BN22 IL GRAFFIO DELLA PANTERA

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Stray MIRA Books © 2007 Rachel Vincent Traduzione di Elena Rossi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Bluenocturne agosto 2010 Questo volume è stato impresso nel luglio 2010 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X Periodico mensile n. 22 del 27/8/2010 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/3/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 Nel preciso istante in cui la porta si aprÏ capii che c'erano problemi in vista. Quello che ancora non sapevo era se sarei stata io a darle o a prenderle. L'odore mi colpÏ appena lasciai l'aria condizionata dell'istituto di linguistica per il caldo estivo del Texas settentrionale, mentre mi sistemavo in spalla lo zaino e socchiudevo gli occhi contro il tramonto. A un passo dietro di me, la mia compagna di stanza, Sammi, si era lanciata in una filippica contro l'atteggiamento discriminatorio del conferenziere sul contributo femminile alla letteratura del diciannovesimo secolo. Stavo per fare la parte dell'avvocato del diavolo per il puro gusto di contraddirla, quando un cambiamento nell'aria della sera mi bloccò dov'ero, sullo scalino superiore del piccolo porticato. Dimenticato ogni intento polemico, rimasi pietrificata e scrutai il cortile in ombra cercando di individuare la fonte di quell'inconfondibile odore. A prima vista non c'era niente fuori dell'ordinario: solo piccoli gruppi di studenti dei corsi estivi che chiacchieravano entrando e uscendo dai dormitori. Studenti umani. Eppure l'odore che avevo sentito non aveva assolutamente nulla di umano. Tutta presa dalla sua tirata, Sammi non si era accorta che mi ero fermata. FinÏ dritta contro di me, imprecando 5


ad alta voce tanto da attirare l'attenzione generale quando il suo raccoglitore le cadde di mano e si aprì disseminando le scale di fogli. «Gradirei un piccolo avviso la prossima volta che parti per uno dei tuoi viaggi nel mondo delle nuvole, Faythe» sbottò, chinandosi a raccogliere gli appunti. Grugniti di protesta e altri termini più coloriti si levarono alle sue spalle, dove gli altri studenti erano rimasti bloccati dal piccolo intasamento di traffico. Gli specializzandi in letteratura sono noti per non guardare dove mettono i piedi; molti di noi camminano con lo sguardo fisso sulle pagine di un libro anziché sulla strada davanti a sé. «Scusa.» Mi inginocchiai per aiutarla, strappando un foglio da terra prima che il ragazzo dietro di me lo calpestasse. Mi raddrizzai e scesi gli scalini due alla volta, seguendo Sammi fino al muretto di mattoni che chiudeva l'estremità del porticato. Senza smettere di parlare, lei posò il raccoglitore e incominciò a rimettere in ordine gli appunti, completamente ignara, come tutti gli esseri umani, dell'odore che avvertivo. Io udivo appena il suo incessante chiacchierio. Le mie narici si dilatarono leggermente per inspirare meglio l'odore mentre voltavo il viso alla brezza. Ecco. Al di là del cortile quadrato, nel vicolo tra l'istituto di fisica e il dormitorio femminile. Strinsi le mani attorno alle cinghie dello zaino e serrai i denti. Non avrebbe dovuto essere lì. Nessuno di loro avrebbe dovuto essere lì. Mio padre me l'aveva promesso. Avevo sempre saputo che mi avrebbero spiata, nonostante le assicurazioni di mio padre che non avrebbero interferito nella mia vita. Di tanto in tanto notavo un paio di occhi troppo luminosi tra la folla a una partita di football, oppure un profilo familiare nella coda alla mensa. E più raramente – solo un paio di volte in cinque anni – avevo 6


avvertito un odore caratteristico nell'aria; era come il sapore della mia infanzia, dolce e familiare, con un retrogusto amaro. L'odore era tenue, intimo in modo struggente e per niente gradito. Quegli incontri, quegli indizi che la mia vita non era privata come tutti noi fingevamo che fosse erano estremamente fugaci. Le spie di papà si dileguavano silenziose tra la folla e si nascondevano nell'ombra perché non volevano essere viste più di quanto io volessi vedere loro. Ma questo era diverso. Questo voleva che lo vedessi. E ancor peggio, non era una spia di papà. «... che le sue idee siano meno importanti perché ha le ovaie invece dei testicoli non è solo maschilista, è barbarico. Qualcuno dovrebbe... Faythe?» Sammi mi toccò il braccio con il quaderno d'appunti rimesso in sesto. «Stai bene? Hai l'aria di aver appena visto un fantasma.» No, non avevo visto un fantasma. Avevo sentito l'odore di un felino. «Ho un po' di nausea.» Piegai le labbra in una smorfia per apparire più convincente. «Vado a sdraiarmi. Vuoi scusarmi con le altre?» Sammi aggrottò la fronte. «Faythe, guarda che è stata una tua idea.» «Lo so.» Annuii, pensando alle quattro compagne che aspettavano in biblioteca davanti alla loro copia di Pene d'amor perdute di Shakespeare. «Di' loro che la settimana prossima ci sarò, lo giuro.» «Okay» rispose con un'alzata delle spalle nude. «È il tuo esame.» Qualche secondo dopo, Sammi era solo uno dei tanti studenti in jeans che percorreva il marciapiede, completamente ignara di ciò che stava in agguato a pochi passi di distanza nell'ombra del tardo pomeriggio. Lasciai il vialetto asfaltato che correva intorno al cortile 7


