, poco dopo, smise di ascoltarla. Non lo fece volutamente, i suoi occhi si persero nelle meraviglie che le vie rivelavano a poco a poco, e lei si dimenticò di tutto il resto.

E ancora non aveva visto il palazzo in cui avrebbe vissuto...

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Casa Vespucci era superba. Simonetta non aveva ben chiaro il concetto di ricchezza. Sapeva di provenire da una famiglia molto agiata, grazie soprattutto alla cospicua dote di sua madre Caterina, della famiglia Spinola. Sapeva anche di essere all'oscuro degli affari dei suoi genitori. Non che ci fosse qualcosa di strano, semplicemente il suo ruolo non prevedeva che se ne interessasse e lei, con gran sollievo, aveva preso piuttosto a cuore attività come leggere, danzare o cantare. Non era consapevole di cosa significasse entrare a far parte di una nobile famiglia fiorentina.

All'ingresso la accolsero tutti i membri del casato Vespucci, ordinatamente disposti nell'ampio cortile. Simonetta avrebbe tanto voluto che Marco fosse lì con lei, ma il suo futuro marito aveva preferito seguire la carrozza nelle stalle, con la giustificazione di non voler perdere d'occhio i suoi bagagli. Simonetta preferì evitare ogni discussione, specie il primo giorno, così arrivò da sola.

I capifamiglia, i fratelli Guidantonio e Simone, furono i primi a darle il benvenuto. Erano simili tra loro, ben calati nelle loro vesti di banchieri, avevano un ta-

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glio di capelli e barba che dava un'idea di pulizia e cura e una gestualità affabile, con cui invitarono Simonetta ad avvicinarsi. La baciarono sulle guance, e lei s'inchinò con grazia.

«Cara Simonetta, siamo felici di accogliervi nella nostra famiglia, alla quale, siamo sicuri, porterete grande lustro. Ne è prova il benvenuto che Firenze vi ha dato» pronunciò Guidantonio, che era il più vecchio dei due e presentava i primi segni di calvizie.

«Vi porgiamo il benvenuto anche di nostro fratello Piero, che presto diventerà vostro suocero. Il suo impegno come membro dei Dodici oggi non gli ha permesso di essere presente» aggiunse Simone, con voce calma.

«I Dodici?» La domanda sfuggì di bocca a Simonetta, che subito si coprì le labbra. «Perdonatemi, Signori Vespucci, se non ho risposto al vostro benvenuto e sono stata vinta dalla curiosità. Vi ringrazio per l'accoglienza e spero di avere la possibilità di conoscervi più approfonditamente molto presto. So che avete avuto tutti vite entusiasmanti, sarei lieta di sentire i vostri racconti.»

Alle spalle degli uomini, sotto il portico, due donne si stavano scambiando una serie di sguardi che Simonetta non riuscì a decifrare. Una era vestita di blu e abbracciava un cagnolino dal pelo maculato, che riposava. L'altra aveva un'espressione sostenuta e una posa compita che ben si accordavano al suo abbigliamento sobrio.

«Via, cara, non rammaricatevi, sarete stanca per il lungo viaggio. Presto potrete avere tutte le risposte e i racconti che cercate, ora vi suggerisco di farvi un bagno caldo e di prepararvi per la cena» disse Guidanto-

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nio battendo le mani, come a voler vivacizzare l'atmosfera, appesantita dalle scuse di Simonetta.

«Lasciate che prima però vi presenti le donne a cui vi accompagnerete. Lei è Taddea Canigiani, moglie di mio fratello Guidantonio» disse Simone, mentre la donna vestita di blu sorrideva. «L'altra è Caterina dei Benci, madre del vostro futuro sposo e vostra futura suocera.» Un cenno del capo fu tutto quello che Caterina le rivolse.

Simonetta si guardò attorno. Sperò fino all'ultimo che Marco venisse a sostenerla in quel momento così importante, che peraltro temeva di aver già rovinato. Dalla stalla invece sopraggiunse solo un servitore. Marco probabilmente era passato da una scala interna, per evitare di percorrere il cortile. Nessuno dei membri della famiglia sembrò però dare troppo peso alla sua assenza e ancora una volta tutti la invitarono, e con estrema cortesia, a raggiungere le sue nuove camere.

