Africa n°4 2019

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AFRICA N. 4 LUGLIO-AGOSTO 2019 - ANNO 98

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Sudafrica

La piaga delle Formiche Rosse Camerun

Canoe di plastica Mozambico

Easy Rider a Maputo Natura

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

I segreti del re leone

Mauritania

SCRIGNO DI MAGIE


i seminAri di AFRICA

MISSIONE • CULTURA

FOTOREPORTAGE

RACCONTARE LUOGHI E PERSONE ATTRAVERSO LE IMMAGINI a cura di

ALESSANDRO GANDOLFI (fotoreporter agenzia Parallelozero)

MILANO 12 E 13 OTTOBRE 2019

Quota di partecipazione: 180,00 euro – 150,00 euro per gli abbonati Sconto Extra di 20,00 euro per gli studenti universitari Posti limitati in collaborazione con

Programmi: www.africarivista.it

informazioni e adesioni: info@africarivista.it

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Sommario

LUGLIO - AGOSTO 2019, N° 4

COPERTINA 46

Mauritania, scrigno di magie

3

EDITORIALE Un francobollo (e un incontro) speciale

di Elena Dak e Marco Trovato di Marco Trovato

ATTUALITÀ 4 prima pagina di Raffaele Masto 6 colpo d’occhio di Marco Trovato NOVITÀ

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

8 panorama di Enrico Casale

Formiche Rosse, incubo sudafricano di L. Simoncelli e J. Oatway Uganda. Troppi profughi dal Sud Sudan? di Daniele Bellocchio 20 Burundi senza luce di François Misser 24 Guerra a internet di Marco Trovato 10

16

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

Marco Trovato WEB

Enrico Casale e Marco Simoncelli (news) Raffaele Masto (blog) SEGRETERIA E UFFICIO STAMPA

SOCIETÀ Canoe ecologiche dal Camerun di Valentina G. Milani e Alessio Perboni 34 Madri per scelta o per forza? di Michele Usuelli 38 Kenya. Va’ dove ti porta il vento… e il cuore di Irene Fornasiero 42 Mozambico. Easy Rider dal Biafra a Maputo di Marco Simoncelli 28

Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Patrizia Scotti e Valeria Gusmini

NATURA

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

54

Claudia Brambilla PROPRIETÀ

Internationalia Srl EDITORE

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi PUBBLICITÀ

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Si ringrazia Parallelozero In copertina: Marco Trovato Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand STAMPA

Jona - Paderno Dugnano MI Periodico bimestrale - Anno 98 luglio-agosto 2019, n. 4 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n. 713/48 SEDE

Viale Merisio, 17 - C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it www.africarivista.it Africa Rivista @africarivista @africarivista africa rivista UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

I segreti del re leone

di Gianni Bauce

CULTURA Kapuściński da vicino di Andrea Semplici L’uomo che riscrisse la storia di Raffaele Masto 64 Cartoline dal futuro di Marco Trovato e Olalekan Jeyifous

60 63

SPORT 68

La grande festa del calcio africano

di Claudio Agostoni

RELIGIONI 72 74

Ciao, Paolo – Omaggio a padre Paolo Costantini di Marco Trovato Malawi. Ho imparato i ritmi dell’Africa di M. Simoncelli e G. Diffidenti

INVETRINA

85 GrAfric Novel di Roberto Morel Eventi di Valentina G. Milani 86 Sapori di Irene Fornasiero 80 CalendAfrica di P.M. Mazzola 87 Solidarietà di Valentina G. Milani 81 Arte di Stefania Ragusa 82 Vado in Africa di Martino Ghielmi 88 Viaggi di Marco Trovato 91 Bazar di Giusy Baioni 83 Musica di Claudio Agostoni 92 NerosuBianco di Michela Mercuri 83 Glamour di Stefania Ragusa 84 Libri di Pier Maria Mazzola 80


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*contiene l'archivio della rivista dal 2008 AFRICA N. 4 LUGLIO-AGOSTO 2019 - ANNO 98

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ONE DAY IN AFRICA

NE DAY IN AFRICA V E N T I Q UAT T R O

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IN OMAGGIO il volume fotografico One Day in Africa a chi sceglie una delle tre tipologie di abbonamento in promozione

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Un francobollo (e un incontro) speciale Avevo 16 anni quando decisi di andare per la prima volta in Africa. Era il 1989. I giovani di Piazza Tienanmen sfidavano i carri armati, a Berlino stava per crollare il Muro, i Simple Minds cantavano Mandela Day. Al cinema usciva L’attimo fuggente, con Robin Williams nei panni di un insegnante speciale: «Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse – confidava ai suoi studenti, rapiti –. E il mondo appare diverso da quassù». Anch’io ero in cerca di nuove prospettive. Ero venuto a conoscenza dell’opportunità di partecipare a un campo estivo in una missione nel Nord del Kenya. Feci di tutto per non perdere l’occasione. Non fu facile convincere i miei ma alla fine acconsentirono, a condizione che mi pagassi il viaggio. Così, finita la scuola, passai due mesi a lavorare: di giorno distribuivo volantini, la sera servivo in un bar. Ero attratto dall’Africa come da un magnete irresistibile. Che cosa mi spingeva? Non ne avevo la minima idea e per lungo tempo non ho saputo darmi una spiegazione. L’ho capito solo di recente, quasi per caso, quando mio padre – che conserva come reliquie i ricordi famigliari – mi ha chiesto di fare ordine nella sua cantina dove aveva accatastato i miei quaderni di scuola. Ho fatto una scoperta che mi ha lasciato a bocca aperta. Mentre curiosavo tra pile di fogli ingialliti e impolverati, mi è capitato tra le mani un taccuino di terza elementare. «Ricerca sul continente africano» c’era scritto a grandi (e incerti) caratteri. In copertina c’era appiccicato un vecchio fran-

cobollo della Guinea: una donna con un cesto di frutta sulla testa circondata da palme e capanne. Alla vista di quel rettangolino colorato, le nebbie della memoria hanno cominciato a diradarsi. Era stato un vecchio missionario a regalarmi quel francobollo, al termine di un incontro che tenne nella mia scuola. Non ricordo il suo nome né il volto. Ma il suo racconto dovette toccarmi e mi spinse ad approfondire il tema. Quel francobollo divenne per me una sorta di finestra su un mondo misterioso e affascinante che avrei voluto visitare, prima o poi. Oggi mi viene da ripensare a quell’episodio ogni volta che mi trovo a parlare d’Africa a dei giovani. In cuor mio spero di trasmettere una passione o almeno una visione che stimoli curiosità, conoscenza, voglia di viaggiare. Ognuno cresce plasmato dall’educazione che riceve, dalle frequentazioni che ha, dalle esperienze che fa. Genitori, insegnanti e amici sono cruciali nella nostra formazione. Ma poi capitano incontri fortuiti e fugaci con estranei capaci di lasciare un segno indelebile: basta un loro gesto o parola per illuminarci la strada. Prima che spariscano all’improvviso, in un baleno com’erano comparsi. Sono passati trent’anni dal mio primo viaggio in Africa. Sarò per sempre grato a quel missionario che ha sfiorato la mia vita cambiandola per sempre. È stato un attimo, eppure è bastato. Come una meteora che lascia una scia persistente e luminosa. Marco Trovato

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri in formato cartaceo e/o digitale) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · carta:Italia: 35 €; Estero 50 €; Svizzera: 45 Chf · digitale (pdf): 25 €/Chf · carta + digitale - Africa Social Club Italia/Svizzera: 50 € / Chf Estero: 60 € · Africa + Nigrizia: 60 € (anziché 70 €)

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T088 9953 6400 0000 0001 315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

Per informazioni: segreteria@africarivista.it


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La rivoluzione popolare che ha costretto alle dimissioni Omar al-Bashir non si è accontentata dell’uscita di scena del dittatore. I manifestanti vogliono una vera svolta democratica. Hanno già pagato un prezzo altissimo: decine di morti e centinaia di feriti. La loro lotta, un segnale per tutta l’Africa, è ancora in corso mentre scriviamo

Sulla carta i dimostranti hanno vinto. Chiedevano che Omar al-Bashir, il generale che ha governato il Paese dal 1989, uscisse di scena. Dopo quattro mesi di proteste e manifestazioni hanno conseguito il loro obiettivo, l’odiato dittatore è stato costretto alle dimissioni e messo in galera, sostituito da Ahmed Awad Ibn Auf, primo vicepresidente e ministro della Difesa. I dimostranti – espressione più genuina di quella che viene chiamata “società civile”, cioè commercianti, professionisti, artigiani, giovani, studenti – al gioco non ci sono stati. Hanno respinto questo cambio cosmetico al vertice che di fatto lasciava tutto immutato. Che avrebbe consentito anzi ai militari al potere di disfarsi di un personaggio ormai imbarazzante come Bashir, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e genocidio in Darfur. La loro determinazione ha scatenato la sanguinosa repressione del regime. I dimostranti però continuano. Esigono una svolta vera, un cambio radicale, un governo di civili, laico, dunque con l’annullamento della sharia, la legge coranica, e con una larga rappresentanza femminile. COME ANDRÀ A FINIRE? La crisi sudanese ha coinvolto l’Unione Africana e alcune potenze regionali, come l’Arabia Saudita, che hanno tentato una mediazione, ma le proteste si sono fatte più ardite, con presidio permanente davanti alla sede dell’esercito a Khartoum ed esposizione in strada di libri, riviste e giornali in un Paese che, secondo i dettami della sharia, vieta rigidamente qualunque pubblicazione che non sia strettamente religiosa o di regime. Al momento in cui scriviamo, il Sudan è sotto la repressione: la polizia ha caricato i dimostranti, causando morti e feriti. I militari non vogliono concedere un governo di civili vero perché ciò significherebbe perdere realmente il potere. Allo stesso tempo, il forte partito islamico, il Fin, dello storico leader – oggi defunto – Hassan al-Turabi che nei primi anni era stato il teorico del regime e il puntello di Bashir, non può accettare che l’islam non detti africa · 4 · 2019

