Hm9 lo voglio di k higgins

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KRISTAN HIGGINS

LO VOGLIO! traduzione di Chiara Alberghetti


ISBN 978-88-6183-489-7 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Perfect Match HQN Books © 2013 Kristan Higgins Traduzione di Chiara Alberghetti Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione HM ottobre 2014


Lo voglio!



Prologo

Il giorno in cui Honor Grace Holland compì trentacinque anni, fece quello che faceva sempre per il suo compleanno: un Pap-test. Certo, certo, Honor lo sapeva bene che una visita ginecologica, come modo di festeggiare, non era proprio il massimo. Solo che era più facile mettere in agenda il temuto appuntamento se questo doveva avvenire in una data facile da ricordare. Era più... pratico, ecco, e lei era senz'altro una persona pratica. Faith e Prudence, le sue sorelle, e Dana Hoffman, la sua migliore amica, avevano intenzione di portarla fuori, ma c'era stata una tempesta di neve nel weekend precedente, così avevano dovuto rinviare tutto. Nel fine settimana era in programma una festa con la famiglia, così se non altro il Pap-test non sarebbe stato l'unico modo di festeggiare. Si mise in posizione sulla poltrona ginecologica mentre il dottore gentilmente spostava lo sguardo altrove, e cercò di inspirare profondamente, come una volta quell'insopportabile insegnante di yoga tutto snodato le aveva mostrato con enfasi, finché lei e Dana non si erano messe a ridacchiare come due ragazzine in chiesa. Non aveva funzionato allora e non stava funzionando nemmeno adesso. Si concentrò sulla stampa di Jackson Pollock sul soffitto e cercò di pensare a qualcosa di piacevole. Doveva assolutamente aggiornare il sito web. Progettare la grafica per l'etichetta del nuovo pinot grigio dei vigneti Blue Heron. Controllare gli ordini del mese. Ma riflettendoci, il pensiero piacevole non avrebbe do7


vuto essere il lavoro. Allora cercò di pensare a qualcos'altro. Aveva dei tartufi Lindt a casa. Già meglio. «Allora, come va la vita, Honor?» le chiese Jeremy, seduto tra le gambe di lei. «Un sacco di lavoro. Mi conosci, tanto.» Certo che sì. Jeremy Lyon era un vecchio amico di famiglia, nonché l'ex fidanzato di sua sorella. Era anche gay, ma questo non rendeva meno disgustoso il fatto che in quel momento lui le stesse palpando le ovaie. Jeremy si tolse i guanti con uno schiocco e sorrise. «Tutto a posto» disse. Honor si rimise seduta in fretta, nonostante Jeremy fosse una persona assolutamente gentile e avesse quel suo famoso tocco delicato. Il premuroso dottore le porse un lenzuolino tiepido. Lui era capace di quelle piccole attenzioni. Evitava di incrociare lo sguardo con quello della paziente durante il controllo del seno, e metteva sempre a intiepidire lo speculum prima della visita. Non c'era da meravigliarsi che metà delle donne di Manningsport fossero innamorate di Jeremy, anche se a lui piacevano gli uomini. «Come sta Patrick?» chiese lei, incrociando le braccia. «Benone, grazie» rispose lui. «A proposito, ti vedi con qualcuno, Honor?» La domanda la fece arrossire, non solo perché le famose mani di Jeremy erano appena state Da Quelle Parti, ma anche perché... be', lei era piuttosto riservata. «Perché me lo chiedi?» Forse lui voleva trovarle un marito? Avrebbe dovuto rispondere di sì? Forse era proprio il caso. Brogan non aveva mai... «Devo solo farti alcune domande riguardo, ehm, ad alcuni aspetti personali della tua vita.» Honor sorrise. Nonostante fosse un dottore, Jeremy per lei era ancora il ragazzo carino che era stato con Faith durante tutti gli anni dell'università, e lui sapeva bene che Honor era poco più grande di loro due. «Se è coperta dal segreto professionale, la mia risposta è...» Sì, ecco, 8


