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e Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44 Curato da Associazione Cultural

• Mantova

aprile

gioiosa entra nelle case

Associazione di Promozione Sociale iscritta al Registro dell’Associazione della Provincia di Mantova negli ambiti: civile-sociale, culturale e attività sociale. Decreto n. 17/2007

Foto Giovanni Fortunati

CIBO

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SOMMARIO Parla come mangi. Mangia come parli Nutrire il pensiero La cucina e/è tempo Come fare la sbrisol ona Il gusto in bocca. L’a ltalena dei contrast i La cucina futurista Al banchetto del ci nema Tre diverse mense quattrocentesche Boom di ascolti pe r il cibo in tv Pela aglio


Non è per niente eccentrico associare il cibo all'arte. Intanto perché si usa spesso l'espressione di “arte culinaria”. E poi, non sarà certo un caso se la parola “gusto” designa sia il palato che l'estetica. “L'uomo è ciò che mangia”, osservava Feuerbach, intendendo rivendicare un approccio materialistico in polemica con l'idealismo imperante. La tradizione amava suggerire piuttosto la necessità di ambire a un cibo spirituale, alla buona pratica che gli antichi (e Dante) riassumevano col termine “convivio”: mangiare e insieme parlare, discutere amichevolmente tra una vivanda e l'altra. Del resto, sarebbe sufficiente distinguere la fame dalla voglia di mangiare, ossia il bisogno dal desiderio, per entrare a pieno diritto in una dimensione artistica. A dimostrazione che le papille gustative non risiedono solo in bocca, questo numero di “Ca'rte” ammiccherà con intenti sinestetici agli occhi o alle orecchie, al naso o al tatto. E alla mente, intesa meno come sede di riflessione e ragionamento, più come fomite di fantasia creativa. Apparecchiate dunque la tavola, munitevi di posate, disponetevi alla degustazione. In forma di articoli, piatti e portate stanno arrivando. Claudio Fraccari

“Chi non si occupa di ciò che mangia non saprà occuparsi di nient'altro” (Samuel Johnson)

Foto Mara Pasetti

Parla come mangi Mangia come parli

L’arte contemporanea è animata da energie che provengono dal mondo circostante, pervasa dalla sensibilità degli altri linguaggi creativi, sempre più desiderosa di frequentare le “officine” dei sapori, degli odori e dei rumori, per condividerne le voluttà. Ovunque si posi, lo sguardo dell’artista non può esimersi dallo scorgere una totalità di sensi dentro il divenire della sua visione che, oltre al piacere degli occhi, passa attraverso il sapere del tatto, dell’odorato e dell’udito: labbra, dita, narici, orecchie, strumenti di percezione distinti che accettano di fondersi nello stesso istante creativo. Non si può, infatti, avvicinare il rapporto tra ricerca artistica e cucina, tra opera d’arte e cibo, senza credere nella possibilità di questa percezione simultanea che, pur rispettando le caratteristiche dei singoli linguaggi, li vede agire in un progetto “sinestetico”. Osservando le ricerche del secondo ‘900 si avverte che la congiunzione tra arte e cibo ha diverse declinazioni, soprattutto la Pop Art s’è misurata con la godibilità percettiva degli alimenti oscillando tra la presentazione diretta dell’iconografia dei prodotti alimentari e la ricreazione della loro morfologia, magari rovesciata di senso e di dimensione: le Campbell di Warhol, gli hamburger di Oldenburg, le macedonie di Rosenquist. Diversamente dallo “spirito pop”, ma non meno efficaci dal punto di vista immaginativo, sono i panini di Manzoni, le mele di carta di Kolar, le pesche di spugna di Gilardi, i vassoi di Spoerri, l’insalata di Anselmo, il libro di albicocca di Parmiggiani, la pagina di formaggio di Rot. Senza contare le molteplici attenzioni che – sul piano della rappresentazione pittorica – gli artisti hanno rivolto ai cibi, rinnovando il genere tradizionale della “natura morta”. Si tratta di un repertorio di forme in bella vista che mostra -sotto intenzioni diversificate- l’attrazione verso l’immagine del cibo come materia che emerge dall’inconscio e, attraverso l’atto creativo, si fa visibile, tattile, godibile. D’altro lato, il rapporto con il cibo e con la cucina è rintracciabile nelle affermazioni di altri artisti, da Beuys a Sol Lewitt, da Schnabel a Basquiat, a testimonianza della profonda coscienza che accompagna questo legame con l’idea di “nutrire il pensiero” attraverso la forza delle immagini. Non va dimenticato che il termine “cucina” è entrato profondamente nella terminologia critica tanto che la formula “nella cucina dell’artista” serve spesso a indicare tutti i processi, espliciti o segreti, che accompagnano la trasformazione della materia creativa. È come se il pittore, il poeta, il musicista avessero in mente una sorta di ricetta nel momento in cui si accingono a costruire un’opera: la creazione artistica può essere in questo caso equiparata alla preparazione del cibo, attraverso diversi momenti esecutivi che richiedono altrettanti accorgimenti. D’altro lato, anche la cucina è considerata una forma d’arte, mezzo di espressione degno di essere avvicinato alle più alte forme di creazione, non a caso esiste una particolare attenzione dei grandi cuochi verso la sperimentazione estetica, con una particolare sensibilità rivolta all’arte contemporanea. La fantasia si unisce alla consapevolezza del “saper fare”, l’immaginazione agisce sulla forma concreta delle materie: su tutto prevale il gusto di sperimentare forme, colori, sapori, odori, sensazioni tattili e papillari che proiettano le capacità percettive del pubblico oltre i consueti modelli di ricezione dell’opera d’arte. Claudio Cerritelli

