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ACQUA

Associazione di Promozione Sociale iscritta al Registro dell’Associazione della Provincia di Mantova negli ambiti: civile-sociale, culturale e attività sociale. Decreto n. 17/2007

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• Mantova

gioiosa entra nelle case

SOMMARIO A pelo d’acqua Un insolito marinaio Rugiada sopra la ruggine La “regina del paesaggio” “Ottima è l’acqua” La nascita di Venere, la fine di Ofelia Il genio del fiume Mantova, quasi Venere Come se piovesse Canti di donna allora L’acqua di Liszt Le bolle: solo gioco?

Foto Salvatore Michele Schepis

dicembre

Curato da Associazione Cultural e Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44


Tomba di Tarquinia, Il Tuffatore

Un insolito marinaio

Non si dica che “Ca'rte” fa acqua. Certo, la scelta del tema suggerisce tutta una serie di espressioni proverbiali o idiomatiche dalla valenza negativa: “Acqua passata non macina più”, “Fare un buco nell'acqua”, “Avere l'acqua alla gola”, “Pestare l'acqua in un mortaio”, “Intorbidare le acque”, fino alla con“La molle acqua scava la dura pietra.” statazione rassegnata del vernacolare (Ovidio) “L'acqua va alla bassa”. Eppure si tratta di un elemento primario e primordiale in“Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, torno a cui ruota ancora la vita umana, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.” benché non causi più il moto di una (Francesco d'Assisi) ruota di mulino (del Po). I miti originari così come l'arte e la tecnica hanno volen“L'acqua, bevuta moderatamente, non è nociva.” tieri attribuito all'acqua il ruolo decisivo che me(Mark Twain) ritava. Il nostro foglio, dopo la Luna, non poteva che indagare ciò che del satellite terrestre riceve l'influsso. Dolce o salata, potabile o termale, pazza o cheta, liscia o frizzante, distillata o di Colonia, santa o arzente, l'acqua è in noi e ci circonda, cade oppure evapora, ne cresce il livello, salva e distrugge; è causa di naufragio o via di trasporto. Meglio troncare qui le premesse, smettere di tirar l'acqua al proprio mulino, far calmare le acque e non perdersi in un bicchier d'acqua; è il momento di tacere per dar luogo agli interventi dei collaboratori, al solito variegati. Allora, acqua in bocca! Claudio Fraccari

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Un insolito marinaio, calmo, epico narratore (degno di figurare in una pagina di Conrad), col mare che gli si rispecchia negli occhi, una vita trascorsa sul mare, tra bonacce spaventevoli tanto quanto le tempeste, una faccia antica, cotta dal sole, dal vento, dalla salsedine, dai ricordi dei naufragi, ammette francamente che la prima sensazione che il mare ci trasmette è la paura. Il mare è sempre imponente e minaccioso. L’insolito interlocutore, cui non si riesce a dare un’età anagrafica, mi dice queste cose mentre stiamo seduti in cima a un’alta scogliera che strapiomba nel blu cobalto della immensa distesa d’acqua, la cui infinità non si vede; la si sente, la si avverte, la si indovina; e l’impressione che se ne riceve è ancora più profonda. L’acqua, per ogni essere di terra, è l’elemento non respirabile; barriera fatale, eterna, che separa irrimediabilmente i due mondi: la terra, il mare. Non stupiamo, precisa l’insolito uomo di mare, che più parla e più incanta, se l’enorme massa d’acqua che siamo soliti definire mare, sconosciuta e tenebrosa nel suo spessore profondo, è sempre apparsa terribile nell’immaginazione dell’uomo. Gli orientali non vi vedono che il “baratro amaro” o “la notte dell’abisso”. In quasi tutte le lingue antiche, dall’India all’Irlanda, il nome del mare ha per sinonimo o analogo, il “deserto” e la “notte”. Quale tristezza vedere ogni sera il sole, questa gioia del mondo e della vita intera, offuscarsi, sprofondare nei marosi all’orizzonte. È il lutto quotidiano del mondo. Certo, abbiamo fatto l’abitudine ad assistere ogni giorno a questo spettacolo naturale che continua ad esercitare sugli umani la stessa suggestione, lo stesso effetto di immedicabile malinconia. Se poi ci immergiamo nel mare ad una certa profondità, afferma l’insolito marinaio, ben presto la luce scompare; ci addentriamo in un crepuscolo dove resiste un solo colore; poi anch’esso sparisce e si fa notte completa. Di colpo, l’umile marinaio, ma quanto seducente, mi saluta sorridendo e, come il “giovane tuffatore etrusco” nella tomba di Tarquinia, si getta nei flutti, che insieme lo atterriscono e lo attraggono. D’altra parte, le acque del mare legano così saldamente a sé gli uomini, che gli hanno affidato per lungo tempo il loro destino, e hanno vissuto in grande intimità con lui, al punto che essi non possono più lasciarlo. (Charles Baudelaire, a metà Ottocento, scriveva l’indimenticabile poesia intitolata L’uomo e il mare: “Uomo libero sempre ti sarà/ diletto il mare / tua anima / specchio dove guardi / la tua anima scorrere infinita come le onde. Non meno amaro abisso è il tuo cuore, o uomo!”). Per un viottolo sassoso, incerto e pericolante raggiungo il marinaio che ha guadagnato la riva a poderose bracciate. È lieto di rivedermi; anche perché vuole dirmi ancora qualcosa: “La Terra ci supplica di vivere, ci offre, per risollevarci, quanto ha di meglio: il mare. La Terra si perderebbe, perdendoci. Noi siamo, infatti, il suo genio, la sua anima creativa; vive delle nostre vite e della nostra morte, morirebbe. Un giorno, improvvisamente, vedremo sino al fondo del mare così come fino al mondo di Dio. Allora il nostro cuore non sarà più triste, tormentato, colmo di dubbi”. Poi l’insolito marinaio si rituffa in mare; compie un balzo nell’invisibile. Il giorno declina. L’uccello di mare affretta il volo. Lontano nereggia una tempesta. Rimango lì davanti a un mare che è di una magnificenza grandiosa, come un dipinto di Delacroix, colorato a grandi pennellate agitate, dolcissime e cruente insieme.

