Carte01 12

Page 1

Aurelio Nordera, Maternità, 2007 (foto Giovanni Fortunati)

e Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44 Curato da Associazione Cultural

• Mantova

agosto

gioiosa entra nelle case

SOMMARIO A caval donato Poesia votiva L’importanza dell’esempio Le cinque E del DONO “Temo i Danai anche quando portano doni” Musica, beneficio degli dèi I sogni del treno Lo spirito della cosa donata Cinema regalato

DONO

Associazione di Promozione Sociale iscritta al Registro dell’Associazione della Provincia di Mantova negli ambiti: civile-sociale, culturale e attività sociale. Decreto n. 17/2007

01 12


A caval donato

Poesia votiva

Foto Claudio Compagni

In una società votata al successo materiale, il gesto disinteressato di donare pare impossibile. Eppure è rimasta la consuetudine (di origine antica, legata a pratiche magiche o religiose) di festeggiare con il regalo una ricorrenza più o meno canonica; resta implicita la reciprocità, ossia l'attesa di una restituzione simbolica al momento opportuno. Ma c'è dono più grande dell'arte, delle arti? Certo, anche la produzione artistica è monetizzata; tuttavia, il costo non ne esaurisce mai il valore. Abbiamo cercato, nel numero di “Ca'rte” che avete tra le mani, di darne alcune dimostrazioni. E poiché questo foglio è gratuito (ha un prezzo, sì, che però non interessa né il mittente né il destinatario), esso stesso assume i contorni del dono. Come esortava Ariosto in una sua satira, rivolto al potenziale lettore: “leggilo, che meno / leggerlo a te, che a me scriverlo, costa”. Claudio Fraccari

“Il fascino luminoso della poesia come unica sorgente di vita e di bellezza, è destinato soltanto agli sguardi che lo incontreranno in modo libero e profondo” - così scrisse Mallarmè. In altre parole, la poesia e l’arte, nella figura del “dono”, non invocano soltanto la loro origine, ma anche la loro destinazione. “Io offro”, “io elargisco”, “io dono”, sono le parole con le quali incominciano, fin dall’Antichità, tutte le poesie votive che consacrano cibi, paramenti, armi, profumi, elmi, ori e avori; doni che ricordano un “voto” e la promessa mantenuta. A volte il dono rende esplicito l’afflato amoroso di un regalo. La poesia stessa è “dono”, dono per eccellenza. Noi leggiamo oggi questi testi come se la poesia parlasse di se stessa, nominando le cose offerte: “vi mando questo mazzo di fiori, la mia mano li ha da poco scelti; questi fiori sbocciati all’insaputa di tutti” canta Ronsard. Ai Romantici piacerà finire i cicli poetici con un “invio”, con un “dono”. Baudelaire riprende, su un altro registro,

Michelangelo, Studio per una pietà (part.), 1535 ca., Parigi, Museo del Louvre

“siano per te questi versi simili a un dono”, mentre Mallarmè, in una sua poesia aurorale che evoca la nascita della poesia notturna, scrive a un sodale: “ti porto come dono il figlio di una notte d’Idumea”. Il quadro o lo schizzo, il Maestro lo firma per donarlo all’allievo di bottega. A volte, più segretamente, i tocchi di pittura o di disegno vengono donati all’apprendista perché, infine, anche lui tenti di realizzare un’opera di bellezza universale. Il “dono” del Buonarroti al suo scolaro più amato, Sebastiano del Piombo, lo aiuterà a dipingere su un retablo la figura del Cristo morto. Lo splendido disegno, tratto da un antico amorino addormentato, afferma il potere di donare ciò che rende bella la bellezza.

Gian Maria Erbesato

02


L’importanza dell’esempio

Mario Nicolini è un uomo imponente che potrebbe mettere in soggezione, non fosse per il sorriso amichevole che mette ben presto a suo agio l’interlocutore. Una mente abituata a pensieri raffinati, che non si accontenta delle apparenze, ma scava in profondità nell’animo umano. Il proprio, per primo.

