Africa 05 2015

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AFRICA N. 5 SETTEMBRE-OTTOBRE 2015 - ANNO 94

RIVISTA BIMESTRALE

WWW.AFRICARIVISTA.IT

MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Congo

Il miele dei Pigmei Etiopia

Chiese rupestri Kenya

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

Mozart nello slum

GLI ULTIMI RE D’AFRICA


La vita può andare in tante direzioni. La via di accesso al mondo è immediatamente oltre la porta di casa. SWISS collega comodamente più di 100 destinazioni in tutto il mondo, 6 delle quali in Africa. Per i suoi viaggi si conceda il servizio di qualità e la proverbiale ospitalità svizzera. In tutta comodità via Zurigo!

II africa · numero 5 · 2015


Sommario COPERTINA 40

«Vostra Altezza, sorrida»

ATTUALITÀ

AFRICA FRICA

MISSIONE • CULTURA

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Panorama

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Sud Sudan. La guerra infinita

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L’inferno dei migranti

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Profondo Ciad

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LO SCATT O

Reti salvavita

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Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE

SOCIETÀ

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

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L’accademia dei numeri uno

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Kenya. Beethoven nello slum

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Mali. Il lampione smart

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Rosso Togo

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Camerun. Un’amica un po’ pesante

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«L’Etiopia è casa nostra»

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RD Congo. Una dolce raccolta

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Tribù metropolitane

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CULTURA «Salviamo le chiese di Lalibela»

segreteria@africarivista.it

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CULTURA Spazio alla poesia

FOTO

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SPORT La nuova regina di Kampala

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VIAGGI Nel blu dipinto di blu

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CULTURA Vi mostro la mia Nigeria

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MISSIONE Museo satanico

Marco Trovato RESPONSABILE NEWS SITO

Enrico Casale PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Claudia Brambilla EDITORE

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi BLOG

www.buongiornoafrica.it di Raffaele Masto PUBBLICITÀ

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Karl Blanchet/Luna/VISUM Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand STAMPA

Jona - Paderno Dugnano, Milano Periodico bimestrale - Anno 94 settembre-ottobre 2015, n° 5 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48

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SEDE

Viale Merisio, 17 C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 Africa Rivista @africarivista www.africarivista.it info@africarivista.it UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

INVETRINA 78

Eventi

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Web

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Viaggi

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Libri

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Musica e Film

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Posta

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In omaggio ai nuovi abbonati di

AFRICA FRICA

MISSIONE • CULTURA

e a chi regala un abbonamento AFRICA N.1 GENNAIO-FEBBRAIO 2015 - ANNO 93

RIVISTA BIMESTRALE

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

ESPLORAZIONI

Viaggio sul fiume Congo COSTA D’AVORIO

La rinascita del cacao

AFRICA + LIBRO A SOLI 32 EURO

NAMIBIA

NEL REGNO DEGLI HIMBA

(45 CHF, SVIZZERA)

EMI 2015 143 pagine � 12,00

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L'Africa che non ti aspetti. Storie di coraggio, inventiva e successo narrate dal giornalista e antropologo Eyoum Nganguè. Un libro che sembra una favola ma è il racconto di un continente prodigioso info@africarivista.it

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La collera dei poveri La torrida estate che ci lasciamo alle spalle sarà ricordata Ci fu chi credette di scorgere, in quella paventata – oltre che per la crisi economica della Grecia – sopratesplosione di ira collettiva, una sorta di imminente tutto per le reazioni scomposte suscitate in Europa assalto al Palazzo d’Inverno su scala globale. E se quella collera stesse invece esplodendo adesso, sotto dall’ondata migratoria dall'Africa. La televisione e internet ci hanno mostrato situazioni che faremo fatica forma di migrazioni di massa? “Adesso” per noi a dimenticare: i bivacchi alla i bivacchi alla Centrale dell’Europa, ché la frontiera Messico-Usa, per citare di Milano, gli scogli di Ventimiglia, le feroci rivolte solo quella, assiste da anni a flussi più spettacolari anti-profughi a Treviso e Roma... Immagini e notizie dei nostri. Ma il nostro “adesso” è certamente appeche hanno alimentato emozioni contrapposte, indignana l’inizio. Di uno scenario da un milione di “profuzioni e razzismi: a livello mediatico, popolare, politico. ghi ambientali” dall’Africa parlava la grande stampa Molto è stato detto, e pare difficile aggiungere contrialmeno dieci anni fa; uno studioso come Paul Collier buti originali. Ci limitiamo, avendo oggi stima essere pronto all’esodo la nostra rivista l’Africa nel Dna (ma “È dell’inferno dei poveri il 40 per cento degli abitanti dei Paesi poveri. Dovremmo solo rinnon la pretesa di conoscere le soluche è fatto graziare che le avanguardie della zioni), a fare una constatazione. rivoluzione in atto siano così silenCi torna alla mente quell’espressioil paradiso dei ricchi” ziose e gentili, così poco “collerine, vecchia di quasi cinquant’anni, che”, pronte a morire loro, in uno di un papa che non aveva lo stile di Victor Hugo quello attuale, ma che suona non dei cento modi possibili lungo la meno incisiva: la «collera dei poveri». Era il 1967 e traversata, piuttosto che a far violenza. l’Occidente era sull’onda lunga del boom economico I nodi di secolari politiche di «inequità» (schiaviquando Paolo VI venne a provocare le coscienze delle smo, colonialismo, neoliberismo, corruzione… fino nuove generazioni di consumatori: «Il superfluo dei all’odierno land grabbing), quando non belliche, Paesi ricchi deve servire ai Paesi poveri. La regola che vengono ora al pettine delle migrazioni. Davvero valeva un tempo in favore dei più vicini deve essere qualcuno può credere che altri muri o nuove complicanze burocratiche potranno fermare l’assalto al applicata oggi alla totalità dei bisognosi del mondo. I cielo di chi fugge da «tanta “miseria immeritata”» ricchi saranno del resto i primi ad esserne avvantaggiati. Diversamente, ostinandosi nella loro avarizia, (ancora Paolo VI nella Populorum progressio)? non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri, con conseguenze imprevedibili». Pier Maria Mazzola RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 30 € · formato digitale (pdf) 20 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 40 Chf · rivista cartacea (Estero) 45 € · rivista Cartacea+digitale (Italia): 40 € · rivista Cartacea+digitale (Svizzera): 50 Chf · rivista Cartacea+digitale (Estero) 55 €

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T 08899 53640 000000 001315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

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Muhammad VI Il Re del Marocco si è schierato contro i fondamentalisti islamici e ha fondato scuole di formazione di imam aperti al dialogo interreligioso

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a cura di Enrico Casale NEWSNEWS

KENYA, GUERRA ALL’ALCOL Il governo keniano ha dichiarato guerra all’alcol prodotto illegalmente. Gli alcolici artigianali sono una piaga per il Paese: nei primi sei mesi del 2015, 60 keniani sono morti dopo aver ingerito questo tipo di liquori. Molti altri hanno perso la vista.

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vorio votare per le presidenziali (le legislative si terranno in dicembre). SUDAN, CRISTIANE NEL MIRINO Ancora notizie di cristiani perseguitati in Africa. Le autorità sudanesi hanno arrestato a Khartum 10 studentesse all'uscita di una chiesa con l'accusa di

Hassan Sheikh Mohamud Il Presidente somalo, nonostante il sostegno della comunità internazionale non è riuscito a indebolire il movimento al-Shabaab, che controlla ancora gran parte della Somalia

A NOVEMBRE IL PAPA IN AFRICA Dal 27 al 29 novembre, papa Francesco visiterà Uganda e Repubblica Centrafricana. Il Pontefice potrebbe fare una sosta anche in Kenya, ma la meta non è ancora confermata. L’ultima volta in cui un papa è stato in Africa fu nel 2011, quando Benedetto XVI si recò in Benin (nel 2009 era stato in Camerun e Angola).

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MOZAMBICO, OMOSESSUALITÀ DEPENALIZZATA Da fine giugno l’omosessualità in Mozambico non è più illegale, mentre resta un tabù in molti Paesi africani. In Eritrea, Mauritania, Nigeria settentrionale, Somalia e Sudan è punita con la pena capitale. In Tanzania e Uganda con l’ergastolo. Il Sudafrica è l’unico Stato a permettere le unioni omosessuali.

AUTUNNO ALLE URNE Sarà un autunno elettorale in Africa. I primi ad andare alle urne saranno gli elettori del Centrafrica: il 4 ottobre voteranno un referendum per dare o meno il via libera alla nuova Costituzione; il 18 ottobre torneranno ai seggi per le elezioni legislative e presidenziali. L’11 ottobre si voterà in Guinea (presidenziali) e Burkina Faso (presidenziali e legislative). Il 25 ottobre sarà la volta delle amministrative nella Repubblica democratica del Congo. Il 25 novembre toccherà alla Costa d’A-

“abbigliamento indecente” per aver indossato gonne e pantaloni. È quanto ha denunciato Amnesty international, chiedendo il loro immediato rilascio. Si tratta di studentesse cristiane di età compresa tra i 17 e i 23 anni provenienti dalle Montagne di Nuba. Se condannate, rischiano quaranta frustate, come previsto dall'articolo 152 del codice penale del 1991, di cui Amnesty International ha chiesto più volte l'abolizione. ALLEVARE LUMACHE IN KENYA Rosemary, figlia del premier keniano Raila Odinga, si è lanciata nell’allevamento di lumache, il primo di questo tipo in Kenya. «Ho scelto di allevarle – ha spiegato – perché sono un alimento ricco di proteine e a basso


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contenuto di colesterolo. Adatto per le persone con ipertensione e per i cardiopatici». Praticamente sconosciute come alimento in Africa orientale, in quella occidentale sono considerate una prelibatezza. NIGERIANA LA CALCIATRICE DELL’ANNO Asisat Oshoala, attaccante della squadra femminile del Liverpool e della nazionale nigeriana, è stata eletta dalla Bbc “Women’s Footballer of the Year”. Il riconoscimento

premia la determinazione con la quale Oshoala ha perseguito il suo sogno di diventare calciatrice fino a scontrarsi con la volontà dei genitori, che non volevano per lei una carriera nel football.

400.000 I lavoratori del settore turistico tunisino duramente colpito dal terrorismo

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LA FRASE

Siccome il presidente Barack Obama sostiene il matrimonio omosessuale ed è un bell’uomo, se necessario, sono pronto a recarmi a Washington, a inginocchiarmi davanti a lui e a chiedergli la mano.

