Africa Nr 4-2012 Luglio-Agosto 2012

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n.4 luglio-agosto 2012

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Milano.

www.missionaridafrica.org

modafashion

Dakar

Mauritania

Schiave del peso

Cairo

Kenya

Revolution Carcadè Art equo

Uganda

Sogni spaziali


Dialoghi sull’Africa

e n o i z i d e 2a

Un weekend di incontri per capire, conoscere e confrontarsi

Con: Marco Aime, antropologo Riccardo Barlaam, Il Sole 24 ORE Fabrizio Floris, sociologo Kossi A. Komla-Ebri, scrittore

Raffaele Masto, reporter Guido Olimpio, Corriere della Sera Chawki Senoussi, Radio Popolare Pietro Veronese, La Repubblica

Quando: sabato 1 e domenica 2 dicembre 2012 Dove: redazione rivista Africa, Treviglio (BG) Quota di partecipazione: 200 euro, studenti 150 euro Numero partecipanti: 30 Info: animazione@padribianchi.it 334.2440655 www.missionaridafrica.org I primi 8 iscritti potranno usufruire del pernottamento, semplice ma gratuito, offerto dai missionari Padri Bianchi

LIONS CLUB – TREVIGLIO HOST


editoriale

di Raffaele Masto

L’inganno della crescita C

rescita: parola magica! In Occidente, secondo la scienza feticcio che è ormai l’economia, se cresci non rischi il default, sei al sicuro. Così, trasferito in modo meccanico all’Africa, questo postulato dice che il continente è avviato verso un futuro radioso con Paesi che crescono quasi a due cifre: Congo, Etiopia, Angola... e la lista potrebbe essere lunga. Sempre secondo le leggi dell’economia occidentale, se c’è crescita, prima o poi (più spesso poi) le briciole di quella ricchezza che la crescita porta con sé si distribuiranno anche tra il popolo. Ma solo dopo avere soddisfatto gli investitori, le grandi imprese, il capitale finanziario, la vorace macchina amministrativa e burocratica, il subdolo sistema della corruzione e le onnivore élite politiche al potere!

Dove tagliare? Quello della crescita è un miracolo laborioso che impone tempi e costi immensi

sotto forma di tagli. Anche dove non c’è niente da tagliare, cioè nei miseri sistemi sanitari o scolastici di molti Paesi africani; ma alla fine porta i suoi frutti. Il problema è capire se i vantaggi, dilazionati nel tempo, valgono il prezzo che si deve pagare subito. In qualche anno di rigorosi tagli e robusta crescita, quanti bambini africani, potenziali Victor Hugo, Albert Einstein, Steve Jobs, invece che alla carriera di letterato, di scienziato, di imprenditore visionario, verranno avviati a quella di bambino di strada, sniffatore di colla o bambino-soldato? E quante intelligenze estrose e creative saranno inebetite dalle malarie ricorrenti, o indebolite dalla tubercolosi endemica, o azzerate dal virus HIV? La storia, in realtà, ci imporrebbe molta cautela. Solo qualche decennio fa i promotori di “tagli e crescita” si chiamavano Chicago Boys e imponevano famigerate “ricette” dette di “aggiustamento strutturale”.

Allora come oggi quella politica economica non ha portato nessun miglioramento per gran parte delle popolazioni dei Paesi africani. Anzi: complessivamente, negli ultimi dieci anni, i dati di accesso all’acqua potabile, all’istruzione, alla sanità non sono affatto migliorati, se non addirittura peggiorati in vaste aree del continente. Personalmente mi convincerò che i Paesi africani sono avviati verso un futuro migliore solo se si profileranno altre tendenze. Se, per esempio, i proventi della crescita diventeranno scuole e insegnanti pagati il giusto, ospedali con medici e infermieri preparati, acquedotti e fogne efficienti e non solo palazzi presidenziali, stadi e centri commerciali. Oppure se la lunga lista di impresentabili dittatori al potere da decenni non potrà più contare sul sostegno esplicito o taci-to delle vecchie potenze coloniali o di quelle emergenti dei BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica. Oppure quando i Paesi afri-

cani non esporteranno solo materie prime minerarie o agricole, ma anche manufatti e servizi.

Una falsa crescita Purtroppo, oggi, la grande crescita di alcuni di questi Paesi è determinata anche dalla “cessione” a Paesi stranieri delle proprie terre per produrre bio-combustibili o cereali per nutrire i miliardi di cinesi o indiani, o le popolazioni di Paesi senza terra, come la Corea del Sud o l’Arabia Saudita. Come (e forse peggio) dei tempi del colonialismo... Insomma, la realtà vera è sotto gli occhi di tutti: la crescita non riguarda gli africani i quali, con le loro ricchezze, stanno ancora una volta finanziando il futuro assetto geo-politico del mondo. Evidentemente, salvo colpi di scena, in questo futuro conta di più un’Africa serbatoio di materie prime e mano d’opera a basso costo, piuttosto che un continente di un miliardo di persone con un reale potere d’acquisto. • africa · numero 4 · 2012

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sommario

lo scatto 8. Domenica di sangue Nigeria

Direzione, reDazione e amministrazione

Cas. Post. 61 - V.le Merisio 17 24047 Treviglio (BG) tel. 0363 44726 - fax 0363 48198 africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org http://issuu.com/africa/docs Direttore

Paolo Costantini CoorDinatore

Marco Trovato webmaster

Paolo Costantini amministrazione

Bruno Paganelli

Promozione e UffiCio stamPa

Matteo Merletto

Progetto grafiCo e realizzazione

Elisabetta Delfini foto

Copertina La top model gabonese Cynthia Ondias sfila a Dakar Daniele Tamagni Si ringrazia Olycom Collaboratori

Claudio Agostoni, Marco Aime, Giusy Baioni, Enrico Casale, Giovanni Diffidenti, Matteo Fagotto, Diego Marani, Raffaele Masto, Pier Maria Mazzola, Giovanni Mereghetti, Aldo Pavan, Giovanni Porzio, Anna Pozzi, Andrea Semplici, Daniele Tamagni, Alida Vanni, Bruno Zanzottera, Emanuela Zuccalà CoorDinamento e stamPa

Jona - Paderno Dugnano

Periodico bimestrale - Anno 90 luglio - agosto 2012, n° 4

Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 675/96 - tutela dei dati personali).

africa rivista COME RICEVERE AFRICA per l’Italia:

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per la Svizzera: Ord.: Fr 35 - Sost.: Fr 45 da indirizzare a: Africanum - Rte de la Vignettaz 57 CH - 1700 Fribourg CCP 60/106/4

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copertina Fashion Dakar di Daniele Tamagni

attualità

3 Africanews 4 Grasse per forza 10 Fantasmi a Timbuctu 14 Terminator del Congo 16 Le vie delle armi 20 La corsa (italiana) all’Africa 22 Cieli a rischio a cura della redazione di Roberto Paolo

di Marco Aime e. B.Zanzottera di Giusy Baioni

di Vincenzo Gallo di Enrico Casale

di Clark Akinlade

società

24 32 L’oro rosso del Kenya 40 Nozze in grande stile Colori di primavera

di Anna Pozzi e Bruno Zanzottera

38. L’appello Uganda

60. In forma Sudafrica

56 Il più buono dei gelati libri e musica 58 di Paola Marelli

di P.M. Mazzola e C. Agostoni

sport

62 Gli olimpionici d’Africa di Michela Offredi

italia

65 La corsa di Nadia, speranza italiana di Michela Offredi

viaggi

66 Nel Paese delle balene di Fabrizio Del Dotto

chiesa

70 Cairo, le suore dei lebbrosi 72 Il museo degli antenati

di Anna Pozzi e Bruno Zanzottera di Massimo Ruggero

News di Chiesa di Anna Pozzi

52 L’ugandese che sogna lo spazio

74 L’Africa di Francesca togu na 76 vita nostra 77

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di Aldo Pavan

di Samantha Moshapa

cultura

di Marco Trovato

di C. Peschechera e E. Albensi

a cura della redazione

a cura della redazione


news

a cura della redazione

Africanews, brevi dal continente 1 Costa d’Avorio, nuove violenze Ondata di violenze nel sudovest del Paese. Da metà giugno 7 caschi blu della locale missione Onu e almeno 14 civili hanno perso la vita in una serie di attacchi attribuiti a non meglio identificati uomini armati giunti dalla Liberia. La Costa d’Avorio, ex potenza economica dell’Africa occidentale, è uscita lacerata dalla guerra civile terminata solo pochi mesi fa.

2 Togo, piazze roventi Piazze agitate a Lomé. A giugno la polizia ha represso con lacrimogeni e manganelli decine di migliaia di manifestanti antigovernativi che chiedevano maggiore democrazia e giustizia sociale. Nella capitale del Togo le proteste popolari e gli scioperi si moltiplicano, il clima è sempre più teso. Gli attivisti chiedono le dimissioni del presidente Faure Gnassingbé, salito al potere dal 2005 dopo la morte del padre Eyadéma (1967-2005).

3 Malawi, Lady risparmio Sacrifici per tutti in tempi di crisi. Joyce Banda, primo Presidente donna del Malawi, ha messo in vendita il jet presidenziale costato 10 milioni di euro e le oltre 60 limousine acquistate dal precedente Capo dello Stato. «C’è l’urgenza di risanare i conti pubblici»

ha spiegato Banda annunciando le nuove misure di austerity. A maggio la Banca centrale ha svalutato il kwacha, la moneta nazionale, del 48%. In Malawi il 40% della popolazione (13 milioni di abitanti) vive con meno di un dollaro al giorno.

4 Zimbabwe, sanzioni sotto accusa Le sanzioni adottate nei confronti dello Zimbabwe, per “convincere il presidente Mugabe ad adottare riforme democratiche”, devono essere revocate perché colpiscono l’economia e la società intera: lo ha affermato l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Navi Pillay. Il presidente Robert Mugabe, l’eroe dell’indipendenza al potere dal 1980, ha denunciato più volte le sanzioni come parte di un progetto sovversivo che sarebbe sostenuto anzitutto dagli ex colonizzatori britannici e dagli Stati Uniti.

5 Zambia, tangenti italiane? Il figlio dell’ex presidente dello Zambia Rupiah Banda è stato arrestato a Lusaka con l’accusa di aver intascato tangenti da una società di costruzioni italiana: la Fratelli Locci, impresa attiva in diversi Paesi africani e vincitrice di un appalto per la realizzazione di alcune strade. Andrew Banda, indagato per rici-

claggio di denaro sporco, ha respinto ogni accusa e denunciato «una persecuzione politica».

6 Sudan del Sud, vola l’inflazione L’impennata del prezzo della benzina e la penuria di dollari sono all’origine dell’inflazione record (+80% su base annua) che sta colpendo milioni di sudsudanesi, un anno dopo la festa per l’indipendenza da Khartoum. Alla crisi sta contribuendo il blocco delle esportazioni di petrolio (che garantivano il 98% delle entrate statali), deciso a gennaio per via dei contrasti con Khartoum sulle tariffe

dal Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla) - il partito al potere dall’indipendenza, raggiunta nel 1975 - in vista delle prossime elezioni generali del 31 agosto.

8 Libia, elezioni cruciali Si terranno il prossimo 7 luglio le elezioni per il Congresso nazionale che avrà il compito di elaborare la nuova Costituzione post-Gheddafi. Al voto sono chiamati ad esprimersi 2,7 milioni di libici che dovranno scegliere fra circa 4000 candidati. Fonti: Misna, Bbc, Jeune Afrique

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1 2 da pagare per l’utilizzo dei suoi oleodotti, indispensabili per collegare i pozzi ai mercati internazionali.

7 Angola, Dos Santos non molla

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Il 70 enne presidente José Eduardo dos Santos, al vertice dello Stato da 30 anni, è stato scelto come capolista africa · numero 4 · 2012

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attualità

testo e foto di Roberto Paolo

In Mauritania sopravvive la tradizione dell’ingr

Grasse per

Bouchara ha subito la tortura del gavage dall’età di nove anni. «Mi costringevano a bere dieci litri di latte al giorno. Avevo la nausea, ma se mi rifiutavo venivo picchiata»

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assamento forzato delle bambine

forza B

ouchara ha 18 anni e due figli. Ma a guardarla mostra almeno il doppio della sua vera età. Si è sposata a dodici anni e ha avuto la prima bambina a tredici. «Non sapevo nemmeno cosa significasse la parola matrimonio». Per lei hanno deciso i genitori, come accade a quasi tutte le donne in Mauritania. Vengono “cedute” al marito sulla base di un contratto scritto e dietro il pagamento di un cospicuo corrispettivo in denaro contante. Bouchara pesa-

Migliaia di giovani sono costrette dai famigliari a ingozzarsi giorno e notte di latte, cuscus e farmaci veterinari. Devono gonfiarsi fino quasi a scoppiare. «Solo così possono ambire a trovare un marito» va oltre centodieci chili, e per questo la somma che il marito ha dovuto pagare ai suoi genitori è stata piuttosto alta.

Vere torture

Al contrario di quanto accade in Occidente, dove è più che mai fiorente l’industria delle diete e le adolescenti rischiano l’anoressia per inseguire miti da copertina, in Mauritania “grasso è bello”. Ma non è sempre bella la strada per perseguire questo ideale di avvenenza femminile fondato sulle

rotondità e la pinguedine. In francese si chiama gavage; in italiano si potrebbe tradurlo con “ingrassamento forzato”. Come quello che in Francia si fa con le oche per produrre il fois gras. Bouchara ha cominciato a nove anni. La zia era una professionista del gavage, a lei si rivolgevano tutte le famiglie del villaggio. E l’ha fatto anche a lei. Per tre anni. Ingozzata di latte di cammella e cuscus. «Mi costringevano a bere dieci litri di latte al giorno. Spesso avevo nausea

L’ultima follia congolese: il dado in supposta

Una pericolosa moda sta dilagando tra le donne della Repubblica democratica del Congo. Per rispecchiare l’ideale di bellezza locale, che le vuole con natiche grandi e rotonde, migliaia di giovani congolesi usano il popolare dado Maggi (condimento usato in cucina per esaltare i sapori delle pietanze) a mo’ di supposta. Così facendo le ragazze credono che il concentrato, a base di carne o verdure, faccia crescere la zona interessata a dismisura, soddisfacendo le richieste degli uomini. Molte di loro, però, si trovano ben presto costrette a recarsi in ospedale con infiammazioni e bruciori dovute alle spezie contenute nel dado. Il musicista congolese Shiko Mawatu ironizza su questa incredibile moda nella canzone Ntaba Ya Bandundu: «Hanno già consumato otto dei dieci dadi che c’erano in cucina, lasciate gli altri due per insaporire i fagioli». africa · numero 4 · 2012

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Nigeria

lo scatto

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testo di Geremi Obodo foto di Pius Otomi Ekpei / AFP

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esti di una chiesa a Sokoto, nel nord della Nigeria, devastata da un attentato dinamitardo compiuto dai fondamentalisti islamici di Boko Haram. Dall’inizio dell’anno i jihadisti nigeriani legati ad Al Qaeda hanno condotto decine di attacchi sanguinari in luoghi di culto cristiani. A Natale un attacco suicida in una chiesa cattolica ha ucciso 44 persone. A Pasqua una serie di esplosioni ha provocato altre 38 vittime. Solo lo scorso 17 giugno, l’esplosione di alcuni ordigni ha distrutto cinque chiese gremite di fedeli per la messa festiva nello Stato settentrionale di Kaduna, provocando una quarantina di morti. Il Vaticano ha espresso sconcerto e inquietudine con una dichiarazione di padre Federico Lombardi, portavoce della sala stampa della Santa sede: «La sistematicità degli attentati contro i luoghi di culto cristiani nel giorno di domenica è orribile e inaccettabile, segno di un disegno assurdo di odio».

