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Associazione di Promozione Sociale iscritta al Registro dell’Associazione della Provincia di Mantova negli ambiti: civile-sociale, culturale e attività sociale. Decreto n. 17/2007

Curato da Associazione Cultural e Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44

• Mantova

febbraio

gioiosa entra nelle case

SOMMARIO

Venire alla luce Ma come una spera A lezione dall’orafo Limoges, o l’arte dello smalto Cielo d’oro, luce di Dio Riflessi & Riflessioni C’era un Volta... nel carteggio Un’illuminazione e un abbaglio Scrivere con un clic Il duomo illuminato La Lux Nova di Suger Sufficit unum in tenebris Luce come rinascita Catturare la luce

Foto Pier Luigi Gibelli

LUCE

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Venire alla luce

Foto Mara Pasetti

Qui inizia – no, sarebbe il caso di dire che vede la luce una nuova serie di “Ca'rte”. Esauriti i quattro supporti privilegiati (carta, tela, tavola, pietra), il tema monografico di questo numero è infatti la LUCE, nel suo caleidoscopio di applicazioni simboliche, tecniche, artistiche. Viene trattata innanzitutto la funzione fondativa che essa riveste nella fotografia e nel cinema, ma anche la rappresentazione che ne danno la pittura e l'arte dello smalto, l'araldica con i suoi emblemi e le sue imprese; oppure, come la luce venga catturata nell'architettura gotica, quali significati possa assumere nei riti antichi e arcaici. Non manca il suo opposto, costituito dal buio o dall'ombra. Nel farlo, speriamo però di metterci in (buona) luce, senza esagerare e finire sotto le luci della ribalta, di non perdere il lume della ragione, di non scambiare lucciole per lanterne. A voi la lettura – sconsigliabile se a lume di candela. Claudio Fraccari

Ma come una spera di sole, nell’aria vibrante del mattino, scintillando guizzò nella sospesa luce, ad animare un filo teso sul tetto a terrazza, una casetta bianca, persiane turchesi, riposta tra puliti aromi di glicine, gelsomino e altro buono che non so, si stagliò improvvisa, sull’azzurra eternità del mare. (Gianni Bergamaschi)

A lezione dall’orafo Intervista a Luciano Tosoni “Il diamante è solo luce, luce dispersa!” Il mio ospite mi acccoglie con questa provocazione nel laboratorio situato nel cuore del suo negozio situato nel cuore della città. Raccontami la tua storia Divento orafo per curiosità, quasi per divertimento, respirando in famiglia una certa propensione per il bello. Mio nonno faceva questo mestiere dal 1919, mio padre ne seguì gli aspetti commerciali, ma quello che davvero ha sempre intrigato me è la creazione manuale. Fin da bambino infatti creavo giocattoli complicati utilizzando il legno. Mi è sempre piaciuto tirar fuori qualcosa che non esiste usando le mani. Il mio primo amore sono state le pietre, mi piaceva collezionarle per la loro rarità e bellezza e non per il valore intrinseco. Il diamante per esempio è una pietra comune nel mondo: per una carriola di diamanti estratti si porta a casa al massimo una manciata di rubini. Inoltre nel tempo abbiamo assistito sempre più a falsificazioni e uso improprio delle pietre preziose: così ho perso passione e ho smesso di collezionarle! Hai imparato l’arte di tagliare le pietre? Certo, quando avevo 18 anni un amico di mio padre mi ha insegnato a tagliare le opali su un nastro che scorre. È come giocare a poker: vai a cercare l’iridescenza sempre più a fondo. Finché sparisce tutto e tu impari... ad accontentarti. Anticamene i brillanti non venivano tagliati, ma solo lucidati e la loro brillantezza restava nascosta. E oggi non c’è diamante senza taglio, ma per eseguire una sfaccettatura a regola d’arte bisogna seguire delle regole precise: in caso contrario farebbe la vecchia come un comune specchietto. Sei affezionato a una tua particolare creazione? Sì, al gioiello che farò domani! Se ripenso alle mie creazioni ricordo le donne per cui le ho realizzate. Una forte personalità femminile aiuta il creativo, lo indirizza. Ed è una grande soddisfazione centrare un’aspettativa avendo interpretato correttamente il desiderio della committente. Oggi le donne lavorano, hanno esigenze pratiche che vanno rispet-

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tate. Perciò niente bracciali che devono essere allacciati con l’aiuto di qualcuno, niente orecchini che si impigliano nelle maglie o spille che non trovano più robusti revers cui ancorarsi. Dunque l’oreficeria asseconda l’abito ed è un fenomeno sociale. Nell’era informatica assistiamo alla diffusione dei modelli in tempo reale. Ti faccio un esempio. Se disegno una pietra semipreziosa tagliata in un certo modo, in poche settimane dall’India me ne mandano quante ne voglio, però la settimana dopo la trovo anche nelle vetrine delle fiere orafe! Una volta erano le arti figurative a tradurre l’idea dei committenti in opere d’arte. Oggi questa eredità è rimasta prerogativa dell’artigianato di preziosi. L’orafo crea un oggetto per il suo gusto personale, egli ricava piacere dalla sua creatività, ma è una figura che va scomparendo, come quella del sarto. Eppure la parola gioiello è sempre sinonimo di bello, desiderabile, prezioso, luminoso... L’oreficiera è una branca della luce. Le pietre brillano, l’oro viene lucidato, l’argento ha una sua caratteristica luminosità lunare, il platino è rivestito di rodio per risultare più brillante. Anche la luce artificiale ha una grande importanza nell’osservazione di materiali e pietre preziose. La migliore, la più simile a quella naturale, è un composto di luce bianca, giallina e azzurrina. L’orafo un tempo lavorava sempre sotto una finestra, sulla destra per i mancini, sulla sinistra per gli altri. Fino agli anni ’20 del 1900 si posizionava una boccia di vetro verso la luce in modo che catturasse un raggio di sole e facesse da lente sopra lo stocco (pezzo di legno

