Eterna passione

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I raggi del sole creavano giochi di luce nell'ampia sala. Il piano nobile di Palazzo Spada ne era inondato a quell'ora del pomeriggio, un momento che Maria Margherita aveva imparato ad ascoltare, facendo attenzione a ogni dettaglio. Quel giorno i raggi, attraverso i vetri delle numerose finestre dell'edificio, scaldavano le stanze facendo scintillare l'aria.

Nel frattempo, lì nella sala, le tre amiche conversavano già da un po'.

Finalmente, sospirò Maria tra sé.

Era lieta di potersi concentrare sui fasci luminosi che colpivano l'enorme tavolo in legno, poi le pareti piene di quadri dalle ampie cornici dorate a creare ombre nei toni caldi.

Davanti a lei, Caterina Bernini, di origini fiorentine, era perfettamente calata nel ruolo della giovane nobile che conosceva ogni sussurro di Roma. D'altra parte, Caterina frequentava tutti i salotti e presenziava a ogni evento, lettura, e iniziativa mondana. Rinomati erano i suoi ampi boccoli scuri, come pure le occasioni in cui aveva indossato abiti con scollature più provocanti di quanto non fosse permesso dai dettami della corte papale. Quel giorno portava un abito

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verde con le lunghe maniche orlate da un prezioso pizzo bianco che ricopriva anche lo scollo. La passione di Caterina per la più frizzante moda francese dell'epoca si rintracciava nel taglio a forma di foglia che scivolava verso l'attaccatura del seno. Maria non avrebbe mai osato mostrarsi con un abito così appariscente, tuttavia apprezzava il coraggio e la vitalità dell'amica.

Invece la minuta Lavinia Marescotti preferiva un aspetto sobrio, non le piaceva attirare l'attenzione. La sua famiglia era originaria del Nord, precisamente della ridente città di Bologna, ma i suoi genitori appartenevano al ramo insediato a Roma, mentre gli zii si erano trasferiti a Parigi. Ecco perché era lei la principale fonte delle novità francesi che infiammavano la focosa Caterina, anche se poi Lavinia, così pacata e moderata, non le indossava e, anzi, parlava a bassa voce, ed era un'attenta osservatrice. Quel giorno indossava un abito color pastello, con le maniche a tre quarti. Era un rosa chiaro con un nastro più scuro a delineare la vita sottile della ragazza. Lei non era mai appariscente. Maria strinse gli occhi. Peccato che così facendo l'amica rischiasse sempre di non essere notata, quando in realtà era una persona estremamente colta, leggeva molto, quasi quanto lei.

In effetti era Maria, tra le amiche, la più appassionata delle parole, specie quelle scritte. A corte non tutti lo apprezzavano: era stato così che aveva perso i suoi primi pretendenti, che non avevano gradito una donna in grado di argomentare alle cene e di rispondere anche agli uomini.

Maria si sistemò una lunga ciocca morbida color mogano. Per fortuna era già promessa sposa.

E quel pensiero le fece subito mettere a fuoco Francesco Strozzi. Lui l'aveva corteggiata a lungo l'anno precedente e,

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quando alla fine lei aveva ceduto, i suoi genitori ne erano stati sollevati. Soprattutto suo padre, il Conte Alessandro Spada, erede del cardinale Bernardino Spada di Ravenna. E lei era la sua unica erede. Il conte non poteva rischiare l'umiliazione di una figlia senza un marito appartenente alla nobiltà romana.

«Non sono passati nemmeno trent'anni...» le aveva ripetuto suo padre prima dell'incontro fatale con Francesco Strozzi di appena un anno e mezzo prima. «... dalla Bolla Urbem Romam del nostro illustrissimo Benedetto IV. Lì sono state riconosciute ben centottantasette famiglie nobili, di queste una sessantina sono addirittura coscritte, particolarmente importanti per la storia della nostra gloriosa città o per la fedeltà al nostro illustre papa o, ancora, perché appartenenti fin dai tempi antichi al governo romano. Possibile che non tu non riesca a incontrare uno dei rampolli di queste famiglie e convincerlo delle virtù che possiedi?»

Maria scacciò quel ricordo spiacevole. Suo padre non faceva altro che predicare lo stesso sermone di continuo. La verità era che Roma era piena di scapoli, ma nessuno di loro era interessante per lei. Certo, non era così sciocca da ignorare il peso del casato, del patriziato nonché della condizione economica e del potere che ne derivavano. Lì alla corte del papa, si cadeva in disgrazia facilmente se non si seguivano certe regole.