Gian Maria Erbesato

Foto Massimo Pignoli

A pelo d’acqua


Rugiada sopra la ruggine Conversazione con Gabriella Pauletti

Gabriella Pauletti, Onda, particolare

Una casa accogliente, il tuo spazio creativo. Non senti il bisogno di uno studio esterno. Proprio no. Questo è anche il mio spazio interiore, la mia tana. Inteso nel senso più positivo e creativo del termine. Cosa ti lega al tema dell’acqua? Cerco di ritrovare lo stupore infantile e l’acqua, con la sua mutevolezza, soddisfa sempre questa mia esigenza. Fin da piccolissima mi incantavo a guardare le fontanelle ai giardini Valentini o in via Frattini: non solo acqua corrente, ma anche ghiaccioli o piccoli muschi, secondo la stagione. A quattro anni scoprii la magia delle gocce di inchiostro fatte cadere a caso in una boccia di acqua limpida. Quello che provai allora è indimenticabile e riaffiora ancora oggi nella mia ricerca artistica. Ecco, il colore galleggia come fa il muschio lungo i corsi d’acqua. Creando un elemento di sogno. Uno stimolo creativo potente… L’acqua per l’uomo è elemento di gioia, ma innegabilmente può essere anche fonte di morte e di angoscia: questa contraddizione in natura si rispecchia nell’arte. Che può essere specchio di un dramma, ma denota sempre libertà. Penso a Ofelia, il famoso dipinto del preraffaellita J. E. Millais: è la rappresentazione di una morte, ma in sospensione e non è crudele perché qui l’acqua accoglie, restituisce. Dunque una preferenza netta per l’uso di colori liquidi. È sempre stato così? Nel mio percorso creativo ci sono stati dei salti. A volte ho usato carboncini, pastelli, poi però tornavo sempre agli acquerelli. Non delicati, bada, ma macchie sbattute sul foglio con determinazione. Perché dentro il mio lavoro si riconoscono aneliti di delicatezza, ma anche asprezze. Segni e tagli lasciati da strumenti taglienti, mai da delicati pennelli. Vi è perenne contraddizione tra il desiderio di tenerezza e l’osservazione della crudeltà che ci circonda. L’innocenza viene ferita e fatta a pezzi quando basterebbe l’amore ad espanderla. Basterebbe? Ci sono ferite inferte da chi “ama” che non si rimarginano mai, bisogna guardarle bene in faccia, non negarle. Se no ci possiamo fare strumento noi stessi di analoghe crudeltà. Occorre attenzione per gli altri L’arte può essere di aiuto in questo senso. Ho esercitato per tutta la vita la professione di insegnante parallelamente a quella di artista: entrambe vissute con passione, entrambe strumento espressivo, comunicativo e un modo per favorire una trasformazione personale e un passaggio di conoscenze.

Foto Mara Pasetti

Gli occhi di Gabriella. Si illuminano in un sorriso quando mi apre la porta della sua casa. Uno sguardo spesso assorto in pensieri che trovano per uscire il gesto frequente quanto meccanico di asciugare una lacrima inesistente all’angolo dell’occhio.

Trasformazione/Metamorfosi: suona come una parola d’ordine sulle tue labbra! Ho avuto un’adolescenza difficile, molto solitaria e musica e pittura mi sono state di grande conforto: qualcosa dentro ti fa male e tu lo devi sciogliere. Portare un disagio fuori di te è terapeutico. Fu un’operazione necessaria, anche se a soffrirne fu la mia socializzazione. Acqua come strumento per creare suggestioni: non solo inchiostri e colori diluiti, anche l’intervento sulle ruggini. Vi è uno stretto collegamento perché l’acqua è necessaria alla loro creazione. Senza dimenticare il fascino esercitato sulla mia immaginazione da muffe e macchie. La casualità ha un ruolo fondamentale nel mio operare: sono le suggestioni che vengono a cercarmi. Come la volta che passai vicino a una discarica e vidi delle lastre arrugginite che mi hanno affascinato. Le ho aiutate con l’acqua per intensificare la ruggine, poi sono intervenuta con inchiostri, ma soprattutto col carbone. Affascinata dalla casualità delle macchie sui muri, ho scattato migliaia di foto prima di mettermi al lavoro, fiera di vedere cose invisibili ai molti che passano oltre. Franco Piavoli ti ha affiancata in un video documentario… Lui e il figlio Mario sono cari amici che assecondano qualche mio capriccio e condividono questo interesse per le manifestazioni poetiche della natura. Licheni, cortecce, muffe mi attraggono indicibilmente, fatico a staccare occhi e cuore da loro. La natura è una grande meravigliosa Madre, salvezza e consolazione. Sento così: natura come rifugio, tana per gli animali. Dunque nella tua casa ti senti in contatto col tuo io primordiale: si spiega la creatività che si esprime tra le mura domestiche Ricerco la mia parte animale circondandomi di cose calde e confortevoli: tana è elemento di rigenerazione, è privato. Un luogo dove si deve bussare con rispetto dei tempi altrui. A proposito di tempi della creatività: come si svolge il tuo lavoro? Dipingo anche tutta la notte, senza accorgermene e non obbedisco a nessuna regolarità. A volte, al risveglio arrivano idee che mi appunto. Per esempio ho lavorato a lungo sul tema della ruggine. L’ho lasciata sedimentare, ne osservavo le stratificazioni intervenendo col gesso che spolveravo come un alone prima di esporre la lastra agli agenti atmosferici: anche per vent’anni. Finché un giorno ho sentito di dover intervenire col colore su ciò che si era andato naturalmente e liberamente creando. Ciò obbedisce alla casualità. Il caos può essere attraente, stimolante: è accoglienza dell’imprevisto. Sono sempre alla ricerca di immagini stravaganti, insolite. È la materia che mi guida, non sono io che scelgo i supporti su cui dipingere. È la vita esterna che mi viene incontro casualmente. Non sono ordinata e nemmeno paziente, ho bisogno di liberare il gesto, obbedisco a una sorta di urgenza. Mi identifico in quello che faccio e non scarto nulla: magari non lo mostro a nessuno. Guai a chi cerca di forzare i miei confini! Alcune opere sono come pagine di un diario, scandiscono fasi importanti della mia vita e, come tali, sono inalienabili.