che viene infilato dentro il banco dell’orafo e che accompagna ogni colpo di lama o di seghetto fino ad assumere la posizione più usata dall’artigiano). Come si esprime oggi la tua creatività? Posso dire con una metafora che annuso l’aria come un cacciatore. Indovino che ci sarà questa o quella tendenza. Le mode cambiano, ma una cosa resta immutabile sin dall’antichità: il bisogno di adornarsi. Dunque in tempo di crisi economica cosa cambia nell’artigianato di lusso? Il prodotto finale non deve risentire dell’impoverimento dei materiali utilizzati. Anzi ti dirò che sono molto più stimolato dalla sfida che offrono materiali modesti, ma fantasiosi. Per un orafo è molto importante “sentire” le cose, ma anche saperle realizzare. Occorre padroneggiare le caratteristiche fisiche dei metalli, le temperature di fusione, le tecniche di lavorazione, i tipi di castone... Per questo servono anni di esperienza e un maestro da guardare. Il vero orafo sa fare tutto il gioiello da sé: dal disegno alla lucidatura finale. Ha assorbito la cultura orafa attraverso un fiume carsico di abilità forgiate dalla sperimentazione di generazioni d’artigiani. Io stesso ho provato ad eseguire ogni tecnica, anche la ricetta del niello (lega nera per riempire le incisioni) tramandata da Benvenuto Cellini.

A evocarlo, questo grande artista, sembra prendere forma, nell’aria tra noi, qualche prezioso ninnolo rinascimentale. Capricci di re, quando non c’era differenza alcuna tra orafo e scultore. Mara Pasetti


Limoges, o l'arte dello smalto che per motivi ancora non chiari viene a riacquistare nell’ambito di questo tipo di produzione artistica il posto detenuto nel XII e XIII secolo grazie ai champlevè. Soluzione completamente assimilabile alla pittura, che permette agli artisti una versatilità iconografica e narrativa eccezionale, lo smalto dipinto Limoges consiste nel ricoprire gradualmente una lastra di rame con una serie di strati di materiale cotti uno alla volta perché l’impasto di ciascun colore fonde a una temperatura diversa. Foglie sottilissime d’oro o d’argento (i paillons), poste sul fondo in dimensioni più o meno grandi prima della fusione dello smalto, potevano poi ulteriormente aumentare gli effetti luminosi, percepibili grazie allo smalto traslucido (cioè trasparente) dispostovi sopra. Per impreziosire ulteriormente taluni dettagli delle raffigurazioni, venivano anche colate piccole gocce di smalto colorato o dorato che imitavano le gemme cabochon e servivano per delineare gioielli o fiori, ottenendo ricchi effetti decorativi. Al di là di un ristretto numero di ricchi estimatori, lo smalto dipinto Limoges fu un’ arte riservata a un limitato numero di personaggi appartenenti alla cerchia reale francese. I più grandi smaltatori lavorano, infatti, per i re Luigi XII, Francesco I, Enrico II, Carlo IX, Enrico IV e Anna d’Austria, entusiasti estimatori di questi prodotti. Splendida committente fu anche Caterina de Medici (1519-1589), moglie del re Enrico II. Nell’“Hôtel de la Reine”, in rue de Grenelle a Parigi, fece predisporre un “cabinet des émaulx”, con pareti ornate da placche ovali e rettangolari, radunando inoltre una collezione di smalti dipinti costituita da ben centocinquantanove pezzi, una delle più imponenti raccolte attestate di questo genere di opere. “Peintre et émailleur du roi” fu il celeberrimo Léonard Limosin (ca. 1505-1576/‘77), autore tra l’altro del grande retablo (insieme di placche di dimensioni diverse) per la Sainte-Chapelle (Parigi, Musée du Louvre), eseguito per Enrico II nel 1553, in uno stile intriso dell’elegante manierismo di Fontainebleau. Formato da due tavole d’altare alte ciascuna più di un metro, con le scene della Crocefissione e della Resurrezione, corredate da medaglioni rappresentanti Francesco I e la moglie Renata di Francia, Enrico II e Caterina de’ Medici, il retablo godrà di ampia fortuna sino a tutto il XIX secolo, quando, dopo un periodo di decadenza gli smalti limosini risorgono, venendo