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Foto Giuseppe Tripodo

Nutrire il pensiero


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Paolo Polettini

Foto Giovanni Fortunati

Cucina medievale di cotture lunghe, per estrarre i succhi e non buttare nulla. Cucina moderna, friabile e cruda, in-mediata. Cucina liquida, postmoderna, aerata, spumosa. Cucina pronta, plastificata, microondeggiata. Cucina sintetica, snackata. Cucina locale, popolare, povera. Cucina televisiva, guardata, copiata, dimenticata. Sono tipologie dell’essere e del tempo, indistinte forme di rapportarsi con noi stessi costretti a nutrirci. Mangiare significa entrare in contatto con il nostro ambiente di riferimento. Ci spinge all’esterno, alla ricerca, alla considerazione del mondo. Ci fa uscire da noi stessi e ci mette in comunicazione con l’altro da noi, con la terra, con le cose vive e con gli uomini. Con la cucina popolare, con la tradizione usiamo il nostro tempo per gli altri. Con la cucina pronta, di plastica, usiamo il tempo degli altri. Nella cottura lunga c’è la dedizione delle lunghe ore, della coltivazione, della raccolta, dell’allevamento, del marinare, del fuoco e delle braci, del sobbollire, del lessare. C’è il condimento, la salsa, ci sono i fumi, i sapori, le spezie. Nella cucina breve ci sono piccoli gesti, l’allungare il braccio su uno scaffale e comprare il tempo altrui, la manifattura in serie di uomini, donne e macchine. Nei tempi lunghi della cucina vicina c’è l’amore e la dedizione, c’è tempo rubato a sé e regalato, c’è il dono trasferito dei propri spazi, la disponibilità di un impegno. È traslazione di affetto, di sentimenti, di cura. Attenzione alla relazione che trasforma il cibo e il tempo in amore. Il dono del tempo è il più prezioso, la cucina del tempo è quella più ricercata e densa di affetti. In un mio libro ricordo di aver citato la storia della fetta di salame, portata sul piatto in un attimo, ma che ha la più lunga cottura che possa esistere, un anno di curata alimentazione del maiale, la macellazione e la fattura degli insaccati, la stagionatura controllata. Un lungo percorso di attenzione, una cucina lunghissima del tempo che va scomparendo. Così un ripieno ed il suo involucro. Prendete il tortello amaro di Castel Goffredo, che richiede la coltivazione dell’erba amara nell’orto, la cura delle piantine e poi la lunga confezione del ripieno, la costruzione del tortello, la cottura. Gesti di mamme per i figli, di mogli per i mariti, gesti prevalentemente al femminile, una consapevolezza di famiglia. La cucina (buona) è organizzazione del tempo e dei tempi, ritmi che fanno equilibrio, dosi che si sposano e vengono fuse nei minuti della cottura, nella macerazione, nel girare dello spiedo, nel borbottare del ragù, con l’orologio nel forno. La cucina (buona) è il tempo che sottraiamo ad altre cose, progetto esclusivo, scelta e non necessità. La cucina (buona) è anche volersi bene.