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SUDAN, UNA LOTTA CHE PARLA AL CONTINENTE

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NEWSMasto di Raffaele NEWS

più legge e comportamenti. Il Paese, insomma, oscilla tra due posizioni contrapposte. Forse chi legge questo articolo sa già da che parte è andato il Sudan: sarà rimasto ancorato al passato, guidato da personaggi anacronistici, onnivori, incapaci di pensare al bene del proprio popolo? O si sarà avviato verso un futuro nel quale finalmente gli africani potranno dire la loro, liberi da tiranni e dittatori? SVOLTE ATTESE. E PROVOCATE Ecco, in queste due domande è riassunta la valenza continentale della lotta dei sudanesi. L’Africa governata da dittatori eterni come Paul Biya in Camerun, Sassou N’Guesso in Congo (Brazzaville), Teodoro Nguema in Guinea Equatoriale, Isaias Afewerki in Eritrea, Paul Kagame in Ruanda, Pierre Nkurunziza in Burundi, oppure da dinastie familiari come i Bongo in Gabon e gli Eyadéma in Togo, oppure da oligarchie inamovibili come quelle di Algeria, Mozambico, Angola, è ad una svolta. Per motivi biologici, buona parte di questi dittatori so-

Ozan Kose / Afp / Getty

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no arrivati al capolinea e la domanda cruciale è: che cosa c’è, per esempio, dopo Biya in Camerun? E dopo Afewerki in Eritrea? E cosa ci sarà in Algeria dopo la vittoriosa lotta di popolo contro Bouteflika? In molti Paesi la popolazione, i giovani, la società civile non hanno atteso l’uscita di scena per motivi di età dei dittatori: ci sono state eroiche proteste della popolazione e dei giovani che hanno lasciato sulla strada centinaia di vittime. In alcuni casi (Gabon, Togo, Burundi) le rivolte popolari non hanno sortito i risultati sperati. Altrove hanno avuto successo.

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RIVOLTE O RIVOLUZIONI In Burkina Faso, per esempio, nel 2014 le manifestazioni hanno costretto il dittatore Blaise Compaoré a fuggire dopo trent’anni al potere, come in Gambia, dove nel 2016 Yaya Jammeh ha dovuto validare elezioni che lo vedevano perdente e ha lasciato il Paese. Ma ci sono anche Paesi che hanno messo in piazza grandi mobilitazioni e si sono ritrovati con appena dei cambi cosmetici. Il caso più clamoroso è la Repubblica democratica del Congo, dove, dopo due anni di proteste di piazza, si è riusciti a votare e Joseph Kabila ha lasciato, sì, il trono, ma dopo un accordo sottobanco con il vincente, Félix Tshisekedi, figlio dello storico oppositore Étienne, che di fatto lo manterrà nelle stanze del potere. Oppure è il caso delle Primavere arabe, dove gli ideali democratici e progressisti sono stati traditi e soffocati. Ecco perché la lotta dei sudanesi è simbolica. Se diventerà una vera rivoluzione sarà di esempio alle proteste che già agitano molti Paesi. Da queste potrebbe uscire, tra qualche anno, un’Africa nuova.

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NEWS di Marco Trovato

NAMIBIA, ALLARME SICCITÀ «Siamo affrontando uno dei più gravi disastri naturali della nostra storia». Il presidente della Namibia Hage Geingob richiede l’aiuto internazionale per affrontare la carestia innescata dalla prolungata siccità che minaccia mezzo milione di persone (un quinto della popolazione) bisognose di cibo e acqua.

MALAWI, VACCINO ANTIMALARICO In questo che è uno dei Paesi più poveri del continente, ha preso il via la sperimentazione del vaccino antimalarico Mosquirix. «È un test storico, che potrebbe salvare la vita di milioni di persone», ha spiegato l’Organizzazione mondiale della sanità ricordando che in Africa ogni anno oltre 250.000 bambini muoiono di questa malattia.

Pxhere

Michele Cattani / Afp

MALI, I MURATORI DI ALLAH Lo spettacolare restauro della moschea di Djenné. Ogni anno, dopo la stagione delle piogge, gli abitanti di questa cittadina del Mali riparano l’antico e imponente edificio fatto di argilla. La cerimonia del crépissage era un’attrazione turistica, ma da qualche anno, complice l’insicurezza della regione, non ci sono testimoni occidentali.


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io ediz

Dialoghi sull’ AFRICA

MISSIONE • CULTURA

A Milano un week-end di incontri per capire, conoscere e confrontarsi Sabato 23 e Domenica

24 Novembre

WORKSHOP

Venerdì 22 Novembre CONVEGNO “IL VIAGGIO E L’INCONTRO” con:

Quota di partecipazione: 220 e - studenti 170 e 20 e di sconto a chi si iscrive entro il 30 settembre Ulteriori agevolazioni per gli abbonati Africa Social Club

Marco Aime, Maurizio Ambrosini, Mohamed Ba, Emma Bonino, Enrico Casale, Cristina Cattaneo, Maurizio Davolio, Enrico de Luca, Davide Demichelis, Monique Diarra, Mario Giro, Eugene Kongnyuy, Francesca Mannocchi, Raffaele Masto, Pier Maria Mazzola, Florence Omorogieva, Leonardo Palmisano, Gigi Pezzoli, Adriana Piga Alberto Salza, Andrea Semplici, suor Dorina Tadiello, Jean-Léonard Touadi, Angelo Turco, Marco Trovato, Michele Usuelli, Arturo Varvelli, Massimo Zaurrini, Emanuela Zuccalà

in collaborazione con

ITALIA

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ATTUALITÀ testo di Lorenzo Simoncelli – foto di James Oatway

Formiche Rosse, incubo sudafricano


LAVORANO PER COMPAGNIE DI SICUREZZA PRIVATE SPECIALIZZATE IN SGOMBERI. SONO L’INCUBO DI POVERI E IMMIGRATI

Le chiamano Red Ants, "Formiche Rosse", per via del colore delle uniformi che indossano durante i loro raid. Intervengono per eseguire sfratti e demolizioni di baracche abusive. Ma sono esse stesse vittime di una guerra infernale I canti degli anni di lotta contro l’apartheid risuonano alle prime luci dell’alba. La loro eco si disperde per le aree desolate dei centri urbani di un Paese dove le ferite della segregazione razziale sono, a 25 anni di distanza, ancora evidenti. Intanto, vestiti con tute da lavoro rosso fuoco, indossando elmetti protettivi e brandiscono spranghe d'acciaio, ex membri dell’esercito e poliziotti non più in divisa guidano un esercito ◀ Due bimbi vengono allontanati di forza durante lo sgombero di un palazzo occupato in Bree Street, a Johannesburg ▼ Una squadra anti-abusivi che ha fatto irruzione in un sobborgo di Johannesburg spara sui residenti che resistono

di 600 “soldati”, soprattutto ex minatori disoccupati, pronti a sgomberare, per 10 dollari al giorno, migliaia di senzatetto che occupano gli edifici abbandonati dalla borghesia bianca alla fine degli anni Ottanta. Guerra tra poveri La pace è finita. Sono arrivate le “Formiche Rosse” (Red Ants), la più temuta e rinomata squadra di pronto intervento per le operazioni di sgombero di occupanti abusivi in Sudafrica. Fondate da Johan Bosch, ex proprietario terriero bianco ora attivo nell’edilizia, le Formiche Rosse, così chiamate per il colore della loro divisa e la capacità di infiltrarsi nei meandri degli edifici abbandonati, rappresen-

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tano la prima linea di una battaglia quotidiana che rischia di spaccare la società sudafricana ancor più di quanto già non lo sia. La popolazione aumenta, così come il numero dei rifugiati da altri Paesi africani, le amministrazioni locali non sono in grado di gestire le richieste di sfratto da parte dei costruttori privati, e appaltano i servizi di rimozione forzata alle Formiche Rosse. È in corso una guerra tra poveri, dove vittime e carnefici fanno parte dello stesso girone infernale. Si conoscono, parlano la stessa lingua e si rincorrono nei meandri di squallidi labirinti dove crimine e disperazione si intersecano e prevalgono. Uno sporco lavoro Anche alcune delle Formiche Rosse, in passato, furono costrette a occupare gli stessi posti. Spacciatori e prostitute sono i primi a lasciare gli edifici ◀ La disperazione e l’angoscia di due donne, durante le fasi di sgombero e abbattimento delle loro baracche. In pochi istanti perderanno l’unico rifugio su cui potevano contare ◀ Battaglie con sassi e spranghe durante lo sfratto di un insediamento abusivo. Le richieste di sfratto da parte dei costruttori privati sono state appaltate dalle autorità a compagnie private in cui operano molti ex soldati e poliziotti ◀ Un residente afferra ciò che può mentre le Formiche Rosse sfrattano i residenti e distruggono un insediamento informale a Pomona, nei pressi di Johannesburg

diroccati, in precedenza abitati dall’élite sudafricana, e trasformatisi con il tempo in roccaforti del malaffare a causa della bolla immobiliare degli anni Novanta. Stranieri irregolari e famiglie con bambini sono i più restii ad abbandonare dei locali squallidi chiamati “casa”. Non mancano le scene in cui figli e genitori vengono separati per evitare che si perpetuino violenze contro i minori. «A nessuno piace fare questo lavoro, ma la domenica in chiesa prego per la mia anima e sono sicuro che Dio capisce perché lo sto facendo», spiega Sikhumbuzo Dlamini, un leader delle Formiche Rosse. Quando va bene, le operazioni durano poche ore. Il tempo di distruggere quanto di precario era stato costruito per evitare ritorni immediati. Solo i materassi vengono impilati e caricati sui camion. Ma l’aumento della povertà e l’insufficiente offerta abitativa sta rendendo le operazioni di sfratto sempre più complesse, trasformandole in guerriglie urbane, con morti e feriti da ambo le parti. «È come se fossimo in guerra, siamo lontani dalle nostre famiglie e il nostro unico obbiettivo è vincere questa battaglia», soggiunge Sikhumbuzo. Senza pietà La frequenza aumenta quando lo scontro si trasferisce dai centri urbani alle periferie delle grandi città come Pretoria,