copiato e citato ripetutamente dagli smaltatori. Con il XVIII sec. le grandi botteghe esecutrici si erano infatti estinte ed era crollato il mercato di questo tipo di prodotti. La sopravvivenza dell’arte degli smalti dipinti Limoges era stata tuttavia fortunatamente garantita grazie al fatto che alcune ricette si erano conservate e riuscirono ad essere tramandate. Nel 1765 Jean Baptiste Nouailher, uno degli ultimi discendenti di questa importante dinastia di smaltatori, lasciò le antiche ricette in suo possesso al figlio, chiamato anch’egli Jean Baptiste, pittore e smaltatore, che nel 1804 le affidò a François Alluad. Questi a sua volta consegnò le ricette all’ amico archivista Maurice Ardant (1793-1867), che nel 1855 le pubblica all’interno del libro Emailleurs et Emaillerie. Complice il fenomeno del revival, sviluppatosi in Francia subito a ridosso dell’uscita nel 1831 del popolare Notre Dame de Paris di Victor Hugo, così come il movimento romantico e scrittori quali Prosper Mérimée e Honorè de Balzac, che pongono l’attenzione sulla corte dei Valois del XVI secolo, venendo a trattarne anche la produzione artistica, gli smalti dipinti Limoges tornano di gran moda. Tra il 1830 e il 1840 nessun collezionista reputa completata una raccolta se non ci sono oggetti realizzati con tale tecnica. Ma la mania di possedere smalti dipinti coinvolge ben presto anche i Musei e le pubbliche raccolte. Data la grande richiesta, gli originali non bastano più. Durante il regno di Luigi Filippo (18301848), in Francia, presso la manifattura Reale di porcellana a Sèvres, si effettuano i primi esperimenti per la produzione di smalti dipinti su rame secondo le antiche tecniche. Nascono e si sviluppano laboratori in grado di riprodurre gli antichi esemplari. Per esempio la celebre maison Samson, fondata nel 1845 da Edme Samson (1810-1891), inizialmente per la produzione di porcellana dipinta e dall’ultimo quarto del XIX secolo anche di smalti limosini del Medioevo e del Rinascimento. È in questo laboratorio che viene realizzata la straordinaria copia del grande retablo di Léonard Limosin poco fa ricordato, pervenuta grazie al generoso gesto di un donatore al Museo Diocesano Francesco Gonzaga di Mantova, l’istituzione dove è conservata una raccolta di grande importanza di esemplari in smalto dipinto Limoges, da placchette ad altaroli, da coppe a cofanetti e piatti. Paola Venturelli

Cielo d’oro, luce di Dio Come si raffigura la luce? In pittura, ad esempio, la luce è essenziale: ma come esprimere con le “cose” (tela, pennelli, colori…) una realtà immateriale? Le difficoltà sembrano poi insormontabili, quando con la luce si vogliono esprimere realtà ancor meno afferrabili, perché relative non al mondo fisico ma a quello spirituale. Eppure, proprio la luce è parsa sempre il simbolo più adatto a manifestare Dio, la sua grazia, la sua invisibile presenza. Come fare? Un tempo gli artisti hanno risolto il problema, presentando le figure sacre su uno sfondo d’oro: l’oro, prezioso, affascinante per i suoi riflessi, poteva esprimere bene il mondo ultraterreno. E si usava oro vero, fissato nelle tessere dei mosaici, o steso in foglia sulle tavole lignee. Quando poi si è passati a dipingere su tela, un po’ per le difficoltà tecniche (applicarvi foglie d’oro è quasi impossibile) e un po’ per ragioni di costo, l’oro vero è stato sostituito dal suo colore, il giallo. La pasta colorata non ha la preziosità e la lucentezza del metallo; ma in compenso offre una più vasta gamma di possibilità espressive, perché può essere stesa in una grande varietà di toni, dal più pallido al più intenso. E i pittori ne hanno saputo profittare: ne dà un magnifico esempio la seicentesca Annunciazione di Marc’Antonio Donzelli, ora al Museo diocesano. La scena è quella nota, narrata nel primo capitolo del vangelo secondo Luca: Dio manda l’angelo Gabriele ad annunciare a Maria che è stata scelta come madre del Redentore. Sono molti gli artisti ad averla raffigurata, come si vede anche in altre opere del Museo; in questa, la Vergine si inchina umilmente all’improvvisa irruzione nel suo mondo terreno dell’angelo, raffigurato quasi soltanto con tonalità di giallo, su uno sfondo uniforme dello stesso colore. Così si capisce immediatamente che egli è della stessa natura di quel Cielo da dove proviene. La luce, la luce spirituale: si poteva esprimere meglio? Roberto Brunelli

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Marc’Antonio Donzelli, Annunciazione (Mantova, Museo Diocesano)

Maison Samson. Placche in smalto policromo. XIX sec., ultimo quarto (Mantova, Museo Diocesano), particolare

È impossibile sottrarsi al potere di attrazione esercitato dagli smalti dipinti Limoges e dalle loro superfici specchiate e rilucenti. Variante dell’antichissima arte dello smalto – un’arte già attestata presso i Fenici e gli Egiziani, ottenuta da paste vitree variamente colorate applicate su un supporto metallico (oro, argento, rame) sottoposto poi a cottura – fiorisce alla fine del XV secolo, a Limoges, in Francia, una città


Foto Giovanni Fortunati

Riflessi & Riflessioni “In queste righe cerco di cancellare il tempo: c’è soltanto luce, la luce di cui sono fatte le riflessioni che sto appuntando con rapidità” (Roberto Cotroneo, Otranto)