Foto Mara Pasetti

La Fondazione Comunità Mantovana Onlus, che lei presiede, si propone come scopo quello di svolgere attività benefiche e di pubblica utilità. Quindi il tema della cultura del dono le starà particolarmente a cuore… Ritengo che quasi tutti i mestieri siano produttivi, di pubblica utilità. Non ci sono, se non in piccola parte, mestieri più o meno utili e/o degni non ci sono classifiche. Bisogna però riconoscere che vi sono attività negative, ma queste non hanno dignità di lavoro. Mi pare che il termine dignità sia molto importante e molto in disuso, ma che separi con sufficiente chiarezza le attività che è bene che vengano svolte e invece le attività che sarebbe meglio nessuno svolgesse. Da dove nasce l’idea del ciclo di incontri “La cultura del dono”? Io sono il creativo, e mi ero accorto che nei nostri discorsi, anche ufficiali, spesso veniva fuori questo discorso della cultura del dono. Particolarmente ignorante, non sapevo cos’era e presumevo che anche per gli altri non si fosse mai approfondito il suo significato, nella sua bellezza. Quindi mi è apparso necessario e non solo utile, proprio ai fini del nostro esserci come Fondazione, approfondire questo tema. La lunghezza del ciclo è stata determinata dal fatto che il tema è molto ampio e non era il caso di fare degli incontri troppo ravvicinati. Meglio farli “digerire”. Così sono venuti a Mantova questi oratori, ma ne è risultata una serie di flash. Ho chiesto agli organizzatori di cercare un filo che leghi i vari interventi, che serva per ricordare, per giudicare, che dia anche una definizione: stiamo cercando dei mattoni per una costruzione, per una nuova umanità. Si lavora a questa utopia con la certezza che lo sforzo fallirà, e finirà nel compiersi del tipo di cultura e di uomo che noi stessi viviamo. A quel punto fallisce, ma non nel niente: fallisce nel partorire una nuova cultura. Una bussola che orienti nelle scelte? Io sono molto impastato di Bibbia e quindi per me è abbastanza evidente che la vita nasce dalla morte e non viceversa. Se il chicco di grano non cade al suolo e non muore, per usare una metafora evangelica, non c’è frutto. Quindi la parabola che si va disegnando è il contrario della parabola della cultura moderna che vede la vita dell’uomo come uno schizzare fino a un apice per poi cadere nella perdita, nel bisogno, nel nulla. Invece la ricerca che si sta facendo è quella di una vita che dal piccolo vada sempre in su. Ne consegue che l’anziano, il malato sta sopra il diciottenne perché è più vicino alla meta finale. Questo cambio di cultura non è nuovo all’umanità: come è sempre stato, una cultura cade al suolo perché matura e questo morire non è la fine, ma la nascita di un uomo nuovo, di una cultura diversa. Pur tra mille errori ed orrori, l’uomo e la sua cultura vengono attratti al loro compimento. E quando sono maturi cadono. Ed il compimento è dono. Primariamente non dono che si fa, ma che si riceve. La cultura del dono è stata presentata dai relatori in modi anche molto differenti. Quali sono gli spunti di riflessione che reputa più significativi? Mi capita spesso che le idee entrino in me e scendano in una specie di memoria cardiaca dove incontrano tutti i miei ricordi, pensieri, dubbi – insomma, 70 anni di vita. Sia che vengano accettate, sia respinte, sia discusse, esse ormai fanno parte di me, di quello che io sono. Faccio fatica a scegliere, mi sembrano tutte mie, le faccio mie. Ci sono anche molti rimpianti perché tante idee e le situazioni che coinvolgono altre persone, rivissute nella memoria cardiaca, rivelano che hai perso delle grandi occasioni. La mia vita almeno è fatta in gran parte così. È anche consolatorio nel senso che la vita è così ricca di occasioni che qualcuna inevitabilmente la perdi, però qualcuna la cogli, anche. È un mare incredibilmente vasto.

Qual è la sua idea personale sulla cultura del dono? Non è richiesto che i presidenti abbiano idee e, per di più, personali. Siamo alla ricerca di nuovi orizzonti, di nuovi rapporti. Ecco, qui mi pare di essere vicino al nocciolo: nuovi rapporti, cioè rapporti diversi. L’io scopre se stesso per/e nel rapporto con un “tu”. Nelle varie situazioni della vita mi occorre un tu per capire cosa sono io. È il rapporto che mi fa essere, che mi mette al mondo. Siamo un po’ tutti personaggi in cerca d’autore. C’è una doppia faccia in ciò che sto dicendo perché gli altri e le altre cose attendono che noi diamo loro un nome, perché esse saranno ciò che quel nome “dice”. Faccio un esempio. Se incontro un uomo e gli dico: “selvaggio extracomunitario”, è un conto e lui diventa almeno per me un “selvaggio extracomunitario”. Ma se lo chiamo John è tutta un’altra cosa. Ancora di più se gli dico amico. Insomma noi siamo autori degli altri e gli altri sono autori nostri. E quindi diventa veramente importante il rapporto che intercorre tra le persone. Uno dei relatori aveva come titolo del suo intervento “Do ut des” cioè “Ti do affinché tu mi dia”, insomma il baratto. Quella volta si è persa l’occasione di comprendere diversamente quel detto. Ho sperato tutta la sera che ci offrisse un altro titolo: poiché “do ut des” può anche significare che “io do a te affinché tu dia ad altri, oppure “io do ad altri affinché anche tu dia a qualcun altro”. Quella sera non bastava dire che il baratto è vecchio, occorreva aprire orizzonti nuovi di con-vivenza. Mi pare che uno degli impegni e responsabilità più rilevanti sia dare il nome alle persone ed alle cose: è molto importante anche dal punto di vista educativo. È decisivo insegnare a dare il nome giusto. In questo periodo di cambiamenti e instabilità le Fondazioni onlus diventano un punto di riferimento per molti. Ha notato qualche cambiamento o qualche nuova necessità emergente? In una recente riunione di associazioni di volontariato, il mio vicino, estraneo alle Fondazioni, ha sussurrato: “D’ora in poi saranno le Fondazioni a decidere le scelte politiche”. Almeno in parte aveva ragione. Questo mi sembra un punto delicato. È delicato nel senso che si ha a che fare con un organo che ha un suo potere senza che nessuno lo abbia eletto. Il fatto che un cittadino non l’abbia potuto eleggere, secondo me, è uno dei segnali che viviamo in un’epoca di decadenza democratica. Con il Volontariato o le Fondazioni non veniamo eletti e perciò abbiamo l’obbligo di radicarci e di interpellare il territorio. Che sia il territorio, insomma, a dirci di cosa ha bisogno perché non mi pare che sia giusto che siamo noi a determinare i bisogni o i desideri degli altri. La prospettiva più praticabile è una intensa collaborazione. La Fondazione è un patrimonio ad uno scopo. Anche nel nostro Consiglio è chiarissimo che ci sono due tendenze: quella di chi calca sulla parola patrimonio (sono quelli che si intendono di numeri e di investimenti) e quelli che fanno la parte utopica: il patrimonio al servizio dello scopo. Sono entrambe necessarie. Crede che l’arte, la cultura e il confronto di pensieri (come in queste conferenze) possano avere finalità sociali? L’uomo medio, come me, non si accorge che la cultura, ossia la visione media e vitale delle cose nasce, dipende e ricalca sentieri già tracciati dai grandi geni del pensiero. Voglio dire, sono figlio di Cartesio, anche se preferirei essere figlio di Pascal. Nelle scelte quotidiane uno cammina, senza rendersene conto, in un alveo che gli è già stato indicato. Altrettanto importanti secondo me sono quelli che svolgono un’attività diretta agli altri: il pensionato che, invece di giocare a bocce, fa volontariato, di fatto trasmette valori con la vita vissuta, raccontata. Ciò è altrettanto significativo del grande genio che lancia il suo messaggio. Messaggio che è uno scheletro che va rivestito di carne, tratti, fisionomia: gliela danno coloro che vanno ad assistere persone morenti, per esempio, perché lo considerano un atto di dignità dovuto.