Eppure, per tanto tempo a Maria era sembrato che nessuno di quei giovani, sorridenti e brillanti, fosse degno di un suo sguardo. A volte riusciva a passarci qualche pomeriggio, ma perlopiù non la interessavano abbastanza.

«Sei troppo distaccata» le aveva detto suo padre, un giorno di qualche anno prima. «Devi imparare ad aprirti ai sentimenti che la relazione con un uomo genera.»

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E Maria si era morsa le labbra. Come poteva rispondergli qualcosa? Proprio a lui che era sempre impegnato a celarle cosa provava! Ma, soprattutto, c'era una verità che non aveva voluto confidargli: lei aveva già scoperto tanti sentimenti. Uno in particolare che l'aveva cambiata fin da ragazzina. L'amore. Ma poi l'aveva perso. E da allora, e per tanto tempo, si era sentita circondata da ombre, ogni nuovo incontro era stato come ricoperto da una patina opaca, benché alcuni di quei giovani fossero anche molto affascinanti, eppure questo non era mai stato sufficiente.

Finché non aveva conosciuto Francesco.

Mentre pensava a lui, un tocco caldo sul braccio la scosse. Era la piccola mano di Lavinia.

«Stai bene?» le sussurrò fissandola in quel suo modo così attento che pareva capace di entrarle nell'anima.

Caterina si appoggiò allo schienale imbottito. «Certo che sta bene! Sta pensando a quel marcantonio del suo promesso sposo!» disse, sorridendo maliziosa.

Maria arrossì lievemente. «Tornerà fra due settimane al massimo, in tempo per i festeggiamenti del carnevale.»

E il solo pensiero le fece accelerare i battiti. Francesco era un giovane molto carismatico, aveva occhi neri intensi e un fisico scolpito. Fin dal primo momento che lo aveva visto, un brivido l'aveva percorsa. In realtà si erano proprio scontrati, per strada. Lui indossava un cappotto di fine broccato turchese con intarsi color nocciola come la giacca che s'intravedeva sotto e i pantaloni a tre quarti a fasciargli le gambe muscolose. Quel contatto improvviso aveva rischiato di farla cadere, ma il giovane l'aveva afferrata con una rapidità che l'aveva lasciata senza fiato. Si era ritrovata così vicina al suo viso abbronzato e un aroma speziato l'aveva investita.

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Per la prima volta la nebbia che di solito la circondava si era diradata.

«Maria... torni fra noi?»

Caterina la fissava con le sopracciglia, perfettamente curate, alzate.

«Oggi proprio non riusciamo ad avere la tua attenzione» aggiunse un po' indispettita sorseggiando del caffè ormai freddo.

«Scusatemi» si affrettò a rispondere lei. «È stato un lungo inverno...»

Solitario, pensò. Ma non lo disse. Gli Strozzi erano marchesi che curavano diverse attività di famiglia, da Firenze fino alla fortezza di Ferrara. Per questo anche Francesco era spesso in viaggio, e quell'inverno in particolare era stato molto assente da Roma, lasciandola sola e decisamente annoiata.

Per fortuna il carnevale era in arrivo. Anche questo non lo avrebbe mai detto ad alta voce, ma era uno dei momenti più eccitanti dell'anno, almeno per lei. Certo, la corte papale deplorava i festeggiamenti tipici di quel periodo: in realtà nessun festeggiamento era ben visto, e il carnevale meno di tutti. Ma nessuno fra i nobili romani avrebbe mai rinunciato alle maschere per strada, agli spettacoli improvvisati, ai tornei e alle corse dei cavalli.

«Sei ancora triste per la lontananza di Francesco?»

La voce di Lavinia la fece voltare verso di lei. L'amica la osservava, Maria sapeva che non la stava giudicando, eppure non aveva voglia di affrontare quel discorso.

«Ma no» rispose cercando di sorridere. «Come dicevo, è stato un lungo inverno, e devo anche essermi raffreddata la settimana scorsa, ma ormai tutto passerà in fretta.»

«Col carnevale!» intervenne Caterina inclinando la testa.

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«Ne parlano già in tanti» aggiunse Lavinia stringendo gli occhi. «Alcuni ricordano però la possibile condanna a morte per chi trasgredisce e festeggia, e tutto dipende da cosa decide Monsignor Reverendissimo il Governatore.»

«Suvvia, Lavinia cara!» esclamò Caterina portandosi una mano sul petto in un gesto fin troppo teatrale. «Abbiamo detto di non incupire Maria, e poi queste sono assurdità! Sappiamo benissimo che ci saranno tutti gli eccessi possibili e anche di più. Questa è Roma e il carnevale è il nostro momento di trasgressione nonostante la corte papale e i doveri!»