La cucina e/è tempo

na o l o s i r b s a l e r a Non sono abituato a scrivere di “cibo” – io il “cibo” lo vivo quotidianamente con il lavoro che faccio, che mi porta ad essere a contatto con ingredienti che si devono trasformare in piatti, ma anche attraverso lo studio sui tanti libri, altra grande passione, che fanno parte della mia piccola biblioteca culinaria. Ma oggi devo parlavi di “cibo” e ho deciso di farlo raccontandovi una ricetta che viene direttamente dalla tradizione mantovana, la Sbrisolona, questo dolce di origine povera che diventa ricco, quando incontra mandorle e zucchero. Non vi posso assicurare che la ricetta che sto per spiegarvi sia la migliore in assoluto: come tutti i piatti della tradizione esistono mille varianti e ognuna si fregia di essere quella originale e la migliore; io la ritengo una buona ricetta. Per prima cosa riunisco in una grande ciotola (anche se possiedo un buona impastatrice, la sbrisolona preferisco eseguirla a mano: mi piace avere il controllo sulle varie fasi di lavorazione) 200 gr di farina bianca con 100 gr di farina fioretto macinata fine, più 100 gr di farina fioretto con una grana più grossa – se non la trovate usate la bramata: questo piccolo particolare consentirà di avere un dolce dalla particolare croccantezza. Ora aggiungo 200 gr di burro freddo da frigorifero tagliato a piccoli pezzi. Inizio a pizzicare il burro con le farine lavorando velocemente e con i polpastrelli delle dita: non devo scaldare troppo il burro e nello stesso tempo devo ottenere un composto sabbioso, come si fa solitamente con la frolla. Ora vado ad unire 200 gr di zucchero semolato e 200 gr di mandorle di ottima qualità con la buccia e tritate rigorosamente al coltello, mescolo quel tanto per unire gli ingredienti e infine aggiungo 2 tuorli con 2 cucchiai di liquore tipo maraschino; mescolo il tutto senza però impastarlo troppo. Alla fine devo ottenere un composto formato da grosse briciole che faccio cadere su una teglia da forno (30x40), foderata con carta da forno o ben imburrata, senza però schiacciarle. Adesso prima di cuocere il dolce lo passo in frigorifero per 30/40 minuti in modo che il burro ritorni ben solido; in questo modo avrò un dolce molto più friabile. Inforno a 170° per 35/40 minuti, ma prima di infornare cospargo la sbrisolona con un poco di zucchero e qualche mandorla intera. A metà cottura giro la teglia per avere una cottura più uniforme; una volta pronta la faccio raffreddare e poi la spezzo, come da tradizione, e la servo accompagnandola con un buon zabaione al moscato, che vi racconterò un'altra volta. Gianfranco Allari

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Il gusto in bocca. L’altalena dei contrasti Quante volte abbiamo sentito pronunciare la frase “Ha un buon palato”? Già, ma che cosa significa esattamente? Tutti i sapori del mondo, dal più semplice al più elaborato e raffinato, vengono da noi percepiti attraverso una manciata di recettori gustativi diversi che si trovano tra lingua, guance ed epiglottide. Fino a ieri le sensazioni erano di quattro tipi: dolce, amaro, salato, acidulo. Solo di recente alcuni ricercatori ne hanno scoperto un quinto: l’umami. Il gusto umami è tipico dei dadi da brodo. Non tutti percepiamo le sensazioni gustative allo stesso modo, alcuni hanno una percezione più esasperata di altri. A parità di concentrazione di sale nell’acqua, questa può risultare più o meno salata. L’assenza di palato e l’incapacità di cogliere esattamente i livelli di salato o di dolce di un alimento o di un piatto assumono naturalmente differenti gradi di gravità. E per un cuoco non avere palato è decisamente un problema.