Fatico a lasciare il caldo abbraccio di questo luogo con la sensazione di essere un po’ più ricca. L’artista mi accompagna alla porta con un sorriso che si fa strada da sotto una sciarpa stretta intorno al collo: di cashmere, of course. Mara Pasetti 03


La “regina del paesaggio”

AΡΙΣΤΟΝ ΜEΝ YΔΩΡ (Pindaro, Olymp. 1, 1)

Riflessioni minime sull’acqua “Ottima è l’acqua” cantava Pindaro. Eraclito, per dimostrare che tutto scorre a questo mondo, trasse la conferma del suo dire dall’acqua. L’apollinea fonte Castalia di Delfi nutriva l’ispirazione poetica. E Virgilio per dire del beneficio che opera sull’anima la poesia, cantava dell’acqua dolce d’un vivace ruscello che sazia d’estate la sete. L’acqua regge navigli fin dal tempo degli Argonauti, ma non le dichiarazioni d’amore delle donne, scrisse Catullo (70):

Nulli se dicit mulier mea nubere malle quam mihi, non si se Iuppiter ipse petat. dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti, in uento et rapida scribere oportet aqua. Dante meditò sulla Questio de aqua et de terra trovandosi a Mantova: existente me Mantue. E cantò le infernali acque tenebrose di Stige e di Cocito, e quelle cristalline di Letè e di Eunoè. Francesco vide Laura bagnarsi nelle “Chiare, fresche, dolci acque” di Vaucluse, e nel castello della Manta di Saluzzo una fontana dipinta restituisce ai vecchi la giovinezza. Impossibile rincorrere l’acqua degli innumerevoli poeti, ma basterà ricordare quella dei cinque laghi dalle rive irte di giunchi dai getti rossi cantate da un anonimo cinese del IV sec. d.C.: Verdi giunchi dai getti rossi, Lunghe foglie piegate dal vento, Tu ed io nella stessa barca A coglier giunchi, sui Cinque Laghi. Partimmo all’alba dall’Isola delle Orchidee, Ci riposammo al meriggio all’ombra degli olmi. Tu ed io insieme a cogliere giunchi... Calò la notte e non ne avevamo che un pugno. o l’ “acque/ […] fatali” solcate dalla nave di Ulisse, quelle “del greco mar da cui vergine nacque/ Venere“, e che fu culla al Foscolo, o la magnetica acqua della fontana nella quale Leopardi fu tentato di spegnere la propria giovane vita, E già nel primo giovanil tumulto Di contenti, d’angosce e di desio, Morte chiamai più volte, e lungamente Mi sedetti colà su la fontana Pensoso di cessar dentro quell’acque La speme e il dolor mio o i manzoniani “tepidi lavacri d’Aquisgrano”. E che dire della mortale seduzione esercitata dalle acque del Reno sul giovane, disperato “Zvanì”, o della beatitudine de “La pioggia nel pineto” dannunziana, o dei fiumi della nostalgia contati da Ungaretti nell’”urna d’acqua“ dell’Isonzo? Sussurri di scaturigini segrete, silenti “polle fra l’erbe”, fragori di cascate, tuoni di devastazioni, brusii di pioggia tepida e fuggitiva, commiato lacrimoso de la primavera, o scrosciante e ruinosa; acqua del diluvio, che s’apre e chiude al gesto di Mosè, acqua della Gerusalemme Celeste, acqua lustrale, catartica, santa, battesimale, termale, terapeutica, refrigerante, beatificante; acqua di castità, di naturalezza, di spontaneità, d’innocenza, come in “Consolazione”, cantava Gabriele, desideroso di tornare alla madre, mondo dalle menzogne della vita: tutto sarà come al tempo lontano. L’anima sarà semplice com’era; e a te verrà, quando vorrai, leggera come vien l’acqua al cavo de la mano.