La luce col suo porsi, in concreto come in astratto, dà e suggerisce indicazioni per pensare, progettare, rendere comprensibile, persuasivo oppure astratto tutto ciò che incontra. Nel cinema la luce scopre, interpreta, progetta, costruisce i percorsi, le allusioni, stimola e mette insieme piani narrativi opposti, il vero, la finzione, il verosimile, ovvero il cinema, innestando, narrazioni e atipiche riflessioni e trasfigurazioni. È segnale immateriale e luogo della mente, sa piacere, convincere, imporre ed essere al tempo stesso valore estetico e linguaggio. Raccoglie attorno a sé storie d’immagini, d’illuminazioni e contrasti, di chiarori e bagliori, di splendori e ombre, di chiaroscuri e sfumati, ampliando il nostro itinerario visivo, educando il nostro sguardo. La luce insieme all’ombra indica in modo deciso il passaggio, la presenza, l’occupazione attiva di un luogo, di un ambiente. La luce rivela frequentemente cambiamenti d’umore, passa in modo repentino dalla solarità più schietta ad un’ombrosità marcata. Scrivere con la luce è un sogno, sicuramente intrigante, un gioco di spontaneità e sapienza tecnica che consiste – per dirla con Pasolini – nello “scrivere quella lingua che la realtà si limita a parlare”. La luce appartiene a tutti quelli che hanno una storia da raccontare. Imparando a guardare attraverso la luce cinematografica ci si svelano le meraviglie e le declinazioni della stessa, s’inizia ad apprezzare l’occhio esperto dell’autore della fotografia che la “addomestica”, la “guida” e ne sfrutta a pieno l’energia e la magia. La luce nel cinema sa fare breccia nel nostro immaginario, permettendo di metterci, filtrati dall’impiego della macchina da presa, in un suggestivo riposo dello sguardo o in un ansioso incalzare narrativo che coinvolge la nostra mente. Il cinema porta dentro di sé questo “valore terapeutico”: è notoriamente “la materia di cui sono fatti i sogni”. Bello è allora accomodarsi dentro queste sensazioni, dopo essere stati toccati durante la nostra giornata, come a volte avviene, da aspetti meno lusinghieri di realtà e di quotidiano. Ercole Visconti

C’era un Volta... nel carteggio Gli archivi sono dei pozzi di San Patrizio che Volta nella quale lo scienziato parla di recenti non finiscono mai di riservare sorprese. Recenti scoperte, come il “microscopio notturno di ricognizioni documentarie effettuate all’Archi- Adams”, di cui si era procurato un esemplare. vio di Stato di Mantova, nell’ambito di lavori Ma più in particolare Volta entra nel merito di informatizzazione, hanno portato alla luce delle teorie del chimico francese Antoine Launa lettera autografa di Alessandro Volta finora voisier sulla combustione, che avrebbe supesconosciuta (e l’unica conservata presso l’Istituto finora nota). Alessandro Volta (1745-1827), fisico e inventore, conosciuto soprattutto per la pila elettrica, fu sempre appassionato dallo studio dell’elettricità. Professore di fisica sperimentale presso il Liceo Ginnasio Statale Scuola Reale di Como e poi professore di fisica sperimentale e di filosofia presso l’Università di Pavia, egli intrattenne relazioni epistolari con molti studiosi e scienziati dell’epoca. Tra questi figura Gaspare Federigo, “Professore di medicina forense e chimica per i chirurghi” dell’Università di Padova. A lui è Archivio di Stato di Mantova (autorizzazione n. 07/2011) indirizzata la lettera di Alessandro

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rato la “teoria del flogisto”, elaborata nel corso del Seicento con l’intento di spiegare i processi di ossidazione e di combustione. Volta dimostra di essere ben informato sul dibattito internazionale in merito a tali teorie, messo in atto soprattutto da parte del chimico inglese Richard Lubbock, che rivendicava parte delle nuove scoperte, intorno agli anni 1784-1790 (lasso di tempo entro il quale è collocabile il nostro documento, privo di data). La lettera (conservata nella cosiddetta busta “Dono Carreri”), fu donata all’Archivio nel 1878, insieme ad altre 4 indirizzate allo stesso Gaspare Federigo, dal mantovano Cesare Carreri – padre dello storico locale Ferruccio Carreri – il quale le aveva avute a sua volta da Giacomo Locatelli, un medico milanese originario di Canneto sull’Oglio morto nel 1836. Daniela Ferrari


Foto Giorgio Bergomi

Un’illuminazione e un abbaglio Il cinematografo dei fratelli Lumière “Il cinema è la musica della luce” (Abel Gance) Se la preistoria del cinema è nel segno della lanterna magica, non vi è dubbio che la sua storia comincia con Louis e Auguste Lumière – precisamente quando, a partire dal 28 dicembre del 1895, vennero proiettate in una sala parigina alcune delle loro realizzazioni. “L’uscita dalle officine Lumiére a Lione”, “L’arrivo di un treno alla stazione” o “L’arrivo dei fotografi al congresso di Lione” sono le più famose; come si deduce dai titoli, si tratta di pellicole legate all’attualità, dunque dal forte tratto documentaristico e in buona parte autoreferenziali. Grande fu il successo di pubblico: il realismo della rappresentazione solleticava la curiosità degli spettatori, la naturalezza delle situazioni già viste o potenzialmente visibili nel quotidiano suscitava meraviglia ed entusiasmo. Era sì nato lo spettacolo cinematografico, ma non ancora il cinema come arte; per quello occorre attendere le opere di Georges Méliès, che dal 1897 cominciò a dare impulso all’illusionismo scenico e ai trucchi ottici, insomma al cinema di finzione, alla narrazione per immagini cinetiche. Resta comunque davvero singolare che il passaggio dalla fotografia (o scrittura della luce) al cinematografo (che vi aggiunge la percezione del movimento) sia stato marcato soprattutto da chi aveva nel nome il presagio. Ancor più che ciò sia avvenuto in Francia, patria dell’Illuminismo, e a Parigi, la cosiddetta Ville Lu-

mière. Tutte queste luci hanno forse abbagliato i due fratelli lionesi; essi, che pure avevano avuto una grande e illuminante idea commerciale, ebbero infatti la scarsa lungimiranza di affermare che la loro era un’invenzione senza futuro. Evidentemente, e a dispetto del cognome che portavano, lo stesso buio che consente l’ottima proiezione filmica era Claudio Fraccari sceso sulla loro coscienza.