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Domenica di sangue africa 路 numero 4 路 2012

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attualità

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testo di Marco Aime foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero

Fantasmi a

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La mitica città santa del Mali è nelle mani di Al Qaeda

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Timbuctu è ritornato il medioevo. È ritornato in gran parte del Sahara. Lungo le stesse piste di sabbia dove un tempo le carovane di cammelli trasportavano merci preziose e schiavi, oggi grossi camion e fuoristrada trasportano droga, sigarette e migliaia di persone, incatenate al mito della ricchezza dell’Europa, che tentano di raggiungere le coste del Mediterraneo. Cambiano i mezzi, cambiano le merci, gli uomini sono sempre schiavi. Quante volte in passato Timbuctu è stata presa e razziata dai Tuareg! Anche questa è una storia già vista e raccontata. Questa volta però c’è qualcosa di diverso.

Il suo nome ha fatto sognare generazioni di esploratori e viaggiatori, le sue biblioteche hanno richiamato schiere di studiosi, le sue leggendarie miniere d’oro hanno attratto i conquistatori. Oggi la capitale dei Tuareg è presa in ostaggio dai miliziani jihadisti

Una pericolosa alleanza Nei primi giorni di aprile gruppi armati di Tuareg dell’Mnla, il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad, il territorio che comprende tutto il Mali nord-orientale, sono entrati nella città. I militari maliani di stanza nella caserma della città, avevano già bruciato le loro divise, si erano vestiti

in borghese, per confondersi con la popolazione locale. Gli unici colpi di arma da fuoco sono stati quelli sparati in aria durante i caroselli dei pick-up, lungo le vie della città dei 333 santi. Sembrava una cosa indolore, ma così non è stato. Un paio di settimane dopo,

Tra il fiume e le dune Il periodo di splendore della città risale all’impero Songhay, nel 1440, quando i suoi ventimila abitanti erano dediti al commercio e sfruttavano la posizione strategica, tra il Sahara e il fiume Niger. Le carovane che transitavano per Timbuctu trasportavano schiavi, penne di struzzo, avorio, ma soprattutto il salgemma di Taoudeni e l’oro del Ghana

sono entrati in città anche i gruppi armati di Ansar Dine (i difensori della religione). Anche loro Tuareg, ma mentre l’azione dell’Mnla è dettata da aspirazioni politiche, quella dell’Ansar Dine si svolge interamente all’insegna del jihad e all’imposizione della shaaria. Al comando di Iyad Ag Ghali, leader storico delle ribellioni degli anni Novanta e poi convertitosi al salafismo, questi Tuareg provengono dalla Libia, dove erano stati armati e addestrati da Gheddafi per la sua difesa personale. Fin dall’inizio si sono avvicinati moltissimo ai terroristi della Aqmi, Al Qaeda nel Maghreb Islamico, con cui sembrano avere stretto un’alleanza, nonostante l’opposizione del Mnla.

L’ultima invasione Entrati a Timbuctu, questi guerriglieri integralisti hanno saccheggiato tutti i bar, distruggendo non solo i depositi di birra, ma anche ogni bevanda che richiamasse l’Occidente e depredando i negozi delle loro merci. In pochi giorni

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attualità

testo di Vincenzo Gallo

Le vie delle Per l’industria militare le guerre africane sono

Malgrado la crisi economica, il commercio delle armi va a gonfie vele. Ma il business bellico in Africa favorisce l’instabilità politica, rafforza i regimi autoritari, prosciuga le risorse dei governi e alimenta guerre civili e crisi umanitarie

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e si parla di traffico d’armi in Africa si fa generalmente riferimento alle armi leggere o Salw (Small Arms and Light Weapons), cioè quelle che possono essere agevolmente trasportate e impiegate da una sola persona. Pur non avendo un potenziale distruttivo paragonabile alle armi pesanti (cannoni, artiglieria, ecc), le

Salw possono essere trasferite e stoccate in centinaia di migliaia di esemplari anche per decenni. Ciò che rende le armi leggere “le vere armi di distruzione di massa” è il fatto che si sono diffuse in modo incontrollato. Trafficanti, broker, intermediari, ma anche governi e forze internazionali di pace si sono resi responsabili a vario titolo del trasferimento illegale

di armamenti da un Paese all’altro e, come spesso si è accertato, da un conflitto all’altro. Ogni anno più di 300mila persone sono uccise nel mondo con l’impiego di armi leggere, circa duemila al giorno. Si stima che in Africa siano in circolazione 30 milioni di armi leggere: l’80% è in mano a civili, miliziani, combattenti irregolari e ribelli.


armi

sempre un buon affare Affari sporchi e oscuri Le guerre africane hanno da sempre rappresentato un lucroso affare per i principali produttori mondiali di armi, tra cui Usa, Russia, Francia, Germania, Cina e Italia. Non stupisce che l’unico strumento internazionale realmente vincolante in materia di commercio di armamenti - l’Arms Trade Treaty (Att) - sia ancora in attesa di essere approvato in seno alle Nazioni Unite. Il processo negoziale per la definitiva approvazione dell’Att dovrebbe concludersi, salvo ulteriori ritardi, nel 2012. Ma gli interessi in gioco sono enormi e molteplici. La Russia, il secondo esportatore mondiale di

Approfondire Per chi desidera approfondire sul web il tema del traffico di armi in Africa segnaliamo il saggio di Vincenzo Gallo (www.archiviodisarmo.it), il Rapporto 2011 dell’Istituto internazionale di Stoccolma per le ricerche sulla pace (www.sipri.org) e il dossier Le vie delle armi di Mark Hartford pubblicato da Misna (www.misna.org/uploads/ trafficoarmi-it.pdf).

armi dopo gli Stati Uniti, ha destinato il 14 per cento dell’export di questo settore all’Africa. Anche la Cina ha trovato nel continente nero importanti mercati di sbocco per le proprie industrie militari. I trasferimenti di armi cinesi hanno interessato diversi Paesi sotto embargo delle Nazioni Unite per le gravi violazioni dei diritti umani, in primis il Sudan per la situazione in Darfur. Per il Sudan (che paga con l’esportazione di petrolio) il governo cinese è diventato il principale fornitore di armi. Pechino ne ha vendute per 55 milioni di dollari a Khartoum, noncurante del fatto che potessero essere impiegate per attacchi indiscriminati sulla popolazione civile. Nell’ultimo decennio, in Sudan, contestualmente all’incremento della produzione petrolifera, si è registrato un aumento di 680 volte dell’acquisto di armi.

Carenza di controlli I principali destinatari delle armi europee e statunitensi sono stati il Sudafrica e i Paesi dell’Africa settentrionale quali Algeria, Marocco e Libia, ma i Paesi dell’Africa subsahariana,

Italia e Libia compagne d’armi L’intervento militare dell’Occidente in Libia ha permesso non solo di spodestare il Colonnello Gheddafi, ma anche di accendere i riflettori sul florido commercio di armamenti avvenuto negli ultimi anni tra il governo italiano e quello libico. Nel 2004 l’Unione Europea ha revocato l’embargo ai danni della Libia e da allora le esportazioni italiane di armi al regime di Gheddafi hanno conosciuto un incremento impressionante. Solo nel biennio 2008-09 il volume dei trasferimenti di armi da Roma a Tripoli è quadruplicato: da 57 milioni di euro a oltre 200 milioni. L’Italia è stata il primo fornitore di materiale bellico (tra cui elicotteri e aerei di pattugliamento) a favore del regime di Gheddafi, e questo benché la normativa in materia di esportazioni di armi ad uso militare, la nostra legge 185/1990, imponga l’accertamento del rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario da parte del destinatario delle armi. Nel giugno 2009, durante la visita di Gheddafi a Roma, fu siglato un contratto per la fornitura di quasi 11mila armi leggere (pistole e carabine Beretta e fucili della Benelli)… molto probabilmente impiegate l’estate scorsa dall’ex regime per sparare sui civili nelle strade e reprimere nel sangue le rivolte. Con la caduta del Rais l’arsenale libico è stato saccheggiato, ora la comunità internazionale è preoccupata che le armi (tra cui mitragliatrici e lanciamissili) possano finire nelle mani delle cellule terroristiche legate ad Al Qaeda. africa · numero 4 · 2012

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attualità

testo di Enrico Casale

La corsa (italiana) all’Africa

Si moltiplicano le imprese che investono La recessione e la crisi del credito in Europa spingono sempre più imprenditori italiani a cercare nuove opportunità di business nelle economie emergenti dell’Africa

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Africa sarà il nuovo Eldorado dell’economia mondiale? È ancora presto per dirlo, ma i presupposti ci sono. Secondo il Fondo monetario internazionale, nel 2011 il Pil (Prodotto interno lordo) del continente è cresciuto del 5,2% e nel 2012 dovrebbe migliorare del 20

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5,8%. Dati che fanno sognare gli imprenditori europei e statunitensi, stretti nella morsa di una recessione che sembra non finire. Proprio quegli imprenditori iniziano a guardare con sempre maggiore interesse all’Africa. E in prima fila ci sono gli italiani.

Camicie e maxi-dighe

Il gruppo tessile Zambaiti ha acquistato nel 2004 dal governo eritreo l’Asmara Textile Factory (ex Cotonificio Barattolo, fondato dall’italiano Roberto Barattolo negli anni Cinquanta e poi nazionalizzato), che oggi ha 550 dipendenti (solo una decina gli italiani) e produce ogni giorno un migliaio di camicie, 250 paia di pantaloni, 150 lenzuola e 3.600 chili di filato. L’85% dei prodotti viene esportato, tra i clienti c’è anche la griffe di Armani.

«In Eritrea abbiamo trovato una manodopera qualificata e motivata», spiegano i responsabili di Zambaiti». «Certo, le difficoltà non mancano: a volte dobbiamo interrompere la produzione perché manca l’acqua o perché ci sono invasioni di cavallette. Ma gli affari vanno bene». Se si parla di imprese italiane in Africa, non si può non citare la Salini, colosso romano delle costruzioni civili (realizza strade, ponti, edifici e mega-impianti idrici). Oltre la metà dei suoi cantieri ormai si trovano a sud del Sahara: dalla Guinea alla Tanzania, dalla Sierra Leone all’Uganda. In Etiopia, la Salini ha costruito quattro dighe, tra cui le colossali Gilel Gibe I e Gilel Gibe II (entrambe criticate da gruppi ecologisti per il forte impatto ambien-

tale) che, nelle intenzioni di Addis Abeba, dovrebbero fornire corrente elettrica a tutto il Paese.

Dal Sudafrica alla Tunisia In Africa è sbarcata da molto tempo anche la Bonfiglioli, un’impresa bolognese che produce riduttori, motori, inverter e componenti per la meccanica. «Da trent’anni abbiamo una filiale in Sudafrica che si occupa dell’assemblaggio e della distribuzione dei nostri prodotti per l’industria mineraria», spiega un responsabile. «Abbiamo un centinaio di dipendenti. Il Sudafrica ha l’economia più sviluppata del continente, il posto ideale per fare affari con tutti i Paesi dell’Africa meridionale». La Dainese, società vicentina leader nella produzione di tute, caschi e accessori


attualità

testo di Clark Akinlade

Cieli a rischio Ancora sciagure aeree in Africa: solo una fatalità? Negli ultimi trent’anni i livelli di sicurezza dei trasporti aerei sono migliorati ovunque nel mondo, tranne in Africa. E la Nigeria detiene il primato degli incidenti mortali

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o scorso 3 giugno un aereo della compagnia nigeriana Dana, decollato da Abuja, è precipitato in piena notte su un popoloso quartiere di Lagos. Il pilota aveva lanciato un mayday - segnalazione di emergenza per imbarcazioni o velivoli - quando si trovava a circa 18 chilometri dall’aeroporto di atterraggio, mentre la torre di controllo aveva perso i contatti con il comandante pochi minuti prima dell’impatto. Nello schianto hanno perso la vita le 153 persone a bordo e una ventina

di cittadini investiti dal velivolo mentre dormivano nelle loro case. Poche ore prima, in Ghana, un aereo cargo della Allied Air si era schiantato su un bus e alcune auto nei pressi dell’aeroporto internazionale di Accra. Secondo quanto riportato dalle autorità, l’aereo avrebbe mancato la pista in fase di atterraggio, sfondato la recinzione finendo su una strada, dove ha travolto un minibus su cui viaggiavano 10 persone, tutte morte. I 4 membri dell’equipaggio sono rimasti feriti.


società

testo di Anna Pozzi foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero

Street Art: la rivoluzione, pacifica e colorata, sui muri del Cairo

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In uno dei quartieri più poveri e degradati della capitale - teatro di un sanguinario attentato terroristico - decine di giovani hanno preso in mano vernici e pennelli per dipingere le facciate delle loro abitazioni e portare un po’ di speranza nelle strade ferite.