ATTUALITÀ di François Misser

Burundi senza luce

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NEL CUORE DELL’AFRICA UN PICCOLO PAESE SPROFONDA NELL’OBLIO E S’INABISSA NELLA DITTATURA

L’ostinazione del presidente Nkurunziza di restare al potere ha isolato il Burundi, bloccato l’economia, soffocato la democrazia e innescato una pericolosa spirale di violenza. Oppositori, attivisti e giornalisti rischiano la vita Trentacinque organizzazioni non governative hanno lanciato un SOS alla comunità internazionale per aiutare i circa 350.000 burundesi fuggiti dal loro Paese e rifugiatisi in Tanzania, Ruanda, Rd Congo e Uganda. Le organizzazioni sono allarmate per la «mancanza d’interesse» per questa crisi umanitaria dalle conseguenze tragiche: le razioni alimentari sono ridotte e le aule scolastiche nei campi profughi sono così strapiene che gli alunni vanno a lezione sotto gli alberi. L’oblio minaccia anche le vittime delle violazioni dei diritti umani all’interno del Burundi, dove la repressione rischia di non avere testimoni. L’Alto commissariato Onu per i diritti umani, infatti, il 4 marzo è stato costretto ad annunciare la chiusura definitiva dei suoi uffici nella capitale Bujumbura su richiesta delle autorità burundesi. Il governo, inoltre, nel settembre 2018 aveva dato tre mesi alle

◀ Un uomo nella sede del Parlamento a Bujumbura davanti a un murales su cui campeggiano le foto dei presidenti del Burundi. La prima a sinistra, più grande, ritrae Pierre Nkurunziza

organizzazioni straniere per adeguarsi a una legge che impone di reclutare il personale locale in base a quote etniche. Alcune, come Handicap International o Avvocati senza frontiere, hanno preferito lasciare il Paese piuttosto che rassegnarsi a una “schedatura etnica” che evoca le pratiche in atto prima del genocidio ruandese. La misura ha avuto la conseguenza di ostacolare le attività di 130 ong internazionali. I burundesi rischiano di ritrovarsi soli davanti a un potere sempre più arbitrario. In occasione dell’esame della situazione del Paese a Ginevra, lo scorso febbraio, la portavoce dell’Alto commissario per i diritti umani, Ravina Shamdasani, si è detta preoccupata per la moltiplicazione degli abusi nel Paese: ha parlato di omicidi e di 11.050 presumibili arresti e detenzioni arbitrarie negli ultimi due anni. «Clima generale di impunità» Secondo Human Rights Watch, che denuncia anche stupri, sequestri, percosse e atti di intimidazione su presunti oppositori, la maggior parte delle violenze più gravi si sono registrate nel periodo preafrica · 4 · 2019 21

Phil Moore/Afp/Getty



«Guida suprema eterna» Ma le critiche dell’opposizione e della diaspora scivolano via come l’acqua sulle penne delle anatre del Lago Tanganica. Perché il presidente si reputa inve-

Marco Longari / Afp Stringer / Afp / Getty Sven Torfinn/ Panos / Luz

E il soldo dei caschi bianchi? Il governo fa sempre più fatica ad alimentare le casse del Tesoro. E allora tutti i mezzi sono buoni. Per esempio, intercettare un terzo della mensilità (circa mille dollari) dei 5400 caschi bianchi della Missione dell’Unione Africana in Somalia. Per di più, come rileva l’Osservatorio della lotta alla corruzione e alle malversazioni economiche, i dollari vengono cambiati dalla Banca centrale burundese a un tasso inferiore a quello degli uffici di cambio, e questo denaro, che avrebbe dovuto migliorare le condizioni generali dell’esercito, non figura nel bilancio generale dello Stato.

stito di una missione divina. La grande sacerdotessa del culto riservato alla sua personalità è sua moglie, Denise Bucumi, pastora dell’Église du Rocher, una Chiesa evangelica divenuta, secondo il politologo francese Thierry Vircoulon, l’anticamera del potere. Vi si sono affiliati tutti i membri del governo. E “lui” è a un passo dal credersi infallibile: l’11 marzo 2018 è stato proclamato «Guida suprema eterna» dal suo partito, il “Consiglio nazionale per la difesa della democrazia – Forze per la difesa della democrazia”, in un’atmosfera da Corea del Nord. E guai a chi non tratta il caro leader con i dovuti riguardi! Due responsabili del Comune di Kiremba sono stati accusati, nel marzo 2018, di «complotto contro il presidente» dopo che – nel corso di un’amichevole tra la locale squadra di calcio e l’Alléluia FC di Nkurunziza, anche lui in calzoncini corti – alcuni giocatori del club locale avevano un po’ maltrattato, in qualche azione di gioco, un capo dello Stato che si crede l’Andrea Belotti nazionale…

▶ Un poliziotto arresta un manifestante anti-Nkurunziza ▶ Il dolore di una donna che ha appena appreso la notizia della morte del marito avvenuta durante uno scontro a fuoco nel villaggio di Ruhagarika, nel nordovest del Burundi ▶ Cortei di protesta a Bujumbura, dove la tensione permane alta

Sven Torfinn/ Panos / Luz

di questo Paese ricco di nichel e di terre rare, che non il desiderio di migliorare la vita della popolazione. È il caso del palazzo presidenziale di quattro piani, del costo di 20 milioni di dollari, edificato a Bujumbura su un immenso lotto di 40 ettari: è stato consegnato a Pierre Nkurunziza il 14 febbraio scorso, e la sua utilità è tanto più discutibile in quanto nel frattempo il presidente aveva deciso, a dicembre, il trasferimento della capitale a Gitega, cittadina che fu sede della corte reale prima dell’indipendenza.


ATTUALITÀ di Marco Trovato

Guerra a internet

Manifestanti sudanesi protestano coi loro cellulari, a fine aprile, davanti al quartier generale dell’esercito a Khartoum: chiedono un governo civile dopo aver ottenuto le dimissioni del presidente 24 africa · 4 · 2019 Omar al-Bashir

Ozan Kose / Afp

Con il boom della Rete, in Africa si moltiplicano i casi di censura e i tentativi di manipolazione da parte dei governi, preoccupati di controllare l’opinione pubblica e di contrastare la voce di oppositori e attivisti. Ma la rivoluzione del web non si ferma


Connessioni interrotte, navigazione impraticabile, niente accesso ai social network. Il blackout di internet imposto dai governanti africani sta diventando una consuetudine: alla vigilia delle elezioni più delicate, nei momenti di tensione della vita politica, in concomitanza di proteste di piazza. Ma può diventare la normalità. Una disposizione precauzionale «adottata per motivazioni di ordine pubblico e di sicurezza nazionale».

In Ciad, i social network sono irraggiungibili da oltre un anno. Non va meglio in Eritrea, nazione-prigione che vanta un duplice primato negativo: è all’ultimo posto nella classifica della libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere e si trova (con il Centrafrica) in fondo alla graduatoria delle nazioni africane per numero di utilizzatori del web. Poco più dell’1% della popolazione – quella legata al regime autoritario di Isa-

ias Afewerki – ha il privilegio di poter navigare. I drappelli di turisti che si muovono tra Asmara e Massaua possono accedere solo parzialmente alla Rete coi wi-fi di hotel opportunamente filtrati. Repressione Oltre a questi casi eclatanti, da più parti si moltiplicano le notizie di censure e di interruzione del web. In Benin, poche settimane fa, in occasione delle elezioni generali (da cui era sta-

ta esclusa l’opposizione!), la connessione internet è stata limitata e l’accesso ai social network interdetto. Situazioni analoghe in Gabon, Rd Congo, Zimbabwe, Camerun, Togo, Gibuti, Gambia, Uganda, Burundi, Burkina Faso… Sempre in occasione di tornate elettorali o mobilitazioni di piazza. I governanti giustificano il giro di vite come una misura necessaria per contrastare, di volta in volta, le fake news, tentativi di

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DIFFUSIONE DI INTERNET IN AFRICA Paesi

Popolazione (in milioni)

Utenti internet (in milioni)

Percentuale di utilizzatori

Utenti Facebook (in milioni)

Algeria 42,7 21 49,2% 19 Angola 31,8 7 22,3% 27,5 Benin 11,8 3,8 32,2% 0,9 Botswana 2,4 0,9 38,9% 0,8 Burkina Faso 20,3 3,7 18,2% 0,8 Burundi 11,6 0,6 5,3% 0,4 Capo Verde 0,6 0,3 50% 0,2 Camerun 25 6, 2 24% 2,7 Ciad 16 0,7 4,9% 0,2 Congo 5,5 0,6 11,7% 0,5 Costa d’Avorio 25,5 6,4 25,6% 3,8 Gibuti 1 0,2 20% 0,2 Egitto 102 49 48,7% 35 Guinea Eq. 1,4 0,3 23 0,1 Eritrea 5,5 0,1 1,3% 0,1 Etiopia 110 16,5 15% 4,5 Gabon 2 1 50% 0,7 Gambia 2 0,4 20% 0,3 Ghana 30 10 33,6% 5 Guinea 13,4 1,6 12% 1,5 Guinea-Bissau 2 0,2 5,7% 0,1 Kenya 52 43 83% 7 Liberia 5 4 81% 4 Libia 6,5 3,8 58% 3,5 Madagascar 27 1,9 7% 1,7 Malawi 19 1,8 9,3% 0,7 Mali 19,7 12,5 63% 1,5 Mauritania 4,6 0,8 17,5% 0,8 Mauritius 1,3 0,8 63% 0,7 Marocco 36,7 22,6 62% 15 Mozambico 31,5 5,3 17% 1,8 Namibia 2,6 0,8 30% 0,6 Niger 23 1 4,1% 0,4 Nigeria 201 112 56% 17 Rep. Centrafr. 5 0,3 5,2% 0,1 Rd Congo 87 5,2 5,9% 2,1 Ruanda 13 3,7 30% 0,5 Senegal 17 9,8 58,2% 3 Sierra Leone 8 1 11,4% 0,5 Somalia 16 1,2 7,5 % 1,1 Sudafrica 5 31 53,5 % 16 Sud Sudan 13 2 17% 0,2 Sudan 42,5 12 28 % 2,6 Tanzania 61 23 38 % 6,1 Togo 8 0,9 11 % 0,6 Tunisia 12 8 70 % 6,5 Uganda 46 19 42 % 2,6 Zambia 18 7 40 % 1,6 Zimbabwe 17 7 45% 0,9 TOT AFRICA 1.300 Resto del mondo 6.500 TOT MONDO 7.800