Maria sorrise. L'amica non aveva tutti i torti e lei aveva un gran bisogno di momenti leggeri.

«Faccio portare altra cioccolata calda?»

Quando Isabella, la longilinea cameriera, entrò nella sala, Maria aveva già chiesto ben due volte altre bevande calde. Ecco perché l'ampio tavolo era ancora imbandito con i resti di quel pomeriggio tra amiche che si era fatto decisamente più lungo del previsto.

«Non abbiamo bisogno di altro, Isabella» disse mentre Lavinia e Caterina ancora dibattevano su quale fosse stata la poesia più interessante all'ultima lettura della sera precedente nel rinomato salotto della letterata Maria Pizzella.

«Le parti in francese erano molto belle, forse si potevano evitare le strofe con richiami inglesi» stava dicendo Caterina con il solito cipiglio deciso. «Non so, apprezzo il coraggio e l'ardire, ma le due lingue hanno sonorità così diverse...»

«Eppure Donna Maria pareva molto coinvolta e allegra» intervenne Lavinia con le mani strette in grembo. «Però ultimamente le è tornata quella malinconia negli occhi...»

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«Per forza» ribatté Caterina fissando distrattamente i piatti vuoti davanti a loro sulla tavola. «Non ricordi che ricorre l'anniversario della morte della povera Violante?»

Maria si mise una mano davanti alla bocca. «Hai ragione, mi era passato di mente» rispose. «Dev'essere molto difficile, era la sua unica figlia, e poi ormai nell'aria ci sono già i preparativi per il carnevale...»

«Ma Donna Maria è abituata a ciò che accade a Roma in questo periodo, sa che la nostra città ne ha bisogno, e poi ieri sera c'erano alcuni artisti forestieri di passaggio che si sono fermati per omaggiarla» disse Lavinia con gli occhi chiari accesi di una luce intensa, come quando trovava il significato di qualcosa di difficile. «In tutta onestà io credo che un po' di allegria le faccia bene, anche se il suo sguardo può velarsi ogni tanto.»

«Concordo» annuì Caterina tornando a fissare le amiche dall'altra parte del tavolo. «E poi ho sentito l'avvocato Tuccimei dire che quando ella verrà a mancare, il più tardi possibile ci si augura, le verrà dedicata un'accademia per il suo prezioso apporto alle arti e alla cultura romana.»

«Intendi Cristoforo Tuccimei? Il forestiero che viene da quello sperduto paese a ore di viaggio da qui? Come si chiama? Ah, Sezze» disse Maria che aveva una memoria fotografica e ricordava dettagli anche minuscoli se li aveva potuti osservare almeno una volta. In questo caso era stata sua madre, anni prima, a mostrarle su una vecchia mappa, in biblioteca, dove si trovava il paesino: aveva spostato il suo dito sottile dal punto in cui era indicata Roma, a metà della loro penisola, più in basso tra verdi colline.

«Ormai non è più considerato un forestiero, cara Maria!» precisò Caterina. «Se non erro è in città da diversi anni.»

«Sono quasi sette gli anni, da quando arrivò con la fami-

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glia» intervenne Lavinia. «Ed è già molto vicino al nostro illustrissimo papa, ho sentito che gli è davvero fedelissimo ed estremamente devoto.»

«Dev'essere per questo che lui e la moglie, Donna Claudia, vestono sempre di nero» rifletté Caterina. «Peccato, perché gli abiti di corte alla spagnola così cupi non le donano per nulla con quell'incarnato pallido...»

In quel momento un leggero tossicchiare le fece voltare tutte e tre all'unisono.

Isabella era ancora in piedi, rigorosamente a qualche passo dal tavolo, dietro alla padrona.

«Chiedo scusa, contessina» disse abbassando lo sguardo. «Porto una missiva di vostro padre.»

E dopo aver pronunciato queste parole, allungò un piccolo vassoio in argento lucido, dalla forma allungata, su cui era posata una busta candida.

Maria alzò le sopracciglia perplessa. Cosa poteva mai volere suo padre stavolta? Non ricordava nemmeno l'ultima volta che le aveva mandato qualcosa per iscritto. Di solito la attendeva lungo il corridoio principale del palazzo, tra i quadri più preziosi, nel punto in cui s'incrociava con l'ampia scalinata, formando una sorta di area di passaggio dove il soffitto era riccamente affrescato con una scena di caccia. Era una specie di accordo tra loro, iniziato quando lei aveva compiuto venticinque anni e suo padre l'aveva dichiarata sufficientemente matura per partecipare ad alcune questioni di famiglia. Prima di allora si erano visti alle cene formali.