per attraversare il prato, sforzandomi di dominare la collera. A una certa distanza dal marciapiede, mi fermai ad allacciare le scarpe, approfittandone per studiare un piano d'azione. Piegata su un ginocchio, tenni lo sguardo fisso sul vicolo, cercando di individuare l'intruso. Non era previsto che accadesse una cosa simile. In tutti i ventitré anni della mia vita non avevo mai sentito di un randagio che si spingesse così dentro il nostro territorio senza essere catturato. Non era semplicemente possibile. Eppure era lì che si nascondeva nel vicolo. Come un codardo. Avrei potuto chiamare mio padre per riferirgli di quell'intrusione. Probabilmente avrei dovuto chiamarlo, in modo che mandasse uno dei suoi vigilantes a occuparsi del problema. Ma chiamare voleva dire inevitabilmente parlare con mio padre, una cosa che volevo evitare a tutti i costi. L'unica possibilità che mi restava era quella di spaventare il randagio da sola e poi riferire diligentemente l'incidente la prossima volta che avessi visto uno degli uomini preposti alla mia sicurezza. In fondo non si trattava di una grande impresa. I randagi sono esseri solitari, di solito schivi come cervi quando vengono affrontati. Fuggono sempre di fronte ai felini di un clan perché noi agiamo come minimo in coppia. Tranne me. Ma il randagio non poteva sapere che non avevo un supporto. Cavolo, probabilmente avevo un supporto. Grazie alle paranoie di mio padre, non ero mai veramente sola. Anche se quel giorno non avevo ancora visto il guardiano di turno, questo non significava che non ci fosse. Non sempre riuscivo a identificarli, ma sapevo che erano nei dintorni. Allacciate le scarpe, mi rialzai, una volta tanto rassicurata dalle misure iperprotettive di mio padre. Gettai in spal8


la lo zaino e mi diressi verso il vicolo, facendo del mio meglio per apparire rilassata. Mentre camminavo, perlustravo con discrezione il cortile, in cerca della mia scorta invisibile. Chiunque fosse, aveva finalmente imparato a nascondersi. Tempistica perfetta. Il sole scivolò sotto la linea dell'orizzonte mentre mi avvicinavo al vicolo. Di fronte al dormitorio femminile, un lampione si accese automaticamente con un lieve ronzio. Mi fermai nel cerchio di luce giallastra che gettava sul marciapiede, chiamando a raccolta il mio coraggio. Probabilmente il randagio era solo curioso e sarebbe fuggito appena si fosse accorto che l'avevo individuato. Ma se non fosse stato così, avrei dovuto ricorrere a mezzi più efficaci per spaventarlo. A differenza di molte delle mie simili, sapevo combattere grazie agli insegnamenti di mio padre. Sfortunatamente non avevo mai compiuto il passo dalla teoria alla pratica, se non con i miei fratelli. A loro riuscivo a tenere testa, ma erano anni che non combattevo e quello non sembrava il momento migliore per mettere alla prova le mie capacità nel mondo reale. Non è ancora troppo tardi per chiamare la cavalleria, pensai, tastando il cellulare che tenevo in tasca. Non fosse stato che ogni volta che telefonavo a mio padre lui se ne veniva fuori con una nuova scusa per richiamarmi a casa. Questa volta non avrebbe avuto nemmeno bisogno di inventare una scusa. Dovevo cavarmela da sola. Presa la decisione, uscii dal cerchio di luce e avanzai nell'oscurità. Con il cuore che batteva all'impazzata, entrai nel vicolo, stringendo la mano intorno alle cinghie dello zaino come se fosse l'elsa di una spada. O meglio l'angolo della mia coperta preferita. Annusai l'aria. Era ancora lì; potevo sentirlo. Ma ora che ero più vicina alla fonte, individuai qualcosa di strano nel suo odore, qualcosa di ancora più 9