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Robert Mugabe, 91 anni, presidente dello Zimbabwe, noto avversario dei gay, in risposta alle aperture Usa sui matrimoni omosessuali MAROCCO, PARTE LA SFIDA DELLA FIBRA

In Africa, la rivoluzione della fibra ottica parte dal Marocco. Il gigante giapponese Furukawa Electric, specializzato nella produzione di cavi, investirà 7,2 milioni di euro per la costruzione di uno stabilimento a Tangeri. TURCHIA, PARTNER DELL’AFRICA Aumenta la presenza politica e commerciale della Turchia in Africa. Secondo il sito African Business, Ankara ora dispone di 36 ambasciate in tutto

il continente e gli scambi bilaterali con l’Africa subsahariana sono aumentati di dieci volte da inizio secolo (oggi ammontano a 7,5 miliardi di euro). L’Africa rappresenta il 19% del volume d’affari internazionale della Turchia, che esporta nel continente ferro, acciaio, macchinari e veicoli. GLI SPORT PREFERITI DAGLI AFRICANI Sono cinque gli sport preferiti dagli africani, secondo Africa Ranking, sito di statistiche sul continente. Il primo è il calcio, popolare soprattutto in Nigeria, Camerun, Senegal, Marocco, Tunisia e Algeria. Il secondo è il cricket, diffuso in Botswana, Namibia, Uganda, Sudafrica, Tanzania, Zambia e Zimbabwe. Il terzo è il rugby, che ha

la sua punta di diamante nel Sudafrica. Il quarto è il podismo, dove eccellono Camerun, Etiopia, Eritrea, Kenya e Sudafrica. Infine la boxe, popolare in Camerun, Nigeria, Sudafrica e Tanzania. UE FINANZIA ANTITERRORISMO

Prenderà il via alla fine del 2015, e si protrarrà per almeno un anno, l’addestramento al controterrorismo finanziato dall’Unione europea e rivolto a militari e poliziotti dell’Africa orientale. Il programma, che costerà all’Ue 11 milioni di euro, mira a rafforzare la capacità di intervento delle forze dell’ordine di Kenya, Etiopia, Gibuti, Uganda: zone particolarmente colpite dal fondamentalismo jihadista, legato soprattutto al gruppo somalo al-Shabaab. africa · numero 5 · 2015 5

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ATTUALITÀ di Enzo Nucci

La guerra infinita del Sud Sudan Una colonna di blindati dell’Onu sfila accanto ai profughi in fuga dalle zone di guerra. La comunità internazionale non è ancora riuscita ad arrestare la spirale di violenza in Sud Sudan. Il cessate il fuoco concordato di recente è già stato infranto dagli opposti schieramenti


REPORTAGE DA UN PAESE MESSO IN GINOCCHIO DAL FEROCE SCONTRO TRA DINKA E NUER

Migliaia di persone massacrate, due milioni e mezzo di sfollati, lo spettro della carestia e del colera. La più giovane nazione d’Africa è dilaniata da una spietata lotta di potere a sfondo etnico che la comunità internazionale non riesce ad arrestare Oggi è festa grande a Bor, capitale dello Stato federale di Jonglei, nella Repubblica del Sud Sudan, 220 chilometri a nord-est di Juba, sede del governo centrale. Migliaia di persone di etnia dinka sono confluite in una grande spianata per assistere agli incontri di lotta libera, vera passione nazionale che accomuna uomini, donne e bambini senza distinzioni di età. Si affrontano le squadre di due diversi clan: gli allevatori di bestiame del posto contro i pescatori del Lake State. Gli atleti sono vere e proprie star famose e rispettate: fanno il verso ai loro colleghi statunitensi del wrestling imitandone i comportamenti eccentrici e l’abbigliamento stravagante. Qui, però, (dove non ci sono soldi in ballo ma solo onore e orgoglio) i combattimenti sono puliti, genuini, senza odore di combine, anche perché i fans sono i primi garanti della regolarità con il loro tifo indiavolato: è addirittura necessario il continuo intervento della polizia a colpi di bastone per contenere l’entusiasmo e consentire lo svolgimento dei match. Cortei, danze, canti, componimenti poetici per esaltare la forza e l’a-

bilità dei loro beniamini: ragazze scatenate si esibiscono in coreografie proprio come le cheerleaders negli stadi statunitensi. Milioni di analfabeti A poche centinaia di metri dalla spianata, i bambini tornano a scuola dopo oltre un anno di chiusura forzata. In tutto il Sud Sudan sono 400.000 i ragazzi che non hanno più frequentato le lezioni dallo scoppio della guerra civile che dilania il Paese dal 15 dicembre 2013. Il 70% dei 1.200 edifici scolastici disseminati nelle principali zone di conflitto sono stati distrutti o trasformati in caserme militari. La sospensione dell’insegnamento ha aggravato le condizioni di un sistema già debole che garantiva l’istruzione primaria soltanto al 42% dei bambini in età scolare, con una percentuale del completamento degli studi di appena il 10%. Oggi ci sono un milione e 700.000 ragazzini che devono rientrare nel sistema educativo di una nazione tra le meno alfabetizzate del mondo. Una intera generazione rischia ancora una volta di perdere la possibilità di migliorare il proprio africa · numero 5 · 2015 7



L’AFRICA... A PORTATA DI MANO Richiedi la chiavetta USB con l’archivio di ▶ 7 anni di letture in formato pdf dal 2008 al 2014

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A AFRIC ANNO 94 2015 -

AGOSTO

LION. 4 LUG

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VIVERE

NEN IL CONTI

i fuggiaschi

Kenya

La città de a Sudafric

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Stregoneri

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ATTUALITÀ di Sylvie Desrosiers

L’inferno dei migranti

LE ROTTE E LE INSIDIE DI CHI FUGGE DA GUERRE E MISERIA ATTRAVERSO LE SABBIE DEL DESERTO

12 africa · numero 5 · 2015 Afp Photo / Dominique Faget


Se la primavera e l’estate sono le stagioni degli sbarchi e dei naufragi nel Mediterraneo, l’autunno e l’inverno sono i periodi in cui i migranti percorrono le piste sahariane. Sfidando la sete e i predoni

Tunisia LAMPEDUSA MALTA Tripoli Bengasi

Ceuta Melilla

El Cairo

Dakhla Agadez Bamako

Khartum Gibuti

Lagos Yaoundé

Mogadiscio

«Ottantasette persone sono morte nel nord del Niger mentre cercavano di attraversare il Sahara. Le vittime – sette uomini, 32 donne e 48 tra bambini e ragazzi – si aggiungono ai 35 migranti trovati morti di sete nel deserto due giorni prima. Secondo le ricostruzioni, il gruppo era diretto in Algeria quando il camion che le stava portando si è rotto durante il viaggio. I migranti a quel punto hanno cercato o di continuare a piedi verso nord o di ripercorrere la strada fatta, verso il Niger. In ventuno sono sopravvissuti e hanno raggiunto Arlit o Tamanrasset, nel sud dell’Algeria, da dove sono stati rimpatriati». È una scarna notizia diffusa dalle agenzie di stampa, l’ennesimo dispaccio di morte che aggiorna ogni giorno il bilancio delle vittime del Sahara. Da settembre a marzo, quando le temperature lo consentono, un flusso inarrestabile di migranti africani – in fuga da guerre, dittatori o miseria – attraversa dune di sabbia e pietraie roventi per raggiungere le coste del Mediterraneo. Decine di migliaia di persone percorrono le antiche piste carovaniere – usate un tempo dai Tuareg per trasportare

◀ La sosta di un camion stracarico di merci e migranti nei pressi di Madama, nel nord del Niger, non lontano dal confine libico. Lungo questa direttrice si muovono anche le armi che riforniscono le milizie jihadiste nella regione

sale, oro e schiavi – su cui viaggiano anche droga e armi. La principale rotta migratoria attraversa il Niger e passa dalla città di Agadez, snodo cruciale di ogni traffico, per poi proseguire verso Sebha (Libia) o Tamanrasset (Algeria). A quest’ultimo approdo sono diretti anche i migranti dell’Africa occidentale che transitano per il Mali, facendo tappa a Gao e Kidal. Più a est, i flussi migratori del Corno d’Africa si snodano tra le oasi che punteggiano il deserto sudanese, egiziano e libico. C’è poi, all’estremo opposto, la dorsale occidentale che, attraverso Mauritania e Sahara Occidentale, conduce alle Canarie o alle enclave spagnole di Ceuta e Melilla. Ogni via è piena di insidie. Basta un guasto meccanico o uno sbaglio nell’orientamento per perdersi nelle sabbie del Sahara e agonizzare sotto il sole. L’osservatorio Fortress Europe stima che almeno 1.800 persone siano morte così dal 1996. E chi è scampato a una fine tanto orribile ha dovuto fare i conti con il pericolo di finire nelle mani di miliziani jihadisti, bande di predoni, poliziotti corrotti o criminali mafiosi che controllano i traffici di esseri umani. Secondo l’ultimo rapporto della rete Global Initiative, solo il 15 per cento dei migranti subsahariani raggiunge il mare. Alcuni di loro cercano lavoro in Nord Africa, la gran parte tenta di imbarcarsi per rifarsi una vita in Europa. Li attende il Mediterraneo: un ostacolo non meno insidioso. africa · numero 5 · 2015 13


ATTUALITÀ testo di Raffaele Masto - foto di Alessandro Gandolfi/Parallelozero

Profondo Ciad

VIAGGIO NELLA NAZIONE-CERNIERA FRA IL MONDO ARABO MUSULMANO E L’AFRICA NERA

La pista che conduce alla località di Sarh, nel sud del Paese. Durante la stagione delle piogge diventa impraticabile 14 africa · numero 2 · 2015



LO SCATT O

testo di Patrick Hlobo - foto di William Daniels/Panos/Luz

RETI SALVAVITA Affollamento a un deposito di zanzariere nella città di Kano, nel nord della Nigeria. Le donne si accalcano per paura di restare senza le preziose reti impregnate di insetticida, distribuite gratis dalle autorità locali nell’ambito di una campagna di prevenzione contro la malaria. Presente in gran parte dell’Africa, la malaria colpisce 200 milioni di persone l’anno e ne uccide seicentomila. Ogni giorno 1.300 bambini africani muoiono a causa di questa malattia infettiva causata da un parassita chiamato Plasmodio, trasmesso dalla puntura della zanzara anofele infetta. Sconfiggere la malaria entro il 2050 è l’obiettivo che si sono date l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unicef. Ma la battaglia, con le attuali terapie, è dura da vincere. Il parassita sta sviluppando resistenza alle medicine. E malgrado ripetuti annunci trionfalistici, la strada per un vaccino efficace è ancora lunga. Il governo nigeriano consiglia la popolazione a rischio di proteggersi dalle punture. In Kenya la distribuzione massiccia dei veli antizanzare ha permesso di ridurre la mortalità infantile del 36% in soli cinque anni. Ma c’è chi ancora usa le zanzariere in maniera impropria: come reti da pesca, setacci per la farina... persino veli nuziali.