qual era la risposta? «È sì. Più o meno. Ma se lo dici a qualcuno della mia famiglia, ti uccido.» «No, no, certo che no» disse Jeremy, rispondendo al suo sorriso. «Ma sono contento che sia così, perché, ehm...» Lei si tirò un po' più su dallo schienale. «Perché cosa, Jer?» Lui fece un mezzo sorriso, quasi una piccola smorfia. «È solo che... be', adesso hai trentacinque anni.» «E questo cos'ha a che fare con... oh.» Honor si sentì di colpo affondare lo stomaco, come se si trovasse in uno di quegli ascensori che vanno velocissimi. «Non c'è nulla di cui preoccuparsi, naturalmente» disse lui, arrossendo di nuovo. «Ma gli anni sono preziosi. Ovaricamente parlando.» «Eh? Che cosa vuoi dire?» Si tolse il cerchietto dai capelli e se lo risistemò di nuovo. Un gesto che faceva quando era nervosa. «C'è qualche problema?» «No, no. È solo che trentacinque anni sono considerati un'età avanzata per avere figli.» Lei aggrottò la fronte, poi si ricordò di non farlo. Lo specchio le aveva mostrato una ruga in mezzo alle sopracciglia proprio quella mattina (quella cavolo di luce naturale!). Avrebbe giurato che la settimana prima non c'era. «Davvero? Di già?» «Sì.» Jeremy fece una faccia strana. «Mi dispiace. È solo che la qualità delle tue uova più o meno a partire da adesso inizia a peggiorare. Da un punto di vista medico, il periodo migliore per avere dei figli è intorno ai ventidue, ventiquattro anni. Quello è il momento giusto.» «Ventiquattro?» Ma erano più di dieci anni prima. Tutt'a un tratto, Honor si sentì decrepita. Aveva una ruga in mezzo agli occhi e le sue uova stavano invecchiando! Cambiò posizione sul lettino, e nel farlo le scricchiolò l'anca. Oddio, era proprio vecchia! «Devo preoccuparmi?» «Oh, no! No. Ma potrebbe essere arrivato il momento di pensare a queste cose.» Jeremy si interruppe. «Voglio dire, sono sicuro che non ci saranno problemi. Però, sì, le 9


probabilità che riguardano malattie genetiche e infertilità iniziano ad aumentare a partire da adesso. Continuano comunque a rimanere piuttosto basse, e ultimamente le cure contro l'infertilità hanno fatto passi da gigante. C'è un dottore nel New Jersey che ha avuto buoni risultati con una donna di cinquantaquattro anni...» «Non sto pensando di fare un figlio a cinquant'anni, Jer!» Lui le prese una mano esanime tra le sue e gliela accarezzò. «Sono sicuro che non sarà così. Però io come tuo dottore devo informarti, tutto qui. È importante come dirti che devi mangiare bene. Hai anche la pressione leggermente alta, ma probabilmente è solo un effetto dell'ansia del camice bianco.» Honor non si sentiva ansiosa. O almeno, non si sentiva così quando era entrata. Ah, cavolo. E così lei adesso aveva la pressione alta, la pelle rugosa e le ovaie in via di incartapecorimento. «Hai un aspetto stupendo» proseguì Jeremy, «quindi probabilmente non c'è nessun motivo di preoccuparsi...» Probabilmente? Non è mai una bella cosa quando un dottore ti dice probabilmente! «... ma se tu adesso frequenti qualcuno, potrebbe essere ora di cominciare a pensare al futuro. E per carità, non è indispensabile avere un uomo. C'è un'ottima banca del seme...» Lei ritirò la mano, di scatto. «Okay, Jeremy, è abbastanza così, adesso.» Lui sorrise. «Scusa.» Honor cercò di nuovo di rallentare il ritmo del respiro. «Quindi, è il caso di non aspettare troppo per pensare a un figlio, è questo che vuoi dire, giusto?» «Esatto» rispose Jeremy. «E sono sicuro che non avrai nulla di cui preoccuparti.» «A parte difetti congeniti e infertilità.» «Giusto.» Sorrise. «C'è qualcosa che devi chiedermi tu?» Honor chiamò Dana dal parcheggio dell'ambulatorio di 10