Rodolfo Signorini

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Foto Claudio Compagni

L’elemento acqua alimenta l’immaginario degli artisti del ‘900 con uno sguardo aperto ai rapporti tra arte e letteratura, cinema e musica, seguendo un percorso improntato sull’interrelazione dei linguaggi e su corrispondenze percettive, mentali e sensoriali, che evocano molteplici visioni e stati d’invenzione. Il corpo dell’acqua è inquieto e profondo, insondabile e sconosciuto nei suoi movimenti imprevedibili, esso esprime il senso della continua rigenerazione dell’atto creativo, stato d'immaginazione che non ha confini, si combina con gli altri elementi mantenendo sempre viva la propria mutevole identità. Non a caso, gli artisti contemporanei sono sempre stati affascinati dalle potenzialità visionarie che l’acqua sprigiona come qualità della percezione in divenire, condizione indispensabile per riconquistare le energie misteriose della natura e dell’ambiente che ci circonda. Quest’immagine di ricerca oscilla tra storia e attualità, costantemente in bilico tra la tensione conoscitiva legata alle antiche mitologie dell’acqua e al desiderio di fantasticare intorno al suo percorso di seduzione creativa. In ogni prospettiva di sguardo, l’immagine sognante dell’acqua si pone come luogo del continuo fluire dove l’artista e il suo lettore non hanno mai la sensazione di incontrare immagini definite, forme stagnanti, figure isolate, ma solo visioni esaltate nella loro natura instabile, dinamica, inarrestabile. Il rapporto tra colore e immaginazione, tra i riverberi della luce e le tracce del pensiero fantastico, è tramite spontaneo per evidenziare le magie e i segreti dell’acqua, i suoi luoghi simbolici indissolubilmente legati al paesaggio. Del resto - come scriveva Dino Campana - l’acqua è la regina del paesaggio, e questo porta a pensare che esistano continue analogie tra l’arte e lo scorrere della vita nelle forme visibili e invisibili dello spazio naturale e mentale. Se i pittori hanno cercato l’anima dell’acqua nelle vibrazioni del colore, gli scultori hanno avvicinato direttamente questa materia sfuggente realizzando opere sull’acqua, con l’acqua, in stretta relazione con i luoghi acquatici e le loro metamorfosi spaziali. In questo caso si tratta di dialogare con l’acqua a cielo aperto, insediando le opere plastiche nel vivo dell’ambiente, tra lievi affioramenti e sottili trasparenze, attraverso il tempo fluido che avvolge la vita e sospinge lo sguardo nelle profondità sommerse della natura interiore. Claudio Cerritelli


La nascita di Venere, la fine di Ofelia Dalle spume del mare è uscita Venere, nuda e bellissima dea dell’amore. Dal mare emergeva Nausicaa, quando la vide Ulisse provando per lei l’attrazione, turbata e meravigliosa insieme, di chi poteva esserle padre. “I tuoi seni sono come due caprioli gemelli, il tuo collo come torre d’avorio, i tuoi occhi come le piscine di Hesebon presso la Porta Popolosa”, declamava lo sposo alla sposa nel ”Cantico dei Cantici”, la più straordinaria dichiarazione d’amore di tutti i tempi, e per sempre. Acqua come bellezza, scrigno di meraviglie, purezza. Del resto, è nell’acqua del Giordano che Gesù fu battezzato, e in quella del Gange che i morti indiani si mettono in viaggio verso il paradiso. Acqua come Ofelia, alla fine (e sarebbe bello sapere a quale torrente si era ispirato Shakespeare: non i lerci rigagnoli del londinese Tamigi, questo è sicuro; e forse, allora, all’Avon del suo paese natale?). Ofelia è pura e senza colpa. Ama il suo principe e non sa nulla del suo tormento. E anche nella sua vera o presunta follia, Amleto ama Ofelia. Ma nella vita di Amleto c’è un’altra donna: Gertrude, la madre. Venerata e fedelissima sposa del Re. Se non che Amleto scopre che è un’assassina; un’incestuosa sacrilega che ancora in lutto si infila nel letto del nuovo Re, il cognato; una ”cagna in calore” che lorda i lenzuoli

dove l’aveva generato, partorito, allattato, coccolato e scaldato nelle lunghe e gelide notti della sua adolescenza a Elsinore. Amleto è impazzito per questo dolore. La madre è la peggiore delle donne. Tutte le donne sono come Gertrude. Anche Ofelia. Amleto la prende per mano, la tiene stretta, poi distende il braccio e l’allontana da sé. La scansa. La riprende. La strattona da una parte all’altra. La lascia andare. Torna sui suoi passi, intensamente la fissa, e le ordina: ”Vai in convento”. Salvati. O vuoi entrare anche tu nel bordello della Danimarca? Ofelia impazzisce. Lei sì, che impazzisce davvero. Non tanto per la morte del padre. Quanto perché il suo amore è stato offeso, contaminato, sporcato. La pazza Ofelia cammina lungo il torrente raccogliendo fiori e cantando. A un certo punto si sporge, e finisce nell’acqua. Non precipita, non cade, non scende. Finisce. Come era naturale: doveva lavare via lo sporco che l’aveva imbrattata, le macchie di sangue, di sperma e di fango di cui è sommersa la reggia di Amleto. E ancora canta, galleggiando sull’acqua che le restituisce innocenza e purezza. Fino a quando le sue vesti non reggono. E il resto, è silenzio. Edgarda Ferri