anormale della presenza di un randagio nel mio territorio. Chiunque fosse, l'intruso non era del posto. Aveva un profumo esotico, speziato, diverso da quello familiare dei felini americani. Il sangue mi pulsava in gola. Uno straniero. Era al di sopra delle mie capacità. Stavo frugando in tasca per recuperare il cellulare quando udii qualcosa rimbalzare a terra all'estremità del vicolo. Mi bloccai, sforzandomi di vedere nel buio, ma con i miei occhi umani era una causa persa. Senza trasformarmi, non ero in grado di distinguere altro che vaghi contorni e ombre. Sfortunatamente in quel momento non potevo trasformarmi. Avrebbe richiesto troppo tempo e sarei rimasta senza difese nel momento della transizione. Guardai rapidamente alle mie spalle, in cerca di un segno di vita nel cortile. Da quel che potevo vedere, si era svuotato. Non c'erano potenziali testimoni; chiunque avesse un briciolo di cervello si era ritirato a studiare o a far festa. Perché allora giocavo a rimpiattino con un randagio che non riuscivo ancora a identificare? Con i muscoli tesi e le orecchie all'erta, avanzai lungo il vicolo. Dopo quattro passi, posai il piede su una racchetta da tennis rotta e sbattei contro un bidone della spazzatura arrugginito, che risuonò come un gong. Piano, Faythe, mi dissi mentre il rumore metallico mi rimbombava ancora in testa. Mi chinai a raccogliere lo zaino e colsi con la coda dell'occhio un rapido movimento davanti a me. Il randagio – grazie al cielo in forma umana – correva dall'imbocco del vicolo verso il parcheggio situato dietro i dormitori; i suoi piedi erano silenziosi in modo innaturale sull'asfalto. La pallida luce della luna illuminò una testa coperta da folti riccioli scuri. L'istinto ebbe la meglio sulla paura e sulla prudenza. 10


L'adrenalina mi scorreva nelle vene. Gettai lo zaino in spalla e mi lanciai verso il centro del vicolo. Il randagio era fuggito come avevo sperato e il mio istinto felino mi spingeva a inseguirlo. Quando il topo corre, il gatto gli dĂ la caccia. All'estremitĂ del vicolo mi fermai a scrutare il parcheggio. Era deserto a eccezione di una vecchia Lincoln sfasciata con i fanali arrugginiti. Il randagio era sparito. Come diavolo aveva fatto ad andarsene cosĂŹ velocemente? Un pizzicore alla nuca mi trasmise un brivido lungo la spina dorsale. Le luci di sicurezza del parcheggio erano spente. Avrebbero dovuto essere automatiche come quelle del cortile. Senza il familiare ronzio dei lampioni, lo spiazzo era un mare ininterrotto di nero asfalto, tranquillo e sinistramente silenzioso. Con il cuore che martellava, uscii dal vicolo, quasi aspettandomi di essere colpita da un fulmine o investita da un treno in corsa. Non accadde nulla, ma non riuscivo a liberarmi dalla sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Feci un altro passo con gli occhi spalancati per sfruttare al massimo la poca luce. Ancora niente. Incominciavo a sentirmi stupida a dare la caccia a uno sconosciuto in un vicolo scuro, come in un film horror di infima categoria. Nei film a quel punto le cose finivano male. Una mano pelosa spuntava dall'ombra per afferrare alla gola l'eroina curiosa e senza cervello e una risata sadica risuonava nell'aria mentre lei sprecava l'ultimo fiato in un grido. La differenza tra i film e la realtĂ era che nella vita reale io ero il mostro peloso e l'unico grido che avessi mai lanciato era stato di rabbia. Ero portata a gridare per invocare aiuto quanto lo ero all'autocombustione. Se quel particolare randagio non l'aveva ancora intuito, avrebbe avuto una bella sorpresa. 11


Incoraggiata dal quel discorsetto mentale, avanzai di un altro passo. L'odore caratteristico dello straniero mi assalì di nuovo e il battito accelerò, ma non vidi arrivare il colpo. Tutt'a un tratto mi trovai a fissare il suolo, piegata in due dal dolore allo stomaco, lottando per riprendere fiato. Lo zaino era caduto ai miei piedi. Un paio di anfibi neri entrarono nella mia visuale e l'odore del randagio divenne più intenso. Alzai lo sguardo giusto in tempo per cogliere il bagliore di due occhi scuri e un ghigno da brivido prima che il suo pugno destro scattasse contro di me. Sollevai il braccio per parare il colpo, ma lui aveva già pronto il sinistro e mi colpì con violenza sul lato destro del petto. Un dolore acuto mi scoppiò nella cassa toracica, irradiandosi in ogni direzione. Tenendomi il fianco, tentai invano di raddrizzarmi, in preda al panico. Una risatina stridente come un gesso su una lavagna mi irritò i nervi. Quello era il mio campus e il mio territorio. Lui era l'intruso ed era ora di fargli capire come trattava gli intrusi un felino membro di un clan. Si preparò a sferrare un altro colpo, ma questa volta ero pronta. Ignorando il dolore al fianco, allungai il braccio destro per afferrargli una ciocca di capelli. Le mie dita si strinsero intorno a una manciata di folti riccioli. Gli spinsi la testa all'ingiù e sollevai con forza il ginocchio. Un rumore di ossa rotte risuonò nell'impatto. Un liquido caldo mi colò sui jeans. Sorrisi sentendo l'odore del sangue che riempiva l'aria. Ah, i ricordi... Il randagio si liberò dalla mia presa e si portò fuori portata, lasciandomi qualche ricciolo umido come ricordo. Tamponandosi il sangue che fuoriusciva dal naso rotto, emise un basso ringhio di gola, un suono simile al rombo sordo di un motore. 12