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“La bocca è come un flipper, più palline fai giocare e più ti diverti” spiegava un importante chef italiano che con il suo estro creativo sa combinare sapori in modo sorprendente. Intendeva dire che più sensazioni gustative entrano in gioco, più le nostre papille vengono sollecitate e più un piatto risulterà interessante e sorprendente al nostro palato. Così un bravo cuoco si dovrà sempre preoccupare che il suo piatto non risulti monotono e noioso ma ricco di contrasti in modo da mettere in allerta tutte le papille. I contrasti sono il segreto della cucina: l’amaro e il dolce; l’acido e il basico; il dolce e il salato; il morbido e il croccante; il caldo e il freddo. Contrasti di temperature e di consistenze. Una crema morbida con dei crostini di pane fritti e croccanti; un gelato freddo con una crema di cioccolata calda; una spolverata di cacao amaro su una dolce ricotta… contrasti che faranno felice la nostra bocca. Spiegava il celebre chef Gualtiero Marchesi che uno dei motivi per cui la cucina ita-


lare acidità, una nota amara aggiungendo qualche foglia di radicchio, una nota croccante con qualche gheriglio di noce o qualche fettina di pancetta abbrustolita. Nel Nord Europa le insalate di patate hanno un retrogusto dolce per l’aggiunta di zucchero che contrasta piacevolmente i condimenti molto acidi. Allo stesso modo un dolce risulterà meno stucchevole se la monotonia sarà interrotta da un frutto acido, un lampone, una fragola, l’uvetta o una scorza di limone candita. Un ruolo fondamentale lo svolge anche l’amaro, un sapore molto intrigante. Basta ricordare il piacere che ci dà mangiare le radici amare, la catalogna ma anche una bistecca rosolata sulla brace e magari un po’ bruciacchiata. Comporre un piatto significa dunque pensare a quanti contrasti metteremo in gioco risvegliando così sensi e cervello.

Raffaella Prandi

Foto Salvatore Michele Schepis

liana ha tanto successo nel mondo è che si trova naturalmente in equilibrio. Poiché noi italiani siamo abituati a usare molto spesso il pomodoro e il Parmigiano Reggiano, ingredienti con una componente acida, questo mette ogni preparazione in equilibrio, in quanto fa giocare tutti i recettori del gusto. Pensiamo al piacere di una semplice pasta al dente: il croccante della pasta, la morbidezza e la rotondità di un condimento grasso, l’acidità del parmigiano ed ecco fatto il miracolo. Vi siete mai chiesti, a proposito di croccante, perché le patatine fritte ci attraggono tanto (sì anche quelle già pronte in busta)? Molta parte del loro successo è dato proprio dal crunch, lo scricchiolare sotto i denti. Purtroppo l’industria conosce molto bene le nostre debolezze e sa come sfruttarle… Ma prendiamo invece un banalissimo esempio casalingo: una insalata verde. Più introdurremo nel condimento note contrastanti e più diventerà intrigante: qualche goccia di limone o di aceto a rega-

La cucina futurista “…crediamo anzitutto necessaria: l’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana. Forse gioveranno agli inglesi lo stoccafisso,il roast-beef e il budino, agli olandesi la carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauer-kraut, il lardone affumicato e il cotechino; ma agli italiani la pastasciutta non giova. Per esempio, contrasta collo spirito vivace e coll’anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani. Questi sono stati combattenti eroici, artisti ispirati, oratori travolgenti, avvocati arguti, agricoltori tenaci a dispetto della voluminosa pastasciutta quotidiana. Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo. Un intelligentissimo professore napoletano, il dott. Signorelli, scrive: “A differenza del pane e del riso la pastasciutta è un alimento che si ingozza, non si mastica. Questo alimento

amidaceo viene in gran parte digerito in bocca dalla saliva e il lavoro di trasformazione è disimpegnato dal pancreas e dal fegato. Ciò porta ad uno squilibrio con disturbi di questi organi. Ne derivano: fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo...La pastasciutta, nutritivamente inferiore del 40% alla carne, al pesce, ai legumi, lega coi suoi grovigli gli italiani di oggi ai lenti telai di Penelope e ai sonnolenti velieri, in cerca di vento. Perché opporre ancora il suo blocco pesante all’immensa rete di onde corte lunghe che il genio italiano ha lanciato sopra oceani e continenti, e ai paesaggi di colore forma rumore che la radiotelevisione fa navigare intorno alla terra? I difensori della pastasciutta ne portano la palla o il rudero nello stomaco, come ergastolani o archeologi…” da Il Manifesto della Cucina Futurista di Filippo Tommaso Marinetti, 1930. 05


