BN29_IL_GRAFFIO_DELLA_NOTTE

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Rogue HQN Books © 2008 Rachel Vincent Traduzione di Giorgia Lucchi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne dicembre 2010 Questo volume è stato impresso nel novembre 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico quindicinale n. 29 del 17/12/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 «Ferma e rilascia un accidente!» Sbuffando, sbattei il randagio a faccia in giù sul cofano dell'auto di Marc, ritraendo la mano libera appena in tempo per evitare i suoi denti, che si chiusero di scatto mancandomi di un soffio. Il bastardo era quasi il doppio di me e si dimenava come... be', come un gatto spaventato, pronto a ridurre a brandelli qualunque cosa avesse intorno, me compresa. A qualche metro di distanza, Marc osservava con interesse, di certo prendendo nota mentalmente di ogni particolare della mia prestazione per poter fare rapporto a mio padre. Fino a quel momento non gli avevo fornito un granché di buono da raccontare. Pestare i vagabondi per dare loro una lezione non era un problema, visto che ormai conoscevo alla perfezione gran parte delle tecniche intimidatorie. Ma la storia dell'approccio dagli-la-caccia-e-sbattili-fuori mi sembrava una stronzata, un'idiozia totale. Cos'era saltato in mente a mio padre? Il randagio aveva tentato la fuga verso una zona deserta alla periferia di Dumas, Arkansas, ma quello era l'unico colpo di fortuna che avevo avuto quella sera. Se si fosse diretto verso le luci della città, anziché dalla parte opposta, non sarei mai riuscita a catturarlo. Non ci avrei neanche provato. Non potevamo rischiare che degli umani vedessero una ragazza di corporatura media come me strapazzare un uomo che pesava 5


almeno venti chili più di lei. La verità era che, se il randagio avesse saputo combattere, probabilmente non sarei riuscita a prenderlo. Non che la cattura stesse andando completamente liscia. Marc non aveva mosso un dito per aiutarmi. «Ti spiacerebbe darmi una mano?» chiesi con tono tagliente da sopra la spalla, sbattendo contro il cofano la testa del randagio, che si contorceva cercando di liberarsi dalla mia presa. Marc scoppiò a ridere, ma non mosse un passo. «Te la stai cavando bene, querida.» «Non... chiamarmi... così!» ringhiai. Con la mano libera afferrai un braccio dell'intruso e glielo torsi bloccandoglielo dietro la schiena. L'altro mi sfuggì e le unghie scavarono dei solchi nella vernice. Non che ciò facesse una gran differenza per l'auto bistrattata di Marc. Lui rise, fregandosene della mia minaccia. Mi chinai in avanti per bloccare l'intruso con il mio peso, sentendo il suo cuore battere furiosamente contro il tessuto di una camicetta di seta rossa che non avevo indossato in previsione di uno scontro. La sua mano libera frustò l'aria, ancora fuori della mia portata. Gli strinsi il polso che avevo afferrato, stritolando le ossa. Ululando per il dolore, lui sussultò sotto di me. Gli restai addosso, decisa a non mandare in fumo la mia prima cattura in solitaria. Non davanti a Marc: se avessi fallito, me l'avrebbe rinfacciato in eterno. «Lasciami, puttana!» ringhiò il randagio, biascicando le parole dal momento che aveva il viso premuto contro il cofano. Dietro di me Marc ridacchiò. «Mi sa che gli piaci, Faythe.» «Se non vuoi aiutarmi, almeno tieni il becco chiuso!» Con la mano libera frugai nella tasca posteriore dei pantaloni per prendere le mie manette, nuove di zecca e ancora belle lucide. Era giunto il momento di utilizzarle. 6