«Dovresti ringraziarmi» dissi, un po' impressionata dal danno che gli avevo causato. «Credimi, stai molto meglio così.» «Jodienda puta!» imprecò, sputando sangue sull'asfalto. Spagnolo? Ero abbastanza sicura che non si trattasse di un complimento. «Bene, porta le tue chiappe rognose fuori di qui prima che decida che non ne hai avuto abbastanza!» Invece di obbedire, lui prese di mira il mio volto. Cercai di evitare il pugno, ma non fui abbastanza veloce. Mi colpì alla tempia e una serie di fuochi d'artificio esplosero dietro le palpebre mentre barcollavo. La testa mi pulsava come se fosse in procinto di scoppiare e l'intero universo sembrava vorticare solo per me. Ai limiti del mio ridotto campo visivo, vidi che il randagio cercava qualcosa in tasca, imprecando in una lingua simile allo spagnolo che non riuscii a identificare. Tese nuovamente il braccio. Troppo instabile per muovermi, mi preparai all'impatto. Il colpo non arrivò. Invece fui afferrata per un braccio e trascinata via dal parcheggio deserto. Camminando all'indietro per mantenere l'equilibrio, cercai di liberarmi dalla sua stretta, ma fu inutile. Adesso ero veramente arrabbiata; chiusi a pugno la mano libera e lo colpii con violenza al cranio. Lui grugnì e lasciò andare il mio braccio. Mi precipitai verso il vicolo e raccolsi lo zaino da terra. I passi del randagio risuonavano dietro di me. Rinsaldando la presa, feci roteare lo zaino tenendolo per le cinghie e mirai al suo orecchio sinistro. La testa gli scattò di lato e un nuovo fiotto di sangue gli uscì dal naso, macchiando il parcheggio di gocce scure. Il randagio cadde di peso sull'asfalto, portandosi una mano alla testa, e mi fissò con aria attonita. Risi compiaciuta di me stessa. A quanto pa13


reva l'opera omnia di Shakespeare picchiava sodo. E pensare che mia madre sosteneva che una laurea in inglese non mi sarebbe servita a nulla. Ha! Avrei proprio voluto vederla a difendersi con un grembiule e una formella per dolci. «Puta loca» imprecò il randagio, frugandosi ancora in tasca mentre cercava di rialzarsi. Senza aggiungere altro, nemmeno uno sguardo, attraversò il parcheggio, diretto verso la Lincoln. Pochi secondi dopo le ruote stridevano sull'asfalto e la macchina schizzava verso sud, lungo Welch Street. «Adios!» Rimasi a guardarlo, indolenzita ma soddisfatta. Dopo questo, papà dovrà ammettere che so cavarmela da sola, pensavo. Ansimando per lo sforzo, mi gettai in spalla lo zaino e guardai l'orologio. Dannazione. Presto Sammi sarebbe tornata dal gruppo di studio e sarebbe inorridita vedendo i miei jeans insanguinati e i lividi che mi segnavano il volto. Dovevo cambiarmi prima che arrivasse. Sfortunatamente sarebbe stato molto più difficile nascondere gli ematomi a Andrew. A volte i fidanzati umani possono essere un bel problema. Avevo ancora davanti agli occhi il viso massacrato dell'intruso mentre mi voltavo verso il vicolo e... mi ritrovavo faccia a faccia con un altro intruso. O meglio, faccia contro testa avvolta dall'oscurità. Stava a pochi passi di distanza, nascosto dalla luce lunare, e io non potevo vedere altro che le mani che gli pendevano lungo i fianchi. Capii a un primo sguardo che potevano procurare seri danni anche se non stringevano altro che l'aria. Non avevo bisogno di annusarlo per sapere chi era; il suo odore mi era familiare quanto il mio. Marc. Il braccio destro di mio padre. In cinque anni mio padre non aveva mai mandato Marc. Evidentemente qualcosa non andava. 14