C

i vivono sei dei venti milioni di abitanti del Cairo. Ammassati in un alveare umano fatto di palazzoni grigi e decrepiti. Tutti uguali. L’uno appiccicato all’altro. Così stretti che se ti affacci alla finestra di uno finisci quasi nella cucina del vicino, dall’altra parte della strada. Dire che Imbaba è un quartiere povero del Cairo non rende l’idea. Povertà, qui, significa degrado materiale e umano. Significa condi-

zioni di vita ridotte alla sopravvivenza. Significa una convivenza difficile, anche per chi, come nella capitale egiziana, è abituato da sempre a stare nella folla e nel rumore. Ma significa anche non vedere mai (o quasi) la luce. Perché in queste stradine squadrate e dissestate, persino il sole fa fatica a entrare. E a toccare terra. Il grigiore, anche di giorno, è un’atmosfera avvolgente e malinconica. Poi ci sono gli estremi. C’è

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Revolution aRt

La rivoluzione egiziana non passa solo per le strade ma anche per i muri del paese. Dal gennaio 2011, inizio della rivolta che portò alla fine della trentennale dittatura di Hosni Mubarak, si è fatto largo un nuovo modo di protesta, sempre attivo in questo travagliato periodo di transizione militare. È il movimento dei graffiti. Non c’e muro del Cairo e di ogni città egiziana, infatti, in cui non siano dipinti, gli slogan e i volti dei protagonisti della rivoluzione egiziana. L’ultimo lavoro è aver “graffitato” i muri costruiti dall’esercito dopo le proteste degli scorsi mesi per proteggere il Parlamento e il Ministero dell’Interno nelle vie vicine alla ormai storica Piazza Tahrir. Così, mentre si passeggia nel centro città, è possibile vedere una ballerina con la maschera antigas che danza con un militare oppure i visi dei giovani ragazzi rimasti uccisi durante gli scontri con le forze di sicurezza. «Questo per noi è linguaggio di protesta vero e proprio - racconta Hussem, studente universitario e leader del movimento - abbiamo cominciato prendendo degli stencil dalla rete e a riportarli per tutta la città sfidando la polizia durante le manifestazioni, ora tantissimi vengono da noi e ci chiedono di imparare». I graffiti sono solo uno dei tanti movimenti underground che insieme ad altre forme culturali, come la musica rap e il cinema indipendente, sono esplosi dopo la rivoluzione. Un nuovo approccio alle idee nella politica, uno dei motori del cambiamento generazionale egiziano. Laura Cappon il dramma e c’è la speranza. La tragedia ha una data: 7 maggio 2011, quando un gruppo di estremisti salafiti ha preso d’assalto la chiesa copta-ortodossa di Santa Mina. Il bilancio fu di una decina di morti e più di duecento feriti. E di moltissime famiglie che si portano dentro quella ferita lacerante. L’attacco sanguinario alla chiesa di Imbaba è stato uno dei momenti più drammatici della rivoluzione, cominciata il 25 gennaio 2011.

Voglia di luce Una rivoluzione che si voleva pacifica, che ha unito uomini e donne, giovani e anziani, cristiani e musulmani. Ma che è stata funestata da alcuni episodi di violenza cieca e insensata. Come, appunto, quello che

ha insanguinato il quartiere di Imbaba. Ma anche qui dal dramma è nato qualcosa di buono. Di positivo. Un barlume di speranza. Qui, un pittore e un giornalista, Ashraf Roasslen e Osama Adel Hak, hanno dato vita a un progetto che mira a rendere più vivibile questa zona così abbandonata e degradata. Insieme, hanno coinvolto la gente del posto e si sono messi a realizzare dei murales lungo alcune strade. Per portare un po’ di colore e di luce in un quartiere che era sprofondato anche nelle tenebre della violenza. «Dopo l’inizio della rivoluzione - racconta Ashraf Roasslen, mentre passeggia tra le stradine che hanno ripreso colore - ho pensato che non potevo più rimanere chiuso nel mio studio e ho iniziato africa · numero 4 · 2012

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Ma l’Egitto NoN È aNCoRa iN PaCE Incertezze politiche e nuove tensioni in Piazza Tahrir «Dall’esperienza dentro il quartiere - continua Roasslen - e da quella della rivoluzione è nata l’idea di fare un progetto di street art a Imbaba. All’inizio la gente era un po’ diffidente. Poi, un po’ alla volta, ho sentito che si creava un clima di maggiore fiducia e apertura. Così abbiamo cominciato a dipingere i muri di questi palazzoni grigi, con l’idea di portare l’arte, il bello, nel cuore di uno dei quartieri più brutti e poveri, condividendo l’idea e la realizzazione con i suoi stessi abitanti». Osama Abdel Hak, il giornalista, abita proprio lì, in una di quelle viuzze oggi quasi irriconoscibili. È stato lui, soprattutto, a coinvolgere i ragazzi del quartiere nel dipingere le facciate delle loro abitazioni. Ne è uscita un’opera di grande impatto visivo e di straordinaria vitalità. Perché qui le persone, le loro cose, le porte, le finestre, il bucato appeso in strada, la bicicletta appoggiata al muro… vivono e interagiscono con i dipinti, creando così un unico grande quadro, in bilico tra vita e sogno. •

La fine della dittatura di Mubarak non ha portato la democrazia tra le piramidi. Al Cairo è in corso una lotta di potere tra militari e islamisti. E la delusione popolare acuita dalla crisi economica rischia di far riesplodere la violenza Le elezioni presidenziali egiziane avrebbero dovuto segnare la fine della transizione da un governo militare a uno civile. E invece, all’indomani della tornata elettorale, il Paese si ritrova senza parlamento né Costituzione e con un nuovo Presidente che dovrà continuare a fare i conti con l’esercito. Pochi giorni prima del ballottaggio, infatti, la Corte costituzionale ha sciolto il parlamento - il primo eletto democraticamente nella storia egiziana - per un vizio di forma della legge elettorale, restituendo così i poteri legislativi all’esercito. La mossa della Corte, costituita per il 90% da giudici eletti durante la dittatura di Mubarak, è stata definita da molti analisti politici un colpo di stato istituzionalizzato, una zampata improvvisa e inaspettata che allunga inesorabilmente la fine della transizione e porta l’Egitto verso il rischio di una dittatura militare. Una tesi che secondo molti esperti è avvalorata anche dalla dichiarazione costituzionale approvata il 17 giugno dal Consiglio Militare Supremo - due ore dopo la chiusura dei seggi - che definisce i poteri del nuovo capo di Stato egiziano. LA RIVOLUZIONE TRADITA Secondo i nuovi articoli, che vanno a completare l’altro documento emanato dall’esercito nel marzo 2011 dopo le dimissioni di Mubarak, il nuovo Presidente potrà utilizzare le forze militari per gestire questioni di ordine pubblico, mentre il consiglio militare avrà la possibilità di interferire nei lavori della nuova Assemblea Costituente e avrà il diritto di veto sulla dichiarazione di guerra. «Anche se abbiamo il nuovo Presidente, è come se fossimo tornati indietro di un anno e mezzo - dicono gli attivisti di Piazza Tahrir -; il Presidente in questo modo rischia di essere un fantoccio e potrebbe diventare un capo ad interim che verrà sostituito appena verrà approvata la nuova Costituzione». Una situazione che crea disorientamento in particolare tra gli attivisti della piazza che dopo aver perso rappresentanza nel ballottaggio elettorale - ritrovandosi a scegliere tra Mohammed Morsi dei Fratelli Musulmani e l’ultimo ex Primo ministro di Mubarak Ahmed Shafiq - vedono i militari riprendersi il potere e consolidarlo. Così, mentre le manifestazioni a Piazza Tahrir si moltiplicano, anche l’economia collassa con la borsa ai minimi storici e la disoccupazione che continua a crescere di pari passo con l’instabilità del paese. Una situazione drammatica e di difficile risoluzione per l’Egitto, che per il momento vede allontanarsi il suo sogno di democrazia. di Laura Cappon, dal Cairo africa · numero 4 · 2012

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società

testo e foto di Aldo Pavan

L’oro rosso del Kenya

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Visita alle piantagioni del carcadè equo solidale

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ei sacchi c’è oro rosso. Patrick Mathendu ha lavorato per molti giorni nel suo campo con la moglie Naomi. Ha colto a mano i fiori color sangue. E ora è pronto a consegnare il carcadè al magazzino di Meru Herbs, dove altre centinaia di contadini faranno convogliare i loro raccolti. Fa caldo anche oggi. Il sole arroventa le pendici del monte Kenya. Le piogge anche quest’anno sono state troppo scarse. La terra si spacca a causa della grande aridità. Una leggera polvere rossa vola nell’aria depositandosi dappertutto. La capitale Nairobi è a 400 chilometri più a sud. Qui siamo nel cuore dell’Africa rurale. Fazzoletti di terra tagliati da strade sterrate e ricoperti da maestosi tappeti rossi. Sono i campi di ibisco (Hibiscus sabdariffa), una pianta tropicale della famiglia delle malvacee resistente alla siccità. Dai suoi fiori rossi si ricava una bevanda rinfrescante e dissetante, assai popolare nei Paesi caldi, apprezzata anche per le sue proprietà diuretiche e digestive. «Il carcadè fa del bene a chi lo consuma… ma anche a chi lo produce», spiega convinto Patrick. «Nei miei campi coltivo anche cipolle, melanzane e zucchine. Ma solo i fiori del carcadè mi garantiscono un giusto guadagno», aggiunge il contadino, mentre consegna i suoi sacchi ai responsabili del magazzino per la pesa. «La gran parte della nostra produzione finisce all’estero», afferma Rosalyne Kagwira, responsabile di produzione di Meru Herbs, l’associazione che raggruppa quasi 500 contadini della regione e che dà lavoro a un centinaio di operaie. «E tutto ciò che esce da qui è destinato al mercato equosolidale. Vendiamo in Europa, in Giappone e negli Usa. In questo momento stiamo caricando un container per il Consorzio Ctm Altromercato: la maggiore organizzazione di commercio equo e solidale in Italia e la seconda a livello mondiale». Nell’arco di poche settimane, il carcadè di Meru Herbs passa dalle piantagioni keniane agli scaffali di negozi e botteghe a Milano, Roma, Napoli, Tokyo e New York. In questo arco di tempo il prodotto subisce una serie di lavorazioni e trasformazioni che lo rendono commerciabile e pronto al consumo. In queste pagine vi mostriamo cosa accade. • africa · numero 4 · 2012

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lo scatto

testo di Joshua Mampuru foto di Robert Caputo/Aurora/Olycom

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Uganda

lo

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iccoli allievi di una scuola primaria ugandese a sud della capitale Kampala. L’Uganda è la nazione “più giovane” del mondo: l’età media dei suoi abitanti è di 15 anni. Lo straordinario tasso di fertilità delle donne (la media è di sei figli) posiziona il Paese ai vertici della classifica mondiale per la crescita demografica. Una risorsa per il futuro, una sfida per il presente: il boom delle nascite ha fatto raddoppiare in dieci anni le spese statali per l’istruzione. E oggi le aule scoppiano di studenti.

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società

di Samantha Moshapa

Nozze in grande stile In Africa l’industria dei matrimoni fa affari d’oro 40

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copertina

testo e foto di Daniele Tamagni

La capitale africana dell’eleganza ospita la Settimana della Moda

fashion Dakar A Dakar la moda è donna: una sfida al machismo imperante nella società senegalese

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copertina In Senegal le più quotate stiliste e modelle dell’Africa danno vita a sfilate e ricevimenti di gran classe che celebrano la creatività e la bellezza femminile

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n défilé senza musica? A Dakar è possibile. Durante la serata d’inaugurazione della Fashion Week 2011 (l’edizione 2012 è andata in scena dall’11 al 17 giugno), il funzionario senegalese incaricato di riscuotere le tasse per i diritti d’autore ha messo a tacere il deejay e ha chiesto ad Adama Paris, responsabile della manifestazione, di sborsare sull’unghia un milione di franchi Cfa (1.500 euro). La stilista si è rifiutata di versare l’obolo e così le modelle hanno sfilato prive di sottofondo musicale, tra i bisbigli e i commenti estasiati della folla in platea. «A Parigi o Milano non sarebbe mai accaduto nulla del genere», ha tuonato Adama Paris in una telefonata di fuoco al ministro del Commercio. «Il governo senegalese dovrebbe sostenere l’industria della moda, non boicottarla».

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Anche se la kermesse di Dakar dispone di un budget esiguo, 30mila euro, gli organizzatori ci tengono a fornire un’immagine di efficienza e professionalità. Dopo il mezzo passo falso della cerimonia d’apertura, le altre sfilate si sono svolte senza intoppi per concludersi trionfalmente nel lusso minimalista del Radisson Blu, il migliore hotel della città, davanti a un plotone di fotografi giunti da ogni parte del mondo. «È stato un successo», ha com-

Le passerelle della moda hanno rivoluzionato l’immagine della donna in Africa. «L’Occidente si occupa di noi solo quando ci sono guerre o sciagure umanitarie», rimprovera la stilista Adama Paris. «Ma è ora che qualcuno si accorga anche della nostra palpitante creatività»


mentato alla fine Adama Paris. «La dimostrazione che l’Africa è la nuova frontiera del glamour e dell’eleganza».

Protagoniste in passerella La Fashion Week (www. dakarfashionweek.com) giunta alla decima edizione - è l’evento di moda più importante dell’Africa e riunisce ogni anno i più grandi stilisti del continente. È una vetrina importante non solo per i designer emergenti ma anche per le statuarie modelle dalla pelle d’ebano, che possono mettersi in luce davanti a una platea internazionale, con la speranza di ottenere un ingaggio in Europa. I défilé si svolgono nei locali più esclusivi di Dakar, capitale africana del prêt-à-porter, gremita per l’occasione di operatori del settore dell’abbigliamento. I brulicanti foyer degli alberghi pullulano di giovani

Adama Paris È la nuova regina dell’eleganza senegalese (ma è nata a Kinshasa, nell’allora Zaire, nel 1976). Si chiama Adama Ndiaye, benché tutti la conoscano come Adama Paris. Stilista di grande talento, ha conquistato il successo confezionando collezioni colorate e ambiziose che valorizzano la rigogliosa esuberanza africana. Oggi vive e lavora tra New York, Parigi e Dakar. Organizzatrice delle ultime edizioni della Fashion Week, ha coinvolto nella manifestazione decine di promettenti stilisti africani, conferendo un ruolo di primo piano a Dakar come capitale della moda africana. www.adamaparis.com

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cultura

di Marco Trovato

A Kampala fa notizia un giovane ingegnere appassionato di astronautica

L’ugandese che sogna lo spazio

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ide bene chi ride ultimo». Chris Nsamba, 28 anni, viso rotondo e occhi vispi, non è tipo da prendersela per gli sfottò e le battutacce di scherno che gli lanciano sulla strada. «Non ho tempo da perdere, devo concentrarmi sul lavoro», bofonchia senza togliere lo sguardo da un progetto stropicciato. «C’è ancora tanto da fare… I conti li faremo alla fine».