Il metallo tintinnò quando aprii il primo bracciale, e i movimenti del randagio si fecero frenetici. La sua testa scattò all'indietro e contemporaneamente il braccio libero si sollevò con un'angolazione sicuramente scomoda, ma efficace; la sua mano colpì la mia e io aprii involontariamente il pugno. Per un tormentoso, lunghissimo momento il bracciale di metallo aperto penzolò dal mio indice, mentre l'altra estremità oscillava come un pendolo. Poi le manette mi sfuggirono e atterrarono accanto alla punta della scarpa sinistra del mio prigioniero. Serrando la presa sul polso, mi chinai per raccoglierle, strattonando indietro il randagio, ma lui scalciò e le manette finirono sotto la macchina. «Maledizione!» Altro che nuove e belle lucide. Mi raddrizzai di scatto, e colpii il randagio alla nuca. Lui ringhiò, Marc rise e io trattenni a stento un grido frustrato. Non era così che sarebbe dovuta andare la mia prima missione ferma e rilascia. Messa da parte l'irritazione, sbattei nuovamente il randagio contro il cofano, ma ormai avevo perso il vantaggio iniziale. Avevo commesso un errore e lui aveva ripreso confidenza. Il gomito del bastardo scattò all'indietro, centrando il mio fianco sinistro. Un dolore acuto mi esplose nel petto e nell'addome e il respiro mi sfuggì in un rantolo. Allentai istintivamente la presa, e per poco non lasciai andare il suo braccio. Fanculo. Aveva perso la sua occasione di essere trattato in modo gentile, ormai restava solo la mia versione preferita del gioco: rapido-e-brutale. Trassi un respiro profondo e una fiammata di dolore mi risalì lungo il fianco. Spostai il peso sulla gamba sinistra e lo colpii all'inguine con il ginocchio destro. Il randagio emise un singolo gemito di dolore, come se avesse inghiottito la lingua. Per un momento sentii solo il respiro regolare di Marc alle mie spalle e il frinire dei grilli intorno a noi. Poi il mio prigioniero urlò, lasciandomi piace7


volmente sorpresa: raggiunse note che avrebbero suscitato l'invidia di Steven Tyler. Certa che ormai non fosse più in grado di reggersi in piedi, e tanto meno di correre, lo lasciai andare. Si accasciò al suolo, strillando come una ragazzina. «Be', di certo è stato efficace» commentò Marc, avvicinandosi. Sembrava un po' pallido, e non solo per la luce della luna. Mi scostai i capelli dal viso, osservando la patetica sagoma raggomitolata sulla ghiaia. «Dammi le tue dannate manette» gli intimai brusca, senza vergognarmi minimamente per aver atterrato il mio avversario con una ginocchiata nelle palle. Marc estrasse le manette dalla tasca posteriore dei pantaloni. «Ricordami di non farti arrabbiare» disse, deponendole nel palmo della mia mano. «Ce n'è davvero bisogno?» ribattei. Inginocchiandomi, torsi le braccia del randagio dietro la schiena e lo ammanettai. Piagnucolava ancora quando lo feci alzare con uno strattone e lo trascinai verso l'auto. Accanto alla portiera lo voltai verso di me. «Come ti chiami?» Invece di rispondermi, lui lanciò un'occhiata lasciva alla scollatura della mia camicetta. Non era la più arguta né la più originale delle risposte, ma era un passo avanti rispetto al tizio che aveva provato ad assaggiarmi. Comunque, non ero dell'umore per lasciarmi guardare in quel modo. Non da lui, almeno. Sferrai un pugno, colpendolo al torace. Il randagio strabuzzò gli occhi e serrò la mandibola, emettendo un sibilo di dolore. «Te lo chiedo per l'ultima volta» lo avvertii, concentrandomi sulle sue palpebre chiuse. «Poi ti metterò KO e ti chiamerò John Doe. Scegli tu. Allora, come cazzo ti chiami?» Lui spalancò gli occhi e scrutò nei miei, come per capire quanto fosse seria la minaccia. Qualunque cosa vide parve convincerlo. «Dan Painter» sibilò con rabbia. 8


«Ebbene, signor Painter...» Annuii soddisfatta; mi stava dicendo la verità, lo capii dall'espressione e dalle pulsazioni veloci ma costanti. «... a cosa dobbiamo il dubbio piacere della sua visita?» Il randagio inarcò le sopracciglia, confuso. Alzai gli occhi al cielo. «Cosa diavolo ci fai qui?» Le rughe sulla sua fronte si appianarono via via che sul suo viso albeggiava la comprensione. «Stavo solo facendo il mio dovere di cittadino» dichiarò. «Davo la caccia a un gran bel paio di gambe... Non che ormai abbia molta importanza. Quella puttanella mi è sfuggita.» Marc avanzò di un passo. «Dev'essere stato davvero un gran bel paio di gambe, per indurti a sconfinare nel nostro territorio.» Mi morsi la lingua, trattenendo un sospiro; sarebbe stato scorretto inveire contro il mio partner di fronte al prigioniero. Di nuovo. «Non lo immagini neanche.» Il randagio guardò Marc da sopra la mia spalla. «O forse sì.» I suoi occhi tornarono su di me e io digrignai i denti, mentre il suo sguardo mi scendeva lungo la camicetta e i pantaloni neri aderenti. «Questa qui non è un granché come viso, ma è messa bene dove conta, eh?» Avvertii che Marc si irrigidiva dietro di me e sentii le sue nocche schioccare. Stava serrando il pugno. Ma era troppo tardi. «Sta' lontano dal nostro territorio. Questo è l'unico avvertimento che ti daremo.» Sferrai un magnifico gancio destro alla guancia sinistra del randagio e la sua testa rimbalzò all'indietro. Per la seconda volta in quattro minuti crollò a terra, in questo caso privo di sensi. Aprendo e chiudendo la mano indolenzita, lo lasciai cadere. Cosa importava se si fosse graffiato il viso sulla ghiaia? Poteva considerarsi fortunato che non gli avessi rotto lo zigomo. O, almeno, credevo di non avergli rotto niente. Non 9