Sentii la tensione risalire lungo la spina dorsale e diramarsi verso le braccia. Strinsi i pugni e serrai i denti per trattenere un grido di collera; l'ultima cosa che volevo era attirare l'attenzione. C'erano sempre nei dintorni esseri umani pieni di buona volontà pronti a salvare il mondo; il problema è che non avevano idea di che tipo di mondo abitassero. Avanzai lentamente verso Marc, facendo scivolare a terra lo zaino. Fissai lo sguardo sull'ombra che nascondeva i suoi occhi, splendenti di pagliuzze dorate. Lui non si mosse. Mi avvicinai ancora di più, con il cuore in gola. Quando sollevò la mano sinistra verso di me, la scostai bruscamente. Spostando il peso sul piede sinistro, liberai il destro per colpirlo al petto con un calcio laterale. Barcollò all'indietro con un grugnito e colpì con il tallone l'angolo di una cassa da imballaggio di legno, finendo a gambe all'aria in uno scatolone marcio. «Faythe, sono io!» «So fin troppo bene chi sei.» Avanzai verso di lui con le mani sui fianchi. «Perché credi che ti abbia colpito?» Mi preparai a sferrargli un altro calcio, ma lui fece scattare il braccio con una velocità impressionante e mi afferrò la caviglia sinistra. Con un solo strattone mi privò dell'appoggio e io caddi accanto a lui su un sacchetto dell'immondizia semiaperto. «Dannazione, Marc, sono finita sulle bucce d'arancia delle spremute di stamani.» Ridacchiando, incrociò le braccia sulla T-shirt nera che aderiva ai pettorali perfetti. «Per poco non mi hai rotto le costole.» «Sopravvivrai.» «Non per merito tuo.» Si rimise cautamente in piedi e mi tese la mano. Quando la ignorai, roteò gli occhi e mi 15


tirò su afferrandomi per il polso. «Che cos'è questa mossa di kung fu?» Liberai il braccio con uno strattone e feci un passo indietro, fissandolo negli occhi mentre grondavo succo d'arancia dai pantaloni. «È taekwondo e tu lo sai benissimo.» Ci eravamo allenati insieme ai miei quattro fratelli per quasi dieci anni. «Sei fortunato che non ti abbia colpito in faccia. Perché accidenti ci hai messo tanto? Se mi girate intorno senza permesso, potreste almeno rendervi utili quando mi trovo in pericolo di vita. È per questo che vi paga mio padre.» «Te la sei cavata bene.» «Come era prevedibile. Scommetto che era già a metà strada dalla sua macchina nel tempo che tu hai impiegato ad arrivare.» «Solo a un quarto» replicò Marc, piegando le labbra in un sorriso. «Comunque ero io quello in pericolo. Sono stato messo all'angolo da un branco di studentesse di una confraternita in mensa.» Aggrottai la fronte, immaginando una squadra di ragazze vestite in diverse tonalità di rosa che gareggiavano per ottenere la sua attenzione. Avrei potuto dire loro che stavano perdendo tempo. Marc non sapeva che cosa farsene delle donne umane, specie di ragazzine sciocche e civettuole che aspiravano solo a sposarsi. I suoi riccioli scuri e gli esotici occhi castano-dorati gli avevano sempre procurato più attenzione di quanta desiderasse. E questa volta gli avevano impedito di fare il suo lavoro. «Sei un inutile bastardo» protestai. Non ero ancora disposta a perdonarlo per essere arrivato tardi, anche se rifiutavo la sua presenza. «E tu sei una bisbetica ingrata.» Sorrise, completamente impermeabile al mio insulto. «Siamo una bella coppia.» Risposi con un grugnito. Se non altro eravamo tornati a 16


