BN43_ANIMA NERA

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Sins Of The Soul HQN Books © 2010 Eve Silver Traduzione di Caterina Pietrobon Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne luglio 2011 Questo volume è stato impresso nel giugno 2011 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 43 del 15/07/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Dedica

Immobile, guardo le nuvole che si avvicinano. Rabbiose, si arrotolano scontrandosi l'una sull'altra, mescolando i loro colori, un grigio peltro e un grigio carbone, fino a che non ne resta che una sola: un'unica massa fredda che inghiotte la striscia della spiaggia e l'acqua che ribolle contro gli scogli. Sono solo e vengo risucchiato dalla tempesta imminente. Ci affogo, provando un senso di repulsione, ma sentendomi anche magneticamente attratto da essa. Il controllo è il mio liberatore, la mia nemesi. Mio padre mi ha insegnato a liberarmi dei miei demoni privati quando devo. E cosÏ io non lo faccio mai. Non piÚ. Ho imparato che il suo non è l'unico modo. Alastor Krayl



1 Inferi, territorio di Sutekh Alastor Krayl sollevò la punta di un piede, impeccabile nel mocassino italiano, e arrestò la testa recisa che rotolava verso di lui sul pavimento in pietra arenaria. Era come fermare un pallone da calcio, solo che la testa non era perfettamente rotonda, con quel moncone di collo che spuntava su di un lato. Il bordo era lacero come se qualcuno avesse divelto il capo come si faceva con un tappo a vite. Il sangue era esiguo e ormai secco, a scaglie, il che significava che la decapitazione non era particolarmente recente. Risaliva a un giorno prima, forse a due. Da quella posizione scorgeva solo un anello di capelli grigio acciaio tagliati corti e la pelle della volta cranica. L'avvicinò con la punta del piede, abbassò lo sguardo sui lineamenti – fronte ampia, naso aquilino – e celò la propria sorpresa comprendendo all'improvviso. Maledizione. Suo fratello maggiore Dagan pronunciò a fior di labbra il nome: «Gahiji» nello stesso istante in cui il minore, Malthus, si chinava leggermente constatando: «È morto». «Ne sei proprio sicuro?» Nonostante la situazione, ad Alastor scappò quasi da ridere. Gahiji era già morto un'altra volta, circa duemila anni 7


prima, ma a quel tempo gli era stata offerta una seconda vita come mietitore, che lui aveva accettato. Stavolta non ci sarebbe stata una ulteriore possibilità. Stavolta era morto per sempre. «Chi di voi l'ha ucciso?» chiese Alastor infilando le dita tra i capelli di Gahiji e sollevando la testa come se fosse stata una borsa. Dal profondo dell'animo rimpiangeva di non essere stato lui a vendicarsi, decapitandolo con un colpo netto. Lui però avrebbe agito in quel modo solo dopo avergli estorto le informazioni sulla morte del fratello. Dovevano recuperare i resti di Lokan. Dovevano ritrovarne il Ka, l'anima, ricongiungerla al corpo e rianimarlo prima che lui consumasse il cibo dei defunti, restando così intrappolato per l'eternità nel limbo in cui era finito, separato per sempre da loro. Il Ka di Lokan però non era in nessuno dei territori degli Inferi di cui loro conoscevano l'esistenza: era altrove e nessuno sapeva dove cercarlo. Dannazione. Si erano attesi un qualche tipo di contatto. Tra fratelli era sempre esistita la capacità di percepire la sofferenza degli altri, di avvertire quando uno di loro aveva bisogno di aiuto. E invece non c'era stato nessun tipo di segnale. Ovunque Lokan si trovasse, era al di fuori della loro portata. Irraggiungibile. «Quanto mi piacerebbe poter dire che sono stato io» replicò Dagan, con un'espressione impassibile e con gli occhi di un grigio più freddo dell'asfalto in inverno. Alastor non ne dubitava minimamente. «Mal?» Il fratello allargò le braccia, stringendosi poi nelle spalle e scuotendo il capo. Per esclusione, Alastor rivolse lo sguardo sul quarto componente del gruppo all'estremità opposta della sala lunga e stretta: Sutekh, la divinità più potente degli Inferi. Era conosciuto con molti nomi: Seth, Set, Seteh, Signo8


