Africa 03-2019

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AFRICA N. 3 MAGGIO-GIUGNO 2019 - ANNO 98

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

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Capo Verde

Missionario vulcanico Ciad

Fuga da Boko Haram Sudafrica

Nostalgia boera

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ELEGANZA E FASCINO


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AFRICA

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MAURITANIA 2 TURNI | 1 – 9 DICEMBRE

8–16 DICEMBRE 2019

con Elena Dak (Guida sahariana, scrittrice, esperta di culture nomadi) Un itinerario sospeso nel tempo tra le dune del Sahara e le acque dell’Atlantico. Alla scoperta di antiche città carovaniere, oasi prodigiose, moschee e biblioteche circondate dalle sabbie. Un viaggio che ha il sapore dell’esplorazione. Con l’accompagnamento esclusivo di una guida d’eccezione.

Quota: 1.800 € a persona

volo escluso

SCONTO SPECIALE di 100 € agli abbonati

In collaborazione con

Programma: www.africarivista.it/mauritania Informazioni e prenotazioni:viaggi@africarivista.it Tel. 348 7342358 - 334 2440655


Sommario

MAGGIO - GIUGNO 2019, N° 3

COPERTINA 44

African Style, i motivi del successo

di Stefania Ragusa

EDITORIALE La Terra scotta. E l’Africa è il termometro di Marco Trovato

3

4 prima pagina di Raffaele Masto

ATTUALITÀ

AFRICA

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Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

6 panorama di Enrico Casale

8 economia di Michele Vollaro

9 innovazione di Martino Ghielmi

L’Africa immortalata dai grandi reporter di Marco Trovato 14 L’inferno arido di Boko Haram di Daniele Bellocchio e Marco Gualazzini 22 Rd Congo. Il Paese del paradosso di François Misser

10

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

SOCIETÀ 28

Marco Trovato

34

WEB

38

Enrico Casale e Marco Simoncelli (news) Raffaele Masto (blog)

I nostalgici del Grande Trek di Marco Simoncelli L’ospedale che… stampa le gambe di S. Marks e I. Kasamani Madagascar. Vaniglia, tesoro dolceamaro di Marco Simoncelli

PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

NATURA Se finisce l’atroce business della caccia di Gianni Bauce 56 Sudafrica a 360° di Irene Fornasiero

Paolo Costantini

52

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Claudia Brambilla PROPRIETÀ

Internationalia Srl EDITORE

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi PUBBLICITÀ

segreteria@africarivista.it

CULTURA Tangeri, magica frontiera di Gianni Bauce Un’arca di carta per gli animali di Gianni Bauce 64 Nuovi sguardi sull’uomo a cura di Pier Maria Mazzola

58

62

FOTO

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Per-Anders Pettersson / Luz Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand STAMPA

Jona - Paderno Dugnano MI Periodico bimestrale - Anno 98 marzo - aprile 2019, n° 2 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n. 713/48 SEDE

Viale Merisio, 17 - C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it www.africarivista.it Africa Rivista @africarivista @africarivista africa rivista UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

SPORT 66

Etiopia. La dura legge del bastone

di Alberto Salza

RELIGIONI 70

Capo Verde. Un missionario vulcanico di Marco Trovato

INVETRINA

Eventi di Valentina G. Milani CalendAfrica di P.M. Mazzola 77 Arte di Stefania Ragusa 78 Vado in Africa di Martino Ghielmi 79 Musica di Claudio Agostoni 79 Glamour di Stefania Ragusa 80 Libri di Pier Maria Mazzola 76

76

GrAfric Novel di Roberto Morel Sapori di Irene Fornasiero 83 Solidarietà di Valentina G. Milani 84 Viaggi di Marco Trovato 86 Web di Giusy Baioni 87 Bazar di Sara Milanese 88 NerosuBianco di Andrea Sempici 81

82

africa · 3 · 2019 1


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La Terra scotta. E l’Africa è il termometro Il ciclone Idai che si è abbattuto a marzo su Mozambico, Zimbabwe e Malawi ha seminato devastazione e morte: circa 800 persone uccise, seicentomila abitazioni distrutte, mille chilometri di strade e ferrovie danneggiati. Mentre l’Africa australe era flagellata da venti furiosi e piogge torrenziali, dal Nord del Kenya filtravano notizie delle prime vittime della carestia che da mesi interessa il Lago Turkana. In questa regione la forte siccità ha distrutto i raccolti e messo in ginocchio intere contee. A migliaia hanno lasciato i villaggi in cerca di aiuti. Negli slum di Nairobi e Harare i predicatori delle Chiese evangeliche e pentecostali hanno letto in queste catastrofi i segni premonitori della fine del mondo. Toni meno apocalittici, ma per nulla rassicuranti, sono stati usati dai climatologi. Le emergenze legate a siccità o alluvioni ci sono da sempre. La novità sta nella loro intensità e frequenza. Negli ultimi 25 anni, sono raddoppiate, e nel continente africano si è registrato il conseguente tasso di mortalità più elevato del pianeta. L’inondazione del 2000 in Mozambico provocò almeno 800 morti; stesso bilancio, nel 2001, per le vittime di alluvioni nel Nord dell’Algeria. Tra il luglio 2011 e la metà del 2012, ha colpito l’Africa orientale quella che è stata detta “la peggiore siccità degli ultimi sessant’anni”. Allarmi umanitari a causa del clima sono stati ripetutamente lanciati in questi anni da governi e agenzie delle Nazioni Unite per Etiopia, Somalia, Sudan, Niger, Ciad, Mali, Mauritania, Senegal… «L’Africa è destinata a pagare più di tutti il prezzo dei cambiamenti climatici»,