La giovane donna afferrò la busta ancora incerta.

«Potete andare, Isabella» disse notando l'imbarazzo della cameriera. Poi ci ripensò e le chiese: «Sapete se mio padre è ancora a palazzo?».

La ragazza scosse la testa leggermente. «No, contessina,

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è uscito porgendo alla signora Prisco questa missiva per voi e raccomandandosi che a Donna Emilia fossero prestate le migliori cure per la cena.»

Maria strinse i denti. Come sempre suo padre era impeccabile quando si trattava di orchestrare qualcosa, dando ordini. Era uscito per non doverle parlare direttamente, era più che ovvio. E aveva lasciato alla governante e alle cameriere il compito di far mangiare sua madre...

Si alzò di scatto. «Molto bene, grazie, Isabella.»

Si avvicinò all'ampia finestra circondata dai drappeggi color vermiglio. Ormai il cielo si era inscurito, il sole era tramontato e restavano all'orizzonte alcune sfumature appena più chiare.

Lavinia, dietro di lei, le posò una mano sulla spalla. «Tua madre come sta?» le chiese con la solita delicatezza nella voce.

Pochi attimi dopo udirono il rumore della porta che veniva chiusa dalla cameriera. Erano di nuovo sole.

Maria si concesse un lungo sospiro.

«Ultimamente è molto stanca» disse mentre anche Caterina la raggiungeva.

Ora le tre amiche fissavano fuori dalla finestra, lo scorcio di Roma che avevano davanti era come sempre affascinante, i tetti e gli edifici maestosi punteggiavano l'orizzonte sovrastato dal cielo sempre più scuro. Le prime luci delle candele iniziavano a fare capolino alle finestre di tutti i palazzi.

«Stasera non si alzerà di certo per cena» aggiunse la giovane donna, sospirando di nuovo. «E se mio padre ha fatto tante raccomandazioni è perché ha mangiato poco anche a pranzo; ormai capita spesso.»

«Vedrai che con la primavera in arrivo e un po' di riposo,

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starà sempre meglio» disse Caterina, una nota dolce inusuale nella voce.

«Però questo significa che potrei ritrovarmi a tavola da sola con padre Gonzalez» aggiunse Maria cercando di sdrammatizzare. «Ormai sopporto gli aneddoti sui suoi viaggi ancor meno delle chiacchiere del nipote del cardinale Rocci...»

«Ma chi? Quello mezzo pelato che parla quasi solo in greco?» intervenne Caterina.

Lavinia alzò le spalle. «Il problema non è il greco, cara amica, ma che si ostina a usarlo com'era nel parlato antico, e questo rende impossibile capire la metà delle cose che dice!»

Scoppiarono a ridere tutte e tre mentre Maria ancora stringeva tra le mani la busta inviatale dal padre.

Non sapeva spiegarsi come mai, eppure sentiva che si trattava di qualcosa di poco piacevole e quel giorno non aveva la forza per affrontare nient'altro. Oltre agli sproloqui serali di padre Gonzalez.

In fondo, se fosse stata una questione urgente l'avrebbe fatta chiamare o l'avrebbe aspettata al solito posto.

No, pensò, aspetterà.

E fissò il proprio riflesso nel vetro dell'ampia finestra. I lunghi capelli le incorniciavano un ovale delicato. Aveva scelto per quel pomeriggio un abito con la gonna ampia color turchese e le maniche a tre quarti che terminavano in un ricamo delicato. Le piaceva la robe à la française, anche se ormai quell'abito era più indicato per gli eventi mondani o le celebrazioni papali. Per questo si era fatta confezionare un intero guardaroba su misura, adatto alle occasioni romane più informali, con gonne decisamente meno gonfie e senza lo strascico che era invece proprio della moda fran-

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cese di corte. Di solito evitava le scollature pronunciate. Quel giorno aveva scelto di impreziosire il proprio abito con una stoffa orientale con cui si era fatta coprire le spalle creando onde di un azzurro delicato. In realtà, Isabella aveva insistito per celare la scollatura quadrata dell'abito con un piccolo scialle della stessa tonalità, un fisciù interamente in seta, e Maria aveva ceduto. Faceva ancora troppo freddo perfino lì a palazzo.

Sorrise all'immagine riflessa. Il suo promesso sposo le ripeteva spesso che era molto bella e col tempo Maria si era anche convinta che fosse vero.

Eppure, quella sera un misto di inquietudine la avvolgeva come un'ombra cupa. Si sentiva a disagio, incerta.

Come se qualcosa stesse per succedere. Qualcosa che avrebbe cambiato molte cose nella sua vita.

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