Al banchetto del cinema “Chi sei tu?” - “Sono il grande mangiatore, mangio tutto” (Federico Fellini, La voce della luna, 1990) Basterebbe la miriade dei titoli. Relativi a piatti tipici (L’anatra all’arancia, Maccheroni), ad alimenti (La ricotta, Pane e cioccolata, Mortadella), a luoghi di ristoro (Alice’s Restaurant, Soul Kitchen, Bar Sport), a pasti (Colazione da Tiffany, Il pranzo di Babette, Pranzo di ferragosto, Banchetto di nozze, La cena, La cena delle beffe, La cena per farli conoscere) – eccetera. Al cinema insomma il cibo imperversa. Non c’è di che stupirsi: il gusto e l’arte culinaria sono inerenti alla vita come alla sua riproduzione filmica, indipendentemente dal genere e dalla trama. Se ne trova in abbondanza naturalmente nella commedia di marca italiana, dall’Alberto Sordi che ingaggia un duello con gli spaghetti che ha nel piatto (Un americano a Roma) al Nino Manfredi che mette sotto chiave il gorgonzola per sottrarlo al famelico collega (L’impiegato) o al Roberto Benigni che ruba banane in Johnny Stecchino; oppure anche di marca straniera: Woody Allen, per esempio, usa dovunque il cibo come facile corrispettivo sessuale (vedi il rocambolesco pranzo di Amore e guerra o l’aragosta di Io & Annie), mentre in Green Card la sceneggiatura verte sul confronto fra l’inguaribile gourmet interpretato dal corpulento Gérard Depardieu e la bella vegetariana Andie McDowell. Tuttavia non è assente nel rude poliziesco, ove, per tacer del bere, il mangiare riveste la sua brava importanza: se l’investigatore privato Sam Spade, restituito da Humphrey Bogart ne Il mistero del falco, ama gli hamburger con patatine, il poliziotto di Glenn Ford molto apprezza la bistecca che la moglie si premura di fargli trovare al rientro (Il grande caldo). Persino la fantascienza non può ignorare la cucina: sul pianeta Altair mancano cuochi e ristoranti, ma c’è un robot tuttofare che s’incarica di cucinare per l’equipaggio appena arrivato (Il pianeta proibito); mangiano pure gli astronauti di 2001-Odissea nello spazio o quelli di Mission to Mars, sebbene solo cibi liquidi o in pillole. Il culmine però si ha con La grande abbuffata; gli aspetti culinari, infatti, costituiscono la struttura e il senso del film di Marco Ferreri, anzi assurgono a provocatorio emblema della vita portata all’eccesso, della rivolta contro le convenzioni che predicano moderazione e dieta. In questo apologo satirico, intriso di humour nero, il cibo diviene insieme totem e tabù. Claudio Fraccari

Tre diverse mense quattrocentesche Vittorino Rambaldoni da Feltre fu sempre sobrio e moderato nelle bevande e nei cibi. Secondo il suo maggior biografo, Francesco Prendilacqua, «non si serviva mai di sale, perché, seguendo l’autorità di Sallustio, lo riteneva il più efficace stimolo alla gola», e «non beveva mai vino senz’acqua, e pochissimo anche». Bartolomeo Sacchi, detto il Platina (Piadena, 1421 – Roma, 1481), autore di De honesta voluptate et valetudine, un vero trattato di gastronomia, nel De vita Victorini Feltrensis commentariolus scrisse della frugalità di quell’ «ottimo precettore», che si compiaceva di un vitto semplicissimo, di una mensa disadorna e priva di raffinatezza; spesso il secondo piatto si componeva semplicemente di frutta. Non mangiava né fagiani, né pernici, né alcuna delle ghiottonerie che le corti offrono per solleticare la gola […].Vino poco, leggero ed amabile […].