re del Deserto, il Potente dalla Doppia Forza, Signore del Caos, Signore del Male. I Krayl lo chiamavano papà. O, quanto meno, lo faceva Alastor. Gli altri fratelli preferivano evitare qualsiasi rivendicazione verbale della parentela, come se, omettendo l'appellativo, potessero ricusare la loro relazione genetica. La loro era quella che la psicologia popolare definiva una dinamica famigliare anomala. Con un'espressione impenetrabile, Sutekh rivolse loro uno sguardo risoluto. Poteva assumere qualsiasi aspetto soddisfacesse la propria fantasia e quel giorno aveva un volto umano e le sembianze di una divinità egizia: la pelle olivastra, gli occhi grandi e scuri, contornati con il kohl, una barbetta lunga e stretta che scendeva dal mento. Le pieghe sgualcite del copricapo gli incorniciavano il viso e il tessuto del gonnellino regale era avvolto intorno al corpo in senso antiorario. Il tutto era teso a significare che non si trovavano lì per parlare di facezie. Sutekh non aveva nessuna voglia di scherzare. «Localino interessante» mormorò Mal osservando pigramente l'ambiente. «C'è un motivo particolare che ci ha impedito di incontrarci nel tuo salone di ricevimento?» «Gahiji era un traditore» replicò Sutekh. Era vero. Quel bastardo era stato presente mentre sul torace di Lokan tatuavano una versione inversa del simbolo di Aset, la nemica di Sutekh. Era rimasto a guardare mentre il giovane veniva scuoiato, macellato, il corpo fatto a pezzi e le sue parti disperse. O forse Gahiji aveva persino brandito il coltello, era stato qualcosa di più di un semplice osservatore. Forse era stato lui a stendere poi con gli spilli quella pelle, a metterci intorno una cornice di plastica nera e a inviarla a Sutekh quale prova del misfatto. La rabbia di Alastor si smorzò. «Se ha potuto tradirti uno come Gahiji, senza dubbio potranno farlo anche altri dei tuoi servi.» 9


«Sì.» Alastor fissò i blocchi in solida pietra arenaria che fungevano da pareti e il pavimento dello stesso materiale. Si trovavano in un unico vano, basso e stretto, chiuso all'estremità da uno spesso portone in legno. Niente finestre. Nessun angolo in cui qualcuno potesse ascoltarli di nascosto. «Dunque questo è il tuo equivalente del cono del silenzio» concluse Mal, riferendosi al programma televisivo. Sutekh non colse minimamente l'ironia scherzosa del paragone. «Non esiste un posto sicuro» ribatté inespressivo, scivolando con lo sguardo su ciascuno dei suoi tre figli e forse indugiando per una frazione di secondo in più su Dagan. «E nessuno è affidabile.» «Stai forse insinuando qualcosa?» domandò il maggiore, piano. Alastor si frappose tra i due troncando la discussione sul nascere. Non aveva alcun senso rispolverare il fatto che Sutekh deplorasse la nuova compagna di Dagan, Roxy Tam. Lui invece la apprezzava senza riserve. E, anche se non l'avrebbe mai ammesso, una parte di lui invidiava Dagan per aver trovato l'amore. Un amore romantico. Cavalleresco. Be', certo, nei limiti in cui Dagan poteva definirsi cavalleresco. Alastor invece era davvero cresciuto assimilando l'arte della cavalleria fin dalla nascita. Ma era accaduto quando aveva vissuto la vita di un umano, prima di conoscere le proprie vere origini: era un mietitore d'anime, uno dei figli di Sutekh. Da molto tempo ormai aveva cessato di pensare alla galanteria e all'amore. Ciononostante era felice per Dagan. «Gahiji è stato il tuo braccio destro per quasi duemila anni e ci ha tradito tutti» puntualizzò Alastor. Se bisognava incolpare qualcuno, tanto valeva mettere bene in chiaro di chi si trattava. Il volto di Sutekh restò impassibile, ma il freddo umido 10