ha ammonito poche settimane fa il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. Fiumi e laghi si prosciugano, le nevi del Kilimangiaro e dell’Atlante marocchino scompaiono. Ogni anno si perdono 12 milioni di ettari di terre fertili. A inaridirsi è soprattutto il Sahel, da dove nascono migrazioni, traffici e terrorismo che coinvolgono anche noi. L’anno scorso, si legge in un rapporto Unhcr, 18 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case per fuggire un evento meteo estremo: per il 95% esse provenivano da Paesi a basso reddito (quelli con meno responsabilità nel riscaldamento globale). Nell’ultimo decennio, i migranti forzati dell’ambiente sono stati mediamente 21 milioni l’anno. I cambiamenti climatici e l’inaridimento del suolo potrebbero costringere più di 100 milioni di persone alla fame entro il 2030, alimentando migrazioni e conflitti. Già oggi il numero dei profughi climatici è superiore a quello delle vittime di guerre e persecuzioni; ma la Convenzione del 1951 sui rifugiati non li contempla. Sarebbe tempo di aggiornarla. Impegnandoci al contempo a mitigare gli effetti catastrofici che stiamo provocando sul pianeta. Ben conosciamo la posizione degli Usa di Donald Trump. E temiamo di scoprire quella che uscirà dall’Unione Europea dopo le elezioni di maggio. Tuttavia, la salute della Terra dovrebbe interessare anche ai sovranisti ossessionati dalla “minaccia migratoria”. Perché l’inquinamento non conosce frontiere. Come le sue vittime. Marco Trovato

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri in formato cartaceo e/o digitale) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · carta:Italia: 35 €; Estero 50 €; Svizzera: 45 Chf · digitale (pdf): 25 €/Chf · carta + digitale - Africa Social Club Italia/Svizzera: 50 € / Chf Estero: 60 € · Africa + Nigrizia: 60 € (anziché 70 €)

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T088 9953 6400 0000 0001 315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

Per informazioni: segreteria@africarivista.it


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Idriss Déby Itno Presidente del Ciad dal 1990, tenta di silenziare gli oppositori bloccando internet. Da oltre un anno, niente Facebook, Twitter, Whatsapp, Messenger.

JUMIA A WALL STREET Jumia, società nigeriana dell’ecommerce, potrebbe diventare la prima startup africana quotata a Wall Street. L’azienda ha superato il valore di un miliardo di dollari e ha consegnato la richiesta di quotazione.

ELEFANTI NEL MIRINO Il Botswana toglierà il bando sulla caccia agli elefanti? È 6 africa · 3 · 2019

NEWS

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Peter Tabichi Francescano, docente di Scienze e matematica in Kenya, è stato insignito del Global Teacher Prize 2019 perché con il suo insegnamento ha saputo influenzare positivamente la comunità in cui vive.

SUD SUDAN TRISTE È il Paese più infelice al mondo. Secondo l’Onu, il 60% dei sud-sudanesi vive in condizioni difficili, stretto tra insicurezza alimentare e una guerra civile che ha causato 400.000 morti.

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quanto vorrebbe fare il governo per ridurre la popolazione dei pachidermi (130.000 esemplari), considerata eccessiva per ecosistema e uomo. EGITTO: STOP FIGLI? Il Cairo chiede alle famiglie di mettere al mondo due figli al massimo. Lo riporta il quotidiano El Watan, che ha annunciato la campagna governativa per rallentare la crescita demografica.

RISTORANTE STELLATO Il sudafricano Wolfgat è stato

premiato “Ristorante dell’anno” nel World Restaurant Awards. Il locale, che ha personale per lo più femminile, offre cibi preparati con ingredienti e ricette locali.

RAZZISMO SOCIAL In Sudafrica molti bianchi usano come frase augurale sui social l’espressione «Indietro ai bei tempi». Ciò ha irritato la comunità nera, che vede in quelle parole un riferimento all’apartheid e un insulto a chi ne ha subito la violenza.

KIGALI-KINSHASA, SI VOLA Dall’inizio di maggio è operativa la linea aerea Kigali-Kinshasa. L’apertura del collegamento è frutto di un riavvicinamento diplomatico tra i due Paesi.

CALCIO «CINESE» I match del campionato di football senegalese saranno tra-

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NEWSCasale di Enrico NEWS smessi dalla cinese StarTimes. L’intesa porterà nelle casse della Lega calcio un miliardo di euro. COPPA D’AFRICA AL VIA Dal 21 giugno al 19 luglio si giocherà in Egitto la 32ª Coppa d’Africa di calcio. Originariamente il torneo doveva essere giocato dal 15 giugno al 13 luglio, ma è stato spostato a causa del ramadan.

EBOLA IMPERVERSA Secondo le autorità sanitarie, ci vorrà ancora almeno un anno per domare l’epidemia di ebola nella Rd Congo. I contagiati sono centinaia e continuano ad aumentare a causa delle precarie condizioni di sicurezza.

ARTE ANIMALE I quadri dipinti dal maiale sudafricano Pigcasso sono esposti in tutto il mondo e vengono venduti a prezzi altissimi. Recentemente l’azienda di orologi Swatch ha usato i suoi dipinti per i propri quadranti.