Una piccola celebrità I giornali e le radio di Kampala gli hanno regalato notorietà. La televisione nazionale lo ha consacrato 52

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Chris Nsamba, 28 anni, astrofilo e ricercatore aeronautico, ha ideato un ambizioso programma di ricerca spaziale. E promette di lanciare in orbita una navicella che sta costruendo nel cortile di casa

dedicandogli un’intervista nel notiziario della sera. La gente ora viene a curiosare tra le casupole del quartiere di Ntinda, vuole vedere da vicino il giovane studioso che si è messo in testa di trasformare questo sobborgo popolare della capitale in una sorta di Cape Canaveral ugandese. E pazienza se non c’è lo Space Shuttle né alcuna rampa di lancio da ammirare. Al di là di uno steccato di legno si può osservare l’intraprendente Nsamba, ingegnere aeronautico col pallino per l’astronautica, impegnato a costruire la sua navetta spaziale. Una scena vista finora

solo nei film di fantascienza americani. «Mio figlio è un genio», commenta con fierezza la signora Sarah Lugwana, madre del progettista, che ha messo a disposizione il giardino di casa per assemblare lo strano congegno. «I curiosi vengono da ogni parte della città per vedere la sua navicella, ogni giorno è una processione di persone che scattano foto coi cellulari».

Laboratorio artigianale Nel cortile di terra battuta, all’ombra di un albero dal fitto fogliame, tra matasse di fili attorcigliati, scar-


Chris Nsamba appoggiato alla sua navetta e alcuni volontari al lavoro. Sono pi霉 di seicento gli ugandesi che, con donazioni o con il lavoro, sostengono la missione spaziale ideata dal giovane ingegnere

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libri

di Pier Maria Mazzola

La lunga avventura umana dell’Abbé Pierre (19122007) è stata di una fecondità straordinaria. Il suo nome è legato alle comunità Emmaus, iniziate nel dopoguerra, ma la sua azione è stata ancor più vasta e poliedrica. Partigiano e poi deputato, carismatico promotore di solidarietà nel rigido inverno del ‘54 e organizzatore di alloggi per i senzatetto, presidente del Movimento federalista mondiale e difensore dell’obiezione di coscienza al militare, sostenitore della lotta alla fame nel mondo e figlio ante litteram della chiesa conciliare… E poi la sua abilità nell’usare i media, la sua arte di intessere relazioni, con gli ultimi come con i «grandi» di questo mondo. Il tutto, sempre motivato dalla sua spiritualità sacerdotale. Per la prima volta un libro affronta l’intero arco di vita dell’Abbé Pierre, con ogni fase contestualizzata nel suo tempo. Filo conduttore sono le innumerevoli sfide che egli sempre raccolse con prontezza ed energia. Perché «incapace – scrive Jean Rousseau nella prefazione – di resistere alla forza incontenibile della compassione».

TUTTE LE SFIDE DELL’ABBÉ PIERRE

«Servire per primo il più sofferente»

Denis Lefèvre

Denis Lefèvre, giornalista francese esperto di mondo rurale, è autore di una quindicina di libri tra cui Les Combats d’Emmaüs (Le cherche midi, 2001).

onlus

TUTTE LE SFIDE DELL’ABBÉ PIERRE Vita ribelle e resistente del fondatore di Emmaus Prefazione di Renzo Fior

Fela

Questa bastarda di una vita

di Carlos Moore

Difficile riassumere Fela Anikulapo Kuti (1938-97), padre dell’afrobeat ma anche ben più che un musicista formidabile e innovatore. I suoi testi erano di denuncia politicosociale e gli meritarono vere persecuzioni da parte governativa. Memorabile l’irruzione del 1977 nella sua “Repubblica di Kalakuta” da parte dei soldati in occasione del Festac, il festival culturale panafricano di Lagos che Fela aveva disertato in segno di protesta. Figlio della storica femminista nigeriana Funmilayo, la figura ribelle e controversa (nel 1978 sposò 27 ragazze) di Fela è diventata una leggenda africana. Il libro che esce ora in italiano vide la luce, nell’edizione originale, nel 1981, e conserva lo stile orale e in prima persona delle interviste fattegli dal curatore, afrocubano. Prefazione di Gilberto Gil. Arcana 2012, pp. 383, 22,00 euro 58

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Tunisi, taxi di sola andata

Sulla pelle viva

Una sorta di reportage letterario in prima persona. Sophie ritorna a Tunisi, città che ha frequentato, nell’agosto del 2011, in pieno Ramadan e mentre il Paese si prepara al voto (l’ultimo capitolo è successivo alle elezioni: come il titolo insinua, Sophie questa volta a Tunisi c’è rimasta). Vorrebbe capire cos’è davvero questa Rivoluzione dei gelsomini, e va a incontrare persone amiche e volti nuovi, che sono spesso donne, artisti o librai, soprattutto tassisti. «Ascoltare», «lavoro», «restaurazione» (paventata) sono tra le parole che più ritornano nel testo. Insieme ai timori di un raz-demarée islamista. L’autrice ci offre una bella chiave di lettura narrativa della Tunisia dopo Ben Ali, capace di dar corpo non solo ai timori ma anche alla speranza.

Non tutti ricorderanno il primo sciopero di braccianti agricoli africani in Italia. È iniziato il 30 luglio 2011 a Nardò (Lecce), nella Masseria Boncuri. Quattrocento lavoratori - tra i quali è emerso un “leader naturale” camerunese - per due settimane si sono organizzati autonomamente per protestare contro il caporalato e reclamare l’assunzione diretta da parte delle aziende. Alcuni ricercatori in sociologia sono stati testimoni di quella vicenda e, assieme ad altri protagonisti, in questo libro la raccontano e analizzano. Essa «ha scosso equilibri grigi: scoprendo relazioni tra la politica e le aziende, ha messo in crisi un piccolo pezzo di sistema, inceppando (forse per poco) l’ingranaggio di un sistema macroscopico e transnazionale che certo non investe solo l’Italia».

L’Abbé Pierre (19122007), fondatore, con intuizione semplice e geniale, delle comunità Emmaus, è una figura che non dovrebbe necessitare di presentazioni. Mancava sinora, però, una biografia come questa (la prima postuma), che ripercorre le mille battaglie che l’Abbé Pierre ha affrontato per tutta la sua lunga vita. E sempre in favore del «più sofferente», da «servire per primo». Oltre alla questione della casa, fame del mondo e sviluppo dei popoli sono stati le sue grandi “ossessioni”, che lo hanno portato anche in Africa, dapprima in Marocco e poi in Benin, Burkina Faso… (Emmaus è oggi presente in otto Paesi del continente). Senza dimenticare il suo “mitico” rapporto con Albert Schweitzer… Una lettura straordinaria, che non lascerà nessuno indifferente.

DeriveApprodi 2012, pp. 167, 12,00 euro

Emi 2012, pp. 399+XVI, 15,00 euro

di Autori vari

di Ilaria Guidantoni

No Reply 2012, pp. 205, 12,00 euro

Tutte le sfide Islam dell’Abbé Pierre

di Paolo Branca e Barbara De Poli

di Denis Lefèvre

Anzitutto il contesto editoriale. Questo volume fa parte di una collana - Fattore R - dedicata a una ricognizione del fenomeno religioso a livello globale. Sono previste sedici uscite, con il risultato di comporre una sorta di minienciclopedia delle religioni, dove ai dati fondamentali per la conoscenza delle stesse (fondatori, testi sacri, riti, credenze…) si affianca il tipo di risposta originale che ciascuna di esse cerca di dare alle sfide della modernità e del postmoderno, alle questioni cruciali del nostro tempo. Per quanto riguarda il presente volume, due dei maggiori islamologi italiani affrontano, tra gli altri aspetti, l’islam «deterritorializzato», le questioni di genere tra cui l’omosessualità, l’estremismo, l’uso dell’informazione globalizzata tra etere, rete e democrazia. Emi 2012, pp. 159, 12,00 euro


musica

di Claudio Agostoni

FATou

FAtouMAtA DiAwArA

Nata in Costa Avorio nel 1982 da genitori maliani, Fatoumata si dimostra sin dall’adolescenza una ragazza di carattere. Per essersi rifiutata di andare a scuola, fu inviata in Mali da una zia che bazzicava i set cinematografici. La sua bellezza adolescenziale le garantì una particina in un film: una comparsata che la fece notare da Cheick Oumar Sissoko che la fece recitare come protagonista in Genesis (1999). Tre anni dopo, la svolta internazionale della sua carriera, con l’esperienza parigina nella compagnia teatrale Royale de Luxe. Un ruolo nel musical Kirikou et Karaba e l’autoproduzione di diversi demo la imposero all’attenzione di un’etichetta attenta alle sonorità africane come la World Circuit. Il risultato è questo cd: 12 canzoni afro con un retrogusto pop, gradevoli anche per un pubblico occidentale.

No Amà NANCy VieirA

Quarto album di questa artista capoverdiana, nativa di Boa Vista, l’isola delle sabbie sahariane. Il lavoro si apre con Maylen, una canzone molto bella composta da Màrio Lùcio, poeta, musicista, storico della creolità africana nonché Ministro della cultura del governo capoverdiano di Josè Maria Neves. Lùcio (che firma altre due canzoni di questo album, Nhara Santiago e Trubuco) è un artista che musicalmente ama viaggiare (il suo ultimo lavoro, Kreol, è un’incursione in un universo che spazia da Dakar a Rio de Janeiro, passando da Lisbona e Fort-de-France). Una poliedricità che ben si adatta alla voce di Nancy Veira, in grado di cavalcare con sicurezza un’originale miscela sonora creata dall’incrocio del cavaquinho (Brasile, Capo Verde) con la chitarra portoghese.

FolIlA

AMADou & MAriAM

L’idea iniziale dei due musicisti non vedenti maliani, noti anche in Occidente grazie alle passate collaborazioni con Manu Chao, era di dividere il lavoro in due parti: una più attuale e crossover registrata in quel di New York ed una più roots ed africana registrata a Bamako. Una volta che hanno avuto in mano i master, Amadou & Mariam hanno optato per un cd, il settimo della loro carriera, che offrisse un mix di queste atmosfere. Il disco miscela suoni folk, world e anche indie, grazie alla collaborazione dei numerosi ospiti che hanno preso parte al progetto. Una lista lunga e variegata, che, tra gli altri, include la rapper Santigold (Dougou Badia), Nick Zinner degli Yeah Yeah Yeah (Dougou Badia) e Bertrand Cantat dei Noir Désir (Oh Amadou, Africa mon Afrique, Mogo e Another way).

AFrIcAN rhyThmS ANThology AA. VV.

Terzo capitolo di una interessante antologia curata dalla Lusafrica, un’etichetta generalmente conosciuta per l’attenzione che spesso dedica alla musica africana di origine lusofona. Qui si spazia su tutto il continente e, dopo essersi occupati delle chitarre (vol. 1) e delle voci (vol. 2), ci si concentra sui poliedrici ritmi che si rincorrono nel vasto universo musicale africano. 16 tracce che spaziano dal Mozambico alla Guinea, dal Sudafrica al Camurun, dall’Angola a Capo Verde. Troviamo delle celebri hit, come Kazet delle sudafricane Mahotella Queens e Mulemba Xangola dell’angolano Bonga. Ma anche rarità musicali come Africa Nossa, interpretata da Cesaria Evora e Oliver Mtukudzi, ed inediti, come la versione di Tchoro di Guinè qui interpretato dall’inedito duo Teófilo Chantre e Lura. africa · numero 4 · 2012

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Sudafrica

lo scatto

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testo di Sibongile Khumalo foto di Alexander Joe/Afp

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sercizi ginnici in una palestra all’aperto nell’ex township di Soweto. Le autorità municipali di Johannesburg hanno lanciato una campagna “salutistica” per invogliare i cittadini a mantenersi in forma. Non tutti possono permettersi un abbonamento ad una palestra privata. Ma dalla scorsa primavera chiunque può utilizzare gratuitamente decine di pedane, panche, cyclette e bilancieri collocati nei prati pubblici. Gli operatori sanitari in Sudafrica segnalano un preoccupante aumento di patologie legate all’obesità e al sovrappeso, alle errate abitudini alimentari e ai ridotti livelli di attività fisica. Secondo gli economisti anche questo è indice della diffusione del benessere e dell’ascesa della nuova classe media.

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sport

di Michela Offredi

Gli olimpion

Tutti gli atleti da tenere d’occhio alle Olimpiadi

La sfida del Kenya La capitale inglese ospiterà la manifestazione dal 27 luglio al 12 agosto. Fra i 62

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ietro ogni traguardo c’è una storia di sacrifici, di impegno e speranze. Ci sono le lacrime delle sconfitte precedenti, gli allenamenti infiniti, i sogni che diventano realtà. Avviene nello sport, come nella vita. Eppure ci sono vittorie che hanno il gusto di conquiste più grandi. Specie se nascono in Africa e sbocciano alle Olimpiadi. «Dietro alla maggior parte degli atleti keniani c’è la fame di successo e la necessità di migliorare la condizione economica. I bambini ricchi non corrono perché hanno alternative. Allenarsi per diventare corridori è dura». Sono parole asciutte, chiare, quelle di Moses Masai, ventiseienne fondista del Kenya, in partenza con la sorella Linet per i Giochi olimpici di Londra.