Scrivere con un clic

“Fotografare”, cioè “scrivere con la luce”. Fu un elegante battesimo per quella modalità di riproduzione della realtà che un foglio chimicamente sensibile ci rivela alla luce rossa di una camera oscura. In realtà, oggi la dilagata tecnica digitale ha reso questo termine un po' superato e “decò”, ma teniamocelo, almeno fino a che una mitragliata di megapixel non lo annienti del tutto. La luce è la prima cosa che vediamo e il termine più istintivo per evocare vita e colori. Per chi si posiziona dietro l'oculare o il display di una macchina fotografica, la luce è un gagliardo cavallo da imbrigliare, una scacchiera su cui giocare, spesso un enigma da affrontare. Calda, azzurra, radente, monodirezionale, diffusa – sono solo alcuni dei caratteri delle fonti luminose, che impongono al fotografo di adattare a questo elemento le tecniche adeguate, con una messa in opera del cervello che nessun automatismo dell'apparecchio potrà mai sostituire pienamente. Al cospetto di un soggetto fotografico, la luce può diventare l'esile pennello di un profilo oppure una morbida e sfumata carezza su un volto. Un paesaggio in pieno sole concederà puntualmente dettagli e cromatismi oppure, all'imbrunire, le ombre e le zone di nera nullità doneranno mistero e angoscia, fascino e interrogativi. Grazie alla luce e alla non-luce. L'alleato del fotografo sarà sempre da questi ringraziato e rispettato. Gianni Cossu E quando la luce non sarà sufficiente – sorriso: FLASH! Un bravo fotografo riesce a trasformare la luce in elemento espressivo determinante. Ecco il grande risultato di tale padronanza nella recente opera di Nicola Malaguti Hands and feet, esposta fino a poche settimane fa nella galleria La Feltrinelli. Partendo dal proposito di divulgare la lodevole attività del reparto di neonatologia per immaturi dell'ospedale di Mantova, l'Autore trasmette con pieno risultato il commovente bisogno di aiuto di questi minuscoli cuccioli di uomo e l'istintivo, docile, caldo abbraccio del mondo dei grandi. Una salvezza chiamata, una salvezza subito tentata con ogni mezzo. Ecco allora una luce adatta a queste mani e a questi piedi. Il dramma non cede alla tenerezza: questi bimbi devono essere subito aiutati a vivere e non c'è spazio per i fronzoli e un inutile zucchero. Situazione tesa, luce contrastata, con pochi grigi. Luce con il bianco e il nero dell’urgenza da affrontare a capofitto per una piccola, esile vita in angosciosa attesa. E bisogno anche di amore. Mani e piedi alla luce efficace di un racconto buono e concreto. Un lavoro bellissimo, un'opera dal simbolismo geniale e generoso. La fotografia può parlare solo agli occhi. Questa ti entra nell'anima. (g.c.)

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Il Duomo illuminato

Milano. Alle 7 di sera dell’8 dicembre scorso, nella più 'allucinante' festa delle luci organizzata dal Comune, fra signorine fatte di “led” colorati che ondeggiavano sul corso Matteotti e un cuore luminoso che cadeva sulla testa di una passante in Galleria, 68 lampade a basso impatto ambientale hanno illuminato le antiche e celebri vetrate del Duomo. Pioveva. La città era un unico ombrello che per la gran ressa dovuta al giorno di festa si muoveva lento, implacabile, enorme, come un bruco stordito. Per l’occasione, era stato disposto che la piazza del Duomo fosse illuminata soltanto dalle candele alle finestre dei palazzi. Molte finestre non avevano aderito all’invito. Piantato di fianco alla Cattedrale su un cumulo di scatole invitanti a un regalo di lusso, l’arrogante albero di Natale di Tiffany se ne infischiava del solenne momento. E mentre si levava la voce di Pamela Villoresi che intonava “Vergine Madre, figlia del tuo figlio”, sorpresi alla sprovvista, e ignari di quello che stava accadendo, molti ombrelli erano sgusciati via borbottando… o mamma mia! Intanto, luci dal basso incominciavano a scaldare il marmo rosa del Duomo e altrettanti lumi accendevano le colorate vetrate, che già nel medioevo una dopo l’altra sorgevano sotto gli occhi dei milanesi che partecipavano alle spese, comprese le meretrici e i ladri, versando i loro oboli nei grandi orci sulla piazza antistante. Milano continuava a camminare senza troppo badare al suo Duomo. Ma il suo Duomo non era mai apparso tanto meraviglioso, commovente e poetico. Quella sera, da qualche suo paradiso, il francescano Grossatesta, reggente dell’Università di Oxford e nel 1235 vescovo di Lincoln, che aveva meditato sui Padri della Chiesa – che spesso confondevano Dio con la luce, e la luce con Dio –, deve aver osservato con grande soddisfazione il miracolo di Milano, che per prima aveva innalzato una Cattedrale nel tentativo di raggiungere il cielo e catturarne la luce. Edgarda Ferri