Jeremy, al sicuro nel grembo della sua Prius. Ovviamente, tutto in quel momento aveva preso una piega, ehm, ostetrica. «Casa del Capello» rispose Dana. Honor sussultava sempre quando la sentiva rispondere così. «Sono io» disse. «Grazie al cielo. Ho appena finito con la permanente e il cachet azzurro mensile di Phyllis Nebbins, e c'è mancato poco che dessi in escandescenze. Ti pare che io abbia voglia di sentirmi tutti i suoi discorsi sulla sua anca nuova? Comunque, come va?» «Sono appena uscita dallo studio di Jeremy. Sono vecchia e devo fare figli in fretta.» «Sicuro?» disse Dana. «Non so se potrei sopportare di perdere un'altra amica che ha deciso di votarsi alla causa della maternità. Tutti quei discorsi di pianti, di coliche, di angioletti tenerissimi.» Honor rise. Dana non voleva avere figli – lei diceva che quello era stato il motivo principale del suo divorzio – e spesso la chiamava per descriverle i comportamenti dei bambini insopportabili che vedeva al lavoro, riportando certi dettagli che facevano accapponare la pelle. Ma a Honor i bambini piacevano. Anche gli adolescenti. Be', adorava la sua nipotina diciassettenne, Abby, e suo nipote Ned, che aveva ancora un'età mentale di quattordici anni, anche se ne aveva ormai ventidue. «A parte questo, come va?» le chiese Dana. «Ti va di uscire stasera, bere qualcosa alla salute della vecchia megera che stai diventando?» Honor rimase in silenzio per un istante. Il cuore cominciò a batterle forte. «Credo che, data la notizia, forse dovrei fare un discorsetto a Brogan.» «Quale discorsetto?» «Quel discorsetto.» Silenzio. «Ah, davvero.» «Ecco... sì.» Un'altra pausa. «Certo, posso capire la tua logica. O11


vaie che invecchiano, utero che avvizzisce.» «Se proprio lo vuoi sapere, non c'è stato accenno a nessun utero avvizzito. Ma tu cosa ne pensi di tutta questa faccenda?» «Ehm, sì, fai pure così» rispose lei con esibita mancanza di entusiasmo. Honor si sistemò il cerchietto tra i capelli. «Non mi sembri molto sicura.» «Perché tu invece lo sei, Honor? A me non pare proprio, anche se vai a letto con quel tipo da non so quanti anni.» «Parla piano, okay?» Non erano poi in tante a chiamarsi Honor a Manningsport, stato di New York, settecentoquindici anime, e lei e Dana avevano idee molto diverse su ciò di cui era il caso di parlare in pubblico. «Va be', insomma. È ricco, meraviglioso, e ormai te lo sei conquistato. E poi, tu hai già tutto. Perché non avere anche Brogan, no?» C'era quel solito tono tagliente nella voce di Dana. Honor sapeva che la sua amica aveva una visione molto rosea della sua vita, che certo, per molti aspetti era davvero bellissima. Ma come tutti, anche Honor aveva i suoi problemi. La sua condizione di zitella, per fare un esempio. E le uova che invecchiavano, per citarne un altro. Honor sospirò, poi guardò il proprio riflesso nello specchietto retrovisore. C'era ancora quella ruga. «Credo di essere solo preoccupata dell'eventualità che mi dica di no» ammise. «Siamo amiche da un sacco di tempo. Non vorrei mettere a repentaglio il nostro rapporto.» «Allora non farmi queste domande.» Gli anni sono preziosi, ovaricamente parlando. Avrebbe dovuto scambiare due parole con Jeremy su come si esprimeva. E comunque, se quello fosse stato un oracolo divino, probabilmente le parole sarebbero state le stesse. «Chi non risica, non rosica, vero?» suggerì Honor, sperando che l'amica le desse man forte. Dana sospirò, e Honor avvertì che la pazienza dell'amica stava per terminare. Non poteva certo biasimarla. 12