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Dal 27 luglio al 12 agosto a Londra si svolgeranno i Giochi Olimpici. L’Africa sarà protagonista nell’atletica leggera, ma non mancherà di sorprendere in altri sport 10mila atleti, provenienti da più di 200 Paesi, ci saranno anche loro. Moses e Linet sono cresciuti nella cittadina di Iten, sugli altopiani della Rift Valley, palestra a cielo aperto che ha dato alla storia i grandi dell’atletica nazionale. Linet, classe 1989 e oro nei 10.000 m ai mondiali di Berlino, e Moses, già bronzo mondiale nella stessa distanza, saranno le gambe del Kenya. Ma non saranno i soli. Fra le fila della 42 chilometri olimpica ci saranno altri noti connazionali. La squadra maschile sarà composta da Wilson Kipsang (vincitore della maratona tenutasi ad aprile proprio a Londra), Moses Mosop (terzo quest’anno a Rotterdam e vincitore dell’ultima Chicago marathon) e Abel Kirui (il campione del mondo in carica). In quella femminile gareggeranno Mary Keitany (anche lei sul podio primaverile di Londra), Edna Kiplagat

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Moses Masai

Abel Kirui

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Wilson Kipsang

Edna Kiplagat

Moses Mosop

Priscah Jeptoo


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(campionessa mondiale di maratona in carica) e Priscah Jeptoo (medaglia di bronzo ai mondiali 2011).

Stelle etiopi

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Cameron van der Burgh

Kenenisa Bekele

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Derartu Tulu

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Il Kenya non è l’unico Stato africano a voler far bene nell’atletica. Anche l’Etiopia, altra regina delle lunghe distanze, è in gara. Alle ultime Olimpiadi la conta nel medagliere si era conclusa 14 a 7 per il Kenya, ma la sfida è aperta. L’etiope Kenenisa Bekele, classe 1982, già oro nei 10.000 e nei 5.000 a Berlino, tenterà il bis. Proveniente dallo stesso villaggio, Derartu Tulu (altra campionessa olimpica) anche lei cominciò rincorrendo un sogno: quello di assomigliare a Haile Gebrselassie, mito vivente dello sport mondiale e assente in questo scenario olimpico. E, visti i record mondiali (raggiunti in entrambe le distanze), pare proprio ci sia riuscito. Sotto la bandiera etiope ci sarà anche Tirunesh Dibaba. Terza di cinque figli e nata in una famiglia di atleti, ha collezionato, uno dopo l’altro, risultati strabilianti. È stata l’unica donna nella storia a conquistare il doppio oro olimpico, nei 5.000 e nei 10.000, oltre che

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del Regno Unito

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Amantle Montsho

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Chad Le Clos

Caster Semenya

Kathryn Meaklim

Oscar Pistorius

quattro volte campionessa mondiale. Ha iniziato calpestando, a piedi nudi, polvere e pozzanghere; oggi è l’eroina delle connazionali più giovani.

Il Sud alla riscossa Un modello è divenuta anche Amantle Montsho, ventottenne del Botswana, che partirà come favorita nella gara dei 400 metri. Ottava ai Giochi di Pechino, sogna di regalare alla sua terra il primo oro della

storia olimpica. Da piccola rincorreva gli struzzi nella savana e ora insegue il gradino più alto di Londra. Lo stesso che, negli 800 metri, desidera la ventunenne Caster Semenya. La sudafricana proverà a lasciarsi alle spalle le rivali e le polemiche sulla sua identità sessuale, emerse quando conquistò il titolo mondiale a Berlino. I dubbi, ora, paiono chiariti e Caster potrà partecipare regolarmente alle gare femminili di atletiEdna Kiplagat africa · numero 4 · 2012

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viaggi

di Fabrizio Del Dotto / Tripodphoto.com

In questa stagione centinaia di cetacei lasciano le fredde acque dell’Antartide e raggiungono la baia di Hermanus, dando vita ad uno spettacolo straordinario che attira da tutto il mondo turisti e studiosi

A Hermanus uno strillone percorre il lungomare suonando un corno tradizionale e portando una lavagna sulla quale sono indicati i posti in cui sono state avvistate le ultime balene 66

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Nel Paese delle balene

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Il corteggiamento

na volta imboccata la statale N2 che da Città del Capo conduce a Port Elisabeth, attraversando i paesaggi campestri dell’Overberg, si incrocia, all’altezza del piccolo villaggio di Strand, una strada panoramica che si immerge in un paesaggio selvaggio il cui unico protagonista è l’oceano.

La grande migrazione Qui si alternano lunghe spiagge battute da onde che si infrangono sulla battigia, a tratti in cui maestose scogliere incombono a picco sul mare. Piccoli borghi marinari, popolati da gente temprata dalle tempeste che sferzano la regione del Capo. Tra questi paesi vi è quello che Mark Carwardine, biologo di fama internazionale, ha definito la capitale mondiale degli avvistamenti di balene: la piccola e pittoresca cittadina di Hermanus. Durante la primavera australe, infatti, le balene della specie Eubalena australis lasciano le pescose acque dell’Antar-

tide per raggiungere quelle più calde sudafricane. Qui si raccolgono in baie protette dove possono iniziare il corteggiamento, a cui seguirà la riproduzione e la gestazione dei cuccioli.

Gli sbuffi delle balene australi accompagnano le giornate dei turisti e degli abitanti di Hermanus. A volte vengono avvistate anche le megattere (Megaptera novaeangliae)

La balena australe può raggiungere i 18 metri e pesare dalle 40 alle 80 tonnellate. Il termine inglese Right Whale, con cui è denominata, denota che questa era la “giusta” balena da uccidere, sia per l’ottima qualità dell’olio da essa ricavato sia per la sua lentezza nel nuoto. Cacciata nei secoli scorsi in tutto l’oceano australe, è protetta dal 1976 e si pensa che la sua popolazione conti oggi non più di 4mila esemplari, la maggior parte dei quali raggiunge ogni anno le coste sudafricane. La baia su cui si affaccia la cittadina di Hermanus, Walker Bay, accoglie spesso sino a 70 esemplari contemporaneamente. Le balene si spingono molto vicino alla costa e ad ogni ora, durante tutta la giornata, i cittadini e i turisti si posizionano sulle scogliere per vederle. Il litorale, collegato da sentieri con numerosi punti di osservazione, inizia a popolarsi la mattina presto, quando i africa · numero 4 · 2012

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chiesa

testo di Anna Pozzi foto di Bruno Zanzottera

Cairo, le suore dei lebbrosi Visita alle missionarie del lebbrosario di Abou Zaabal

Nella capitale egiziana c’è un lazzaretto dove vivono in condizioni spaventose migliaia di lebbrosi rifiutati dalle famiglie. A prendersi cura di loro sono delle infaticabili religiose cattoliche

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rima era tutto deserto. Una distesa di sabbia che separava la città dei vivi da quella dei lebbrosi. Che erano peggio dei morti: portatori di una malattia che erode le persone, le mutila nel corpo e nella dignità. Rifiuti da nascondere o da gettar via. Nel deserto, appunto.

Discesa all’inferno Ora Il Cairo è cresciuto spaventosamente e quella striscia di sabbia è stata quasi fagocitata da una schiera infinita di palazzine. La città si è avvicinata al lebbrosario di Abou Zaabal. Attorno ci sono un asilo, un dispen70

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sario, un centro di aggregazione. Qui si combatte la malattia non solo sul piano sanitario, ma anche su quello socio-culturale. Lottando contro i tabù e i pregiudizi, contro il sentimento di vergogna dei malati e il rifiuto dei loro parenti. Una battaglia contro il morbo e per la dignità della persone. Certo, ancora oggi, il lebbrosario di Abou Zaabal non è un posto facile. Ma suor Vincenza, missionaria comboniana, in prima linea nel venire in aiuto a queste persone, garantisce: «È molto, molto meglio di prima!». Tutte le mattine, all’alba,

un pulmino passa a prenderla insieme alle consorelle, suor Maria Pia e suor Fatima: abitano in una palazzina alla periferia del Cairo. Di fronte, in un altro appartamento, ci sono due suore elisabettine. L’appuntamento per tutte è in strada. Sul furgone le religiose recitano il rosario, mentre l’autista sfreccia nel traffico impossibile della capitale egiziana, che si gonfia a vista d’occhio man mano che la luce del giorno si fa più decisa.

Lotta contro il tempo «Fu una missionaria, suor Hélène, a scoprire nel 1980

il lebbrosario», racconta suor Maria Pia, che da cinquant’anni vive in Egitto. «A quel tempo era un inferno. I malati erano abbandonati a sé stessi, con le loro terribili piaghe. Già da lontano si sentiva il cattivo odore. Il luogo era completamente isolato e dimenticato da tutti. La richiesta di aiuto lanciata da suor Hélène fu raccolta da un drappello di religiose». Suor Gian Vittoria lavora nel lebbrosario da oltre venticinque anni. Ha contribuito a migliorare il contesto, non solo dal punto di vista strutturale e organizzativo ma anche e soprattutto per


quanto riguarda l’attenzione e la cura delle persone. Oggi gli edifici sono stati ristrutturati, sono puliti e in ordine, anche se qua e là si vedono ancora casi gravi di abbandono. Come un vecchietto, completamente dimenticato dalla famiglia, rannicchiato a terra, poco più che uno scheletro coperto di pelle, gli arti che terminano in moncherini impolverati. «È stato ripudiato dalla famiglia», spiega la religiosa. «In Egitto la lebbra non è ancora stata debellata del tutto», precisa il direttore della Caritas locale, padre Gabriel Nabil, gesuita. «Continuiamo ad avere nuovi casi, anche di giovani, che non riconoscono subito la malattia o si vergo-

gnano. A volte, quando arrivano al lebbrosario siamo costretti a fare delle amputazioni. Ma se interveniamo in tempo, riusciamo a restituire ai malati una vita normale».

Segni di speranza Il lavoro di questi anni ha contribuito anche a far cadere molti tabù e barriere. Oggi, oltre alle religiose e alla Caritas, ci sono diversi benefattori che sostengono il lebbrosario, persone che in altri tempi mai si sarebbero sognate di venire in un posto simile e di dare una mano. «Anche molti musulmani - racconta suor Maria Pia - vengono e fanno delle donazioni. Grazie a questa solidarietà della gente sono stati ristrutturati

alcuni reparti dell’ospedale. E ci sono anche diversi volontari, che vengono per aiutare, lavare i malati, portare loro da mangiare. Una cosa del genere era impensabile in passato…». L’ospedale, oggi, nella sua semplicità è un posto dignitoso, con diversi reparti, la farmacia, il laboratorio di analisi, tre sale operatorie. Poco distante c’è un’officina dove si fabbricano delle protesi. La Caritas gestisce anche un Centro sociale, frequentato da circa 3mila persone. Le suore hanno aperto una scuola materna con centinaia di bambini vivaci e vocianti. Un segno di «normalità» e di vita che continua, in un luogo che un tempo era destinato dall’abbandono. •

Carità tra le piramidi

La Caritas in Egitto, coi suoi 1.600 operatori, è un colosso di solidarietà. Opera in diverse aree del Paese soprattutto nel campo dell’istruzione (in Egitto più della metà della popolazione è analfabeta). Caritas gestisce oltre mille classi e cinquanta biblioteche sparse in tutto l’Egitto. Inoltre garantisce un programma di formazione per insegnanti. Oltre all’istruzione, si occupa di sanità, rifugiati, tossicodipendenza, bambini di strada e promozione della donna. africa · numero 4 · 2012

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chiesa in africa

a cura di Anna Pozzi

REP. CENTRAFRICANA •

Il museo degli antenati Un invito a scoprire le ricchezze culturali dell’antico regno Oubangui-Chari

In settant’anni di vita missionaria i Cappuccini hanno raccolto un patrimonio di assoluto valore artistico e antropologico. Da ammirare in un nuovo museo

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a lunga lingua di terra rossa si addentra per centinaia di chilometri nel cuore della Repubblica Centrafricana. A bordo di una sgangherata jeep, ci dirigiamo verso la regioni occidentali del Paese, ai margini della foresta, non lontano dal confine con il Camerun. Dopo un giorno e mezzo di viaggio raggiungiamo Bouar, una cittadina di 45mila abitanti. A pochi chilometri da questa località, ha sede un importante museo etnografico che richiama visitatori da ogni parte del Paese. A realizzarlo sono stati i Frati Cappuccini provenienti da Genova, un manipolo di instancabili missionari che fin dagli anni Settanta portano conforto alle popolazioni di questa regione. Nel museo sono esposte varie collezioni di opere d’arte lignee, statue e maschere. E ancora opere in bronzo, terracotta, tessuti etnici, monete antiche e oggetti d’uso comune. Un patrimonio di assoluto valore artistico e antropologico di oltre tremila pezzi, che riunisce la storia delle diverse etnie dell’antico regno Oubangui-Chari. Lo stile di lavorazione delle opere è semplice ed essenziale. Emerge la genialità di un popolo che cerca la soluzione ai problemi di sopravvivenza quotidiana, creando oggetti pratici e raffigurando le divinità che lo possono meglio aiutare. Il materiale esposto - oggetto di frequenti visite di scolaresche, turisti e ricercatori - è un tesoro da

R.D. CONGO • Un’oasi di pace

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na piccola oasi di pace per un futuro diverso. È il Centro don Bosco di Goma, nel Nord Kivu, regione tuttora segnata drammaticamente da scontri e violenze. Attualmente, il Centro accoglie 18 ragazzi e una ragazza, ex bambini-soldato, e dà assistenza a molti altri. «La situazione in città è tranquilla. Ma al Centro gli studenti non mangiano più, dato che il Programma alimentare mondiale (Pam) ha ridotto drasticamente la distribuzione di cibo», denuncia don Piero Gavioli, dell’opera salesiana di Goma. Fuori dalla città si ammassano migliaia di persone in fuga dai villaggi, devastati dai gruppi armati. Anche i vescovi congolesi hanno denunciato, lo scorso giugno, «una intensificazione senza precedenti del banditismo armato e massicci spostamenti della popolazione». 72

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SUDAN •

Sit in per una chiesa

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ue scuole a Mayo e una a Omdurman sono state occupate dalle autorità di Khartoum che hanno cercato di confiscare anche una chiesa. Tentativo non riuscito per il pronto intervento dei fedeli che hanno improvvisato un sit in. Per quanto riguarda le scuole, invece, la Chiesa ha fatto ricorso in tribunale per recuperare gli edifici. Le autorità sudanesi hanno anche raso al suolo una chiesa episcopaliana costruita 25 anni fa. La situazione dei cristiani del Sudan appare sempre più precaria, dopo che centinaia di migliaia di sud sudanesi rifugiati al nord hanno fatto ritorno nei villaggi di origine.