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SOCIETĂ€ testo di Marco Trovato - foto di Marco Garofalo

L’accademia dei numeri uno


VISITA ALL’AFRICAN REPORTAGE DALLE MALFAMATE LEADERSHIP ACADEMY, (E SORPRENDENTI) DOVE SI FORMANO BARACCOPOLI IDI FUTURI LEADER NAIROBI, FABBRICHE DEL CONTINENTE DI CREATIVITÀ AFRICANO

A Johannesburg c’è una scuola di eccellenza che raduna i giovani più brillanti dell’Africa. I suoi allievi – selezionati solo in base alle capacità – possono contare su una formazione invidiabile. Perché hanno il compito di scrivere il futuro Laetitia viene dal Kenya, Omar dall’Egitto, Fernando dall’Angola, Ali dal Burkina Faso. In comune hanno l’età giovanissima, lo sguardo sveglio, i modi spigliati e… una spiccata propensione alla leadership. Nel loro Dna ci sono i geni di chi è destinato al comando. Un giorno forse saranno dirigenti di grandi aziende, manager pubblici, illustri scienziati, stimati professionisti, ministri o presidenti di qualche nazione africana. Solo i migliori Per il momento sono allievi dell’African Leadership Academy, la scuola riservata ai più brillanti giovani del continente: un’istituzione prestigiosa, unica nel suo genere, fondata nel 2008 da quattro imprenditori-filantropi (due sudafricani, uno ghanese, uno camerunese) con l’obiettivo di individuare, promuovere e met-

◀ La sala da pranzo dove gli studenti si ritrovano tre volte al giorno. Al soffitto sono appese le bandiere delle quarantacinque nazioni africane con almeno un rappresentante nell’accademia In sei anni sono stati “scremati” 19.000 giovani africani. Solo il 3% dei candidati ce l’ha fatta a entrare alla scuola

tere assieme le migliori menti in circolazione dal Cairo a Città del Capo. In questa accademia entrano solo coloro che dimostrano di avere la stoffa per diventare i futuri “numeri uno” dell’Africa. «In sei anni di attività abbiamo analizzato diciannovemila candidature: appena il 3 per cento è riuscito ad accedere alla scuola», fanno sapere gli addetti alla selezione. I nominativi dei giovani vengono segnalati da docenti, enti culturali, semplici cittadini, talent scout disseminati in ogni angolo del continente. La valutazione, poi, viene effettuata attraverso colloqui e questionari finalizzati a far emergere motivazioni e potenzialità degli aspiranti allievi. Requisiti fondamentali per essere selezionati? «Test di ammissione quasi perfetti, spiccata personalità, tenacia, duttilità e, fattore fondamentale, mostrare di aver sete di successo». Ricchi e poveri Ogni anno vengono scelti cento nuovi allievi, cinquanta ragazze e cinquanta ragazzi tra i 15 e i 19 anni: adolescenti apparentemente normali, ma dotati di capacità straordinarie. Per conoscere queafrica · numero 5 · 2015 21



la Raphaelle Nemo, che cura la comunicazione della scuola. «In questo biennio gli aspiranti leader studiano matematica, economia, storia e filosofia. Perfezionano la conoscenza dell’inglese. Imparano a lavorare in team. Sviluppano il senso critico. Analizzano le sfide della modernità, cercano soluzioni ai problemi che riguardano milioni di persone, elaborano progetti per migliorare la qualità della vita». Trampolino di lancio Alla fine del biennio, i diplomati sono preparati per conquistare un posto

da protagonisti nel mondo. Le competenze apprese permetteranno loro di accedere alle università più prestigiose, frequentare i migliori master di specializzazione, entrare in un istituto di eccellenza o farsi apprezzare dal management di qualche multinazionale. Ma dopo aver fatto esperienza a Harvard o a Cambridge, e magari dopo aver concluso uno stage alla Microsoft o a Google, i giovani futuri leader dovranno tornare in Africa e mostrare quanto valgono nei Paesi di origine. «Chi si forma all’African Leadership Academy

s’impegna formalmente a usare il proprio talento per promuovere lo sviluppo economico, sociale e culturale del continente», chiarisce Thuli Nkosi, che ci accompagna a visitare la scuola. «Non si tratta certo di un contratto vincolante, ma è un impegno morale che viene assunto dalla maggior parte dei nostri allievi». Il 65 per cento dei diplomati dell’accademia ha già avviato la propria carriera in Africa: nel mondo imprenditoriale, politico, culturale, scientifico, dei servizi o del non profit. «Qualunque sia l’ambito lavorativo in cui si deci-

de di operare, l’importante è cercare sempre di fare la differenza», dice Timotenda, diciottenne dello Zimbabwe che studia da ingegnere elettronico. «L’Africa è un continente pieno di risorse, ma anche di problemi ereditati dal passato: corruzione, instabilità, guerre, emergenze sanitarie, diseguaglianze sociali, sfruttamento… Siamo un miliardo di persone, in gran parte giovani. Toccherà alla nuova generazione di leader africani costruire un futuro diverso, di pace e prosperità». Lui – stiamone pur certi – farà la sua parte. africa · numero 5 · 2015 23


SOCIETÀ di Sergio Ramazzotti/Parallelozero

Beethoven nello slum

UNA SCUOLA DI MUSICA DIFFONDE NOTE DI SPERANZA IN UNA SQUALLIDA BARACCOPOLI DI NAIROBI

24 africa · numero 2 · 2015


L’orchestra Ghetto Classics, creata da un’intraprendente donna keniana, offre un futuro di speranza a decine di giovani che vivono nell’inferno di lamiere di Korogocho. Tra violenza, droga e disperazione

La musica, scrisse Claude Lévi-Strauss, è «una macchina per sopprimere il tempo». A Korogocho, una delle più vaste baraccopoli di Nairobi (fra i 200 e i 300.000 abitanti), da qualche tempo la musica serve a sopprimere anche lo spazio, a far dimenticare lo squallore e la violenza, a curare le ferite dell’animo e in alcuni casi ad aprire una porta a un futuro che, per chi è nato ai margini dell’enorme discarica a cielo aperto che è il simbolo dello slum, non era mai stato possibile nemmeno sognare. Prima del 2008, nessuno a Korogocho aveva mai sentito suonare un brano di Bach o di Beethoven. Fu quello l’anno in cui una giovane keniota di nome Elizabeth Njoroge decise di fondare una scuola di musica classica per bambini e adolescenti nel cuore della baraccopoli, proprio accanto alla discarica. Sorse quasi per gioco: alcuni flauti di plastica, uno spazio messo a disposizione nell’oratorio dalla parrocchia St. John, un manipolo di volontari disposti a sudare per insegnare a leggere uno spartito a un gruppo di mocciosi ingestibili. Successo inaspettato «Non so nemmeno io perché ho messo su tutto questo», ammette Elizabeth.

◀ Lezioni di musica a Korogocho. Ogni pomeriggio un gruppo di volontari insegna a leggere spartiti e suonare strumenti a ragazzini che provengono da famiglie povere e spesso violente

In effetti non è neppure una vera musicista. Dopo la laurea in biochimica in Canada, ha lavorato in un ospedale in Scozia e in una farmacia a Londra, benché la passione per la musica l’avesse portata a cantare nei cori della Scottish National Orchestra e della London Symphony Orchestra. Di ritorno in Kenya, capì di non voler passare il resto della vita in un laboratorio chimico. Il caso la portò a Korogocho, un prete della St. John buttò lì che sarebbe stato bello se i bambini avessero avuto l’opportunità di imparare uno strumento, il tempo fece il resto. «La scuola mi è esplosa fra le mani e oggi non posso più abbandonarla – dice Elizabeth –. E non ci penserei nemmeno, perché mi dà soddisfazioni enormi». Negli anni, alcuni dei suoi allievi sono scomparsi, «qualcuno temporaneamente, qualcuno per sempre», altri sono approdati a un luogo di cui non sospettavano nemmeno l’esistenza – il conservatorio di Nairobi – e hanno davanti a sé un futuro da musicisti. Anche per quelli con meno talento la musica è l’unica opportunità di sopprimere il tempo e lo spazio nei quali, nell’inferno di Korogocho, spesso per un bambino è troppo doloroso vivere: molti dei giovani con cui ho parlato alla scuola mi hanno raccontato di un passato terrificante come affiliati alle gang. A dodici anni c’era chi aveva già partecipato a parecchi assalti notturni a scopo di africa · numero 5 · 2015 25



ti al moderno palazzo di vetro che ospita gli uffici della Safaricom, ho visto Lameck: rintanato in un angolo dove nessuno potesse vederlo, prima di entrare per le prove sputava sulle sue ciabatte e sfregava con furore a mani nude, tentando di ripulirle dal fango di Korogocho. «Ho creato qualcosa di molto complicato da gestire – mi ha detto quel giorno Elizabeth –. Non si tratta semplicemente di insegnare musica; spesso mi trovo a tentare di ricostruire delle vite che sono state fatte a pezzi. Per molti di questi bambini sono una confidente, una psicologa, a volte una madre». Gioia pura Tutte le volte che ero andato alla St. John nei pome-

riggi di lezione, ero stato investito dalla stessa, tremenda cacofonia che risuona in ogni scuola di musica del mondo. Eppure, in quel luogo dove, ovunque lasci vagare il tuo sguardo, prima o poi sei costretto a posarlo sull’osceno spettacolo della gigantesca discarica a cielo aperto da cui si levano sempiterne colonne di fumo maleodorante e stormi di grossi uccellacci dal volo sgraziato, neri come diavoli, quel clangore di archi, fiati e ottoni sembrava assumere una qualità diversa: nel fare da colonna sonora a tanto squallore, sprigionava una certa misteriosa armonia che in qualche modo aveva il potere di esorcizzarlo. Poi, una domenica, ho sentito le prove dell’orchestra

La Fabbrica del Dialogo con il

e, mentre ascoltavo Bach, la discarica sullo sfondo è scomparsa del tutto. Non so se Celine diventerà una concertista, o Lameck un neurochirurgo, o Brian un maestro. So però che quel pomeriggio, mentre volavano sugli accordi della musica che essi stessi creavano, ho visto i loro occhi brillare di una gioia pura e intatta, come sempre dovrebbe risplendere negli occhi di un adolescente ma che nei loro non avevo ancora scorto. Mentre mi raccontava dei suoi sogni, Brian mi aveva confessato: «Per me suonare è un modo per sentirmi più vicino a Dio». Una frase forse già detta da molti, ma da nessuno cresciuto tanto vicino all’inferno.