un territorio familiare e, anche se non l'avrei mai ammesso, in fondo era bello rivederlo. Voltandogli le spalle, raccolsi lo zaino e riattraversai il vicolo fino al cortile deserto. Marc mi seguì a breve distanza, mormorando qualcosa in spagnolo troppo velocemente perché potessi capire. Ricordi sopiti da tempo riaffiorarono nella mia mente, riportati in vita da quel borbottio. Era una sua abitudine da quando lo conoscevo. Esaurita la pazienza, mi fermai nel cerchio di luce di fronte ai dormitori e mi girai ad affrontarlo. «Ehi, ti dispiace starmi un po' più lontano? Hai dimenticato come si fa la spia? Dovresti per lo meno tentare di non essere invadente. Gli altri cercano di non dare nell'occhio, ma tu passeresti inosservato come un travestito in un raduno di ragazze scout.» Puntai le mani sui fianchi e lo fissai, cercando di rimanere impassibile di fronte ai suoi occhi ombreggiati da lunghe ciglia puntati su di me. Marc sorrise con espressione conciliante e la cosa mi irritò ancora di più. «È bello rivederti.» Un'ombra di melanconia passò sul suo volto mentre posava lo sguardo sui miei jeans a vita bassa, risaliva velocemente al top rosso allacciato dietro il collo per fermarsi sulle mollette tra i capelli. «Torna a casa, Marc.» «Non c'è bisogno di essere così sgarbata.» «Non c'è bisogno che tu rimanga qui.» Aggrottò la fronte e le sopracciglia scure misero in ombra gli occhi, migliorando il mio umore. Ne avevo abbastanza dei suoi sorrisi condiscendenti. «Senti, se mio padre si è offeso perché non ho invitato nessuno alla consegna dei diplomi di laurea, può dirmelo di persona. Non ha bisogno di un emissario per farmi sapere che è seccato.» «Mi ha mandato qui per riportarti a casa.» Mi irrigidii e 17


Marc sollevò una mano per fermare ogni eventuale protesta. «Sto solo eseguendo degli ordini.» Naturale che fosse così. Era quello che aveva sempre fatto. Aggiustai lo zaino sulla spalla e scossi il capo. «Scordatelo. Non ho nessuna intenzione di tornare a casa.» Feci per andarmene, ma lui mi prese per un braccio. Riuscii a liberarmi senza fatica, solo perché mi lasciò andare. «Sara è sparita» disse con espressione studiatamente neutra. Battei le palpebre, colpita da quello che sembrava un commento casuale. Sara se n'era andata? Buon per lei. Ma se pensavano di dare la colpa a me perché voleva qualcosa di più dalla vita di un marito e una mezza dozzina di marmocchi, si sbagliavano. Sara aveva una testa sua; tutto quello che avevo fatto io era liberarla da un po' di ragnatele. Se aveva deciso di non sposarsi, era una sua scelta. «Non è fuggita dalle nozze, Faythe.» Gli occhi di Marc mi fissavano come un fuoco color ambra; il suo messaggio era inequivocabile. Era sempre la stessa vecchia storia con lui, non importava quanto tempo fosse passato. Ci sono cose che non cambiano mai e le altre diventano sempre più irritanti. «Puoi cancellarti dalla faccia quell'espressione compiaciuta» sbottai. «Pensi di conoscermi ancora così bene da leggermi nella mente.» E se avesse avuto ragione?, mi chiesi. Ma non era quello il punto. Marc emise un sospiro esagerato, come se parlare con me fosse estenuante e non ne valesse davvero la pena. «Non se n'è andata di sua volontà. È stata rapita.» Il cuore prese a battermi più veloce e io reagii scuotendo il capo, nel patetico tentativo di negare la realtà. Intorno a noi il frinire dei grilli riempiva il silenzio mentre cer18


cavo di formulare un pensiero coerente. «È impossibile. Nessun essere umano potrebbe...» Non c'era bisogno di terminare la frase perché quello era un pensiero che Marc non avrebbe faticato a leggere. Sara poteva anche essere di corporatura minuta, ma non era certo debole. Avrebbe fatto a pezzi chiunque avesse messo le mani su di lei. O almeno, qualsiasi essere umano. Ma non era stata rapita da un umano e quello era il motivo per cui Marc era venuto da me. Il randagio, pensai, stringendo le mani intorno alle cinghie dello zaino. Non aveva solo invaso il mio territorio, era venuto a prendermi. Marc mi avrebbe riportata a casa a costo di buttarmi di peso su una spalla, indifferente ai miei calci e alle mie grida. Per quanto mi sarebbe piaciuto opporgli resistenza, mi sarei risparmiata quell'umiliazione perché sapevo che alla fine avrebbe vinto lui. Era un'altra di quelle cose che non cambiavano mai, come lo stesso Marc. Nel tempo che impiegai a cambiarmi i pantaloni al profumo d'agrumi e a raccogliere i vestiti e i libri di cui non potevo fare a meno, Sammi era di ritorno dalla biblioteca. Lasciò cadere i libri sul bancone della nostra cucina, piccola quanto una cambusa e attaccò subito con la sua ultima teoria di una cospirazione antifemminista. Esitò un istante vedendo Marc e si interruppe a metà di una frase. In un certo senso era buffo: avevo finalmente trovato un modo per farla tacere. Peccato che non potessi attardarmi a godere il silenzio. Marc rise, seduto alla mia scrivania dove si era sistemato come se fosse a casa sua. Sotto il suo peso, la poltrona dall'alto schienale non sembrava più robusta di una piramide di stuzzicadenti e dava l'impressione di poter cadere in pezzi da un momento all'altro. 19