«Honor, se vuoi proprio chiederglielo, fallo. Fai in modo di buttarla lì, e lui probabilmente ti dirà "Cavolo, ma certo! Ti sposerò! Sei Honor Checaspiterina Holland!" Poi potrete andare alla gioielleria Harts e scegliere quel grosso diamante su cui hai messo gli occhi da un pezzo.» Okay. Quella non era niente male come prospettiva. «Be', adesso non corriamo troppo» disse Honor. Però era vero, c'era un anello nella vetrina di quel gioielliere in centro, e Honor aveva confessato – ma solo a Dana – che se mai si fosse fidanzata, quello sarebbe stato l'anello che avrebbe voluto. Solo un semplice, magnifico brillante incastonato nel platino. Honor non pensava a se stessa come al tipo di persona a cui piacessero i gioielli (indossava solo la collana di perle di sua madre) oppure i vestiti (abiti blu o grigi di Ann Taylor, camicie di buon taglio sartoriale, bianche, o a volte rosa, nei giorni in cui si sentiva più romantica), però quell'anello un certo effetto lo faceva davvero. «Devo andare, adesso» disse Dana. «Tra poco viene Laura Boothby per fare la tinta. Allora, tu stravolgigli il mondo, chiediglielo a bruciapelo, vedi cosa ti dice. Oppure no. Basta che non rimani sul vago. Okay? Ci risentiamo presto.» Riattaccò. Honor rimase seduta un altro istante. Avrebbe potuto chiamare una delle sue sorelle, ma, be', nessuna di loro sapeva di Brogan. Erano al corrente che lui e Honor erano amici, naturalmente, ma non sapevano del lato romantico della cosa. Quello che riguardava il sesso. Prudence, la più grande, sarebbe andata in brodo di giuggiole, dato che di recente era diventata una specie di gattina sexy come strano effetto collaterale della menopausa o chissà che altro. Ma Pru non sapeva tenere niente per sé e aveva il vizio di tirare fuori queste cose alle cene di famiglia o da O'Rourke, l'unico pub della cittadina. Magari... Faith, la più giovane delle sorelle Holland. Il rapporto tra lei e Honor era sempre stato un po' litigioso, ma le cose erano migliorate da quando Faith era tornata 13


da San Francisco (l'unica di otto generazioni di Holland ad avere vissuto fuori dallo stato di New York). A lei sarebbe piaciuta l'idea... le piaceva tutto ciò che era romantico, dato che lei stessa era una fresca sposina e in generale un po' sdolcinata e sentimentale. E poi c'era Jack, suo fratello. Ma lui era un uomo e non odiava niente più di dover sentire storie che confermavano il fatto che le sue sorelle fossero davvero delle donne e che, ancor peggio, avessero una vita sessuale. Quindi non c'era nessuno che potesse esserle solidale a parte Dana. Andava bene così. E comunque doveva tornare al lavoro. Accese la macchina e si diresse verso la città. Manningsport era il gioiello della regione dei Finger Lakes, nella parte settentrionale dello stato di New York, un'area rinomata per la produzione vinicola. I mesi invernali erano quelli più tranquilli dell'anno: le vacanze erano finite e la stagione turistica non sarebbe ripartita prima di aprile. I vigneti erano stati potati, e la neve ricopriva i campi. Il lago Keuka in lontananza mandava i suoi riflessi scintillanti, troppo profondo per congelarsi completamente. I vigneti Blue Heron erano la tenuta più antica che ci fosse da quelle parti, e vedere il loro stemma – un airone color oro su un fondo blu – le faceva sempre venire un moto d'orgoglio. Posizionato com'era sulla cima dell'area nota come la Collina, la terra degli Holland abbracciava più di ottanta ettari di campi e foreste. Honor superò la Old House, una casa in legno costruita nel 1781 in stile coloniale, con il tetto asimmetrico, dove vivevano (e litigavano) i suoi nonni, quasi altrettanto vecchi, poi si lasciò alle spalle anche la New House (del 1873), un grande edificio bianco in stile federale dove Honor abitava insieme al suo caro papà e alla signora Johnson, governante di lunghissima data e sovrana incontrastata della famiglia Holland. Entrò nel parcheggio posto a ridosso dei vigneti. L'unica altra macchina oltre alla sua era quella di Ned. Pru, che seguiva la parte agricola 14