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l’inno nazionale alla presenza del presidente della repubblica. «Per chi viene da Korogocho, essere in quell’orchestra è come andare sulla luna, una conquista incredibile – spiega Elizabeth –. Purtroppo è anche un motivo di cruccio: trovarsi lì, al fianco di coetanei tutti di estrazione sociale decisamente superiore, li rende terribilmente consapevoli della loro condizione. Si rendono conto di essere vestiti male, con le camicie strappate e le scarpe sfondate. Vedono che gli altri storcono il naso perché sentono sulla loro pelle l’odore dello slum. Non c’è niente da fare, chi vive a Korogocho si porta addosso la puzza della discarica». Un sabato mattina, davan-

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SOCIETÀ testo di Sebastien Rieussec - foto di Habibou Kouyaté/Afp

Il lampione smart che porta la luce UN ARCHITETTO ITALIANO HA TROVATO IL MODO DI ILLUMINARE DECINE DI VILLAGGI DEL MALI

30 africa · numero 2 · 2015



▲ Matteo Ferroni, l’inventore del lampione solare. Architetto, nato a Perugia nel 1973, ha portato la luce nel Mali rurale coniugando tecnologia e sostenibilità. «Invece di collocare 40 lampioni in ognuno dei ventimila villaggi del Paese, il mio progetto prevede l’installazione di soli 4 lampioncini mobili per villaggio: per risparmiare e limitare l’inquinamento luminoso basta spostare la luce dove serve e quando serve»

portanti lunghe tre metri recuperando i telai di vecchie biciclette. Aboubacar Dagnon, allevatore di galline, ora sa come trasformare delle lattine di alluminio in efficaci portalampade. «Fino ad oggi sono stati distribuiti 150 lampioni in venticinque villaggi: abitazioni, botteghe, scuole, moschee, cortili e ospedali rurali – commenta soddisfatto Ferroni –. La luce comunitaria ha permesso di illuminare i servizi sanitari di emergenza, le attività lavorative, i culti religiosi e la vivace vita sociale notturna». In Mali l’illuminazione pubblica raggiunge solo le grandi città e l’80 per cento dei 16 milioni di abitanti vive nel buio. Anche chi ha la fortuna di essere collegato alla rete elettri-

PHILIPS INVESTE IN AFRICA

La Philips ha sviluppato una nuova linea di luci Led associate a pannelli fotovoltaici per illuminare le parti dell’Africa non ancora collegate alla rete elettrica. La sede di Nairobi del colosso olandese dell’illuminazione ha sviluppato la linea “in Africa-for Africa” per il lavoro o lo studio dopo il tramonto in modo 100% ecosostenibile. Il sistema prevede due lampadari e una porta Usb per ricaricare dispositivi mobili. Le due luci Led garantiscono 40 ore di illuminazione con un valore di luminosità di 150 lumen, 10 volte più alto delle comuni lampade a cherosene. In base alle condizioni meteorologiche e all’attività da svolgere è possibile scegliere fra tre intensità di luminosità per gestire al meglio l’energia rinnovabile accumulata. Il prezzo di un kit è di circa 98 dollari.

ca deve fare i conti con un cronico deficit energetico che provoca frequenti black-out. La società energetica pubblica Edm-Sa è in crisi di liquidità e non

dispone di risorse sufficienti per far fronte agli investimenti richiesti. Ai contadini del Mali non resta che… affidarsi alla luce dei lampioni solari.

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32 africa · numero 5 · 2015

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SOCIETÀ di Valentina Milani

Rosso Togo La nuova salsa Tomatogo, prodotta da centinaia di donne, vuole contrastare l’invasione dei prodotti d’importazione, soprattutto italiani, che minano la produzione di pomodori locali In Africa occidentale un tempo si producevano pomodori in quantità sufficiente a riempire scaffali e bancarelle di ogni grande città. Poi, a cominciare dagli anni Novanta del secolo scorso, i mercati locali sono stati invasi da concentrati e salse provenienti dall’Italia che costavano pochissimo, grazie ai sussidi elargiti dall’Unione Europea. In breve tempo, il valore dei pomodori africani è precipitato e i contadini hanno abbandonato i campi, preferendo colture più remunerative. La crisi del pomodoro si è fatta sentire soprattutto in Togo e Benin, dove non c’erano industrie di trasformazione che smerciassero i prodotti lavorati. Ma anche in Ghana, con fabbriche mal gestite o non competitive. «Oggi questa nazione importa 50.000 tonnellate di pomodoro concentrato all’anno», riferisce l’inchiesta The Dark Side of Italian Tomato, realizzata da Mathilde Auvillain e Stefano Liberti. Secondo l’ong Oxfam, l’Unione Europea sovvenziona la pro-

duzione di pomodoro per circa 34,5 euro a tonnellata. I massicci «contributi all'esportazione» abbattono i prezzi al consumo e di fatto impediscono la competizione dei produttori africani. Il fenomeno è noto agli economisti con la parola dumping, ma c’è chi parla apertamente di “concorrenza sleale”. Salsa nazionale Per contrastare questa pratica i governi dovrebbero adottare delle politiche protezioniste, a difesa delle produzioni agricole nazionali. Ma, si sa, i Paesi africani hanno ben pochi margini di intervento contro i colossi econo-

mici. L’unica alternativa percorribile è quella di sviluppare in loco l’industria del pomodoro per avviare la produzione di salse e concentrati a prezzi concorrenziali. È ciò che sta avvenendo in Togo attraverso il progetto di cooperazione dal basso Jeunes Filles pour l’Agro (nato dalla collaborazione tra Movimento per la Lotta contro la Fame nel Mondo, Fondazione Milano Expo e Punto Sud). Il progetto mira a promuovere in Togo la commercializzazione del pomodoro lavorato e favorire al tempo stesso l’inserimento nella filiera agroalimentare di centinaia di donne non

scolarizzate. Protagoniste della rinascita delle tomates togolaises sono proprio le donne che, frequentando appositi corsi di formazione, imparano a gestire il lavoro in ogni sua parte, dalla produzione al marketing. È già stato creato un marchio, “Tomatogo”, per rafforzare l’identità nazionale della nuova salsa e certificare la qualità e l'etica del prodotto. La scommessa? Riconquistare il mercato locale per tornare a dare valore ai pomodori locali e creare migliaia di posti di lavoro.

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SOCIETÀ testo di Stefano Rotta - foto di Marco Gualazzini

«L’Etiopia è casa nostra» PARLANO GLI ITALIANI CHE HANNO DECISO DI VIVERE AD ADDIS ABEBA

La stilista


Nella capitale etiopica vivono 1645 nostri connazionali. In queste pagine ve ne presentiamo alcuni. Hanno storie famigliari diverse, fanno lavori diversi, affrontano problemi diversi. Ma hanno in comune la volontà di non tornare in Italia

La stilista Debora De Vita è nata ad Addis Abeba nel 1978, da padre italiano e madre etiope. Appassionata di moda, ha perfezionato i suoi studi a Bologna e a Roma. In Italia ha lavorato per Gai Mattiolo, Dolce & Gabbana. «Sì, ma non

La ristoratrice

La regista

riuscivo più a stare lontano da casa, dall’Africa». Nel 2004, a 26 anni, è tornata in Etiopia. Adesso produce nel suo atelier capi finissimi in numero limitato: cotone fatto a mano e fiocchi di raso, ma anche borse in pelle con gioielli etiopi. La ristoratrice Tiziana Castelli è nata e cresciuta ad Addis Abeba. È pronipote di Giuseppe Pellizza da Volpedo, autore della celebre tela Il Quarto Stato. Il quadro compare all’entrata del suo ristorante, nel cuore della città, assieme a una galleria di foto che immortalano Tiziana con Bono, Brad Pitt, Jimmy Carter, Ban Ki Moon, Bill Clinton e Oscar Luigi Scalfaro. È stato il padre, immigrato dal Piemonte nel 1957, ad aprire il locale: all’inizio era un trattoria rustica. Adesso ci vengono diplomatici, giornalisti e turisti. La regista Dal Vesuvio all’altopiano etiope. Ilaria Simeone, napoletana, è una filmmaker. Da poco è uscito Macchiato, un documentario sugli italiani in Etiopia. La pellicola, spiega lei, «vuole portare alla luce uno spaccato della società etiope moderna, mostrare quanto questa, nella vita quotidiana, sia permeata di italianità».

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L'importatore

Il commerciante

L’importatore Adalberto Frezza viene al mondo nel 1950 ad Asmara, Eritrea. Suo padre ha aperto un negozio ad Addis Abeba. Lui si è allargato: prima una catena di supermercati, poi una ditta di import-export. «Forniamo i grandi alberghi, ma anche la ditta Salini (al momento impegnata in Etiopia per la costruzione di un’enorme diga nella valle dell’Omo, ndr)». La gente adora i prodotti made in Italy: Colussi, Ferrero, Parmalat, Buitoni, Barilla… Il commerciante Tommaso Mini è un venditore di ricambi per auto. Suo nonno Marino, antifascista, venne mandato al confino dal regime. In Africa. Il padre Francesco, calciatore, incontrò sua madre, figlia di un emigrante irlandese, allo stadio. Lui,

IL PESO DELLA STORIA

Dietro le vicende umane degli italiani in Etiopia c’è una storia che pesa come un macigno: il colonialismo, l’occupazione fascista, la repressione e le stragi compiute dai nostri militari (l’esercito italiano in Etiopia vanta un triste primato: l’impiego illecito dei gas all’iprite, a partire dagli anni Venti, contro la popolazione civile). Ecco le tappe fondamentali di questa drammatica (e poco conosciuta) pagina della nostra storia. 1870 La società di navigazione genovese Rubattino acquista la baia di Assab, Eritrea, primo avamposto italiano in Africa dopo l’apertura del canale di Suez. Due anni dopo viene rivenduta al governo di Roma: è l’avvio dell’avventura coloniale. 1885 Le truppe italiane occupano la città portuale di Massaua. 1887 A Dogali, in Eritrea, 500 soldati italiani vengono massacrati dagli abissini. 1889 Firma del trattato di amicizia tra l’Italia e l’imperatore d’Etiopia Menelik: poco dopo sarà carta straccia. 1895-96 L’esercito italiano, nel tentativo di consolidare l’occupazione, subisce pesanti sconfitte dai soldati di Menelik: sull’Amba Alagi, a Makallé e Adua (qui muoiono 4.000 italiani e 2.500 ascari; i morti abissini sono 9.000). 1896 Trattato di pace di Addis Abeba: l’Italia riconosce l’indipendenza dell’Etiopia. Per quarant’anni i governi italiani abbandonano l’avventura coloniale. 1934 Incidente di Ual-Ual, al confine tra Etiopia e Somalia italiana: scontri fra truppe di Addis Abeba e soldati somali al servizio di Roma. Per Mussolini (che vuole vendicarsi delle sconfitte italiane per mano di Menelik) è la scusa per aggredire l’Etiopia. 1935 Inizia l’invasione fascista dell’Etiopia. Un anno dopo, le truppe italiane entrano in Addis Abeba. 1940 L’Italia entra in guerra a fianco della Germania. Pochi mesi dopo, gli inglesi conquistano i territori della colonia italiana. 1947 A Parigi si firmano i trattati di pace tra i vincitori e i vinti della della seconda guerra mondiale. L’Italia rinuncia alle sue colonie. L’Etiopia diventa indipendente. 38 africa · numero 5 · 2015



SOCIETÀ testo di Alberto Salza - foto di Daniel Lainé (Cosmos/Luz)

«Vostra Altezza, sorrida»

GLI ULTIMI

MONARCHI D’AFRICA, Il re di Bechem nella regione di Brong Ahafo, in Ghana.