Fu una servetta a mostrarle la via. Si chiamava Bice, e avrebbe accompagnato Simonetta per i primi tempi, per fare in modo che Agnese apprendesse le abitudini della casa. Il palazzo era meraviglioso all'interno come all'esterno. Pietra bianca lavorata con dovizia di particolari, su cui si aprivano grandi finestre rettangolari che si affacciavano sulle vie del centro di Firenze. La sua camera, scoprì Simonetta, si trovava al terzo piano, sufficientemente in alto da scorgere un pezzo di cielo sopra ai tetti rossi dei palazzi adiacenti. Tutto era nelle tonalità chiare del rosa e dell'azzurro. Si componeva di un'anticamera con delle panche imbottite, dove avrebbe potuto ricevere i membri della

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famiglia. Da lì una porta conduceva alla sua splendida camera da letto, spaziosa e luminosa, al centro della quale un letto a baldacchino era pronto per accoglierla.

«Vorrei prima fare un bagno, Bice» disse Simonetta alla serva. Era una donna di mezz'età che pareva avere lo sguardo assente e la mente altrove.

«Certamente, mia signora, la vasca è già pronta, faccio ravvivare la fiamma» rispose però senza indugi Bice, scomparendo oltre una porta in fondo.

Rimaste sole, Simonetta rivolse un sorriso radioso ad Agnese. «Hai visto che meraviglia? Guarda gli affreschi sul soffitto, sembra che un pezzo di cielo sia rimasto chiuso nella stanza. E il legno bianco intagliato di cui sono fatti i mobili deve provenire da una foresta in riva al mare. Riesci a sentire il profumo di salsedine?»

«Credo, mia signora, che l'odore venga dai vostri bauli, ma la camera è bella. Siete molto fortunata» replicò Agnese, indicando gli averi di Simonetta, disposti in un angolo della stanza.

«Ero così concentrata sul soffitto, che non ho badato a ciò che mi sta attorno» rise Simonetta.

«Volete che li disfi, mentre voi vi lavate?»

«Sì, ti ringrazio.»

Proprio in quell'istante però bussarono alla porta dell'anticamera. Agnese andò ad aprire e tornò qualche istante dopo.

«Mia signora, Marco Vespucci vi attende qui, se desiderate incontrarlo e non siete troppo stanca» annunciò la servetta.

Simonetta corse ad aprire la porta, incredula. Il suo futuro sposo la attendeva in piedi accanto a una panca

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con un sorriso pacato. Aveva gli occhi del mare, era la prima cosa che aveva pensato Simonetta quando l'aveva conosciuto. Un blu che cambiava sfumatura a seconda della luce, proprio come le acque di Porto Venere. Era stato il suo sguardo gentile e farla innamorare. Non che avesse avuto voce, in merito alla loro unione, ma era felice di aver trovato in lui uno spirito benevolo. In lui, ora che l'aveva conosciuta, rivide i tratti della madre. Era alto e slanciato, e portava i suoi ricchi vestimenti con spontanea eleganza. Non mancava la cura nelle sue maniere, o l'ascolto alle sue orecchie, ma pareva eternamente impegnato a pensare a qualcosa che sarebbe avvenuto a distanza di tempo, per questo Simonetta si stupì di vederlo lì.

«Mio signore, grazie di avermi fatto visita. Il viaggio è stato di vostro gradimento?» chiese Simonetta.

«Non mi invitate a sedere?» domandò Marco per tutta risposta, condendo la richiesta con un sorriso gentile.

«Questa è casa vostra, non posso darvi il permesso di fare nulla, perché già lo possedete» si affrettò a rispondere lei, non volendo mancare di cortesia.

«Sbagliate, Simonetta, queste sono le vostre stanze, qui sarete voi a decidere cosa succede. Non permettete a nessuno di dirvi cosa fare» disse Marco con serietà.

«Me ne ricorderò, mio signore.»

«Marco, Simonetta, chiamatemi Marco.»

Simonetta tentennò. Non erano ancora ufficialmente sposati e lui era di qualche anno più grande di lei, oltre che un membro di una delle famiglie più in vista di Firenze.