Gli incontri sul Dono proseguiranno, negli spazi di San Barnaba a Mantova per tutto il 2012, delineando una mappa di approcci diversi al tema, una ragnatela di riflessioni in cui restare “impigliati”. Poiché tutti noi abbiamo bisogno del dono: non c’è solo chi dà e chi riceve. Dono è uno scambio. Mara Pasetti

03

Foto Mara Pasetti

Conversazione con Mario Nicolini


Il 16 marzo 2011 ha avuto luogo la conversazione inaugurale del ciclo di incontri “La cultura del dono”: il Vescovo di Mantova Monsignor Roberto Busti e il Parroco bolognese Monsignor Nicolini si sono confrontati sul tema dell’incontro come dono. I due interventi si sono concentrati sulla prospettiva cristiana del dono, sulla pienezza della vita trovata attraverso la comunione e l’incontro con l’altro. Monsignor Roberto Busti è partito nella sua analisi dal concetto di gratuità, carattere peculiare del dono, derivante dal latino gratia, termine che per un cristiano identifica tutti i doni che Dio elargisce all’uomo per raggiungere la felicità. La tentazione nel giardino dell’Eden, è stata far credere ad Adamo ed Eva di poter raggiungere la pienezza della vita solo con la propria intelligenza, senza bisogno dei doni di Dio. Tuttavia la forza dell’uomo si è rivelata da subito insufficiente e, dalla frustrazione dell’incompletezza, derivano l’invidia e l’incapacità di stabilire il bene come obiettivo condiviso. Nella visione cristiana il vero peccato è quindi il non aver accolto l’opportunità di felicità offerta da Dio, osservando l’atto di fiducia, il non toccare l’albero del bene e del male. Nel corso della storia l’offerta è stata però ripetuta più volte, con Abramo e poi con Gesù, attraverso il dono della salvezza. Per il Vescovo Busti dunque il dono cristiano è l’offerta di un cammino di vita, accettare la parola di Dio e utilizzare nell’incontro con l’altro il dono dello Spirito che ognuno di noi ha ricevuto per il bene della comunità. Monsignor Giovanni Nicolini si è concentrato invece sul dono della creazione della donna per Adamo. In tutta la creazione Adamo non trovò niente che gli potesse essere simile, aveva bisogno di un altro che fosse tutto ciò che lui non era: solo il dono della donna ha reso completa la sua vita. La parola “dono” nell’uso comune è per noi qualcosa che occasionalmente interrompe la monotonia con la sua gratuità improvvisa. Ma il dono di Eva è ben altro, porta con sé la completezza dell’incontro, la vita come comunione di diversità. Siccome siamo immagine e somiglianza di Dio, non possiamo essere solitudine, ma troviamo completezza solo nella relazione: questo è il dono di cui non possiamo fare a meno. Se riflettiamo sulla vita da una prospettiva cristiana, scopriamo infatti che tutto è dono, anche le prove che ci sono date. E ancora una volta il significato dell’albero del bene e del male, torna ad essere quello del dono primario ed originale, il non dover prendere nessun frutto perché è Dio che ci avrebbe donato tutto il necessario gratuitamente e spontaneamente. Il dono come incontro sta quindi nella fiducia di accettare la completezza della vita nella condivisione, con Dio e il prossimo, di tutto ciò che essa porta con sé.

Le cinque E del DONO

Foto Giuseppe Tripodo

Incontri sul tema “La Cultura del Dono” - Primo ciclo 2011

04


Il secondo incontro dal tema “Gli altri come dono” è stato tenuto da Don Virginio Colmegna, Presidente della Fondazione “Casa della Carità Angelo Abriani”. Partendo dalla sua esperienza nel volontariato sociale, e dalla ricchezza dei suoi incontri con immigrati e persone in difficoltà, ha parlato del dono come scuola d’umanità, come relazione e conoscenza della diversità dell’altro. La relazione è interpretata nell’accoglienza dell’altro, è un dono che arricchisce anche quando è improvviso ed imprevedibile, un’avventura che va sempre al di là delle aspettative. La relazione con l’altro è il vero dono perché ci porta a mobilitarci, a dare speranza, a vedere la bellezza della gratuità e dell’ospitalità sentendo nostri gli interrogativi degli altri. Il dono è lo stare nel mezzo, nella sofferenza, in relazione per mettere in moto energie positive, riscattare e trovare la speranza là dove si era perso il sentiero. Donare è un’azione che restituisce la voglia di ringraziare, genera gioia. La parabola del buon samaritano, è citata come simbolo della solidarietà: prima di tutto avviene su una strada, simbolo di incertezza e fragilità, luogo di incontri inaspettati e di rischi; inoltre, l’aiuto tra stranieri sconosciuti separati da pregiudizi religiosi, mostra come si superano le barriere dell’ostilità. Il dono, per Don Colmegna, è dunque la relazione che crea legami forti, facendo crescere l’etica della solidarietà e della responsabilità sociale.