RITRATTI DI UN’EPOCA SCOMPARSA

Karl Blanchet/Luna/Visum


Per quattro anni un fotografo francese ha viaggiato da una parte all’altra del continente africano per immortalare i più potenti sovrani e svelarne i segreti. Prima che sparissero per sempre

Mondo (quasi) perduto Alla fine del lavoro, però, Lainé può sicuramente considerarsi soddisfatto, avendo immortalato con la sua vecchia reflex una settantina di sovrani, le cui famiglie hanno segnato la storia del continente africano fino alla metà del XX secolo. Sono passati più di vent’anni dal reportage fotografico realizzato (con pellicola Kodachrome 64 Asa in forma-

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Per ben quattro anni, tra il 1988 e il 1991, il reporter francese Daniel Lainé ha viaggiato da un angolo all’altro dell’Africa per fotografare gli ultimi re d’Africa. Si è inoltrato nei villaggi più sperduti di Camerun, Nigeria, Ghana, Costa d’Avorio, Benin, Zaire (l’odierna Repubblica democratica del Congo) e Sudafrica per fare conoscenza dei monarchi tradizionali che ancora mantengono un ruolo prestigioso di autorità e di guida spirituale sui propri sudditi. Nello splendido volume Rois d’Afrique, pubblicato nel 1991 dall’editore francese Arthaud, l’autore ha svelato le difficoltà incontrate per ottenere i permessi a realizzare i ritratti dei sovrani, gli interminabili negoziati imbastiti coi dignitari di corte, le complicazioni e gli imprevisti capitati durante la realizzazione del lavoro. La guerra civile in Sudan, per esempio, ha impedito a Lainé di fotografare il re degli Shilluk, un discendente di dinastie nere che governarono l’antico Egitto. Altri, fra cui il re dello Swaziland, hanno rifiutato di farsi fotografare.

ancora oggi quei ritratti regali sono un’eccezionale testimonianza storica, preziosi documenti per studiosi e appassionati d’Africa, icone di un’epoca che ancora resiste ma che rapidamente sta scomparendo, spazzata via dalla globalizzazione, dalla modernità e dall’egemonia dei politici al potere (che, pur senza indossare corone e impugnare scettri, spesso governano da monarchi assoluti). Il moltiplicarsi delle corone Nell’Africa nera si è sempre governato con l’autorità, mai col potere. Un anziano vi dice cosa fare e voi sentite il dovere di obbedirgli. L’anziano ha l’autorevolezza per dare

Le mappe moderne non mostrano più i regni tradizionali. Ma sovrani e sudditi sanno perfettamente dove corrono quei confini invisibili

to 120) nelle corti reali dell’Africa; molti dei monarchi incontrati da Lainé sono morti, alcuni hanno dovuto abdicare, altri hanno mantenuto lo scettro e regnano tuttora sui loro popoli, malgrado gli acciacchi dell’età e a dispetto della modernità che minaccia di spazzare via i miti ancestrali. Molte delle informazioni raccolte dal fotografo relative alla biografia dei vari sovrani sono senz’altro datate. Ma

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ordini, ma nessun potere per farli eseguire. I re africani si evolvono da due sistemi territoriali: 1) i capi delle zone rurali di savana (chefferies), espressione di una libera associazione di individui con il comune interesse della sicurezza agro-pastorale; 2) i dirigenti delle cittadelle sacre all’interno delle città commerciali (terminali delle carovaniere transahariane e della tratta degli schiavi), aggregazioni infor-

mali di etnie ed economie diverse. In tutti i sistemi, il governante viene a essere considerato una sorta di alieno sceso dalle stelle. In questo modello di pensiero e territorio, l’arrivo in Africa dei colonizzatori ha favorito il proliferare dei re: se ne vedono di tutti i colori, dal terribile Dahomey (luogo dei vodun e del controllo dei moschetti) dove il palazzo regale era impastato con il sangue delle spose del re defunto, al Lamido bamun del Camerun che oggi esibisce un enorme leone di pelouche come simbolo di potenza («Quelli veri non ci sono più», spiegano). Saggezza regale In Benin è di moda essere re. Ce ne sono a decine. Si va dal re di Zounzounsa, di nome Dako Donu (un semplice stregone) all’imponente, per stazza e dorature (ha una placca d’oro al naso, forse per non sentire la puzza del sangue versato dai suoi antenati), re Agolia Gbo che passeggia nel palazzo con le mogli; queste non conoscono la storia, altrimenti farebbero attenzione a dove mettono i piedi. Uno show tutto suo mette su Oba Olowo Asika Ali Aboudou Inoussa, sedicente re dell’Ordine del Culto ogboni, dedito alla conservazione degli usi e costumi dell’Africa. Il re posa accanto alla sua Bmw con targa personalizzata: Sa Majesté Ali Aboudou ecc. Che ridere: l’Ue conta, tra i principali membri, queste monarchie: Belgio, africa · numero 5 · 2015 41


1 Re degli Efik (Nigeria) Danimarca, Gran Bretagna, Grecia, Olanda, Spagna, Svezia. Magari non hanno pelli di leopardo sulle spalle (l’ermellino è più disponibile) o sveglie al collo (il Toson d’oro britannico ha una certa somiglianza), ma i reali europei, a vederli bardati, assumono il retaggio primitivo rappresentato dalla corona. L’imperatore islamico peul Ousmane dan

Fodio, dominatore del Sahel dal 1804 al 1817, scrisse: «Un governo deve essere fondato su cinque cose: la prima è che il potere non va dato a chi lo cerca; la seconda è la necessità della consultazione; la terza è l’astensione dalla violenza; la quarta è la giustizia; la quinta è la carità». Auguri a tutti i nostri governanti. E a quelli d’Africa.

1 Re degli Efik (Nigeria) Sembra uscito da un libro di storia medievale il sovrano del popolo Efik, Edidem Otu Ekpe Nyiong, ex ufficiale sanitario impiegato all’ospedale di Port Harcourt, che dal 1987 governa il tradizionale Regno di Calabar, nella Nigeria sud-occidentale. A lui spetta risolvere le controversie dei sudditi, i quali credono che il monarca possieda poteri sovrannaturali che si rinforzano nel corso di rituali occulti. 2 Fon degli Nso (Camerun) Ha lo sguardo sereno e pacifico il Re del popolo Nso, attorniato dai panciuti dignitari della sua corte. Eppure i sovrani del passato che si sono succeduti su quel trono hanno sconfitto i principi delle etnie concorrenti – Fulbe, Tikar e Bamun – conquistando le floride terre della regione di Foumban, nel sud-ovest dell’odierno Camerun. 3 Re di Akropong e Akuapem (Ghana) Laureato in economia all’Università di Londra, Oseadeeyo Addo Dankwa III, sovrano di Akropong, ha occupato per sedici anni il trono placcato d’oro di Akuapem-Asona, simbolo delle immense ricchezze minerarie celate nel regno, situato nel bel mezzo dell’odierno Ghana.

2 Fon degli Nso (Camerun) 42 africa · numero 5 · 2015

4 Lamido di Bibemi (Camerun) Halidou Sali, dodicesimo Lamido (re) di Bibemi, ha ottenuto nel 1958

lo scettro che gli conferisce il potere di regnare su una vasta provincia nel nord del Camerun. È un discendente di Aido Sambo, valoroso condottiero che durante il XVIII secolo impugnò la spada e la bandiera della jihad per espandere la religione islamica nella regione. 5 Fon di Bandjoun (Camerun) I sudditi del re di Bandjoun (chiamato Fon) ritengono che il loro sovrano abbia il potere di trasformarsi di notte in leopardo, motivo per cui i cacciatori della regione Bamiléké devono stare molto attenti a non uccidere i felini nascosti nella boscaglia. Prima di salire al trono nel 1964, Ngie Kamga Joseph era un funzionario del ministero delle Finanze. Fu scelto il giorno del funerale del suo predecessore e istruito per nove settimane da due dignitari del palazzo reale che lo prepararono alla vita di corte. 6 Sultano di Sokoto (Nigeria) Questa foto fu scattata quindici giorni prima della morte di Abubakar Sidiq, sultano di Sokoto, che aveva regnato per più di cinquant’anni e la cui scomparsa innescò una sanguinosa guerra per la successione al trono. Il sovrano riceve ogni anno l’equivalente di duecentomila euro in contributi governativi e tributi dai sudditi… necessari a mantenere il palazzo reale e gli ottantasei servi della corte.



SOCIETĂ€ testo di Collin Bauchet - foto di Eric Tourneret/LightMediation

Una dolce raccolta in cima alla foresta


L’ECCEZIONALE REPORTAGE CHE DOCUMENTA LA RACCOLTA DEL MIELE DEI PIGMEI BAKA

Alessandro Gandolfi/Parallelozero

Nelle foreste del Congo i Pigmei si arrampicano su alberi secolari fino a raggiungere altezze vertiginose. Armati solo di tizzoni ardenti affrontano gli sciami di api per raccogliere il miele selvatico I Pigmei, piccoli grandi uomini delle foreste dell’Africa centrale, sono autentici scienziati della natura: conoscono i segreti di ogni pianta e le abitudini di ogni animale. Vivono di caccia e di raccolta, in simbiosi con l’ambiente circostante. Nel corso dei secoli hanno affinato delle straordinarie tecniche di sopravvivenza e di cooperazione in un ambiente, la giungla, che le altre popolazioni considerano pericoloso e inospitale. La raccolta del miele selvatico mette in risalto le loro grandi capacità e conoscenze. Lo testimoniano le immagini di questo reportage realizzato tra una comunità

di Pigmei Baka, al confine tra Congo, Camerun e Centrafrica. Buona sorte La raccolta del miele è una tipica attività maschile e viene effettuata solo in alcuni periodi dell’anno, principalmente durante la stagione secca e le prime piogge (da febbraio a maggio). Il miele è uno dei nutrimenti base per l’alimentazione dei bambini e dunque è molto importante per i Baka, tanto

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LA FORTUNA DEI PICCOLI

Gnomi, folletti, spiritelli: fin dall’antichità l’umana fantasia ha dato vita a innumerevoli leggende che hanno storpiato l’immagine dei Pigmei. Lo strano meccanismo chimico che frena la loro crescita è rimasto per lungo tempo un affascinante segreto. Solo trent’anni fa gli scienziati hanno scoperto che la bassa statura è dovuta a un’anomalia ormonale, identica a quella riscontrata nei soggetti affetti da nanismo. Ma per i Pigmei – hanno osservato gli scienziati – si tratta di una particolarità funzionale, una sorta di regalo della natura, o forse il risultato di un lento processo di evoluzione darwiniana (gli alberi della foresta lasciano filtrare poco della luce solare di cui l’organismo ha bisogno per sintetizzare la vitamina D necessaria alla crescita del tessuto osseo). In ogni caso, l’altezza ridotta li rende più agili nei loro continui spostamenti e nella caccia.