del vigneto, doveva essere in uno dei capanni degli attrezzi o fuori nei campi; papà e Jack, e forse anche il nonno, stavano probabilmente controllando le enormi cisterne di metallo o giocando a poker. Honor era l'unica che andava a lavorare tutti i giorni, anche se era affiancata da Ned, che lavorava part-time. A lei andava bene così. Le piaceva essere la responsabile della parte relativa agli affari. E inoltre, data la notizia-bomba che le aveva appena dato Jeremy, aveva bisogno di pensare. Doveva fare liste e annotazioni usando penne di colori diversi. Doveva pianificare, perché gli anni erano preziosi. Entrò nell'edificio principale, attraversò la bellissima sala delle degustazioni, il negozio di souvenir e si diresse verso l'ala destinata agli uffici. La porta di Ned era aperta, ma lui non era lì. Questo le fece piacere; riusciva a dare il suo meglio quando era sola. Honor si sedette alla sua scrivania ampia e ordinata e aprì un nuovo documento sul computer. Gli uomini non erano un argomento con cui Honor avesse molta... familiarità. Con decine di loro concludeva affari, come se quello del vino fosse un settore ancora rivolto principalmente agli uomini. Se con loro doveva parlare di distribuzione, pubblicità o previsioni della vendemmia, non aveva nessun problema. Ma dal punto di vista romantico, non era molto portata. Faith, che aveva un fisico alla Marilyn Monroe, i capelli rossi, gli occhi azzurri e un'aria innocente da cerbiatta, faceva una strage già solamente uscendo dalla macchina. Pru, nonostante i suoi modi da maschiaccio e la propensione a vestirsi come un uomo, non aveva avuto problemi a sposarsi con Carl, il suo fidanzatino dai tempi del liceo. Tutti e due erano ancora piuttosto felici del loro matrimonio (anche se lo davano a vedere in pubblico con troppa facilità). Persino Dana, che quanto a uomini era particolarmente esigente, aveva sempre qualcuno che le facesse la corte, facendola immancabilmente spazientire. 15


Ma Honor, lei non ci sapeva fare. Sapeva di non essere male: peso e corporatura normale, forse non particolarmente prosperosa. Occhi castani e capelli lunghi e biondi, il suo punto forte. Aveva le lentiggini, come la mamma, e un viso gradevole. Ma in fin dei conti era molto nella media. Non altrettanto si poteva dire di Brogan Cain, che era l'incarnazione di una divinità greca. Occhi azzurro turchese (per davvero). Capelli castani, ricci. Alto un metro e novanta, fisico aggraziato, solido e asciutto. Erano amici dalla quarta elementare, quando entrambi parteciparono alle olimpiadi di matematica, gli unici due a essere stati scelti dalla maestra. All'epoca, gli altri bambini li avevano presi un po' in giro, chiamandoli i due cervelloni della classe, ma in un certo senso era stato anche bello. Nel corso degli anni di scuola, avevano mantenuto la loro amicizia. Alle assemblee sedevano vicini, si salutavano nei corridoi, coltivavano una sana competizione scolastica. Continuarono ad andare a fare dolcetto o scherzetto insieme finché non diventarono troppo grandi, poi lei cominciò a invitarlo alla New House a vedere film dell'orrore. Le cose cambiarono in occasione del ballo di fine anno. Brogan le chiese di andarci insieme a lui, dicendole che si sarebbero divertiti di più rispetto alle coppie vere, che davano così tanta importanza all'evento. Buona idea. Ma quando lei se lo vide davanti, in abito da sera, con il fiore da appuntare alla giacca, successe qualcosa. Da quel momento, lei si sentì un po' tremante e confusa in presenza di Brogan, e cominciò ad arrossire quando lui la guardava. Alle superiori ballavano insieme e quando il DJ metteva un lento, lui la circondava con le braccia, la baciava sulla fronte e le diceva: «È buffo, vero?». E poi niente, lei si innamorò, e quell'amore crebbe, ma come un virus che aveva colpito solo lei, pensava Honor a volte. Perché Brogan non provava gli stessi sentimenti. 16


Oh, a lui lei piaceva, eccome. Anzi, in un certo senso la amava, diciamo. Ma non come lei amava lui. Non che Honor gliel'avesse mai detto. Non era mica così stupida. La prima volta che andarono a letto insieme fu durante le vacanze del primo anno di università: Brogan le aveva proposto di perdere insieme la verginità perché è meglio farlo così, che con qualcuno che ami. La stessa teoria del ballo di fine anno, ma stavolta la posta in gioco era più alta. Dobbiamo dire che Honor stentava a credere che Brogan fosse ancora vergine, e c'era il fatto che lui era la persona di cui lei era innamorata. Se poi quello era soltanto un modo per portarsela a letto, lei non sollevò obiezioni. Il solo fatto che Brogan volesse fare l'amore con lei era qualcosa di miracoloso, dato che avrebbe potuto scegliersi chiunque avesse voluto. Così l'avevano fatto, e per essere stata la prima volta, andò benone. Alcune sere dopo, erano andati al cinema, ed era stato bello e divertente come al solito, anche se lei continuava a sentire quel senso acuto di incertezza. Stavano insieme? Proprio insieme insieme? No, evidentemente no. Lui le diede un bacio sulla guancia quando la riaccompagnò a casa, e le mandò delle email quando entrambi tornarono alle loro rispettive università. La seconda volta in cui andarono a letto insieme fu durante il secondo anno di università, quando lei andò a trovarlo a New York. Brogan la abbracciò e le disse quanto gli fosse mancata, e lei si sentì sciogliere. Una pizza, qualche birra, una passeggiata, poi di nuovo a casa sua, e il sesso. Honor tornò a casa trepidante di amore e di speranza... ma quando lui la chiamò, fu solo per parlare del più e del meno. Nessuna parola sull'amore e nemmeno sul sesso. Quattro volte negli anni dell'università, due volte durante la specialistica. Era senz'altro un'amicizia con alcuni extra... solo che 17