La Lux nova di Suger A pochi chilometri a nord di Parigi, sulla strada che porta a Beauvais, sorge l’antica abbazia benedettina di Saint-Denis, dedicata al santo che si credeva fosse stato amico di san Paolo, filosofo e primo vescovo della città. Nella biblioteca dell’abbazia era conservato il manoscritto greco che Michele il Barbo aveva donato al re Ludovico il Pio nell’827 e che conteneva le opere del filosofo Dionigi. In esse Dio era paragonato a un fuoco e Dio si legava alle sue creature per mezzo di un raggio di luce. Anzi la creazione del mondo era intesa come una sorgente luminosa che si propaga in una catena gerarchica. Ci si avvicina a Dio, come lui si avvicina a noi, attraverso la luce e il calore. Così Suger (1081-1151), quando decide di ricostruire la basilica dell’abbazia di Saint-Denis,

dopo aver letto le traduzioni e i commenti alla filosofia di Dionigi, decide di utilizzare la luce, i colori, la chiarezza dell’oro per creare un luogo ove Dio e il suo popolo si incontrano più solennemente: la chiesa. Cerca le trasparenze e ai muri romanici privilegia le nervature che possono sostituire il vetro al muro. Il coro, che si affaccia sul presbiterio tra le colonne, è inondato di luce al mattino e simboleggia Cristo stesso, la luce della salvezza. Le vetrate al posto dei muri, l’oro e le pietre preziose al posto del marmo sull’altare rendono l’edificio

un luogo ove trionfa la luce del giorno, e di notte la luce delle candele e delle lampade si irradia, attraverso i vetri colorati, sulla città e la benedice. Suger utilizza elementi antichi per creare con smalti a tecnica cloisonée vasi, calici, acquamanili che la storia ha depositato ora al Louvre e alla Bibliotèque Nationale de France. Dalle sue parole (“perfundit lux nova”, luce nuova si diffonde, “claret opus nobile”, un’impresa nobile rifulge) capiamo la reazione che i grandi di Francia ebbero alla consacrazione della nuova basilica (1144) e come da allora si pensò ad una cappella Santa, tutta luce e colori, la Sainte Chapelle. Essa ricorda che nell'arte sacra il “fiat lux” (luce sia) è il segno che Dio è con noi. Franco Negri

Foto Giuseppe Tripodo

Foto Claudio Compagni

Miracolo a Milano

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Sufficit unum in tenebris Gli astri come emblemi araldici La luce incarna simboli e significati pregnanti nel contesto araldico ed emblematico. In uno stemma la rappresentazione di una lucerna o di una lanterna simboleggia “il seguir che si dee del lume della ragione”. Allo stesso modo il sole e la luce che esso emana sono simbolo di grazia, sapienza, magnificenza, fede, al pari della luna e delle stelle; la prima segno di amicizia e benignità, le seconde di buon augurio, splendore, nobiltà d’animo. Anche il fuoco esprime nella fiamma ardente una metafora che si richiama alla generosità, all’ardimento, soprattutto all’amore. Il confine tra luce-simbolo e luce-metafora è però molto

spesso indefinibile, perché essa è costantemente messa in rapporto con l’oscurità. Isabella d’Este, straordinaria figura della storia gonzaghesca, creò un emblema ove la luce incarna il senso profondo della luminosità che si espande nella notte più buia: una saitta, il candelabro a 15 fiamme del Venerdì Santo, che nel momento topico della morte di Cristo vede una sola fiamma accesa, legato al motto sufficit unum in tenebris (nelle tenebre basta una luce). Ma è nell’emblematica che mag giormente si esprime il simbolismo della luce, attraverso una proposizione di elementi e di motti che a ciò rinviano; basterà citare l’impresa gonzaghesca del Sole di Ludovico II o di Ferdinando, quest’ultima accompagnata dal motto non mutuata luce (non per luce riflessa), o, ancora, l’emblema dell’eliotropio (girasole), che insegue ovunque la luce solare o della perla tra le onde con il sole che la illumina con il motto Tu splendorem tu vigorem (tu splendore, tu forza). La luce dunque è associata nel contesto em-

Luce come rinascita C’è un paradosso dinamico di morte e vita in tutti i misteri associati agli opposti termini di notte e giorno, buio e luce, sotto e sopra. In effetti i vari rituali di iniziazione agli antichi culti misterici sono spesso collegati all’associazione notte-morte e giorno-vita. L’iniziazione ad Iside (dea dell’antico Egitto) descritta in un solo testo, la Metamorfosi di Apuleio, ci illumina sull’esperienza misterica: “Mi accostai alla frontiera della morte, posi piede sulla soglia di Persefone, viaggiai attraverso tutti gli elementi e ritornai, vidi il sole a mezzanotte, scintillante di bianca luce, mi avvicinai agli dèi del mondo superno e infero, e li adorai da molto vicino”. Questo accadeva di notte; il mattino seguente l’iniziato veniva presentato ad una folla in ammirazione, posizionato sul podio al centro del tempio, impugnando una torcia e indossando una veste avvolta dodici volte e una corona che imitava i raggi del sole, in onore della dea Iside, raffigurata con un manto azzurro, cosparso di stelle, una falce di luna ai piedi, la corona, mentre allatta Horus. La “purificazione” dell’iniziato avviene ad opera degli “elementi” acqua, aria e

fuoco. La purificazione con aria è realizzata dal liknon, che in pratica “purga” il grano dalla loppa. Per la purificazione col fuoco vengono usate le torce, e la luce scintillante di mezzanotte potrebbe equivalere al grande fuoco del focolare eleusino (dai culti misterici celebrati nella città di Eleusi in Grecia) nella notte dei misteri. I misteri di Iside debbono essere accolti “nella forma di una morte volontaria e di una salvezza ad opera della grazia” (parole sempre di Apuleio). Il giorno seguente la notte dell’iniziazione è considerato come un nuovo compleanno; Iside ha il potere di mutare il destino e di concedere una nuova vita. La promessa della dea doveva trasformarsi in esperienza attraverso l’iniziazione, in una forma o nell’altra. Iside viene ricordata in alcune imprese come maga: nel viaggio notturno del Sole nel cielo sotterraneo, alla settima ora la barca in cui egli naviga, dovendo passare fra rischi e pericoli, è trainata da Iside e, insieme con lei, in coppia salvifica, dal dio “Magia” Heka. Viene così identificata con la dea “Occidente” (Imentet) che personifica il deserto occidentale – quello in cui