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da venire assimilato, nella loro mentalità, a un principio vitale. Per assicurarsi una ricca raccolta, i Baka fanno ricorso a riti scaramantici e alla realizzazione di potenti feticci. Prima di partire in foresta, gli uomini si fanno, con cortecce e liane, dei braccialetti, collane o cinture vegetali che serviranno per portarsi appresso la “buona sorte”. La difficoltà maggiore sta nel trovare gli “alberi che parlano”, ovvero gli alberi su cui sono situati gli alveari, individuabili per il ronzio delle api. È necessario ascoltare con attenzione e scrutare le cime delle piante. I momenti propizi per la ricerca sono all’alba



SOCIETÀ/CULTURA di Mario Trave

«Salviamo le Le celebri chiese cristiane scavate nel tufo della capitale spirituale dell’Etiopia soffrono di seri problemi di conservazione. Per proteggerle sono state chiamate due società italiane, che hanno però idee diverse su come intervenire Lalibela è una delle città più sacre dell’Africa, cuore spirituale dei cristiani copti. Le sue undici chiese rupestri – costruite senza muratura e tutte scavate nel tufo – sono state inserite dall’Unesco nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità. È una città avvolta nella

leggenda: quella che vede i Cavalieri Templari partecipare alla progettazione e costruzione delle sue chiese, al cui interno sarebbe nascosta l’Arca dell’Alleanza. Verità o mitologia, poco importa: Lalibela è uno dei luoghi di culto più affascinanti della Terra, permeata

SULL’ALTOPIANO ETIOPE GLI ITALIANI SONO IMPEGNATI A SALVAGUARDARE LE ANTICHE BASILICHE RUPESTRI MINACCIATE

di una sacralità avvolgente, mistica, totale. Senza manutenzione Un patrimonio prezioso e fragile, la cui salvaguardia è diventata una preoccupazione internazionale. Le chiese rupestri di Lalibela soffrono da anni, infatti,

DALL’EROSIONE

di problemi di conservazione. Il principale motivo di degrado strutturale è dato dall’infiltrazione di acqua piovana. Tutti i monumenti – costituiti da rocce tufacee – risentono di fenomeni erosivi che, in assenza di un’adeguata manutenzione, con


chiese di Lalibela» ETIOPIA

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Tetti artificiali Per fronteggiare i fenomeni erosivi, l’Unesco nel 1998 ha proposto di avviare un programma di conservazione e restauro bandendo un concorso internazionale. Il progetto vincitore è stato ideato da una società italiana – la Teprin Associati – che ha proposto la costruzione di coperture «temporanee e reversibili» (durata prevista: dieci anni) su cinque delle undici chiese di Lalibela. «Il nostro progetto è stato incentrato sulla realizzazione di tettoie bianche e leggere come le vesti degli abitanti dell’al-

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le piogge che dilavano i reperti rischiano di comprometterli per sempre. Inoltre, essendo strutture ipogee (scavate in profondità), le loro fondamenta tendono a raccogliere l’acqua che attacca ed erode le pareti portanti. Nei secoli, Lalibela aveva saputo dotarsi di un possente sistema di fossati che drenavano le cavità dei monumenti, mantenendoli asciutti. Nel tempo, la mancata manutenzione ha provocato l’intasamento delle vasche di drenaggio e il ristagno di umidità, che sta indebolendo progressivamente le strutture.

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Lago Abaya

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SOMALIA KENYA

Chiese monolitiche scolpite nella roccia e cerimonie solenni sospese nel tempo: monumenti e testimonianze dell’Etiopia cristiana ◀ Due piloni che sorreggono le discusse protezioni alle basiliche rupestri: «indispensabili per il restauro» per alcuni, «inutili e deturpanti» secondo altri

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SOCIETÀ/CULTURA di Catherine Adwoa

Spazio alla poesia Da Città del Capo al Cairo si moltiplicano le serate letterarie. Dove i poeti in erba recitano i loro poemi (che parlano d’amore o di politica) senza imbarazzo davanti al pubblico Prendete un locale pubblico con un po’ di sedie, date un microfono in mano a qualcuno che scrive composizioni poetiche e il gioco è fatto. Non serve altro per dare vita a una serata letteraria… Specie in Africa, dove la passione per la poesia non conosce crisi. Lo dimostrano i rendez-vous letterari che stanno moltiplicandosi dal Cairo a Città del Capo. Si tratta di appuntamenti culturali, in genere organizzati alla sera con cadenza settimanale o mensile, che offrono l’opportunità agli scrittori amatoriali di declamare i propri versi davanti a un pubblico interessato e coinvolto. L’idea è stata lanciata sei anni fa a Nairobi dalla ri-

vista letteraria Kwani?, e il successo della sua iniziativa “Open Mic” è stato tale da essere replicata – con modalità e promotori diversi – in una dozzina di altre città africane. In Nigeria, a Port Harcourt (dichiarata dall’Unesco “Capitale mondiale del libro” per il 2014-15), il Rainbow Book Club promuove gli happening “Get Nigeria Reading” per dare spazio soprattutto ai poeti in erba… Ma anche per far conoscere le opere dei grandi scrittori nigeriani, come Wole Soyinka e Chimamanda Ngozi Adichie (info su rainbowbookclub.org). A Stellenbosch, in Sudafrica, da due anni si tengono le “InZync Poetry Sessions”, che radunano ogni mese oltre 350 appassionati di letteratura. I protagonisti di queste serate sono uomini e donne di tutte le età: c’è chi recita con trasporto versi in rima, chi legge ad alta voce con emozione per la prima volta i propri manoscritti, chi interpreta poemi come se si tro-

vasse sul palco di un teatro. Iniziative analoghe avvengono a Kinshasa, Brazzaville, Kampala, Abidjan, Città del Capo, Luanda, Maputo. L’ultima degna di nota è partita pochi mesi fa a Dakar, capitale del Senegal, dove un collettivo di intellettuali capitanati da Oumar Niang ha dato vita agli in-

contri “Vendredi Slam” che ogni venerdì sera danno spazio e visibilità ai giovani con la passione per la scrittura. Le recite, sempre molto affollate di pubblico, avvengono in bar, ristoranti, piazze e… persino a bordo di pulmini in movimento. Perché la poesia in Africa non si può arrestare.

JUBA, LIBRI PER LA PACE

Non c’è ancora pace per il Sud Sudan. L’instabilità che perdura da più di un anno nella più giovane nazione d’Africa ha già messo in ginocchio l’economia e rischia di far divampare una grave crisi umanitaria (vedi servizio a pagina 6-10). In questo quadro di tensioni, colpisce la notizia dell’apertura di una libreria nell'irrequieta capitale Juba. Il coraggioso ideatore e gestore, Awak Bior, non è tipo da farsi scoraggiare dal clima sfavorevole. «La cultura aiuta ad aprire le menti e promuove la pace», spiega. Non resta che sperare in un buon successo di vendite.

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SOCIETÀ/VIAGGI di Abdel Ali El-Hashem

Nel blu dipinto di blu

MAROCCO, ALLA SCOPERTA DELL’AFFASCINANTE

“CITTÀ DI ZAFFIRO”, PATRIMONIO MONDIALE DELL’UMANITÀ

Le tipiche case blu di Chefchaouen (in arabo medina azul, “la città azzurra”). Un tempo era proibita ai cristiani. L’unico che riuscì a visitarla e a uscirne vivo fu il francese Charles de Foucauld, che nel 1883, anni prima di ritrovare la fede cristiana, vi entrò travestito da rabbino 68 africa · numero 2 · 2015



SOCIETÀ/CULTURA testo di Marco Trovato - foto di Akintunde Akinleye

Vi mostro

IL FOTOGRAFO AKINTUNDE AKINLEYE

E GLI INCUBI

Il Paese più popoloso d’Africa è un mondo pieno di contrasti e contraddizioni. A mostrarcelo c’è un reporter, capace come nessun altro di emozionare e sconvolgere Raccontare la Nigeria è un’impresa di cui sono stati capaci solo i grandi scrittori di questa nazione (Wole Soyinka, Chinua Achebe, Chimamanda Ngozi Adichie, per citare i più celebri). Ma illustrare la Nigeria è un prodigio riuscito a solo un uomo: Akintunde Akinleye, fotografo di 44 anni; l’unico (a mio parere) che abbia catturato con il suo obiettivo le mille sfumature e le mille contraddizioni

72 africa · numero 5 · 2015

di un Paese in perenne fibrillazione. Akinleye è diventato famoso nel 2007 quando ha vinto – primo nigeriano nella storia – il prestigioso World Press Photo. Lo scatto che lo ha reso celebre, premiato anche al Festival di Perpignan, mostra un uomo intento a sciacquarsi la faccia sporca di fuliggine tra rovine fumanti provocate dall’esplosione di un oleodotto nei pressi di Lagos: un segno di vitalità e

CATTURA I SOGNI

DI UNA NAZIONE BELLA E DANNATA di apparente normalità in mezzo a una tragedia che provocò la morte di 269 persone. La Nigeria è un caleidoscopio di immagini discrepanti e forti, proprio come questa fotografia: la bellezza dei suoi paesaggi fa a pugni con il degrado ambientale provocato dall’inquinamento petrolifero, il verde rigoglioso del Sud contrasta con il giallo riarso del Nord, la frenesia infernale delle sue metro-

poli convive coi ritmi lenti dei suoi villaggi, lo straordinario talento della sua popolazione (che spicca nella letteratura, nel cinema, nella moda, nel calcio, nell’arte e nelle scienze applicate) stride con la feroce violenza seminata dai miliziani di Boko Haram. In prima linea Vasta tre volte l’Italia, in Africa leader della produzione di petrolio, la Nigeria è un gigante coi piedi


la mia Nigeria d’argilla: virtualmente potentissimo, intimamente fragilissimo. «Potrebbe essere uno dei motori economici del mondo. Ma le sue ricchezze hanno alimentato bramosie di potere, instabilità, corruzione, ignobili diseguaglianze sociali», ricorda il reporter Akintunde Akinleye. È il Paese più popoloso dell’Africa, con 180 milioni di abitanti e un’età media di soli 19 anni: una nazione giovane, dinamica, in continua evoluzione. Dove ogni giorno accadono un mondo di cose: rituali immutati da secoli, fatti nuovi e imprevedibili, eventi catastrofici e situazioni grottesche. E Akintunde Akinleye è sempre

in prima linea con la sua reflex (non ama l’uso del teleobiettivo che gli permetterebbe di scattare a distanza) per immortalare notizie, frammenti di vita, spezzoni di realtà… Per raccontare le pulsioni più profonde che attraversano la sua terra. Non solo tecnica «Da piccolo non avrei mai pensato di fare il fotoreporter – confessa –. Volevo lavorare in radio o in tivù, sognavo di parlare davanti a un microfono. Poi, un giorno mi è capitata per caso tra le mani una macchina fotografica. Avevo undici anni. Da quel momento non ho più smesso di scattare».

Il mestiere l’ha imparato sulla strada, non prima di aver appreso la teoria sui banchi di scuola: «Ho conseguito due master, in giornalismo e comunicazione di massa – racconta –. Ma a Lagos i diplomi e gli attestati servono solo ad arredare le pareti di casa. Per imparare davvero un lavoro bisogna fare esperienza giorno dopo giorno. E la Nigeria è una straordinaria palestra di vita». Le sue capacità non sono passate inosservate. Cinque anni fa Akinleye è stato assoldato dall’agenzia Reuters e da allora invia alla sede di Londra scatti che regolarmente finiscono sulle prime pagine di New York Times,

Washington Post, Guardian, Le Monde. Che si tratti di documentare il backstage di una sfilata di moda, una raffineria illegale nel Delta del Niger, il set di un film di Nollywood o la disperazione lasciata dall’ennesimo attentato terroristico, le fotografie di Akinleye colpiscono nell’anima: per un’inquadratura insolita, un taglio di luce, uno sguardo penetrante. «La tecnica non basta per realizzare uno scatto capace di suscitare emozioni, serve dell’altro…», spiega il reporter. Serve anche talento (occhio), intelligenza (cervello), complicità (cuore). Tutto ciò che ritroviamo nelle sue foto.