ATTUALITÀ testo di Daniele Bellocchio – foto di Marco Gualazzini

L’inferno arido di Boko Haram

14 africa · 3 · 2019


REPORTAGE TRA I PROFUGHI DEL LAGO CIAD, EPICENTRO DI UNA CATASTROFICA CRISI UMANITARIA

A Bol, sulle rive del Lago Ciad, un bambino paraplegico chiede l’elemosina ai margini di una pista percorsa da camioncini

Venti milioni di persone sconvolte dalle violenze jihadiste e dalla fame vivono attorno al grande lago (peraltro in rapido corso di desertificazione) al confine tra Nigeria, Niger, Camerun e Ciad. I racconti dell’orrore raccolti dai nostri reporter Sabbia, sabbia e di nuovo sabbia. Il viaggio attraverso le piste sahariane che conducono da N’Djamena, la capitale del Ciad, a Bol, in riva al Lago Ciad, è un percorso obbligato per addentrarsi nel Sahel e conoscere una delle peggiori crisi umanitarie della nostra contemporaneità. Due fattori – la guerra del terrore di Boko Haram e la desertificazione del lago – si sono uniti in un sodalizio di distruzione provocando una tragedia, nel bacino del lago, che oggi, stando ai dati dell’Ocha (l’Ufficio della Nazioni Unite per gli affari umanitari), ha causato 2,3 milioni di profughi, mentre sono 10 i milioni di persone che vivono nel bisogno e 500.000 i bambini che soffrono di malnutrizione. La superficie del Lago Ciad si è ridotta del 90% rispetto agli anni Sessanta e la guerra dei jihadisti di Abubakar Shekau ha fatto di questa terra un fortilizio del terrore. Quattro i Paesi toccati: Nigeria, Niger, Camerun e Ciad. Ed è in quest’ultimo che la crisi si esibisce in tutta la sua spietatezza. Nello Stato di Idriss Déby, 183° Paese su 187 nell’Indice di sviluppo umano, dove l’analfabetismo va

oltre il 50%, la speranza di vita supera a fatica i 53 anni, il tasso di mortalità infantile è tra i più alti del pianeta e l’economia è in crisi a causa del crollo del prezzo del greggio, il jihadismo e l’avanzata del Sahara stanno falcidiando la popolazione. Tragedie ignorate Oltre otto ore di fuoristrada, traversando la fascia meridionale del deserto. Pochi arbusti secchi e una canicola inclemente. Tutto è arso, solo sporadiche frustate di vento interrompono un silenzio sepolcrale. Piccoli villaggi di capanne e case di terra vengono lasciati alle spalle e gli unici uomini che si incontrano, avvolti in jalabiya e turbante, sembrano aver cucita addosso la distruzione che sta travolgendo la loro terra. La vita in quest’area è sotto sfratto del Sahara, e lo si percepisce ancor meglio arrivati a Bol, il principale centro urbano rivierasco, cioè una strada di terra sabbiosa: da un lato, baracche che vendono pochi generi alimentari e acqua minerale a peso d’oro, dall’altro, il palazzo del governatore, il vecchio arco coloniale che ai primi del Novecento serviva da portale del mercato africa · 3 · 2019 15



Il mondo ha molto da offrire.

E anche noi.

Oltre 100 destinazioni in 46 paesi. swiss.com

africa · 3 · 2019 21

Made of Switzerland.


ATTUALITÀ testo di François Misser – foto di John Wessels / Afp

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Il Paese del paradosso

22 africa · 3 · 2019


LA SVOLTA (APPARENTE) AI VERTICI DELLA POLITICA CONGOLESE LASCIA INALTERATI PROBLEMI E CONTRASTI LACERANTI

Il neopresidente della Repubblica democratica del Congo, Félix Tshisekedi, governa all’ombra del suo predecessore Kabila. Intanto la popolazione, che poggia i piedi su un suolo straripante di ricchezze, resta povera e vessata A cinque mesi dalla sua contestata vittoria elettorale, il presidente della Repubblica democratica del Congo, Félix Tshisekedi, 56 anni, subentrato tra accuse di brogli lo scorso gennaio a Joseph Kabila (soprannominato “il Proprietario” a motivo della quantità di miniere, tenute e fabbricati che lui e il suo clan hanno acquisito in diciotto anni), deve affrontare sfide notevoli, e può contare su una base politica ristretta. La corruzione è una delle priorità in agenda. In base all’indice di percezione del fenomeno, Transparency International colloca il Congo al 161° posto su 180 Paesi. Altra sfida è l’insicurezza alimentare che colpisce 13 milioni di congolesi, di cui 4 milioni di bambini. Un Paese che, secondo Baudouin Michel della facoltà di Agronomia di Gembloux (Belgio), dispone di risorse sufficienti a sfamare un miliardo di persone, importa cibo per un miliardo di dolla-

◀ Al mercato settimanale di Monbessa, vicino a Gemena, si vendono le piroghe per il fiume Congo. Realizzate in legno intagliato con le asce, costano, in base alle dimensioni, dai 50 ai 1000 euro

ri l’anno: nel 2018 il governo ha stanziato per l’agricoltura solo il 2,6% del bilancio. Sotto Kabila sono state aperte pochissime strade rurali per accedere ai mercati urbani. Agli agricoltori vengono distribuite poche attrezzature, semi, fertilizzanti o assistenza tecnica. A dicembre, un’invasione di cavallette nella provincia del Maniema e una di bruchi nell’Alto Lomami hanno distrutto i raccolti dei contadini, poi abbandonati al loro destino. Il Congo presenta anche il paradosso di fornire energia elettrica ad appena il 9% dei suoi abitanti, pur avendo un potenziale idroelettrico di 100 gigawatt: il doppio di quello del Sudafrica, seconda economia del continente. Il paradosso del Congo, sottolinea il sociologo americano Theodore Trefon, è l’abbondanza di ricchezza a fronte dell’estrema povertà della sua popolazione. I belgi definirono il Congo appunto uno «scandalo geologico». Il Paese assicura il 58% della produzione mondiale di cobalto e ospita la metà delle riserve planetarie di questo metallo strategico per l’industria delle armi, l’aeronautica e la tecnoafrica · 3 · 2019 23