Quanto diverso il comportamento di Fritz Hohenzollern o di Brandeburgo, fratello illegittimo della marchesa Barbara! Abitava a Mantova, nei pressi della chiesa di Sant’Agnese e possedeva una villa a Césole. Per documentare come si facesse onore Fritz invitando a pranzo il marchese Ludovico II Gonzaga, si riporta un brano della lettera di Antonio Donato de Meo alla marchesa Barbara, scritta il 3 agosto 1460 a Césole [Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga (ASMn, AG), b. 2394, c. 203]: Illustrissima madona mia, [...] messer Frizo se fa honore. El disnare de questa matina fu belissimo, la cena non serà manco bella. Se hebe prima fìgato infilzato nel speto, drieto quello, pernigoni, poi el lesso et porchete arosto inseme, pipioni [pippioni = piccioni di carne tenera] in brodo et petresemolo [prezzemolo], e polli et limonia. Se hebe etiam rosto e torte per la ultima imbandisone, e trippe per menestra. De le confecione a chi merita, e vino assai bono, et chi volse de la malvasia ne hebe [...]. Ex Cexolis 3 Augusti 1460.

Il terzo esempio riguarda Pietro Riario, cardinale prete di San Sisto, in visita a Mantova. Era il 24 settembre 1473. Il principe era al corrente dei lussuosissimi gusti del prelato, e circa l’ospitalità ch’egli avrebbe riservato al porporato si legge in una lettera di Marsilio Andreasi alla marchesa Barbara, da Borgoforte, del 29 agosto 1473 (ASMn, AG, b. 2415, c. 32): Illustris princeps et excelsa domina, domina mea singularissima, el non me accade altro che rispondere a la littera de la vostra illustre signoria se non che, havendo dicto a lo illustre signor mio de quelli lecti de velluto per questa venuta de San Sisto et cetera, sua signoria me ha risposto che a casa sua non se usano simili lecti, ma ch’el lo logiarà in boni lecti de bone penne de oche et cum fodre belle da Vinesia, e daragli manzare de bon lesso e bon rosto de vitello e caponi, et de bone torte de ovi et formaglio et zucharo fino. Né gli farà tante representatione, perché di qua non sónno quelle nimphe, driade, nayade et napee, né anche ge rispondono le decime de’ preti che si possano mettere in una cena […], concludendo che, essendo la maior parte del tempo stato soldato et sachomanno [addetto al trasporto delle salmerie al seguito degli eserciti], lo tractarà pur cussì a la domestica, da sachomanno, et secondo il costume di qua gli farà honore [...]. Burgifortis 29 Augusti 1473. Foto Raffaello Repossi

E che il marchese amasse la frugalità lo dimostra il suggerimento dietetico vittoriniano che diede al proprio terzogenito Gianfrancesco, troppo grasso, esortandolo a «manzare poco, bevere aqua asai et dormire manco» (Goito, 9 dicembre 1473, in ASMn, AG, b. 2892, lib. 73c. 95r-v).

Rodolfo Signorini

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Foto Giovanni Fortunati

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È solo show? Il parere degli esperti

Cristina Fabbri

Boom di ascolti per il cibo in tv

“Masterchef ” lascia e raddoppia. Conclusa la seconda edizione, già si fanno le selezioni per la prossima che vedrà anche un programma dedicato a baby-chef (8/13 anni), ancora di importazione USA. Resta sulla cresta dello share “La prova del cuoco” di Antonella Clerici che presto sbarcherà in prima serata con un nuovo cooking show, e prosegue anche Benedetta Parodi che sforna piatti e libri con grande successo. La televisione ha dunque scoperto nel cibo e nella cucina una nuova vena d’oro ma c’è già chi, come Gianni Mura – penna di Repubblica per sport, costume e gastronomia –, trova eccessivo il diluvio di trasmissioni e soprattutto ritiene che nessuna di queste faccia cultura, come ai tempi di Ave Ninchi e Veronelli, ma solo audience. Non è dello stesso avviso Paola Ricas, per più di vent’anni direttore di “Cucina Italiana” e oggi giudice autorevole a “La prova del cuoco”: «Cultura in senso stretto forse no, ma informazione certamente sì. Spesso in trasmissione si parla di tradizioni e prodotti da salvare, di ingredienti provenienti da altri paesi, si cerca di sensibilizzare il pubblico sul rapporto cibo-salute. Gli specialisti spiegano come trattare le materie prime, come evitare sprechi, come variare l'alimentazione quotidiana». Poi Ricas prosegue: «Credo che il successo sia dovuto al fatto che, ormai, in casa la TV è sempre accesa e l'abitudine crea affezione, si comincia a seguire una trasmissione e si entra nel gioco. Nel nostro caso chi sta a casa si sente coinvolto, prende spunti per i suoi menu, annota le ricette. In più la Clerici non è uno chef, ma il prototipo della casalinga pasticciona; il messaggio è: se ci riesce lei, ci riesco anche io. “Masterchef ” invece fa sognare successi e una professione gratificante. Ritengo quindi che il cibo in Tv non sia una moda passeggera», conclude Ricas, «anche perché vedo il mercato pubblicitario molto interessato all’argomento. Data la crisi, però, ciò metterà ancora più in ginocchio la carta stampata: questo sì, un pezzetto di cultura che se ne va».