«Sono impressionato, Faythe» disse, inclinando la poltrona sulle gambe posteriori. «Non credevo che avresti potuto trovare qualcuno che parla più di te, ma evidentemente ti avevo sottovalutata. Non è la prima volta.» In effetti, ne aveva fatto un'abitudine. «Sammi, questo è Marc Ramos. Marc, la mia compagna di stanza, Samantha.» Sammi aprì la bocca e la richiuse senza emettere suono mentre cercava inutilmente qualcosa di intelligente da dire. Alzai gli occhi al cielo. D'accordo, Marc era un uomo che non passava inosservato, ma la sua reazione era un po' esagerata. D'altra parte Sammi aveva un debole per il melodramma. Marc rise di nuovo e la sedia ricadde a terra con un tonfo mentre si alzava per stringerle la mano. Vedendolo avanzare verso di lei, Sammi indietreggiò e andò a sbattere con la gamba contro l'angolo di un tavolino prima di stringergli la mano in un breve saluto. «Che cosa sta succedendo?» riuscì infine a dire, fissando la valigia aperta sul divano. Ci avevo messo dentro più libri che vestiti, il che significava che avrebbe pesato una tonnellata, ma senza dubbio Marc era in grado di sollevarla con un solo dito. Non l'avrebbe fatto per non attirare l'attenzione, ma avrebbe tranquillamente potuto. «Papà ha tirato il guinzaglio» risposi, abbassando il coperchio della valigia. «Sarò di ritorno in autunno, ma non mi pagherà gli studi se non passo almeno l'estate a casa.» Era quanto di più vicino a una spiegazione plausibile mi fosse venuto in mente. «E Marc sarebbe...?» Lasciò la domanda in sospeso, fissandolo durante la pausa. Una buona domanda. Non era facile descrivere il ruolo di Marc nella mia vita, perché ultimamente non ne aveva nessuno. Non era più quello che mi scaldava il letto, né il 20


mio confidente e nemmeno un affettuoso ricordo; non corrispondeva a nessuna delle accezioni di amico che Sammi poteva comprendere; come definirlo allora? «Il mio passaggio.» Così poteva andare. Marc era stato retrocesso a chauffeur e la sua unica reazione fu un sorriso ammiccante. Bene. Pensava che fosse divertente. Sammi annuì lentamente, come se non mi credesse, ma questo era un problema suo perché ero stufa di inventare delle spiegazioni. Per lo meno fino all'autunno. «Parti adesso?» Giocherellava con l'orlo della camicetta, guardando tutte le cose di mia proprietà che erano rimaste sparse per l'appartamento dato che non avevano trovato posto nella valigia. «Sì, scusa per il disordine. Il mese è già pagato e ti manderò un assegno con la mia metà per il prossimo. Posso lasciare qui le mie cose finché non torno?» «Ma certo. E Andrew?» Sentii l'attenzione di Marc che si spostava su di me e mi morsi il labbro per non dire qualcosa di cui avrei potuto pentirmi. Non gli avevo parlato del mio nuovo ragazzo ed evidentemente non l'avevano fatto nemmeno gli informatori di mio padre. Senza dubbio il loro silenzio era dovuto al rispetto che portavano a lui più che a me. Marc si irrigidì e solo un lieve dilatare delle narici lo tradì mentre annusava il mio odore. Si rabbuiò e io soffocai un grugnito, improvvisamente grata che Andrew e io avessimo... ehm... pranzato nel suo appartamento anziché nel mio. Percepire l'odore di un uomo misto al mio era una cosa, ma percepirlo sulle mie lenzuola sarebbe stata tutt'altra faccenda. L'odore del randagio che ancora persisteva su di me era probabilmente l'unica ragione per cui Marc non aveva ancora realizzato quale posto occupasse Andrew nella mia vita. E nel mio letto. L'intenso aroma muschiato del ran21