preservare e valorizzare. «Il problema principale è la conservazione MUSEO dei reperti», fa sapere padre Enzo Canozzi, che coordina il museo. «Le piogge e l’umidità mettono a rischio statue e maschere... Per salvare questi tesori abbiamo pensato di realizzare una nuova sede espositiva». Nella città di Bouar è stato costruito l’edificio che ospiterà i cimeli; entro la fine dell’anno verrà inaugurato il nuovo museo. Si chiamerà Museo degli Akotara (“Antenati” nella lingua locale). E sarà l’ultimo prezioso regalo, ennesima testimonianza d’amore, offerto dai missionari liguri alla gente del Centrafrica. I Cappuccini liguri arrivarono in Centrafrica (allora Africa Equatoriale Francese) nel 1949. Il loro impegno missionario si concretizzò nel settore sanitario concentrandosi negli ospedali di Bocaranga, Ngoundaye, Baboua e nei numerosi dispensari della regione. Ma anche nell’organizzazione delle cosiddette farmacie di villaggio per rifornire i più poveri dei medicinali di base. Negli anni, le attività dei frati si sono diversificate, promovendo lo sviluppo agricolo, la costruzione di pozzi, l’educazione e la formazione professionale dei giovani... Ancora oggi la scuola artigianale di Bocaranga sforna ogni anno centinaia di fabbri, falegnami e carpentieri. Massimo Ruggero

REP. CENTRAFRICANA •

BamBini liBerati

Da più di cinque anni la diocesi di Bangassou accoglie bambini e bambine in fuga dal Lord’s Resistance Army l’Esercito di liberazione del Signore (Lra) -, del famigerato Joseph Kony, che sta destabilizzando una vasta area a cavallo tra Centrafrica, Repubblica democratica del

Nome Repubblica Centrafricana Abitanti 4 milioni e mezzo Densità 7,2 ab./kmq Capitale Bangui Lingua francese (ufficiale), sango (principale), arabo, swahili Religione 35% animista, 25% protestante, 20% cattolica, 20% musulmana Ordinamento dello stato: Repubblica presidenziale Presidente François Bozizé Data d’indipendenza 13 agosto 1960 PIL pro capite 570 dollari Tasso annuale di crescita 1% Inflazione 2,8% Settori principali diamanti, legname, cotone, fabbriche di birra, caffè, tabacco, manioca, miglio, cereali, banane La Repubblica Centrafricana è un paese molto povero e arretrato. Oltre il 60% della popolazione vive con meno di 1 dollaro e mezzo al giorno. Nonostante i massici aiuti internazionali (Unione Europea, Cina e Fondo Monetario), i conti del Governo di Bangui sono perennemente in rosso. I settori più penalizzati sono l’educazione (tasso di alfabetizzazione al di sotto del 50%) e la sanità (le famiglie sono falcidiate da malaria, colera, e Aids). Nella graduatoria dell’Indice di Sviluppo Umano, la Repubblica Centrafricana è 179esima su 187 Paesi, con una speranza di vita media di soli 45 anni.

Congo e Sudan del Sud. Secondo il vescovo, mons. Aguirre, il gruppo di Kony avrebbe sequestrato circa 300 giovani nella foresta centroafricana. Moltissime anche le ragazzine, «brutalizzate e violentate per anni denuncia il vescovo -; quando riescono a scappare, sono completamente bloccate e terrorizzate». Secondo mons. Aguirre tutti sperano che Kony venga arrestato al più presto insieme ai suoi ribelli.

Sudafrica • Tensioni sui migranti

È il Paese con il più alto numero di richieste d’asilo. Secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur), nel 2011 il Sudafrica ne ha ricevute più di 100.000, circa 36.000 in più di quelle presentate negli Stati Uniti. La chiusura di uno dei quattro uffici per le domande d’asilo, quello di Cape Town, «costringerà migliaia di migranti a nuovi trasferimenti, difficili e costosi», stima Sergio Carciotto del Centro dei missionari Scalabriniani. Per Carciotto, la chiusura di questo ufficio fa parte di una strategia tesa a contrastare l’arrivo dei migranti, anche a causa della situazione economica che sta attraversando il Paese e l’alto tasso di disoccupazione, attorno al 25 per cento. «L’idea - sottolinea - è tenerli il più possibile vicini alla frontiera, in modo da poterli espellere con maggiore facilità». africa · numero 4 · 2012

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chiesa

testo di Cinzia Peschechera foto di Emiliano Albensi

Una giovane infermiera italiana nel cuore malato del continente

L’Africa di Francesca A venticinque anni ha salutato la famiglia e gli amici di Treviso e si è trasferita al confine tra Congo e Centrafrica per aiutare un gruppo di suore missionarie e «realizzare un sogno»

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a Provincia dell’Equatore, nel cuore del continente africano, è un luogo dove manca tutto. La vita scorre sulle due rive del fiume Ubangi: da una parte c’è Zongo, in RD Congo e dall’altra Bangui, la Capitale della Repubblica Centrafricana. Il tempo è scandito dalla natura e dal fiume che

è acqua per pescare, lavare e lavarsi. La terra e le sue risorse sono state saccheggiate e distrutte da lunghi anni di guerre civili, mancano strade, acqua potabile, cibo, scuole e ospedali. Faticosamente chi è rimasto cerca di ricostruire un mondo intero e non è facile. È qui che vive e lavora


stati il primo posto in cui ho lavorato dopo la laurea».

L’associazione Soleterre è un’organizzazione umanitaria laica e indipendente che opera per garantire i diritti inviolabili degli individui nelle “terre sole”. Realizza progetti in ambito sanitario, psico-sociale, educativo e del lavoro. www.soleterre.org

Francesca Marian, ventisei anni, infermiera trevigiana partita un anno fa come volontaria per l’associazione Soleterre (vedi box). «Dopo il diploma ho scelto di fare l’infermiera, perché ho scoperto che stare insieme alle persone, soprattutto a quelle più bisognose, mi dava energia e mi faceva stare bene», racconta. Per questo Francesca era già stata a Zongo altre volte, con i volontari che da anni aiutano il Centro maternità S. Joseph gestito dalla Congregazione delle Figlie di San Giuseppe di Genoni: «Il reparto di maternità e il dispensario di Zongo sono

Insieme a suor Concetta «Sono rimasta affascinata dalla resistenza e forza delle mamme africane e dalla storia di Suor Concetta, ostetrica, che vive in Congo da 54 anni, parla il lingala meglio dell’italiano e ogni giorno con il suo esempio insegna l’importanza del credere nelle cose e amare la vita». Suor Concetta è l’energica suora sarda che supervisiona i lavori del centro maternità. Nella sua esperienza africana ha fatto nascere più di 26mila bambini e ogni giorno aiuta, insieme al personale del centro, le mamme che a piedi giungono qui dopo chilometri di cammino dai villaggi più lontani. Al centro possono ricevere cure e imparare come salvaguardare la propria salute e quella dei propri bambini. A fianco del centro maternità c’è una scuola elementare e un asilo che accolgono circa 500 bambini ciascuno. Nel 2009 l’associazione Soleterre ha deciso di sostenere il lavoro della congregazione con l’invio e l’installazione di un nucleo chirurgico mobile. Dall’altra parte del fiume, a Bangui, Soleterre sostiene il centro nutrizio-

SOS Salute

La situazione sanitaria nella regione in cui opera l’infermiera Francesca Marian è catastrofica. L’approvvigionamento di farmaci è difficile, non esistono strutture ospedaliere pubbliche, quelle private hanno costi proibitivi. Il 70% della popolazione non ha accesso alle cure mediche e chirurgiche.

nale delle suore per garantire alimentazione e cura ai bambini che vivono nei quartieri poveri della città e per insegnare alle mamme come salvaguardare la salute dei loro figli. Francesca lavora a questi due progetti.

Senza rimpianti «Passo le giornate a girare tra uffici, magazzini e centri medici. Poi gestisco al computer l’amministrazione dei due progetti. Nel pomeriggio, nelle ore più calde, ci sono fino a 40 gradi all’ombra, per tutti - e anche per me - è il momento di una siesta, quando il clima si rinfresca si ripren-

de il lavoro. È faticoso, ma superare gli ostacoli mi piace e ci metto il massimo impegno». Un tempo, a Zongo si era davvero fuori dal mondo, ma i computer e Internet hanno avvicinato le persone. Francesca comunica ogni giorno con l’Italia. «Quando la giornata è finita uso Skype per comunicare con la mia famiglia e i miei amici, è un modo per stare vicini… Chi mi conosce bene sa che ho sempre sognato l’Africa. È stata una scelta difficile ma non ho rimpianti. Sono contenta della mia vita, non la cambierei per nulla al mondo». È già buio e la giornata è quasi finita: Francesca si avvia verso una cena frugale, poi come ogni sera passerà al reparto maternità per salutare le mamme. Alle otto e mezzo il generatore si spegne ed è l’ora di andare a dormire: poche ore di sonno prima di cominciare una nuova e intensa giornata. • africa · numero 4 · 2012

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togu na - la casa della parola

qualcuno la possa conoscere. Aumenteremo il nostro impegno per diffonderla. Stefy e Gigi, via mail

lettere Prima di Lampedusa attualità

L’esperto del mostro

testo e foto di Aldo Pavan

Agadèz, crocevia di traffici umani in mezzo al Sahara

È

stata dura. Quindici giorni attraverso il deserto con sette figli. Il caldo terribile. La sete. E il camion che ci sbatteva da una parte all’altra. Allah ci ha aiutato. Altrimenti saremmo morti». Fatima Hamdi, 44 anni, donna tuareg, è stravolta. È scappata dalla Libia nel pieno della guerra civile. Il marito si è nascosto. Assieme ai suoi bambini è riuscita a raggiungere Agadèz, città-oasi nel nord del Niger. «I ribelli davano la caccia a noi Tuareg. Sparavano agli uomini di pelle scura. Senza pietà. Grazie a Dio siamo arrivati fin qui».

«

cultura

Sulla rotta della speranza

Da decenni scienziati occidentali vanno alla ricerca di una strana e possente creatura che, secondo diverse testimonianze, vivrebbe in un’isolata palude nel bel mezzo della foresta equatoriale

Ma Agadèz non è solo lo snodo dei migranti che vanno verso nord. La città è invasa anche da una grande moltitudine di persone che sono scappate dalla guerra libica. Sono braccianti nigerini e dell’Africa nera (Nigeria, Ghana, Senegal, Burkina) che lavoravano in Libia. Dopo la caduta di Gheddafi circa 400mila persone sono rientrate in Niger. Una cifra enorme, che si è abbattuta come una grande valanga sulla devastata economia locale. Zara Mohammed, 36 anni, è approdata da poche mesi ad Agadèz. È senza lavoro. Per racimolare qualche spicciolo vende la legna che raccoglie alla periferia della città. Ha sette bocche da sfamare. I bambini le girano attorno come cuccioli. Il marito è morto in Libia. «Gheddafi era buono, perché l’Europa ha voluto eliminarlo? Con noi immigrati aveva fatto solo del bene», dice con un filo di voce. Anche Rhaicha Alabo, 37 anni, che vive accampata in una tenda piantata in un cortile, ha nostalgia del Rais di Tripoli. «I ribelli ci hanno rovinato la vita. Stavamo così bene laggiù». Ad Agadèz la donna è riuscita ad aprire quello che lei chiama un piccolo negozio. Ma è un semplice bugigattolo sulla strada, una mensola con un po’ di riso, dadi, biscotti e poco più.

africa · numero 3 · 2012

africa · numero 3 · 2012

1955 un missionario protestante, il reverendo Eugene Thomas, riferì di aver avuto due incontri ravvicinati con l’animale.

Foto sfocate

MOKELE MBEMBE, IL TERRIFICANTE MISTERO DEL CONGO

Nostalgia di Gheddafi

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testo di Giusy Baioni

Il mostro del lago

Il tramonto incendia Agadèz. I cortili chiusi da alte mura rosse nascondono volti di sofferenza e tragedia. Le strade sono labirinti lungo i quali si perdono i drammi di migliaia di persone che si sono riversate in questa città alle porte del deserto del Ténéré. Agadèz è un imbuto geografico, crocevia dei traffici migratori di gran parte dell’Africa. Antica città carovaniera al tempo dei commerci dell’oro e degli schiavi, non ha mai perso il suo ruolo. E nell’ultimo decennio è diventata la tappa obbligata dei migranti in fuga verso l’Europa, lungo la nuova rotta, quella della speranza. Molti degli africani che raggiungono l’Italia sono passati da qui. Con indicibili sofferenze hanno sfidato la morte nelle sabbie del Sahara e tra le onde del Mediterraneo.

L’oasi dei MIGRANTI

a cura della redazione

Impronta di una zampa attribuita al Mokele Mbembe

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Vi ringrazio perché con il servizio L’oasi dei migranti avete raccontato una parte del lungo e drammatico viaggio compiuto da tanti immigrati africani che poi sbarcano in Italia, tappa sconosciuta della via crucis che termina a Lampedusa, da dove vengono rimpatriati forzatamente dalle autorità italiane... Il vostro articolo andrebbe fatto leggere ai politici che hanno votato la disumana legge anti-immigrazione attualmente in vigore. Palmiro Solfanelli, Milano

Diffondiamo “Africa” Siamo vostri affezionati lettori. Grazie per la vostra rivista, così vera e speranzosa! Quando abbiamo finito di leggerla, la lasciamo in giro (bar, oratori..) sperando che

L

e foreste dell’Africa, fin dall’antichità, sono state avvolte da leggende, favole e credenze mitologiche che hanno fatto la fortuna di romanzi e film di avventura. Ma la ricerca del misterioso Mokele Mbembe è un affare serio che ha scomodato centinaia di scienziati, ricercatori e reporter occidentali (gli ultimi sono stati inviati nel cuore dell’Africa, solo pochi mesi fa, da Bbc e History Channel). Si dice che la creatura viva nell’intricata selva della regione

del Likouala, nell’estremo nord-est del RD Congo. Le popolazioni locali si tramandano da generazioni la storia di questo fantomatico “mostro”.