Piove sulle rive del fiume Mongala, una zona nel cuore della foresta, dove una famiglia di pescatori si è costruita un ricovero di fortuna che rischia di essere spazzato africa ¡ dalle 3 ¡ 2019 via24 o inghiottito acque



SOCIETÀ testo di Marco Simoncelli – foto di Wikus De Wet / Afp

I nostalgici del Grande Trek

28 africa · 3 · 2019


IN SUDAFRICA I DISCENDENTI DEI PRIMI COLONI BOERI RIEVOCANO L’EPICO (E CONTROVERSO) VIAGGIO ALLA CONQUISTA DELL’AFRICA AUSTRALE

Vestono come contadini ottocenteschi, conducono carrozze di legno trainate da cavalli, sparano in aria con vecchi moschetti. Non sono le comparse di un film western. Ma sudafricani di origine olandese che celebrano l’epopea dei pionieri Una parata di persone di ogni età vestite da contadini del XIX secolo percorre la Monument Street di Pretoria in Sudafrica. Intonano canti in lingua afrikaans mentre conducono carrozze di legno trainate da cavalli e sventolanti antiche bandiere delle repubbliche boere. Poco più in là, alcuni uomini col copricapo boero sparano in aria con antichi moschetti, mentre sullo sfondo, in cima a una collina, emerge un’enorme struttura cubica di granito. Sembrerebbe una scena da film western, ma si ripete il 24 settembre durante l’Heritage Day nei pressi del Voortrekker Monument, a sud della capitale amministrativa sudafricana. I fantasmi della storia Ogni anno, in questo giorno migliaia di boeri si radunano e sfilano in abiti tradizionali attorno

◀ Sfilano le vecchie bandiere dei reparti dell’esercito afrikaner. Siamo nei pressi del Blood River Monument, vicino a Dundee nel KwaZulu Natal, dove ogni anno centinaia di sudafricani celebrano la vittoria dei loro avi contro gli Zulu nella battaglia di Blood River, combattuta il 16 dicembre 1838

al monumento inaugurato nel 1949, che ricorda il Grande Trek, la memorabile e discussa conquista dell’entroterra verso nordest fino agli attuali territori zimbabwani avvenuta tra il 1830 e il 1850. È un omaggio alle gesta dei voortrekkers, circa dodicimila antenati pionieri, e a quella colonizzazione che portò alla fondazione della Repubblica di Natalia, di Stellaland, dello Stato Libero dell’Orange e del Transvaal. La commemorazione fa parte della “festa nazionale dedicata alle culture e alla diversità di credenze e tradizioni del popolo sudafricano” istituita nel 1995 dal primo governo di Nelson Mandela, in linea con il programma politico di riconciliazione dopo l’apartheid. Inizialmente, infatti, nello stesso giorno si celebrava solo lo Shaka Day, la commemorazione della morte del grande re zulu Shaka, avvenuta nel 1828. Nonostante gli sforzi di Madiba, però, questa celebrazione viene vista da molti come un retaggio della dominazione colonialista bianca, facendo inevitabilmente riemergere la conflittualità degli anni oscuri della segregazione. Si tratta di eventi africa · 3 · 2019 29



Organizzata da:

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L’Expo della Cooperazione Internazionale

Fiera di Roma 15-16-17 Maggio 2019

Una nuova visione dello sviluppo: opportunità di business nella cooperazione attraverso sostenibilità e innovazione EXCO2019 è la prima e unica expo globale dedicata alla cooperazione allo sviluppo con particolare focus sulle opportunità per il settore privato. Per la prima volta, le soluzioni innovative e i progetti di sviluppo potranno incontrare i principali attori e decisori della cooperazione: aziende, agenzie nazionali e internazionali, governi, organizzazioni e associazioni, rappresentanti della società civile dall’Italia, dall’Europa, dall’Africa e dal Mondo.

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SOCIETÀ di Marco Simoncelli

Vaniglia, tesoro dolceamaro

38 africa · 3 · 2019


VIAGGIO NELLE PIANTAGIONI E NELLE FABBRICHE

Negli ultimi anni, il prezzo della vaniglia sul mercato mondiale ha subito un’impennata, ma i contadini che la producono e gli operai che la trasformano non ne hanno beneficiato. A dispetto del duro lavoro, vivono sempre sotto la soglia della povertà

DEL MADAGASCAR, DOVE SI PRODUCE IL PRELIBATO AROMA. SEMPRE PIÙ RICHIESTO DALL’INDUSTRIA ALIMENTARE E COSMETICA

Nella regione di Sava, nel Madagascar settentrionale, l’inconfondibile fragranza della vaniglia si respira a pieni polmoni. Gli arbusti rampicanti di Vanilla planifolia – pianta tropicale della famiglia delle Orchidaceae – crescono nella penombra della foresta e i coltivatori malgasci controllano i loro frutti aromatici a capsula dal profumo gradevolissimo. Li curano

◀ Operai malgasci nel magazzino della società statunitense Virginia Dare. I loro salari non sono affatto cresciuti malgrado il boom di vendite sui mercati mondiali

Richiestissima La vaniglia è sempre stata una spezia costosa, seconda solo allo zafferano, ma dai 20 dollari al chilogrammo di sei anni fa si è schizzati agli oltre 500 attuali, più o meno il valore dell’argento. Ogni baccello è oramai un tesoro. Nelle piantagioni di Sava si coltiva l’85% dell’intera produzione di vaniglia malgascia, che a sua volta costituisce l’80% di quella mondiale (il resto proviene soprattutto da

WikiAfrica

Tommy Trenchard / Panos / Luz

▼ I fiori essiccati e lavorati della vaniglia hanno le sembianze di bastoncini marroni.

come si trattasse di pietre preziose. Devono farlo, perché la crescita della domanda mondiale di vaniglia – l’aroma naturale più utilizzato al mondo nel campo alimentare e nell’industria cosmetica – ne ha portato il prezzo alle stelle.