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SOCIETÀ/MISSIONE di Marc Jourdier/Afp

Museo satanico


NELL’EST DEL CONGO I MISSIONARI SAVERIANI HANNO RIUNITO UNA PREZIOSA COLLEZIONE ETNOGRAFICA

Statue, maschere, feticci rituali. Il Museo del Kivu, creato in una missione a Bukavu, espone migliaia di manufatti e reperti etnografici di grande valore, frutto di quarant’anni di raccolta nei villaggi e salvati dalla furia distruttiva della guerra Appollaiata su uno scaffale all’ingresso, la “Piccola Kabila” – coi suoi magnetici occhi verdi smeraldo – accoglie i visitatori al Museo del Kivu. La statuetta di legno mostra una donna inginocchiata che sorregge un’anfora. «Proviene da un villaggio buyu, uno dei quattro gruppi etnici della provincia del SudKivu», spiega Barthélémy Kayumba, custode e guida del museo. «In lingua luba, la parola kabila significa “distribuire”, “condividere”: infatti la statua raffigura i valori della solidarietà e dell’aiuto reciproco… Per lungo tempo la sua immagine è stata stampata sulle banconote da 10 franchi, oramai non più in circolazione». È incredibile quante cose si possano imparare visitando un piccolo museo etnografico come questo, ospitato in una missione cattolica di Bukavu. Salvati dai saccheggi Al suo interno sono custoditi e catalogati migliaia di manufatti di grande valore

◀ Padre Italo, missionario saveriano che da quarant’anni vive nel cuore dell’Africa, davanti alla mappa del museo che mostra i principali gruppi etnici della Repubblica democratica del Congo

culturale, spirituale e artistico: statue, maschere e feticci raccolti nei villaggi della foresta dai missionari Saveriani che arrivarono nella regione nel 1954. «In quarant’anni abbiamo recuperato e salvaguardato tantissimi oggetti rituali, utilizzati dalle tribù del Kivu in occasione delle cerimonie di iniziazione e di intronizzazione dei sovrani», spiega padre Italo, che mi accompagna nella visita. «Non mancano dei pezzi rari, talvolta veri e propri reperti storici, che rischiavano di andare distrutti o persi per sempre a causa della guerra che ha imperversato a lungo nella regione». Tutt’oggi il Sud-Kivu è reso instabile e insicuro dalla presenza di miliziani e banditi che si accaniscono sulla popolazione civile. Molti capivillaggio, saggi e previdenti, hanno preso la decisione di nascondere, per poi affidarli ai missionari, i manufatti più preziosi, affinché venissero risparmiati dai saccheggi. Così dai villaggi dei Lega, dei Bembe, degli Shi e dei Buyu sono pervenuti al museo centinaia di maschere, statuette e oggetti di culto che farebbero gola a qualsiasi collezionista. «L’idea lungimirante del africa · numero 5 · 2015 75



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africa · numero 5 · 2015 77


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a cura della redazione

SÌ, VIAGGIARE Volevo complimentarmi per l’editoriale dell’ultimo numero intitolato “In viaggio”. Avendo lavorato per quasi quarant’anni all’Ethiopian Airlines, mi sento come il vecchio cieco del Togo che vive di esperienze altrui e cerca di trasmetterle ad altri senza presunzione perché l’Africa, pur conoscendola, sorprende sempre e, come scrivete voi, crea confusione nella mente e dà l’impressione di saperne sempre troppo poco, stimolando a ritornarci. Quanto ai viaggiatori/bandierina che si “spostano”, essendo la maggioranza, credo servano anche loro, soprattutto ad aiutare l’economia dell’Africa e di tutto quanto a lei connessa, magari indi-

rizzandoli ad evitare di fare possibili danni. C. Gobatti BASTA PIETISMO Dopo aver letto l’editoriale sull’uso “disinvolto” dei bambini (a fin di bene, naturalmente, ci mancherebbe altro!) avrei voglia di abbracciarvi... Perché non dedicate un bel servizio, senza cattiveria ma rigoroso, al tema della raccolta fondi e delle sue degenerazioni? A vedere certe immagini utilizzate in queste campagne sembra che siano fatte apposta per rinforzare i peggiori stereotipi. G. Pianosi ONU INUTILE Sull’ultimo numero avete pubblicato una bella foto che mostra due caschi blu

intenti a scrutare coi binocoli i dintorni della città di Goma. L’avete intitolata “osservatori di pace”, ma avrebbe dovuto essere intitolata “spettatori di pace”, nel senso che i soldati della missione Onu in Congo (la più numerosa e costosa della storia) finora sono rimasti passivamente a guardare la carneficina di civili nell’Est del Paese. Vergogna! Frédéric Maiuoudou

I cataloghi turistici non pubblicano foto di campi profughi, soldati in guerra, prostitute, manifestazioni di piazza, medici al lavoro, soldati, ranger antibracconaggio... Ci sono immagini che parlano e che denunciano più di tante parole. Una foto non è spazio rubato al racconto, è uno spazio importante del racconto. Cordialmente il direttore

TROPPE FOTO? La rivista ci offre tante buone/belle cose sull’Africa: grazie. Ma la quantità di foto nel numero luglio-agosto mi ha sorpreso. Questa abbondanza mi dà l’impressione di consultare il catalogo di un’agenzia di viaggi. Jean-Pierre C. (Svizzera)

RICHIESTA AI LETTORI Se desiderate ricevere un promemoria della scadenza del vostro abbonamento e restare informati sulle iniziative della rivista Africa, segnalateci i vostri indirizzi e-mail: segreteria@africarivista.it

Un libro che lascia senza fiato. Una storia vera dalle terre di Boko Haram Sposa bambina a 12 anni, madre di sette figli. Condannata alla lapidazione dalla legge islamica per aver avuto un figlio fuori dal matrimonio. Salvata a un passo dalla morte grazie alla mobilitazione della società civile internazionale. Il dramma di una donna nigeriana che ha sconvolto il mondo. Una storia che torna prepotentemente d'attualità con il terrore di Boko Haram.

RAFFAELE MASTO

LAPIDATE SAFIYA

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UNA STORIA VERA DALLE TERRE DI BOKO HARAM

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pp. 120, febbraio 2015

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AFRICA

MISSIONE • CULTURA

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MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N.2 SETTEMBRE 2015 - ANNO 93

WWW.MISSIONARIDAFRICA.ORG

RITMI D’AFRICA NEL CUORE DELLA SVIZZERA Canti e ritmi africani hanno rallegrato l’Abbazia di San Maurizio dove molti africani sono venuti per ricordare Maurizio, un generale romano di origine egiziana martirizzato nel III secolo in queste terre

ALLEGATO REDAZIONALE

Più di milleduecento persone hanno partecipato alla quattordicesima edizione del pellegrinaggio a Véroillez (Vallese, Svizzera), luogo del martirio di San Maurizio e dei suoi compagni della Legione tebana. Quest’anno, il pellegrinaggio, organizzato come tradizione dai Padri Bianchi e tenutosi il 2 giugno, è stato dedicato al Camerun e, in particolare, alla figura di padre Jean-Marc Ela, teologo e sociologo camerunense. Al mattino, quattordici corali, provenienti da diversi cantoni della Svizzera occidentale e da Zurigo, hanno offerto uno spettacolo musicale accompagnando con le loro voci i canti nelle lingue tradizionali delle comunità dell’Africa occidentale, centrale e orientale presenti. Ricordando Jean-Marc Ela Nel corso dell’iniziativa è stata poi ricordata la figura di padre JeanMarc Ela, sacerdote, sociologo, professore e autore di molti libri di Teologia, Filosofia e Scienze sociali. Sebbene la sua attività pubblicistica sia stata vasta e abbia lasciato un segno indelebile nel panorama editoriale africano, padre Ela è ricordato nel continente soprattutto per il

suo insegnamento rivolto ai giovani africani che vivevano in un contesto sociale difficile. Tra le varie testimonianze, va segnalata quella di Jacquineau Azetsop, gesuita, che ha conosciuto bene Jean-Marc Ela e con lui ha lavorato a stretto contatto nell’Università di Boston. Per l’occasione, padre Azetsop ha voluto ricordare il libro scritto da Ela, Ma foi d’Africain (Karthala, 2009, pp. 227, euro 20), che ha segnato un’epoca ed è stato un bestseller nelle librerie di tutto il mondo. Preghiera di lode, intercessione, danze e litanie hanno segnato la giornata, che si è conclusa con una commovente Santa Messa, molto partecipata, celebrata nella basilica di San Maurizio, appena restaurata per le celebrazioni del 1.500° anniversario della sua fonda-

zione. Risale infatti al 515 a opera di Sigismondo, re di Borgogna. Da segnalare la presenza di molti amici del Camerun, ex volontari e operatori umanitari. Tutti i partecipanti al pellegrinaggio si sono poi ritrovati a tavola dove sono stati serviti piatti tradizionali della cucina africana molto apprezzati da tutti. Enrico Casale


RD CONGO: IL CORAGGIO DEGLI SFOLLATI La testimonianza da Goma di padre Pino Locati sul dramma dei profughi nella regione congolese del Nord-Kivu Nell’Est della Repubblica democratica del Congo ci sono 2,6 milioni di sfollati. Solo nelle vicinanze di Goma si contano cinque campi che ospitano oggi circa 17.000 persone. Nel 2014 erano in 150.000, ma sono state in gran parte forzate a partire perché le autorità volevano dare l’immagine di una pacificazione in corso. Purtroppo la situazione è ancora critica e non si può chiedere a migliaia di persone anziane, disabili, donne e orfani di tornare nei loro villaggi di origine dove le case sono state distrutte. Nei campi profughi, i più forti fanno piccoli lavori: commercio, calzoleria, trasporto di prodotti agricoli per terzi, sartoria. Vi sono anche piccole

officine che producono sapone; la maggior parte della gente però fatica a racimolare un piatto di polenta o fagioli. Nonostante ciò, la solidarietà non manca: gli orfani di guerra, per esempio, sono accolti da famiglie povere che non li abbandonano. A gennaio, le autorità hanno deciso di tenere aperti i campi fino a dicembre 2015. Ma il problema non è facile da risolvere. Se il territorio non viene prima liberato dai guerriglieri, non sarà possibile chiedere agli sfollati di rientrare perché rischiano di essere uccisi o violentati. Nel Nord Kivu si conta una trentina di gruppi di miliziani che obbligano i civili, bambini e donne inclusi, a estrarre i minerali che alimentano un traffi-

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co illegale nel quale sono coinvolte autorità e multinazionali. La commistione tra politica e malaffare blocca ogni possibilità di liberazione di queste popolazioni. Le forze Onu e la comunità internazionale sembrano anch’esse ostaggio di questa situazione drammatica. Come dice Papa Francesco, la Chiesa deve fare una scelta: stare dalla parte degli oppressi. Da parte mia, voglio continuare a essere seminatore di speranza, incoraggiamento, sostegno nel terreno arido di una politica e di un’economia che pensa più al proprio interesse egoista che al bene comune. Pino Locati

ALGERIA: IL VESCOVO DEL SAHARA RACCONTA Una diocesi vasta più di 2 milioni di chilometri quadrati, ma desertica. 3 milioni e mezzo di abitanti, ma poche centinaia di cristiani. Che senso ha spendervi la vita come vescovo? Mons. Claude Rault, missionario dei Padri Bianchi e vescovo di Laghouat, in Algeria, racconta la sua vita, dagli inizi della sua vocazione «utopica» fino alla servizio totale in ambiente musulmano, in un libro profetico, fresco di stampa.