Loch Ness africano Il Mokele Mbembe (nella lingua lingala significa “colui che ostacola il corso dei fiumi”) è una sorta di Loch Ness africano, che da decenni attira frotte di curiosi e studiosi da ogni parte del mondo. L’animale abiterebbe in una vasta palude pressoché inaccessibile nei

pressi del lago Télé, un bacino idrico circolare ampio 23 chilometri, probabilmente originato da un meteorite, avvolto dalla nebbie della foresta pluviale. Una location da brividi. Le prime notizie di avvistamenti del Mokele Mbembe risalgono al XVIII secolo: nel suo libro del 1776 un missionario francese, l’abbé Lievain Proyart, narrò di aver visto sul terreno attorno al lago enormi impronte con artigli, del diametro di circa un metro. Nel 1913 il barone tedesco Freiherr

Verità o leggenda? Ci sono decine di testimonianze (pigmei, missionari, giornalisti, esploratori), ma mancano le prove che avvalorano i racconti. L’esistenza del Mokele Mbembe è ancora un enigma da sciogliere. Alcuni scienziati ritengono che possa trattarsi di una specie sconosciuta di un varano (simile ai “draghi di Komodo”, lunghi fino ai 4 metri), oppure di una tartaruga appartenente all’aggressiva famiglia dei Trionichidi. Ma gli scettici parlano solo di “suggestioni” e di “leggende”. Sarà... Per molti decenni un altro animale delle foreste congolesi, l’okapi, è stato ritenuto una bestia leggendaria, finché gli studiosi occidentali non ne scovarono alcuni esemplari nelle foreste dell’est del Congo, dove tuttora vivono. E ancora l’anno scorso, nel suo rapporto Wild Mekong, il WWF elenca le nuove specie animali scoperte dall’uomo, tra cui ad esempio la “scimmia senza naso”. Che il Mokele Mbembe sia il prossimo? Von Stein Lausnitz, reduce da una spedizione esplorativa nella regione, descrisse nel suo rapporto: «Un grosso animale temuto dai pigmei, con la pelle grigiobruna, la corporatura di un elefante, un collo flessuoso e una lunga coda... Un essere simile ad un dinosauro che attacca le canoe che passavano nel suo territorio,

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uccidendo gli equipaggi». Nel 1932 lo zoologo scozzese Ivan Sanderson raccontò di essersi imbattuto, al confine tra Camerun e Congo, in un’enorme creatura nel fiume Mainyu. «La sua testa da sola aveva le dimensioni di un ippopotamo». Le guide locali confermarono che si trattava del misterioso mostro lacustre. Nel

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Oltre cinquanta spedizioni sono state organizzate per trovare prove della sua esistenza. Nella seconda metà degli anni Settanta, due ricercatori statunitensi, James Powell e Roy Mackal, esplorarono la regione senza mai riuscire a vedere la creatura. Ma raccolsero tra la popolazione locale diverse testimonianze oculari e avvalorarono l’attendibilità dei racconti. La creatura veniva decritta sempre con le stesse sembianze: si trattava di un terrificante erbivoro dal collo lungo che si nascondeva nelle acque del lago Télé. Mackal raccolse i suoi appunti e le sue osservazioni in un libro dal titolo enigmatico: A living dinosaur? Nel 1981, l’ingegnere statunitense Herman Reguster condusse una spedizione e raggiunse il lago Télé, dove si fermò un paio di settimane: alla vigilia del ritorno assicurò di aver visto nuotare nel lago per pochi secondi un essere dal collo prolungato: tornò a casa con una foto sfuocata, alcuni calchi di impronte e la registrazione di strani suoni. Due anni dopo il naturalista congolese Marcellin Agnagna scorse da una certa distanza «Una creatura dal lungo collo, visibile per una ventina di minuti prima di scomparire nelle acque torbide del lago». Ma le riprese video non riuscirono, perché nell’eccitazione Agna-

gna dimenticò di rimuovere il coperchio dalla telecamera (o perché - come dirà più tardi - la sua cinepresa era settata su ‘macro’ anziché su ‘teleobiettivo’). Nel 1985, Rory Nugent disse di aver individuato l’animale ma di esser stato bloccato dai locali, «che proteggono la creatura come un dio», riuscendo solo a scattare qualche foto sfuocata.

“Esiste!” Seguirono altre spedizioni: britanniche, americane e olandesi. Nel 1992 toccò ai giapponesi: una troupe televisiva nipponica sorvolò il lago con un piccolo aereo e registrò delle immagini della creatura piuttosto confuse... Che non sciolsero i dubbi degli scettici (sono state caricate su Youtube: giudicate voi). Nello stesso anno i ricercatori William Gibbons e Rory Nugent esplorarono la regione del Mokele Mbembe, ma non trovarono alcuna evidenza della sua esistenza. Nel 2006 il reporter Milton Marcy raccolse testimonianze di pigmei che avevano avuto un incontro ravvicinato con il mostro e se ne tornò in Europa con il calco di un’impronta attribuibile alla misteriosa creatura. L’ultimo testimone oculare dell’esistenza del Mokele Mbembe è un pastore anglicano dell’United World Mission, Paul Ohlin, che da dieci anni vive con la moglie tra i pigmei Aka del Congo. Il missionario giura di aver visto l’ineffabile bestia nei pressi del fiume Sangha. Ma la parola d’onore di un sacerdote non è bastata a convincere i dubbiosi. • africa · numero 3 · 2012

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spiegare perché l’Europa è stata favorevole all’intervento militare contro il regime di Gheddafi, ma non ha mosso un dito nei confronti dei tiranni che stanno massacrando migliaia di civili in Iran, Siria o Yemen. Gianluigi Formenti, Cremona

Senza vergogna attualità

Ho letto sull’ultimo numero un articolo interessante dedicato ad un aspetto misterioso dell’Africa, la ricerca di animali leggendari come il Mokele Mbembe. Vi segnalo che la nostra rivista Frontiere ha pubblicato un articolo di Marco Bono, da decenni cultore di criptozoologia, intrigante disciplina sospesa tra scienza e leggenda, dedicato al Mokele Mbembe. Marco Di Marco Coordinatore rivista Frontiere

Complici dei tiranni Davvero l’Occidente appoggia le rivolte della primavera araba? Solo quando conviene: qualcuno dei nostri governanti dovrebbe

testo di Paola Marelli foto di Ilvy Njiokiktjien

Lezioni di odio razziale

Video shock

Sudafrica, famiglie afrikaner mandavo i loro giovani a scuola di razzismo Force ai tempi del regime segregazionista: un inguaribile nostalgico dell’apartheid, convinto sostenitore della supremazia razziale dei “boeri”, cittadini sudafricani di lingua afrikaans discendenti dai primi coloni europei - soprattutto cal-

pattuglie di studenti sudafricani dalla pelle bianca, fra i 13 e i 19 anni, che ogni anno frequentano il campo paramilitare.

Propagatori di paure «In 11 anni ho addestrato 1.600 giovani afri-

Le reclute sono esortate a calpestare la bandiera del Sudafrica post-apartheid Malgrado l’apartheid sia finita da oltre vent’anni, ci sono ancora sudafricani bianchi che non si arrendono alla storia. E inviano i loro figli in campi paramilitari affinché imparino a combattere i neri

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volte ritornano, inquietanti fantasmi di una storia che credevamo sepolta per sempre. Vedere per credere: andate su Youtube e cercate Afrikaner Blood. In pochi istanti comparirà un filmato che sembra fuoriuscito da un archivio vecchio di 14

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cinquant’anni. E invece è un documentario realizzato pochi mesi fa dalla giornalista olandese Elles van Gelder e il fotoreporter Ilvy Njokiktjen. Il video, lungo otto minuti e mezzo, ha vinto il prestigioso Multimedia Contest 2012 promosso dal World Press Photo.

Cattivi maestri Le immagini mostrano un gruppo di giovani afrikaner impegnati a frequentare un campo di addestramento paramilitare per la difesa della razza bianca. Tutto è dannatamente vero e attuale. Il campo si tiene ogni estate, durante le vacanze scolastiche, nelle campagne della regione sudafricana del Free State, 230 chilometri ad est di Johannesburg. L’iniziativa è promossa dal gruppo di estrema destra Kommandokorps (www. kommandokorps.org), che

Immagini tratte da Afrikaner Blood. I giovani sudafricani che partecipano alle attività del campo paramilitare sono nati tutti dopo il 1990: nessuno di loro ha conosciuto l’apartheid

si autodefinisce “un’organizzazione di élite che ha il compito di proteggere il proprio popolo”. A guidare le reclute nelle esercitazioni che simulano aggressioni e attacchi armati è Franz Jooste, 57 anni, ex ufficiale del South Africa Defence

vinisti olandesi, ma anche francesi e tedeschi - approdati in Africa meridionale nel XVII secolo. «Non mi vergogno di essere considerato un razzista», afferma davanti alla telecamera mister Jooste. «I neri sono la specie più sottosviluppata dell’umanità. È un problema genetico. Hanno un cervello più piccolo, sono incapaci di governare e svilupparsi». I farneticanti discorsi di Franz Jooste, autoproclamatosi “colonnello” di un esercito senza patria, sono divulgati a

kaner a difendersi da sé», spiega con orgoglio il veterano delle forze armate di Pretoria, impegnato oggi ad addestrare le matricole a mimetizzarsi nella boscaglia, a strisciare nel fango, a maneggiare pistole che sparano vernice. «Siamo assediati da neri che uccidono, rubano e stuprano impunemente - aggiunge con tono sprezzante -. La polizia e le autorità non sono in grado di proteggere le nostre famiglie. Non ci resta che prepararci a combattere». In Sudafri-

ca ogni anno si registrano 18mila omicidi, 200mila aggressioni, 55mila stupri, un abuso su minore ogni 30 minuti. Benché il tasso della criminalità sia in calo, questi numeri fanno ancora impressione e turbano l’opinione pubblica. I movimenti di destra li strumentalizzano per seminare la paura e fomentare l’odio razziale nella minoranza dei bianchi (4,6 milioni di cittadini, il 9% della popolazione totale). Nel video Afrikaner Blood l’irriducibile Franz Jooste sostiene che la convivenza tra bianchi e neri sia impossibile. «Non dobbiamo fingere di essere ciechi: siamo troppo diversi per vivere assieme», afferma convinto. «Gli Afrikaner dovrebbero avere una nazione indipendente... Il progetto di Nelson Mandela è fallito», conclude. A confutare le sue raccapriccianti teorie ci sono 50 milioni di cittadini sudafricani, di ogni razza e colore, che contribuiscono a costruire giorno dopo giorno la nazione arcobaleno, determinati a superare difficoltà e contrasti con la consapevolezza che nessuno potrà mai portare indietro le lancette della storia. •

Afrikaner Blood non è l’unico controverso filmato “africano” che scuote il web. Fa clamore il successo di Kony 2012, un video prodotto da una ong statunitense, Invisible children, che vuole “far conoscere le atrocità commesse da Joseph Kony”, leader dell’Lra (Esercito di resistenza del Signore) ugandese, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, accusato anche di avere ridotto in schiavitù 30mila minori. Il filmato è stato scaricato da 80 milioni di persone in tutto il mondo. Politici e star dello spettacolo lo hanno postato nei loro blog. Ma secondo alcuni quelle immagini sono solo la spettacolarizzazione di una tragedia sfruttata senza scrupoli dagli autori. Invisible Children è stata accusata di aver speso tutti i soldi delle donazioni per la realizzazione di questo filmato, piuttosto che concentrarsi in opere a favore dei bambini ugandesi. Lo scorso marzo, il fondatore dell’associazione e regista del video, Jason Russel, è stato arrestato a San Diego per atti osceni in luogo pubblico. africa · numero 3 · 2012

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Ho letto con sconcerto il servizio Lezioni di odio razziale pubblicato sull’ultimo numero. Ho vissuto a lungo in Sudafrica e trovo incredibile che le autorità sudafricane permettano a un gruppo di razzisti ed esaltati di organizzare dei campi paramilitari in cui si insegna a combattere i cittadini neri. L’apartheid è stata una delle pagine più buie della storia dell’umanità, trovo incredibile che se ne abbia nostalgia. Ma non si vergognano? Laura Corbello, via mail

Zanzare malefiche

Attenzione alle zanzare questa estate. Dall’Africa è arrivata la Chikungunya, una malattia febbrile acuta virale, trasmessa dalla puntura di zanzare Aedes aegypti (zanzare della febbre gialla) infette. Il termine Chikungunya, in lingua makonde, significa “ciò che contorce” e fu impiegato durante un’epidemia in Tanzania nel 1952. Da allora il virus è stato riconosciuto come responsabile di numerose epidemie in Asia ed Africa. Cinque anni fa in Italia si sono registrati i primi casi di Chikungunya. La malattia si manifesta con febbre, cefalea, macchie sulla pelle, prurito e dolori alle articolazioni. La patologia si risolve spontaneamente nell’arco di una decina di giorni, ma i dolori articolari possono persistere per mesi.

SonDaggIo PaRERI RaCCoLtI SuLLa PagIna FaCEBook DI aFRICa L’Europa è scossa da episodi di intolleranza e violenza a sfondo razziale. C’è da allarmarsi? 14% No, sono casi isolati, opera di squilibrati. 65% Sì, sono segnali della xenofobia dilagante nella nostra società. 12% Sì, sono la reazione violenta alle crescenti paure legate alla crisi economica. 9% Sì, sono dovuti alle parole di politici che incitano all’odio contro stranieri. Questa estate numerosi musicisti africani saranno in tour in Italia: Baba Sissoko, Fatoumata Diawara, Driss El Malaoumi, Rajery... Pensi che la musica africana: 91% Sta producendo ottimi artisti. 3% È in crisi d’identità e non sa esprimere novità. 6% È solo un fenomeno folkloristico e serve a dare “colore” ai nostri festival.