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474 3.870 4.344

35,9% 60,2% 56,1%

204 2.000 2.204

colpi di Stato, incitamenti all’odio razziale, attività terroristiche, minacce secessionistiche. Ma, come dimostra una ricerca dell’organismo indipendente Cipesa (Ict Policy in East and Southern Africa), con sede in Uganda, il 77% dei casi di blocco di internet registrati negli ultimi due anni in Africa sono stati decisi per soffocare il dissenso. «Gli Stati che hanno bloccato con più frequenza il web sono gli stessi che si trovano in fondo alla classifica delle libertà fondamentali garantite ai loro cittadini», chiariscono i ricercatori. E osservano: «Nessun problema si è registrato in Paesi che vantano solide (ancorché imperfette) democrazie come Botswana, Capo Verde, Ghana, Sudafrica o Mauritius». In Etiopia, prima dell’avvento al potere del primo ministro Abiy Ahmed, il leader africano più giovane (43 anni) e riformista del momento, il governo aveva imposto un rigido controllo sul web. Con la proclamazione dello stato di emergenza, a inizio 2018, era stato interdetto l’accesso ai social network e ai siti di informazione indipendenti. In quei mesi Addis Abeba reprimeva con la forza le proteste degli Oromo. Malgrado il blocco delle connessioni, alcune immagini e notizie delle violenze erano filtrate fuori dai confini. E in breve tempo si erano diffuse in tutto il mondo, a dimostrazione che oggi è impossibile sigillare totalmente le comunicazioni.

In piazza coi cellulari Ogni volta che un governo ha stretto le maglie della censura sul web, i giovani hanno trovato il modo di farsi beffa dei divieti. Come? Per esempio, utilizzando le Vpn, “reti private virtuali” che consentono di navigare senza essere controllati, in quanto nascondono il proprio indirizzo Ip aggirando dunque i blocchi imposti ad alcuni siti. Di recente, gli apparati di sicurezza di regimi (apparentemente) granitici come quelli di Omar al-Bashir (Sudan) e di Abdelaziz Bouteflika (Algeria) non sono riusciti a spegnere gli echi delle rivolte che si sono propagati nel web mobilitando decine di migliaia di manifestanti. Le rivoluzioni (pacifiche) sono state innescate e alimentate da moltitudini di attivisti armati di smartphone. Com’era avvenuto durante le primavere arabe in Egitto e in Tunisia, i rivoltosi si sono coordinati sfruttando la comunicazione digitale. Coi loro telefonini hanno indetto le manifestazioni di protesta, annunciato i luoghi di ritrovo, diffuso notizie sui movimenti di polizia e militari, documentato in presa diretta ciò che avveniva in piazza e divulgato notizie a una platea globale. È diventato virale il video di quella giovane donna sudanese vestita di bianco, ripresa mentre intona una canzone di protesta. Un’altra immagine-simbolo delle proteste a Khartoum (pagine precedenti) mostra una marea di manifestanti accendere le luci di



SOCIETÀ testo di Valentina Giulia Milani – foto di Alessio Perboni

Canoe ecologiche dal Camerun


PER PROTEGGERE L’AMBIENTE, UN GRUPPO DI GIOVANI VOLONTARI COSTRUISCE PIROGHE CON BOTTIGLIE DI PLASTICA VUOTE E LE REGALA AI PESCATORI

La città portuale di Douala rischia di vedersi sommergere da fiumi di rifiuti. Ma ogni settimana gli attivisti di Madiba & Nature ripuliscono i torrenti invasi dalla plastica. E riciclano le bottiglie con un’idea geniale In una delle città note in tutto il continente africano per il fermento artistico che la contraddistingue, potrebbe quasi sembrare un’installazione d’arte contemporanea realizzata per sensibilizzare la popolazione sulla protezione dell’ambiente. Purtroppo, però, il fiume di plastica che scorre nel cuore di Douala, capitale economica del Camerun, non è che una delle tante, reali, conseguenze dell’inquinamento. «Le persone gettano abitualmente i rifiuti nelle acque del Wouri – racconta un’anziana signora che abita a pochi passi dal corso d’acqua –. La corrente trascina le bottiglie che si ammassano sotto questo ponte, dove si crea una sorta di tappo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’oscenità di plastica che non scandalizza quasi nessuno… Fortunatamente ci sono dei ragazzi che cercano di ripulire il fiume». L’ideatore Ismaël Essome Ebone, 28 anni, laurea in ingegneria, cresciuto in una famiglia ◀ Una canoa ecologica nei pressi della località di Kribi. Dal 2011 Ismaël e i suoi amici raccolgono bottiglie di plastica abbandonate nei fiumi

di pescatori, è l’artefice di un’attività di riciclo davvero originale: assieme a un drappello di giovani volontari, recupera le bottiglie di plastica e le assembla per costruire delle piroghe. «Le nostre sono canoe ecologiche e solidali: salvaguardano l’ambiente e aiutano le comunità locali più vulnerabili», racconta Ismaël. L’idea gli è venuta tre anni fa. «Studiavo ancora all’università. Ricordo bene il giorno in cui, tornando a casa, dovetti trovare riparo a causa della forte pioggia arrivata improvvisamente. Mentre attendevo, iniziai a vedere fiumi di bottiglie trasportate dai rigagnoli d’acqua formatisi lungo la strada. Si accumulavano dappertutto. Acqua, bottiglie, galleggiare… Il mio cervello iniziò ad associare ciò che vedeva e l’idea fu immediata: canoe di plastica!». Ismaël iniziò a lavorarci sopra e a mettere a punto un progetto. In breve riuscì a costruire le prime ecoboat, che regalò ai pescatori più poveri. Startup verde Nel 2017 il ragazzo coinvolse nell’attività amici ed ex compagni di studi. È nata così l’organizzazione non profit Madiba africa · 4 · 2019 29




SOCIETÀ testo di Irene Fornasiero – foto di Neil Thomas

Va’ dove ti porta il vento… e il cuore

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UNA DONNA KENIANA, UMRA OMAR, HA RINUNCIATO AL SOGNO AMERICANO PER PORTARE SOCCORSI SANITARI VIA MARE NELLA SUA AFRICA

Al confine tra Kenya e Somalia, dove imperversano i terroristi di al-Shabaab, gli abitanti dell’arcipelago di Lamu sono rimasti soli e vulnerabili. In loro soccorso si sono attivati i medici e infermieri volontari di Safari Doctors L’Africa è piena di “eroine normali” di cui ignoriamo nomi e storie, donne di straordinario valore e carattere che compiono ogni giorno imprese prodigiose. Umra Omar, 36 anni, ne è un fulgido esempio. Nata a Mombasa, sulla costa del Kenya, è cresciuta in un piccolo villaggio di nome Tchundwa, sull’isola di Lamu. Si è trasferita a Nairobi per studiare e do-

◀ Umra Omar a bordo della nave che porta soccorsi sanitari alla popolazione costiera nella regione di confine tra Kenya e Somalia. Per sostenere l’organizzazione: safaridoctors.org

po il diploma è volata negli Usa per specializzarsi in psicologia e relazioni interculturali. Si è laureata in una scuola prestigiosa del Vermont e in poco tempo ha trovato un posto di lavoro ben retribuito a Washington. Aveva un futuro promettente davanti a sé, ma cinque anni fa, proprio mentre il suo “sogno americano” stava decollando, ha deciso di mollare la carriera e se n’è tornata a casa. «La vita d’ufficio non faceva per me – sorride –. Il vento mi ha riportato qui… Come accade ai marinai che alla fine della loro navigazione ritrovano il porto di partenza».

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Ong sparite «Ho ritrovato la serenità e la felicità solo quando ho rivisto il mio mare», dice la donna mentre la brez▼ Due infermieri di Safari Doctors sbarcano su un’isola con una "farmacia" essenziale portatile in cui sono conservati medicinali e vaccini per la popolazione

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za serale accarezza il suo velo azzurro e il sole al tramonto infiamma le acque dell’oceano. Ma non è stata la nostalgia di casa la molla che l’ha spinta a tornare in questo lembo di Kenya, quanto la presa di coscienza della sofferenza patita dalla sua popolazione. E la voglia di rendersi utile. «La sicurezza eco-

nomica è importante, ma le gratificazioni più grandi arrivano se capisci di fare un lavoro utile non solo per te stessa ma anche per gli altri. E io non potevo far finta di non sapere cosa stava accadendo nella mia terra». La splendida regione di Lamu, vicino al confine con la Somalia, è divenuta negli ultimi dieci anni bersaglio di incursioni armate e saccheggi da parte del gruppo terroristico al-Shabaab. Le autorità keniane si sono rivelate incapaci di proteggere i civili. L’instabilità e l’insicurezza hanno fatto fuggire i turisti e i cooperanti delle ong che un tempo erano assiepati in questo paradiso naturale, fatto di spiagge incontamina-

te e fondali cristallini. I jihadisti hanno seminato il terrore e la popolazione locale è rimasta sola e vulnerabile. Medici naviganti A pagare le conseguenze più pesanti sono stati gli abitanti dell’arcipelago di Lamu, circa diecimila persone di etnia Bajuni e Aweer disseminate per una decina di isole e lungo la linea costiera in prossimità della frontiera somala. «Terre remote, isolate, prive di servizi essenziali, dove malattie banali come la malaria o le infezioni intestinali mietono vittime ogni giorno per mancanza di medicinali, personale sanitario», spiega Umra, che per far fronte alla mancanza di