quegli extra capitavano una volta ogni tanto. E quanto all'amicizia, quella era rimasta sempre la stessa. Dopo che Honor cominciò a lavorare a Blue Heron come amministratore delegato, qualche volta chiamò Brogan se sapeva di dover andare a Manhattan per un convegno... vero o presunto, a seconda delle volte, anche se la sua coscienza all'idea di mentire provava un rifiuto. «Ciao, ho un pranzo a Soho in tarda mattinata» diceva, con lo stomaco che le si torceva, incapace di dire semplicemente Ciao, Brogan, mi manchi e sto morendo dalla voglia di vederti. «Ti va di andarci a bere qualcosa o cenare insieme?» Lui era sempre più che contento di modificare un po' il programma della giornata, se poteva, e di incontrarla e, magari, andarci anche a letto. Oppure no. Honor si faceva la predica da sola. Ricordava a se stessa che non era l'unica donna sulla piazza. Che se rimaneva fissata con Brogan si sarebbe preclusa altre possibilità. Ma pochi reggevano il confronto con Brogan Cain, e lei non aveva poi tutta questa fila di persone che non aspettassero altro che mettersi con lei. Lui diventò fotografo per Sports Illustrated, praticamente il sogno proibito di tutti i maschi americani che non riuscissero a sfondare nello sport agonistico o a diventare direttori di Playboy. Lui era così: incredibilmente fortunato, dotato di un fascino eccezionale, il tipo di persona che esce a bersi una birra, fa due chiacchiere sulla partita di baseball con il tipo che gli sta di fianco, poi inizia con lui una conversazione tranquilla e si rende conto dopo mezz'ora che sta parlando con Steven Spielberg (che poi magari lo invita anche a una festa a Los Angeles). Fotografia sportiva per Sports Illustrated? Ma sì, era perfetta per lui. Brogan ebbe l'occasione di incontrare le stelle del firmamento sportivo, come Jeter e i fratelli Manning, originari di Manningsport (o almeno era quello che sosteneva tutta la cittadina), Kobe Bryant e Picabo Street, fotografò 18


le campionesse olimpiche di ginnastica agli Universal Studios di Los Angeles. Ma in qualche modo era come se tutto questo non lo toccasse, ed era per questo che aveva per amici persone come Tom Brady e David Beckham. Viaggiava per il mondo, andava alle Olimpiadi, la Stanley Cup, il Super Bowl. Lui l'aveva persino invitata – solo lei, nessun altro degli amici – allo Yankee Stadium, nella tribuna di Sports Illustrated, per assistere insieme a lui alle finali del campionato di baseball. Era proprio quello il punto. Brogan Cain era un uomo tremendamente simpatico. Tornava a casa a trovare i genitori, andava da O'Rourke, aveva comprato la casa di famiglia quando i suoi si erano trasferiti in Florida. Si interessava anche della famiglia di Honor, e se le aveva dato buca la sera della festa del sessantacinquesimo anniversario di matrimonio dei suoi nonni era perché se n'era completamente dimenticato, be'... poteva succedere. Ogni volta che lo vedeva, Honor arrossiva. Ogni volta che la baciava, le sembrava di galleggiare su una nuvola. E ogni volta che leggeva il suo nome in un'e-mail o sul cellulare, si sentiva un fremito dentro. E poi recentemente lui le aveva anche detto che aveva intenzione di iniziare a viaggiare un po' di meno e rimanere più vicino a casa. Forse quello era davvero il momento buono. Le sue uova aspettavano, lui sembrava volersi sistemare... il matrimonio poteva essere proprio la cosa giusta. Sì. Aveva bisogno di fare un elenco. Accese il suo Mac e cominciò a battere sui tasti. Vai e colpisci, fa' che ti veda sotto una luce diversa (cerca di pensare a qualcosa a effetto). Fagli vedere il matrimonio come il naturale passo successivo all'amicizia. Fallo in fretta, prima di ripensarci per la paura. Tre ore più tardi, Honor uscì dalla macchina, si strinse 19