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africa rivista


n. 4 luglio . agosto 2012 www.missionaridafrica.org

L’incontro con l’islam

I Padri Bianchi per il dialogo interreligioso Fin dalle loro origini i Missionari d’Africa - ispirati dal loro fondatore, il cardinale Charles Lavigerie - si sono sforzati di confrontarsi e promuovere l’incontro con i fedeli musulmani. Un impegno che prosegue ancora oggi L’interesse della Società dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi) per l’islam trova le origini nel suo fondatore, il cardinale Charles Lavigerie, che ha sempre considerato il Medio Oriente come terra d’incontro fra cristianesimo e islam. Rispettoso delle culture locali, dava molta importanza alla conoscenza delle stesse, della lingua e delle persone. Nominato arcivescovo di Algeri nel 1867, visto che il clero diocesano si occupava dei cattolici, soprattutto francesi, fondò una

congregazione di sacerdoti con la missione di aprirsi alla cultura islamica e intrattenere relazioni di amicizia tra cristiani e musulmani, nel più grande rispetto per la fede dell’altro. Nacque così la Società dei Padri Bianchi con un’attenzione e un’apertura speciale per l’islam in tutta l’Africa. Per meglio realizzare questa missione, i Padri Bianchi fondarono vari istituti tra cui l’Istituto di belle lettere arabe (Ibla, 1931) a Tunisi, il Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica (Pisai, 1949) a Roma, l’Istituto di formazione islamo-cristiana (Ific, 2007) a Bamako, nel Mali. La seconda guerra mondiale, le indipendenze, il turismo, la globalizzazione e le migrazioni hanno favorito sempre di più l’incontro-scontro tra popoli, culture e religioni, coinvolgendo anche l’Africa ed i suoi abitanti. Il Concilio Vaticano II ha aiutato la Società dei Missionari d’Africa a prendere coscienza della necessità di un cambiamento, a pensare cioè all’Africa non solo geograficamente, ma a tutto il mondo africano ovunque esso si trovi: in Europa, in Asia e

Il quartiere popolare a nord di Marsiglia, dove opera la comunità dei Padri Bianchi per il dialogo con l’islam. Uno dei padri prepara anche dei programmi radio che vengono poi ritrasmessi fino in Africa

padri bianchi . missionari d’africa

di Piet Horsten

Tra i fondatori dell’Ibla di Tunisi figurava anche l’italiano padre Focà, piemontese, il secondo da sinistra. La foto è datata 1932

nelle Americhe. E i missionari che, per ragioni di età o di salute, rientravano nei loro rispettivi Paesi, non chiedevano di meglio che continuare a essere, nonostante i loro limiti, una presenza missionaria lì dove si trovavano. Sono nati così vari centri di accoglienza e di dialogo-incontro con l’islam. Tra questi ricordiamo quello di Marsiglia, situato in un settore parrocchiale con almeno 30.000 persone di religioni diverse. I Padri Bianchi di questa comunità sono impegnati, tra l’altro, a sensibilizzare i cristiani alle realtà dell’islam “per vivere meglio insieme”, a promuovere incontri con musulmani tramite associazioni locali e, anche, ad animare incontri tra imam e preti cattolici. Vi sono altri centri simili in Spagna (Almerìa), in Belgio e in Germania. Queste iniziative sono solo il punto di partenza di un’avventura che richiede tempo e lavoro; siamo ancora nella fase del “fai da te”. Il che significa che la Società dei Padri Bianchi dovrà pensare a strutture che sostengano e garantiscano nel tempo queste attività.

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Arrivederci Bepi!

L’ultimo saluto a un missionario che sognava l’Africa Padre Giuseppe Dolci ci ha lasciati all’improvviso, dopo una vita intensa e generosa, spesa in Italia per sostenere le opere dei confratelli impegnati in missione. Il ricordo commosso del direttore di Africa

Il padre Bepi, occhi sorridenti: la “sua” Inter sta vincendo...

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Figlio delle valli bergamasche, padre Giuseppe Dolci - Bepi, come lo chiamavano tutti amichevolmente - era conosciutissimo a Treviglio. É morto un sabato mattina. Una morte tanto più inaspettata, perché fino a tre giorni prima aveva celebrato la messa presso la Casa di Riposo Maria Immacolata, a qualche chilometro da Treviglio. Nato nel maggio 1925, era cresciuto in una famiglia di fornai dove il lavoro era veramente sacro. Sorridendo, raccontava spesso che era entrato nei Padri Bianchi «per non alzarsi alle tre del mattino a fare il pane». In realtà, senza fare alcun panegirico padre Bepi ci metterebbe a tacere con la sua nota frase bergamasca: «Va scuà ol mar» - , quella di Bepi era una vera vocazione missionaria. Nel 1946, infatti, già studente del primo anno di teologia a Clusone, scriveva a padre Gallo, allora superiore dei Padri Bianchi, chiedendo di raggiungere la Società dei Missionari d’Africa perché, spiegava, «dopo aver abbandonato tutto, voglio darmi tutto alle anime per amore di Cristo». E terminava così la sua lettera: «Se la sua risposta, Padre, sarà purtroppo negativa, soffrirò e offrirò il mio più grande dolore per tante anime che attendono chi predichi loro la Verità. Che il mio sacrificio sia accetto a Dio. In attesa di una risposta che mi sollevi al più presto da quest’ansia mista a dolore, porgo ossequi.» Due settimane dopo arrivava la risposta affermativa: padre Gallo lo accettava per il noviziato. La sua gioia fu grande: «Sarà una vita di sacrificio, ma la volontà con la grazia di Dio è ferma. Voglio darmi a Lui, accettando tutto quello che mi chiederà perché possa diventare un vero Apostolo».

a cura di Paolo Costantini

Missione ingrata

Il Signore lo ha preso in parola chiedendogli il sacrificio forse più grosso per un missionario: quello di restare in Italia e assumere mansioni che a nessuno fanno gola, come quella di essere economo. Mansioni che svolgerà come una missione per lunghissimo tempo. Non potrà partire per quell’Africa che anche lui aveva sognato, se non per alcuni viaggi, senza poterci rimanere a lungo. Ma fece squadra con gli altri confratelli: visitò le parrocchie per le giornate missionarie, cercò amici e fondi per aiutare i confratelli in missione, per costruire tre seminari nuovi e rinnovare quattro case di comunità.

L’uomo

Credeva fermamente nel valore e nell’impegno delle missioni dei Padri Bianchi in Africa, si appoggiava ora a questa ora a quella persona per sostenere l’opera missionaria che gli stava molto a cuore. Mi permetto un piccolo ricordo personale. In una delle tante mie partenze per lo Zaire, Bepi mi accompagnò all’aeroporto di Linate. Al momento di lasciarci, con un inizio di lacrime agli occhi, mi allungò 15 dollari dicendomi: «Questi me li devi spendere tutti sull’aereo e quando arrivi nella tua missione benedici i bambini per me». Aveva due grandi amori sportivi: l’Inter e l’Atalanta; ma in caso di «derby» tra le due squadre il cuore batteva per l’Inter. Anche se affetto da sordità negli ultimi anni, il suo udito si riattivava quando si parlava di queste due squadre. Noi che lo abbiamo conosciuto, siamo certi che lassù, con gli occhi brillanti come quelli di un bambino felice, spingerà il Signore Gesù a fare il tifo con lui. Senza dimenticare la sua gente, la «sua Valle».


Francobolli per le missioni Raccogliamo francobolli usati. Inviare a: P. Sergio Castellan Padri Bianchi

Casella Postale 61,

24047 Treviglio (Bergamo)

A BASSANO DEL GRAPPA Il XXXIV raduno degli ex alunni dei Padri Bianchi avrà luogo il 30 settembre 2012 - ultima domenica di settembre a Bassano del Grappa presso l’Istituto Scalabrini Potete inviare fin d’ora le vostre adesioni a: padre Paolo paolo@padribianchi.it Tel. 0363 44726 - Fax 0363 0363 48198 Rizzi Agostino agostino.rizzi@virgilio.it - Tel. 339 834 95 71 Oppure per lettera a: Redazione Africa XXXIV Raduno Cas. Post. 61 24047 TREVIGLIO BG

continua la promozione fino al 30 settembre

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AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS Codice fiscale 93036300163

Ricordiamo che l’associazione AMICI DEI PADRI BIANCHI onlus tra le sue attività ha quelle di • promuovere le sottoscrizioni di sostegno alla rivista “Africa”, pubblicata dai Padri Bianchi; • aiutare le Associazioni umanitarie e i centri di raccolta a favore di popolazioni bisognose di solidarietà; • sostenere le opere dei Padri Bianchi, rappresentati dalla Provincia Italiana dei Missionari d’Africa.

Le vostre donazioni possono fruire dei benefici fiscali concessi dalla legge, attraverso gli strumenti delle della detrazione/deduzione solo se vengono effettuate con pagamento tracciabile: assegno, bonifico, carta di credito, bancomat, CCP. È sufficiente allegare alla dichiarazione dei redditi la ricevuta del vostro dono. Versamenti, assegni e bonifici vanno indirizzati a: Amici dei Padri Bianchi - Onlus, V.le Merisio 17 24047 Treviglio BG CCP - c/t nr: 9754036 IBAN: IT32 E076 0111 1000 0000 9754 036 Cassa Rurale di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: BCCTIT2T

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indirizzi PROGETTI SOSTENUTI da AMICI DEI PADRI BIANCHI - ONLUS Progetto 01-10 RD Congo Centro nutrizionale e acquedotto Referente: padre Italo Iotti

Progetto 04-10 Mali Chiesa di Masina

Referente: padre Alberto Rovelli

Progetto 06-10 Burkina Faso Costruire un mulino Dori - Il mulino della speranza Referente: padre Pirazzo Gabriele

Progetto 07-10 Borse di Studio Aiutare i seminaristi Padri Bianchi Referente: padre Luigi Morell

Progetto 09-10 Mozambico Adotta un bambino

Referente: padre Claudio Zuccala

Progetto 01-11 Algeria Scolarizzazione femminile

Referente: padre José Maria Cantal

Progetto 02-11 Algeria Una biblioteca a Tizi-Ouzou

Referente: padre José Maria Cantal

Progetto 04-11 Mali Un dispensario a Gao

Referente: padre Alberto Rovelli

Progetto 13-11 Kenya A scuola grazie a suor Agata

CASE DEI PADRI BIANCHI IN ITALIA

PADRI BIANCHI IN ITALIA CASTELFRANCO VENETO BORTOLI Tarcisio CECCON Mariano CECCON Ugo GUAZZATI Fausto HORSTEN Piet LAZZARATO Silvio PIRAZZO Gabriele

CASTELFRANCO VENETO Via Ponchielli, 6 31033 Castelfranco V. (TV) Tel. 0423 494100 - Fax 0423 494005 mafrcasteo@padribianchi.it TREVIGLIO Viale Merisio, 17 - C.P. 61 24047 Treviglio (BG) Casa Provincializia Tel. 0363 41010 - Fax 0363 48198 provincia@padribianchi.it economato@padribianchi.it Redazione Rivista Africa Tel. 0363 44726 - Fax 0363 48198 africa@padribianchi.it Casa di Residenza Tel. 0363 49681 - Fax 0363 48198 cstgvn@padribianchi.it

TREVIGLIO BERTELLI Gustavo BONFANTI Vittorio CASTAGNA Giovanni CASTELLAN Sergio COLOMBO Luciano COSTANTINI Paolo MATTEDI Giuseppe PAGANELLI Dante Bernardo PAGANELLI Bruno PIRAZZO Romeo PLEBANI Luigi REDAELLI Giuseppe ROVELLI Alberto ROMA VEZZOLI Michele (Casa generalizia) ALTRI ALBIERO Sergio (Trebaseleghe, PD) BOLOGNA Giuseppe (San Damiano d’Asti, AT) FABBRI Guido (Corporeno, FE) GAMULANI Abdon (Sturno, AV) GHERRI Walter (Poviglio, RE) PIROTTA Pierangelo (Sturno, AV) SCREMIN Gaetano (Novale, VI)

Referente: padre Luigi Morell

Progetto 14-12 RD Congo Con i giovani di Goma

Referente: padre Giovanni Marchetti

Progetto 15-12 Mali Lotta contro la carestia

Referente: padre Vittorio Bonfanti Per ogni invio, si prega di precisare sempre la destinazione del vostro dono (numero progetto, sante messe, rivista, offerte, ecc) ed il vostro cognome e nome

donazioni (assegni, bonifici e versamenti) amici dei Padri bianchi ccP: n. 9754036 iban: it32 e076 0111 1000 0000 9754 036 credito cooperativo di treviglio bg iban: it73 H088 9953 6420 0000 0172 789 info: 0363 44726 - africa@padribianchi.it

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PADRI BIANCHI ALL’ESTERO BENACCHIO Nazareno

BRASILE

AFRICA CAZZOLA Gaetano COSTA Luigi GIANNASI Aldo GODINA Arvedo IOTTI Italo LAZZARATO Luigi LOCATI Giuseppe LUCCHETTA Giuseppe MARCHETTI Giovanni MORELL Luigi PINNA Franco PIRAZZO Giancarlo ZUCCALA Claudio

R.D. CONGO RUANDA ALGERIA MALI R.D. CONGO R.D. CONGO R.D. CONGO RUANDA R.D. CONGO KENYA MOZAMBICO BURKINA FASO ZAMBIA

seminarista

PIRAS Alessandro

TANZANIA

CASA GENERALIZIA Via Aurelia, 269 - C.P. 9078 00165 Roma Tel. 06 3936341 - Fax 06 39363479 m.afr@mafrome.org www.mafrome.org P.I.S.A.I. (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica) Viale Trastevere, 89 00153 Roma Tel. 06 58392611 - Fax 06 5882595 info@pisai.it www.pisai.it

CASE DEI PADRI BIANCHI IN SvIzzERA FRIBURGO Africanum Route de la Vignettaz, 57 CH - 1700 Fribourg Tel. 0041 26 4241977 Fax 0041 26 4240363 C.C.P. 17-1818-3 friprov@bluewin.ch Per Africa: Africanum Route de la Vignettaz, 57 CH - 1700 Fribourg C.C.P. 60-106-4


informazioni

Africa promuove

concorso di fotografia 2ª edizione

Tema del concorso

un continente in movimento Premio

Premio

Premio

Tradizione Modernità Natura

Premio del pubblico africa rivista

Scadenza: 31 agosto 2012 - Bando completo del concorso e elenco premi su: www.missionaridafrica.org

UN NUovo blog «l’Africa non ha futuro, gli immigrati ci rovinano, gli aiuti non servono, gli africani sono arretrati, ...». Davvero? Discutiamone sul blog: www.buongiornoafrica.it curato dal giornalista Raffaele Masto. Il nuovo spazio ideato dalla rivista Africa, dove informarsi e confrontarsi sui temi più caldi e spinosi dell’attualità del continente


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Disponibile per esposizioni in tutta Italia Informazioni: Redazione Africa animazione@ padribianchi.it tel. 0363 44726 cell. 334 2440655 Anteprima su www.missionaridafrica.org

La mostra Good Morning Africa è realizzata dalla nostra rivista in collaborazione con African Explorer, il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, Stefania Costruzioni e Jona Comunicazioni

foto W. Astrada

Quaranta incredibili fotografie per immortalare la vitalità di un continente in pieno movimento. La mostra può essere allestita in scuole, biblioteche, parrocchie e centri culturali. È richiesto un contributo minimo di 200 euro più il rimborso delle spese di spedizione. foto B. Zanzottera

foto A. Frazzetta

Good Morning Africa


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