COPERTINA testo di Elena Dak – foto di Marco Trovato

Irene Fornasiero

Mauritania, scrigno di magie


INVITO A SCOPRIRE UNA TERRA IMPREGNATA DI FASCINO E STORIA, SOSPESA TRA L’ATLANTICO E IL SAHARA

Scalare alte dune di sabbia e rilassarsi tra le palme delle oasi, perdersi tra i vicoli delle antiche città carovaniere e sorseggiare tè alla menta sotto le stelle. È solo un assaggio del viaggio esclusivo riservato ai lettori della nostra rivista Mi trovo a Piazza Armerina, nel cuore della Sicilia, per ammirare i mosaici della Villa del Casale. Il “Corridoio della Grande Caccia” lascia senza fiato. Le numerose fiere che le tessere tratteggiano con realismo sorprendente vengono catturate e caricate su gradi navi. Una figura femminile porta lance appuntite, un cucciolo di leopardo tra le pieghe del vestito, ha una pantera e una leonessa ai lati. La donna è la personificazione della Mauretania, la più occidentale delle province romane in cui si praticava la caccia. Un pezzo di storia che risale a più di duemila anni fa, quando Roma aveva spinto le proprie brame fin laggiù, mi si para davanti proprio mentre mi appresto a scrivere di questo Paese. La provincia romana della “Mauretania” inglobava parte del Marocco e dell’Algeria; non corrisponde alla Mauritania attuale, ma poco importa. Quel nome, il regno della tribù dei Mauri, evocava una terra ricca di fascino, proprio come l’attuale nazione sahariana. ◀ Le dune di Aouja. Ai piedi di queste montagne di sabbia si allestirà il campo tendato nella prima notte del nostro viaggio

Nomadi di terra e di mare In Mauritania, le onde dell’Atlantico lambiscono le prime dune del Sahara come se ci fosse una staffetta tra i due mari – d’acqua e di sabbia – in mezzo ai quali valgono le stesse regole e l’umiltà del passo è d’obbligo. Le dune che si avventano contro l’oceano in alcuni tratti della costa sono letteralmente ricoperte di conchiglie bianche e spesse da non lasciare dubbi: prima che il mare ceda totalmente la scena al deserto, che almeno ci sia un sodalizio di materia e una concordanza di forme, tra dune e onde. È l’aria umida del mare ad accogliere il viaggiatore nella capitale. Già solo la visita al mercato del pesce di Nouakchott meriterebbe il viaggio. Bello arrivarci dopo aver percorso in fuoristrada la cerniera sabbiosa e compatta che divide la terra dal mare. La delirante bellezza di ogni mercato africano qui ti prende alle narici perché è solo il pesce a essere trasportato, comperato, scaricato e venduto. Uomini corrono avanti e indietro dalle barche ai camioncini portando cassette sul capo con la leggerezza da cacciatore di dipinto rupestre e la fretta africa · 4 · 2019 47



La Sorbona del deserto A Chinguetti, la “Sorbona del deserto”, matematici, alchimisti e teologi convergevano insieme alle carovane di libri e sale. Dalla terrazza di un alberghetto potei assistere a uno dei tramonti più belli che io ricordi. Non aveva nulla di eccezionale, nessuna nuvola rossa, nessun panorama mozzafiato, ma l’annuncio dello spazio in una polvere leggera, la promessa di dune, la voce di un muezzin; un momento senza tempo. Chinguetti e la sua fama

furono sepolte dalla sabbia, e l’assalto della polvere, delle termiti e dell’aridità trasformarono la settima città santa dell’islam in una chimera dai contorni vaporosi. Di Chinguetti è proprio quest’aria sfinita a sedurre, e la notizia di una grandezza costruita sui libri e soffocata dalle sabbie continua a dare lustro allo smalto di un’oasi la cui grandezza è annidata tra vecchie pagine. L’oasi antica, immersa nella pace e nella frescura, si visita a piedi in qualche ora, ma è

i vi A ggi di

piacevole tornare sui propri passi, ripercorrere gli stessi vicoli, immaginare le sagome dei dromedari che per secoli l’hanno annusata, giungendovi. La Moschea del Venerdì è il cuore del paese. La foggia squadrata del minareto in pietra è simbolo del luogo. Si affaccia su un cortile di sabbia che si fa sala di culto in vari momenti della giornata. Sbirciare dentro quello spazio durante la preghiera restituisce il senso del sacro: gli uomini indossano ampie tuniche azzurre di cui

la brezza si impossessa ad ogni passo o gesto. Le dune si sentono anche quando non si vedono. Basta salire sul tetto di una casa per godere appieno della vista dei vicoli pietrosi e delle forme sabbiose. Un’altra moschea sorge fuori città proprio ai piedi di una duna. Stesso minareto squadrato, stessi pinnacoli sommitali sporgenti, la sabbia nella sala di preghiera e tutt’intorno. La magia dell’oasi è fatta di pietre e sabbia. E mille storie sahariane da raccontare per ore.

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NATURA di Gianni Bauce

I segreti del re leone

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ALLA SCOPERTA

L’animale simbolo delle savane africane è conosciuto in tutto il mondo per la sua forza, temuto e ammirato per la sua maestosità. Assai meno note sono le leggi che regolano la sua spiccata socialità. E le minacce che incombono sul suo futuro

DELLA SOFISTICATA

SOCIETÀ DEL PIÙ GRANDE

FELINO DELL’AFRICA Il ruggito squarcia il silenzio della notte nella boscaglia africana. Scuote l’aria, vibra fin nelle viscere, incute timore riverenziale. È il richiamo del più grande felino africano, il leone. Un suono potente che cresce d’intensità, udibile fino a otto chilometri di distanza, ripetuto più volte e seguito da una lunga scia di brontolii e suoni gutturali. Il ruggito ha precise funzioni: ribadisce la presenza del maschio e il suo status sul territorio, permette a ciascun esemplare di comunicare la propria posizione agli altri membri del branco, rinsalda i legami famigliari e sociali: una vera anomalia, quest’ultima, nel mondo dei felini.

Tony Karumba / Afp

Animale sociale I felini sono una famiglia di carnivori dalla straordinaria uniformità morfologica: osservando un piccolo gatto domestico vi si ritrovano quasi le stesse caratteristiche fisiche e comportamentali di un grosso leopardo africano

◀ Una leonessa nel Nairobi National Park. In lontananza si vedono gli edifici più alti della capitale del Kenya

o di un leone e, a parte la varietà di dimensioni, ciascuna specie pare la miniatura o la gigantografia dell’altra. Quasi tutti i felini conducono vite solitarie, i membri della stessa specie si evitano, fatta eccezione per il breve periodo fecondo delle femmine, durante il quale due individui di sesso opposto rimangono insieme alcuni giorni, fin tanto che dura l’accoppiamento, per tornare subito dopo alla propria esistenza solitaria. In rari casi, come nel ghepardo, si formano piccole coalizioni di maschi che conducono una vita gregaria. Questo accade in quasi tutti i felini ad eccezione di uno: il leone. Il leone è l’unico felino sociale, organizzato in branchi, che normalmente vanno da tre a una dozzina di individui, ma che in casi eccezionali possono superare anche la trentina. Famiglia allargata Dopo la lunga notte scossa dai loro ruggiti, finalmente li incontriamo sulla sponda del fiume, sdraiati sulla sabbia a riposare dopo ore d’intensa caccia. Ciò che salta subito all’occhio è la prevalenza di femmiafrica · 4 · 2019 55



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SPORT di Claudio Agostoni

La grande festa del calcio africano AL VIA IN EGITTO LA COPPA DELLE NAZIONI AFRICANE, MASSIMA COMPETIZIONE CALCISTICA DEL CONTINENTE

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Per la prima volta il torneo più prestigioso del continente si svolge d’estate, catalizzando l’attenzione di milioni di tifosi e appassionati. Tutti con gli occhi puntati sulle grandi stelle del pallone, come il fuoriclasse egiziano Salah… Lo spettacolo è iniziato il 21 giugno con il calcio d’avvio della 32ª edizione della Coppa d’Africa (spostata per la prima volta dall’inverno all’estate per accontentare i grandi club europei) e il 19 luglio si conoscerà il nome della regina del calcio africano. La più popolare manifestazione sportiva del continente infiamma milioni di tifosi e paralizza per un mese interi Paesi. Agli orari delle partite, la gente si assiepa attorno ai televisori, uffici e strade si svuotano, ogni attività viene sospesa per almeno novanta minuti. I match in programma in queste settimane non fanno eccezione. Un’edizione, quella in corso, nata tra mille travagli, a partire dal calendario. Inizialmente il torneo doveva iniziare il 15 giugno, ma qualcuno si era dimenticato del ramadan (il mese sacro dell’islam, che quest’anno va dai primi di maggio a inizio di giugno)… Marocco, Tunisia e Algeria hanno puntato i piedi chiedendo che fosse concesso ai loro giocatori un congruo tempo di riposo e di ripresa dopo il digiuno. Si è quindi venuti incontro ad alcune probabili star di fede musulmana (tipo gli attaccanti del Li-

verpool Sadio Mané e Mohamed Salah) spostando di qualche giorno la data di inizio. Risultati clamorosi Le rappresentative nazionali in gara sono 24, e non 16 come nelle edizioni precedenti. Un allargamento che ha portato a diverse sorprese. Debuttano Madagascar, Mauritania e Burundi. Dopo 39 anni torna la Tanzania, allenata dal nigeriano Emmanuel Amunike, ex del Barcellona, che ha portato la sua squadra alle fasi finali grazie ai principi tattici del tiki-taka catalano. E torna il Kenya, assente da 15 anni. Ci sono pure la Namibia, che non si qualificava dal 2008, e il Benin. Grande assente, lo Zambia, campione nel 2012 e addirittura quarto nel girone vinto dalla GuineaBissau alla sua seconda apparizione consecutiva. Un girone con un finale al cardiopalma, quello vinto

▶ Il folclore dei tifosi è un marchio di fabbrica del calcio africano. Sugli spalti i supporter delle diverse nazionalità si sfidano a colpi di parrucche, maschere, trucchi e costumi. Gli slogan sono scanditi a ritmo di musica con trombe e tamburi africa · 4 · 2019 69


sastro era preventivabile. Il bilancio è stato di 8 morti. L’ultimo a qualificarsi è stato il Sudafrica, che nella partita conclusiva del suo girone ha battuto la Libia in una gara tesa e intensa giocata, per motivi di sicurezza, sul campo neutro di Sfax, nonostante il tifo di settemila libici che hanno seguito la propria nazionale sino in Tunisia.