Il genio del fiume In margine al film “Il mulino del Po” mento essenziale, partecipe quasi dell’azione e comunque suo contesto elettivo. Ma è una figura secondaria ai fini del racconto che merita una riflessione: il pescatore Scansafrasca, oltre l'eccentricità pitocca che già Bacchelli sottolineava, espande nel film la sua qualità di genius loci, anzi di “genio del fiume” – sempre sull’acqua lo vediamo. È del resto la sua comparsa ad aprire il dettato filmico, e la sua “regìa” a chiuderlo. Nella sequenza finale, è lui che conduce i personaggi principali nel punto del fiume in cui riapparirà il cadavere di Orbino: sulla “promessa sposa” Berta, suo fratello Princivalle, la madre Cecilia, egli esercita il ruolo di interprete oracolare, di ministro di un rito arcaico: «Sorgerà qui, ma prima passerà tutta la notte. Sedete e non dite orazioni cristiane. Così vuole il fiume». Il melodramma paganeggiante di Lattuada trova così nell’affezione popolare per il Po la via per la sopravvivenza – non tanto fisica e materiale, quanto morale. Il fiume lava le colpe dell’umanità, ne sancisce la pusillanimità ma anche l’incoercibile ansia di grandezza. Certo, la dilatazione fra il tramonto dell’Ottocento (il contesto temporale della vicenda) e il Novecento ora già tramontato ammette nel mezzo la progressiva perdita dei valori tradizionali, l’oblio per la sacralità “senza scritture” del grande fiume, la trascuranza nei confronti di una fonte di sostentamento ormai considerata marginale se non inutile, infine l’inquinamento delle acque e delle coscienze. Tuttavia, al netto delle concessioni al romanzesco, il film sollecita a riconsiderare quanto la civiltà padana abbia ancora radici profondissime, nutrite di alimenti mitologici e antropologici tenaci, in grado perciò di generare un’idea del mondo vecchia eppure nuova. L’idea che vede gli individui, le loro singole storie, riunirsi sotto l’egida del fiume: l’orizzonte d’acqua fa da collettore per le memorie vere e le favole trasmesse oralmente, sostanzia il presente col passato, garantisce un referente comune alle parole e al pensiero. È insomma il senso di comunità, nella buona come nella cattiva sorte, che avvolge i personaggi tardo-ottocenteschi di Bacchelli/Lattuada. Grazie al Po. Perché “il tempo è simile all’andare del fiume”. Claudio Fraccari

Foto Giuseppe Tripodo

Il bacino idrografico del Po è caratterizzato dall’alternarsi ora placido ora tortuoso di acqua e terra. Il grande fiume e i suoi affluenti hanno modificato continuamente il territorio; l’intervento umano, a sua volta, ha contribuito al mutamento, sia bonificando le terre, sia irregimentando le acque, per difendersi ovvero alla ricerca di una migliore rendita del suolo. Agli inizi del Novecento tali interventi si sono fatti più sistematici, producendo una vera e propria architettura, insieme naturale e artificiale. Singolarmente, sono gli anni in cui si va affermando il cinematografo, ossia un mezzo tecnologico in grado di documentare oggettivamente, come già la fotografia, il paesaggio e le sue tappe evolutive, ma anche – e dunque al di là della fotografia – di registrare un’azione nel suo svolgersi. Fra la varietà di titoli che hanno impiegato il Po come set cinematografico, spicca il film che Alberto Lattuada girò nel 1948 in territorio mantovano, tra Rivalta e San Benedetto: è Il mulino del Po, ispirato al romanzo omonimo di Riccardo Bacchelli. Si può valutare subito dopo i titoli di testa l’importanza del fiume: alle sue acque sono dedicate le prime inquadrature, e tutta la prima parte del film trova nel Po un ele-

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Mantova, quasi Venere L’acqua può assumere una forza devastante, che allaga, travolge, semina morte; ma più spesso l’acqua è amica: limpida e fresca, disseta e ristora; serve poi a irrigare i campi, a produrre energia elettrica, a spegnere gli incendi, e a tanto altro. Per esempio, a proteggere e difendere: come gli antichi castelli, che non a caso si circondavano di un ampio fossato. An-

cor prima si erano circondati d’acqua protettiva i nostri più lontani antenati, quelli che, dovendo abbandonare il Forcello, scelsero come rifugio un’isola in mezzo al Mincio. È così che è nata Mantova, crescendo poi sino a diventare la città che conosciamo. Se la si guarda dall’opposta sponda dei laghi, case palazzi

cupole e torri occupano l’isola per intero, sicché l’abitato sembra sorgere direttamente dall’acqua: e così l’hanno raffigurata di preferenza i pittori. Tre esempi, facilmente verificabili. Al Museo diocesano, un dipinto di Domenico Fetti datato 1616 la vede così, a sfondo di figure sacre (la Madonna col Bambino, San Carlo e Sant’Anselmo) che paiono avvolgerla come a esprimere la loro protezione. Negli stessi anni ha fatto altrettanto Francesco Borgani, in un quadro oggi in Palazzo Ducale (sala degli arcieri: San Francesco raccomanda la città alla Madonna). Poco più di un secolo dopo, in posizione analoga Girolamo Brusaferro ha presentato San Giovanni della Croce intercedente presso la Santissima Trinità (chiesa di Santa Teresa, primo altare a destra). Mantova dunque sorgente dalle acque: quasi come gli antichi greci e romani raffiguravano la nascita di Venere, dea della bellezza e dell’amore. E in fondo, che differenza c’è? Non è forse Mantova altrettanto bella, e capace di far innamorare di sé?