L’incontro “Dono e libertà” tenuto dalla Prof.ssa Laura Boella, docente di Filosofia Morale all’Università Statale di Milano, affronta il tema come enigma filosofico e morale. Il dono si presenta infatti come un’incognita sospesa tra il dare e il ricevere. Nel dono c’è una contraddizione: da una parte si esaurisce nel valore economico dell’oggetto di scambio, dall’altra c’è il valore della sua gratuità. Quando il dono viene tradotto in un oggetto, in uno scambio, perde il suo valore di gratuità e diventa commercio, iniziando ad implicare rapporti di potere che ne rovinano lo spirito originale. È possibile quindi vivere una relazione diversa attraverso il dono? Una relazione che sia pura e non economica o di scambio? Lo spazio del dono sembra stare tra la gratuità e l’interesse. Il dono può essere visto come la relazione intercorsa tra due soggetti, tra ciò che è dato e ciò che non può essere dato. È lo spazio di una libertà che è irruzione del nuovo, capacità di dare inizio a qualcosa, anche alla libertà dell’altro (ad esempio “per-dono” è restituire la capacità di agire). Lo spazio del dono è il suo accadere, l’interruzione degli spazi automatici, è la relazione tra due esseri. Il recente interesse di studio per l’empatia – la capacità di condividere emozioni profonde - nasconderebbe in realtà il desiderio di renderla qualcosa di naturale, in risposta alla crisi di relazioni tra gli uomini e con l’ambiente. L’aspetto più importante dell’empatia è quella del “dono di pensiero”, un disporsi emotivamente al fatto che accada qualcosa tra me e gli altri. Disporsi all’irruzione del nuovo attraverso l’incontro. La vita delle relazioni parte da ciò che l’altro ha di diverso, da ciò che non so ancora e il dono ci da la possibilità di scambiare qualcosa, di mettere qualcosa in comune liberamente. Un dono deve mantenere la gratuità e la libertà della novità, del rischio che comporta l’incontro con l’altro, in questo modo si pratica il dono etico della solidarietà. Tutto o niente può accadere, e proprio in questo spazio sta la realtà vissuta del dono come momento libero della nostra esistenza.

Il quarto incontro, dal titolo “Do ut des” è stato tenuto dal Prof. Gustavo Zagrebelsky, docente di Diritto Costituzionale all’Università di Torino. In una conversazione in tre parti ha trattato l’analitica, la politica e l’etica del dono. La discussione è partita da due interrogativi: cos’è il dono? È un fattore di buoni o cattivi principi sociali? I sociologi lo vedono in modo positivo, gli antropologi in modo negativo, come una forma di dominio mascherata di ipocrisia. Le forze che mettono in moto i beni nella società sono tre: la legge che induce all’obbedienza, il contratto che implica adempimento e il dono. Legge e contratto non comportano legami duraturi, mentre il dono fa parte del capitale sociale, cioè di quella rete di relazioni sociali spontanee e solidali interne ad una comunità. Secondo la sociologia del dono, questa pratica potrebbe salvarci dall’individualismo della società, ma si tratta di un’illusione utopica. Il dono è infatti un atto spontaneo che deve scaturire da una norma morale interiore, non da obbligazioni sociali o altri conformismi, deve essere anche disinteressato e gratuito. Nel suo effetto stabilisce tuttavia una relazione bilaterale, attraverso la gratitudine di chi lo riceve nei confronti del donatore. La gratitudine di solito si mostra ricambiando, corrispondendo all’attesa, “sdebitandosi”... il dono crea quindi una dipendenza subdola, e diviene interessato se mira ad una reciprocità. Con un dono si predispone bene l’altro nei nostri confronti, ci aspettiamo qualcosa di buono dalla sua gratitudine, e questo è il principio della corruzione. Un grande dono può manifestare un grande potere, ed ha effetti sociali più ampi, può generare invidia, emulazione e persino diventare strumento di gerarchia sociale. L’opposto del dono è il diritto, ciò che ci è dovuto e che possiamo pretendere senza perdere la nostra libertà. Lo spirito originale del dono è altruismo e spontaneità, mentre i suoi fattori di corruzione sono il conformismo, il potere e l’interesse. A queste condizioni l’unico vero dono sembrerebbe quello divino, che ci lascia il libero arbitrio, non è influenzato dalla nostra scelta e non può essere ricambiato. Esiste però una forma di dono autentica, basata sulla compassione (sentimento di condivisione) e non sulla pietà, ma per non incappare nel vincolo di gratitudine, che in qualche modo condiziona il ricevente, deve trattarsi di un dono spontaneo, gratuito e segreto. La capacità di dono è una virtù difficile da ottenere e praticare, e il dono perfetto sembra essere in questo caso quello fatto al nostro prossimo senza legarlo a noi, cioè a sua insaputa. Chi pratica il dono è quindi altamente meritevole, ma per essere realmente dono il suo merito deve rimanere sconosciuto.