africa · 3 · 2019 39




COPERTINA di Stefania Ragusa

African Style, i motivi del successo

Modelle nel backstage della Lagos Fashion & Design Week, che ogni anno raduna i piĂš acclamati stilisti africani nella capitale economica della Nigeria


LA CREATIVITÀ E LA VOGLIA

Stilisti sempre più affermati, collezioni sempre più ispirate, sfilate sempre più ricche, boom di vendite: il mondo della moda in Africa sta vivendo una stagione d’oro. E presto cambierà il nostro guardaroba

DI INNOVARE DEI GIOVANI DESIGNER SPINGONO AL SUCCESSO L’INDUSTRIA AFRICANA DELLA MODA

Per-Anders Pettersson / Luz

L’Africa va sempre più di moda. Si moltiplicano manifestazioni e festival che ruotano attorno alla creatività africana o che da questo continente traggono ispirazione: a Londra, Parigi, New York, Toronto, addirittura a Wellington, in Nuova Zelanda, e recentemente, grazie agli sforzi dell’associazione Afro Fashion, anche a Milano. Qui hanno sfilato brand del Camerun (Maison Jemann), della Nigeria (NatFash e Flixbry Culture), del Togo (ChiBeKa) e della diaspora (Urban Fashion Paris, Anapenda). Potenziale enorme Ma è in Africa che il fenomeno da emergente sta diventando strutturale: le settimane della moda in Sudafrica, Nigeria, Senegal, Ruanda, Etiopia, Kenya… sono ormai nelle agende di operatori e osservatori stranieri. Gli appuntamenti si moltiplicano e, sempre più spesso, vantano partnership internazionali e sponsorizzazioni importanti, come quella di Mercedes Benz che, da cinque anni, promuove la principale passerella ghanese: il Mercedes Benz African Fashion Festival di Accra. Alla prossima edizione (fine luglio) sono

stati invitati anche designer non africani. A dare un ulteriore tocco cosmopolita, alcuni eventi saranno organizzati in collaborazione con la parigina Fédération de la Haute Couture et de la Mode. In Etiopia invece hanno preferito interfacciarsi con l’Italia. L’Hub of Africa Fashion Week di Addis Abeba, che si è tenuta a ottobre dello scorso anno, aveva tra i suoi sostenitori la Camera della Moda di Milano e il magazine Vogue Italia. Non c’è da meravigliarsi. La società di ricerca Euromonitor International stima il giro d’affari della moda africana in oltre 31 miliardi di dollari. Altri studi parlano di 50. Comunque sia, c’è un elemento su cui gli addetti ai lavori convergono: il potenziale di crescita è enorme. Festival nel deserto Il più antico evento di moda africano rivolto a un pubblico internazionale risale al 1988 ed è il Fima, ossia il Festival international de la mode africaine. A lanciarlo, ad Agadez, in Niger, lo stilista Alphadi. Nigerino di origine tuareg, soprannominato “il mago del deserto”, nella sua lunga carriera ha collezionato collaborazioni prestigiose africa · 3 · 2019 45



Madagascar

isola segreta Belo sur Mer

Lungo la “Via dei Baobab�

Salar y Bay


CULTURA di Francesca Ghirardelli

Tangeri, magica frontiera

58 africa · 3 · 2019 CitiesTips


IN MAROCCO ALLA SCOPERTA DI UNA CITTÀ DAL GRANDE FASCINO, PLASMATA DA MOLTEPLICI INFLUENZE, SOSPESA TRA AFRICA ED EUROPA

All’estremo nord del Marocco, tra il Mediterraneo e l’Atlantico, le bianche vie di Tangeri sono vivaci crocevia di culture e popoli che da sempre ispirano artisti e viaggiatori. Ma da cui oggi in tanti vogliono fuggire La terraferma si fa sempre più vicina e dai finestrini del traghetto non si vede quasi più il mare, solo la vegetazione della costa. Nel salone i passeggeri si animano sulle poltrone, radunano i bagagli, li spingono verso le uscite. L’Europa è alle spalle, il Marocco ormai a un passo, di fronte allo scafo. Porta d’ingresso… d’uscita La sagoma di Tangeri diventa nitida con le geometrie dei palazzi moderni e le forme irregolari della medina. «Percorro questo tragitto da trent’anni, 2100 chilometri da casa mia», racconta Souad, marocchina che vive in Toscana. «Qui sullo Stretto si riuniscono i miei connazionali che rientrano al Paese per l’estate: da ogni parte d’Europa e persino dall’America. Questo è l’unico posto dove ci troviamo tutti insieme». I passeggeri si riversano sulla banchina di questa città che è porta d’ingresso di un’intera nazione, ma anche porta d’uscita di un continente: da Tangeri e dallo Stretto di Gibilterra, dove l’Atlantico si precipita nel Mediterraneo, transitano in senso contrario, verso Nord, migranti e ri-

chiedenti asilo, quest’anno più numerosi che in passato. Nel corso del 2018 oltre 58.000 persone hanno raggiunto di nascosto la Spagna via mare (nel 2017 erano state 22.100, l’anno precedente 8000), facendo di questa rotta la più battuta, anche più di quelle libico-tunisina e balcanica. Chi passa di qui viene da Guinea, Mali, Costa d’Avorio e dallo stesso Marocco. Si tenta la traversata su mezzi di fortuna, canotti acquistati insieme ai compagni di viaggio, imbarcazioni piccole, canoe. La costa spagnola dista solo 14 chilometri (nel punto più stretto), ma le acque ingannano chi vi si avventura : correnti violente, venti insidiosi e una valle sottomarina profonda 600 metri. Tra due mari Tangeri si protende nel mezzo, tra due mari e due continenti. «È crocevia mondiale, magico, di musica, storia e di turisti», spiega con occhi vivaci da ragazzino, malgrado abbia 74 anni, Abdelmajid El Mouedden, fondatore dei “Fils du Détroit”, circolo di anziani musicisti tangerini. «Da 45 anni ci ritroviamo per suonare insieme», ci racconta nella piazza delafrica · 3 · 2019 59