Roberto Brunelli

Quando l’acqua scende dalle nuvole, il comune mortale ha un moto di fastidio, se non possiede un campo da irrigare o bellissimi fiori da innaffiare. Indossare l’impermeabile, aprire l’ombrello, badare a che le scarpe non si rovinino. Insomma, una serie di noie che la giornata grigia e il vento del nord accentuano, imprimendo spesso una svolta cupa all’umore del risveglio. Eppure… Eppure l’acqua è l’elemento primordiale, il liquido associato alla nascita, ad ogni nascita. Millenni or sono, gli oceani ospitarono la prima scintilla di vita, una misteriosa combinazione di molecole che diede inizio (aiutata o meno dalla parola divina) alla catena di conseguenze che oggi riempiono, affollano, colorano il nostro mondo. Eppure… Nei sogni talvolta accade che l’elemento acquatico sia associato all’angoscia. Nuotiamo, e della spiaggia non c’è la minima traccia; camminiamo, ma sotto di noi si estendono paludi infide; passeggiamo accanto alla riva del mare, e una tempesta improvvisa tinge l’orizzonte di oscurità spalancando di fronte a noi l’abisso. Abisso, voce antichissima che viene da Babel-Babilonia (in Mesopotamia, la terra dei due fiumi) e si trasferisce miticamente di civiltà in civiltà, a indicare quel che non può essere colmato. La perdita, insomma, l’irrevocabile perdita da cui alcune cose (tutte le cose?) vengono risucchiate, smarrendo anche la traccia del loro stesso abbandono. Come i castelli di sabbia che le onde dissolvono, lasciando che i granelli svaniscano nella sospensione della schiuma, nell’immensa e ritmica clessidra segnata dal respiro del flusso. Per questa ragione lo tsunami oggi terrorizza più del terremoto, e per destino si lega in modo inestricabile al terrore nucleare, ovvero al moderno incubo di annientamento dell’intero pianeta. Quando l’onda sale, da quali regioni proviene la sua cima? Dentro quali Atlantidi si nasconde il vuoto che della cima è il doppio, il presupposto, l’origine? Eppure… Il vento d’autunno porta la pioggia, pulisce l’aria, trasporta nei mille rivoli che inondano la città l’annuncio del suo contrario, la primavera. L’uomo scopre nuovamente il clima, il procedere delle stagioni, in una parola si accorge del tempo. Tempo atmosferico e tempo vissuto, tempo della riflessione e del cambiamento. E il nostro sembiante si specchia nella minuscola goccia d’acqua. Giovanni Pasetti

Canti di donna allora Canti di donna allora alle imposte socchiuse e nei cortili assorti improvvisi sbocciavano come solo i ciliegi fioriscono e più splendeva il bianco tenero dei panni stesi sulle aie assolate, il mistero di un pozzo, inquietante all’affacciarsi furtivo immagini rimandava sfuggenti e note, liquidi chiaroscuri increspati dagli echi, ci esaltavano intrecci di segrete corrispondenze nel dissetarci con acqua e luce a una tazza di rame

È perduto quel mondo allo sguardo che da sé s’allontana, dal suo acume e tracce più non coglie del pleroma invisibile, ma l’anamnesi è forte più del tempo, riporta ogni frammento che bellezza ha toccato e ciò che è stato a immagine chiama a rassomiglianza, e l’incantato sogno a visione Né si è spento quel canto, traspare anche da informe rumore, riecheggia nel grido e nel silenzio, di quel piccolo bianco uno immenso ha saturato il luogo, diverso e incontenibile

Foto Giovanni Fortunati

Come se piovesse

sole d’altra giustizia, e nero è il sole di prima da quando nuova luce è brillata sulla montagna abbacinando uomini in attesa È capovolto il pozzo su di noi che vorremmo sapere, e per confine ha il giro della notte stellata Non dà tregua l’arsura, inalterato spasimo e il tempo vien meno, da un lieve clic sapremo come l’ansiosa esplorazione ha fine Ad acqua - e - spirito, al volto trasfigurato, icona del mondo che nasce, più sciolta si volge l’ultima attesa, la promessa è nel cavo delle sue mani di luce

Benito Regis

Foto Giuseppe Tripodo

(da Neiges D’antan e Stazioni ed. Sometti, 2000)

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Foto Pier Luigi Gibelli

L’acqua di Liszt

Nel 1907 viene pubblicato il libro del filosofo Richard Hamann, Impressionismo nella vita e nell’arte, un libro che diventò subito molto celebre, e che, proprio nell’applicazione del tipico spirito sistematico germanico, fu il primo a esplorare, con metodi comparativi fra le varie arti, il termine impressionismo. Anzi, fu proprio grazie allo studioso tedesco che tale termine fu largamente accettato nell’ambito della critica, giacché, fino ad allora, impressionista era tutto ciò che andava contro il buon gusto e la vera arte che rappresentava il reale. Hamann si era spinto verso conclusioni ardite, ma oggi ancora ricche di fascino, individuando caratteri impressionistici nelle opere musicali di Richard Wagner, Franz Liszt, Richard Strauss (tra gli altri), dimostrando paralleli strutturali con le opere pittoriche dei contemporanei francesi. Il musicologo Stefan Jarocinsky ci ricorda, nel suo importante studio sulla musica di Debussy, che fu l’acqua e le sue proprietà di rifrazione della luce a suggerire ai pittori impressionisti le nuove tecniche pittoriche. Certo è che Franz Liszt, nato duecento anni fa nella piccola cittadina di Raiding (oggi Austria, ma allora Ungheria) fu il primo compositore a dedicarsi con assiduità e in diversi momenti della propria produzione nella descrizione dell’elemento acquatico, forse intuendo le potenzialità di tale fonte d’ispirazione e sperimentando brani che ancora oggi appaiono rivoluzionari, così proiettati nelle modernità liquide e sonore di un Debussy (i due si erano incrociati proprio in uno degli ultimi soggiorni lisztiani a Villa D’Este) o di un Ravel. Con la pubblicazione in compact disc delle opere pianistiche complete di Franz Liszt (a cura della casa discografica Hyperion, nell’esecuzione di Leslie Howard, pianista canadese di qualità prodigiose e il primo nella storia a riuscire nella titanica impresa di incidere “tutto Liszt”) possiamo facilmente percorrere l’incredibile evoluzione linguistica del compositore ungherese, dagli esordi ai virtuosismi abbacinanti, dalle meditazioni musicali alle avveniristiche arditezze delle ultime opere, alla enorme mole di trascrizioni e ai pezzi singoli di rara esecuzione; ricordando, tra il rapimento estatico che ci coglie all’ascolto o all’esecuzione de “Il Lago di Wallenstadt” o di “Al bordo di una fonte”, oppure di “San Francesco di Paola Cammina sulle Onde”, e ancora de “I Giochi d’acqua a Villa d’Este” e l’enigmatico, finale incedere de “La Lugubre Gondola” e “Nuages Gris”, quella leggenda ungherese che inizia cosi: All’inizio di ogni cosa, prima che il mondo venisse creato – e con lui gli uomini, il buio, la luce e il passare del Tempo – c’era una grande distesa d’acqua cristallina che si estendeva di sotto, di sopra e in ogni dove. Da qualche parte, dove di preciso non sappiamo, viveva il vecchio Del. Solo soletto e piuttosto annoiato. Perché il poveretto non aveva né figli, né fratelli, né nipoti, né amici. E anche perché aveva deciso di creare un Gran Mondo, ma proprio non sapeva che Gran Mondo avrebbe fatto bene a creare. Fu così che un giorno – se possiamo dire un giorno, perché i giorni non erano stati ancora creati – per l’irritazione scagliò il suo bastone nella grande distesa d’acqua cristallina. E vide che il suo bastone, nell’acqua cristallina, si allungava, si ingrossava, metteva radici, rami e foglie, e cresceva sino a diventare un grande albero.