la cintura dell'impermeabile beige, deglutì e salì gli scalini della casa di Brogan. Si sentiva la bocca asciutta e le mani umidicce. Se non avesse funzionato... Gli anni sono preziosi, ovaricamente parlando. Honor sospirò. Ma che sospirare. Avanti tutta! Ecco, quello sì che era lo spirito giusto. Vogliamo stare in compagnia! Si immaginò che dicessero le sue piccole uova vecchiette. Nella sua mente se le raffigurava un po' abbondanti nei fianchi, con gli occhiali per vedere da vicino e una certa propensione per il gioco delle carte. Tenete duro, le avvertì. Mamma presto avrà degli ospiti! Per un breve istante, Honor si lasciò trasportare da una visione del suo futuro. La New House di nuovo piena di bambini (almeno uno o due) che si scatenavano nei campi e nei boschi con il loro papà; sarebbero stati in grado di distinguere un'uva Riesling da una Chablis prima di iniziare l'asilo, e avrebbero avuto gli occhi meravigliosi di Brogan e i capelli biondi di Honor. O magari quelli castani, ricci e corposi di lui, che erano anche più belli. Con quell'immagine stampata nella testa, bussò alla porta di Brogan. Si sentiva un forte odore di aglio, e subito lo stomaco prese a borbottarle. Perché come se non bastasse, Brogan era anche un bravo cuoco. «Ehi, On!» Okay, questo ragazzo un difetto ce l'aveva (Visto? Honor non era mica una che vedeva sempre tutto rose e fiori). Lui la chiamava così per abbreviare il suo già cortissimo nome di due sillabe e cinque lettere. Lei immaginava che lui pensasse a On, senza l'H, perché Hon sarebbe stata l'abbreviazione di Honey, tesoro, e lui non l'aveva mai chiamata così. «Che bella sorpresa!» disse lui, sporgendosi verso di lei per darle un bacio sulla guancia. «Vieni pure.» Lei entrò, con il cuore che le batteva forte. Si ricordò di sorridere. «Come stai?» gli chiese, con una voce che sembrò un po' strana perfino a lei stessa. 20


«Benone! Aspetta un attimo, devo mescolare qui, sennò ho paura che mi si bruci. Rimani a cena?» Si girò verso i fornelli. Ora o mai più. Honor si slacciò la cintura, chiuse gli occhi, aprì l'impermeabile e lo lasciò scivolare a terra. Oh, cavolo, si era messa proprio davanti al tavolo, gli avrebbe impedito la visuale. Fece il giro intorno e aspettò. Completamente nuda. Vai e colpisci, vai e colpisci... Però, faceva un certo freddo. Deglutì e aspettò un altro po'. Il padre di Brogan fece capolino dalla porta della cucina. «Che buon profumino. Oh. Ciao Honor, cara.» Il padre di Brogan. Il padre di Brogan. Oh, merda. Honor si precipitò sotto il tavolo, e nel farlo buttò giù una sedia. Strisciò quel tanto che bastava per afferrare quel cavolo di impermeabile e se lo mise davanti. Osservò che il pavimento avrebbe avuto bisogno di una pulita. «Cara, tutto bene?» chiese il signor Cain. «Dicevi che c'è Honor, qui?» fece sua moglie. Oddio, voglio morire pensò Honor, mettendosi l'impermeabile intorno alle spalle con uno scatto. «Ehm, un attimo» disse, con un tono di voce più acuto del normale. Brogan abbassò lo sguardo con un'espressione confusa. «On? Che ci fai sotto il... oh, cavolo!» «Ciao» rispose lei, cercando di infilare un braccio nella manica. «Papà, mamma, potete uscire un attimo?» Stava già scoppiando a ridere. Dove cavolo era la manica? Brogan le si accucciò di fianco. «Vieni fuori da lì sotto» riuscì a dirle, asciugandosi gli occhi. «Per ora sei salva.» Lei strisciò fuori dal tavolo, si rialzò e si avvolse l'impermeabile intorno. Bello stretto. «Sorpresa» disse, con il viso in fiamme. «Scusami, non farò mai più improvvisate del genere.» Lui le fece alzare il mento, ed eccolo lì, quel sorriso ma21