▲ Mohamed Salah, 27 anni, leader dell’Egitto e beniamino dei tifosi di casa. La stella più attesa del torneo è reduce da una stagione esaltante (27 goal) in Premier League e Champions League con il Liverpool ▶ I campioni in carica del Camerun festeggiano la vittoria in finale contro l'Egitto per 2-1 nell’edizione 2017 giocata in Gabon

dai guineani. I giocatori della Namibia, dopo aver perso l’ultima partita (4-1)

contro lo Zambia, erano in lacrime perché sicuri dell’eliminazione, quando è arrivata la notizia del pareggio, al 94’, della Guinea-Bissau con il Mozambico. Un risultato che mandava alle fasi finali la Namibia, beffando il Mozambico. Tra i delusi, anche George Weah: la sua Liberia è stata eliminata perché in classifica è risultata dietro anche allo Zimbabwe, vincitore di un match che

LA COPPA? REALIZZATA IN ITALIA

C’è un legame speciale – sconosciuto ai più – che avvicina la Coppa d’Africa all’Italia. Ed è un legame placcato d’oro. Infatti il prestigioso trofeo dell’Africa Cup of Nations, che sarà assegnato il 19 luglio alla nazione vincitrice del torneo, è stato realizzato da una ditta italiana: la Gde Bertoni di Paderno Dugnano (Milano). Un’impresa a conduzione familiare, tredici dipendenti in tutto, nata agli inizi del Novecento e tramandatasi per tre generazioni (oggi è guidata da Valentina Losa), simbolo della qualità della manifattura Made in Italy, diventata icona di vittoria in tutto il mondo: produce i più grandi trofei internazionali come la Champions League, l’Europa League e la mitica Coppa del Mondo. «Il design è stato curato dal maestro Silvio Gazzaniga,

70 africa · 4 · 2019

passerà alla storia non per il risultato finale ma per la morte di un tifoso ucciso dalla calca creatasi all’entrata dello stadio. Purtroppo non è stata l’unica sciagura abbattutasi sulle selezioni per accedere alle fasi finali. Nei minuti che hanno preceduto Madagascar-Senegal, davanti allo stadio di Antananarivo si è ammassata una folla oceanica – e un solo cancello aperto: il di-

Camerun in extremis Tornando alle novità, c’è da segnalare il debutto in terra africana, a partire dagli ottavi, della Var, acronimo di Video Assistant Referee: la possibilità per gli arbitri, grazie a un video piazzato a bordo campo, di correggere eventuali errori di valutazione. Dettaglio non trascurabile: le partite si giocheranno in Egitto, anche se nei programmi originari il torneo si sarebbe dovuto svolgere in Camerun. Quasi una non-notizia, dato che è la quarta volta consecutiva che il Paese ospitante designato inizialmente viene



RELIGIONI di Marco Trovato

Ciao, Paolo

LUTTO NELLA NOSTRA REDAZIONE: ADDIO A PADRE

Si è spento in aprile all’età di 77 anni, dopo una vita consacrata all’attività missionaria e giornalistica. Lascia nella famiglia di Africa un grande vuoto. E una grande eredità spirituale. Il ricordo del direttore editoriale della rivista Eravamo una strana coppia. Lui sacerdote missionario con una fede granitica (mai bigotta né ostentata), io giornalista laico con l’animo scettico e irrequieto. «Prego per la tua salvezza, miscredente», mi punzecchiava ogni tanto. E argomentava in modo dissacrante: «Io ho sposato la Chiesa,

tu hai sposato tua moglie. Ma a ben guardare abbiamo un’amante in comune: l’Africa». Era vero: la passione per il continente africano e le sue genti ci univa più di ogni altra cosa. E poi condividevamo la stessa idea di giornalismo: lo sforzo di capire, o quantomeno approfondire, la voglia di cercare e di-

PAOLO COSTANTINI, MISSIONARIO E GIORNALISTA, INNAMORATO DELL’AFRICA

vulgare le notizie ignorate dai grandi media, l’impegno continuo a spezzare i pregiudizi… Senza il timore di andare controcorrente, ma senza voler dare lezioni. Eravamo diversi, è vero, ma a ben guardare nemmeno tanto. E poi ritenevamo importante ciò che ci accomunava più di

quanto ci divideva. E non avevamo paura di confrontarci, disponibili entrambi ad arricchirci delle nostre differenze, a fare un passo indietro quando occorreva, a scusarci quando era giusto farlo. Eravamo alla guida della rivista e sentivamo la responsabilità di gestire una realtà non solo nostra: apparteneva ai Padri Bianchi che la pubblicavano, ai collaboratori che la facevano, agli abbonati che la leggevano e sostenevano. La realtà ci imponeva di restare sempre coi piedi ben piantati a terra. Non avevamo tempo per festeggiare i successi, dovevamo fare quadrare i conti: le spese, gli abbonamenti, le iniziative. Ed eravamo proiettati a immaginare un futuro per la rivista. Padre Paolo era un grande lavoratore, generoso e dinamico. Un amico sincero, capace di comprensione e attenzioni ◀ Padre Paolo durante uno dei rari momenti di relax che si concedeva

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premurose. Soprattutto era un uomo illuminato, che guardava lontano. Tutto ciò che è stato fatto in questi anni per far crescere Africa è stato fatto grazie a lui: dal momento in cui decise di passarmi la direzione editoriale della rivista (per concentrarsi sull’amministrazione), non mancò mai di farmi sentire il suo sostegno, fiducia, stima. Benché capitasse spesso di confrontarci animatamente. «Rallenta!», mi rimproverava quando gli pareva che esagerassi nel lancio di nuove attività… e dunque ulteriore lavoro. «Ho la mia età, non riesco a starti dietro!». Ora quelle parole mi risuonano in testa ed è inevitabile provare una sorta di senso di colpa per quello che poi è accaduto. Nulla a confronto di quello che avrei potuto provare se fosse morto ventiquat-

tro ore prima. Era appena terminata la riunione di redazione e, complice la stanchezza, bisticciammo per una cosa da niente. Non avevo dato peso all’episodio, uno tra i tanti, ma lui passò la notte insonne. Me lo confidò con un messaggio che trovai sul telefono l’indomani mattina. Risposi subito. Ci spiegammo e ci riconciliammo con parole che custodisco con affetto. Ora che non c’è più mi capita di ripensare ai tanti bei momenti trascorsi assieme. Alle serate che trascorrevamo con un boccale di birra belga – sua grande passione – quando ci lasciavamo andare per ore a discussioni accalorate che terminavano con quel suo sorriso luminoso. Adoravo ascoltarlo mentre rievocava con nostalgia i suoi anni in missione, quelli della giovinezza, trascorsi nel deserto d’Al-

UNA GRANDE EREDITÀ Missionario e giornalista: così si definiva Paolo Costantini, morto improvvisamente nella notte tra l’11 e il 12 aprile a Treviglio. Aveva conosciuto i Padri Bianchi in seminario e come sacerdote era stato inviato in missione in Algeria e nella Rd Congo (allora Zaire). Rientrato in Europa, dopo avere guidato l’agenzia d'informazione dei Padri Bianchi a Bruxelles, era stato nominato direttore e poi amministratore della rivista Africa, guidando la delicata transizione verso l’attuale assetto della testata, che non è più di proprietà dei missionari, benché resti fedele ai principi che l’hanno ispirata. «La rivista avrà un futuro solo se sarà portata avanti da laici che ci credono». Una visione profetica che dà la misura della grandezza dell’uomo. geria e nelle foreste del Congo. Avrei voluto accompagnarlo nuovamente in quei luoghi, progettavo di farlo, malgrado le sue resistenze. «Sono stanco e vecchio – ripetevi per dissuadermi –. Ho viaggiato a lungo nella mia vita, ora è giunto il momento di fermarmi». Te ne sei andato di notte, all’improvviso. Ti hanno trovato sprofondato nel-

la tua poltrona, la testa appoggiata su una mano. Come se stessi dormendo “il sonno dei giusti”. Avevi l’aria esausta ma soddisfatta. Ovunque tu sia, riposa in pace.