Curato da Associazione Culturale

Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44

• Mantova

CALENDARIO EVENTI

CA’ GIOIOSA

aprile

gioiosa entra nelle case

5 aprile 2013 / Anno IV Copia omaggio supplemento straordinario a La Cittadella Editrice Ca’ Gioiosa-Mantova Impianti e stampa: Publi Paolini, Mn

Responsabile redazionale Claudio Fraccari Coordinamento artistico Raffaello Repossi Coordinamento editoriale Mara Pasetti Redazione Valeria Borini Claudio Compagni Giovanni Fortunati Claudio Fraccari Nicoletta Marastoni Laura Pasetti Mara Pasetti Gianpaolo Poli Raffaello Repossi Giada Salvarani Giuseppe Tripodo Nicola Zanella Testi di Gianfranco Allari Claudio Cerritelli Cristina Fabbri Claudio Fraccari Paolo Polettini Raffaella Prandi Rodolfo Signorini Fotografie di Giovanni Fortunati Mara Pasetti Raffaello Repossi Salvatore Michele Schepis Giuseppe Tripodo

Dedicato a un’amica, Carla Guerra, che non c’è più. Per chi l’ha conosciuta e per noi della redazione è stata un esempio di entusiasmo e positività. Un’eredità preziosa.

Una di noi. Bella, come siamo noi. Col sorriso negli occhi e la generosità nel cuore. L’energia sui pedali come se, in quel movimento, si fosse fermata la tua giovinezza. Quell’appetito gioioso di chi sa gustare la vita. Una combattente, senza tanti ohimè! E l’amore per quel papà che era un mito e ti ha cresciuta orgogliosa di lui. Come noi siamo orgogliosi di averti conosciuto. Perché guai a chi ti toccava Ca’ Gioiosa: solo la morte poteva allontanarti da noi. Ma poi c’è riuscita? Noi non lo crediamo. Gli amici di Ca’ Gioiosa

Veneredì 5 aprile Giovedì 9 maggio ore 20.00 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn “In-contro” Amici si incontrano convivialmente Su prenotazione

Sabato 20 aprile ore 20.30 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn “Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti” Presentazione della mostra a cura di Mara Pasetti Su prenotazione entro 11/4

Giovedì 18 aprile ore 21.00 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn “Una luminosa quiete” Presentazione del libro di Giampiero Comolli Collana Accademia del silenzio, 2012 Ingresso libero, su prenotazione

Domenica 5 maggio ore 10.00 “Parco Sigurtà” Uscita fotografica con Giovanni Fortunati e Giuseppe Tripodo: ritrovo al parcheggio Anconetta Aperto a tutti

Martedì 16 aprile ore 21.00 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn Laboratorio di Nicola Zanella e Attilio Pecchini “I segreti del linguaggio del corpo” Gratuito, su prenotazione entro 9/4

Giovedì 9 maggio ore 17.30 Caffè Borsa di Antoniazzi corso Libertà, Mn “Michelangelo Antonioni” a cura di Claudio Fraccari Ingresso libero

L’associazione Ca’ Gioiosa è a disposizione degli eventuali aventi diritto per le fonti non individuate. Scriveteci i vostri commenti su Facebook chiedendoci l’amicizia: ogni visita ci aiuterà a portare avanti il progetto di Ca’rte Visitate il nostro sito per conoscere l’elenco delle edicole che distribuiscono Ca’rte.