Il Prof. Pierpaolo Donati, docente di Sociologia all’Università di Bologna, ha condotto l’ultima conversazione intitolata “La pedagogia del dono”. Il dono in questa prospettiva assolve ad una funzione sociale e genera felicità personale. Il riconoscimento dell’altro come dono è all’origine di ogni relazione sociale e, poiché “dono” è la relazione che instauriamo con l’altro, il suo valore pedagogico sta proprio nell’insegnarci a relazionarci con gli altri in modo non strumentale, puro e gratuito. Quando riceviamo un vero dono? Cos’è un vero dono? Il dono è la mancanza di attaccamento alle cose, esprime libertà. Ci insegna la relazione e ci rende umani, perché è nella relazione pura del dono che si sperimenta la libertà come condivisione con gli altri. La cultura del dono è la cultura dell’amore perché riconosce l’altro come dono. Per alcuni studiosi moderni il dono deve essere gratuito e siccome la gratuità reale non esiste, allora nemmeno il dono potrebbe esistere. Tuttavia il dono vive in tante forme diverse: nelle associazioni di volontariato, nelle relazioni informali e in famiglia. Esso può essere interpretato come base della relazione sociale perché, come primo atto di fiducia in ogni incontro, si fa all’altro il dono di riconoscerlo e nello stesso momento si dona sé stessi per entrare in relazione con gli altri.

(Sintesi a cura di Giada Salvarani)

05

Foto Giuseppe Tripodo

Durante questo primo ciclo di incontri, l’azione del donare in tutte le sue diverse forme è stata letta in molti modi: il progetto di Dio per noi, un incontro inaspettato, un aiuto segreto al momento del bisogno, la condivisione solidale, la capacità di accogliere l’altro. Tuttavia, ciò che resta costante in ogni conversazione sembra essere il valore etico e sociale della cultura del dono, un invito forte alla relazione vera, spontanea e gratuita. Un atto di altruismo e comunicazione che si oppone all’individualismo e ristabilisce legami autentici, nei quali la responsabilità verso il nostro prossimo e verso il mondo che ci circonda non fa più paura. Anzi, è desiderata e accolta proprio come il più bello dei doni.


Così, i Troiani si radunarono intorno al famoso cavallo per decidere cosa fare di quello strano manufatto. Si trattava di una minaccia, come sosteneva Cassandra? Era un voto rivolto dai Greci agli dèi, al fine di propiziare un pacifico ritorno in patria? Era un dono, un omaggio, costruito dagli assalitori di Ilio per rendere giustizia a chi aveva difeso la città per lunghissimi anni? Tutti sappiamo come è andata. L’abbiamo letto nell’Eneide di Virgilio, dopo aver intravisto vaghi cenni nell’Odissea. I più informati sanno che erano quarantuno i capi guerrieri nascosti nel ventre del cavallo, e che fu un certo Epeo a inventare l’astuta macchina da guerra, Epeo, il futuro fondatore di Metaponto, sulla costa ionica della Lucania. Ma questa è un’altra storia. La tradizione attribuisce ad Ulisse la malizia necessaria per trasformare il dono in opportunità, vincendo così la resistenza accanita delle mura di una città potente e non conquistabile. In effetti, egli fu capace di compiere un’impresa ben maggiore. Spezzò l’impasse che tormentava le divinità dell’Olimpo, in parte schierate a favore di Troia, in parte contro, seguendo complicati e rancorosi meccanismi di invidia e di gelosia. Ecco dunque il vero motivo del dono. L’ingannevole pacchetto che nascose un manipolo di soldati, pronti ad uscire nella notte per aprire le porte della città, era in realtà una silenziosa preghiera destinata a spezzare l’equilibrio del destino, sovvertendo in un solo giorno la storia dell’Occidente. Era un trucco escogitato per infrangere una trappola. Per liberarci dall’enorme, eterno, inutile campo di battaglia che gli stessi dèi avevano preparato tra il mare e le rocce, in modo che per dieci anni della vita umana (e oltre) si svolgesse una serie di scontri adatti a provocare la loro fantasia malata.

Timeo Danaos et dona ferentis

Foto Claudio Compagni

Ma il miracolo del dono, oggi come ieri, spezza le convenzioni, poiché equivale ad un atto imprevedibile, gratuito, senza apparente motivo. Di questo tipo, allora, sono i veri regali. Ma non corrispondono esattamente agli oggetti che riceviamo nelle date prefissate delle feste religiose o del compleanno. Accade, al contrario, che una bella giornata di sole venga avvertita da noi come un dono, e il sole, mentre le nubi si aprono, diventa un’arma potente per cambiare inclinazione, per compiere un breve passo verso un’altra direzione. Un inganno? Forse solo l’invito ad uscire da un labirinto di false opportunità. Sempre gli dèi, sempre loro. Giovanni Pasetti