▼ Con la redazione di Africa (padre Paolo è il secondo da sinistra) al termine della riunione tenutasi due giorni prima della sua morte improvvisa


RELIGIONI testo di Marco Simoncelli – foto di Giovanni Diffidenti

Ho imparato i ritmi dell’Africa


IN MALAWI DA PIÙ DI 40 ANNI: LA MISSIONE SENZA FINE DI PADRE MARIO PACIFICI

Missionario bergamasco, “Bambo Mario” ha trascorso la sua vita nel “cuore caldo dell’Africa”. Dove ha realizzato innumerevoli opere sociali e culturali. Ma soprattutto ha capito l’importanza di camminare al passo della gente «Aver avuto la possibilità di stare in Africa per così tanto tempo è un dono straordinario», afferma padre Mario Pacifici, missionario monfortano, originario di un piccolo Comune della provincia di Bergamo. “Bambo Mfumu” o “Bambo Mario”, come viene chiamato abitualmente dai membri della sua comunità, è in Malawi da 42 anni e ha seguito da vicino i momenti storici più importanti di questo Paese che si sviluppa sul Lago Nyassa, il terzo più grande del continente. La sua missione si è concentrata per lo più nella provincia di Balaka, a 200 chilometri dalla capitale Lilongwe, luoghi che erano poco più che foresta e che oggi sono popolati da circa 150.000 abitanti. «Trascorrendo la mia vita qui ho capito l’importanza di un cammino prolungato con la gente, perché l’Africa cresce lentamente ed è lei che detta i tempi»,

◀ Padre Pacifici, missionario monfortano, contempla le acque del Lago Malawi, tra le più profonde al mondo

racconta padre Pacifici. Il missionario usa spesso proverbi e terminologie in chichewa, la lingua nazionale malawiana, con cui riesce a esprimere meglio i suoi pensieri. «Cammino lentamente. Noi diciamo kuthamanga si kufika, che significa “correre non è arrivare”. Correre al solo scopo di arrivare, infatti, spesso non ti fa finir bene le cose. Pang’ono pang’ono: “piano piano” si raccolgono i frutti». Bambo Mario si dice convinto che un missionario debba dimostrare disponibilità, generosità e creatività, ma soprattutto saperle sempre applicare ai ritmi della comunità. «Una regola di vita che vale per tutti e dappertutto, e in Africa ancor di più, è che per crescere insieme certamente servono momenti di spinta, ma bisogna sapersi aspettare rispettando il passo di tutti». Lavoro e salute L’approccio di padre Pacifici negli anni ha effettivamente portato a grandi realizzazioni, se si pensa che il Malawi è una delle nazioni più povere del mondo. A parte l’enorme specchio d’acqua ricco di fauna ittica, il Paese non africa · 4 · 2019 75



SOSTIENI I MISSIONARI PADRI BIANCHI. SCEGLI UN PROGETTO PROGETTO N. 13 Burkina Faso Scuola per nomadi Peul

PROGETTO N. 5 Sudafrica - Aiuto seminaristi PB (p. Morell)

(p. Oudet)

PROGETTO N. 8 Mozambico - Aiuto ai confratelli colpiti dal ciclone Idai

PROGETTO N. 14 Ghana (Wa) Assistenza ai malati mentali (mons. Baawobr - PB, vescovo di Wa)

(p. Zuccala)

PROGETTO N. 9 Assistenza ai padri anziani (p. Zuccala)

PROGETTO N. 10 Algeria - Comunità dei PB Biblioteca per universitari (p. Giannasi)

PROGETTO N. 12 Burkina Faso Investire nella cultura (p. Pirazzo)

COME AIUTARE: Con un'offerta fiscalmente deducibile alla onlus. AMICI DEI PADRI BIANCHI C.F. 93036300163 Nella causale indica: “Aiuto ai Padri Bianchi” o specifica un progetto DONA TRAMITE: - WEB con PayPal dal sito www.missionaridafrica.org - POSTA CCP numero 9754036 - BANCA IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: ICRAITRRTR0

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NEROsuBIANCO

ritagli dal sito di www.africarivista.it

La crisi libica spiegata in quattro punti Michela Mercuri

A otto anni dal crollo del regime di Gheddafi, la Libia ci appare come un Paese fallito, un territorio fuori controllo lacerato dalla guerra civile.

1. Che cosa c’è dietro il sanguinoso scontro tra le milizie che si contendono il territorio? Muoversi nel complesso magma delle milizie libiche, che si sono rafforzate dopo la guerra del 2011 acquisendo, in assenza di un controllo centrale, potere e territorio, è estremamente difficile, visto che il “cambio di casacca” è lo sport preferito dai gruppi locali. Tralasciando, dunque, di entrare nel dettaglio delle formazioni militari attive, è bene sapere che la guerra che sta insanguinando la Libia è alimentata dagli sponsor regionali del generale Khalifa Haftar e da quelli del premier Fayez al-Sarraj. Haftar può contare sul supporto di Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Dalla parte di alSarraj ci sono Qatar e Turchia, anche in questo caso con armamenti e soldi per supportare la Fratellanza musulmana tripolina, mentre gli Emirati e soprattutto i sauditi hanno tutto l’interesse a rafforzare i madkhaliti, una corrente di stampo salafita ultraconservatrice considerata da molti al soldo della casa reale dei Saud. Attraverso le forze fedeli al generale, i sauditi vogliono indebolire la Fratellanza musulmana, sostenuta, in particolare, da Qatar e Turchia. L’influenza degli Stati del Golfo negli affari di sicurezza della Libia è stata sottovalutata dagli attori internazionali, concentrati sulla sconfitta dello Stato islamico e sulla riconciliazione delle divisioni politiche. Tuttavia, anche le crescenti fratture nelle fazioni islamiste meritano attenzione poiché potrebbero essere la causa di questa escalation di violenze. 2. Qual è la posizione dell’Italia? In ambienti diplomatici si parla molto dell’endorsement di Trump ad Haftar che, di fatto, avrebbe messo con le spalle al muro l’Italia, assurta al ruolo di cabina di regia proprio dagli Usa in vista della conferenza di Palermo del 12 e 13 novembre scorso e delle minacce di Haftar nei confronti del nostro contingente a Misurata. Il premier Giuseppe Conte, davanti a un tale scenario, ha recentemente operato un apparente cambio di rotta, ammettendo: «Noi italiani non stiamo né con Haftar né con Sarraj, ma con il popolo». Parole che denotano la fragilità della linea politica estera italiana. Che cosa fare? Innanzitutto va precisato che il sostegno fin qui conferito a Sarraj non è stato motivato da «una propensione masochista» dell’Italia ma 92

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dalla necessità di tutelare i nostri interessi che, a scanso di equivoci, sono a Tripoli e dintorni. L’errore, casomai, è stato quello di arroccarci su queste posizioni e non intessere un dialogo costante con Haftar, lasciando campo libero a molti altri attori, tra cui i francesi. A questo punto abbandonare al-Sarraj per seguire l’imprevedibile alleato americano che ci ha sempre relegati al ruolo di «vassalli» (vedi la guerra del 2011 per fare fuori il nostro maggiore alleato) sarebbe l’errore che ci potrebbe costare la Libia. 3. E quella della Francia? La Francia, oggi come in passato, è l’attore meno trasparente e più spregiudicato dello schieramento che sostiene Haftar. Gli altri alleati, Emirati, Sauditi ed Egitto, non lasciano spazio a fraintendimenti; la Francia, invece, continua a impostare la sua politica su una posizione di neutralità, assicurando tanto al governo di Sarraj, quanto all’Onu e all’Italia, di operare nel perseguimento della stabilità. L’Eliseo continua a giocare sporco. Tuttavia, la Francia di oggi non è quella del 2011 ed è un attore politico piuttosto marginale, messo in difficoltà da una crisi economica e di legittimità interna che, forse, spera di riuscire a contenere anche grazie alle commesse delle monarchie del Golfo. D’altra parte, si sa, quando un attore è in crisi “dentro casa”, tende a essere più aggressivo in politica estera per deviare l’attenzione dalle “beghe interne”. Per questo, oggi, più che della Francia dovremmo preoccuparci di altri attori molto più forti e meglio inseriti nel teatro libico. 4. Quali possibili vie di uscita dalla crisi? Difficile fare previsioni. Questa guerra ha decretato il fallimento definitivo del multilateralismo, dell’Europa e delle Nazioni Unite, praticamente inesistenti e, ormai, del tutto ignorate e delegittimate. Queste ultime si sono dimostrate incapaci di condurre verso una visione comune, o quantomeno al tavolo delle trattative, gli Stati fagocitati dai propri interessi nazionali. L’Unione Europea è inesistente, divisa sulla Libia dal lontano 2011. Pensare a un approccio congiunto, sotto egida Onu, per risolvere la crisi è poco più che una chimera. La palla dovrebbe passare agli attori regionali e al massimo a quelli internazionali, troppo impegnati a riposizionarsi nel mutato quadro libico per mantenere le loro sfere di influenza piuttosto che per cercare una soluzione comune. Volendo peccare di ottimismo, solo un accordo tra le potenze del Golfo, capaci di portare a più miti consigli i rispettivi alleati sul terreno, potrebbe placare gli animi. C’è uno scontro inter-sunnita in corso. Se non si risolverà la “guerra per procura del Golfo in Libia”, il conflitto sarà destinato a durare a lungo. La guerra terminerà solo con la vittoria di una delle due parti.

In questo numero di Africa, per mancanza di spazio, non è stato possibile pubblicare le rubriche "Economia" e "Innovazione". Torneranno a settembre. Buone letture e buone vacanze a tutti gli abbonati.


MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N. 2 LUGLIO - AGOSTO 2019 - ANNO 98

WWW.MISSIONARIDAFRICA.ORG

a cura di Enrico Casale

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

LUTTO IN REDAZIONE PAOLO, MISSIONARIO E GIORNALISTA Il 12 aprile ci ha lasciato padre Costantini. Missionario in Algeria e nella Repubblica democratica del Congo, si era a lungo dedicato anche al giornalismo, in Belgio e in Italia. Già direttore di Africa, ne stava guidando la transizione

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Proprio queste sue capacità lo avevano convinto a guidare la delicata transizione che sta portando la rivista Africa a un nuovo assetto societario che non vedrà più nei Padri Bianchi il nucleo portante della proprietà. «I Padri Bianchi italiani

sono pochi e anziani – aveva detto a più riprese –, ma io non voglio che la rivista muoia. È giusto che la sua storia continui, portata avanti da laici che ci credono». Una visione profetica che ha lasciato in eredità ai suoi confratelli e ai lettori di Africa.