ero altrettanto sicura per quanto riguardava le mie nocche, però. Dietro di me, Marc emise un fischio sommesso, palesemente impressionato. «Questa non è esattamente la procedura standard» commentò in tono fin troppo ragionevole mentre si allungava oltre il corpo del randagio per aprire la portiera posteriore. «Ah, sì? Be', nemmeno io sono uno dei tuoi vigilantes standard.» Il resto dei dipendenti di mio padre aveva più rispetto per le regole di quanto ne dimostrassi io. Gli altri avevano anche parecchio testosterone in più e due ovaie in meno. E nessuno di loro aveva idea di come gestirmi. Marc sorrise, tirando la mia mano indolenzita sotto la luce della lampadina nell'abitacolo. «Questo è poco ma sicuro.» Ruotò il polso per osservarlo meglio e io trasalii per il dolore. «Non è rotto. Ci fermeremo a prendere del ghiaccio mentre raggiungiamo la zona franca.» «E del caffè» aggiunsi, pensando già con timore al lungo viaggio verso est, fino al confine tra Arkansas e Mississippi, dove avremmo rilasciato Dan Painter nella zona franca sull'altra sponda del Mississippi. «Ho bisogno di caffè.» «Certamente.» Chinatosi, Marc afferrò la camicia del randagio con la mano sinistra e la cintura dei jeans con l'altra, sollevò il mutaforma privo di sensi e lo scaraventò testa in avanti sul sedile posteriore. «Gran bel gancio» commentò, mentre faceva apparire come dal nulla un rotolo di nastro adesivo telato. Ne strappò una striscia e la avvolse intorno alle caviglie del signor Painter, dopodiché piegò le ginocchia del randagio per infilare anche i piedi nell'auto. «Non ricordo che tuo padre ti abbia insegnato anche questo.» «No, infatti.» Marc chiuse la portiera e mi guardò, sollevando un sopracciglio con aria interrogativa. Sorridendo, mi inginocchiai per guardare sotto l'auto. «Campionati di Ultimate Fighting.» 10


Lui annuì. «Impressionante.» «Concordo.» Carponi sulla ghiaia, tastai sotto l'auto, cercando le mie manette. Avevo perso il primo paio un mese prima, quando mi ero tuffata nel Red River inseguendo un intruso innocuo ma testardo. Se fossi tornata senza quelle nuove, mio padre mi avrebbe scuoiata. Oppure avrebbe detratto il corrispettivo dal mio assegno mensile. I miei polpastrelli sfiorarono alcuni fili d'erba cresciuti tra i sassi e la sagoma arrotondata di una bottiglia rotta. «Ti serve aiuto?» domandò Marc, passandomi lentamente una mano sul fianco. Gli sorrisi da sopra la spalla. «Lì non troverai un bel niente.» «Lo dici tu.» La sua mano stava salendo lungo il mio fianco quando sfiorai con le dita un pezzo di metallo liscio. Afferrai le manette e uscii da sotto la macchina, poi Marc mi aiutò a rimettermi in piedi. Mi fece voltare verso di lui mentre mi infilavo le manette in tasca, e mi premette contro la fiancata dell'auto. «Prendiamoci una pausa» mi sussurrò, chinandosi per sfiorarmi il collo con le labbra. «Come se tu avessi fatto qualcosa» ribattei io, mentre già la mia mano si posava istintivamente sul suo braccio. Le dita accarezzarono i contorni del tricipite, le unghie graffiarono delicatamente la superficie della cute, facendogli venire la pelle d'oca. Adoravo sentirlo reagire al mio tocco, mi dava un senso di potere, di controllo. Ma il sentimento era reciproco: io non potevo dirgli di no e lui lo sapeva. «E allora perché non mi metti al lavoro?» propose, facendomi le fusa nell'orecchio mentre si strofinava contro di me. Le sue dita si insinuarono tra me e l'auto, coprendomi lentamente i glutei, la presa forte e decisa. Mi spinsi in avanti per consentirgli di muoversi meglio. «Abbiamo tempo?» «Tutto il tempo del mondo. A meno che tu non abbia un coprifuoco di cui non sono a conoscenza.» 11