Musica, beneficio degli dèi È sorprendente come la musica, durante i secoli, abbia assunto funzioni diverse nella vita dei popoli e degli individui. Da fenomeno di massa a passatempo di pochi, è stata un elemento portante del pensiero e degli aneliti spirituali dell'umanità e un prodotto commerciale da consumare come se si trattasse di uno "snack". Possiamo considerare la musica anche come "dono"? Gli studi più recenti delineano una valenza positiva, benefica, quasi terapeutica della musica. I suoi effetti sul corpo umano vanno da un azione di regolarizzazione della frequenza cardiaca fino al rilassamento, alla pacificazione. Un bel "regalo" in un'epoca di dinamismo esasperato. E quando sentiamo un frastuono assordante provenire dai finestrini di auto in corsa? Può apparire strano, anche un brano "heavy metal" a tutto volume risponde ad una esigenza dell'ascoltatore, spesso giovane, che considera come una valvola di sfogo rilassante anche gli assoli di chitarra elettrica o batteria in evidente esubero di decibel. Preferiamo però immaginare la musica come una forma d'arte e come una straordinaria opportunità di comunicazione di sensazioni e di sentimenti, nella sua molteplicità di forme, caratteri, atmosfere. E possiamo apprezzare il fatto che la musica sia un "dono" proprio quando ci viene incontro, si suggerisce come colonna sonora di un nostro stato emotivo, di uno scorcio di quotidianità, e questo dono lo scegliamo noi, come se fossimo nel negozio più bello e invitante, preferendo a volte un brano classico ed altre una canzonetta, a volte un ascolto approfondito e meditato ed altre un semplice canovaccio per fischiettarci sopra. Ma la musica può essere considerata anche qualcosa in più di un semplice dono della natura. Per alcuni la musica è un dono divino. Questa convinzione diede probabilmente una svolta decisiva e un impulso straordinario alla meravigliosa arte di Johann Sebastian Bach, sempre proteso ad assolvere ad un compito così gravoso ed esaltante come solo il tentativo di rappresentare mondi ultraterreni e misticamente irraggiungibili può essere. Il risultato, quale che sia il personale approccio di ognuno di noi alla spiritualità, fu talmente sublime ed ispirato da costituire la colonna portante di tutta la musica che è stata scritta nei secoli successivi. Stefano Gueresi

Foto Claudio Compagni

I sogni del treno Dopo la bugia della scuola avanti il ritorno al freddo di casa, il bimbo sempre andava a giocare col treno sfilante tra incolte terre di tutti e nessuno, assedianti mostri di case come corone bastarde di quartieri illegittimi. Il suo paese. Sporche piccole mani addormentavano medagliette di rame di latta di stagno sulle rotaie, a vedere ogni volta cosa fa il treno pieno di gente. In solitaria attesa eccitata coricato adesivo sulla scarpata, come a spiare per gioco amico nemico tra campi prodighi d'ortiche e papaveri discariche e inganni, i suoi occhietti aspettavano ansiosi fischio e faccia del treno arrivare puntuali sbucare dal tunnel in curva.

06

Poi, ginocchioni, come i cercatori d'oro d'un tempo carezzava col piccolo dito estasiato minime calde stelle brillanti fuse impresse ognuna diversa sulla via ferrata. Il suo cielo segreto. I doni del suo cielo segreto. Ma un giorno, irruppe treno imprevisto. Ora, il bimbo la stella più viva di quel cielo segreto, sfiorato ogni giorno da ignari viaggianti. Quando sto sul treno e nulla penso, a volte quel cielo cerco quei doni. Attilio Pecchini


L’etnologo Marcel Mauss, profondo conoscitore della civiltà maori come anche di altre civiltà indigene del Nord America, ci induce a riflettere sul dono arcaico come fatto sociale totale, pertanto collegato a significati economici, giuridici, morali e religiosi. La comunità primordiale così studiata da Mauss come primo modello sociale da cui derivano altre forme di sistema sociale, si struttura in base al sistema del dono. Dono che, sviluppandosi nello scambio tra le persone che partecipando attivamente evitano di sentirsi inutili, funge da “garante dell’ordine sociale”, permettendo la pace e una totalità relazionale della comunità costituita da doni e contro-doni. Scrive Mauss: “Le anime si confondono con le cose; le cose si confondono con le anime. Le vite si mescolano tra loro ed ecco come le persone e le cose, confuse insieme, escono ciascuna dalla propria sfera e si confondono: il che non è altro che il contratto e lo scambio. (…) Gli scambi non interessano i singoli individui, ma l’intera collettività”. Le cose oggetto di scambio non si limitano a circolare fra due soggetti, come avviene in uno scambio mercantile, ma rimangono “legate” all’anima del donatore. “La cosa (…) non è inerte. Anche se abbandonata dal donatore è ancora qualcosa di lui. (…) Nel diritto maori, il vincolo giuridico, vincolo attraverso le cose, è un legame di anime, perché la cosa stessa ha un’anima, appartiene all’anima. Donde deriva che regalare qualcosa a qualcuno equivale a regalare qualcosa di se stessi; (…) accettare qualcosa da qualcuno equivale ad accettare qualcosa della sua essenza spirituale, della sua anima; (…) esiste, prima di tutto, una mescolanza di legami spirituali tra le cose (…), gli individui e i gruppi” (M. Mauss, Saggio sul dono). Entrando nello specifico dello scambio del dono (Mauss parla di “etica del dono”), la caratteristica peculiare è che vige il principio della reciprocità obbligatoria e vincolante: chi riceve un dono deve restituire un altro dono affinché non si trattenga qualcosa dello spirito delle cose (hau) appartenente al primo donatore, se così fosse si potrebbe rischiare anche la morte. Ma l’atto del dono, dello scambio non è solo mezzo di unione, ma anche atto di separazione fra gli uomini, mettendoli l’uno contro l’altro. Nel Potlach melanesiano (Potlach significa distribuzione di proprietà) la rivalità è mascherata abilmente dalla coloritura dei costumi rituali. Quando un ragazzo acquisisce lo status di adulto, per mezzo di una distribuzione di beni, che nel tempo gli ritorneranno con gli interessi, il secondo nome che gli è stato attribuito acquisterà maggior peso e fama nella tribù nella misura in cui sarà in grado di distribuire sempre maggiori quantità di beni in feste successive. La rivalità fra capi e clan può giungere a forme esasperate, come la distruzione dei beni del capo tribù di fronte agli occhi degli altri