blematico ed araldico ai corpi celesti, e tra questi maggiormente al sole, con i motti: Adversos lumine caecat; Tu autem permanes; Maior ab adversis; Oculi mei semper ad Dominum, ecc. (con la luce acceca gli avversari; ma tu resisti; più forte dalle avversità; i miei occhi sempre verso il Signore). Non sarà qui da trascurare il simbolismo della luce – pur riflessa – delle stelle, espresso e impresso su una moneta gonzaghesca sulla quale figura il motto Adiunctus splendor (splendore aggiunto). Anche se la metafora che ci pare più dolce, inneggiante alla suggestione della dimensione antelucana, è quella legata a una medaglia di Ippolita Gonzaga, nella quale è rappresentata l’Aurora, sorella del Sole e della Luna, che percorre il firmamento sopra un carro tenendo una fiaccola (luce che rischiara) con una mano, e con l’altra spargendo rose sulla terra. L’immagine, esplicativa del divenire nella luce, è associata al motto Virtutis formaeque praevia (precorritrice di virtù e di bellezza). Giancarlo Malacarne

si seppelliscono i morti poiché là tramonta il sole, destinato a sorgere in perpetuo e modello della resurrezione auspicata per i defunti. Se ne sottolinea inoltre la vocazione ad aiutare i mortali nelle difficoltà della vita come ha salvato Horus, e poi a riscattarli dalla morte in una sopravvivenza oltremondana. Come ha recuperato alla resurrezione il marito Osiride. Stefania Viapiana ISIDE Ad Iside vengono conferiti dagli antichi sapienti della civiltà egizia più titoli: Ankhet (produttrice e dispensatrice di vita) / Anqet (colei che abbraccia la terra, produttrice di fertilità nelle acque) Base del più bel triangolo / Comprensiva / Consacrata / Cornucopia di tutti i nostri beni / Creatrice Datrice di luce del cielo / Datrice di vita/ Dea della pace/ Divina / Grande signora / Grande vergine Khut – la dispensatrice di luce / Madre degli dei / Madre divina / Mediatrix tra il celestiale e il terreno Phronesis – personificazione della sapienza / Placidae Reginae – la Regina della pace Potere che guarisce il mondo / Potere che sorge dal Nilo / Primo principio femminile in natura Regina del cielo / Regina del sole / Regina della terra / Risurrezione e vita Salvatrice dell’umanità / Signora su un carro a forma di fuoco/ Sophia- Iside come sapienza divina Sovrana del mondo/ Sposa di Dio / Usert-Iside dea della terra, dispensatrice di vita (s.v.)

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Curato da Associazione Culturale

Ca’ Gioiosa • Via Trieste, 44

• Mantova

CALENDARIO EVENTI

CA’ GIOIOSA

febbraio

gioiosa entra nelle case 25 febbraio 2011 / Anno II Copia omaggio supplemento straordinario a La Cittadella Editrice Ca’ Gioiosa-Mantova Fotolito e stampa: Publi Paolini

Responsabile redazionale Claudio Fraccari Coordinamento artistico Raffaello Repossi Coordinamento editoriale Mara Pasetti Redazione Valeria Borini Claudio Compagni Giovanni Fortunati Claudio Fraccari Carla Guerra Nicoletta Marastoni Laura Pasetti Mara Pasetti Raffaello Repossi Giada Salvarani Giuseppe Tripodo Nicola Zanella Testi di Gianni Bergamaschi Roberto Brunelli Gianni Cossu Daniela Ferrari Edgarda Ferri Claudio Fraccari Giancarlo Malacarne Franco Negri Mara Pasetti Raffaello Repossi Paola Venturelli Stefania Viapiana Ercole Visconti Fotografie di Giorgio Bergomi Claudio Compagni Giovanni Fortunati Pier Luigi Gibelli Nicola Malaguti Mara Pasetti Giuseppe Tripodo

Ca’ Gioiosa allarga i propri confini e porta la cultura mantovana a Milano. E il capoluogo lombardo ricambia con importanti collaborazioni: prestigiose firme che compaiono in questo numero di Ca’rte e altre previste anche in futuro. Il dialogo con i nostri “vicini”, cui ci legano tradizioni e storia, amplifica il respiro delle proposte culturali e ci stimola ad intraprendere nuovi progetti. A partire da quelli socialmente utili. Ci hanno invitato a parlare d’arte nel carcere di San Vittore, per leggere Ca’rte e far conoscere la cultura e gli artisti mantovani. Lo spunto iniziale l’ha fornito una mostra importante allestita (splendidamente, dal curatore Claudio Cerritelli: vi consiglio davvero una visita!) alla Casa del Mantegna fino al 25 aprile. Si intitola ARTE A MANTOVA 2000-2010 persistenze verifiche e nuove presenze e vi sono proposte opere di 96 artisti mantovani. Un’esposizione di quadri, installazioni, sculture, video e fotografie, voluta dalla Provincia di Mantova, che non ha nulla da invidiare ai più blasonati appuntamenti di arte contemporanea italiana e straniera. Ai più attenti lettori non sarà sfuggito che Ca’rte quest’anno ha cambiato tematiche e dallo studio dei supporti alla creatività passa ora a quello di parole che appartengono a un linguaggio universale, archetipi dell’uomo che, ci auguriamo, vogliate indagare con noi nei loro numerosi significati. A partire dalla Luce che rischiara la Terra che guarda alla sua Luna che influenza l’Acqua. Mara Pasetti