«Ormai sono un'adulta. Ricordi?» «Me lo ricordo eccome.» La sua lingua scese delicata lungo il mio collo, esitando leggermente sulle quattro sottili cicatrici a mezzaluna, lasciando una traccia umida che subito la brezza tiepida di settembre accarezzò. «Sei molto, molto adulta.» La sua lingua riprese a muoversi, solleticandomi una clavicola prima di tuffarsi sotto la scollatura. Il punto dolce, Marc lo chiamava così. Difficile dargli torto. «E il nostro riluttante ospite?» Le mie dita gli accarezzarono il petto, sfiorando i pettorali compatti sotto la maglietta. «Dovrà trovarsi qualcun'altra.» La mia pelle soffocò le parole di Marc, mentre il suo respiro caldo mi accarezzava la curva superiore del seno. «Dico sul serio.» Gli tirai indietro la testa, portandola all'altezza dei miei occhi. «E se dovesse svegliarsi?» «Sarà invidioso.» Marc si chinò per baciarmi, ma io gli premetti una mano sul petto. Sospirando impaziente, sbirciò oltre la mia spalla attraverso il finestrino dell'auto, poi tornò a guardarmi negli occhi. «È ancora KO. E comunque al ranch non abbiamo mai nessuna privacy, quindi che importanza può avere?» Privacy... Era diventata il nostro bene più prezioso, sempre troppo poca in una casa piena di mutaforma senza un briciolo di tatto, ragazzoni rumorosi dotati di un udito soprannaturale, ma non di una vita privata. Marc aveva ragione: quell'angolo nel bel mezzo del nulla in Arkansas era il massimo della privacy che ci saremmo potuti aspettare. Sempre. Per il resto delle nostre vite. Annuii, lasciandogli scivolare lentamente la mano sotto la maglietta. «Okay. Spero almeno che tu abbia una coperta» dissi, indicando il bagagliaio con un cenno del capo. «Perché non ho alcuna intenzione di sdraiarmi sulla ghiaia!» Lui aggrottò la fronte, poi il suo naso sfiorò il mio mentre si chinava per baciarmi. «Chi ha mai parlato di...» Il suo cellulare squillò nella tasca dei pantaloni nel momento esatto in 12


cui le sue labbra sfiorarono le mie. «... sdraiarsi.» Sorrisi, per niente sorpresa. Il tempismo era tutto e sotto quell'aspetto mio padre non era affatto da sottovalutare. Marc fece un passo indietro estraendo il cellulare dalla tasca, e le mie mani gli scivolarono sui fianchi. «Dannazione, è Greg» brontolò guardando il display illuminato. «Digli cosa stavamo per fare e probabilmente ci lascerà in pace» scherzai, aprendo la portiera anteriore dal lato del passeggero. A differenza della maggior parte dei padri, il mio era entusiasta della mia relazione con il mio ragazzo. E anche mia madre. Amavano Marc come un figlio e avrebbero fatto qualunque cosa per fare di noi una coppia onesta, incluso incollarmi la fede al dito. Se mi fermavo a rifletterci troppo a lungo, mi venivano i brividi. «Non è un argomento che abbia molta voglia di sviscerare con tuo padre.» Marc si rabbuiò mentre il cellulare continuava a squillare. «E se Michael se ne viene fuori con qualche altro consiglio, lo scaravento fuori dalla finestra del soggiorno, anche se è tuo fratello.» Trasalii. «Non può averlo fatto davvero.» Marc mi lanciò un'occhiata significativa. Maledizione, lo aveva fatto! Marc non avrebbe avuto bisogno di uccidere Michael, lo avrei fatto io. Non riuscivo assolutamente a far capire alla gente che la mia vita privata era esattamente questo: privata. Sorridendo, Marc premette il tasto per rispondere e si portò il cellulare all'orecchio. «Ciao, Greg. Che c'è?» La risposta di mio padre arrivò forte e chiara. «Ho appena ascoltato la segreteria telefonica e ho trovato un messaggio interessante. Una telefonata anonima riguardo a un gatto morto. Spero che tu abbia portato con te la pala.» Ovvio che Marc aveva la pala. C'era un modo migliore per concludere un appuntamento che seppellire un cadavere nel bel mezzo della notte? È ufficiale. Il mio lavoro fa schifo. 13



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