Per info e iscrizioni agli eventi: telefonare allo 0376 222583 - 3395836540 Aperte le iscrizioni all’Associazione per il 2013 pag. Facebook: Associazione Culturale Ca’ Gioiosa

cagioiosa@libero.it • www.cagioiosa.too.it

Sportello Sportello di di Promozione Sociale

e con il patrocinio

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Ca’ Gioiosa ringrazia per la sensibilità che sempre dimostrano a sostegno delle sue iniziative la Provincia di Mantova, il Comune di Mantova, Levoni spa, Banca Intesa San Paolo, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Pavimantova snc, Cantine Virgili, Gustus, Valle dei Fiori, 1 Stile.

Anno VI

Lo Sportello di Promozione Sociale del Comune di Mantova, in vista di un importante cambiamento di collocazione nei quartieri periferici della città (a partire da Valletta Valsecchi), anche nel 2013 sta continuando la sua opera di accoglienza, ascolto e affiancamento per orientare i cittadini alla scelta dei servizi territoriali, per supportarli nel disbrigo di pratiche burocratiche e per informarli rispetto ad agevolazioni e bandi. Il modello di lavoro e l’esperienza dei volontari sono state valutate interessanti per supportare la nascita di un servizio simile a Volta Mantovana. Qui la rete delle associazioni di volontariato Volta x Volta (Gruppo Volontari di Volta Mantovana, Associazione Centro Terza Età, Associazione Alba, CTRL Cultura Territorio Relazione Lavoro, AIDO Gruppo Comunale Mattia Carnevali, Educare Oggi, Pro Loco, Protezione Civile, Aiutiamoli a vivere) insieme al Comune hanno deciso di aprire uno Sportello per il cittadino, denominato A tu x tu. Nella odierna situazione socio-economica sempre più precaria, lo Sportello A tu x tu vuole offrire un aiuto a chi ha bisogno di ascolto, di informazioni, di orientamento per affrontare la quotidianità, per reperire e scegliere i servizi presenti sul territorio, per compilare ed inoltrare pratiche burocratiche, e in questo campo specifico i servizi di Patronato, CAF, consulenza in tema di Amministratore di sostegno arricchiranno le proposte. L’obiettivo è quello di mettere in moto processi utili a riattivare la comunità voltese, ma non solo quella, al fine di ridare senso e significato alle sue relazioni, per consolidare i rapporti tra cittadini, volontari, persone fragili, operatori sociali e pubblica amministrazione. Nel supporto alla rete delle associazioni all’interno dell’omonimo progetto del Bando Volontariato 2012 A tu x tu, Volta x Volta, è stato organizzato, in collaborazione con il CSVM, un percorso di formazione per gli aspiranti volontari del servizio. Nel primo incontro CSVM e Comune di Mantova hanno illustrato gli aspetti strutturali della collaborazione dell’esperienza mantovana, mentre nella seconda serata due volontari dello Sportello di Mantova hanno raccontato la loro esperienza rispondendo a quesiti e dubbi relativi al nuovo compito. Entrambi gli incontri sono stati partecipati e dibattuti: l’ambiente si è rivelato fertile e curioso rispetto a questa nuova avventura. Preoccupazioni, certo, ma anche la consapevolezza che lo Sportello di Mantova potrà essere di supporto, con le informazioni che pubblica periodicamente sul Bollettino Bandi e Agevolazioni e con le “dritte” dei volontari.

Mirabilia Onlus è un'associazione di volontariato nata nel settembre 2011 ed iscritta alla Sezione Provinciale di Mantova del Registro Regionale lombardo. I soci di Mirabilia operano come volontari e sostengono con il loro operato le iniziative del Museo Diocesano "Francesco Gonzaga". Conformemente allo statuto si impegnano per la maggiore diffusione della cultura e dell'arte nei confronti della cittadinanza. Puoi aiutare Mirabilia Onlus iscrivendoti e prestando il tuo tempo libero come volontario presso il Museo Diocesano “Francesco Gonzaga”.

Se desideri ulteriori informazioni contattaci! MIRABILIA ONLUS Piazza Virgiliana 55 – 46100 Mantova Tel. 0376 320602 mirabilia.onlus@virgilio.it

Francesco Molesini, coordinatore del progetto per il Centro Servizi Volontariato Mantova Questa pagina ospita sempre lo Sportello di Promozione Sociale, Associazioni e Istituzioni culturali mantovane


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