Leonardo Zunica

07


Curato da Associazione Culturale

Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44

• Mantova

CALENDARIO EVENTI

CA’ GIOIOSA

dicembre

gioiosa

anni

entra nelle case 2 dicembre 2011 / Anno II Copia omaggio supplemento straordinario a La Cittadella Editrice Ca’ Gioiosa-Mantova Fotolito e stampa: Publi Paolini

Responsabile redazionale Claudio Fraccari Coordinamento artistico Raffaello Repossi Coordinamento editoriale Mara Pasetti Redazione Valeria Borini Claudio Compagni Giovanni Fortunati Claudio Fraccari Carla Guerra Nicoletta Marastoni Laura Pasetti Mara Pasetti Gianpaolo Poli Raffaello Repossi Giada Salvarani Giuseppe Tripodo Nicola Zanella

Ca’ Gioiosa ha scelto di dedicare questo numero di Ca’rte all’acqua: sorgente di vita ed elemento caratteristico della nostra terra. Chi potrebbe ignorare, arrivando a Mantova da est, la sensazione che sorga dai suoi laghi? Di dedicarlo ai giovani, soprattutto: che non dimentichino, conservino, si prendano cura. Perché la natura dell’acqua è benefica, ma può trasformarsi. Ca’ Gioiosa compie dieci anni e lasciatemi dire l’orgoglio che si prova a portare avanti un ideale di cultura condivisa, con pochi mezzi e tanta passione. Perché non sono i soldi a fare la differenza, ma la generosità di chi regala idee e competenze: penso ai volontari dell’associazione. A Laura, angelo custode, che vigila amorevolmente su ogni cosa, a Claudio, impossibile da clonare, che non ha smesso mai di dire “si poteva fare meglio”, a Valeria ospite entusiasta, complice dal primo sguardo, a Carla infaticabile messaggera su due ruote, a Giovanni insostituibile, contagioso menestrello del buonumore, a Giuseppe che non conosce il significato del rifiuto, a Nicoletta la pierre che tutti vorrebbero avere, a Paolo, anima tecnologica nella memoria della tradizione, a Nicola sempre prodigo di eccellenti consigli, a Raffaello con la serenità del saggio e la capacità di stupirsi di un bambino, a Claudio, funambolo delle parole, cui tocca sempre fare il professore, alla giovane Giada che ci ha istillato l’ottimismo del suo sorriso. Grazie di cuore. Perché questa assomiglia tanto a un’arca e dopo di noi….il diluvio! Cosa aspettate a salire a bordo? (Dal prossimo numero di Ca’rte apriamo alla collaborazione dei lettori chiedendovi di inviarci via mail scritti e fotografie sui temi previsti per il 2012: design, icona, graffiti, colore. La redazione farà una selezione che pubblicherà via via). In ogni caso, nell’anno che viene, auguro a tutti di incontrare persone leali come queste, di assaporare la ricchezza della vera amicizia. Mara Pasetti e redazione Buon Natale a voi affezionati lettori e ai vostri cari da

Domenica 18/12 Martedì 31/01 Sabato 18/02 ore 20.30 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn “In-contro” amici che si incontrano convivialmente Solo su prenotazione

Venerdì 2 dicembre ore 20.30 Volta Mantovana, Palazzo Gonzaga Nuova presentazione del libro “Ivanoe Bonomi, una vita per la democrazia” di Mara Pasetti e Giada Salvarani, Ed. Ca’ Gioiosa Ingresso libero

Testi e poesie di Roberto Brunelli Claudio Cerritelli Gian Maria Erbesato Edgarda Ferri Claudio Fraccari Giovanni Pasetti Mara Pasetti Benito Regis Raffaello Repossi Rodolfo Signorini Leonardo Zunica

Venerdì 6 gennaio ore 17.00 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn Tombola della Befana Solo su prenotazione