la casba all’ingresso della sede del circolo, 15 metri quadri da cui, ogni giorno al tramonto, si diffondono melodie arabo-andaluse. Una testimonianza di prossimità non solo geografica, in cui violino, flauto, percussioni e oud perpetuano la vicinanza culturale tra Spagna e Tangeri. «Questo Stretto era unificato dalla musica che è nata a Granada da artisti arabi fra 1200 e 1300. Lo spazio è aperto, tutti possono unirsi a noi per suonare. Nel 1989 anche Mick Jagger si è seduto qui». Gli arazzi arabescati alle pareti, i tappeti grezzi a terra e, fuori, la tranquillità della casba portano il visitatore indietro nel tempo. Eppure, scendendo per i vicoli della medina, oltre il porto e il lungomare, s’incontrano le tracce delle epoche più recenti, i palazzi coloniali, gli alberghi moderni, la nuova marina inaugurata dal re, fino ai grandi centri commerciali multipiano e alla selva di condomini tutti uguali.

Al Cinema Rif «Una quantità di alloggi nuovi e già in rovina», commenta Yto Barrada, fotografa e artista tangerina. La incontriamo nella piazza più nota della città, dove sorge la Cineteca di Tangeri, da lei fondata dodici anni fa. «Ci troviamo dentro una geografia formidabile, alla fine del mondo o all’inizio di un altro mondo. Anche in città abbiamo una collocazione particolare, nella centralissima piazza del Grand Socco, frontiera tra medina e città “nuova”. Qui nel 1947 il sultano rivendicò l’indipendenza». A quel tempo il Marocco era dominato da francesi e spagnoli, e Tangeri era zona internazionale. La Cineteca è ospitata nel vecchio Cinema Rif, dalle forme art déco e dalle atmosfere d’altri tempi. Il progetto di Yto, però, l’ha resa un’isola di libertà tutta contemporanea, dove i giudizi della società tradizionale restano fuori dalla porta. Nella caffetteria del cinema, studenti,

gruppi di ragazze e gay si incontrano, studiano, bevono birra. Filmografia nazionale, ma anche una programmazione che si apre al mondo: Fassbinder, Hitchcock, Fellini e film più recenti. «Proponiamo un progetto che apra i confini, almeno sullo schermo. La chiusura delle frontiere è stata rilevante nella creazione dell’identità nazionale, ha provocato rabbia e asprezza». La costa spagnola, dall’altra parte del mare, pare a portata di mano: «Chi giunge da sud sente di essere pressoché arrivato: è una specie di messinscena che rende tutto più pericoloso – prosegue la fotografa –. Dieci anni fa lo Stretto era il più grande cimitero marocchino, oggi è uno dei più grandi d’Africa». Città letteraria C’è chi parte in canotto e chi, con la più moderna tecnologia, attracca a Tanger Med a bordo di portacontainer: a 35 chilometri dalla città sorge infatti questa zona franca dalle

imponenti piattaforme industriali e di logistica con un faraonico complesso portuale del cui dinamismo, però, poco beneficia la popolazione locale. «Un tempo i tangerini entravano in Spagna senza visto. Per raggiungere Casablanca, invece, si dovevano oltrepassare i due confini del Marocco spagnolo e del Marocco francese», ci racconta Simon-Pierre Hamelin della Librairie des Colonnes, in passato luogo di ritrovo per Samuel Beckett, Tennessee Williams e Mohamed Choukri, e oggi meta di pellegrinaggi letterari. «Chiuso il confine a nord, i tangerini sono stati costretti a girare le spalle al mare, a voltarsi verso l’interno e a scoprire una nazione per loro nuova. A volte mi arrabbio con l’Europa: il fatto di vederla sempre qui di fronte mi ricorda una certa politica e tutte le vittime causate dalle frontiere. Quando la Spagna scompare dalla vista, dietro le nuvole o la nebbia, si sta meglio».

Getty

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SPORT testo di Alberto Salza – foto di Eric Lafforgue

La dura legge del bastone

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ORIGINI E SIGNIFICATO DEI COMBATTIMENTI DONGA NELLA BASSA VALLE DELL’OMO, DIVENUTI UN’ATTRAZIONE TURISTICA

Nella Valle dell’Omo si perpetua da secoli il sanguinoso spettacolo del donga: un combattimento rituale coi bastoni che porta ferite e onore. Sia a chi vince, sia a chi perde. Gli sfidanti si presentano completamente nudi, per ostentare la prestanza del fisico e dimostrare la mancanza di armi improprie