«Fatelo solo se vi fa piacere, ma sappiate che mi darebbe molta gioia» aggiunse il giovane.

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«Marco... sedetevi pure» gli concesse Simonetta, infine, con un timido sorriso.

Lui piegò il capo in segno di riconoscimento per il permesso ottenuto e si sedette, scostando il farsetto. «Per rispondervi, il viaggio è stato di mio gradimento, meno lo sono stati gli impegni che ho dovuto portare a compimento. Dovevo urgentemente consegnare un rapporto, che è il motivo per cui sono stato poco presente. Di questo mi scuso.»

«Non avete motivo di scusarvi, comprendo l'importanza del vostro lavoro. Una volta vostro padre ha detto al mio che, pur essendo giovane, avete l'etica per il lavoro di un uomo con il doppio dei vostri anni e della vostra esperienza. Voglio che sappiate che la reputo una grande qualità, e spero di poter fare del mio meglio per alleggerirvi dalle pene di questo compito, quando saremo marito e moglie.» Al solo pronunciare quelle parole Simonetta arrossì.

Anche Marco sembrò a disagio. Si torse le mani e tossicchiò nervosamente.

«Qualcosa non va?» chiese Simonetta, preoccupata, sedendosi accanto a lui.

Alle sue spalle Agnese tossicchiò. I due futuri sposi erano vicini. Non si stavano sfiorando, ma erano alla presenza solo della serva, e se qualcuno entrando li avesse sorpresi così, avrebbe potuto pensare che le tappe fossero state bruciate prima della celebrazione ufficiale.

Marco dovette accorgersene, perché si alzò di scatto, allontanandosi di un passo.

«Niente non va, Simonetta. Sono solo stanco dopo aver letto durante il viaggio. Attività che non consiglio: i cavalli rendono il compito tutt'altro che facile.»

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«Allora spero di vedervi ancora a cena, signore» disse Simonetta.

«Marco» la corresse lui con dolcezza, prima di lasciare la stanza in silenzio.

Simonetta attese che l'eco dei suoi passi si spegnesse e che il corridoio fuori dalla sua anticamera tornasse silenzioso.

«Agnese, tu credi che mi ami?» chiese.

«Come non potrebbe? Siete una donna bellissima» le ricordò la serva con affetto.

«Eppure, a volte ho la sensazione che con lui non basti» sospirò Simonetta, avviandosi verso il bagno.

La attendeva una stanzetta fumante di vapore, che si sprigionava da una vasca sistemata al centro. Bice se n'era andata, lasciando al suo posto le braci del fuoco che avevano scaldato l'ambiente. Simonetta permise ad Agnese di spogliarla e s'infilò nell'acqua, calda al punto giusto. Non c'era tocco che preferisse, sulla pelle e, chiudendo gli occhi, immaginò il mare. Mancava il sale, mancava il sole scottante, il rollio della risacca e lo stridere dei gabbiani. Si lasciò coccolare dal tepore, mentre Agnese le scioglieva l'elaborata treccia e le immergeva i capelli in acqua. Certo, mancava il mare, ma Simonetta non si guardava indietro con rammarico.

Aprendo gli occhi vide il profilo dei tetti e le sagome dei campanili. Dalla strada arrivavano il suono di chiacchiere animate, il nitrire dei cavalli e le risate dei bambini. Era un nuovo mondo, ma era certa di poter imparare ad amarlo come aveva fatto con la sua terra. E non era sola. Aveva Agnese al suo fianco, filo diretto con l'amore di sua madre, e aveva una nuova fami-

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glia che l'aveva accolta con calore. Non aveva nulla da temere.

Un crescente chiasso arrivò dalla strada, prima voci che si rincorrevano, poi vere e proprie urla.

«Cosa è successo?» domandò, aprendo gli occhi. Agnese andò alla finestra, pulendola dal vapore per osservare la scena.

«Non tenermi con il fiato sospeso» disse Simonetta, impaziente.

«Non capisco, mia signora, ma credo qualcosa... qualcosa che ha a che fare con la famiglia de' Medici» le comunicò.

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FIRENZE, 1469 - Simonetta è felice del contratto di matrimonio con Marco Vespucci e presto vivrà nella Firenze dei de Medici. Lì, però, scopre che niente è come si aspettava.

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