Marco Garofalo

ALLEGATO REDAZIONALE

te

Padre Paolo Costantini, 78 anni, è morto improvvisamente nella notte tra l’11 e il 12 aprile a Treviglio (Bg). Nato a Castellarano (Re) nel 1941, Paolo (come voleva essere chiamato da tutti) entrò giovanissimo nel seminario diocesano, dove avrebbe conosciuto i Padri Bianchi e deciso di spendere la sua vita religiosa come missionario. Inviato dapprima in Algeria, poi nella Rd Congo (allora Zaire), trascorre lunghi anni in Africa. Rientrato in Europa, nel 1990 viene destinato al Belgio. A Bruxelles lavora nell’agenzia stampa dei Padri Bianchi, Anb-Bia. Tornato in Italia, a Treviglio si occupa della direzione e dell’amministrazione di Africa. «Ho vissuto la mia vocazione missionaria prima in Africa e poi nei media. Esperienze che mi hanno arricchito e alle quali tengo entrambe», aveva sottolineato in un incontro di redazione a Treviglio pochi giorni prima della morte. Padre Paolo era un sacerdote autentico, portatore di una spiritualità semplice eppure profondissima. È sempre stato attento ai valori evangelici: li trasmetteva a chi gli stava vicino con la sua vita e l’esempio di serio e competente professionista dell’informazione.

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GHANA IL TRICICLO CHE CAMBIA LA VITA Fratel Trevor, un Padre Bianco, costruisce piccole carrozzelle azionate a mano per i disabili di Tamale. Offrendo loro la possibilità di vivere una vita più sana e dignitosa

Sono fatti tutti a mano, con grande cura e attenzione. La meccanica è semplice, ma dev’essere perfetta perché sono destinati a disabili. Sono i tricicli che fratel Trevor Robinson, un Padre Bianco, realizza nella sua officina di Tamale, in Ghana. L’idea è nata qualche anno fa. Per le strade di questa città di oltre trecentomila abitanti, fratel Trevor incontrava spesso ragazzi e adulti con disabilità motoria che si trascinavano rasoterra a forza di braccia. In quelle condizioni, i portatori di handicap non potevano che rimanere nelle vicinanze della loro abitazione. Il resto del mondo non esisteva per loro e, soprattutto, vivevano una condizione degradante. Dopo aver pensato un po’ a come rimediare a quella situazione, fratel Trevor disegna un triciclo che,

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grazie a catene e corone, può essere azionato a mano. Dal progetto al primo prototipo, il passo è breve. Fratel Trevor salda tubi recuperati in varie discariche e li assembla con pezzi di vecchie biciclette donate da amici o conoscenti. Non sempre riesce a trovare i pezzi. Allora li ordina ad Accra, la capitale, o, se non sono disponibili, in Europa. «Quando ho iniziato – ricorda fratel Trevor –, ero solo. Di lavoro ce n’era tantissimo e ho pensato di trasformare questo triciclo in un’opportunità per i ragazzi di strada. Ho chiesto ad alcuni di loro di aiutarmi. Inizialmente ne producevamo una decina per settimana. Ora, lentamente, siamo arrivati a una cinquantina». Il problema sono i costi. Il prezzo di un triciclo è di circa 250 euro. «Per un disabile in Ghana si tratta di una cifra troppo elevata – os-

serva il religioso –. Così, grazie ad alcune donazioni dall’Europa, riusciamo a far pagare un triciclo 10 euro. E, spesso, sono tanti anche quelli…». «Quando una persona disabile riesce a ottenere uno di questi mezzi - conclude fratel Trevor -, entra in una nuova dimensione. Fino ad allora, a causa delle sue infermità, aveva uno spazio d’azione limitato e, soprattutto, era costretto a trascinarsi nella polvere e nella sporcizia. Grazie al triciclo, si può muovere ovunque. Ciò gli permette di rapportarsi a molte persone e di crescere. Non solo, ma i suoi muscoli si rafforzano, migliorando la sua salute fisica. L’inattività dei disabili, senza movimento a livello del suolo, ha condannato molti a una morte prematura, vittime di polmonite o di altre malattie».

06/06/19 17:05


MOZAMBICO UNA SCUOLA PER IL FUTURO Padri Bianchi e suore di San Vincenzo stanno realizzando in Mozambico una scuola per offrire ai giovani una formazione professionale. Li aiuterà a crescere umanamente ed economicamente

Una scuola professionale per costruire il futuro dei ragazzi di Xinavane (Mozambico). La stanno realizzando le suore di San Vincenzo insieme ai Padri Bianchi. I lavori, che hanno preso il via alla fine dello scorso anno, stanno procedendo velocemente. Xinavane è una cittadina di trentamila abitanti a 135 chilometri da Maputo, la capitale, immersa in un’area rurale e a una decina di chilometri dalla strada nazionale che collega il Sud al centro del Paese. In città girano pochi soldi. C’è un po’ di commercio informale, ma non esistono supermercati e negozi, né fabbriche o ditte. Nel campo dell’istruzione manca solo una scuola professionale. Per molti giovani il futuro è senza prospettive. L’unica eccezione è costituita da uno zuccherificio che dà lavoro a migliaia di persone. L’impiego offerto, però, è spesso stagionale. Per sopravvivere, molti contadini hanno svenduto le proprie terre alla compagnia che gestisce lo zuccherificio. A ciò si aggiunge l’afflusso massiccio di molti uomini dalle province limitrofe in cerca di lavoro. È così

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aumentato il livello di promiscuità e si è moltiplicato il fenomeno della prostituzione, soprattutto fra le ragazzine che non vanno a scuola e le giovani donne senza un impiego. «Crediamo – spiega Claudio Zuccala, Padre Bianco –, che l’introduzione di corsi di avviamento professionale sia una buona soluzione per offrire opportunità di la-

voro. Stiamo progettando percorsi di formazione per periti agronomi, elettricisti, meccanici ed esperti nelcampo della trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli. La scuola Santa Rita, gestita dalle suore di San Vincenzo e che ha duemila alunni, dalle elementari alle superiori, ha accettato di offrire quattro aule dove tenere corsi professionali. I lavori di adeguamento sono iniziati. «Inizialmente – conclude padre Zuccala - saranno organizzati tre o quattro corsi, tenendo anche conto delle esigenze dello zuccherificio che potrebbe facilmente prendere gli studenti per stage e offrire loro un posto di lavoro una volta diplomati. Il progetto ha bisogno di sostegno. Chiediamo ai nostri lettori di aiutarci. La formazione professionale è un passo importante per la crescita umana ed economica dei giovani mozambicani».

06/06/19 17:05


ITALIA 5 PER MILLE, IL FISCO AMICO Basta una firma sulla denuncia dei redditi per garantire alla nostra Onlus i fondi necessari a finanziare progetti di sviluppo in Africa

l’unità mentale di Wa – ha spiegato il vescovo – sarà organizzato un talk-show radiofonico per educare il pubblico alla salute mentale. Un modo per diffondere una cultura diversa del disagio psichico e favorire l’integrazione». I fondi del 5 per mille hanno aiutato anche altri progetti: la scuola per i Peul in Burkina Faso, il sostegno agli studenti universitari in Algeria, la cucina per una scuola in Uganda, un dispensario in Mali, un contributo per i seminaristi in Kenya. Sempre con i fondi del 5 per mille la Onlus

5 × mille

SOSTIENI I MISSIONARI D’AFRICA TRAMITE LA ONLUS «AMICI DEI PADRI BIANCHI» La Onlus Amici dei Padri Bianchi sostiene e promuove il lavoro dei Missionari d'Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Come aiutare? • Con donazioni per i progetti presentati sulla rivista Africa e sostenuti da missionari – deducibili dalla dichiarazione dei redditi • Con contributi liberali a sostegno della rivista Africa – deducibili dalla dichiarazione dei redditi • Con il 5 x 1000 – indicando il codice fiscale della Onlus: 93036300163 • Con offerte per celebrazioni di Sante Messe (non deducibili) Tel. 0363 44726 – africa@padribianchi.it – www.missionaridafrica.org

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aiuta i missionari anziani rientrati in Italia. Sono religiosi che hanno dedicato la vita agli ultimi, condividendone fatiche e sofferenze. Una volta ritornati a casa, sono loro ad aver bisogno di aiuto, in particolare di cure mediche e infermieristiche, spesso molto costose. Per la Onlus, il 5 per mille è uno strumento molto importante perché assicura un flusso di fondi indispensabile per far fronte alle nostre numerose necessità. Poter contare su questi soldi permette ai Padri Bianchi di offrire nel medio-lungo periodo la sostenibilità economica ai progetti dei missionari. Al contribuente, il 5 per mille non costa nulla in più di quanto deve allo Stato. Destinarlo alla Onlus è semplice. È sufficiente mettere la firma nell’apposito riquadro del modello della dichiarazione dei redditi e aggiungere il codice fiscale della Onlus Amici dei Padri Bianchi

93036300163 AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

I contributi vanno inviati a: Onlus Amici dei Padri Bianchi tramite

- WEB con PayPal dal sito

www.missionaridafrica.org - POSTA CCP numero 9754036 - BANCA IBAN IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: ICRAITRRTR0 (zero finale)

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ALLEGATO REDAZIONALE

Un gesto semplice. Una firma sulla dichiarazione dei redditi. È sufficiente per donare il 5 per mille alla Onlus “Amici dei Padri Bianchi”. Basta così poco per offrire un aiuto importantissimo che permette di sostenere numerosi progetti nei Paesi del Sud del mondo. In particolare in Africa, dove, fin dalla loro fondazione, i Padri Bianchi lavorano fianco a fianco delle popolazioni locali per aiutarle in una crescita umana ed economica. Sono progetti non solo ideati dai Padri Bianchi, ma da loro seguiti passo passo, verificandone l’efficacia e controllando che non ci siano sprechi. Nel recente passato sono state molte le iniziative rese possibili dal 5 per mille. In Ghana, per esempio, viene sostenuto un progetto lanciato da mons. Richard Kuuia Baawobr, vescovo di Wa e già superiore generale dei Padri Bianchi, che offre cure e riabilitazione ai malati psichici. Ma non solo. «In collaborazione con



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