Nel Sud dell’Etiopia i tradizionali duelli coi bastoni dei giovani mursi e surma sono un’occasione per ostentare forza e coraggio. Ma soprattutto un sistema efficace per risolvere conflitti e tensioni Prendersi a bastonate è un comportamento evolutivo. Lo fanno anche gli scimpanzé, oltre ai praticanti del kendoˉ, l’arte marziale giapponese che mitiga gli effetti della spada; a detta loro, la pratica richiede il mushin, la “mente vuota”. Non ne dubito. Quando ero tra i Boscimani del Kalahari, i bambini (maschi nel 90% dei casi) afferravano bastoncini e subito percuotevano il suolo, per poi aggredire chiunque si trovasse alla loro portata. Lo facevano, però, con la “faccia rilassata a bocca aperta”, come la definiscono gli etologi. In ogni caso il gioco violento era tollerato fino ai due anni di età. Dopo, gli adulti reagivano a “muso duro”, minacciando ritorsioni analoghe. I Boscimani sono cacciatori-raccoglitori e non devono difendere i campi, il bestiame o combattere i nemici. La violenza ritualizzata intraspecifica è invece propedeutica ai combattimenti contro i gruppi esterni. Tale violenza è una performance stereotipata in cui i partecipanti credono che le bastonate possano proteggere, purificare o arricchire di forza e coraggio i singoli partecipanti e il gruppo, tramite una misti-

ca del combattimento che va oltre il mondo sensoriale: non si prova dolore. Non per sport Questo è il caso di due popolazioni agropastorali nei pressi della Valle dell’Omo, i Mursi e i Surma (vedi box a pag. 68). Entrambe mantengono caratteristiche culturali specifiche, ma usano la lotta con i bastoni per lo stesso motivo: la gestione interna delle relazioni tra sezioni territoriali in conflitto, da connettersi a società (formazione di guerrieri) e sessualità (ricerca di partner matrimoniali). In ambo i casi, contrariamente a quanto suggerirebbe la sociobiologia, il successo nel combattimento non è valutato di per sé o per un qualche vantaggio riproduttivo, almeno in senso statistico: per loro, darsi bastonate non è uno sport e non permette di avere più fanciulle. La violenza ritualizzata di questi scontri, inoltre, è assai diversa da quella usata per difendersi o attaccare i vicini, oggetto di guerra perpetua. Era così anche quando i kalashnikov non avevano ancora invaso l’area, ai tempi della mia prima visita lungo il fiume Omo nei primi anni Ottanta. africa · 3 · 2019 67



Incitati dalla folla che li circonda, i duellanti impugnano minacciosi dei bastoni lunghi un paio di metri. I giovani guerrieri si scambiano bastonate a ripetizione senza risparmiarsi alcun colpo. In palio c’è l’onore personale e il rispetto della comunità


RELIGIONI testo e foto di Marco Trovato

Un missionario vulcanico

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REPORTAGE DALL’ARCIPELAGO DI CAPO VERDE SULLE ORME DI PADRE OTTAVIO FASANO, INFATICABILE PROMOTORE DI OPERE SOCIALI

Frate cappuccino di origini piemontesi, 82 anni, ha consacrato la sua vita alla popolazione capoverdiana. Per la quale ha costruito pozzi, scuole, ospedali… E piantato una vigna che produce vino e posti di lavoro Il sentiero acciottolato s’inerpica tra i filari del vigneto, passo dopo passo diventa più impegnativo, ma padre Ottavio Fasano, 82 anni, non arranca. «La pace che si respira quassù mi rinvigorisce», dice l’infaticabile frate cappuccino, barba bianca, sandali consumati dal tempo, croce francescana al collo, una camicia a righe al posto del saio. Con lo sguardo abbraccia i ventitré ettari della Vinha de Maria Chaves, un’oasi rigogliosa e produttiva realizzata dove un tempo non c’erano che

◀ Padre Fasano tra i filari della Vinha de Maria Chaves, un’oasi rigogliosa e produttiva realizzata là dove un tempo non c’erano che rovi e rocce laviche ▼ Il vulcano Pico do Fogo domina e scuote l’isola su cui vive il missionario. Tra la lava solidificata sono spuntate delle piante di vite

rovi e rocce laviche. «Nel silenzio contemplo la bellezza di questo posto, ringrazio Dio e gli amici che mi hanno sostenuto, cerco risposte ai miei dubbi e trovo ispirazione per avviare nuovi progetti». Le fatiche della vita non hanno sfiancato l’energia del missionario, uomo vulcanico e in perenne fermento, come l’isola di Fogo su cui vive da oltre cinquant’anni. Identità meticcia Ci troviamo nell’arcipelago di Capo Verde, un frammento d’Africa alla deriva a 500 chilometri dalle coste del Senegal. I primi a scoprire queste schegge di terra sospese nelle acque dell’Atlantico furono nel 1460 i navigatori portoghesi. Per secoli le avrebbero utilizzate come approdi strategici per le navi negriere dirette in America. Ben presto di-


▲ Il frate cappuccino ritratto ai margini del vigneto creato per promuovere lo sviluppo dell’isola di Fogo. Questo scorcio ha ispirato la creazione del marchio delle bottiglie la cui vendita finanzia i progetti sociali

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vennero esse stesse centri di destinazione di schiavi, impiegati nelle piantagioni di caffè, cotone e canna da zucchero. Nel corso dei secoli la loro posizione isolata richiamò fuggiaschi, avventurieri e perseguitati, facendo di queste isole un crogiolo di popoli e culture, labo-

ratorio meticcio, incrocio di destini umani. Oggi i suoi abitanti – poco più di mezzo milione, dalla pelle nera, bianca e di tutte le gradazioni intermedie – parlano il creolo, una lingua derivata dal portoghese che ha assorbito centinaia di parole di vari idiomi africani. «A saldare l’identità dei capoverdiani è la religione cattolica, giunta coi portoghesi agli inizi del XVI secolo e oggi professata dal 93% della popolazione», spiega Laurindo Vieira, noto giornalista televisivo, ai piedi del grande monumento a Giovanni Paolo II che domina la baia della capitale Praia. «In questo luogo Karol Wojtyla celebrò la messa durante

il suo storico viaggio apostolico del 1990. Un evento che accelerò il processo di democratizzazione del Paese. L’anno seguente, il Paicv, lo storico partito al potere dal 1975, anno dell’indipendenza, avrebbe ceduto il passo al Movimento per la democrazia (Mpd) nelle prime elezioni multipartitiche». Lo shock iniziale Le isole sono disseminate di chiesette color pastello, cappelle votive, piccole stazioni missionarie come quelle aperte dai cappuccini del Piemonte a datare dal 1947. Padre Ottavio, nato in un piccolo borgo del Cuneese, tra le Alpi e le Langhe, mai avrebbe immaginato di trascorrere