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Per maggiori informazioni sui progetti: tel. 0363 44736, africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org

Il deserto è la mia cattedrale Emi, 2015, pp. 204, € 24,00


«VECCHI?» NO! Preti diversamente giovani ma ancora innamorati della missione 150, 229, 76. Non sono i numeri del Lotto ma quelli del giubileo di tre Padri Bianchi, celebrato a Catelfranco Veneto il 30 giugno scorso: padre Italo Iotti, classe 1940; padre Giancarlo Pirazzo, classe 1939; e padre Luigino Costa, classe 1937. Assieme hanno accumulato 229 anni di età, con una media di 76 a testa, e 150 anni di ordinazione sacerdotale. Difficile dire quante Messe celebrate in questi anni o quante confessioni elargite. L’importante non è questo, lo sappiamo, ma è il Cristo che hanno annunciato e la speranza che hanno seminato attorno a loro. Perché è appunto questa la missione: seminare speranza là dove il Maestro ti manda. Invitati dalla comunità locale delle Discepole del Vangelo, i tre sacerdoti hanno ringraziato il Signore di

averli chiamati e sostenuti in tutti questi anni. Ora sono in Italia, che trovano forse un po’ meno cristiana, ma certo più bisognosa di un ideale in cui sperare. Come altri loro confratelli, cercano di vivere la propria vocazione missionaria come la salute lo permette. L’Africa batte ancora nel loro cuore e fa ancora parte dei loro amori e li fa ancora sognare. Appena possono, infatti, come degli innamorati, ne parlano negli incontri di giovani e meno giovani, nei gruppi missionari, nei seminari d’Italia,

nelle comunità cristiane che richiedono il loro aiuto…. Ed esprimono la loro speranza anche trasformandosi in “badanti“ per aiutare i confratelli più deboli e più bisognosi nelle comunità in cui risiedono, come si fa in una famiglia. Attualmente sono 34 i Padri Bianchi italiani, 9 dei quali attivi in Africa e 25 ripartiti nelle due comunità di Treviglio (11) e Castelfranco (7) oppure in parrocchie dove collaborano con il clero locale. Paolo Costantini

IL SACRIFICIO DI UN GIOVANE MARTIRE Dal Mozambico un prezioso esempio di fede cristiana per i giovani italiani La Chiesa italiana ha la bella tradizione di affidare agli Istituti missionari l’animazione dei seminari diocesani. La presenza del missionario dura alcuni giorni ed è sempre un avvenimento atteso dai seminaristi. Sono sette gli Istituti missionari che, sotto la responsabilità delle Pontificie Opere Missionarie, si impegnano ogni anno a visitare tutti i seminari diocesani d’Italia. Ritornato dal Mali nel 2011, mi è stato chiesto di occuparmi dell’animazione missionaria nelle parrocchie e nei seminari. Faccio questo servizio con passione, perché nei giovani che incontro sento il desiderio di conso-

lidare l’incontro personale con Gesù Cristo e la voglia di donarsi per tutta la vita. I seminaristi mi chiedono un aiuto per leggere il Vangelo con gli occhi dei poveri, anche a partire dalla mia esperienza missionaria. Ed è così che durante gli incontri condivido i volti e le persone incon-

trate in Africa. Mi piace presentare esempi di fede, di amore, di perdono, vissuti da persone semplici. Come Nito, un catecumeno di Buzi, in Mozambico, che ha osato sfidare le leggi ingiuste del Partito che proibivano di leggere il Vangelo. Nito era un adolescente ma non aveva paura di affermare: «Sono cristiano e leggo il Vangelo». Quel coraggio lo ha portato al sacrificio più alto: una giorno, la scarica di un kalashnikov è partita alle sue spalle. E Nito ha finito la sua corsa accasciandosi sul muro appena imbiancato della cappella. Alberto Rovelli


UN AMICO PERDUTO Sono passati dieci anni dalla morte di padre Daniele Lattuada, missionario dei Padri Bianchi impegnato in R.d. Congo, scomparso per un malore improvviso a soli 44 anni. Il ricordo del direttore della rivista Africa Ho sempre avuto un debole per i visionari, quel genere di persone che, contro ogni evidenza e pronostico, inseguono sogni audaci. Sarà per questo motivo che padre Daniele mi è piaciuto sin dal primo momento in cui l’ho conosciuto. Venne a casa mia per propormi di realizzare un reportage di denuncia sullo sconcertante fenomeno dei bambini congolesi accusati di stregoneria. Il suo entusiasmo mi contagiò e accettai di partire insieme a lui per Kinshasa. Nei quindici giorni di permanenza in Congo documentammo storie raccapriccianti – decine di bambini bruciati, torturati, uccisi per colpa di un’epidemia di furore superstizioso. Al ritorno in Italia mi ci vollero sei mesi di psicoterapia per riprendere a dormire la notte. Anche padre Daniele era sconvolto, ma quell’esperienza scioccante gli fornì una motivazione in più per ingrandire il suo centro Simba Ngai che già aiu-

tava centinaia di giovani congolesi. Fu un periodo intenso, bello, spossante. Io traevo energia dal suo straordinario fervore e dal suo granitico ottimismo. Daniele era ispirato dalla fede. A volte gliela invidiavo. Non si può decidere di credere, bisogna sentire la presenza di Dio: e io quella presenza non l’ho mai sentita. Mi

INDIRIZZI DEI PADRI BIANCHI ITALIANI

pareva che la fede gli trasmettesse una serenità e una sicurezza che io – animo irrequieto e dubbioso – non avevo. Eravamo sempre in sintonia. Quasi sempre. Una sola volta ho litigato con lui. Avvenne nell’estate del 2005. Mi arrabbiai per una sua leggerezza. Niente di cruciale, intendiamoci. Ma era quel genere di cose che possono raffreddare – talvolta spezzare – un’amicizia. Gli feci una sfuriata al telefono. Padre Daniele, a sua volta, si offese. Passammo un mese di silenzio e di rancore reciproco... Entrambi rintanati in un’orgogliosa e ostinata solitudine. Ad un certo punto, decisi che non valeva la pena perdere un amico così prezioso per uno screzio di poco conto. Lo andai a cercare e gli chiesi scusa, malgrado pensassi – e lo penso tuttora – che non avessi proprio nulla di cui scusarmi. Lui accettò le mie scuse, facendomela pesare un po’. Ci riconciliammo in una serata di settembre. Il fatto di aver deciso di cercarlo quel giorno fu una delle scelte più sagge che abbia mai fatto in vita mia. L’indomani, senza alcun preavviso, padre Daniele sarebbe morto. Marco Trovato APPUNTAMENTI

TREVIGLIO: Viale Merisio, 17 - 24047 Treviglio (BG) provincia@padribianchi.it - Tel. 0363 41010 - 0363 49681 - Rivista Africa: Tel. 0363 44726 BERTELLI Gustavo BONFANTI Vittorio CASTAGNA Giovanni

COLOMBO Luciano COSTANTINI Paolo GAMULANI Abdon

MATTEDI Giuseppe PAGANELLI Dante PAGANELLI Bruno

REDAELLI Giuseppe ROVELLI Alberto

CASTELFRANCO VENETO Via Ponchielli, 6 - 31033 Castelfranco Veneto Tv Tel. 0423 494100 - mafrcasteo@padribianchi.it ALBIERO Sergio BORTOLI Tarcisio

CECCON Mariano COSTA Luigi

GUAZZATI Fausto LAZZARATO Luigi

PIRAZZO Giancarlo

ALTRI INDIRIZZI BOLOGNA Giuseppe - S.Damiano, AT FABBRI Guido - Corporeno, FE GHERRI Walter - Taneto di Gattatico, RE

PIROTTA Pierangelo - Brivadi di Ricadi, VV SCREMIN Gaetano - Novale, VI IOTTI Italo - Roma, RM

IN MISSIONE BENACCHIO Nazareno - Brasile CAZZOLA Gaetano - R.D. Congo GIANNASI Aldo - Algeria GODINA Arvedo - Mali LUCCHETTA Giuseppe - Ruanda

MARCHETTI Giovanni - R.D. Congo MORELL Luigi - Sudafrica LOCATI Giuseppe - R.D. Congo VEZZOLI Michele - R.D. Congo ZUCCALA Claudio - Mozambico

ROMA - Casa Generalizia: Via Aurelia, 269 - 00165 Roma Tel. 06 3936341 - m.afr@mafrome.org www.mafrome.org SVIZZERA - FRIBURGO Africanum - Route de la Vignettaz, 57 - 1700 Fribourg - Tel. 0041 26 4241977 - friprov@bluewin.ch

25 SETTEMBRE X° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI PADRE DANIELE LATTUADA Ore 20,45 Santa Messa in suo ricordo a Gorgonzola – SS Gervasio e Protasio Info: patriziagoi@libero.it Tel. 3284699693

27 SETTEMBRE RADUNO DEGLI EX ALUNNI DEI PADRI BIANCHI Bassano del Grappa presso l’Istituto Scalabrini Adesioni: agostino.rizzi@virgilio.it Tel. 339 834 95 71 o paolo@africarivista.it Tel. 0363 44726


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io ediz

Dialoghi sull’ AFRICA FRICA

MISSIONE • CULTURA

un weekend di incontri per capire, conoscere e confrontarsi Sabato 21 e Domenica 22 Novembre 2015 - Milano Quota di partecipazione: 220 e, studenti 160 e

Farid Adly, agenzia Ambamed

20 e di sconto a chi si iscrive entro il 30 settembre

Daniele Bellocchio, reporter

Saba Anglana, cantante Mohamed Ba, attore

I primi iscritti potranno usufruire dell’ospitalità gratuita offerta dai missionari Padri Bianchi a Treviglio, o del pernottamento scontato in hotel a Milano.

Angelo Del Boca, storico Enrico Casale, africarivista.it Francesca Casella, Survival International Davide Demichelis, documentarista Viviano Domenici, scrittore Valentina Furlanetto, Radio 24 Mario Giro, analista Davide Martina, Fondazione Punto Sud Raffaele Masto, buongiornoafrica.it Pier Maria Mazzola, rivista Africa

Africa ADV copia2.pdf 1 11/02/2015 17:43:13

Eyoum Nganguè, giornalista Enzo Nucci, corrispondente Rai Lia Quartapelle, ricercatrice ISPI Marco Trovato, rivista Africa C

Alberto Salza, antropologo M

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Mussie Zerai, agenzia Habeshia CM

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