Domenica 4 dicembre ore 17.30 Mantova, Rotonda di San Lorenzo “Le forme dell’acqua” evento artistico di presentazione del numero 4 di Ca’rte-ACQUA Ingresso libero ore 20.30 Mantova, Ristorante Ai Garibaldini Cena a tema “I 10 anni di Ca’ Gioiosa” Solo su prenotazione

Fotografie di Claudio Compagni Giovanni Fortunati Pier Luigi Gibelli Mara Pasetti Massimo Pignoli Salvatore Michele Schepis Giuseppe Tripodo

Curato da Associazione

settembre

03 11

Culturale Ca’

Gioiosa • Via

Giovedì 2-9-16 febbraio ore 21.00/22.30 Mantova, Casa Pasetti “La grafia è l’espressione emozionale degli impulsi e dell’affettività” Corso di grafologia a cura della dott.ssa Ferdinanda Donelli

Trieste, 44 • Mantova

gioiosa entra nelle case

Sabato 10 dicembre ore 17.00 Museo diocesano “F. Gonzaga” Proiezione del video “I colori della fede” di Claudio Compagni Ed. Ca’ Gioiosa Ingresso libero

segnaliamo

Sabato 11 febbraio ore 17.30 Casa Andreasi, via Frattini, Mn Presentazione del volume “Il sogno” di Angelo Pasetti Ed. Il Bottone Ingresso libero

L’associazione Ca’ Gioiosa è a disposizione degli eventuali aventi diritto per le fonti non individuate. Scriveteci i vostri commenti su Facebook chiedendoci l’amicizia: ogni visita ci aiuterà a portare avanti il progetto di Ca’rte Visitate il nostro sito per conoscere l’elenco delle edicole che distribuiscono Ca’rte.

Info e iscrizioni agli eventi: – Via Calvi 51 Mantova, il martedì 10-12 tel. 0376 222583 - 3395836540 – via Trieste 44 Mantova pag. Facebook: Associazione Culturale Ca’ Gioiosa

cagioiosa@libero.it • www.cagioiosa.too.it

e con il patrocinio

04 11

Sportello Sportello di di Promozione Sociale

Cercate aiuto per orientarvi nella scelta dei servizi territoriali?

Desiderate che qualcuno vi affianchi nel disbrigo di pratiche burocratiche?

ACCADEMIA TEATRALE “FRANCESCO CAMPOGALLIANI”

Vorreste essere aggiornati sulle diverse agevolazioni di cui potreste beneficiare?

Per informazioni ci si può rivolgere direttamente allo Sportello di Promozione Sociale in via Tassoni 12 a Mantova. L’ufficio è aperto dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 12, telefono: 347/6728025, email: sportellodipromozionesociale@domino.comune.mantova.it. Anche il sito è gestito dai volontari con tutte le informazioni circa il servizio: http://sportellodipromozionesociale.comune.mantova.it.

Informazioni dal Bollettino n. 9/2010 CONTRIBUTO STRAORDINARIO ALLA LOCAZIONE ESENZIONE TICKET MODIFICHE E AGEVOLAZIONI APAM GRATUITO PATROCINIO BONUS ENERGIA ELETTRICA

Ca’ Gioiosa ringrazia per la sensibilità che sempre dimostrano a sostegno delle sue iniziative la Provincia di Mantova, il Comune di Mantova, Levoni spa, Banca Intesa San Paolo, Cleca S. Martino, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Pavimantova snc, Cantine Virgili, Gustus, Valle dei Fiori

BONUS GAS RIDUZIONE ABBONAMENTO TELECOM ALTRE AGEVOLAZIONI TELECOM FONDO DI CREDITO PER I NUOVI NATI SOCIAL CARD DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA ISEE

ELENCO CENTRI AUTORIZZATI DI ASSISTENZA FISCALE (CAAF) DI MANTOVA DOTE CONCILIAZIONE

L’Accademia Teatrale “Francesco Campogalliani” di Mantova s’intitola al celeberrimo burattinaio che aveva tratto l’arte sua dal padre, dal nonno e da chissà quanti altri ascendenti: autentico figlio d’arte e artista di schietta umanità, che insieme ai segreti del mestiere aveva ereditato dagli avi i canovacci che andava recitando “a braccio” e che di proprio scrisse testi e canzonette per burattini, poesie e commedie in vernacolo. Nata nel 1946 per volontà del figlio Ettore, musicista e didatta di chiara fama, (i suoi allievi si chiamano Pavarotti, Tebaldi, Freni, Raimondi, Cossotto, Furlanetto) che ne fu presidente e animatore fino al 1992 quando morì, l’Accademia fin dagli inizi è sempre stata presente nelle cronache della vita culturale mantovana, realizzando centinaia di spettacoli nel cui elenco figurano molti fra i più prestigiosi autori del teatro classico e moderno, italiano e straniero (senza trascurare la salvaguardia della produzione “storica” del teatro in dialetto mantovano). Grazie all'attività di volontariato oltremodo impegnativa, la Campogalliani opera continuativamente dal 1946, e dagli anni Sessanta presenta da ottobre a maggio stagioni regolari di prosa nel Teatrino d’Arco, sua sede istituzionale. Partecipa inoltre alle più importanti Rassegne Nazionali per il Teatro Amatoriale, riportandone prestigiosi premi e consensi anche di critica. Con una programmazione articolata e prezzi modesti, offre alla comunità un servizio culturale fruibile da larghissima parte della popolazione del territorio cittadino e provinciale.

tel e fax 0376325363 e-mail: teatro.campogalliani@libero.it www.teatro-campogalliani.it

Questa pagina ospita sempre lo Sportello di Promozione Sociale, associazioni e istituzioni culturali mantovane


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