che di colpo filtrò attraverso le pareti e dal pavimento rifletteva il suo stato d'animo. «Noi siamo i tuoi figli» proseguì Alastor, affidando all'ultima parola il peso del proprio messaggio. Gli esseri che si trovavano in quella stanza non erano il nemico. Lanciò un'occhiata eloquente a Dagan. «Siamo tutti figli tuoi e ti siamo fedeli, che tu approvi le nostre scelte o no.» Sì, loro gli erano fedeli, ma chiunque altro era sospetto, sia nei ranghi di Sutekh sia in qualsiasi altro territorio. «Bene, e ora che cosa si fa?» chiese Mal, indicando la testa mozzata con un cenno del capo. «Ciò che abbiamo sempre fatto da quando Lokan è stato ucciso.» Alastor soffocò un moto di rabbia e di dolore al pensiero di Lokan e della sofferenza che gli era stata inflitta. Voleva, o meglio, provava il bisogno di scovare i maledetti bastardi che lo avevano assassinato. E ricambiare il favore. Lui doveva la vita a tutti i suoi fratelli, ma soprattutto a Lokan, per tutte le volte in cui l'aveva tirato fuori dai guai quando le cose si erano messe al peggio. «Dobbiamo far di meglio, accidenti!» asserì con decisione. «Ogni minima informazione, non importa quanto assurda possa sembrare, deve essere verificata con attenzione assidua.» «Assidua?» chiesero all'unisono Dagan e Mal, quindi Dagan aggiunse: «È la parola del giorno?». Mal sbuffò ridendo. Alastor socchiuse gli occhi. «Ma levatevi un po' dalle palle!» Sollevò il capo e si accorse che il padre li fissava, senza tradire alcuna emozione. Percepì comunque la sua sorpresa. «Ma tra voi bisticciate...» osservò Sutekh. «Spesso e volentieri.» «Ne sorridi.» «È proprio questo il punto.» 11


Era insolito che si ritrovassero tutti insieme nel regno di Sutekh, il quale aveva raramente l'occasione di osservare le interazioni della propria progenie. Alastor sospettava che lui preferisse che fosse così perché le loro tendenze umane lo confondevano. Se mai fosse stato soggetto a confusione. Difficile a dirsi. «La rivuoi?» gli domandò sollevando la testa di Gahiji e lanciandogliela. La mano del padre scattò in alto con un movimento talmente repentino da essere a malapena percepibile, e prese al volo l'oggetto che roteava nell'aria. «Che cosa hai scoperto prima di ucciderlo?» chiese ancora. Doveva essere quello il motivo della convocazione: informazioni urgenti che lui aveva ottenuto prima di staccare il capo dal collo a Gahiji. «Non l'ho ucciso io.» Quelle parole smozzicate echeggiarono contro le pareti. Alastor percepì i fratelli divenire più attenti, esattamente come lui. Se quello stronzo non lo avevano ucciso loro e nemmeno Sutekh, allora... «La testa di Gahiji mi è stata recapita anonimamente» proseguì Sutekh. «Io non c'entro con la sua dipartita e non ho avuto l'opportunità di interrogarlo. Era morto, privato dell'anima nera e questa...» Con un gesto plateale sollevò in aria la testa in modo che gli occhi vitrei li fissassero. «... mi è stata consegnata senza nemmeno un biglietto.» «Neanche un nastrino regalo?» scherzò Mal, ma in un tono di voce del tutto scevro di allegria. «Chi te l'ha portata?» s'informò Alastor. Era quella l'unica domanda rilevante. «Non so neppure questo.» Sgomenti, i tre fratelli rimasero in silenzio. Sutekh era sempre al corrente di qualsiasi cosa accadesse nel suo regno. Era impossibile che qualcuno ci si intrufolasse a sua insaputa, la qual cosa rendeva impossibili le consegne a12


nonime. E provava una volta di piĂš che Gahiji non era stato il solo, tra le loro file, a tradirli. Gahiji aveva smascherato il proprio doppio gioco tentando di uccidere la compagna di Dagan. E cosĂŹ loro avevano compreso che li aveva traditi, che aveva aderito al complotto per assassinare Lokan. Tuttavia fino a quel momento non era stato ancora chiaro se avesse agito da leader o da esecutore. Il recapito della sua testa decapitata rispondeva a quell'interrogativo, ma ne sollevava un altro. Qualcuno, con un potere sufficiente a uccidere un mietitore d'anime, aveva privato prima Lokan e poi Gahiji della vita e questo escludeva che Gahiji fosse il cervello a capo dell'operazione. E allora chi era?

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