Febbraio-giugno Associ-arti “1861-2011 Ricordi, immagini e suoni di una storia nazionale” Ciclo di appuntamenti culturali in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia

Venerdì 1° aprile ore 20,00 Mantova, Casa Pasetti via Calvi 51 “Rodin” Presentazione a cura di Mara Pasetti

Giovedì 3 marzo ore 20,00 Cerese, Hotel Cristallo Giovedì Grasso con cena ispirata alla mostra milanese su Arcimboldo Artista straordinario e stravagante alla corte del re alchimista, Rodolfo II di Praga

Giovedì 14 aprile ore 20,00 Mantova, Casa Pasetti via Calvi 51 Mara Pasetti racconta il libro di E.Descohdt J-C.Lattès (Barbera editore) “Vita segreta di Pico” Chi ha avvelenato Pico della Mirandola, il più grande umanista del ’400, amico del re di Francia? Botticelli? E perché è stato assassinato? Perché era a conoscenza di qualche segreto?

Domenica 6 marzo ore 11.00 Bagnolo S. Vito Fashion District Mantova Outlet “Sette artisti, cinque Ca’rte, due mostre” Dal 6/3 al 27/3 orari 10-20 tutti i giorni INGRESSO LIBERO

L’associazione Ca’Gioiosa è a disposizione degli eventuali aventi diritto per le fonti non individuate. Scriveteci i vostri commenti e visitate il nostro sito per conoscere l’elenco delle edicole che distribuiscono Ca’rte.

Info: – via Trieste 44 Mantova, il venerdì 17-19,30 tel. 0376 224150 – Via Calvi 51 Mantova, il martedì 10-12 tel. 0376 222583 - 3395836540

cagioiosa@libero.it • www.cagioiosa.too.it

con il patrocinio

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Sportello Sportello di di Promozione Sociale

ASSOCIAZIONE PER I MONUMENTI DOMENICANI

C’è uno spazio a Mantova al primo piano di Via Tassoni 12 ancora poco conosciuto, ma attivo già da tempo: si chiama Sportello di Promozione Sociale. Noi volontari operativi (di Anteas Fnp Cisl, Auser Giuseppina Rippa, Avo, Ca’ Gioiosa, Spi Cgil, Unione ciechi e ipovedenti) accogliamo qui i cittadini desiderosi di informazioni su bandi e agevolazioni, per aiutarli a districarsi tra norme burocratiche che spesso, specie per gli stranieri, risultano difficili se non addirittura incomprensibili. Nostra cura è aggiornarci, per raccogliere e stilare elenchi di opportunità che Stato, Comune e Regione emanano continuamente. Questo materiale prezioso viene poi raccolto periodicamente in un Bollettino a cura dello Sportello, del Comune di Mantova e del CSVM e distribuito a chiunque ne faccia richiesta. Lo puoi trovare anche negli ambulatori medici, nelle Parrocchie e nei luoghi segnalati sul sito web dello Sportello http://sportellodipromozionesociale.comune.mantova.it. Ricorda: c’è uno spazio dove sarai sempre accolto con un sorriso per darti informazioni e indirizzarti al meglio. Daniela, Gabriele, Giorgio, Luca, Luciano, Mara, Mario, Pier Paolo, Pompeo. Per ulteriori informazioni ci si può rivolgere direttamente allo Sportello di Promozione Sociale in via Tassoni 12 a Mantova. L’ufficio è aperto dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 12, telefono: 347/6728025, email sportellodipromozionesociale@domino.comune.mantova.it. E c’è anche il sito gestito dai volontari con tutte le informazioni preventive circa il servizio: http://sportellodipromozionesociale.comune.mantova.it.

Informazioni dal Bollettino n. 7/2010 VOUCHER DI CONCILIAZIONE; ESENZIONE PAGAMENTO CANONE RAI; FONDO DI CREDITO PER I NUOVI NATI; SOCIAL CARD;

RIDUZIONE ABBONAMENTO TELECOM; ALTRE AGEVOLAZIONI TELECOM; ESENZIONE TICKET: NUOVE CATEGORIE; CONTRIBUTO PER APPARECCHI ORTODONTICI;

Ca’ Gioiosa ringrazia per la sensibilità che sempre dimostrano a sostegno delle sue iniziative il Comune di Mantova, la Provincia di Mantova, Levoni spa, Banca Intesa San Paolo, Cleca S. Martino, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Pavimantova snc, Cantine Virgili, Gustus, Valle dei Fiori

DICHIARAZIONE SOSTITUTIVA ISEE; ELENCO CENTRI ASSISTENZA FISCALE (CAAF) DI MANTOVA.

L’Associazione per i monumenti domenicani ha sede in Mantova, via Frattini, 9 nella quattrocentesca Casa Andreasi, conservata in memoria di Osanna Andreasi (1449-1505), mistica domenicana e rampolla di una nobile famiglia mantovana. L’Associazione è nata nel 1993 per affiancare e sostenere la Fraternita domenicana nella divulgazione della tradizione domenicana e nella tutela e valorizzazione dei monumenti ad essa affidati: la Rotonda di San Lorenzo e Casa Andreasi. Le attività sono rivolte principalmente al campo filosofico e artistico: corsi di arte, storia delle religioni, filosofia, conferenze, presentazioni di libri, concerti. Vengono proposte anche attività aggregative e ricreative, quali escursioni culturali, viaggi, convivi. tel e fax 0376/ 322297-347/9940932 - 333/9208885 casandreasi@virgilio.it sitoweb: www.casandreasi.it

Questa pagina ospita sempre lo Sportello di Promozione Sociale e le associazioni di volontariato e promozione sociale mantovane


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