Foto Giovanni Fortunati

Lo spirito della cosa donata

capi villaggio, così da poter indicare il proprio distacco nei confronti della proprietà distrutta e dimostrando che il suo spirito è più forte. Se il rivale non è in grado di distruggere la stessa quantità di beni in breve tempo, il suo nome sarà “spezzato”, non avrà più influenza nella propria tribù ed il rivale vincitore acquisterà invece maggior fama. Al dono viene pertanto attribuita una natura ambivalente: scambio che può unire, ma anche separare, donoinganno e dono-veleno come indica Mauss, rinviando alla grande tradizione greca. Basti pensare al mito di Pandora per il quale ogni dono offerto agli uomini diffonde ogni genere di male nel mondo intero. Il dono arcaico pertanto è un fenomeno complesso, una prestazione totale in cui coesistono caratteristiche che nella società attuale vengono separate: l’interesse, il disinteresse, il piacere e la coercizione, l’utilità e l’obbligo morale. La “lezione” per l’uomo di oggi è di ripensare all’arcaico, riconoscendo che lo scambio attuale altro non è che mercanzia animata solo dall’utilità e dall’interesse priva di una comunicazione sociale effettiva. La consapevolezza del dono come fatto sociale, che interseca molteplici aspetti della vita relazionale può porre freno ad una mercanzia imperante che genera notevoli disequilibri sociali. Basti ricordare che “Lo scambio concepito come un universale può essere posto come una caratteristica primordiale della vita sociale” (G. Berthoud). Stefania Viapiana

Cinema regalato C'è il dono come talento: in Gifted Hands (Thomas Carter, 2010, con Cuba Gooding jr.) un pessimo studente si trasforma in acclamato neurochirurgo, superando i pregiudizi razziali (è nero). Oppure è inteso come facoltà parapsicologica: Cate Blachett interpreta una sensitiva implicata in un caso poliziesco – il film è The Gift di Sam Raimi (2000). C'è Il dono di Michelangelo Frammartino (2003), un lungometraggio dove le parole non divengono mai dialogo, a significare l'incomunicabilità delle situazioni: un anziano si ritrova fra le mani un cellulare, simbolo della modernità; una ragazza, che si sente invasata, offre il corpo a consumatori occasionali – e così via; a metà strada fra il documentario e la fiction, il film parla del dono della vita in sé, senza criteri di valore se non il fluire quotidiano degli eventi. Il cinema stesso, a ben vedere, si presenta come regalo: il prezzo per il biglietto non implica un vero pagamento; le emozioni che si provano nella sala buia, insieme ad altri spettatori per lo più sconosciuti, lo straniamento che ne deriva, il fatto che la riproduzione avvenga grazie a un proiezionista invisibile – tutto contribuisce a rendere l'esperienza cinematografica più vera della realtà, e dunque impagabile. L'immagine che sbriglia l'immaginazione non può che qualificarsi come un donativo che implica una virtuale restituzione, ovvero una coazione a ripetere. In effetti, oggi, la tecnologia rende possibile rivedere o regalare opere anche remote: e i film diventano così oggetti (culturali ed estetici) come i libri. Altri film, altre storie, altri fotogrammi recuperati dal passato o incombenti nel futuro renderanno più ricca e variegata l'esistenza. Non resta che ricercare e attendere questi doni insieme materiali e immateriali. Claudio Fraccari

07


Curato da Associazione Culturale

Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44

• Mantova

CALENDARIO EVENTI

CA’ GIOIOSA

agosto

gioiosa

anni

entra nelle case 31 agosto 2012 / Anno III Copia omaggio supplemento straordinario a La Cittadella Editrice Ca’ Gioiosa-Mantova Fotolito e stampa: Publi Paolini

Responsabile redazionale Claudio Fraccari Coordinamento artistico Raffaello Repossi Coordinamento editoriale Mara Pasetti Redazione Valeria Borini Claudio Compagni Giovanni Fortunati Claudio Fraccari Carla Guerra Nicoletta Marastoni Laura Pasetti Mara Pasetti Gianpaolo Poli Raffaello Repossi Giada Salvarani Giuseppe Tripodo Nicola Zanella

Parlare di dono in epoca di crisi parrebbe cosa scontata, ma non lo è. Quando vengono a mancare le sicurezze ci si aggrappa, timorosi, ai propri beni e ci si concentra maggiormente sui propri bisogni. Di più, può succedere di percepire chi è sofferente con diffidenza, come se potesse contagiarci. Invece le difficoltà della nostra epoca, e non parlo solo di quelle economiche, potrebbero offrirci l’opportunità di mettere in discussione alcuni “valori” e di riscoprirne altri. Per questo abbiamo accolto volentieri il suggerimento della Fondazione Comunità Mantovana onlus di dedicare questo numero di Ca’rte al tema del dono. Senza pretesa di facili moralismi, ma come spunto di riflessione. Li ringraziamo di sostenere questa uscita perché condividiamo con loro la riflessione su questo messaggio trasversale che non può lasciare indifferente chi si occupa di didattica per scelta e vocazione. In copertina l’omaggio di Ca’ Gioiosa ad un amico che ci ha recentemente, apparentemente, lasciati orfani, lo scultore Aurelio Nordera. In realtà la sua arte e, ancora di più, il suo alto esempio personale ci accompagnano. Tutta la sua vita di uomo e artista riservato sono un esempio di come non servano tante parole per offrire doni all’umanità: le sue opere parlano per lui. Un grazie sincero per il dono di una sensibilità che travalica il tempo umano. Dopo la pausa estiva riprendono le attività dell’associazione che si è interrotta bruscamente a causa del sisma. A chi ne è stato colpito va la nostra solidarietà e l’impegno a “ricostruire” secondo le nostre capacità: offrendo doni culturali! Mara Pasetti