NEROsuBIANCO

ritagli dal sito di www.africarivista.it

Una riflessione sull’aereo precipitato Andrea Semplici

L’incidente del Boeing della Ethiopian Airlines, precipitato lo scorso 10 marzo, ha scosso l’opinione pubblica. Le 157 vittime (149 passeggeri e 8 membri dell’equipaggio) appartenevano a 33 nazionalità diverse, 8 erano italiani… Gli aerei di Ethiopian Airlines sono stati una delle mie case. Negli anni, decine di voli notturni da Roma verso Addis Abeba. Lo saranno ancora negli anni a venire. In Etiopia ho conosciuto Paolo Dieci e la sua ong, il Cisp, verso cui ho un debito di gratitudine. Ora sulla mia pelle ho una sensazione che non so raccontare: io conosco le sale di attesa dell’aeroporto di Addis Abeba, so quali corridoi Paolo ha percorso dopo essere sceso dall’aereo notturno da Roma, posso dirvi di cosa hanno parlato quei passeggeri che si sono ritrovati assieme in un aeroporto e in un destino. Conosco, senza conoscerle, Virginia e Maria Pilar. So del loro entusiasmo, della loro bravura. Conosco i settanta e più anni di Carlo e Gabriella, andavano in Sud Sudan per una speranza, per un futuro. Conosco, senza conoscerle, ognuna delle vittime di quell’aereo. Gli italiani e gli stranieri. Mia figlia ha preso quell’aereo, per le stesse ragioni, con gli stessi desideri di Virginia e Maria. Io ho preso quell’aereo. E continueremo a volare. Continueremo

Africa in lutto, Paolo ci ha lasciati…

Pier Maria Mazzola e Marco Trovato

Alessio Perboni

Questo numero di Africa non doveva chiudersi così. Con la notizia della scomparsa, il 12 aprile, di Paolo. Padre Paolo Costantini, 77 anni, missionario dei Padri Bianchi, è stato per anni l’anima “dietro le quinte” di questa rivista. Reggiano, è vissuto a lungo in Africa: in Algeria e soprattutto nella Rd Congo. Si è poi sentito allo stesso titolo missionario dedicandosi all’informazione; in particolare, a Bruxelles è stato l’anima di Anb-Bia, bollettino che, prima dell’avvento di internet, proponeva articoli di

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a pensare che non cambieremo il mondo, ma che qualche cosa dobbiamo pur fare. Non si può rimanere immobili, bisogna prendere quegli aerei. O camminare, qui, in Italia. Scorrete, maledizione, la lista dei passeggeri. Accade sempre questo dopo un dramma contemporaneo: ricordate l’incendio della Grenfell Tower a Londra? Settantanove vittime in uno stesso grattacielo. Si chiamavano Rania, Marien, Abdul, Marco, Gloria, Nura, Amalahmedin, Zainab, Farah, Anthony, Mohammed… Possibile che non si capisca quello che è sotto i nostri occhi? Accadde lo stesso quando ci accorgemmo di chi si trovava nelle Twin Towers in una mattina di settembre di diciotto anni fa. Trovo insopportabile che Il Giornale titoli “Strage della bontà”. Gli uomini e le donne saliti su quell’aereo non erano buoni, erano persone normali che credevano nella possibilità di un mondo migliore, più giusto, più saggio. Erano persone tenaci, capaci di lavorare per gli altri. Non erano solo italiani, non sapremo mai le storie di Abdul o di Karl, di John o di Kant. Ma io so che sono uomini e donne di 33 Paesi diversi ed erano seduti uno accanto all’altro: un marocchino e un israeliano, cinesi vicini a canadesi e a uno slovacco, inglesi che parlavano con francesi e le ragazze italiane che chiacchieravano con qualcuno che parlava spagnolo. Ecco, questo è il mondo. Il mondo che ci è attorno, basta volerlo vedere. Le tragedie, ingiuste, feroci, spesso colpevoli, ci rivelano quello che non vogliamo vedere: che il mondo è già cambiato. Immagino quell’aereo e so che nessuno di quegli uomini e di quelle donne si sentiva fuori posto. Si vive e si muore assieme. È un mondo meticcio.

giornalisti africani e che veniva molto seguito da quanti si occupavano di informazione sul continente. «Ho vissuto la mia vocazione missionaria prima in Africa e poi nei media. Esperienze che mi hanno arricchito e alle quali tengo entrambe», ci ha confidato nel corso di una vivace riunione di redazione due giorni prima di morire. Al suo ritorno in Italia gli fu affidata l’amministrazione della rivista, compito delicato che include molte attività. Consapevole del declino anagrafico della sezione italiana del suo istituto, ma non rassegnato a veder spegnere la voce di questa rivista quasi centenaria, padre Paolo ne ha convintamente e coraggiosamente accompagnato la transizione a una nuova proprietà, laica, vigilando comunque sul mantenimento dell’ispirazione di questo bimestrale “figlio” dei Padri Bianchi. Chiunque lo abbia conosciuto non può dimenticare la sua giovialità e convivialità, la libertà di spirito, la disponibilità, l’espressione di una fede cristiana profonda ma tutt’altro che bigotta. Paolo, davvero a tutti ci mancherai. Tanto. ◀ Padre Paolo Costantini all’ultima riunione di redazione di Africa, tenutasi due giorni prima della sua morte improvvisa

africa / INVETRINA · 3 · 2019


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