dagio misto a quello del sangue copriva il leggero miscuglio di sudore e umanità non corrotta che caratterizzava Andrew. Prima o poi intendevo dirglielo. Sul serio. In ogni caso mi vanto di possedere più tatto di Sammi. D'altra parte non ero stata del tutto onesta con lei sul ruolo del mio accompagnatore, quindi che cosa potevo aspettarmi? «Lo chiamerò» risposi, sollevando la valigia. Marc me la strappò di mano e uscì dalla porta d'ingresso, lasciandola spalancata sul corridoio. Abbracciai Sammi, aspirando la fragranza floreale del suo shampoo. Se i miei genitori l'avessero avuta vinta, sarebbe passato un po' di tempo prima che potessi annusare l'aroma intensamente femminile della mia compagna, cui si sovrapponevano prodotti cosmetici alle erbe e chewing gum alla ciliegia. Ammesso che mi lasciassero tornare all'università. Quando c'era di mezzo mio padre, non esistevano garanzie. «Cerca di studiare anche per me» dissi, lasciandola con riluttanza. Lei sorrise, più confusa che triste, e io ricambiai il suo sguardo. In realtà nemmeno io sapevo bene come sarebbe andata. In corridoio, Marc disse qualcosa di scortese alla studentessa della stanza di fronte, a voce abbastanza alta perché lo udissi. Con un sospiro, raccolsi le chiavi e il cellulare dal tavolino e mi guardai intorno per l'ultima volta. Perché gli addii sembrano sempre così definitivi? Tranne quando lasciavo la casa dei miei. In quel caso so che prima o poi ritornerò al ranch, non perché lo voglia, ma perché loro mi trascineranno indietro. È una differenza piccola ma importante. Seguii Marc lungo il corridoio e giù per le scale senza che ci scambiassimo una parola. Una volta fuori, camminai qualche passo dietro di lui, cercando di interpretare il 22


suo umore mentre procedeva spedito lungo il marciapiede. Stringeva la maniglia della mia valigia tanto che le nocche erano bianche, ma piÚ eloquente di tutto era la sua postura mentre zigzagava tra le auto nel parcheggio. Testa alta e spalle dritte, aveva un portamento rigido e formale, come se davvero non fosse altro che il mio chauffeur. E nel caso mi fossero sfuggiti tutti quei segni piÚ sottili, quando mi avvicinai, mi rivolse un ringhio irritato, troppo basso perchÊ qualcun altro lo potesse udire. Fantastico. Non c'è nulla di peggio che passare diverse ore in macchina in compagnia di un mutaforma incavolato. Benvenuti nella mia vita.

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QUESTO MESE MAGGIE SHAYNE

Ossessioni nella notte Chi è il vampiro dai capelli biondi che popola i suoi sogni e le fa ribollire il sangue nelle vene? E perché il suo dono le trasforma il cuore in ghiaccio per il terrore? Al risveglio Amber non riesce mai a ricordarlo. Sa solo che lui le porterà la morte. O forse la sedurrà per l’eternità.

RACHEL VINCENT

Il graffio della pantera Nessuno sospetta che Faythe Sanders sia una creatura dalla doppia natura, umana e felina. Poi un Randagio, un mutaforma senza legge né branco, attacca la comunità, mandando all’aria i suoi sogni e i suoi progetti. E a quel punto Faythe decide di sfoderare gli artigli e fargliela pagare. Chiunque lui sia.

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PROSSIMO APPUNTAMENTO GENA SHOWALTER

Paranormal Game Proprio quando sta finalmente per sposare l’uomo più sexy del mondo, la vita di Belle Jamison piomba di nuovo nel caos! Qualcuno è entrato nella memoria del suo fidanzato, Rome, e ha cancellato tutti i ricordi che la riguardano. Chissà cosa dovrà inventarsi stavolta per riconquistarlo...

HEATHER GRAHAM

Blood Night

Ombre su New Orleans Rientrata a New Orleans dopo un viaggio di lavoro in Transilvania, Jessica percepisce un’oscura presenza che non avvertiva da molto tempo. Chi l’ha guidata sulle sue tracce? E perché Bryan MacAllistair, l’affascinante professore giunto di recente a Monstresse House risveglia in lei passioni dimenticate da secoli?

dal 24 settembre


Questo mese Duplice piacere - Cara Summers

T269

Maddie ha avuto una doppia sorpresa: ha scoperto di essere un’ereditiera e di avere una gemella. Per godere di entrambe le cose, però, dovrà spacciarsi per la sorella e condividere la stanza di lei con l’uomo più peccaminoso che abbia mai incontrato.

Nuova seduzione - Cara Summers Il sogno di Jordan di vivere lontano dalla città è destinato a rimanere tale, finché non scopre di avere una gemella e di dover prendere il suo posto, trasferendosi a casa sua. La felicità cresce quando nel letto si trova anche un’eccitante compagnia.

La favorita del principe - Betina Krahn

T270

Jack St. Lawrence sta vivendo una battaglia interiore senza pari tra la lealtà all’amico di sempre, il principe del Galles, e l’attrazione per il corpo sensuale della bella locandiera Mariah Eller, a cui non sembra il solo a essere interessato. T. HISTORICAL

Tocco ardito - Jacquie D’Alessandro Compiacere un uomo è ciò che sa fare meglio, ma quando Ge-nevieve incontra Simon ogni briciolo di razionalità in lei viene meno. Lui è sexy, ambiguo e lei non riesce a non toccarlo. Peccato che Simon non sia chi dice di essere. T. HISTORICAL


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