Domenica 7 ottobre - 21 ottobre 4 novembre ore 10.30

Domenica 2 settembre ore 8.15 “Bici Trekking alle Grazie” in collaborazione con il gruppo “Giuliana Guidoboni Righi” accompagnati da Gilberto Furlani

Testi e poesie di Gian Maria Erbesato Claudio Fraccari Stefano Gueresi Giovanni Pasetti Mara Pasetti Attilio Pecchini Giada Salvarani Stefania Viapiana Fotografie di Claudio Compagni Giovanni Fortunati Mara Pasetti Giuseppe Tripodo

Museo diocesano “F. Gonzaga” Ciclo di 3 incontri dal titolo “La Seduzione dell’Ascolto” Ingresso libero

Mercoledì 19 settembre Martedì 9 ottobre Sabato 10 novembre ore 20.30 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn “In-contro” Amici si incontrano convivialmente Solo su prenotazione

Sabato 27 ottobre ore 20.00 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn “Pablo Picasso. Capolavori dal Museo Nazionale Picasso di Parigi” Presentazione della mostra milanese a cura di Mara Pasetti Solo su prenotazione

Martedì 25 settembre ore 20.00 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn “Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese” Una mostra, un film Presentazione a cura di M. Pasetti Solo su prenotazione

Sabato 24 novembre ore 20.00 Casa Pasetti, via Calvi 51, Mn “Raffaello verso Picasso. Storie di sguardi, volti e figure” Presentazione della mostra vicentina a cura di Mara Pasetti Solo su prenotazione

L’associazione Ca’ Gioiosa è a disposizione degli eventuali aventi diritto per le fonti non individuate. Scriveteci i vostri commenti su Facebook chiedendoci l’amicizia: ogni visita ci aiuterà a portare avanti il progetto di Ca’rte Visitate il nostro sito per conoscere l’elenco delle edicole che distribuiscono Ca’rte.

Info e iscrizioni agli eventi: – Via Calvi 51 Mantova Segreteria aperta il martedì dalle 10 alle 12 tel. 0376 222583 - 3395836540 pag. Facebook: Associazione Culturale Ca’ Gioiosa

cagioiosa@libero.it • www.cagioiosa.too.it

e con il patrocinio

01 12

Ca’ Gioiosa ringrazia per la sensibilità che sempre dimostrano a sostegno delle sue iniziative la Provincia di Mantova, il Comune di Mantova, Levoni spa, Banca Intesa San Paolo, Cleca S. Martino, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Pavimantova snc, Cantine Virgili, Gustus, Valle dei Fiori

Sportello Sportello di di Promozione Sociale

Cercate aiuto per orientarvi nella scelta dei servizi territoriali?

Desiderate che qualcuno vi affianchi nel disbrigo di pratiche burocratiche?

Vorreste essere aggiornati sulle diverse agevolazioni di cui potreste beneficiare?

Per informazioni ci si può rivolgere direttamente allo Sportello di Promozione Sociale in via Tassoni 12 a Mantova. L’ufficio è aperto dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 12, telefono: 347/6728025, email: sportellodipromozionesociale@domino.comune.mantova.it. Anche il sito è gestito dai volontari con tutte le informazioni circa il servizio: http://sportellodipromozionesociale.comune.mantova.it. Nel primo semestre del 2012 lo Sportello ha accolto 190 richieste. Gli 8 volontari operativi hanno fornito informazioni, compilato moduli, supportato alla ricerca di agevolazioni, orientato ai vari uffici e servizi offerti dal territorio, svolgendo in tutti i casi una funzione di prossimità a persone italiane e migranti. Negli ultimi mesi lo Sportello ha inoltre promosso una ricerca delle attività delle associazioni di volontariato e culturali operative nel Comune di Mantova; la pubblicazione avverrà entro il 2012. È inoltre in previsione la pubblicazione del prossimo numero del Bollettino Bandi e Agevolazioni.

Nel 1993 la prof.sa Giuliana Guidoboni Righi fonda presso il Liceo Scientifico “Belfiore” il GRUPPO TREKKING che aprì le porte alla partecipazione di studenti, professori e genitori. A poco a poco, dopo essere uscito dalla scuola, il gruppo si è allargato contando oggi, dopo 20 anni di attività, circa 300 partecipanti che, alternandosi, partecipano alle varie camminate, programmate annualmente e studiate accuratamente. Le mete che vengono proposte non sono irraggiungibili; chi vuole vivere una grande impresa sportiva, venendo con noi, deve rinunciarci. “CAMMINARE PER CONOSCERE” “CAMMINARE PER LA SALUTE” sono i nostri primi slogan! Camminare tra amici, camminare per divertirsi. Il tempo “perso” per fermarci ad ammirare ciò che ci sta attorno, non è, per noi, tempo perso bensì guadagnato! Si può prendere conoscenza del nostro programma annuale scrivendo a: tito.righi@comune.mantova.it Info: cell. 338.6767293

Questa pagina ospita sempre lo Sportello di Promozione Sociale, Associazioni e Istituzioni culturali mantovane


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.