lizioso, leggermente lascivo, lo sguardo vivace. Lei si sentì attraversare da un brivido, la libidine le si mescolava con la vergogna. «Scherzi? Adesso piacerai a mio padre ancora più di prima.» Quelle parole le diedero speranza. Honor sorrise – non era facile ma lo fece ugualmente – e si risistemò il cerchietto. Cavolo, si era dimenticata di lasciarlo a casa. I cerchietti con i cagnolini non andavano molto d'accordo con uno spogliarello. «Quindi... okay.» Lui rise e la strinse con un braccio, poi si girò verso il soggiorno. «Papà, mamma, potete tornare adesso!» urlò. Così i due entrarono in cucina, lei con uno sguardo di disapprovazione, lui sorridente. Coraggio, Honor. «Scusatemi tanto» disse. «Non ce n'è alcun bisogno» disse il signor Cain, che rimase senza fiato dopo una gomitata nelle costole da parte della moglie. «I miei genitori sono venuti a farmi visita» disse Brogan, con una risata negli occhi. «Già, vedo» mormorò Honor. «Come si sta in Florida?» «Benissimo» rispose il signor Cain cordialmente. «Fermati a cena, cara.» «Oh, no. Lei è... non posso. Grazie, comunque.» Brogan la strinse di nuovo a sé. «Ma certo che puoi. Solo perché ti hanno vista nuda, non c'è alcun motivo per provare imbarazzo. Vero, mamma?» «Già, meglio riderci su» borbottò Honor. La signora Cain era ancora in modalità acidume. «Non sapevo che voi due vi foste messi... insieme.» A lei Honor non era mai piaciuta. Come qualsiasi altra donna interessata a suo figlio, pensò lei. «Honor, per favore, rimani» disse Brogan. «Se te ne vai adesso non faremo altro che parlare di te.» Le fece l'occhiolino, per nulla turbato dallo spettacolo di prima. Le prestò un paio di pantaloni della tuta e una maglia, e Honor si cambiò nel bagno del piano di sotto, evitando di guardarsi in faccia allo specchio. Okay, solo una veloce 22


occhiata. Sì, vero, aveva un'aria totalmente mortificata. Ma se voleva diventare la moglie di Brogan, avrebbe dovuto buttarsi alle spalle quella piccola sconfitta. Sarebbe diventato un aneddoto della famiglia Cain. Ci avrebbero riso su. E anche parecchio, senza dubbio. Brogan rimediò all'imbarazzo che aleggiava su quella cena parlando del più o del meno, raccontando loro dell'imminente stagione di baseball e dell'infortunio di questo o quel giocatore, e Honor cercò di dimenticarsi che il signor Cain l'aveva vista nuda. Grazie al cielo, lui e sua moglie erano lì solo di passaggio per andare a Buffalo a trovare la zia di Brogan. Magari la serata non sarebbe stata un fiasco totale, dopotutto. Finalmente se ne andarono, e nell'istante in cui la loro macchina uscì dal suo garage, Brogan si girò verso di lei. «È stato probabilmente il momento migliore della mia vita» disse. «Sì. Mi fa piacere» disse lei, arrossendo di nuovo. Ma sorrise anche perché sentiva tornare di nuovo quel leggero senso di agitazione, una specie di formicolio. Era... gratitudine, anche se lei non avrebbe voluto ammetterlo. Brogan Cain, il fotografo sportivo super bello, le aveva appena fatto un complimento. «Allora, facciamo finta che la serata sia iniziata proprio adesso, va bene?» disse lui, sorridendole. «Tu vai fuori, io sento bussare pian piano e guarda chi si vede, la bellissima Honor Holland!» La condusse alla porta e la fece gentilmente uscire, anche se la pioggia nel frattempo si era trasformata in nevischio. Così Honor lo fece di nuovo, e questa volta le cose andarono un po' di più secondo i suoi piani. Eccetto il fatto che il tavolo della cucina era pieno di piatti, e così dovettero andare nel letto di Brogan. Dopo, mentre il cuore le batteva all'impazzata, non solo per lo sforzo, ma anche per il terrore, diciamocelo, cercò di inspirare profondamente per calmarsi. Tranquilla, si disse. È tuo amico. 23




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Questo volume è stato stampato nel settembre 2014 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)


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